psicoterapia con l`ausilio dei delfini: un approccio gestaltico
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psicoterapia con l`ausilio dei delfini: un approccio gestaltico
PSICOTERAPIA CON L'AUSILIO DEI DELFINI: UN APPROCCIO GESTALTICO Da: “Realtà e prospettive in psicofisilogia”, A.S.P.I.C., Roma, luglio 1994 La terapia assistita da animali ha subito una rapida evoluzione negli ultimi decenni, che risponde probabilmente anche al rinnovato interesse generale per l’ambiente e all’esigenza di una vita più a contatto con la natura. l’ippoterapia, ad esempio, è ormai largamente praticata, con ottimi risultati, in tutta l’Europa e altre interessanti esperienze stanno prendendo piede, come la pet therapy, usualmente destinata a persone anziane e sole o gravemente disturbate, che vengono incoraggiate a superare l’isolamento prendendosi cura di un animale domestico. Una forma molto particolare di terapia assistita da animali, attualmente praticata soprattutto negli Stati Uniti e in Australia è la “delfinoterapia”. E’ l’unico caso in cui venga utilizzato il contatto con animali selvatici, i delfini, sia in cattività sia allo stato libero. <<ma come è nata la delfinoterapia? Le descrizioni di incontri occasionali tra alcuni amanti del mare e i delfini hanno messo in luce i molti aspetti positivi dell’esperienza: in particolare il miglioramento dell’umore delle persone coinvolte e, in diversi casi, l’avvio di un vero e proprio processo di trasformazione psicologica. Queste testimonianze e le ricerche di numerosi biologi, che hanno evidenziato l’elevatissima intelligenza e le straordinarie capacità di apprendimento di questi mammiferi marini, hanno indotto alcuni ricercatori a studiare metodicamente le interazioni tra esseri umani e delfini e i loro effetti. E in più d’uno sono arrivati a una conclusione sorprendente: i delfini sembrano possedere un inesplicabile “effetto curativo” sulla psiche umana. Questo effetto è stato sottoposto a verifica e messo a frutto a scopi terapeutici soprattutto da tre studiosi a livello internazionale: Betsy Smith e David Nathanson in Florida e Horace Dobbs in Inghilterra. Betsy Smith, docente presso la Florida International University di Miami, iniziò nel 1978 il primo di molti progetti di ricerca sugli effetti degli incontri con i delfini su bambini autistici, che ebbero effetti benefici anche sulla loro vita familiare e sociale, rendendoli più calmi e capaci di concentrarsi e di partecipare a varie attività. David Nathanson, psicologo e docente presso la stessa Università, iniziò poco dopo, presso il Dolphin Research Center di Grassy Key, alcune sperimentazioni con bambini Down o sofferenti di ritardi nell’apprendimento. Il contatto con i delfini era da lui utilizzato come ricompensa per l’apprendimento di nuove parole o frasi. Anche in questo caso, i bambini migliorarono significativamente quanto a capacità di apprendimento e continuità di attenzione. Intorno alla metà degli anni ’80 in Inghilterra, il dottor Horace Dobbs dava il via a un altro importante esperimento, questa volta dedicato all’interazione tra delfini e individui adulti. Tre persone, sofferenti di gravi forme di depressione, furono condotte in mare aperto per entrare in contatto con un delfino, Dorad, che da tempo si era avvicinato alle coste dell’Irlanda, mostrando un giocoso interesse per gli esseri umani che nuotavano nei paraggi. Anche in questo caso gli incontri ebbero un impatto positivo, che andava dal miglioramento a una quasi completa remissione dei sintomi, almeno in un caso. Uomini e delfini oggi Oggi, a distanza di oltre un decennio, Betsy Smith e David Nathanson continuano le loro attività di terapia e di ricerca, anche in mare aperto, mentre un numero sempre crescente di famiglie, da tutti gli Stati Uniti, attratte dal loro successo, affrontano faticosi viaggi e lunghe liste d’attesa per offrire ai loro figli questa innovativa opportunità