Ad una che mi ha detto di no

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Ad una che mi ha detto di no
“Puoi alzarti prima dell’alba
che la tua sfiga si è già alzata da un pezzo.”
Antico detto africano
“Non per dire ma a volte i vecchi rompono proprio il cazzo”
Ignoto
Ad una che mi ha detto di no di Totipo de Enpassant
Sette mesi fa, in un pomeriggio di insperato cazzeggio totale, entro per caso al self. Parlando di
minchiate con la mia amica, entrambi pezzatissimi, prendo delle candele all’oppio e ci dirigiamo
alla cassa; quasi senza accorgermene incontro lo sguardo della cassiera e, proprio senza capirlo,
assumo un’espressione estatica quasi cretina. Rimango immobile fino a quando noto la mia amica
e la sua faccia che muta mi domanda cosa cazzo stia facendo lì impalato; esco fuori, cammino
incerto e tento di riprendermi da una botta incredibile: minchia che gnocca.
Di lì a poco devo rinchiudermi a studiare per un mese in un paese sperduto, vado tutti i giorni per
cercare di beccarla ma niente, lei non c’è. Nelle numerose volte, onde evitare di passare per pazzo,
compro svariati oggetti tra cui una lampada; lascio le speranze per un mese e con esse più di
trenta euro. Mi informo, chiedo a tutti quelli che conosco ma nessuno sa chi è; diverse piste false
e nessuna novità; forse me la sono immaginata; considero seriamente di dedicarmi all’hacking ed
entrare nel database del self ma desisto dopo due ore inutili e frustranti. Passano i mesi, torno
dall’isolamento, torno al self. Manco a dirlo, niente. Elaboro possibili scenari che mi permettano di
massimizzare le possibilità di incontro, tutti a partire dall’unica informazione nota: lavora di
sabato. Ovviamente io il sabato devo sempre lavorare; magari non devo fare un cazzo né il
venerdì né la domenica ma il sabato, c’è da giurarci, sì. I piani sono così mirabilmente pensati che
non succede mai. Quasi mai. Effettivamente una volta succede, è il ventitrè dicembre. Per
festeggiare la vigilia mi dico: vado al self! Il periodo non è granché, il morale è basso e io entro in
quel luogo, che in sé e per sé odio profondamente, quasi senza speranza, quasi come un rito
rassegnato; e succede di nuovo. Arrivo alla cassa con la testa troppo impegnata a pensare quello
che vorrei che fosse invece che concentrata sulla realtà che è, ed eccola di nuovo. Cazzo questa è
una sorpresa insperata, dovrei giocarmela bene ma così su due piedi sono abbastanza una frana;
le butto lì se l’indomani saranno aperti, lei mi risponde che sì, anche la vigilia la faranno lavorare
fino alle otto. Le sorrido idiota mentre la saluto, senza chiederle niente, con dei vecchi di merda
che hanno una fretta del diavolo e si chiedono perchè io perda tanto tempo che loro hanno tanta
fretta che potrebbero anche andare fuori dalle palle, lei ricambia il saluto e mi sorride di cortesia.
E’ bella come me la ricordavo.
Poi il nulla. Vado ancora diverse volte, butto ancora degli euro, ci vado anche a comprare il regalo
di compleanno per mio fratello quindicenne, al self!, ma cascasse il mondo non c’è. Vivo nell’ansia
che possano averla licenziata. Self di merda.
Passano i mesi e quasi me ne dimentico, in più lavoro di brutto e non ho un singolo giorno libero.
Poi un sabato sera si fa serata, si ride e si scherza e ad un certo punto una tipa dalla memoria di
ferro mi chiede cosa ne sia stato di “quella del self”. Mi ritrovo stupito a ricordare quell’impegno
mai realizzato, confesso la mia dimenticanza e si cambia argomento.
Poi nel primo giorno libero da settimane mi dedico alla pulizia e al restauro della camera;
ovviamente saltano fuori mille cose da comprare ma fuori piove che manco a farlo apposta. Me ne
batto, faccio una rapida lista e prendo la moto; sulla lista ci sono cose che potrei trovare ovunque
ma al self ho più probabilità di trovare tutte insieme; e self sia. Alla commessa io manco ci penso,
quando entro mi faccio una battuta di scherno, guardo sulla sinistra, niente come al solito e
procedo. Prendo diverse cose e mi dirigo alla cassa quando bam, eccola! Evvai evvai evvai. Evvai.
Cosa le dico cosa le dico e il suo capo, mai visto eppure già odiato, la fa alzare e le manda a fare
chissà che cazzo. Sono in enpasse, aspetto che si liberi? Prima gira con una collega, poi si libera, è
fatta ora vado ma no, un signore sui centodiciassette anni circa mi precede di uno sputo e le
chiede aiuto per una lampada. Sono troppo distante per sentire ma desumo che il rincoglionito si
ricordi che gli piaceva una lampada di quelle esposte; purtroppo non si ricorda esattamente quale
ma se la tiente in mano la riconosce sicuro; le lampade esposte sono più di cinquanta. La ragazza
prende, apre, chiude e ripone scatole su scatole, io non so se essere più disperato per me o per lei.
Aspetto fermo per cinque minuti, guardo ogni cosa mi circonda, anche una stupidissima lampada
per neonati che costa niente meno che 34.95€. Un’affare. Il vecchio non demorde, sembra che
non possa uscirne senza o prenderne semplicemente un’altra, io comincio a girare per il self e
continuo, ritornando ogni volta al settore “Lampade e Vecchi Cacacazzo” e li trovo sempre
presenti, lampade e vegliardo; nel frattempo mi accerto che la scusa per attaccare bottone non mi
si ritorca contro, controllo due volte che la tela che voglio non sia troppo alta, di modo che non
possa dirmi che non ci arriva e magari mandarmi una collega.
Un animo perseverante non può però essere sconfitto e alla fine, forse impietosito, un dio fa tacere
il vecchio che si eclissa. L’occasione è questa, adesso o mai più. Taglio dietro uno scaffale e le
compaio davanti come per caso. L’idea che in quei trenta minuti lei possa avermi notato mi assale
all’improvviso, magari pensa che sia uno stalker, ma è tempo per l’azione non per le paturnie. Le
chiedo se mi può tagliare una delle tele decorate esposte, lei mi sorride e mi risponde di andare
pure, una sua collega mi raggiungerà al più presto. Fuori sembro normale ma dentro esplodo. Mi
dirigo come zombie verso quel cazzo di angolo, domandandomi senza sosta come si possa essere
così auntenticamente sfigati; si vede che non è destino, mi dico. Senonché lei mi vede e forse mi
vede sconsolato oppure non sò, fattostà che viene, taglia la tela e me la porge assieme allo
scontrino; mi sorride, mi chiede se è tutto. Ora, ora ora! Le chiedo se le vada una birra con me. Mi
dice che è impegnata. Non dice purtroppo. Io dico mi spiace. Non è la migliore delle uscite.
Se non altro, mi hai regalato questa avventura e, per ringraziarti, la voglio condividere con te. In
bocca al lupo per tutto.
S.
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