orientare l`orientamento
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23 Studi e ricerche Studi e ricerche Temi&Strumenti Temi&Strumenti 23 I ISBN 978-88-543-0025-5 9 Unione europea Fondo sociale europeo ORIENTARE L’ORIENTAMENTO POLITICHE AZIONI E STRUMENTI PER UN SISTEMA DI QUALITÀ l concetto di orientamento in chiave sistemica inteso come azione “globale” in grado di facilitare il processo di conoscenza del soggetto all’interno di una cultura condivisa, costituisce attualmente un tema trasversale alle attuali policy nazionali e comunitarie nonché strumento per le politiche attive del lavoro all’interno di uno scenario sociale ed economico che fa da sfondo al Convegno Nazionale Isfol “Orientare l’orientamento. Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità“, giunto alla sua seconda edizione, promosso dall’Area Politiche per l’orientamento – di cui è Responsabile Anna Grimaldi – e sostenuto dal Ministero del Lavoro. Il Convegno Isfol, ha costituito l’appuntamento per un confronto tra tutti coloro che operano nel settore della formazione e dell’orientamento – università, enti di ricerca nazionali ed internazionali, ministeri, enti territoriali pubblici e privati, scuole, centri di formazione, centri per l’impiego, per favorire da un lato la conoscenza e l’integrazione delle esperienze e dall’altro lo sviluppo di un sistema di qualità. Nel tentativo di organizzare l’esistente in una mappa concettuale ed operativa condivisibile tra i diversi attori coinvolti e di rispondere all’obiettivo di monitorare e realizzare sinergie con le strutture territoriali in risposta alle esigenze delle diverse tipologie di utenze, l’Area Politiche per l’orientamento, ha previsto quattro macro aree di attività – i modelli, il cliente, gli strumenti e le pratiche, i professionisti e le organizzazioni. Il Convegno Isfol, inteso come momento di dibattito e di condivisione, ha permesso di arricchire ed ampliare il panorama concettuale ed operativo presente nel nostro paese sulle tematiche precedenti per favorirne lo scambio e la condivisione a livello nazionale e comunitario. ORIENTARE L’ORIENTAMENTO POLITICHE AZIONI E STRUMENTI PER UN SISTEMA DI QUALITÀ 788854 300255 Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori Temi&Strumenti Studi e ricerche 23 ISBN 978-88-543-0025-5 L’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, è stato istituito con D.P.R. n. 478 del 30 giugno 1973, e riconosciuto Ente di ricerca con Decreto legislativo n. 419 del 29 ottobre 1999; ha sede in Roma ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. L’Istituto opera in base al nuovo Statuto approvato con D.P.C.M. del 19 marzo 2003 ed al nuovo assetto organizzativo approvato con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 12 del 6.10.2004. Svolge attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, informazione e valutazione nel campo della formazione, delle politiche sociali e del lavoro, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione, al miglioramento delle risorse umane, all’inclusione sociale ed allo sviluppo locale. Fornisce consulenza tecnico-scientifica al Ministero del Lavoro e delle Previdenza Sociale e ad altri Ministeri, alle Regioni, Province autonome e agli Enti locali, alle Istituzioni nazionali pubbliche e private. Svolge incarichi che gli vengono attribuiti dal Parlamento e fa parte del Sistema statistico nazionale. Svolge anche il ruolo di struttura di assistenza tecnica per le azioni di sistema del Fondo sociale europeo, è Agenzia Nazionale LLP–Programma settoriale Leonardo da Vinci, Centro Nazionale Europass, Struttura nazionale di supporto all’iniziativa comunitaria Equal. Presidente Sergio Trevisanato Direttore Generale Giovanni Principe La collana “Temi&Strumenti” – articolata in Studi e Ricerche, Percorsi, Politiche comunitarie – presenta i risultati delle attività di ricerca dell’Isfol sui temi di competenza istituzionale, al fine di diffondere le conoscenze, sviluppare il dibattito, contribuire all’innovazione e alla qualificazione dei sistemi di riferimento. La collana “Temi&Strumenti” è curata da Isabella Pitoni, responsabile Ufficio Comunicazione Istituzionale Isfol. 2007 – ISFOL Via G. B. Morgagni, 33 00161 Roma Tel. 06445901 http://www.isfol.it ISFOL ORIENTARE L’ORIENTAMENTO POLITICHE AZIONI E STRUMENTI PER UN SISTEMA DI QUALITÀ ISFOL EDITORE Il volume raccoglie gli Atti del Convegno Nazionale “Orientare l’orientamento. Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità” tenutosi a Roma nei giorni 5 e 6 dicembre 2005 presso l’Auditorium del “M. Massimo”. Il gruppo di lavoro che ha realizzato il Convegno è stato così articolato: Comitato Scientifico – A. Grimaldi, A. Capone, F. Avallone, A. Messeri, M.L. Pombeni, G. Sarchielli, G. Tanucci; Segreteria Scientifica – M. Amendola, A. Del Cimmuto, A. Laudadio, G. Montalbano, R. Porcelli; Segreteria Organizzativa – G. Guerriero, A. Barruffi, K. Becherelli, D. Cavarra, F. Franchi, S. Ferrari, C. Lolli, A. Maiorano, S. Marciano; Ufficio Stampa – M.R. Colella. Il volume è a cura di Anna Grimaldi, Keiri Becherelli e Stefania Ferrari. Coordinamento editoriale della collana “Temi & Strumenti”: Piero Buccione e Aurelia Tirelli. Con la collaborazione di: Paola Piras. 4 Di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio. Bertold Brecht 5 INDICE pag. Introduzione di Anna Grimaldi 11 Cap. 1 Saluti istituzionali 1.1 L’orientamento lungo l’arco della vita – Sviluppi a livello europeo di Massimo Gaudina, Commissione EuropeaRappresentanza in Italia 1.2 Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità. Orientare l’orientamento verso nuove diagnosi e nuove azioni di politica occupazionale di Vera Marincioni, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale - Direttore Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione 27 Cap. 2 L’orientamento nella società della conoscenza 2.1 “Transizione”: concetto centrale dell’orientamento oggi?, di Jean Guichard 2.2 Nuovi significati e funzioni dell’orientamento: alcune questioni fondanti, di Anna Grimaldi Cap. 3 L’orientamento tra Scuola, Università e lavoro 3.1 L’orientamento tra Scuola, Università e lavoro: spunti di riflessione, di Andrea Messeri 3.2 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico, di Santo Di Nuovo 3.3 “A scuola mi oriento”: una pratica di orientamento, di Angela Barruffi 3.4 Progetti “ Ponte” di orientamento attivo tra scuola e Università in Lombardia, di Cristina Castelli, Rita Bramante, Diego Boerchi 3.5 Orientamento e disorientamento tra insegnanti e allievi, di Silvano del Lungo 27 30 35 35 49 57 57 64 71 77 84 7 INDICE 3.6 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare”, di Sergio Bettini 96 Cap. 4 Orientamento: esperienze a confronto 4.1 Il progetto SIOG per i COL di Benevento, di Nazzareno Orlando 4.2 L’esperienza del Centro Risorse Europeo, di Andrea Rocchi 4.3 L’esperienza del Centro Risorse Regionale per l’orientamento in Friuli Venezia Giulia, di Piero Vattovani 4.4 L’esperienza dell’Agenzia del Lavoro di Trento, di Mauro Ghirotti 4.5 L’esperienza dell’ARMAL per l’orientamento: il caso ”PassoallaPratica” Isfol, di Elena Gregori 4.6 La pratica orientativa di CORA, di Amelia Andreasi 4.7 Il sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma, di Anna Crisà 4.8 L’esperienza della Cooperativa Informa: progetto “Start up- La scuola orienta il futuro”, di Roberta Rizzi L’esperienza dell’IRFAP in materia di orientamento, di Piera Di Stefano 105 106 109 Cap. 5 Modelli, pratiche e strumenti per l’orientamento 5.1 Modelli, pratiche e strumenti per l’orientamento: spunti di riflessione, di Francesco Avallone 5.2 La rilevazione e la convergenza dei costrutti fondamentali nell’orientamento, di Klement Poláček 5.3 Quando orientare è difficile: strategie, strumenti e spunti per gli interventi, di Salvatore Soresi 5.4 “Io di fronte alle situazioni di lavoro”: uno strumento per le strategie di coping, di Giuseppa Montalbano 5.5 “Se capitasse a me”: uno strumento Isfol sugli stili di attribuzione causale, di Chiara Ghislieri 5.6 Dimensioni della valutazione: criteri per la costruzione di uno strumento, di Claudio Bezzi 5.7 Val.Ori: uno strumento per la valutazione della consulenza orientativa, di Rita Porcelli 5.8 Pensareilfuturo: una pratica in gruppo per la costruzione del proprio progetto personale, di Marco Amendola 5.9 PassoallaPratica: un percorso di consulenza orientativa, di Andrea Laudadio 5.10 Verso un modello di orientamento per il settore agroalimentare, di Massimo Ferraro 5.11 Il monitoraggio e la valutazione dei servizi di orientamento: il modello Metide, di Domenico Paparella 171 8 113 120 125 137 141 149 158 171 175 182 200 206 217 226 236 245 263 277 INDICE Cap. 6 Bilancio & competenze. Verso un modello per i servizi territoriali 6.1 Bilancio & competenze. Verso un modello per i servizi territoriali: spunti di riflessione, di Anna Grimaldi 6.2 Sviluppo consapevole delle competenze e riflessività nella learning economy: spunti per i servizi per l’orientamento, di Massimo Tomassini 6.3 Apprendimento e trasferimento di competenze professionali, di Michele Pellerey 6.4 Bi.dicomp. Un percorso Isfol di Bilancio di competenze, di Alessia Rossi 6.5 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di Province e Regioni, di Paolo Serreri 6.6 Il bilancio di competenze nelle Politiche del lavoro, di Claudio Oliva 6.7 Il ruolo della Sede orientativa nel bilancio di competenze, di Silvana Rasello 6.8 Bilancio di competenze e stili decisionali in un campione di insegnanti di scuola superiore, di Annamaria Di Fabio e Laura Busoni 6.9 “Bilancio di competenze e approccio autobiografico-narrativo”, di Carla Ruffini Professione Orientamento. Ruoli, funzioni e organizzazioni 7.1 Professione Orientamento. Ruoli, funzioni e organizzazioni: spunti di riflessione, di Giancarlo Tanucci 7.2 Processi e procedure di interventi professionali e certificazione delle competenze degli “orientatori”, di Giorgio Sangiorgi 7.3 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimento nell’arco di vita, di Alida Lo Coco, Salvatore Intorrella 7.4 Dai profili professionali alle configurazioni organizzative: quattro anni di ricerche Isfol, di Andrea Laudadio 7.5 Percorsi di formazione per i professionisti dell’orientamento, di Giovanni Sprini e Alessandro Lo Presti 7.6 I professionisti dell’orientamento nella Regione Lazio, di Antonella Tarantino 7.7 Competenze comunicative tra i professionisti dell’orientamento, di Filippo Petruccelli e Ernesto Lodi 7.8 Il lavoro in rete: competenze professionali ed esigenze di formazione, di Marta Consolini 289 289 294 305 324 332 345 355 359 371 Cap. 7 375 375 381 391 402 413 425 432 445 9 Cap. 8 Orientamento e Formazione. Prossimità e discontinuità 8.1 Orientamento e Formazione. Prossimità e discontinuità: spunti di riflessione, di Guido Sarchielli 8.2 Le metacompetenze tra orientamento e formazione, di Claudia Montedoro, Dunia Pepe e Francesca Serra 8.3 Orientamento ed adulti: un concetto in progress tra transizioni e lifelong learning, di Aureliana Alberici 8.4 Orientamento e Formazione: reciprocità vs. autoreferenzialità, di Angelo Del Cimmuto 8.5 L’Empowerment per l’orientamento e la formazione, di Donata Francescato 8.6 Il contributo di Leonardo, di Francesca Trani 8.7 L’orientamento narrativo, di Federico Batini 8.8 Orientamento: i luoghi della formazione, di Alfredo Tamborlini 10 453 453 471 483 491 498 503 509 523 INTRODUZIONE di Anna Grimaldi1 Il Convegno Nazionale ISFOL “Orientare l’orientamento. Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità”, giunto alla sua seconda edizione, promosso dall’Area Politiche per l’orientamento e sostenuto dal Ministero del Lavoro, è l’appuntamento per un confronto tra tutti coloro che operano nel settore della formazione e dell’orientamento. Raccordo, integrazione, innovazione: queste le linee guida che hanno sostenuto l’organizzazione e la realizzazione del convegno. Lo scenario: verso un sistema di orientamento Il Convegno si inserisce in uno scenario sociale ed economico in cui da più parti viene invocata la necessità di pervenire a una rilettura della funzione dell’orientamento in chiave sistemica e ad una cultura condivisa che accompagni questo cambiamento. Si tratta in altri termini di promuovere una politica di orientamento, in stretto raccordo con le politiche formative e le politiche del lavoro, per valorizzare le esperienze prodotte e gli sforzi di innovazione messi in campo a più livelli e di prefigurare un’azione di governance per lo sviluppo di un sistema di qualità. Diversamente dal passato, in cui le pratiche di intervento professionale erano declinate in ragione di un’utenza sostanzialmente giovanile, oggi l’orientamento accompagna in modo sistematico ogni fase della vita dell’individuo per sostenerlo in una costante ridefinizione del profilo di competenze e professionalità. È necessario pertanto che i diversi contesti (scuola, università, formazione, servizi per il lavoro) lavorino in sinergia per la costruzione e realizzazione di un integrato ed ef1 Responsabile dell’Area Politiche per l’Orientamento dell’Isfol. 11 INTRODUZIONE ficace servizio di orientamento. Nell’ambito della società della conoscenza e del Life Long Learning, che ne costituisce il logico corollario, l’orientamento è divenuto uno dei temi trasversali alle policy nazionali e comunitarie che trovano nell’ambito dell’istruzione, della formazione e del lavoro le variabili indipendenti per la costruzione di assetti istituzionali stabili ed improntati allo sviluppo della cittadinanza dei propri membri. L’enfasi posta alle attività di orientamento trova la sua giustificazione nella trasversalità del fenomeno e nelle implicazioni positive che l’orientamento, inteso come strumento per le politiche attive del lavoro, può determinare sulla qualità dell’intero sistema. A tale proposito va sottolineato che il processo di socializzazione adulta e i percorsi di carriera di ogni individuo sono sempre più caratterizzati da mobilità, cambiamenti e deviazioni. È importante pertanto saper gestire e governare tali cambiamenti riorganizzando, in maniera consapevole, il proprio progetto formativo-professionale ogni volta che il contesto lo richieda senza con questo perdere la propria identità personale, sociale e professionale. Si amplia, quindi, l’utenza dell’orientamento: non più soltanto i giovani ma adulti in diverse condizioni di vita professionale (disoccupati, in mobilità, in cerca o in cambiamento di occupazione, ecc.). Quest’evoluzione nella tipologia e nella quantità dei potenziali target cui mirano gli interventi a finalità orientativa ha certamente differenziato (o richiede di farlo) l’offerta delle azioni e dei servizi disponibili: bilancio di competenze, coaching, mentoring, tutoring sono alcune delle pratiche con funzioni orientanti, maggiormente diffuse negli altri paesi, e in forte crescita anche nel nostro. In linea con le riflessioni sin qui proposte e, soprattutto, con le indicazioni elaborate fin dalla presentazione del Memorandum (in particolare in relazione alle priorità da tenere in considerazione nell’erogazione dei servizi di orientamento da parte delle strutture pubbliche e private: accessibilità e innovatività dei servizi; l’équipe e la rete; la qualità dei servizi; la formazione e le competenze dell’operatore), l’ISFOL, partendo dall’analisi dell’esistente e con il coinvolgimento di molti organismi nazionali ed europei, ha nel corso degli ultimi anni fornito un significativo contributo relativamente alla progettazione, sperimentazione e validazione di strumenti, percorsi e modalità di intervento volte allo sviluppo di un modello integrato di orientamento che potesse dare una risposta ai fabbisogni del sistema e di coloro che lo costituiscono (operatori, utenti, decisori). Con la finalità di contribuire a creare sistema, la concezione di orientamento che sottende e sostiene il lavoro Isfol, considera il fenomeno azione a carattere “globale” in grado di attivare e facilitare il processo di conoscenza del soggetto. In questo senso orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé, della realtà occupazionale, sociale ed economica per poter effettua12 INTRODUZIONE re scelte consapevoli, autonome, efficaci e congruenti con il contesto (Grimaldi, 2003a). Un’azione, con finalità maturativa, che deve facilitare la capacità ad auto-orientarsi definibile come: “ una consulenza di processo volta a facilitare la conoscenza di sé, delle proprie rappresentazioni sul contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, sulle strategie messe in atto per relazionarsi ed intervenire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e di sostenere le scelte relative”2. La necessità che emerge con forza è quella di compiere uno sforzo per superare la fase di sperimentazione e di passare a quella della sedimentazione delle pratiche sperimentate e realizzate e alla costruzione di un impianto dal forte carattere sistemico. Il passaggio è quindi dalle pratiche alla realizzazione di un integrato ed efficace servizio di orientamento. Se le attività di orientamento vanno erogate sotto forma di servizio rivolto ad una vasta platea di utenti, allora esso deve agire secondo presupposti concettuali, logiche, modalità, tempi e strutture organizzative diverse rispetto a quelle che fino ad oggi ne hanno contraddistinto le azioni. In primo luogo il servizio deve possedere una sua “dinamicità propositiva”, nel senso che dovrà cercare di raggiungere le persone e anticipare il bisogno, svolgendo così una funzione prevalentemente sociale. Cambierà anche il ruolo dei professionisti che verranno ad avere una funzione strategica soprattutto nel facilitare l’avvicinamento dell’utente al percorso di orientamento e nel proporsi come agenti di cambiamento sia individuale sia sociale, fornendo un servizio impostato su più piani: da quello di base o di 1° livello, dal carattere informativo e di accoglienza, a quello di 2° livello, specialistico e consulenziale. È necessario quindi superare l’eterogeneità dei linguaggi, trovare degli elementi condivisi che, pur nel rispetto delle diversità culturali, facilitino i rapporti tra committenti, operatori ed utenti e rendano più agevole il confronto tra le esperienze, per pervenire ad una cultura professionale comune che faciliti la costruzione di un “sistema” dell’orientamento connotato da un disegno unitario ed integrato dei processi in vista di una possibile e condivisa regolazione dei soggetti e delle pratiche che lo caratterizzano; in questa direzione è altrettanto utile elaborare una pista di lavoro per il miglioramento qualitativo di quanto viene realizzato ed ero- 2 La definizione di orientamento proposta tiene conto di una serie di studi comparativi sull’argomento. 