Circolo Culturale La Torre - Chiavenna

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Circolo Culturale La Torre - Chiavenna
HANNO IL CULO COME LA FACCIA
Stefano Di Michele per Il Foglio 25/9/2012
- ALTRO CHE SCONTRINI
E RICEVUTE: PER
CAPIRE LO SCANDALOLAZIO BISOGNA
GUARDARE IN FACCIA I
PROTAGONISTI E
LEGGERE STEFANO DI
MICHELE - LA RISATA, IL
SOGGHIGNO, L'ARIA
OFFESA, QUELLA
PENSOSA, IL CATALOGO INFINITO DI ESTETICHE BRUTTURE RESTERA'
IMPRESSO PIU' DI CARTE E (EVENTUALI) PROCESSI - I "COGLIONI
SUDATI" DI ER BATMAN E TANTA GNOCCA CHE "ARRAPA COME UN
PIANO REGOLATORE SMANEGGIATO..."
"Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera" (Totò)
Ci deve essere, nella fisiognomica, una precisione scientifica finora sconsideratamente sottovalutata. Sennò non
si spiega, sennò non si capisce - il risucchio dell'ostrica, lo sciampagnino di gente appena sortita dalla cantina
sociale, l'ingozzamento programmatico, "le gnocche travestite con le gonnelline bianche", che quelle mai
mancano, altrove pure (e soprattutto) certe altre senza gonnelline bianche, esperte trampoliere sempre: ché un
tacco dodici arrapa non meno di un piano regolatore smaneggiato.
Le facce, ecco, le facce dicono tutto. E' sulle facce che bisogna concentrarsi, lì bisogna assolutamente scrutare con lente d'ingrandimento, con perizia da sbirro di questura che fa l'identikit del ricercato - per intendere meglio le
parole, le mezze scuse, le palesi coglionate. Sono facce che spiegano le panze (panze, non pance), da qualche
parte un rutto non ancora recepito alle cronache quasi s'ode, gli insani propositi: "I nostri valori! i nostri valori!", il
coro a mezza bocca, da burletta laziale, che pare di sentir risuonare alto e forte, "se lavora e se fatica pe' la
panza e pe' la fica!" - i valori!, i valori!
Non certo per farsi tardo-lombrosiani (anche se l'annotazione "l'uomo ignorante sempre adora ciò che non può
capire" pare perfetta per la situazione degli scialacquatori
vanitosi), senza mettere di mezzo cervello e cervelletto (che anzi,
a trovarli), senza neanche sfiorare, ma pure sfiorando, il
darwiniano anello mancante, ma ecco: rammentarsi che non
sempre di superficialità occorre peccare,
e così allertarsi da subito e alleprarsi immediatamente, ché sono
solo i superficiali a non fidarsi della prima impressione (lo diceva
Oscar Wilde; che è ricchione ma che accettiamo, avrebbe
concesso il cavernicolo Cetto La Qualunque, che in confronto a costoro fa comunque la figura di un De Gasperi:
Cetto che di questa intera fenomenale armata del comico e della famelicità e dello sgarrupamento è modello
ideale, pur dalla realtà a ridosso del Raccordo Anulare appunto largamente superato: in palese insensibilità, in
ostentata volgarità).
Si possono lasciar perdere le ricevute, le interviste, le dichiarazioni pubbliche (quelle, meglio lasciarle perdere
sempre), il vizietto privato dell'abuso nascosto dalla porporina delle pubbliche
virtù - ma le facce, quelle non bisogna mai perderle di vista. La risata, il
sogghigno, l'aria offesa, quella pensosa - la fronte poggiata sulle mani: come
ruota sgonfia accasciata sul cric, il catalogo infinito di estetiche brutture, farsi una
memoria da elefante, così che all'occorrenza se serve o se la bile travasa
selvaggiamente caricare.
E l'occhio prestare a certe cravatte a mezza panza, a certi braccialetti da
oreficeria di paese penduli al polso, a certi colli taurini che neanche i festoni delle
sagre di paese potrebbero costeggiare per intero, a certi squisiti manufatti di
Marinella - a strozzo annodati, a simbolo elevati: ci piace Berlusconi!, copiamo
Berlusconi!, gracchiano gli sfrontati, e proprio il Cav. rimesso a nuovo,
galleggiante e crocierista, dovrebbe stringere con vigore i nodi che a lui
vorrebbero intestare, altro che il continuo inguattamento, togliere aria come lo strangolatore in quel film di
Hitchcock, soffocare per riprendere lui a respirare.