terapeutica. Il Dr. Dobbs ha lanciato recentemente in Europa l’”Operazione Sunflower”, che consiste tra l’altro nella creazione, a scopo terapeutico, di “Dolphin Pools” dove, anche senza la presenza fisica di delfini in cattività, vengono trasmessi suoni e proiettate immagini di questi cetacei ai pazienti immersi nell’acqua. Diversi altri psicologi e psicoterapeuti si sono avvicinati ai delfini. Basterà citare l’australiana Tara André, che propone meditazioni accompagnate da musiche di cui i suoni dei delfini sono parte integrante, e Rebecca Fitzgerald, psicoterapeuta statunitense, che organizza gruppi di delfinoterapia sul suo catamarano, al largo delle coste del Nuovo Messico. L’interesse per i delfini si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo e non solo a scopi direttamente terapeutici: a Monkey Mia, sulle coste australiane, si riversano ogni anno migliaia di turisti, per osservare e nutrire i delfini che tutti i giorni da anni, generazione dopo generazione, si avvicinano alla spiaggia per incontrare gli esseri umani; in molti delfinari, in tutto il mondo, vengono portati avanti con successo programmi educativi e di nuoto con i delfini; un’organizzazione australiana propone programmi analoghi, in mare aperto, dedicati ai bambini di pochi mesi, con l’intento di favorirne l’acquaticità e lo sviluppo fisico e intellettuale. L’elenco potrebbe proseguire a lungo. Molte di queste esperienze non sono ancora state studiate a livello scientifico, ma anche esse forniscono sempre nuove conferme e affascinanti ipotesi sulle possibilità della delfinoterapia, in gran parte ancora da esplorare. La ricerca in Italia In Italia l’associazione Arion, che unisce psicoterapeuti, psichiatri ed etologi, ha avviato il primo programma di ricerca sugli effetti terapeutici del contatto con i delfini. Il programma si sviluppa su due direttrici fondamentali. La prima, finalizzata a verificare l’efficacia terapeutica dell’incontro con i delfini sulla psiche di persone sofferenti di depressione, la seconda orientata a valutare gli effetti psicologici di incontri organizzati a scopo educativo o ricreativo. Il primo progetto è ancora in corso, ma circa 30 ore di osservazione videoregistrata delle interazioni tra alcuni volontari immersi nell’acqua e i delfini del delfinario di Rimini, hanno dato i primi risultati. Le interviste, appositamente programmate, che hanno seguito ogni immersione, hanno evidenziato esclusivamente vissuti positivi, descritti prevalentemente come gioia, eccitazione, serenità, che i partecipanti hanno dichiarato di provare anche a diversi giorni o settimane di distanza. La seconda ricerca prevedeva la distribuzione ad alcuni delfinari, in Italia e all’estero, di un questionario relativo agli stati d’animo dei partecipanti a programmi di nuoto con i delfini, durante e dopo l’esperienza. I 110 questionari finora esaminati hanno dato risultati che confermano quelli già rilevati con i volontari nell’esperimento di Rimini. 109 persone su 110 hanno riferito sentimenti positivi durante l’esperienza (“mi è sembrato di essere in un sogno”, “indescrivibile, stupendo!”, “è un’avventura meravigliosa”, “un senso di pacata soddisfazione, di pace, di rilassamento”). L’unica persona che si è sentita a disagio ha anche affermato di aver avuto difficoltà di nuoto. 15 persone, il 13,6%, hanno riferito di aver provato timore,ma soltanto durante i primi minuti dell’esperienza. Per quanto riguarda lo stato d’animo dopo l’immersione, 84 persone, pari al 76,4%, hanno riferito sentimenti positivi, il 12,7% non hanno risposto o hanno eluso la domanda, il 10,9% hanno riferito sentimenti negativi dovuti, nell’ordine a: A) tristezza per la condizione di cattività dei delfini, B) insoddisfazione per i limiti di tempo, C) stanchezza. Sebbene il questionario non contenesse alcuna domanda specifica in tal senso, il 49% hanno riferito di essersi sentiti in comunicazione o in contatto (non solo fisico) con i delfini. Tra le espressioni più significative: “ho sentito una forte intesa con i delfini”, “mi è sembrato che i delfini mi capissero”, “ho sentito di poter comunicare con questi animali, questo ha destato in me un senso di comunione”. Il 39% hanno dichiarato di avere scoperto qualcosa di nuovo in se stessi nel corso dell’esperienza. “I delfini mi hanno portato la calma interiore e il desiderio di ascoltare gli altri, uomini e animali”, “ho imparato a essere più altruista”, “ci si sente più aperti”. 