13 INTRODUZIONE gato. Nell’ottica della definizione e della messa a punto di strumentazioni innovative (sperimentate e validate) e di modalità efficaci d’azione (tra cui percorsi innovativi rivolti a target di utenza diversificati e che tengano conto delle differenti domande di orientamento), nonché di nuove figure professionali adeguatamente formate che favoriscano la costruzione di un sistema nazionale, l’Isfol, partendo dall’analisi delle esperienze e pratiche realizzate nei diversi contesti (Grimaldi, Avallone, 2005), che si ponevano l’obiettivo di rendere leggibile e fruibile il patrimonio di esperienze e di raccolte bibliografiche e strumentali nazionali ed internazionali esistenti, ha sviluppato un’azione di guida e di supporto alle istituzioni attraverso l’elaborazione di un contributo originale ed innovativo ai soggetti che predispongono e decidono le azioni orientative, a quelli che le erogano nei diversi contesti di appartenenza – centri per l’impiego, servizi di orientamento pubblici e privati, istituzioni scolastiche – ed a coloro che ne sono i destinatari. Tali azioni vogliono raggiungere il macro/meta obiettivo della creazione/implementazione di un sistema territoriale e decentrato di orientamento che sia, però, integrato con le sue articolazioni e le filiere che lo caratterizzano. In particolare, per poter dare un incisivo contributo al sistema nel suo complesso, nell’ottica del superamento della situazione di frammentazione che ancora oggi è possibile rilevare, almeno relativamente ai modelli di riferimento che sottendono e sostengono buona parte delle azioni di orientamento, nonché delle difficoltà, sostenuta dagli stessi operatori, di un completo monitoraggio degli utenti e della loro domanda, si è proceduto coinvolgendo nelle diverse attività di ricerca avviate sia gli ambienti scientifici sia gli ambienti istituzionali sia quelli operativi. Alla base di tale scelta vi è la convinzione che solo uscendo dalle singole realtà e creando prima una cultura e poi una rete nazionale di riferimento, che sia luogo di dialogo aperto e costruttivo e di scambio di pratiche ed esperienze, si possa arrivare ad un modello integrato e condiviso da quanti a diverso titolo operano nel settore. Se, quindi, la molteplicità delle iniziative costituisce senza dubbio un fertile terreno su cui fondare un sistema per l’orientamento integrato e globale, è necessario che pratiche e servizi siano ancorati a solidi e stabili modelli di riferimento, ad obiettivi espliciti e condivisi, ad una attenta e permanente lettura ed analisi della domanda, a strumenti validi e attendibili, a modelli di competenze e professionalità degli operatori chiaramente definiti, a strutture ed attrezzature comode ed agevoli. Allo stato attuale dei fatti occorre pertanto ri-pensare, ri-ordinare, riprogettare, ri-definire obiettivi, metodologie, pratiche, competenze dei professionisti e soprattutto, in un’ottica di sistema, occorre monitorare tutto l’esistente e organizzarlo in una mappa concettuale ed operativa 14 INTRODUZIONE condivisa tra i diversi attori che congiuntamente devono adoperarsi per far funzionare il sistema orientamento. Monitorare questi fenomeni e realizzare opportune sinergie con le strutture territoriali, che solo di recente hanno visto la luce e che non sono ancora attrezzate in modo ottimale per poter rispondere alle mutate esigenze del sistema, per poter pervenire ad una modellizzazione di processi e prodotti e rispondere alle nuove esigenze di una utenza molto più ampia e con caratteristiche differenziate, è l’obiettivo che l’Area Politiche per l’orientamento dell’Isfol intende perseguire. Nel tentativo di rispondere a tale obiettivo, all’interno dell’Area sono state concepite quattro macro-aree di attività (i modelli, il cliente, gli strumenti e le pratiche, i professionisti e le organizzazioni) ognuna delle quali può essere tradotta in un obiettivo generale e declinata in una serie di interventi prioritari. Modelli culturali La prima – i modelli – è finalizzata allo sviluppo di validi e attendibili modelli concettuali di riferimento chiari negli obiettivi e nelle metodologie, che si avvalgano di strumenti adeguati su cui ancorare le pratiche di orientamento. La constatazione che il momento attuale sia caratterizzato da un forte espandersi delle attività di orientamento, a cui però non corrisponde sempre un solido ancoraggio teorico-concettuale ad un modello di riferimento, rende prioritaria la riflessione e l’approfondimento sugli aspetti culturali. In linea con le recenti indicazioni internazionali sull’argomento, la preferenza è per il modello socio-cognitivo ed in particolare per l’approccio cognitivista-costruzionista i cui presupposti culturali fondamentali si fondano sull’analisi dei processi di attribuzione di significato che i soggetti – in quanto attori entro un tessuto di relazioni – sviluppano relativamente all’ambiente esterno ed al proprio ruolo. La prospettiva culturale su cui è ancorato il lavoro dell’Isfol pone il focus del processo sulla relazione tra soggetto e contesto di riferimento (Grimaldi, 2003b). In altri termini, l’interesse è verso lo studio di tutte quelle dimensioni che sostengono la comprensione delle rappresentazioni che l’individuo formula e ri-formula continuamente sul proprio contesto di riferimento e sulle strategie che la persona mette in atto per analizzare e relazionarsi con tali realtà contestuali. In tale prospettiva, conoscersi, conoscere le proprie risorse interne ed esterne riconoscendone il valore ma anche i limiti, in relazione alla realtà sociale, culturale e professionale, diventa un compito orientativo ed educativo di primaria importanza. In questo senso alcune dimensioni come il coping, gli stili di attribu15 INTRODUZIONE zione, gli orientamenti motivazionali, gli stili decisionali, in quanto dimensione di confine tra il sé e il mondo esterno, acquistano sempre più rilevanza nell’orientamento nella misura in cui si pongono come variabili significative di conoscenza di sé e degli altri, dinamiche e variabili, complesse e multidimensionali, influenzate da un intreccio complesso di fattori cognitivi, emotivi e contestuali (Grimaldi, Ghislieri, 2004). Sempre nell’ambito dei modelli una direzione intrapresa è verso un approfondimento sui legami e le intercorrelazioni tra i diversi sistemi ed in particolare tra auto-formazione, formazione e orientamento. I mondi organizzativi e il mondo delle professioni sono al centro di un processo di cambiamento che pone nuovi e complessi interrogativi ai sistemi formativi e di orientamento (Guichard, Huteau, 2001). Lo scenario attuale sembra essere contraddistinto da alcuni elementi chiave individuabili nella sempre più crescente attenzione sul soggetto che apprende lungo tutto l’arco della vita, in un approccio metodologico che recupera e valorizza l’esperienza individuale al fine di potenziare le competenze personali, favorire un’autonoma progettazione del proprio percorso tanto professionale quanto personale e contribuire alla definizione di una concezione del formatore più articolata e complessa. Già in alcune definizioni di formazione e orientamento emerge un parallelismo, a livello di principi, tra l’autoformazione intesa come autoeducazione e l’orientamento finalizzato all’auto-orientamento. Entrambi i sistemi, concorrono, poi, in maniera significativa, proprio perché entrambi facilitano l’autoconsapevolezza del soggetto e muovono verso l’autonomia, alla costruzione di un processo di sviluppo in cui ogni singolo individuo è inevitabilmente collocato (Grimaldi, Quaglino, 2005). Il cliente: bisogno e domanda La convinzione della necessità di partire dal bisogno dell’utenza ha sostenuto l’articolazione e la strutturazione del secondo filone di attività: il cliente. Uno dei requisiti fondamentali per definire un percorso di orientamento “significativo” ed “incisivo” è senza dubbio, infatti, la congruenza con la domanda dell’utente. Un’operazione sistemica e sinergica non può, quindi, non occuparsi dell’utenza, delle sue caratteristiche e dei bisogni espressi ed inespressi. Va detto a questo proposito che l’attenzione della ricerca psicologico-sociale si è rivolta più spesso ad esplorare l’offerta di orientamento, nei diversi contesti, piuttosto che a rilevare e ad analizzare la domanda degli utenti. Si ricava l’impressione che l’utente sia stato, nella pratica, spesso “oggettivato”, deprivato dei dati personali ed esperenziali e considerato, pertanto, un mero soggetto 16 INTRODUZIONE fruitore di interventi. Ma a fronte di questa situazione di fatto, lo scenario concettuale e culturale sottolinea la necessità di considerare centrale l’utente con la sua storia ed i suoi percorsi di progettualità personale e professionale. Alcune indagini Isfol (Grimaldi, 2002a) evidenziano che la domanda di orientamento, non sempre coincidente con il bisogno, è complessa, diversificata, andando da una semplice richiesta di informazioni ad una più complessa richiesta di aiuto e sostegno alla scelta, e spesso non esplicita. Accanto a tali risultati, il dato relativo alla percezione di tale complessità da parte degli operatori, non sostenuta però dalla capacità di discriminare adeguatamente tra le diverse esigenze e dalla consapevolezza su come intervenire, rende urgente l’approfondimento relativamente all’universo “utenza”, agli interessi, alle preferenze, agli atteggiamenti, ai valori e ai significati che questi attribuisce al lavoro. A questo proposito una consolidata tradizione di ricerca considera i valori lavorativi come un insieme di costrutti correlati a motivazioni, interessi, preferenze e credenze, che delineano la direzione del comportamento di un individuo e del processo di costruzione dell’identità sociale e professionale. La comprensione dei meccanismi cognitivi, secondo cui le diverse dimensioni si intrecciano e interagiscono, costituisce un’importante premessa per l’analisi della domanda di orientamento e per la progettazione e realizzazione degli interventi, consentendo così una migliore integrazione tra domanda e offerta di orientamento. È necessaria, pertanto, una lettura attenta della domanda e delle sue caratteristiche e direzioni che sia in grado di mettere in relazione continua e costante il bisogno con il contesto di appartenenza. Gli strumenti e le pratiche Il terzo asse – gli strumenti e le pratiche - intende sviluppare un modello per le azioni di orientamento in relazione ai diversi contesti di riferimento e alla diversa domanda degli utenti che valorizzi le attuali esperienze di eccellenza e che possa essere condiviso e sperimentato su scala nazionale. Anche qui quindi lo sforzo va nella direzione di favorire una cultura comune ed integrata, che possa portare ad una modellizzazione di percorsi in rapporto alle diverse tipologie di utenti. È in questa direzione che l’Isfol ha avviato, in continuità con le attività degli anni precedenti, una serie di azioni, volte da un lato alla messa a punto di strumenti validati e standardizzati (sulle strategie di coping, sugli stili di attribuzione causale, sui valori, sul vissuto emotivo, ecc.) e dall’altro alla realizzazione di “percorsi tipo” diversificati per tipologie di destinatari, a loro volta sperimentati e “testati” sul campo. Entrambe le attività sono 17 INTRODUZIONE state realizzate coinvolgendo - dalla fase di progettazione a quella di campo - i diversi contesti organizzativi (regioni, province, comuni, strutture pubbliche e private) che di orientamento si occupano rappresentando, questa scelta, il primo passo per l’attivazione di una rete tra le strutture coinvolte. Uno dei principali risultati ottenuti nello svolgimento delle diverse ricerche è stato quello di aver reso tangibile l’utilità della rete tra le strutture, le quali hanno potuto constatare la praticabilità, la pertinenza ed il valore aggiunto di queste pratiche: sono infatti diverse le esperienze di tavoli di concertazione regionale, nati per la realizzazione operativa di una sperimentazione, che si sono trasformati in tavoli ufficiali di coordinamento regionale, in cui gli operatori hanno potuto sperimentare il frutto di un processo di lavoro sinergico all’interno di un contesto operativo molto complesso, quale è quello delle strutture che di orientamento si occupano. Lo sforzo è stato quindi quello di arrivare ad un sistema di riferimento comune di azioni e pratiche orientative. Se, infatti, allo stato attuale c’è condivisione di opinioni sulla concezione di orientamento lifelong, non altrettanto lo è la declinazione delle specifiche pratiche. Così il significato e le procedure metodologiche spesso sono, anche all’interno della stessa funzione, molto eterogenee. A fronte di tale disparità l’esigenza avvertita dai professionisti dell’orientamento e sottolineata di recente dalla stessa EVTA-EQ (European Vocational Training Association) è un sistema di riferimento di attività comuni, indispensabile per arrivare ad un sistema di qualità, pur naturalmente, nel rispetto delle specifiche realtà territoriali, nonché delle difficoltà di standardizzazione delle specifiche azioni. Con l’obiettivo di creare sistema, in linea di continuità con gli assunti culturali e le strategie di sviluppo e approfondimento maturate dall’Isfol in questi ultimi anni in tema di orientamento, a seguito dei vari lavori di rassegna e sistematizzazione concettuale-teorica su modelli, strumenti ed esperienze nel settore orientamento (Grimaldi, 2002b), si sta procedendo, su un versante più innovativo e in un’ottica di rete sistemica, alla messa a punto di strumenti e percorsi originali ed innovativi da inserire nell’ambito dei servizi di consulenza orientativa specialistica, per arricchire il panorama dell’agire orientativo di iniziative, concettualmente fondate, basate su un approccio relazionale e personalizzato, congruenti con il bisogno e la domanda reale. A tal fine, consapevoli della complessità dei processi di scelta scolastica e professionale, si è concepito un percorso integrato di consulenza orientativa, “PassoallaPratica”, rivolto ai giovani che terminano gli studi e che si trovano a decidere se intraprendere un percorso formativo e/o lavorativo e di quale tipo (Grimaldi, Rossi, 2005). Allo stesso modo, consapevoli, della necessità di intervenire precocemente, anche per prevenire ed arginare la dispersione, è stato conce18 INTRODUZIONE pito un percorso di orientamento “A scuola mi oriento”(Grimaldi, Barruffi, Porcelli, 2005) da realizzare in ambito scolastico ad opera degli stessi insegnanti, definendone destinatari, obiettivi, contenuti, metodologia e strumenti. La conoscenza di una pluralità di bisogni che spesso convergono, soprattutto per quanto riguarda un target di soggetti adulti, nella domanda di un supporto alla definizione o ri-definizione di un progetto personale e professionale, capace di individuare nuove aree di competenza, necessarie per convivere ed adattarsi ad ambienti mutevoli e competitivi, ha sostenuto il lavoro di messa a punto di due diverse azioni: – un percorso di consulenza orientativa di gruppo, per soggetti adulti, “Pensareilfuturo” (Grimaldi, Avallone, 2005), progettato con l’intento di facilitare un pensiero progettuale e quindi finalizzato all’esplorazione, attraverso il gruppo, di tutte quelle dimensioni che possono sostenere il soggetto nel passaggio da un futuro impensabile ad un futuro progettuale al fine di ricostruire la propria storia di vita; di individuare le capacità personali e professionali possedute e quelle da incrementare e sviluppare; di definire il progetto professionale e le azioni concrete per realizzarlo; – un percorso di bilancio di competenze per soggetti adulti “Bi.diComp.” (Grimaldi, Rossi, Montalbano, 2005), originale nell’articolazione e negli strumenti, da poter essere realizzato nei servizi territoriali, sull’intero territorio nazionale. L’approfondimento verso tale tematica è sostenuta sia dall’interesse crescente che tale metodologia continua a sollevare nel nostro paese, sia per il bisogno diffuso che i servizi per l’impiego registrano sul tema dell’analisi delle competenze. Quattro le linee guida fondamentali trasversali alla messa a punto dei percorsi: 1. la convinzione della necessità di integrazione tra i diversi sistemi; 2. l’ancoraggio delle pratiche a solidi e validi modelli concettuali; 3. l’utilizzo di strumenti standardizzati e validati; 4. la necessità di concepire percorsi specialistici realizzabili all’interno dei servizi territoriali con le risorse disponibili, i vincoli organizzativi esistenti e la mission dei diversi sistemi. Tutti i percorsi sono stati sperimentati negli ambienti operativi reali, sul territorio nazionale, con la collaborazione dei professionisti impiegati negli enti e nelle strutture territoriali nella convinzione che, attraverso la realizzazione di partnership tra ambienti di ricerca ed ambienti operativi, la disseminazione della pratica e la sua diffusione contribuiscano, a livello teorico-concettuale, in una logica di lavoro integrato, al consolidamento di una cultura comune, a livello tecnico-operativo ad arricchire l’offerta di percorsi di consulenza orientativa per soggetti giovani e adul19 INTRODUZIONE ti che devono affrontare una qualche transizione formativo-lavorativa; a livello politico-culturale ad integrare domanda e offerta di orientamento. Accanto a tale attività di ricerca si sta mettendo a punto un modello di valutazione delle pratiche consulenziali che ne consenta un controllo periodico, per accrescere l’efficacia dell’agire orientativo, favorire un rapporto sinergico tra istruzione, formazione professionale e lavoro, e tra ciascuno di essi, e adeguare l’organizzazione, il contenuto e le metodologie in funzione dell’evoluzione della situazione economica e sociale nonché dei fabbisogni dei gruppi specifici di utenti e delle expertise necessarie. I professionisti dell’orientamento e le organizzazioni La quarta macro area di attività si riferisce ai professionisti dell’orientamento e alle organizzazioni di appartenenza. Qui l’obiettivo è sviluppare modelli di competenze e di standard formativi che siano condivisibili a livello nazionale. La mancanza di chiari punti di riferimento e di una regolamentazione a proposito dei profili professionali dedicati costituisce la ragione principale dell’attuale frammentarietà. Le figure preposte alle attività d’orientamento sono le più svariate e per nomenclatura e per titolo di studio (Grimaldi, 2003c). Spesso quindi sono professionalità differenti, a volte provenienti da settori completamente diversi, con competenze diverse, che devono adattarsi a ruoli e organizzazioni poco chiari negli obiettivi e nelle pratiche (Grimaldi, Laudadio, 2004). Individuare un profilo professionale e formativo chiaro e congruente con il servizio, che contribuisca alla formulazione della professione, è uno degli obiettivi dell’Area politiche per l’orientamento dell’Isfol. A questo proposito l’Isfol ha elaborato una proposta (Grimaldi, 2003b) con l’intento di fornire un contributo alla definizione di possibili profili professionali che si riferiscono a figure dedicate presenti nei diversi contesti organizzativi (scuola, università, formazione professionale, servizi per il lavoro, sportelli di informazione e orientamento) che con finalità diverse erogano azioni di sostegno al processo di auto-orientamento della persona lungo tutto l’arco della vita. Tenendo conto della pluralità di tipologie di azioni orientative attualmente messe in campo da diversi soggetti e della peculiarità dei sistemi di riferimento del processo orientativo (scuola, formazione e lavoro), si è preferito scartare la proposta di una figura unitaria di orientatore. Di contro, sono state identificate quattro funzioni principali – informazione, accompagnamento, consulenza e coordinamento tra i diversi servizi – a cui potrebbero corrispondere quattro diversi profili dedicati all’orientamento. Quattro le ma20 INTRODUZIONE cro aree di competenza che caratterizzano i quattro profili: • Competenza comunicativo-relazionale con i soggetti esterni ed interni all’organizzazione. Tale area di competenza fa capo a tutti quei compiti di natura gestionale e può essere declinata nella competenza a mettere in rete; la competenza a creare un clima di collaborazione sia all’interno dell’organizzazione nella quale si opera, sia con i soggetti esterni con i quali si interagisce. Comprende quindi la competenza a coordinare un gruppo, a gestire conflitti, a negoziare, nonché la capacità di ascolto e la capacità di comunicare. • Competenza di lettura del contesto e di progettazione delle attività di orientamento. Questa seconda macro-area di competenza fa riferimento a tutti quei compiti che sono di sostegno all’individuo, di monitoraggio, di tutorato di alcuni specifici percorsi, e quindi la competenza di lettura attenta e dettagliata del contesto di riferimento, degli obiettivi, della cultura organizzativa per poter rilevare caratteristiche e tendenze rilevanti per le attività di orientamento. Comprende pertanto la competenza a definire obiettivi e procedure di intervento per specifiche esigenze e per specifiche popolazioni di utenti, nonché protocolli e parametri di qualità, efficienza ed efficacia dell’azione orientativa e la competenza a progettare percorsi di orientamento anche di carattere innovativo con metodologie sia di tipo tradizionale sia di natura multimediale e