Così che invece ognuno il fiato smarrisce davanti alle foto del party al Circolo del tennis in costume da antichi
romani - ma il consigliere organizzatore da Ulisse risulta vestito:
così che in azzardo un sogno premonitore di Cassandra col
pecoreccio Satyricon si miscela, l'onorata tradizione dei peplum
degradata a parodia paesana, la confusione tra Pantheon e
Divina Commedia, poca Penelope e proci festanti molti (porci?
froci?), tripudio di elmi e mantelli dorati e forconi e ancelle a mollo
e allori e corazze e cosce gladiatorie al vento e pettoruti che
tendono l'arco e boccoluti Apolli, so' Cupidooo!,
e giare stipate di mojito e templi discotecari e vestali che porgono grappoli d'uva a maschi stravaccati e certi
mascherati con teste da maiali che palpano chiappe romanamente esibite e bipedi con maschere equine chiamati
a fare il quadrupede di Troia, con ridente bellezza in groppa. "Tutto a spese mie", dice il consigliere
temerariamente omerico. Ma lo stesso l'esibita paccottiglia (secondo l'on. a caratura regionale, invece, trattasi di
"festa carinissima e sobria" - sta a vedere, montiana quasi) dice molto - e se il gusto altrui non si discute, il
disgusto che ne segue è poi difficile da silenziare e fronteggiare.
Se tra la roba - lavica fanghiglia, tracimazione fognaria - che fuoriesce in questi giorni c'è materia per sbirri e
giudici, giudici e sbirri decideranno. Ma di sicuro è roba destinata a imprimersi per sempre nella memoria, a farsi
paradigma di tutto quello che un dì crollò. Tale il livello di spudoratezza e di ingordigia (si sono viste persino
spese per "l'aperitivo rinforzato", mancasse a qualcuno l'appetito) e tale quello di stratosferica stupidità - ogni
singolo centimetro della corda che (metaforicamente, s'intende; metaforicamente, si spera) finirà per impiccare
un'intera classe (meglio da dire sarebbe: sottoclasse) politica la stanno tessendo loro, in pratica ora dopo ora - il
dirupo è lì davanti, e quelli accelerano.
"Il Futuro è Fiorito", faceva scrivere sui manifesti quel Fiorito lì, il ciociaro pantagruelico e di sostanziosissima
presenza, ideale Polifemo sarebbe stato al festevole Circolo del
tennis - più del settimo di tonnellata che Nero Wolfe rivendicava
per sé: e in mezzo al manifesto un fiore, il nome di Berlusconi
scritto al centro: epocale rivendicazione era, mesto
scacazzamento di piccione ora appare: e se il futuro è fiorito,
ecco, adesso di crisantemi pare fiorito, di languore
beccamortario, di danza sul ponte del naviglio che imbarca acqua
- tutti giù, a far compagnia alle festevoli ancelle grondanti.
Lo sprofondo peggiore - dove la tragedia si muta in farsa, un istante prima che tutto svanisca e si sbricioli, come
le antiche pitture sotterranee nel "Roma" di Fellini: lì si restava col fiato sospeso di fronte alla precarietà della
bellezza, qui di fronte alla durevolezza della bruttura. Quel baldanzoso salire verso il cielo, giorno dopo giorno, di
ricevute che parlano di pappate ai ristoranti - questa pena e questa scena di poveretti plaudenti il politicante
sistemato al tavolo centrale, come gli sposi allo sposalizio, due cazzate sui "nostri valori", tra l'abbacchio che
sfuma e il vinello che cala, l'ipercalorica abbuffata che come valori giusto verso l'aggiornamento di quelli del
colesterolo dovrebbe spingere - e adesso l'osso male spolpato finito di traverso chiude la gola, genera rantoli
mediatici, fa proclamare intenzioni future purtroppo solo testamentarie.
Il particolare rende il senso del tutto, come quel filmato di un comizio (al ristorante, ovvio: tavolate torno torno,
bottiglie vuote, piatti con avanzi e satolli ridenti) di Francone Fiorito con tal Modesto a fianco, che gli batte
compiaciuto e grato la mano sul trippone, e poi tutti in coro a cantare il canto dei briganti, e si avverte l'assenza
della banda di paese, "Ammo pusato chitarre e tammore / ca chesta musica s'ha 'dda cagnà / simmo briganti e
facimmo paura / 'e 'ca scupetta vulimme cantà...".