102 persone, il 92,7%, hanno affermato di voler ripetere l’esperienza. Gli altri hanno motivato come segue la scelta di non ripeterla: 6 non intendevano favorire la cattività dei delfini, 1 era un pessimo nuotatore, 1 non ha dato alcuna spiegazione. Per quanto interessanti e incoraggianti, questi risultati non possono di per sé indurre ad attribuire una specifica efficacia terapeutica all’incontro con i delfini in quanto tale, ma certo fanno ritenere che si tratti di un’esperienza che può contribuire al benessere psichico. Alcune ipotesi da verificare Ma come e perché funziona la delfinoterapia? Le risposte a tale quesito non sono ancora chiare o univoche. Le ricerche finora svolte, in Italia e all’estero, hanno mirato soprattutto a quantificare i miglioramenti riscontrati, a seguito dell’incontro con i delfini, in persone sofferenti di disturbi psichici. Solo occasionalmente sono state elaborate ipotesi sui motivi per cui questi animali sembrano avere un effetto “curativo”. Esaminiamone rapidamente alcune. Lo scorso luglio, quando l’ho incontrato in Florida, il Dr. Nathanson mi ha annunciato l’uscita imminente di un suo libro, in cui presenta un modello neurofisiologico capace di individuare e quantificare, a livello di onde cerebrali, gli effetti degli incontri con i delfini sugli esseri umani, soprattutto in termini di riduzione dello stress. Horace Dobbs e diversi studiosi australiani ritengono che siano soprattutto i suoni, e ultrasuoni, emessi dai delfini i responsabili dei cambiamenti negli esseri umani. In questo senso la University of South Australia di Adelaide sta attualmente conducendo alcune ricerche. Altre ipotesi, difficili da dimostrare, vanno dalla supposizione che i delfini possiedano uno speciale potere telepatico interspecifico, all’idea che emanino particolari energie vitali, che noi saremmo in grado di captare. Il contatto Proporrò qui una ipotesi più specificatamente psicologica, facendo riferimento al modello della psicoterapia gestaltica. Anzitutto ritengo legittimo, sulla base delle informazioni finora raccolte1, considerare l’incontro con i delfini un episodio di contatto, dove il termine contatto sta ad indicare non soltanto l’esperienza tattile, ma un fenomeno che coinvolge ampiamente la partecipazione sensoriale ed emotiva delle persone coinvolte. In questo senso il contatto costituisce, nella Gestalt, una delle più significative opportunità per favorire l’evoluzione personale, superando le rigidità nevrotiche. Figura / sfondo La configurazione figura/sfondo, dove la figura rappresenta il bisogno emergente, è una rappresentazione dinamica dei processi psichici tra le più significative in Gestalt. Una flessibile reversibilità nel rapporto figura/sfondo significa possibilità di soddisfare e quindi lasciar recedere sullo sfondo i bisogni emergenti, man mano che si presentano, e costituisce la caratteristica principale della personalità sana e creativa. Una figura può persistere nella posizione di primo piano, anche quando le sue funzioni sono inutili o addirittura dannose, per svariati motivi, solitamente radicati nel passato, che danno luogo ad atteggiamenti e comportamenti compulsivi. Anche gli interventi terapeutici possono essere svariati. Obiettivo comune è tuttavia quello di spezzare la fissità e strumenti principali sono la focalizzazione sul presente e la consapevolezza degli elementi