telematica. • Competenze sui processi di analisi dei problemi, di apprendimento, di progettualità individuale. Quest’area di competenza caratterizza tutti quei compiti più specialistici di consulenza alla persona e che fanno riferimento alla relazione di aiuto. Sono quindi competenze comunicativo-relazionali specialistiche; competenza ad intervenire sull’individuo e sul gruppo relativamente ai processi di analisi della realtà, di scelta, di definizione ed elaborazione dei percorsi formativi e professionali futuri, di analisi dell’efficacia individuale; competenza a gestire i processi di apprendimento individuale e di gruppo; competenza a leggere e trattare la complessità culturale e soggettiva di singoli e gruppi; competenze nell’utilizzo di strumenti specialistici. • Competenze giuridiche, amministrative e informatiche. Quest’ultimo cluster di competenza caratterizza un’area più trasversale di compiti e contenuti professionali che consente di elaborare e realizzare un intervento congruente con la normativa e con i piani finanziari. Sono quindi anche competenze relative al controllo di gestione delle attività realizzate e competenze informatiche per la gestione/amministrazione delle attività. La proposta è stata concepita partendo da alcuni presupposti cultu21 INTRODUZIONE rali che costituiscono i cardini che qualificano il modello: • la differenziazione tra le professionalità in relazione a compiti, funzioni, responsabilità e organizzazioni; • l’assenza di una gerarchia strutturata tra le diverse funzioni/profili. L’assunzione di un rapporto di relazione gerarchica verticale fra le stesse sarebbe inopportuno: si tratta, infatti, di ruoli e funzioni che con finalità diverse concorrono a sostenere il processo di auto-orientamento di diverse tipologie di utenti. Di contro bisognerebbe promuovere una cultura volta all’integrazione di funzioni e compiti e quindi al raccordo e al dialogo tra i diversi ruoli professionali; • la non necessaria ed univoca corrispondenza tra funzioni e profili. È possibile infatti che in alcuni servizi siano erogate solo alcune funzioni e quindi siano presenti solo alcune figure professionali come del resto è possibile che in alcuni contesti organizzativi una stessa figura professionale possa svolgere più di una funzione. La proposta, che rappresenta un chiaro esempio dell’impegno verso la costruzione di un sistema, costituisce la base per l’allestimento di un dispositivo formativo a carattere continuo, in grado di ricomporre eventuali crediti formativi e acquisizioni professionali o esperienziali in un sistema di competenze equilibrato, che tenga conto delle specificità territoriali e/o organizzative nonchè dei contenuti e dei compiti professionali. La definizione di profili professionali dedicati determina, infatti, da un lato il riconoscimento delle competenze degli operatori già in servizio, dall’altro la definizione di standard formativi (Grimaldi, Del Cimmuto, 2005) finalizzati sia al completamento della professionalità dei lavoratori non immediatamente certificabili sia per i nuovi ingressi nel settore. Sempre relativamente all’asse dei professionisti e le organizzazioni di appartenenza, è prevista l’attenzione alla professionalità del formatore che si trova, alla luce delle recenti riforme, a dover svolgere un ruolo per il quale non è adeguatamente formato e ad organizzare un servizio su cui numerose sono ancora le problematiche aperte. A questo proposito un’attività di ricerca condotta su tale figura professionale con l’obiettivo di indagare se ed in quale misura essi percepiscono e leggono la domanda e il bisogno di orientamento dei loro studenti e, più in generale, la loro concezione dell’orientamento e delle modalità di intervento all’interno del sistema formativo, evidenzia, a fronte di un marcato interesse verso l’argomento, una forte necessità di rivedere la propria professionalità e formazione. In particolare dai risultati dell’indagine emerge che sebbene esista la percezione del problema e la richiesta di essere formati per affrontarlo, spesso non si è in grado di distinguere tra le diverse esigenze e i diversi bisogni dei propri allievi. Quanto alle modalità di intervento si sottolinea il ruolo di un’attività orientativa dia22 INTRODUZIONE cronica rivolta allo studente, da svilupparsi nel corso dell’insegnamento attraverso modalità didattiche a valenza orientativa: vale a dire un’attività atta a portare l’attenzione dell’allievo sulla relazione di scambio, sui comportamenti, sulle emozioni, la consapevolezza e il governo di sé, le interconnessioni disciplinari e anche ordinata per seguire e indirizzare passo dopo passo lo svilupparsi e l’orientarsi dello studente. Il convegno e la sua articolazione L’obiettivo trasversale alle quattro macro-aree di attività è identificato nella rete e va nella direzione di implementare, in un’ottica di sistema allargato, i rapporti con le diverse realtà nazionali ed europee particolarmente significative, onde arricchire ed ampliare il panorama concettuale ed operativo del nostro paese. Abbiamo così attivato una serie di collaborazioni e sperimentazioni con organismi sia nazionali sia europei. In questo senso l’appuntamento di dicembre ne costituisce una evidente testimonianza. Il convegno si è posto l’obiettivo di sollecitare il dibattito e la riflessione sulle tematiche precedentemente passate in rassegna per favorirne lo scambio e la condivisione. Le sessioni di lavoro che si sono articolate nelle due giornate hanno compreso due plenarie – una in apertura e una in chiusura dei lavori – e sei sessioni parallele: – L’orientamento nella società della conoscenza - plenaria in apertura il giorno 5 dicembre (coordinata da Anna Grimaldi, ISFOL) con l’obiettivo di pervenire a una rilettura della funzione e dei significati dell’orientamento in chiave sistemica ancorata a validi e consolidati modelli culturali. – Orientamento: esperienze a confronto - sessione parallela il giorno 5 (coordinata da Maria Luisa Pombeni, Università di Bologna) con l’obiettivo di rendere leggibile e fruibile il patrimonio di esperienze esistenti a livello nazionale. – Modelli, pratiche e strumenti - sessione parallela il giorno 5 (coordinata da Francesco Avallone, Università La Sapienza di Roma) con l’obiettivo di favorire una cultura comune ed integrata, che possa portare ad una modellizzazione di percorsi in rapporto alle diverse tipologie di utenti. – L’orientamento tra scuola, università e lavoro - sessione parallela il giorno 5 (coordinata da Andrea Messeri, Università di Siena) per sottolineare che la costruzione e realizzazione di un integrato ed efficace servizio di orientamento è subordinata alla necessità di un lavoro sinergico tra i diversi contesti (scuola, università, formazione, servizi per il lavoro). 23 INTRODUZIONE – Orientamento e formazione. Prossimità e discontinuità - sessione parallela il giorno 6 (coordinata da Guido Sarchielli, Università di Bologna) per stimolare la riflessione concettuale verso i legami e le intercorrelazioni ma anche le differenze e i confini tra i sistemi della formazione e dell’orientamento. – Bilancio e competenze. Verso un modello per i servizi territoriali sessione parallela il giorno 6 (coordinata da Anna Grimaldi, ISFOL) nel tentativo di identificare un percorso di bilancio di competenze italiano, originale nell’articolazione e negli strumenti, da poter essere realizzato nei servizi territoriali, sull’intero territorio nazionale. – Professione orientamento. Ruoli, funzioni e organizzazioni - sessione parallela il giorno 6 (coordinata da Giancarlo Tanucci, Università di Bari) con l’obiettivo di stimolare il dibattito e l’approfondimento su possibili modelli di competenze e di standard formativi per i professionisti dell’orientamento che siano condivisibili a livello nazionale. – Orientare l’orientamento - plenaria in conclusione il giorno 6 dove i coordinatori delle diverse sessioni hanno riportato una sintesi critica di quanto emerso (coordinata da Anna Grimaldi, ISFOL) per ri-pensare, ri-ordinare, ri-progettare, ri-definire obiettivi, metodologie, pratiche, competenze dei professionisti nel tentativo di organizzare l’esistente in una mappa concettuale ed operativa condivisibile tra i diversi attori che congiuntamente devono adoperarsi per far funzionare il sistema orientamento. Tale sintesi, in questo volume, è riportata in apertura alla sessione parallela di riferimento. Accanto alle testimonianze ISFOL, nelle varie sessioni, sono state presenti tutte le istituzioni che si occupano di orientamento – università, enti di ricerca nazionali ed internazionali, ministeri, enti territoriali pubblici e privati, scuole, centri di formazione, centri per l’impiego – per favorire da un lato la conoscenza e l’integrazione delle esperienze e dall’altro lo sviluppo di un sistema di qualità. Durante i lavori sono stati attivi dei laboratori dove sono stati presentati materiali, volumi e strumenti messi a punto negli ultimi anni all’interno dell’Area “Politiche per l’orientamento”. Ulteriori interventi sono stati tenuti da: Direzioni Generali del Ministero del Lavoro, Assessorati Regionali al lavoro e alla formazione, Coordinamento delle Regioni, Fondazione CRUI. Il presente volume raccoglie gli atti del convegno, organizzati in 7 diversi capitoli, il primo riporta i contributi della prima sessione plenaria, i successivi 6 riportano i contributi delle 6 sessioni parallele, precedute, ognuna, da una sintesi critica ad opera del coordinatore. 24 INTRODUZIONE Riferimenti bibliografici Grimaldi, A. (a cura di) (2002a). Analisi della domanda di orientamento: i bisogni emergenti di giovani allievi italiani. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2002b). Modelli e strumenti a confronto: una rassegna sull’orientamento. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2003a). Profili professionali per l’orientamento: la proposta Isfol. FrancoAngeli, Milano Grimaldi, A. (a cura di) (2003b). Orientare l’orientamento. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2003c). I professionisti dell’orientamento. Informazione, produzione di conoscenza e modelli culturali. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Avallone, F. (a cura di) (2005). Pensareilfuturo una pratica di orientamento in gruppo. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A., Barruffi, A., Porcelli R. (2005). A scuola mi oriento: un percorso di orientamento Isfol per la scuola. Magellano. Rivista per l’orientamento. Vol. 27, pp. 56-59. Grimaldi, A., Del Cimmuto, A. (a cura di) (2005). Funzioni, competenze, profili e percorsi formativi nell’orientamento. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A., Laudadio, A. (a cura di) (2004). Orient@mento. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Ghislieri, C. (2004). Io di fronte alle situazioni. Uno strumento Isfol per l’orientamento. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Quaglino G.P. (a cura di) (2005). Tra orientamento e autoorientamento tra formazione e auto-formazione. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A., Rossi, A. (a cura di) (2005). PassoallaPratica. Una pratica Isfol di consulenza orientativa. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A., Rossi A., Montalbano G. (2005). Un nuovo percorso di bilancio di competenze: Bi.diComp. Osservatorio Isfol, 5, pp 119-135. Guichard, J., Huteau, M. (2003). Psicologia dell’orientamento professionale. Tr.it. Raffaello Cortina Editore, Milano. 25 CAPITOLO 1 SALUTI ISTITUZIONALI 1.1 L’ORIENTAMENTO LUNGO L’ARCO DELLA VITA – SVILUPPI A LIVELLO EUROPEO di Massimo Gaudina1 La definizione dell’agenda di Lisbona, cioè della strategia per la crescita e l’occupazione in Europa, ha dato un nuovo impeto alla riflessione e alla cooperazione sul tema dell’orientamento a livello europeo. In effetti, l’orientamento, in quanto anello di congiunzione delle politiche dell’istruzione, della formazione e dell’occupazione, è un elemento fondamentale di un’economia fondata sulla conoscenza. Il Memorandum sull’apprendimento permanente (2000) e la successiva Comunicazione (2001) hanno identificato l’orientamento lungo l’arco della vita (permanente) come uno degli elementi indispensabili ad un sistema di apprendimento permanente (life long learning). In effetti, in passato, il passaggio dal mondo dell’istruzione e della formazione a quello del lavoro era un evento unico nell’esistenza delle persone, che accadeva quando i giovani lasciavano la scuola o l’università per trovare un lavoro, eventualmente dopo aver seguito uno o più periodi di formazione professionale. Oggi, può succedere a chiunque di aver bisogno di informazioni e consigli sulla “strada da prendere” in diversi momenti della nostra vita e in maniera pressoché imprevedibile. Il cambiamento diventa parte integrante della pianificazione e dell’attuazione permanente di un progetto di vita. In tale contesto, è necessario adottare un nuovo metodo che preveda l’orientamento come un servizio accessibi1 Commissione europea, Rappresentanza in Italia. 27 CAPITOLO I L’orientamento lungo l’arco della vita – sviluppi a livello europeo le a tutti in ogni momento della vita in cui ce ne sia bisogno, senza più distinguere tra orientamento scolastico, professionale e personale. L’orientamento permanente è quindi confluito al cuore del programma di lavoro “Istruzione e Formazione 2010” (definito nel 2002), un processo di coordinamento dei sistemi di istruzione e formazione nazionali volto al raggiungimento di obiettivi comuni (metodo aperto di coordinamento). Nel 2002, in seguito all’adozione della Comunicazione, è stato creato un gruppo di esperti sull’orientamento permanente. Tale gruppo ha lavorato alla definizione di tre importanti strumenti di riferimento dei sistemi di orientamento permanente: - principi comuni; - criteri di qualità comuni; - caratteristiche chiave (key features), che dovrebbero essere usati dagli Stati membri per verificare la qualità e migliorare l’offerta di orientamento esistente, in modo da garantire che i cittadini dei diversi Paesi europei possano beneficiare di servizi comparabili tra un Paese e l’altro. Una guida per l’utilizzo di tali strumenti è stata pubblicata dal CEDEFOP nel 2005 e si può richiedere al CEDEFOP. Nel maggio 2004, il Consiglio ha adottato una Risoluzione sull’orientamento permanente, nella quale si chiede agli Stati membri di garantire il coordinamento e la cooperazione efficaci tra i prestatori di servizi di orientamento scolastico e professionale, a livello nazionale, regionale e locale, per migliorare l’accesso all’orientamento e la sua coerenza. Si chiede anche di incoraggiare le scuole e gli istituti di insegnamento superiore e di formazione professionale a promuovere tecniche autonome e consapevoli di apprendimento, al fine di mettere i giovani e gli adulti in grado di gestire personalmente ed efficacemente l’apprendimento e la scelta professionale. La Commissione e gli Stati membri sono invitati ad identificare, di concerto con tutte le parti interessate, i settori nei quali un sostegno europeo potrebbe facilitare il miglioramento dell’orientamento permanente; a far sì che gli esperti del settore integrino nei programmi di orientamento le pratiche ritenute valide a livello europeo; a prendere in considerazione le politiche di orientamento nelle future relazioni di seguito del programma “Istruzione e Formazione 2010”. Nel novembre 2006 la presidenza finlandese organizzerà una conferenza in cui sarà richiesto agli Stati membri di presentare un rapporto sulla messa in atto della Risoluzione. Parallelamente, la Commissione ha collaborato con altre organizzazioni internazionali (l’OCSE e la Banca Mondiale) sul confronto delle politiche per l’orientamento permanente che vengono attuate negli Stati membri. Al fine di portare avanti e di assicurare il maggiore impatto pos28 SALUTI ISTITUZIONALI sibile ai risultati di questo lavoro, è stato creato ad hoc un “Centro Internazionale per l’orientamento professionale e la politica pubblica” presso il CEDEFOP a Bruxelles, con il contributo della Commissione, dell’OCSE, della Banca Mondiale, e il sostegno specifico di alcune nazioni (Australia, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Irlanda, UK). Per il futuro, occorre quindi costruire sul lavoro condotto fin ad ora e continuare a confrontarsi con la realtà europea per migliorare i servizi a disposizione dei cittadini. Vorrei inoltre ricordare che, a partire dal 2007, sarà operativo un nuovo programma europeo che integrerà gli attuali Socrates e Leonardo da Vinci. La proposta della Commissione, in linea con la strategia di Lisbona, è quella di rafforzare considerevolmente gli interventi nel settore dell’istruzione e della formazione professionale. Ci auguriamo dunque che, al termine dell’iter attualmente in corso, il futuro programma possa effettivamente contribuire allo sviluppo della dimensione europea di queste discipline e di conseguenza anche dell’orientamento. Come nota conclusiva, congratulazioni all’ISFOL per l’organizzazione del convegno e per aver preso l’iniziativa di tradurre in italiano il Manuale per i decisori politici sull’orientamento. È una pubblicazione congiunta della Commissione e dell’OCSE che offre ai decisori politici strumenti concreti per sviluppare i sistemi esistenti, e che quindi può offrire un contributo prezioso al dibattito odierno. 29 L’orientamento lungo l’arco della vita – sviluppi a livello europeo CAPITOLO I 1.2 POLITICHE, AZIONI E STRUMENTI PER UN SISTEMA DI QUALITÀ ORIENTARE L’ORIENTAMENTO VERSO NUOVE DIAGNOSI E NUOVE AZIONI DI POLITICA OCCUPAZIONALE di Vera Marincioni1 Lo scenario e il problema L’apertura di questo convegno mi consente di salutare tutti gli operatori impegnati nel raggiungimento di un obiettivo comune: elevare la qualità dei servizi di orientamento. Orientare l’Orientamento, argomento di queste due giornate di lavoro, indica perfettamente la strada che dobbiamo percorrere per affrontare efficacemente le trasformazioni che caratterizzano il cambiamento del mondo produttivo e quello dell’organizzazione del mercato del lavoro e della formazione. L’orientamento, così come vedremo, rappresenta il terreno su cui costruire ed elaborare nuove strategie d’azione, tese al miglioramento dei sistemi di istruzione e formazione professionale, nonché allo sviluppo di professionalità più coerenti con le diverse esigenze del mercato europeo, nazionale e regionale. Gli indirizzi politici maturati a livello comunitario (quelli dell’OCSE e dell’Unione Europea) e gli obiettivi nazionali emergenti dal Quadro Strategico Nazionale (QSN) sono tesi a fornire linee di azione mirate a sviluppare più efficaci politiche attive per l’occupazione e ad assicurare attività di orientamento a supporto dei processi di lifelong learning. Dunque, sia il piano d’intervento comunitario, sia quello nazionale chiariscono come il buon esito della transizione verso un’economia ed una società basate sulla conoscenza, si realizzi attraverso politiche di orientamento e di formazione permanente che costituiscano la vera chiave d’accesso e di permanenza in un mercato del lavoro in continua trasformazione. Le sfide che l’Italia e le sue regioni si trovano ad affrontare sono in gran parte comuni a tutta l’Europa e riguardano: • l’intensificazione della competizione globale; • l’invecchiamento della popolazione; • il ritardo nella capacità d’innovazione; • la disoccupazione di genere; • la persistenza dei divari territoriali. 1 Direttore Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione - Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. 