E' terra di sagre e fiere, il Lazio. Con mafia e camorra che rosicano i suoi bordi, nessuna possibilità più di essere
appaiato con un qualsiasi land tedesco - per dire, manco un Meclemburgo-Pomerania Anteriore. E tutta questa
faccenda di soldi e magnate, di beghe e di sputazzamenti da provincia a provincia, la Tuscia che sfida la
Ciociaria, la Ciociaria che gagliardamente risponde, e lo sbrago innalza nella memoria il barista di Ceccano reso
memorabile dal ciociaro Nino Manfredi, "fusse che fusse la vorta bbona" (stavolta decisamente non lo è).
Sono Francone - a stazza mastodontica - e Franchino Battistoni da Viterbo, dai giornali appellato "il Duca" causa
certa curialità pretigna (e un antico zio prete carsicamente dalle cronache emerge), ormai ex capigruppi, che
hanno cominciato a darsele sconsideratamente, litigi e banche, conti correnti volanti, sospette camere
matrimoniali pur se a uso singolo, dossier che transitano a ritmo frenetico, sospetti voucher forse contraffatti (la
contraffazione dei voucher deve essere un inedito totale, manco a Totò ambasciatore del Catonga sarebbe
venuta in mente): peggio di quella dei Roses, la guerra degli azzurri.
Tutto il resto - come scenografia posticcia, come avanzo dell'avanzo della seratona con maiale che bacia l'ancella
- è venuto giù in un soffio, ciò che ieri attizzava desiderio oggi produce vergogna: il futuro è sfiorito. Per tutti. C'è
la Polverini, che di bianco vestita alza le mani al cielo nell'aula del consiglio, simil posa al Cristo Redentore di Rio,
rumorosa Madonna della Pisana che fa la dura col suo attruppamento, si' ve pijo ve smonto come 'na radiolina!, e
parla di abisso e tumori e ciabatte e catastrofe e alluvione e stress, uno se gratta e se da' - così che la già
evocata Cassandra omerica (la faccenda ributta sul classico perenne della romanità pecoreccia della destra de
Roma e province tutte) al confronto figura come sgallettata da happy hour.
Ma l'acqua è alla gola di tutti - certo, il livello di sputtanamento raggiunto dal pidielle (senza tener conto di
eventuali rogne giudiziarie) è di quelli che non lasciano scampo, una patacca perenne di unto che nessuno
smacchierà più, ma pure il piddì ha le sue magre figure, e sicuramente sarà tutt'altra cosa - noi le ostriche no!,
mai noi le ostriche!, le vacanze niente! la politica, noi solo la politica!, eppure lo stesso tra le ricevute di riunioni e
convegni e democratiche adunate, non poco impressiona il ritmico allinearsi di enoteche e trattorie e osterie e
ristoranti e alberghi e agriturismi - avessero dato, democratici e berlusconiani (e tutti gli altri che in attesa di
verifica stanno) ciò che hanno dato alle meglio vinerie alle più significative librerie, ne avrebbero ricavato più
vispa presenza linguistica oltre che una più giustificativa contabilità finale. Invece dell'ostrica, cazzo, ho comprato
l'ultimo saggio di Brunetta!
Macché caciotta, quella è la spesa per un romanzo di Franceschini! Niente di niente. Ma ecco, per restare a
sinistra, che una delle migliori battute sentite è pur sempre quella di Esterino Montino, con la sua simpatica e
arruffata aria da capopopolo, di fronte a quasi cinquemila euro che hanno arditamente preso la strada di
un'enoteca: "A Natale abbiamo fatto regali ai bambini senza reddito, un atto di generosità..." - che c'è da
intendersi e da capire: invece del pongo e del lego, ai bimbi poveretti si porta il Morellino di Scansano? Poi ha
meglio dettagliato: "Erano per le famiglie dei bambini in difficoltà". E le piccole creature, infine, a gozzo asciutto?
Ma pure, di tanti e infiniti protagonisti - per questo le facce sono importanti da mandare in memoria, sennò magari
uno se li ritrova tali e quali, tra un paio d'anni, impataccati sul davanti, a ciarlare di valori: di solito quelli della vita,
a leggere i conti quelli della viticultura - nessuno lo è quanto il Francone da Anagni detto er Batman (non
dovrebbe alzarsi in aria, con leggiadria da volatile, l'eroe pipillestrato?), dalla fenomenale confessione - "me so'
magnato dodici bignè allo zabaione", - alla impressionante elencazione: due vassoi di fettucine, quattro bistecche,
ventiquattro baci Perugina: in una serata - consacrata icona dei giorni che stanno calando nella fossa l'istituzione
regionale, così che è tutto un ravanare di inviati nella pacifica sua cittadina, e lui che appare sotto gli ulivi, un
suggestivo e casareccio Getsemani, e mamma Anna che rivendica tanto l'onestà quanto la moderazione - mai
una sigaretta, mai un'ostrica - così come la precoce intelligenza, "a tre anni leggeva già Topolino".