innovativi dell’esperienza attuale. L’eccezionalità e l’unicità dell’incontro con i delfini, più vote sottolineate nelle testimonianze, sono potenti elementi che fissano l’attenzione al qui e ora e, a volte, possono generare di per sé un’esperienza di rottura e offrire una nuova prospettiva attraverso la quale vedere se stessi, il mondo, i rapporti. “Cercai di pensare a qualcuna dele cose che avevo programmato di fare ed era come se la sua (del delfino – n.d.t.) presenza avesse cancellato tutti quei pensieri. Improvvisamente la mia mente era completamente vuota ne non cera niente da fare a parte essere lì, con lui, in quel momento.”2 “A lungo termine, l’esperienza di nuotare con il delfino mi ha decisamente cambiato. Non rimango più così intrappolato nell’ansia, ora sto davvero cominciando a vivere.”3 La resistenza al contatto Come ho accennato, gli incontri con i delfini non sono una qualunque esperienza inusuale, ma episodi di contatto che coinvolgono, positivamente e profondamente, il vissuto psichico/emotivo e sensoriale/corporeo delle persone. Sembra che, in questi casi, le più comuni resistenze al contatto vengano facilmente evitate o superate. Si ha infatti l’impressione che i delfini, come un buon terapeuta, riescano a portare lo scambio con gli esseri umani su un piano di apertura e franchezza, e sappiano difendere giocosamente la loro autonomia. Ad esempio, le persone che, forse in una fantasia di confluenza, si prendono troppa confidenza, vengono gentilmente rimesse al loro posto e spesso, al contrario, coloro che stanno in disparte vengono coinvolti nel gioco. “Una volta presi l’iniziativa con Freddie, raggiungendolo e mettendo la mano sul suo rostro, sapendo che, se ero fortunato, mi avrebbe potuto trainare, in quel modo. Era chiaro che non ne aveva voglia. Scosse la testa e allontanò la mia mano. Allora gli misi delicatamente la mano sulla pinna dorsale, ma egli si mosse verso il basso e dovetti lasciarla andare. Si allontanò subito e nuotò verso una ragazza del gruppo, che stava cercando di familiarizzare con l’acqua profonda, e le offrì la sua pinna dorsale. Lei la prese e fece un’eccitante corsa per diverse centinaia di metri attorno a me. Era proprio come se avesse detto ‘scelgo io a chi dare un passaggio, non tu!’”4 Proiezioni Insieme alla confluenza e all’introiezione che, per ovvi motivi, sembra difficile a verificarsi nel contatto con i delfini, un importante meccanismo di evitamento del contatto è la proiezione, che merita un discorso a parte. I delfini sono animali non certo domestici, estremamente potenti e di notevoli dimensioni, perciò ben si prestano a rispecchiare proiezioni di aggressività e violenza, anche se si sa che non hanno mai attaccato l’uomo. Frequentemente infatti le testimonianza riferiscono una certa apprensione iniziale, che è però destinata a scomparire rapidamente. “I miei primi contatti con Fungie furono terrificanti. Mi era stato detto quanto fosse pacifico e benevolo, ma ricordo che la prima volta che aparve accanto a me, stavo quasi per schizzar fuori dall’acqua. La sua mole, ingigantita dall’acqua, me lo faceva apparire come un mini-sommergibile ... Ero terrorizzato.”5 Ma i delfini sono così socievoli e giocosi che ben presto riescono a rassicurare chiunque con il loro comportamento. Non solo, il depotenziamento delle eventuali proiezioni si accompagna con l’impressione di sentirsi accettati e di essere scelti. “Ho sentito il privilegio di essere scelta da uno di questi animali come sua compagna di giochi e, naturalmente, ho provato una grande commozione.”6 “Aveva a disposizione tutto l’oceano Atlantico per nuotare, ma aveva scelto di stare con me in quel momento. Ho sperimentato un incredibile senso di privilegio per il fatto che egli stesse con me.”7 E sentirsi accettati ed apprezzati da un essere così forte e potenzialmente pericoloso può certamente migliorare il proprio senso di sicurezza e