30 SALUTI ISTITUZIONALI Questo scenario richiama la centralità del ruolo svolto dal capitale umano, per sviluppare una migliore occupabilità ed una società più inclusiva. Tra queste politiche, l’orientamento si connota in prima istanza come fattore centrale per lo sviluppo della persona. La necessità di compiere scelte di vita coerenti, e di sostenerle con un progetto personale e professionale che sia continuamente verificato e riposizionato in rapporto alle contingenze territoriali e lavorative, costituisce la nuova finalità dell’orientamento. Una nuova diagnosi d’intervento Tale finalità si può più efficacemente raggiungere se i processi di orientamento sono ancorati allo sviluppo di una nuova capacità di diagnosi d’intervento sulle criticità del mercato del lavoro. Ad esempio, i dati forniti dall’Istat sulla rilevazione delle forze lavoro nel 2004 ci fanno riflettere sul nuovo fenomeno costituito dalle percentuali di crescita degli occupati sopra i 55 anni d’età presenti nel nostro paese (circa 60 mila unità all’anno nel periodo 2000-2004). Tali percentuali ci mettono di fronte ad una grande sfida: elaborare nuovi strumenti e nuove metodologie a favore di questi target dell’orientamento. E sempre a partire dall’analisi del contesto socio-economico, si evidenzia la necessità di contribuire alla diminuzione dello squilibrio di genere, dimostrato dalla bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro (i dati Istat ci dicono che abbiamo un 45,2 % di donne attive contro un 69,7% degli uomini). Infine è necessario intervenire sugli squilibri territoriali che vedono ancora troppo marcate le differenze di sviluppo tra regioni del centro-nord e quelle del Mezzogiorno del Paese. In considerazione dello scenario delineato, l’orientamento non è solo l’elemento strategico per promuovere l’azione di coordinamento delle politiche formative con quelle lavorative. Esso è anche lo strumento in grado di conciliare fra le esigenze di professionalità più elevate nei soggetti e nelle organizzazioni, con la flessibilità dei sistemi di formazione e del lavoro oggi in continua trasformazione. L’orientamento acquista, dunque, un’importanza cruciale nella realizzazione della piena occupazione, nel miglioramento della produttività e della qualità del lavoro, e nel rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociale. In tal senso l’orientamento è complementare all’attuazione degli obiettivi di Lisbona e della Strategia Europea dell’Occupazione (SEO). Il cambiamento delle funzioni e della domanda di orientamento, co31 Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità Orientare l’Orientamento verso nuove diagnosi e nuove azioni di politica occupazionale CAPITOLO I Una nuova diagnosi d’intervento sì come l’ampliamento dei target, richiede lo sviluppo di nuovi dispositivi di intervento orientati alle esigenze della persona. Si afferma una concezione che, come sottolineano gli studi ISFOL, ridimensiona la funzione informativa dell’orientamento a favore di una concezione più attenta ai bisogni degli adulti al lavoro e sul lavoro. Un orientamento così caratterizzato è reso necessario dalle esigenze dei nuovi pubblici e dai bisogni delle organizzazioni e dei sistemi formativi (adolescenti interessati alla scelta di un percorso di formazione scolastica e/o professionale, giovani in cerca di prima occupazione, lavoratori in mobilità, disabili ecc.). In questo senso le scelte, l’autovalutazione, il riconoscimento delle competenze acquisite, la capacità di raccolta, decodifica e gestione delle informazioni, le competenze progettuali, necessitano di un orientamento sia di tipo cognitivo che formativo. Non più solo orientamento come strumento finalizzato ad indirizzare il giovane nel momento delle scelte fondamentali (scuola, facoltà universitaria, corso di formazione e settore professionale), ma strumento che accompagna la transizione formativa e lavorativa di ciascun individuo, favorendone il relativo processo di conoscenza di sé (in termini di attitudini professionali, motivazioni e aspirazioni), anche sul lavoro. Le azioni della Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione Altri relatori ci illustreranno in maniera più approfondita le teorie e le nuove pratiche di orientamento. A me preme sottolineare come l’impegno del Ministero del Welfare e in particolare della Direzione Generale che io rappresento, è diretto a sostenere politiche e strategie di intervento tese a fare sistema fra i diversi soggetti pubblici e privati che operano nel settore. La Direzione Generale è impegnata a promuovere e sostenere: • progetti sistematici di informazione e comunicazione rivolti sia all’utenza finale che agli operatori dell’orientamento professionale; • strategie per la disseminazione di pratiche formative e per l’integrazione tra politiche attive del lavoro, delle professioni e del mercato del lavoro, ecc.; • azioni per la realizzazione di un sistema permanente di orientamento nella dimensione del Lifelong Learning; • attività di monitoraggio sulla qualità dei servizi di orientamento pubblici e privati; • elaborazione e diffusione di nuovi strumenti e metodologie d’intervento. 32 SALUTI ISTITUZIONALI Ognuna di queste linee di attività è pensata come nodo essenziale di una più ampia “rete di servizi” che integra l’azione tra soggetti ed istituzioni pubbliche e private, le cui sinergie devono sostenere uno sviluppo locale equilibrato, e un orientamento formativo volto a favorire e facilitare la competitività attraverso la formazione di competenze altamente qualificate e spendibili nel mercato del lavoro. L’impegno del Ministero del Welfare è dunque teso a sostenere azioni di sistema che connotano i processi di orientamento al lavoro e sul lavoro, nell’ottica del Lifelong Learning. In questo scenario si deve collocare l’iniziativa della Direzione Generale del Ministero che rappresento, volta a favorire la nascita e l’apertura di una Scuola per Orientatori presso la sede ISFOL di Benevento. Si tratta, quindi, di incentivare il territorio e i sistemi formativi a dotarsi di metodologie, strumenti innovativi e di competenze chiave utili ad accrescere la capacità di scelta dell’individuo nelle frequenti transizioni che permeano la società in cui tutti noi viviamo. È mia intenzione continuare ad operare secondo una strategia globale tesa ad aggregare, sperimentare e monitorare i dispositivi, le azioni e le pratiche professionali sviluppate, in coerenza sempre maggiore con i bisogni espressi dalla popolazione e dalle organizzazioni sociali e produttive. Auguro a tutti buon lavoro affinché l’orientamento ci orienti ancora verso azioni sempre più concrete e vicine ai bisogni reali del nostro territorio. 33 Le azioni della Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione CAPITOLO 2 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA SESSIONE PLENARIA 2.1 «TRANSIZIONE»: CONCETTO CENTRALE DELL’ORIENTAMENTO OGGI? di Jean Guichard1 Introduzione: i problemi di orientamento sono problemi sociali L’orientamento tratta problemi di natura sociale che si riallacciano ad alcuni quesiti formulati all’interno di una determinata società. Le pratiche professionali della consulenza all’orientamento si sono sviluppate nei Paesi industrializzati all’inizio del XX° secolo, quando lo sviluppo delle tecniche di produzione («la rivoluzione industriale»), la trasformazione dell’agricoltura (con «l’esodo rurale») e l’aumento delle popolazioni migratorie fecero emergere un problema inesistente (o soltanto marginale) nelle società rurali: verso quale mestiere orientarsi? Quando questi problemi si pongono all’interno di determinate società, essi hanno l’impronta delle rappresentazioni collettive - delle convinzioni proprie di questi contesti. Pertanto, come ha formulato Norbert Elias, e come ha osservato Geert Hofstede (1991), le società industrializzate contemporanee – quindi le nostre società – sono «società degli individui». Ci attendiamo che ogni individuo prenda in carico se stesso ed i suoi diretti familiari. Riteniamo ogni individuo responsabile di ciò che fa di se stesso. Non siamo all’interno di società nelle quali, come ha scritto Hosfstede (1991, pag. 51) «l’individuo è inserito fin dalla nascita in gruppi di appartenenza profondamente integrati che lo tutelano per tutta la 1 Docente di Psicologia presso l’INETOP (Istituto Nazionale di Studi del Lavoro e dell’Orientamento Professionale) di Parigi. 35 CAPITOLO 2 «Transizione»: concetto centrale dell’orientamento oggi? vita in cambio di una lealtà incrollabile». Tutto ciò ha una conseguenza in quanto incide sulla formulazione dei problemi di orientamento: nelle nostre società contemporanee, il problema dell’orientamento è il problema di un individuo che si interroga su ciò che deve fare della propria vita. Non è il problema di una comunità che si chiede cosa potrebbero fare per lei l’uno o l’altro dei suoi membri. Un’altra convinzione condivisa caratterizza il nostro modo di formulare i problemi di orientamento: percepiamo il futuro come incertezza - ha rilevato per esempio, Jacqueline Palmade in un lavoro pubblicato nel 2003. L’autrice osserva che circa due terzi dei francesi intervistati nel corso di un sondaggio consideravano incerto il proprio futuro lavorativo. Essi ritenevano inoltre che questa incertezza relativa all’occupazione era destinata ad aumentare. Jacqueline Palmade ricorda che si tratta di una rappresentazione coerente con la situazione reale osservata dagli esperti di Bruxelles - un forte sviluppo del numero di posti di lavoro precari. Questa incertezza non tocca soltanto l’occupazione. Le nostre società si presentano come «società del rischio» - ha osservato Ulrich Beck (1986), nel suo libro dallo stesso titolo. Tuttavia, il futuro non è percepito soltanto come incerto, ma anche come portatore di minacce. In alcuni casi, è motivo di angoscia. I problemi di orientamento ai quali deve far fronte l’individuo delle nostre società contemporanee sono quindi i problemi di un individuo incerto che sa di dover prendere decisioni che impegneranno la propria esistenza, ma che non ha alcuna certezza del futuro. Di conseguenza, durante il XX° secolo, il modo in cui le nostre società hanno formulato i problemi di orientamento è stato apparentemente guidato da due ordini principali di fattori: – da un lato, le forme di organizzazione del lavoro e le «regole» di distribuzione dell’occupazione, – e, dall’altro, le modalità di istruzione e di formazione dei giovani (e degli adulti). Sotto l’influenza di questi fattori, più avanti, nel corso del XX° secolo, sono stati formulati cinque grandi problemi di orientamento. Illustrerò questi concetti separatamente prima di trattare il concetto di «transizione» che costituisce il nucleo stesso dei più recenti problemi sociali di orientamento. Il valore pregnante assunto attualmente da questo concetto di transizione ci induce a riformulare, a re-interpretare, alla luce del nuovo concetto, i problemi di orientamento emersi in precedenza ai quali verrà conferito un senso nuovo. Per concludere, evidenzierò che, al di là delle loro diversità, i differenti problemi di orientamento rinviano ad un unico quesito fondamentale del quale non si può ignorare la dimensione etica. 36 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA All’inizio della mia relazione, vorrei approfondire le riflessioni dei sociologi Alain Touraine (1955) e Claude Dubar (1996), che hanno mostrato il legame tra «forme di organizzazione del lavoro» e «concezioni della qualificazione professionale». A mio avviso, è possibile completare la loro analisi dimostrando l’esistenza di un legame tra ciascuno di questi concetti di qualificazione ed un determinato problema sociale di orientamento. Del resto, la globalizzazione dell’economia e del lavoro ha fatto emergere un nuovo quesito connesso con lo sviluppo del lavoro precario. L’orientamento come impegno in un mestiere o in una professione Quando le pratiche della consulenza all’orientamento cominciarono a consolidarsi come pratiche professionali, precisamente negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, eccetera, all’inizio del XX° secolo, la forma di organizzazione del lavoro dominante era il sistema professionale del lavoro. Si tratta di un modo di produzione vicino all’artigianato che richiede al lavoratore «abilità manuale» e «mestiere». Il lavoratore possiede un capitale di conoscenze e di know-how collegato al suo essere: è un meccanico, un falegname, un avvocato o un medico. Il mestiere costituisce quindi uno dei principali elementi dell’identità individuale: la qualificazione è legata all’individuo ed il lavoratore che cambia occupazione, non perde la sua qualificazione, come non perde la sua identità professionale. L’acquisizione della qualifica professionale presuppone un apprendimento metodico, generalmente lungo e quindi costoso (per l’individuo e per la società). Di conseguenza, è opportuno evitare il fallimento e stabilire «una volta per tutte» quale mestiere un individuo dovrebbe esercitare per tutta la vita. In questo contesto, il problema sociale di orientamento che ogni individuo deve affrontare può essere enunciato nel modo seguente: «Come trovare l’attività professionale che meglio mi si addice e, ancor prima, l’apprendistato nel quale ho possibilità di riuscire?». L’orientamento come inserimento in un contesto professionale In numerosi settori produttivi la nozione di «mestiere» ed il concetto di qualificazione sono stati rimessi in discussione dalla catena di montaggio e dalla linea di produzione - due invenzioni di Henry Ford che si è ispirato a Frederick Winslow Taylor. 37 «Transizione»: concetto centrale dell’orientamento oggi? CAPITOLO 2 L’orientamento come inserimento in un contesto professionale In questa organizzazione del lavoro – il film di Charlie Chaplin «Tempi moderni» ce ne fornisce un’immagine – la maggior parte degli agenti della produzione non hanno alcun mestiere. La nozione fondamentale non è più quella di «mestiere», ma quella di occupazione (job). La qualificazione assume un significato diverso. Non è più «legata» all’operaio, ma è riferita al posto di lavoro (Dubar, 1996, pag. 182): la qualificazione del posto di lavoro è precisata sulla base delle specifiche tecniche dei macchinari (è un lavoro disagiato? È un lavoro complesso?). In questo sistema di lavoro, l’operaio è un «operatore» e la sua formazione si svolge rapidamente sul posto di lavoro (Dubar, 1998, pag. 166). L’operaio non può più identificarsi a partire da un mestiere che lo definirebbe in modo essenziale. Se cambia lavoro, la sua qualificazione può essere rimessa in discussione. In questa organizzazione, l’identificazione principale è quella che collega l’individuo al suo collettivo di lavoro - una vera e propria «comunità professionale» con un proprio linguaggio e con proprie norme informali. Pertanto, il problema sociale di orientamento non è più prevedere se l’individuo sarà in grado di apprendere l’uno o l’altro mestiere, ma se sarà in grado di adattarsi alle condizioni di lavoro e di riconoscersi nel suo collettivo di produzione. Occorre stabilire se condivide già (o se è in grado di condividere) le rappresentazioni collettive e gli atteggiamenti di uno specifico gruppo di lavoratori. L’individuo deve quindi affrontare il seguente problema: «Come trovare una situazione di lavoro nella quale potrò inserirmi?». L’orientamento come aiuto allo sviluppo della carriera (professionale e personale) L’automazione e l’informatica sono state un fattore determinante dell’evoluzione del processo di produzione ed hanno portato allo sviluppo del «sistema tecnico del lavoro» (Touraine, 1955). All’interno di questo sistema, l’attività lavorativa costituisce una «funzione professionale» inserita all’interno di una rete. Per «rete» si deve intendere una modalità organizzativa consolidata meno rigida di una struttura: una modalità flessibile che si evolve in funzione delle persone che vi partecipano e del progresso delle tecniche produttive. In questa rete, l’occupazione corrisponde ad una «funzione» nel senso più profondo del termine: alla funzione dell’azione o del ruolo caratteristico di un elemento inserito in un insieme. La situazione lavorativa ha ormai acquisito una natura interattiva. La qualificazione corrisponde ad uno status riconosciuto all’interno di un 38 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA sistema sociale di produzione. Ai salariati si chiedono skill specifiche e diverse da quelle che richiederebbero il «mestiere» del «sistema professionale del lavoro». Come evidenziano Even Loarer e Michel Huteau (1997) e Philippe Zarifian (1988), tali skill sono relative a: – socialità ed arte di comunicare, – flessibilità di adattamento, – capacità di far fronte ad eventi inattesi sviluppando un know-how nuovo, – assunzione delle responsabilità relative ai risultati, eccetera. In questi contesti professionali, si ritiene che i lavoratori siano in grado di sviluppare collettivamente skill nuove in funzione, da un lato, dell’evoluzione delle tecniche produttive e, dall’altro, delle interrelazioni proprie del collettivo che si è formato. Oggi si parla di «sviluppo delle competenze», di «impresa che apprende» (Tarondeau, 2002) e di formazione lungo tutto l’arco della vita. Queste «competenze» appaiono strettamente legate al contesto nel quale esse si sviluppano. In un tale contesto, il ruolo centrale spetta non tanto all’attore professionale quanto alle interazioni professionali. Con il sistema tecnico di lavoro sorge anche un nuovo problema sociale di orientamento professionale: come riconoscere, formalizzare, rendere trasferibili ad altri contesti professionali (e, ove necessario, ottenere la loro validazione attraverso il rilascio di un diploma) le competenze sviluppate in fase di interazione all’interno di un determinato collettivo di lavoro? Tuttavia, l’attività dell’individuo non è soltanto professionale. L’individuo interagisce in diverse sfere personali, sociali, familiari, eccetera. Come hanno mostrato numerosi lavori, (per esempio, Henning Salling Olesen 2000, in Danimarca; Yves Clot, Jacques Curie, Alain Baubion-Broye e Violette Hajjar in Francia; Marco Depolo, Franco Fraccaroli e Guido Sarchielli in Italia), i diversi ruoli assunti non sono indipendenti. Questi ruoli possono ostacolarsi a vicenda, dare luogo a trasferimenti di competenze, essere oggetto di giudizio da parte dell’individuo (in merito alla loro importanza relativa) oppure rinviare a quesiti concernenti il senso dei vari investimenti effettuati, eccetera. Ogni individuo è quindi portato ad interrogarsi sull’articolazione dei suoi vari campi di attività: l’orientamento va molto al di là della semplice sfera professionale. Di conseguenza, il problema sociale di questo orientamento che non è più meramente professionale, ma è anche personale, può essere enunciato come segue: «come fare il bilancio delle mie diverse esperienze e definire i progetti personali e professionali?». 39 L’orientamento come aiuto allo sviluppo della carriera (professionale e personale) CAPITOLO 2 L’orientamento come aiuto allo sviluppo della carriera (professionale e personale) L’orientamento come capacità di far fronte alle transizioni Le trasformazioni economiche dei due ultimi decenni (vale a dire, lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dei trasporti e, ancor più, la globalizzazione del capitale e del lavoro) hanno aumentato notevolmente il numero di occupazioni precarie. Questa tendenza dovrebbe affermarsi ulteriormente nei prossimi anni (Palmade, 2003). Daniel Mercure e Jan Spurk (2003) spiegano il fenomeno in questi termini: nel contesto della globalizzazione, le imprese tendono ad organizzarsi per funzionare attorno ad un nucleo di dipendenti polivalenti che ne assicurano la continuità al di là delle incertezze della congiuntura economica. Questo nucleo è integrato dai lavoratori «periferici» (Jacqueline Palmade li definisce: «gli incerti») che si specializzano rapidamente in alcuni compiti. Il loro numero può variare secondo le circostanze. Diversi studi mostrano che i lavoratori «centrali», ossia appartenenti al nucleo, sono tendenzialmente uomini che sono nati nel Paese ed hanno conseguito una formazione tecnica o professionale. I lavoratori periferici sono tendenzialmente donne, giovani, immigrati oppure individui scarsamente qualificati, eccetera. La teoria della segmentazione del mercato del lavoro e le osservazioni statistiche (Palmade, 2003) mostrano che i lavoratori «centrali» ed i lavoratori «periferici» non si collocano sullo stesso segmento del mercato del lavoro. Ciò significa che un lavoratore periferico ha scarse probabilità di trasformarsi in futuro in un lavoratore «centrale». Per i lavoratori «periferici», per gli «incerti», i percorsi professionali si svolgono in una successione di periodi di lavoro in occupazioni diverse, di disoccupazione, di formazione, eccetera. Questi percorsi non corrispondono ad una «carriera professionale», ma ad un «caos professionale» per riprendere un termine proposto da Danielle Riverin-Simard (1996). Queste rotture non caratterizzano soltanto la vita professionale: le coppie sono più fragili, gli spostamenti geografici più frequenti ed i legami delle famiglie allargate meno saldi. Di conseguenza, molti individui (ancor più gli individui con occupazione incerta, come mostrano vari studi, cfr. Palmade, 2003, pag. 58) si trovano tutta la vita ad affrontare una moltitudine di cambiamenti, di rotture, di passaggi, di crisi, eccetera, tutti riconducibili al termine «transizione» secondo la proposta di Colin Murray Parkes (1971). Nel contesto di questo concetto di incertezza e di precarietà, il problema sociale dell’orientamento può essere enunciato nel modo seguente: «Come far fronte, nel miglior modo possibile, alle molteplici transizioni che segnano il corso della mia esistenza?». 