L'antico mondo viene rivoltato, col suo carico di poca fascinazione, gli amici, er Brucia o er Buciardella, gli
imitatori - degli improbabili gessati, persino della gestualità delle mani che come badili nell'aria vagano: manco
fossero quelle di Von Karajan o di Zavattini - a scorno e a sberleffo denominati "li pecuri Dolly", come il povero
ovino per primo clonato. In un inestricabile suggestivo groviglio di ombre e di certezze, di ville e case, di yacht a
nome "My space 2", space abbondante si suppone, e la nota "vacanzona" in Costa Smeralda con la sua amica
Samantha con l'acca, "la campagna elettorale delle regionali mi aveva spossato e depresso, avevo bisogno di
una vacanzona" - appunto, vacanzona, e sembra di stare in un film con Umberto Smaila, "vitaaaaa
smeraldaaaaa, per fare un tuffo ho chiesto un mutuo in bancaaaaa / poi per la cena un bel finanziamentooooo..."
- cose così.
Ma rivendica pure altro, Fiorito che comprensibilmente un po' appassisce sotto gli ulivi dell'orto paesano: "Me
sento er Federale de Anagni...", così in questa spettacolare parata di facce e voci che di molto supera il vetriolo
delle più sbracate commedie all'italiana, fa capolino l'immagine di Ugo Tognazzi, impeccabile federale Arcovazzi quello che piegava le gambe e allargava le cosce, a maschio ritmo fascista e romano, un-duè!, un-duè!, un-duè!,
e sentendosi domandare se la pratica fosse dovuta a glorie militari, "cavalleria?", pronto e pratico replica, "no,
coglioni sudati" - e lo stato degli stessi del Fiorito per fortuna e per il momento non sono noti, ma certo risultano a
rischio di rapido peggioramento se l'ex ministra Meloni dovesse mettere in pratica l'ardente, non meno ginnico,
proposito: "Fuori dalle palle e calci sui denti".
Storia che più laziale non si potrebbe, che solo nel Lazio poteva avere questo sviluppo, questa fisiognomica,
questa stupefacente sospensione tra farsa e tragedia. Perciò è tutto un evocare ricottine e pajate, bucatini e
abbacchio, coratella e pecorino - ché questi di struttura e vaghezza onirica di venditori di pecorino hanno
immagine e sostanza, odor di cacio e roditoria predisposizione - peraltro essendo il pecorino nobilissimo
formaggio che alle fave meravigliosamente si accoppia, e se delle fave si dovesse far ora metafora meglio
sarebbe, se non tacere, decisamente allarmarsi.
E a guardare i comunicati ufficiali, si scopre vispo affollamento un giorno alla sagra del fagiolo e un altro a quella
della pastorizia, e sempre e in gran pompa istituzionale a quella del peperoncino. E i cronisti vanno, di
marciapiede in marciapiede, a batter cucine e saloni di ristoranti dove l'avvenuto assembramento - da cotica a
cotica, da valori a valori - pare avvenuto: persino a centinaia figurano, in posti dove più di quarantaquattro come i
gatti non ci stanno, a scovare ove, romanamente esemplificando, se scofanavano 'sto monno e quell'altro.
Quali bancarellari vocianti, pur con villone accreditato, adesso inevitabilmente unti risultano - a cacio e pepe e
disdoro marchiati, di miseria sempre e nemmeno un'ombra di nobiltà: a meste figure di servitù che il luogo
dell'antico nobile padronato hanno preso, per estinzione della razza primaria, ma nemmeno la figura del servo si
è salvata, del dignitoso servire che parecchi di loro hanno a lungo e onorabilmente praticato - non l'impeccabile e
sofferente maggiordomo di "Quel che resta del giorno", neppure le serve di Genet che mettono l'abito delle
padrone quando quelle non ci sono, ma gli stallieri, piuttosto, i maniscalchi, i vivandieri, i mozzi di bordo, coloro
che il pitale svuotavano, e che ora ostentano il pisciare matto e sconsiderato in mezzo alla pubblica via. Razza
politica dal senso della misura evanescente, da quello del ridicolo assente - e dallo stomaco tremebondo.