autostima. Integrazione Nella Gestalt l’uomo è una composizione di caratteristiche e polarità e l’integrazione di questi aspetti rende la personalità completa e fluida, ampliando e rendendo più elastici i confini dell’io. Alcune caratteristiche dell’incontro con i delfini lo rendono un’occasione particolarmente favorevole al contatto con aspetti di sé trascurati o rifiutati. Porteremo alcuni esempi. Il corpo. Il flusso dell’acqua, provocato dai propri movimenti e da quelli del delfino, stimola la percezione di ogni parte del corpo e può riportare alla consapevolezza parti usualmente “assenti” o insensibili. E’ un effetto che ben conoscono i fisioterapisti, quando praticano la rieducazione motoria nell’acqua, ma che sembra accelerato dalla presenza dei delfini. Un drammatico cambiamento, di cui sono stata personalmente testimone, è quello di una donna sofferente di sclerosi multipla, già sottoposta a varie terapie riabilitative, venuta a nuotare con i delfini a Rimini. Appena entrata nell’acqua aveva bisogno di essere sorretta, perché non era in grado di spingersi con le gambe nella direzione voluta, né di mantenere la posizione nell’acqua: ogni movimento la portava facilmente a rovesciarsi sulla schiena, in una posizione scomoda, che non riusciva a cambiare. Dopo non più di dieci minuti nella vasca, tuttavia, ha iniziato a mantenere la posizione voluta e, poco dopo, riusciva a muoversi con inaspettata disinvoltura per avvicinarsi ai delfini, attraversando da sola anche tutta la vasca (20 m. di diametro) senza difficoltà. Espressione ed esposizione. Alcune regole formali, spesso introiettate in misura molto superiore a quanto è necessario ala normale vita sociale, insieme al timore di essere esposti all’altrui giudizio, limitano eccessivamente la capacità di espressione. Il contatto con i delfini è una situazione così inusuale da escludere norme o regole prestabilite. Fortunatamente non è ancora stato elaborato un “galateo” sui comportamenti da adottare in queste occasioni. Inoltre i delfini non vengono mai percepiti giudicanti. “Quando sono con lui mi sento accettato come sono; non ho l’impressione di essere giudicato o soppesato. Non devo cercare di essere in un certo modo. Al contrario, meno mi sforzo di fare qualcosa più lui si avvicina.”8 Il movimento. E’ il potenziale integratore di molte esperienze sensoriali ed emotive ed è, a mio avviso, uno dei fattori che determinano il senso di gioia e di libertà che sprigiona dal contatto con i delfini. La persona si trova immersa in un elemento, l’acqua salata, in cui difficilmente riesce a mantenere quelle rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi; l’acqua stessa fornisce il sostegno, non sempre facile da trovare sulla terraferma, che permette la fluidità e la libertà del movimento; la stimolazione tattile proviene sia dall’elasticità vellutata della pelle dei delfini, sia dal flusso dell’acqua, che funziona come un leggero massaggio ed accresce la consapevolezza del corpo. Consapevolezza Una componente dell’esperienza che i delfini possono stimolare solo limitatamente, ma che è fondamentale in Gestalt, è la consapevolezza. Personalmente ritengo che sia indispensabile, per completare e integrare stabilmente l’esperienza con i delfini, rendendola realmente terapeutica, una successiva elaborazione dei vissuti sotto la guida di uno psicoterapeuta. Elemento questo assente dai programmi di nuoto con i delfini di cui sono a conoscenza. Analizzando gli sviluppi di una terapia che preveda l’incontro con i delfini come elemento integrante, sarà inoltre possibile seguire direttamente e in dettaglio il processo di cambiamento che questi animali sembrano innescare, riesaminare le ipotesi interpretative già note e avanzarne eventualmente di nuove. I delfini e il mito Una breve considerazione che non può mancare è quella sulle risonanze simboliche e mitologiche dell’immagine del delfino, che probabilmente