40 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA Organizzazione dell’istruzione e della formazione e problemi di orientamento scolastico L’orientamento come capacità di far fronte alle transizioni L’organizzazione del lavoro non è l’unico fattore che influisce sulla definizione dei problemi sociali di orientamento. In questa definizione, le modalità di organizzazione dell’istruzione e della formazione dei giovani e degli adulti giocano un ruolo determinante. In tutti i Paesi industrializzati, il XX° secolo è stato caratterizzato da uno sviluppo considerevole di istituzioni specializzate in questo settore - la scuola. Lo sviluppo massiccio del settore scolastico nel corso del XX° secolo può essere indubbiamente spiegato dal fatto che la scuola costituisce una modalità di socializzazione adattata allo sviluppo di una «società degli individui». Norbert Elias (1991) ha quindi evidenziato le peculiarità della scuola in rapporto alle precedenti modalità di socializzazione e di formazione. La scuola si caratterizza per il fatto che essa costituisce una preparazione indiretta alla vita adulta. In precedenza, l’apprendista si formava attraverso i contatti diretti con il maestro. Per esempio, un apprendista lavorava a fianco dell’operaio che aveva concluso l’apprendistato. Di conseguenza, la formazione era, al tempo stesso, apprendimento delle tecniche e socializzazione globale. Il giovane non apprendeva unicamente i gesti manuali, ma anche le regole di interazione e le concezioni tipiche degli appartenenti allo stesso mestiere. La formazione all’interno delle corporazioni aveva come obiettivo la creazione di un’identità professionale e sociale particolarmente stabile. La scuola divide i giovani dagli adulti. Distingue gli insegnanti dai professionisti. Tende a far acquisire innanzitutto le nozioni generali e, secondariamente, il know-how tecnico o professionale. Nel caso della formazione generale, la scuola si limita a prospettare agli allievi un orizzonte di posizioni sociali alle quali gli allievi sembrano essere più o meno destinati. Nel caso della formazione professionale e tecnica, questo orizzonte è indubbiamente più circoscritto, ma non esiste un legame molto forte tra la formazione impartita nella scuola e la natura dell’attività professionale esercitata in seguito. Di conseguenza, con la scuola si pone il quesito della transizione dalla condizione di allievo a quella di lavoratore. È necessario preparare i giovani ad affrontare la transizione. Da qui deriva, per esempio, lo sviluppo di approcci didattici all’orientamento. Lo sviluppo della scuola si è manifestato con una scolarizzazione sempre più lunga dei giovani e degli individui provenienti da contesti culturali, sociali od etnici diversi. Ciò si è tradotto in quesiti di natura struttu41 CAPITOLO 2 Organizzazione dell’istruzione e della formazione e problemi di orientamento scolastico rale – «come organizzare il dispositivo»? – ed in quesiti procedurali: «come distribuire i diversi giovani nei vari percorsi dell’istituzione scolastica»? Le risposte date ai quesiti variano da paese a paese. Per questo motivo, in genere, i quesiti concreti concernenti l’orientamento scolastico non si pongono negli stessi termini in tutti i Paesi. Al di là di queste differenze, sembra tuttavia che, in tutti gli ordinamenti scolastici dei Paesi industrializzati, sia in gioco la stessa questione di orientamento. Si tratta dell’inserimento professionale e sociale in un determinato punto dello spazio sociale delle professioni e delle posizioni lavorative. Di conseguenza, il problema di orientamento scolastico sottoposto agli allievi (ed alla loro famiglia) può essere sintetizzato come segue: «Quale formazione scegliere, tenuto conto (1) dei miei risultati scolastici, (2) dell’architettura e delle procedure (esplicite ed implicite) della distribuzione degli allievi e (3) delle mie aspettative personali (e familiari) relative al mio futuro inserimento sociale e professionale?». Transizione: un concetto determinante ma polisemico Ai fini di questa rapida rassegna, si rileva che apparentemente, nel corso del XX° secolo, le società industrializzate hanno formulato cinque grandi problemi di orientamento. Ad eccezione del problema dell’orientamento scolastico (enunciato nella seconda parte del XX° secolo), ognuno dei problemi di orientamento è caratterizzato da un determinato contesto di lavoro e, di conseguenza, da un’epoca. Il fenomeno è sintetizzato nella Tabella 1 sotto riportata. Tabella 1: I problemi sociali di orientamento posti all’individuo in relazione al loro contesto Contesti Problemi sociali di orientamento Sistema «professionale» di lavoro Come trovare l’attività professionale – e ancor prima l’apprendistato – che meglio mi si addice? Taylorismo – Fordismo Come trovare una situazione di lavoro nella quale potrò inserirmi? Sistema «tecnico» di lavoro Come fare il bilancio delle mie diverse esperienze e definire i progetti personali e professionali? Globalizzazione. Occupazione precaria. Individuo incerto. Come far fronte alle molteplici transizioni che segnano il corso della mia esistenza? Scolarizzazione di massa Quale formazione scegliere, tenuto conto dei miei risultati scolastici e delle mie aspettative (personali e familiari) relative al mio futuro inserimento sociale e professionale? 42 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA Tuttavia, non si può ritenere che questi diversi problemi sociali si siano sostituiti puramente e semplicemente gli uni agli altri. Per esempio, esistono sempre «mestieri» che corrispondono al sistema professionale del lavoro. Ancor oggi, il problema di orientamento che si pone ad alcuni giovani è senza dubbio il problema di scegliere un mestiere per il quale riceveranno una formazione nel corso di lunghi anni. Ciononostante, in un determinato momento, alcuni problemi di orientamento si pongono ad un numero rilevante di individui e, di conseguenza, sono molto più frequenti di altri problemi. A questo punto, divengono socialmente più pregnanti. È ciò che avviene oggi con i problemi di orientamento connessi, da un lato, con il sistema tecnico di lavoro e con il modello della competenza e, dall’altro, con lo sviluppo dell’occupazione precaria. Ricordiamo i due problemi: – Come fare il bilancio delle mie diverse esperienze e definire i progetti personali e professionali? – Come far fronte al meglio alle molteplici transizioni che segnano il corso della mia esistenza? Con questi due quesiti, il termine «transizione» è stato introdotto nel vocabolario di chi si occupa dei contenuti teorici e pratici dell’orientamento. Tuttavia, il termine non assume lo stesso significato in tutti i contesti. – Nel primo quesito, la transizione è considerata un momento di passaggio che caratterizza il corso della vita o della carriera professionale: essa implica un rimaneggiamento o una ristrutturazione che si inserisce in una certa continuità. – Nel secondo quesito, la transizione appare come rottura, come evento inatteso, come discontinuità che potrebbe infrangere uno sviluppo potenziale. Grazie alla sua polisemia, il termine «transizione» può costituire il cuore dei problemi di orientamento, dei lavoratori sia centrali sia periferici. Indubbiamente, per questo motivo ormai è uno dei termini più importanti della psicologia dell’orientamento. Oggi, sembra che tutti i precedenti problemi di orientamento siano stati «ripresi» nel linguaggio della transizione. Con il termine «ripresi» si deve intendere la riformulazione, la reinterpretazione del problema iniziale che consente di articolarlo con il vocabolo dominante nel settore. L’interpretazione avviene in direzione del problema dominante - del problema della «transizione». Per esempio, il problema iniziale dell’orientamento: «come scegliere correttamente il proprio mestiere o la propria 43 Transizione: un concetto determinante ma polisemico CAPITOLO 2 Transizione: un concetto determinante ma polisemico professione?» diviene: «come far fronte correttamente alla transizione dalla scuola ad un mestiere oppure ad una professione?» Lo spostamento di senso tra questi due problemi è chiaro: la riformulazione evidenzia un’accentuazione del ruolo dell’individuo all’interno di questo processo. La «ripresa» sottolinea l’impegno che l’individuo deve necessariamente assumere nell’assolvere il proprio compito. Implicitamente, essa indica la sua responsabilità nell’esito del processo. La Tabella 2 riportata presenta la riformulazione dei diversi Problemi Sociali dell’Orientamento nel linguaggio della transizione. Tabella 2: I Problemi Sociali di Transizione (PSO) riformulati nel Linguaggio della «transizione» (RIF) PSO: Come trovare l’attività professionale - ed ancor prima l’apprendistato - che meglio mi si addice? RIF.: Come far fronte alla transizione dalla scuola ad un mestiere oppure ad una professione? PSO: Come trovare una situazione di lavoro nella quale potrò inserirmi? RIF.: Come far fronte alla transizione dalla scuola ad un inserimento professionale? PSO: Come fare il bilancio delle mie diverse esperienze e definire i progetti personali e professionali? RIF.: Come far fronte alle transizioni «normative» ed alle transizioni di una carriera professionale? PSO: Come far fronte alle molteplici transizioni che segnano il corso della mia esistenza? RIF.: Come far fronte alle molteplici transizioni che segnano il corso della mia esistenza? PSO: Quale formazione scegliere, tenuto conto dei miei risultati scolastici e delle mie aspettative (personali e familiari) relative al mio futuro inserimento sociale e professionale? RIF.: Come far fronte alle diversi transizioni da una carriera scolastica? Conclusione: la dimensione etica del problema dell’orientamento lungo tutto l’arco della vita Al di là della loro differenza, i vari problemi di orientamento rimandano l’individuo delle società industrializzate contemporanee ad un quesito più rilevante: Cosa fare della propria vita? Per questo motivo, i cinque problemi di orientamento descritti possono essere ricondotti ad un quesito più generale: come orientare (correttamente) la propria vita nella società umana di appartenenza? Il quesito rappresenta una sintesi contemporanea dei cinque problemi. Li sintetizza, o meglio li pone in prospettiva evidenziandone la loro dimensione fondamentale - la dimensione etica. In effetti, la riflessione sull’orientamento da dare alla propria vita implica necessariamente una dimensione etica. 44 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA In una prima approssimazione, ritengo che, in effetti, l’etica possa essere definita in riferimento alla preoccupazione per l’altro. Oppure, attraverso l’esercizio stesso della riflessione in merito all’orientamento da dare alla propria vita», l’individuo è condotto verso «l’altro»: da un lato, dalla forma assunta necessariamente dalla sua riflessione e, dall’altro, dal contenuto stesso della riflessione. Condurre una tale riflessione significa intraprendere una serie di dialoghi interiori e/o interpersonali nei quali «io» si rivolge a «tu», «tu» ritorna a «io», oppure «io» e «tu» fanno riferimento a «lui». Così facendo, l’individuo si rende conto di poter esercitare questa riflessione unicamente se evoca il punto di vista dell’altro ed articola le molteplici voci che compongono i dialoghi interiori oppure interpersonali. In tal modo, osserva che è sostanzialmente un «essere relazionale», non è solitario ed è il «prodotto» di molteplici relazioni con l’altro – in una parola, che la relazione con l’altro è un elemento costitutivo di ciò che egli è (Jacques, 1979 & 1982). Tuttavia, l’individuo è condotto verso l’altro anche dai contenuti stessi della sua riflessione. In sostanza, riflettere sull’orientamento da dare alla propria vita significa chiedersi: «cosa ne pensano - «loro» (ad esempio: «quelli che contano per me, i miei genitori, eccetera) del mio desiderio di realizzarmi in questa carriera professionale? Quali conseguenze potrebbe avere per loro questo impegno? Non potrebbero dirmi che…? Allora risponderei che?». In tal modo, l’individuo umano che riflette su «cosa fare della propria vita» è sempre indotto ad interrogarsi sulle implicazioni che le sue decisioni potranno avere per l’altro. Anche se dichiara «che dell’altro non gli importa». In concreto, gli altri individui chiamati in causa sono generalmente le persone vicine. Per esempio, il dialogo interiore potrebbe assumere la forma seguente: «se intraprendo questa strada, mio padre potrebbe dirmi …, ma io risponderei che…, allora lui direbbe…, eccetera». Pertanto, questa considerazione del punto di vista degli altri vicini induce l’individuo a porsi quesiti di ordine etico: è bene per (questo) altro che intraprenda questa strada? È bene? È giusto? Per questo motivo, si può affermare che la riflessione dell’individuo sul suo orientamento si svolge sempre sullo sfondo di un determinato «orizzonte di esame etico». Si tratta di un esame etico nella misura in cui è effettivamente presente la questione del «vivere bene con l’altro». Ciononostante, è soltanto un orizzonte. In effetti, «l’intenzione etica, osserva Paul Ricœur (2004, pag. 694), al suo livello più profondo di radicalismo, si articola in una triade nella quale il sé, l’altro vicino e l’altro 45 Conclusione: la dimensione etica del problema dell’orientamento lungo tutto l’arco della vita CAPITOLO 2 Conclusione: la dimensione etica del problema dell’orientamento lungo tutto l’arco della vita lontano sono ugualmente onorati: vivere bene con e per l’altro, nelle istituzioni giuste2». Tuttavia, nella riflessione condotta normalmente dall’individuo delle società industrializzate contemporanee sull’orientamento da dare alla propria vita, non si evocano necessariamente «per l’altro», «altri lontani» o «le istituzioni giuste». In questo caso, la dimensione etica del processo «orientarsi» viene soltanto sfiorata. Comunque, nelle nostre società, le «implicazioni delle scelte individuali per la vita dell’altro» vanno oltre la cerchia delle persone vicine. Queste scelte rimandano alla questione della responsabilità umana, individuale e collettiva. Per questo motivo, «l’orizzonte dell’esame etico» può – ed a mio avviso deve – trasformarsi in «esame etico». Ciò avviene ogni volta che un «tu» (o «io») del dialogo interiore (o interindividuale) introduce esplicitamente il tema delle conseguenze possibili o probabili dell’impegno per l’una o l’altra opzione per «altri esseri umani indefiniti». Occorre dunque esaminare gli obiettivi – precisamente gli obiettivi professionali – che è possibile darsi nella propria vita dal punto di vista delle finalità etiche. Generalmente, un tale esame non è facile. Infatti, i legami tra «obiettivi personali» e «finalità umane» sono spesso complessi. Per esempio, alcune competenze sviluppate nel campo delle relazioni umane possono essere messe al servizio dell’emancipazione di gruppi umani o, al contrario, del loro asservimento (manipolazioni, eccetera). Le analisi di Ulrich Beck (1986) sulla società del rischio o di Hans Jonas (1977) sul principio di responsabilità, mi inducono tuttavia a sottolineare l’importanza capitale per l’umanità dello sviluppo di questa prospettiva etica sempre implicata – anche se minimamente: sotto forma di «orizzonte di esame etico» – nel processo di riflessione sull’orientamento da dare alla propria vita. Nella civiltà tecnologica di oggi, la preoccupazione di vivere con e per gli altri nelle istituzioni giuste assume in realtà una rilevanza nuova. Nella sua opera «Il Principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica», Jonas formula il principio in questi termini: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana sulla terra» (Jonas, 1979, pag. 36). Certamente, Jonas sottolinea che «questo nuovo imperativo si rivolge molto più alla politica pubblica che alla condotta privata» (pag. 37). Ciò non esclude che l’individuo esamini il proprio agire o le sue scelte 2 46 La definizione è stata elaborata da Paul Ricoeur (1990), nel Capitolo 7 di «Sé come un altro». L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA alla luce di un tale imperativo. I consulenti di orientamento del XXI° secolo non potrebbero porsi come obiettivo professionale ultimo di aiutare gli individui che ricorrono alla loro consulenza ad impegnarsi in una tale riflessione? Riferimenti bibliografici Baubion-Broye, A. (Ed.) (1998). Evénements de vie, transitions et construction de la personne. Saint-Agne, Eres. Beck, U. (1986). Risikogesellchaft. Auf dem Weg eine andere Moderne (Risk society: towards a new modernity). Frankfurt am Main, Surkampf Verlag. Beck, U. (2000). La société du risque. Sur la voie d’une autre modernité, Paris, Flammarion (Champs). Cingolani, P. (2005). La précarité. PUF. Que-sais-je?. Depolo, M., Fraccaroli F., Sarchielli G. (1992). Le sujet actif face aux transitions psychosociales. 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Editions Economica, Paris. 48 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA 2.2 NUOVI SIGNIFICATI E FUNZIONI DELL’ORIENTAMENTO: ALCUNE QUESTIONI FONDANTI1 di Anna Grimaldi2 In questa mia breve riflessione, nel tentativo di individuare possibili sviluppi per la definizione e la messa a punto di un sistema nazionale di orientamento, volevo porre l’attenzione su alcune questioni che, se condivise e approfondite, possono favorire una lettura sistemica del fenomeno in una prospettiva dialettica e propositiva e contribuire alla definizione di una cultura comune. Assunti culturali vs agire orientativo La prima questione che pongo all’attenzione del lettore è la distanza che caratterizza il fenomeno tra assunti culturali condivisi e agire orientativo frammentario, o detta in altri termini, tra ambienti scientifici e di ricerca e ambiti operativi. Nell’ultimo decennio c’è stata sicuramente condivisione, sia negli ambienti più concettuali sia in quelli più empirici, nel riconoscimento del ruolo che molteplici fattori, nelle società complesse, giocano nel sostenere le scelte degli individui e nel determinare atteggiamenti e comportamenti lavorativi individuali e organizzativi. In tale prospettiva l’urgenza di “ripensare l’orientamento” in un’ottica più circolare e continua è stata enfatizzata in ogni contesto europeo. Da qui la concezione culturale di orientamento più diffusa e accettata a livello europeo considera il fenomeno “come un processo continuo di supporto life-long, in modo che le persone possano realizzare i propri progetti personali e professionali, chiarire i propri desideri e abilità attraverso informazioni e azioni di counseling”. Le strategie prevalenti a cui ancorare tale concezione sono la promozione di conoscenza su se stessi (identificare i propri talenti, punti di forza e di debolezza) e sul mondo del lavoro (conoscere le opzioni formative ed educative disponibili, le aree occupazionali, le aree professionali, le prospettive, ecc.), per poter sviluppare un percorso personale e professionale che traduca le informazioni su di sé e sulle opportunità del mondo della scuola e del lavoro in obiettivi formativi e di carriera a breve e medio termine. 