E ogni prebenda elevata a diritto: due macchine? mi spettano e me le piglio! quei soldi? mi spettano! la magnata?
cena di lavoro, mi spetta! il Suv da 88 mila euro? ne avevo, testuale, "un tremendo bisogno" - bisogno,
nientemeno: e forse diritto era, ma diritto malsano, storto seppur diritto, indigesto a tutti gli altri laddove quelli
benissimo digerivano. Ridicole satrapie personali schiantate sul bagnasciuga del Raccordo anulare, là dove si
erge il Palazzo del consiglio, somigliante più che mai, persino architettonicamente (roba che fu edificata dai preti),
ai centri outlet che stanno accosciati da quelle parti - a pizzo di strada campagnola, di ovini pascolanti, di
sperdutezze che sfiorano le statali.
Posto lontano dagli occhi, dal cuore figurarsi, stomaco al riparo, luogo dove lo sguardo solo distrattamente cade nonostante sollecitazioni tentatrici tipo quelle del presidente Abbruzzese (per le cronache: colui che guadagna
quasi come Obama), che "riceve una delegazione Ciociaria del Club Windor del Canada", opportunamente
"composta da Nazzareno Conte. membro del direttivo del Ciociaria Club e nativo di Broccostella, della consorte
Rosa Vani e del sindaco di Broccostella Sergio Cippitelli".
Poi, in quella sorta di Fortezza Bastiani dello sciupio e della vanagloria persa nel deserto dello sconfinamento
metropolitano - destinata a farsi costume perenne e ammonimento: come le porchette dei Castelli romani
immortalate da Gadda - un giorno si sono presentati, inattesi e sconosciuti, i temuti tartari: richiamati soprattutto
dallo stridio ululante delle voraci "piccole volpi" lì stipate. Di quanto sia la lontananza, quasi una toponomastica
che racconta di altra galassia, come di quei pianeti perduti e vagamente pensati, dicono bene le stesse accurate
indicazioni che sul sito della regione Lazio indicano come raggiungerla - una circumnavigazione omerica
(rieccoci!), un'esplorazione titanica, uno smisurato vagare.
Dunque, così si proceda, a Termini giunti, come qualunque viaggiatore: "Prendere la linea metro A (direzione
Battistini) per 10 fermate fino alla stazione Cornelia. Recarsi alla fermata C.ne Cornelia/Aurelia (100 metri) e
prendere la linea 889 (Mazzacurati) per 9 fermate o la linea 892 (Aldobrandeschi). Scendere alla fermata
Pisana/Sorbolonghi. Prendere la linea 808 (Eiffel) per 20 fermate.
Scendere alla fermata Pisana/Regione Lazio". E quanti temerari potevano azzardare una simile transumanza - se
non a recare, a certi, pecorino fresco o disperata protesta: di sfrattati, di disoccupati, di male impiegati - a volte,
chissà, semplici sfaccendati. Una piccola corte, con le sue ritualità svelate ridotte a operetta, paese dei tromboni e d'altro.
Sarà per sempre - sarà almeno per molto - la regione Lazio, mascariata dalle cronache ultime: di alcuni poveracci
che improvvisamente hanno trovato le chiavi della dispensa e l'hanno saccheggiata - i maccheroni in tasca, la
tarantella nella gambe, la fraschetta all'orizzonte, come ogni misero che crede di aver svoltato l'esistenza.
Tutto da smontare - come il tempio di cartapesta e i maiali e le ancelle bagnanti, il sospetto incancellabile di una
gigantesca burinata (er burino è maschera e saggezza della minuscola epica ciociara: da manico dell'aratro,
forse, dice l'incerta etimologia: e al salutare manico, a storia finita, molti andrebbero rapidamente riconvertiti). Col
fuoco (pur con ostriche crude) hanno scherzato.
E ora avvampano - e quasi pare di vedere un immaginario corteo degli scalcagnati che esce e sfila, come gli eroi
di certi kolossal, martirizzati e sputtanati, lungo via della Pisana, a rifare a ritroso il percorso sopra descritto, e a
piedi stavolta, e tutti intonare con un ultimo sussulto di orgoglio un evocativo, plebeo ma onestamente
rivendicativo, canto:
"La società dei magnaccioni / la società della gioventù / a noi ce piace de magna' e beve...". E chissà se
basteranno le risate ultime a chiudere la faccenda e il galoppare della fantasia - della crudele fantasia della gente,
diciamo, loro che sempre la gente mettono di mezzo. Cicerone - che era ciociaro, ma era pure Cicerone: per
piacere - a peccar di furbizia ci rimise la testa e, dicono, le mani. Meglio lasciar la prima - più delle giare anticate,
una volta svuotate, risuona. E soprattutto le mani: per poter tenere saldo il manico dell'aratro.