contribuiscono a determinare le reazioni degli esseri umani a contatto con questo animale. Nei miti degli indiani d’America il Delfino emerge dal Tempo di Sogno per diventare latore di messaggi di progresso per l’umanità: il Delfino infatti possiede il dono della lingua primordiale, cioè la conoscenza del ritmo e del suono che permettono la comunicazione, esso rappresenta perciò il legame tra il Grande Spirito e i figli della terra. Alcune tribù di aborigeni australiani si considerano diretti discendenti dei delfini, che sarebbero i progenitori di tutta la razza umana. Nelle loro leggende, la coppia originaria di delfini sarebbe uscita dal mare, in un mitologico Tempo di Sogno, per trasformarsi in uomo e donna e dar vita ala nostra stirpe. Tuttavia la loro progenie rimasta nel mare, i delfini attuali, non avrebbero dimenticato di essere nostri fratelli, perciò giocano ancora con noi, come erano abituati a fare nel Tempo di Sogno. Nell’antica Grecia le prime rappresentazioni di delfini risalgono addirittura alla civiltà micenea. Miti più recenti considerano il delfino animale sacro ad Apollo, dio dell’armonia e delle arti e, come tale, lo fanno partecipare alla fondazione di Delfi, uno dei luoghi sacri più importanti dell’antichità. Anche i greci scrissero molto sull’amicizia che lega il delfino all’uomo. I loro racconti parlano del musico greco Arione, gettato in mare dall’equipaggio della sua nave, per appropriarsi delle sue ricchezze, che fu salvato e riportato a riva da un delfino; di un fanciullo di Iaso, diventato amico di un delfino e amato da questi a tal punto che, alla sua morte, anche il delfino si lasciò morire; di pescatori della provincia di Narbonne che, secondo quanto narra Plinio il Vecchio, venivano aiutati dai delfini, che spingevano il pesce nelle loro reti; e di tanti altri ancora. Tutte queste leggende, nonostante le distanze di luogo e di tempo, hanno alcuni caratteri comuni: il legame del delfino con un Tempo di Sogno, o tempo leggendario che lo rende compagno degli dei, il suo successivo legame con il mondo degli uomini, il collegamento con l’armonia, l’arte e una inesplicabile capacità di comunicazione che lo rendono intermediario tra i due mondi. Chi ha provato a trascrivere questi eventi mitici in termini psicologici ha spesso considerato il delfino simbolo di ponte tra il razionale e l’irrazionale, il concreto e l’immaginario, la coscienza e l’inconscio della psiche. Un problema morale Gran parte degli studi di cui si è parlato si sono svolti in delfinari. Ma i vantaggi che l’uomo può trarre da queste attività sono sufficienti a giustificare il mantenimento di delfini in cattività? E’ un quesito che pone un dilemma orale di non facile soluzione. E’ certo infatti che le ricerche finora effettuate sarebbero state altrimenti impossibili. E sarebbe anche stato estremamente difficile avvicinare e interessare a questi affascinanti mammiferi tante persone che oggi li amano e contribuiscono a proteggerli , tramite organizzazioni e movimenti che si vanno moltiplicando in tutto il mondo. Tuttavia è indispensabile che i ricercatori e gli amanti del mare e dei delfini si impegnino perché la cattività di questi mammiferi marini venga limitata al massimo, perché i delfinari abbiano principalmente scopi di ricerca e, dove possibile, si trasformino in strutture più confortevoli, come alcune di quelle esistenti in Florida, costituite da lagune direttamente collegate al mare e ampie decine di migliaia di metri quadrati, dove i delfini sono spesso lasciati liberi di raggiungere, quando vogliono, il mare aperto NOTE 1) Mi riferisco ai risultati del questionario di Arion e a molte testimonianze dirette o rilevate da pubblicazioni. 2) Tenzin –Dolma L.: “The dolphin experience”, Foulsham, London, 1992, p. 42 3) Ibid p.79 4) Ibid. p.44 5) Ibid. p. 41 6) Risposta al questionario di Arion 7) “The dolphin experience”, cit. p. 57 8) Ibid. p. 42