1 Il presente contributo è tratto da Grimaldi, A. (2005), Le dicotomie dell’orientamento: verso uno scenario integrato, in Magellano. Vol. n. 27 pp. 7-15. 2 Responsabile dell’Area Politiche per l’Orientamento dell’Isfol. 49 CAPITOLO 2 Nuovi significati e funzioni dell’orientamento: alcune questioni fondanti Questa nuova impostazione culturale include termini come permanente, olistico e integrato, in linea con l’evoluzione di un mercato del lavoro sempre più competitivo e instabile dove l’apprendimento lungo il corso della vita assume una forte rilevanza strategica. A dispetto, però, di una tale condivisione di assunti culturali, sorprende la frammentarietà di azioni orientative sviluppate nei diversi contesti e soprattutto la mancanza di un solido ancoraggio di tali azioni a stabili modelli teorici di riferimento. Come emerge da alcune indagini Isfol, realizzate su campioni nazionali3, molti operatori pur definendo con una certa puntualità il processo di orientamento caratterizzante l’organizzazione di appartenenza, non sono in grado di evocare una prospettiva disciplinare o culturale di riferimento, che avvalori le pratiche, le renda condivisibili e sperimentabili dai diversi contesti territoriali e soprattutto consenta un serio e sistematico monitoraggio dei risultati. Tuttavia, è possibile, alla luce delle indicazioni fornite dai nostri interlocutori sui modelli concettuali, intravedere una tendenza – sebbene, allo stato dei fatti, più implicita che espressamente dichiarata – che sembra costituire una prospettiva culturale condivisa, che sposta l’unità di analisi dalla persona alla relazione tra l’individuo ed il contesto sociale. In altri termini si fa sempre più diffuso l’interesse verso lo studio di tutte quelle dimensioni che sostengono la comprensione delle rappresentazioni che l’individuo formula e ri-formula continuamente sul proprio contesto di riferimento e sulle strategie che la persona mette in atto per analizzare e relazionarsi con tali realtà contestuali. Partendo da tali presupposti e considerazioni la prospettiva culturale su cui mi piace ancorare il progetto Isfol sull’orientamento sposta il focus del processo dalla centratura sul soggetto alla centratura sulla relazione tra soggetto e contesto di riferimento. In questo senso alcune dimensioni come il coping, gli stili di attribuzione, gli orientamenti motivazionali, gli stili decisionali, in quanto dimensioni di confine tra il sé e il mondo esterno, indicative della relazione con il contesto di riferimento, acquistano sempre più rilevanza nell’orientamento nella misura in cui si pongono come variabili significative di conoscenza di sé e degli altri (Grimaldi, Ghislieri, 2004). In tale ottica la preferenza è per il modello socio-cognitivo ed in particolare per l’approccio cognitivista-costruzionista i cui presupposti culturali fondamentali si fondano sull’analisi dei processi di attribuzione di significato che i soggetti – in quanto attori entro un tessuto di relazioni – sviluppano relativamente all’ambiente esterno ed al proprio ruolo. Se si condivide tale approccio teorico allora l’agire 3 Per un approfondimento si veda Grimaldi A., Avallone F. (a cura di) (2005). Percorsi di orientamento. Indagine nazionale sulle buone pratiche. Isfol, Strumenti e Ricerche, Roma. 50 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA orientativo sarà centrato sull’esplorazione del ruolo sociale, delle aspettative reciproche tra individuo e organizzazione-collettività, delle rappresentazioni dei processi di cambiamento, del sistema di norme e valori che sottende azioni e scelte individuali. In questa prospettiva è opportuno arricchire il panorama dell’agire orientativo di iniziative basate su un approccio relazionale e personalizzato, congruenti con il bisogno e la domanda reale. A tal fine, sulla base di tali assunti culturali ed in linea di continuità con le strategie di sviluppo e approfondimento maturate dall’Isfol in questi ultimi anni in tema di orientamento, e sulla scorta dei vari lavori di rassegna e sistematizzazione concettuale-teorica su modelli, strumenti ed esperienze nel settore orientamento (Grimaldi 2002), sto procedendo, su un versante più innovativo e in un’ottica di rete sistemica, da un lato alla messa a punto di modelli su funzioni, competenze e professionalità dedicate all’orientamento anche per pervenire ad un modello di standard di qualità e di valutazione degli stessi, dall’altro alla messa a punto di strumenti e percorsi originali ed innovativi da inserire nell’ambito dei servizi di consulenza orientativa specialistica. Orientamento informativo/formativo/consulenziale Una seconda considerazione che volevo sottoporre all’attenzione del lettore riguarda la classificazione tricotomica tra orientamento informativo, formativo e consulenziale che contrasta con una concezione di orientamento che considera il fenomeno a carattere globale, olistico, integrato e sistemico. In tale nuova accezione orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé, della realtà occupazionale, sociale ed economica per poter effettuare scelte consapevoli, autonome, efficaci e congruenti con il contesto (Grimaldi, 2003). Un’azione, con finalità maturativa, che deve facilitare la capacità ad auto-orientarsi che definisco come: “ una consulenza di processo volta a facilitare la conoscenza di sé, delle proprie rappresentazioni sul contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, sulle strategie messe in atto per relazionarsi ed intervenire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e di sostenere le scelte relative”4. Indipendentemente, quindi, dalla funzione dell’orientamento, lo sforzo deve andare nella direzione di facilitare il cambiamento, fa- 4 La definizione di orientamento da me proposta tiene conto di una serie di studi comparativi sull’argomento. 51 Nuovi significati e funzioni dell’orientamento: alcune questioni fondanti CAPITOLO 2 Orientamento informativo/ formativo/ consulenziale vorire l’attivazione e la maturazione fornendo un servizio impostato su più piani: da quello di base o di 1° livello, dal carattere informativo e di accoglienza, a quello di 2° livello, specialistico e consulenziale. Orientamento scolastico e orientamento professionale Una terza considerazione che pongo riguarda la classificazione che distingue le pratiche professionali in orientamento scolastico e orientamento professionale. Se, nel passato, l’orientamento risultava sostanzialmente mirato a soddisfare le esigenze di un’utenza giovanile in specifici momenti di transizione e pertanto si sostanziava in un’azione professionale una tantum, oggi, l’orientamento accompagna ogni fase della vita di un individuo, diventando così trasversale ai diversi sistemi. L’orientamento diventa, quindi, un processo continuo che accompagna l’iter formativo e lavorativo di ciascuno consentendo una costante elaborazione di competenze e professionalità nonché dei servizi che il territorio offre. Alla luce di tali argomentazioni, la dicotomia scolastico-professionale appare, quindi, tanto riduttiva quanto desueta e rimanda alla differenza tra orientamento “sincronico” e “diacronico”. Con il primo termine – orientamento sincronico – si intende un’azione che consiste nel considerare interessi e attitudini degli individui e l’insieme delle corrispondenti opportunità di lavoro o di studi presenti nel contesto ad esse associabili per cercare una sincronia, appunto, che possa indirizzare la scelta del soggetto. L’operazione di confronto che mette in relazione la domanda del mercato con le attitudini e gli interessi individuali oggi è superata. Se, infatti, offerta di informazioni sul sistema formativo-professionale e indagine sugli interessi e le attitudini rappresentano senza dubbio azioni rilevanti nel processo d’orientamento, senza un’integrazione ed un’interrogazione con e su altre variabili, tali azioni praticano una scarsa o nulla modificazione nel soggetto, sia a livello cognitivo sia al livello affettivo, contraddicendo così alcuni dei postulati culturali fondamentali dell’impostazione attuale. Di contro tali azioni acquisiscono valore se inserite in un modello integrato in cui sia valorizzata la componente formativa in grado di favorire modifiche cognitive e di sviluppare competenze necessarie per auto-orientarsi. In questa direzione una pista di lavoro innovativa e contrapposta alla prima consiste nel puntare su un’attività orientativa diacronica il cui sviluppo è longitudinale, rispetto al percorso di vita del soggetto, e che assume come unità temporale di riferimento l’intero arco della vita lungo la dimensione dello sviluppo nei luoghi dell’apprendimento e del lavoro, capace così di promuovere e valorizzare competenze, attitudini ed interessi specifici che possano supportare l’individuo nella messa a punto di progetti personali e 52 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA professionali flessibili, indispensabili per posizionarsi e ri-posizionarsi in maniera consapevole. Sistema nazionale vs differenziazioni locali Una quarta questione pone enfasi sulla necessità di creare sistema attivando una serie di servizi integrati e condivisi, pur nel rispetto delle singole e specifiche realtà contestuali e territoriali, che favoriscano lo sviluppo di una offerta di qualità. Va sottolineato a questo proposito che l’avvertita esigenza di standardizzazione di modelli e pratiche si riferisce all’opportunità di disporre di protocolli di azioni condivise congruenti con la domanda, che non deve assolutamente annullare le differenze locali soprattutto nelle iniziative di politica d’intervento. Le future tendenze del mercato del lavoro verso una maggiore flessibilità, e verso la domanda di un livello di qualificazione sempre più elevato, confermano la necessità di prevedere servizi di consulenza differenziati, in relazione anche alle diverse fasi della vita. Per il raggiungimento di tale obiettivo è necessario individuare modalità di cooperazione ed integrazione efficaci con e tra i diversi sistemi – scuola, università, formazione, lavoro. Di contro, allo stato attuale dei fatti, i diversi sistemi poco dialogano tra di loro non facilitando così né la diffusione di molte buone esperienze, che pure è possibile intravedere, né la diffusione di una comune matrice culturale e una prospettiva professionale in grado di condividere obiettivi e finalità. Occorre pertanto ri-pensare, ri-ordinare, ri-orientare, ri-definire obiettivi, metodologie, pratiche, competenze dei professionisti e soprattutto, in un’ottica di sistema, occorre monitorare tutto l’esistente e organizzarlo in una mappa concettuale ed operativa condivisa tra i diversi attori che congiuntamente devono adoperarsi per far funzionare il sistema. In altre parole è necessaria un’operazione di assemblaggio che funga da collante ed integri i diversi contesti. È in questa direzione che l’Isfol ha avviato, in continuità con le attività degli anni precedenti, una serie di azioni, volte da un lato alla messa a punto di strumenti validati e standardizzati e dall’altro alla realizzazione di “percorsi tipo” diversificati per tipologie di destinatari, a loro volta sperimentati e “testati” sul campo. Entrambe le attività sono state realizzate coinvolgendo – dalla fase di progettazione a quella di campo – i diversi contesti organizzativi (regioni, province, comuni, strutture pubbliche e private) che di orientamento si occupano rappresentando, questa scelta, il primo passo per l’attivazione di una rete tra le strutture coinvolte, nella convinzione che solo uscendo dalle singole realtà e creando prima una cultura e poi una rete nazionale di riferimento, che sia luogo di dialogo aperto e costruttivo e di scambio di pratiche ed esperienze, si possa arrivare ad 53 Orientamento informativo/ formativo/ consulenziale CAPITOLO 2 Sistema nazionale vs differenziazioni locali un modello integrato e condiviso da quanti a diverso titolo operano nel settore. Uno dei principali risultati ottenuti nello svolgimento delle diverse ricerche è stato quello di aver reso tangibile l’utilità della rete tra le strutture, le quali hanno potuto constatare la praticabilità, la pertinenza ed il valore aggiunto di queste pratiche: sono infatti diverse le esperienze di tavoli di concertazione regionale, nati per la realizzazione operativa di una sperimentazione, che si sono trasformati in tavoli ufficiali di coordinamento regionale, in cui gli operatori hanno potuto sperimentare il frutto di un processo di lavoro sinergico all’interno di un contesto operativo che si presenta molto complesso. Funzione individuale vs funzione sociale Un’ulteriore considerazione rimanda alla riflessione sull’importanza di coniugare una funzione individuale con una sempre più pressante funzione sociale. Se oggi, in una società sempre più caratterizzata da un elevato indice di flessibilità e mobilità, l’orientamento accompagna in modo sistematico ogni fase della vita scolastica e lavorativa degli individui, diventando trasversale ai diversi luoghi e alle diverse realtà territoriali, allora, in accordo con le esigenze emerse dagli ambienti operativi, la funzione dell’orientamento deve essere ridisegnata per definire obiettivi, modelli e strumenti che siano congruenti e realmente di supporto alle nuove politiche attive del lavoro. Accanto, quindi, ad un orientamento scolastico, universitario, professionale di base emerge sempre più un orientamento finalizzato a sostenere esigenze di riconversione e di mobilità professionale interne ad un mercato del lavoro caratterizzato dalla necessità di rielaborare percorsi di professionalizzazione che mutano nel tempo e da modalità fortemente innovative nella definizione dei rapporti di lavoro (Grimaldi, 2003). Si moltiplicano i luoghi e le sedi dove si fa orientamento, si diversificano i soggetti e le organizzazioni, mutano le figure e le competenze professionali degli orientatori (Grimaldi, Del Cimmuto, 2006). La necessità che emerge con forza è quella di compiere uno sforzo per superare la fase di sperimentazione e di passare a quella della sedimentazione delle pratiche sperimentate e realizzate e alla costruzione di un impianto dal forte carattere sistemico. Il passaggio è quindi dalle pratiche alla realizzazione di un integrato ed efficace servizio di orientamento, che si faccia promotore di una politica che si muove nell’ottica del raggiungimento del benessere sociale, oltre che individuale, dove le parole chiave siano accessibilità, innovatività e qualità dei servizi. Se le attività di orientamento vanno erogate sotto forma di servizio rivolto ad una vasta platea di utenti, allora esso deve agire secondo presupposti concettuali, logiche, modalità, tempi e strut54 L’ORIENTAMENTO NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA ture organizzative diverse rispetto a quelle che fino ad oggi ne hanno contraddistinto le azioni. In primo luogo il servizio deve possedere una sua “dinamicità propositiva”, nel senso che dovrà cercare di raggiungere le persone e anticipare il bisogno, svolgendo così una funzione prevalentemente sociale. Cambierà anche il ruolo dei professionisti che verranno ad avere una funzione strategica soprattutto nel facilitare l’avvicinamento dell’utente al percorso di orientamento e nel proporsi come agenti di cambiamento sia individuale sia sociale. È necessario, quindi, superare l’eterogeneità di linguaggi, trovare degli elementi condivisi che, pur nel rispetto delle diversità culturali, facilitino i rapporti tra committenti, operatori ed utenti e rendano più agevole il confronto tra le esperienze, per pervenire ad una cultura professionale comune che faciliti la costruzione di un “sistema” dell’orientamento connotato da un disegno unitario ed integrato dei processi in vista di una possibile e condivisa regolamentazione. Competenze e profili professionali Un’ultima considerazione si riferisce al ruolo, le competenze e la formazione dei professionisti dell’orientamento. Senza entrare nel merito delle diverse proposte (Grimaldi, 2003) e stimolare la riflessione sul tema dell’unicità o della pluralità delle figure professionali che operano nel settore dell’orientamento, sono qui più interessata a sollecitare l’attenzione sulla necessità di arrivare comunque ad un punto chiarificatorio della questione, in assenza del quale ho paura che sia più probabile il permanere di uno scenario turbolento e sismico piuttosto che ipotizzare uno scenario sistemico ed integrato. Siamo infatti, a mio avviso, nel contesto più frammentario e complesso: le figure professionali che si occupano di orientamento sono tra le più svariate sia per nomenclatura sia per competenze sia per formazione, spesso importati da contesti diversi. In assenza di una chiara regolamentazione normativo-legislativa che delimiti i livelli di competenza e responsabilità, individui i confini e le integrazioni di funzioni e ruoli, è difficile pensare ad un reale cambiamento degli assetti organizzativi. Nell’attuale scenario modalità innovative nell’organizzazione del lavoro basate sull’integrazione tra i ruoli e l’équipe appaiono insostenibili, anche a causa di una comprensibile ansia degli operatori relativamente al ruolo assunto o da assumere. L’incertezza, l’ambiguità e la confusione non facilitano il processo di cambiamento né tanto meno la propositività e la partecipazione, d’altronde non si può creare sistema prescindendo da chi, poi, dovrà realizzarlo. Ambienti istituzionali, operativi e di ricerca dovrebbero superare problematiche di natura politica e attivare un dibattito costruttivo che faccia chiarezza e ac55 Funzione individuale vs funzione sociale CAPITOLO 2 Competenze e profili professionali colga in maniera definitiva la pressante richiesta di certificazione e di riconoscimento delle competenze. In conclusione, alla luce di tutte le argomentazioni riportate in questa mia breve riflessione, se da un lato evidenzio una forte tensione verso l’innovazione e chiari segnali verso uno scenario che vede l’orientamento come un’azione necessaria per adeguare domanda e offerta di lavoro, mi chiedo e vi chiedo se sia realmente possibile per operatori, clienti e contesti organizzativi diventare attori significativi e promotori di un cambiamento verso l’integrazione e il sistema, in assenza di un quadro normativo chiaro, articolato e definito sul fenomeno orientamento. Riferimenti bibliografici Grimaldi, A. (a cura di) (2002). 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Isfol Editore, Roma. 56 CAPITOLO 3 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO SESSIONE PARALLELA Coordinata da Andrea Messeri 3.1 L’ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO: SPUNTI DI RIFLESSIONE di Andrea Messeri1 I lavori della sessione parallela dedicata al tema dell’orientamento tra scuola, università e lavoro sono stati caratterizzati da un’ampia e intensa partecipazione, molti gli interventi non programmati. L’ “auto-disciplina” dei relatori, nei termini del rispetto del tempo assegnato, ha permesso una riflessione collettiva significativa, incentrata sull’attenzione ai giovani e sulle realtà da interpretare e valutare. Risultati del lavoro della sessione Dai lavori sono emersi elementi disomogenei, divergenze ed ambiguità, ma anche alcune certezze condivise, mentre sono stati quasi del tutto assenti stereotipi e modelli concettuali lontani dalla realtà, anche se logicamente coerenti. Preferisco mettere in evidenza alcune delle certezze, che mi sembrano più rilevanti. La prima riguarda la crescita della domanda, anche implicita, di orientamento nei termini di un bisogno di effettuare scelte, che sono difficili in una situazione in forte mutamento, caratterizzata da una diminuzione delle risorse e delle opportunità, ma anche di avere gli strumenti concettuali e le competenze per progettare in modo flessibile la pro1 Professore ordinario di Sociologia, Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo, Università di Siena. 57 CAPITOLO 3 L’orientamento tra scuola, università e lavoro: spunti di riflessione pria vita e per partecipare attivamente negli ambienti di studio e di lavoro e nella società. Questi elementi culturali venivano assicurati, in tempi non lontani, dalla socializzazione primaria e dalla corrispondenza tra la cultura sociale di base e le aspettative di ruolo, in organizzazioni strutturate in modo sistemico. Attualmente la frammentazione interna delle organizzazioni complesse e la decentralizzazione istituzionale e sociale richiedono una diversa e più intenzionale attenzione alla formazione culturale mirante a facilitare la costruzione dell’identità individuale e di nuove forme di integrazione sociale e sistemica. Vi è stata quindi una notevole convergenza su una concezione più “estesa” dell’orientamento, visto come un lungo processo formativo che richiede momenti specifici di relazione di aiuto per scelte significative, per l’acquisizione di conoscenze e informazioni e per uno sviluppo della consapevolezza responsabile delle proprie caratteristiche e dei propri interessi. Ormai è convinzione abbastanza diffusa che l’orientamento non sia circoscrivibile a fasi particolari della vita dei giovani, riguardanti alcune scelte scolastiche e lavorative che essi devono compiere. Queste scelte sono indubbiamente significative, ma non possono essere considerate isolatamente nel percorso di vita di una persona. Inoltre, non si può prescindere da un lato dalle caratteristiche dei gruppi specifici di giovani né, dall’altro, dalle situazioni nelle quali vivono e/o lavorano. In questo modo l’orientamento, pur restando incentrato prevalentemente sulla relazione di aiuto e sulla facilitazione delle scelte, si trova ad essere intrinsecamente collegato alle attività di istruzione e di formazione culturale. Ciò implica l’impossibilità dell’esistenza di una figura unica, caratterizzata da una professionalità specifica, che abbia la responsabilità totale di un processo di orientamento. La specializzazione in questo settore deve avvenire, come in quasi tutti gli altri dell’educazione, attraverso la relazione fra soggetti differenti e non attraverso la separazione unilaterale, con la conquista di un settore riservato. Sulla base di una concezione più “estesa” dell’attività di orientamento, è possibile affrontare meglio, con motivazioni non di tipo corporativo, la questione delle professionalità necessarie per l’orientamento e quella connessa, che riguarda la loro formazione. Se le attività di orientamento hanno diverse dimensioni e costituiscono un lungo processo di formazione, occorre definire le competenze che caratterizzano operatori professionisti per alcune di tali dimensioni e quelle che sono componenti della figura di professionista della formazione e dell’istruzione. Nel primo caso si tratta di competenze tecniche riguardanti, ad esempio, la produzione e la diffusione delle informazioni, il bilancio delle competenze e il counseling, e cioè gli strumenti per interventi specifici all’interno di un percorso formativo di orientamento. Nel secondo caso si tratta di com58 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO petenze riguardanti tutto il percorso, la responsabilità del quale resta pienamente alle istituzioni educative, scuole e università, e riguardano il rapporto fra insegnamento di contenuti disciplinari e orientamento, la formazione culturale che abilita ad orientarsi, la selezione e l’utilizzazione delle informazioni, il collegamento in rete di diverse azioni orientanti e la valutazione complessiva dei processi dal punto di vista degli interessi e delle traiettorie di vita degli studenti. Queste competenze sono oggi in varia misura componenti della professionalità dei docenti e devono essere attentamente considerate nella riprogettazione della loro formazione. Altre convergenze si sono verificate riguardo alla necessità di dare un assetto più stabile alle attività di orientamento, con un quadro di riferimento normativo a livello nazionale e un insieme di pratiche consolidate ed efficaci. Questa esigenza deve essere considerata con molta attenzione perché da un lato essa può esprimere un desiderio di ritorno ad una strutturazione rigida di tipo sistemico, con rapporti gerarchici e una prescrizione dall’alto di compiti e mansioni. Corrisponde, dall’altro lato, ad un processo in corso di stabilizzazione di alcune attività di orientamento, che diventano abitudini consolidate, forse proprio perché sono motivate da interessi forti, come l’acquisizione di studenti, l’impiego di personale e la cattura di risorse, che tuttavia non corrispondono neanche minimamente agli obiettivi riconosciuti dell’orientamento. È indubbio che già da ora sono necessarie delle configurazioni organizzative efficaci e dotate di senso, ma esse devono essere decise responsabilmente da tutti i soggetti che sono impegnati nelle varie dimensioni dell’educazione. Non si può fare a meno di questo principio generale in un periodo storico nel quale è stata lungamente richiesta e poi ampiamente realizzata l’autonomia degli istituti scolastici, delle università e delle amministrazioni pubbliche. L’autonomia si esprime attraverso la corresponsabilità di fronte ai giovani di una determinata società locale e nell’impegno ad un confronto continuo a livelli più generali per diffondere o recepire le soluzioni migliori. In questo modo sia l’identità di una singola istituzione che di una società locale vengono costruite in modo relazionale e non attraverso una separazione e delimitazione di “territorio di competenza”. Riguardo alla questione delle professionalità utili per l’orientamento mi sembra che le competenze più importanti siano quelle che permettono tali dinamiche relazionali. Inoltre, mi sembra che in questa prospettiva possa avere un ruolo strategico molto importante la funzione di coordinamento delle Province, se viene correttamente inteso e realizzato come un servizio utile all’integrazione di istituzioni autonome diverse fra loro e che devono valorizzare questa diversità nella loro relazione. 59 Risultati del lavoro della sessione CAPITOLO 3 Risultati del lavoro della sessione Un’altra convergenza è avvenuta riguardo all’importanza dei rapporti fra università e scuole. È stata sottolineata la necessità di una progettazione comune di attività che garantiscano la continuità dei percorsi formativi e un avvicinamento progressivo agli studi del livello superiore, da parte dei giovani, attraverso la costruzione di un progetto personale e la sua continua verifica. Uno sviluppo di rapporti di questo tipo fra istituzioni educative diverse potrebbe ridurre notevolmente le forme di “colonizzazione” e di subordinazione delle scuole, ma anche il disinteresse e la passività di alcuni insegnanti. Per quanto riguarda i rapporti delle istituzioni educative con il mercato del lavoro e con i soggetti economici, è stata sottolineata da alcuni l’importanza degli enti locali come soggetti capaci di garantire collegamenti efficaci e professionalità specifiche per alcune dimensioni dell’orientamento come il counseling o il bilancio delle competenze. Nonostante le convergenze sostanziali, che si sono percepite dalla lunga serie di interventi di partecipanti con caratteristiche differenti, nella realizzazione di attività di orientamento, realtà concreta di ogni giorno, si notano ancora difficoltà, ambiguità, inefficienze ed addirittura conflitti. Questa situazione, percepibile anche dall’insieme degli interventi alla sessione, come ho accennato in precedenza, non richiede una descrizione approfondita perché è oggetto dell’esperienza di tutti, ma può essere opportuno dedicargli qualche considerazione generale. Alcune considerazioni generali Considerando globalmente i risultati del lavoro della sessione, si notano notevoli convergenze e qualche sensazione di disagio, che rimanda all’esistenza di realtà contraddittorie. Perché la qualità delle riflessioni e delle concezioni o almeno la loro condivisione non si trasferiscono in un’operatività efficace? La prima causa che viene in mente è l’esistenza di interessi particolaristici ad “usare” l’orientamento, per avere più studenti, per impiegare del personale, per acquisire fondi e per avere il potere derivante dal controllare una struttura o un settore di attività. La presenza quasi esclusiva di questi interessi nuoce notevolmente alla “traduzione” in pratiche efficaci dei principi seppur condivisi. Esistono, tuttavia, a mio parere altri motivi che generalmente non sono presi in considerazione. Il primo consiste nella scarsa rilevanza pratica delle teorie attualmente diffuse riguardo all’orientamento e della loro eccessiva caratterizzazione derivante dalla psicologia. È un gran merito di questa disciplina avere affrontato da molto tempo la realtà dell’orientamento, ma la chiusura e la rigidità del settore disciplinare che si è costituito, non permettono di 60 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO utilizzare positivamente neanche i molti risultati positivi che esso ha prodotto. I limiti riguardano il fatto che sussiste un’eccessiva concentrazione sull’individuo e sulle tecniche di scelta, con la conseguenza che si ha molto spesso una eccessiva prescrittività delle indicazioni ed una “medicalizzazione” terapeutica dell’intervento sul singolo individuo. Queste rigidità potrebbero essere superate attraverso una “apertura” ad altre discipline ed attraverso un’interazione di fronte ad un oggetto unitario costituito da gruppi di giovani presenti in una determinata società. Penso tuttavia che la rigidità derivi soprattutto dal desiderio di avere il monopolio di un settore esclusivo di attività e della formazione di operatori professionisti riguardo a tale settore. In questo caso appare molto più difficile un’apertura, anche se risulta a maggior ragione necessaria. Un altro motivo delle attuali criticità dell’orientamento può essere individuato nei rapporti non facili fra le istituzioni “centrali” (Miur, Ministero del Lavoro, Crui e Conferenza delle Regioni, ad esempio), ciascuna delle quali cerca da un lato di costituire un nuovo sistema, nel quale le altre siano inserite e subordinate, e dall’altro di “orientare” l’orientamento, nel senso di imporre diffusamente la concezione e il tipo di attività che sono più congrue con le proprie caratteristiche. In base a quanto detto in precedenza, credo fermamente che oltre agli orientandi anche gli orientatori debbano essere messi in grado di orientarsi da se stessi, senza tutele né prescrizioni di alcun tipo. Un terzo motivo, infine, è rappresentato dalla pretesa di alcuni gruppi della categoria degli operatori, ancora non riconosciuta formalmente e quindi senza un albo professionale, di avere l’orientamento come proprio settore riservato di attività. Data la complessità e la multidimensionalità dei bisogni di orientamento, quando tale limitazione avviene, anche per la passività e la non assunzione di responsabilità da parte delle scuole e delle università, i risultati sono molto scarsi e spesso negativi, se l’intervento è necessariamente episodico e i giovani non sono seguiti nella loro evoluzione. Ad esempio una scelta, che non è più un calcolo ed una selezione di una fra alternative predisposte ma un progetto da realizzare, non può essere adeguatamente aiutata se i giovani non vengono preparati e se non sono accompagnati nella realizzazione progressiva del loro progetto. In sostanza, limiti della teoria, contrapposizioni istituzionali e interessi di categoria attenuano la rilevanza operativa di convergenza significative su principi di fondo. Per superare questa incongruenza sono disponibili due percorsi molto diversi fra loro, che configurano due possibili scenari per i prossimi anni, quando molto probabilmente avverrà un “consolidamento” dell’attuale fase di transizione. Il primo consiste in una “ri61 Alcune considerazioni generali CAPITOLO 3 Alcune considerazioni generali conduzione a sistema” dell’attuale complessità, attraverso una socializzazione forte e la definizione di ruoli strutturati gerarchicamente e corrispondenti ai valori interiorizzati nella socializzazione. Ciò può portare ad un nuovo sistema sociale integrato, nel quale non tutti possono avere la “chance di vita” di effettuare una mobilità ascendente e/o una realizzazione personale secondo le proprie aspirazioni, ma vi deve essere una struttura verticale di posizioni differenziate, alcune delle quali sono sovraordinate ed altre subordinate. In questo caso, il compito dell’orientamento rimane sostanzialmente quello di misurare le potenzialità di ciascuno e di indirizzare verso la posizione più corrispondente alle caratteristiche date di un individuo. Uno scenario alternativo è costituito da uno sviluppo di competenze comportamentali e relazionali che mettano in grado i giovani di avere un progetto e di realizzarlo, sulla base della conoscenza di se stessi e dell’ambiente nel quale vivono. La formazione di individui e di cittadini di questo tipo può corrispondere a una trasformazione della democrazia rappresentativa in democrazia deliberativa, con uno sviluppo dell’autonomia della società civile ed una crescita di sfere pubbliche della comunicazione mirata all’intesa fra diversi su questioni rilevanti comuni. Si tratta di una concezione della società come complessa, decentralizzata e inclusiva, intendendo per inclusione non l’assimilazione ma il riconoscimento reciproco. È ovvio che questa concezione ha qualche carattere utopico rispetto ad una visione realistica della situazione storica attuale, ma può essere una di quelle utopie che sono anticipazioni di un futuro possibile. La sensazione di una connotazione utopica diminuisce se si è convinti della impossibilità di un ritorno al sistema e se non appaiono altre alternative a tale sistema o alla progressiva disgregazione di ogni forma di identità e di società. Molte indicazioni normative ed i movimenti reali delle situazioni concrete sembrano muoversi verso questa direzione. L’autonomia amministrativa, didattica e di ricerca, la rete come modello organizzativo alternativo al sistema, la progettazione dell’offerta formativa ed il rapporto con il mondo del lavoro sono realtà ampiamente diffuse, che possono avere delle derive negative, ma ormai costituiscono un tessuto istituzionale e relazionale che è difficile negare totalmente. L’orientamento concepito come lungo processo formativo e le convergenze registrate nei lavori della sessione possono aiutare un’evoluzione positiva verso una realizzazione più consolidata delle indicazioni normative ponendo come punto di riferimento costante la centralità dei giovani nei processi educativi. Devono essere, tuttavia, affrontate e risolte le questioni generali indicate in precedenza. Forse la contrapposizione di posizioni diverse attraverso dibattiti generali è ormai ripetitiva e sterile. Può essere utile un 62 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO confronto su temi maggiormente concreti, come l’uso della telematica nelle attività di orientamento, le forme di comunicazione organizzativa realmente praticabili nelle situazioni locali, l’ascolto e l’individuazione dei bisogni reali dei giovani e le modalità di verifica responsabile e di autovalutazione delle attività realizzate. L’indicazione ad abbandonare disquisizioni verbali per affrontare problemi ed aspetti concreti prima di un ritorno, più sereno ed efficace, ad una riflessione teorica sull’orientamento fondata empiricamente sembra il risultato più significativo desumibile dai risultati del lavoro della sessione. 63 Alcune considerazioni generali CAPITOLO 3 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico 3.2 LA VALUTAZIONE NELL’ORIENTAMENTO NEL CONTESTO SCOLASTICO di Santo Di Nuovo1 Per affrontare il tema della valutazione nell’orientamento scolasticoprofessionale bisogna porsi alcune domande: Perché valutare? Cosa valutare? Come? Chi compie la valutazione? Le risposte sono diverse a seconda del modello di orientamento cui ci si riferisce (cfr. Soresi, 2000; Grimaldi, 2002; Di Nuovo, 2003). Nel modello che vede il counseling orientativo come consiglio nell’imminenza della scelta, le ragioni e gli obiettivi della valutazione attengono alla corrispondenza ideale tra caratteristiche del soggetto e contenuti e richieste della formazione o del lavoro verso cui si orienta. Oggetto della valutazione saranno competenze, attitudini, interessi, aspetti di personalità rilevanti per la scelta. Strumenti di elezione sono i test psicodiagnostici, ed esistono al riguardo ottimi strumenti alcuni dei quali ben consolidati nella pratica (l’Inventario degli Interessi Professionali di Kuder IIP, adattamento italiano di Poláček, 1979; il Differential Aptitude Tests, DAT5, adattamento italiano del 1998; i Big Five Questionnaires adattati per l’Italia da Caprara e coll., 1993), altri di recente messa a punto e taratura: cito fra i tanti il questionario WIS/SVP Scala dei valori professionali (Trentini, Bellotto, Bolla, 1999), i test raccolti nelle batterie Magellano (Soresi e coll. 1998)2. Questi strumenti vanno utilizzati dallo psicologo, che poi ne restituisce i risultati agli “utenti”: il soggetto che deve scegliere, la sua famiglia, i docenti. Nel modello in cui l’orientamento è centrato sulla consulenza al processo di educazione alla scelta, o di ri-orientamento delle scelte precedentemente compiute, i momenti di informazione e di assessment vengono accompagnati da un intervento durante tutto l’arco del percorso scolastico che veda protagonisti i docenti e gli stessi studenti, con l’ausilio e il counseling degli specialisti dell’orientamento (Domenici, 1999; Di Fabio, 2002; Scandella e al., 2002). Ci si pone in un’ottica longitudinale, e quindi occorre conoscere le premesse, seguire l’evoluzione ed accertare gli esiti di questo percorso formativo. L’obiettivo della valutazione orientativa è far acquisire allo studente 1 Ordinario di Psicologia, docente di Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Catania. 2 Si vedano, per una recente rassegna, i volumi di Mancinelli (1998), Boncori e Boncori (2002). 64 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO la conoscenza e la consapevolezza di sé e delle variabili psicologiche implicate nei processi di scelta; indispensabile premessa da integrare con le conoscenze sulle condizioni del mercato del lavoro e dei curricola concretamente offerti dall’istruzione post-secondaria per raggiungere le mete lavorative, nonché con un lavoro di formazione al decision-making. Da questa integrazione ciascun giovane, con l’aiuto degli esperti in orientamento, ricaverà gli elementi necessari per una scelta ponderata e proficua, che è la meta dell’auto-orientamento “guidato” secondo il modello oggi più diffuso nella scuola. Questo modello di orientamento implica l’accertamento di: • quali aspetti entrano in gioco più o meno consapevolmente quando si compiono delle scelte formative e/o lavorative; • quali sono i fattori che assumono maggiore importanza per lo studente quando compie le proprie scelte; • quali dimensioni personali costituiscono per lo studente punti di forza e di debolezza nell’ambito della scelta. Oggetto della valutazione saranno i bisogni, i valori e le preferenze (area motivazionale); la percezione delle capacità possedute, del sé reale ed ideale – come si è e come si vorrebbe essere – l’identità sociale e professionale; le competenze sociali e gli stili decisionali. Più in dettaglio, la valutazione deve riguardare: 1) Aspetti soggettivi delle competenze e degli interessi: • autopercezione delle proprie competenze e abilità; • valori relativi al lavoro; • interessi e preferenze su letture, hobby, materie di studio. 2) Informazioni sulla riuscita e la soddisfazione scolastica: • discrepanza tra impegno e rendimento; • metodologia di studio. 3) Atteggiamento, generale e specifico, verso le scelte: • capacità di problem-solving; • stili decisionali; • aspettative rispetto al corso di studi post diploma; • attribuzione d’importanza alle componenti della scelta; • ipotesi di scelta già effettuate o elementi di indecisione. 4) Variabili di adattamento: caratteristiche della persona che possono ostacolare la relazione con altre persone o gruppi sociali influenzando le scelte e l’adattamento allo studio e al lavoro: • non assertività: tendenza ad usare stili comunicativi passivi anziché affermativi; • impulsività: tendenza ad agire “d’istinto” senza preoccuparsi delle conseguenze; • atteggiamento narcisistico: focalizzazione sul sé e sui propri biso65 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico CAPITOLO 3 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico gni, trascurando le esigenze degli altri e del contesto; • preoccupazione per l’immagine sociale: eccessiva attenzione al giudizio degli altri, che condiziona le proprie scelte; • ansia in situazioni sociali: condizione di tensione che si verifica quando la persona viene valutata e teme giudizi negativi; • ‘locus of control’esterno: tendenza ad attribuire all’esterno di sé le cause dei propri successi/insuccessi; • tendenza a deprimersi davanti agli insuccessi e alle frustrazioni; • presenza di problemi psicosomatici; • percezione di pressioni ambientali e familiari. 5) Valutazione della percezione di sé e dell’autostima. La descrizione del sé focalizza tre aspetti descritti più ampiamente nell’allegato 1; dalla loro positiva interazione dipende l’autostima e da quest’ultima – in relazione alle percezioni delle proprie capacità e alle aspettative – la sensazione di autoefficacia. Queste caratteristiche sono essenziali per indirizzare e sostenere la scelta e, successivamente, per perseguire gli obiettivi che la scelta intende raggiungere. Allegato 1: Valutazione delle dimensioni del Sé e loro relazioni Tra gli strumenti di valutazione messi a punto all’interno del progetto di orientamento educativo del Centro di Orientamento e Formazione dell’Università di Catania, è stato utilizzato il ‘Differenziale Semantico’ come mezzo per la valutazione del Sé nelle sue diverse dimensioni. Tale tecnica mira a quantificare le reazioni affettive e cognitive suscitate da alcuni concetti-stimolo (in questo caso, le dimensioni del Sé reale, ideale e sociale); viene chiesto al soggetto di valutare ciascuno di essi su una serie di scale di aggettivi opposti (“polari”) ad es: forte-debole, aggressivo-pacifico, indicando, di volta in volta, a quale dei due polari il concetto si avvicina di più, e quantificando tale distanza su una scala a diversi livelli. Ai fini dell’intervento orientativo, i concetti che vengono fatti valutare sono tre: “IO, COME SONO” (immagine del Sé reale) “IO, COME VORREI ESSERE” (immagine del Sé ideale) “IO COME PENSO CHE GLI ALTRI MI VEDONO” (immagine del Sé sociale). 66 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico Studi empirici che hanno utilizzato questa tecnica3 hanno permesso di evidenziare tre “fattori” principali: • Energia e dinamicità, percezione di sé come persona sostanzialmente attiva nell’orientamento verso la vita (fattore E). • Affettività positiva, percezione di sé come persona capace di sentimenti ed affetti che favoriscono un rapporto soddisfacente con gli altri, quali tolleranza, altruismo, apertura (fattore A). • Stabilità emotiva, percezione di un assetto emotivo caratterizzato da calma, tranquillità, ordine interiore e riflessività (fattore S). Nella valutazione è importante considerare la combinazione tra i punteggi nei fattori, ad esempio: • Elevata affettività positiva (A+) congiunta a bassa energia (E-) caratterizza una persona passiva e dipendente dagli altri. • Bassa affettività positiva (A-) associata ad elevata energia (E+) qualifica un soggetto eccessivamente duro e competitivo, sostanzialmente egocentrico. • Scarsa stabilità emotiva (S-) insieme ad alta dinamicità (E+) comporta un atteggiamento verso la vita frenetico e a rischio di elevato grado di stress. • Bassa energia (E-) associata a scarsa stabilità emotiva (S-) facilita l’emergere di atteggiamenti ansiosi. Il confronto tra la dimensione reale e quella ideale del sé è importante perché definisce l’auto-stima, tanto più elevata quanto più i due profili si avvicinano. Il confronto con il sé sociale percepito è indicatore dell’integrazione nel contesto rispondendo a ciò che si pensa esso si aspetti e richieda. L’interazione fra le dimensioni del sé e la auto-stima con la percezione delle competenze caratterizza l’aspettativa di successo o “self-efficacy”. Gli strumenti per la valutazione delle variabili sommariamente elencate non possono consistere soltanto in test psicometrici, ma devono includere anche schede criteriali, contestualizzate alla tipologia di soggetti e al luogo dove la valutazione deve avvenire. Le schede criteriali si differenziano dai test veri e propri in quanto, pur conservando la standardizzazione degli stimoli, sono più flessibili 3 Una presentazione più ampia e una taratura dello strumento in un ampio campione di studenti è contenuta nel volume a cura di Di Nuovo (2003). 67 CAPITOLO 3 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico nelle consegne, nella possibilità di feedbacks, nella stimolazione della motivazione che possono essere adattate al singolo soggetto, secondo le esigenze del momento e del contesto. Il “criterio” di valutazione è riferito non solo al campione normativo – come avviene nei test psicometrici – ma all’obiettivo che l’operatore si propone di raggiungere con quel soggetto. Egli stesso quindi può finalizzare le prove al contesto in cui si trova a lavorare, tenendo conto degli scopi specifici e della peculiare situazione ambientale. Una volta stabiliti gli obiettivi (ad esempio, il piano di orientamento per un singolo istituto o per una “rete” di scuole dalle caratteristiche similari), le stesse schede serviranno per la verifica periodica e per il monitoraggio degli effetti del piano programmato. Le schede criteriali possono essere autosomministrate, oppure proposte dai docenti o altri operatori, supportati dai counselor di orientamento, che possono agire anche per via telematica in modo da ridurre significativamente le distanze e i costi. La valutazione, in accordo con gli scopi del progetto, è molto semplice e può essere effettuata dallo stesso counselor: in genere, il docente-tutor dell’orientamento nella scuola, con il supporto dell’équipe del Centro consulente (nella nostra esperienza, il Centro di Orientamento e Formazione dell’Università). Una volta effettuato lo scoring analitico e valutati i fattori di sintesi, il counselor ha a disposizione i dati essenziali di supporto al lavoro di orientamento educativo. Una particolare attenzione è necessaria nei casi particolari in cui i punteggi in aree significative del questionario di adattamento risultano fuori range, oppure si rilevano incongruenze fra i diversi aspetti valutati, sia negli indicatori analitici, sia per quanto riguarda i fattori derivanti dalle relazioni tra le aree. Per esempio: • l’area di interessi emergente contrasta palesemente con le competenze auto-valutate, o con i valori, o con le aspettative relative al corso di studi; • le preferenze manifestate sono chiaramente discrepanti con il tipo di studi cui il ragazzo intenderebbe avviarsi; • le caratteristiche della percezione di sé e dell’autostima, o l’adattabilità alle relazioni sociali, non supportano adeguatamente le aspirazioni di realizzazione lavorativa; e così via. Nei casi in cui le discrepanze riguardano l’autovalutazione delle competenze e l’effettivo rendimento scolastico, oppure le abilità prevalentemente manifestate e quelle richieste nel tipo di studi universitari verso cui lo studente si orienta; o ancora, se l’incertezza riguarda corsi di studio molto diversi tra loro, può essere utile un approfondimento psi68 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO cometrico della struttura attitudinale. Questo approfondimento può essere compiuto secondo le modalità che la istituzione scolastica, nei suoi organi collegiali, in accordo con lo studente e la sua famiglia, ritiene più opportune. Se i problemi sono attinenti alle caratteristiche psicologiche e di adattamento, il confronto del counselor con lo psicologo dell’équipe di supporto assume importanza fondamentale. Anche in questo caso va programmato, ovviamente se lo studente e la sua famiglia sono consenzienti, un approfondimento finalizzato all’esplorazione delle dinamiche intrapsichiche e relazionali, che può essere compiuto anche presso il centro di Counseling psicologico e psicopatologico dell’Università, oppure avvalendosi dei servizi consultoriali esistenti nel territorio. In questi casi “difficili” il lavoro di orientamento educativo assume una funzione importantissima di screening per l’incremento del benessere psichico e per la prevenzione di forme di disadattamento successive. Da quanto detto emerge chiaramente che i counselor di orientamento presenti nella scuola devono ricevere a loro volta una formazione specifica ed adeguata ai bisogni della mansione e al loro percorso di provenienza. La scommessa attuale dell’orientamento consiste proprio nella formazione di operatori in grado di gestire un modello flessibile e complesso di counseling orientante, cogliendo i punti d’incontro e di convergenza fra elementi diversi e garantendo i punti di continuità fra scuola, università e mondo del lavoro. Riferimenti bibliografici Boncori, L., Boncori, G. (2002). L’orientamento. Metodo, tecniche, test. Carocci, Roma. Caprara, G.V., Barbaranelli, C., Borgogni L. (1993). BFQ, Big Five Questionnaire. O.S., Firenze. Bennett, G.K., Seashore, H.G., Wesman, A.G. (1998). Differential Aptitude Tests - 5ª edizione, ed. it. O.S., Firenze. Di Fabio, A.M. (2002), Bilancio di competenze e orientamento formativo. Il contributo psicologico. O.S., Firenze. Di Fabio, A.M. (2003), Counseling e relazione d’aiuto. Linee guida e strumenti per l’autoverifica. Giunti, Firenze. Di Nuovo, S. (a cura di) (2003). Orientamento e formazione. O.S.-ITER, Firenze. Domenici, G. (1999). Manuale dell’orientamento e della didattica modulare. Laterza, Roma. 69 La valutazione nell’orientamento nel contesto scolastico CAPITOLO 3 Grimaldi, A. (2002). Orientamento: modelli, strumenti ed esperienze a confronto. FrancoAngeli, Milano. Mancinelli, M. R. (1998). I test in orientamento. Vita e Pensiero, Milano. Poláček, K. (1979). Inventario degli interessi professionali, O.S., Firenze. Scandella, O., Bellamìo, D., Ricciarelli, E., Vimercati, M. (2002). La scuola che orienta. Percorsi, ruoli, strumenti. La Nuova Italia-RCS, Milano. Soresi, S. (a cura di) (1998). Magellano Campus: Orientamento alla scelta del curriculum universitario. O.S., Firenze. Soresi, S. (a cura di) (2000). Orientamenti per l’orientamento. O.S.-ITER, Firenze. Trentini, G., Bellotto, M., Bolla, M.C. (1999). WIS/SVP Scala dei valori professionali. O.S., Firenze. 70 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO 3.3 “A SCUOLA MI ORIENTO”: UNA PRATICA DI ORIENTAMENTO di Angela Barruffi1 La presente ricerca si inserisce in una filiera di attività Isfol relative all’orientamento scolastico, avviato ormai da alcuni anni (Grimaldi, 2002; Grimaldi, Porcelli, 2003; Grimaldi, Amendola, Montalbano, 2004). In particolare, quest’ultima ricerca nasce con l’obiettivo di rispondere all’esigenza degli insegnanti di Scuola Media Superiore di sentirsi maggiormente coinvolti e competenti nelle pratiche orientative dei loro studenti. A tal proposito è stato progettato un percorso di orientamento erogabile dagli insegnanti stessi e realizzabile all’interno del contesto scolastico a cui è stato dato il nome di “A scuola mi oriento”2. Il percorso si basa sul presupposto che l’orientamento nella scuola deve proporsi come obiettivo primario la promozione di competenze auto-orientative nei giovani. In tale ottica non può quindi essere considerato come un intervento circoscritto in un arco di tempo ma deve configurarsi come un itinerario diacronico il cui obiettivo più generale è quello di incrementare l’auto-efficacia dello studente e, di conseguenza, la sua capacità di auto-orientarsi nel proprio spazio di vita. I fondamenti teorici del percorso di orientamento sono individuabili in un modello socio-cognitivo (Grimaldi, Rossi, 2004) i cui presupposti culturali si basano sull’analisi dei processi di attribuzione di significato che i soggetti mettono in atto per comprendere la realtà che li circonda al fine di potersi attivare nei processi di scelta. In questo senso, il processo di orientamento è inteso come un’azione che favorisce l’accrescimento della consapevolezza di sé e supporta lo sviluppo di competenze che consentono al giovane di costruire autonomamente il proprio percorso di scelta. In questa direzione, le dimensioni identificate come pregnanti per l’assunzione di un ruolo attivo da parte dei soggetti e che devono pertanto essere valorizzate ed eventualmente incentivate sono: • coping; • autoefficacia; 1 2 Collaboratrice Isfol, Area Politiche per l’orientamento. Il lavoro si colloca nell’ambito dei lavori realizzati dall’Isfol “Area Politiche per l’orientamento” di cui è responsabile Anna Grimaldi, in collaborazione con la società Studio Staff R.U. di Roma. Il gruppo di lavoro, coordinato da Anna Grimaldi, è stato composto da: Anna Grimaldi, Marco Amendola, Angela Barruffi, Sabrina Marciano, Giuseppa Montalbano e Rita Porcelli per l’Isfol; Silvano Del Lungo, Emiliana Alessandrucci, Antonella Capurzo, Roberto Diurno, Sacha Rascelli e Alessandra Repaci per Studio Staff. 71 CAPITOLO 3 “A scuola mi oriento”: Una pratica di orientamento • stili di apprendimento; • motivazioni, atteggiamenti e valori; • monitoraggio del mercato e delle professioni. Risulta articolato in 4 moduli, suddivisi in 9 tappe di 2 ore ciascuna ed è realizzabile in un arco di tempo variabile a seconda della frequenza degli incontri con cui si decide di metterlo in atto. In totale non si superano, comunque, i due mesi e mezzo circa. Ogni modulo è focalizzato su un paio di dimensioni specifiche: il primo sull’analisi della domanda di orientamento e sulla condivisione degli obiettivi del percorso, il secondo sulle strategie per affrontare le situazioni, il sentimento di autoefficacia e la valorizzazione delle proprie risorse personali, il terzo sugli stili di apprendimento e di rielaborazione delle informazioni e il quarto sull’analisi delle proprie motivazioni e valori relativi al percorso di studi e lavoro e sull’incremento della capacità di progettare il proprio itinerario scolastico individuale. Mostriamo in tabella 1 la struttura del percorso. La sperimentazione del percorso si è articolata in diverse fasi distinte per obiettivi e modalità di gestione, quindi: formazione e avvio; realizzazione; valutazione. Nella fase formativa e di avvio in seguito alla progettazione del percorso sono stati contattati e coinvolti i Presidi delle scuole candidate a realizzare la sperimentazione al fine di condividere il percorso e valutarne l’effettiva realizzabilità. Una volta condiviso il progetto ogni Preside ha indicato gli insegnanti che avrebbero partecipato alla sperimentazione. A questi sono state dedicate quattro giornate di formazione sul percorso, concepite come laboratori professionali al fine di agevolare la discussione, la partecipazione e la messa in gioco in prima persona. In particolare, ognuna delle quattro giornate ha visto alternarsi momenti esperienziali, momenti di riflessione guidata sull’esperienza vissuta dai partecipanti e momenti di sistematizzazione teorica dei contenuti trattati: alternanza che, nelle linee di fondo, ricalca quella prevista dai moduli di orientamento che gli insegnanti stessi avrebbero attivato con i propri studenti. Inoltre, al termine di ciascuna giornata, al fine di facilitare, nei partecipanti, l’immediato collegamento concettuale ed operativo tra l’esperienza formativa e l’attività orientativa che essi avrebbero condotto, è stato dedicato uno spazio alla presentazione delle schede-attività e degli strumenti da utilizzare nel percorso. Pertanto, all’illustrazione dettagliata delle attività seguiva, in misura proporzionale all’esigenza di chiarimento ed approfondimento dei partecipanti, un confronto con lo staff, orientato a delucidare e mettere a fuoco le dimensioni più significative e le misure metodologiche rilevanti ai fini di una corretta conduzione delle attività di orientamento con gli studenti. 72 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO “A scuola mi oriento”: Una pratica di orientamento Tabella 1. Il Percorso “A scuola mi oriento”: la struttura modulare Modulo 1. La mia storia - Le mie domande Obiettivi: Tappa 1 – creare il gruppo di lavoro favorendo la conoscenza reciproca; – ricostruire la storia formativa di ciascuno, ponendo le basi del suo sviluppo. Tappa 2 – analizzare la domanda di orientamento e condividere gli obiettivi del percorso attraverso l’esplicitazione delle proprie aspettative. Modulo 2. A caccia di risorse Obiettivi: Tappa 1 – stimolare l’analisi di situazioni significative per gli studenti al fine di individuare tutte le possibili strategie per affrontarle e tutte le risorse a propria disposizione. Tappa 2 – valorizzare le risorse personali in termini di caratteristiche personali, conoscenze, capacità al fine di incrementare il sentimento di auto-efficacia. Modulo 3. Stili a confronto Obiettivi: Tappa 1 – incrementare la conoscenza di sé attraverso l’autoconsapevolezza dei propri stili di: apprendimento, rielaborazione delle informazioni e di lavoro presenti nella classe. Tappa 2 – favorire la consapevolezza dei propri stili di lavoro diversificati in base al compito richiesto ed alla situazione. Modulo 4. Un ponte verso il futuro Obiettivi: Tappa 1 – favorire l’emergere delle motivazioni, dei valori relativi al lavoro e degli atteggiamenti relativi al futuro. Tappa 2 – incrementare le capacità di monitoraggio dell’ambiente circostante, incoraggiando l’iniziativa personale e la raccolta di informazioni. Tappa 3 – incrementare la capacità di progettare l’itinerario scolastico individuale. Nella fase di realizzazione le finalità sono state essenzialmente due: da un lato garantire la confrontabilità dei percorsi attraverso una funzione costante di tutorship da parte dell’équipe di ricerca; e dall’altro raccogliere ed analizzare i risultati ottenuti. Questa fase ha visto il coinvolgimento di diversi attori: • 12 prime classi, 2 per ognuno dei 6 Istituti di scuola media superiore, diversi per tipologia formativa, coinvolti nella sperimentazione. A 6 delle 12 classi (126 soggetti), considerate il campione sperimentale, è stato proposto il percorso di orientamento “A scuola mi oriento”, le rimanenti 6 (132 soggetti) hanno rappresentato il campione di controllo. A tutte le 12 classi, indipendentemente dalla parteci73 CAPITOLO 3 “A scuola mi oriento”: Una pratica di orientamento pazione al percorso, prima e dopo l’intervento orientativo è stata somministrata una batteria di strumenti. • 20 insegnanti, di questi, sebbene tutti abbiano partecipato alla formazione e alle riunioni di monitoraggio, coordinamento e valutazione, solo 6 hanno sperimentato in prima persona il percorso nella scuola. È bene sottolineare che, solo in questa fase sperimentale, al fine di evitare che variabili correlate, quali ad esempio l’instaurarsi di una modalità relazionale più dialettica e partecipativa tra insegnanti e allievi, che avrebbe caratterizzato anche le normali attività didattiche e potuto influire sui risultati, si è convenuto di far realizzare il percorso da un insegnante diverso da quelli della classe. • L’équipe di ricerca e il gruppo dei tutor che hanno sostenuto e facilitato il compito degli insegnanti, supportandoli nelle fasi più significative del percorso. I tempi della fase di realizzazione sono stati mediamente di 2 mesi e mezzo. La fase di valutazione si è posta l’obiettivo di verificare: • l’efficacia e il gradimento dell’iniziativa da parte dell’utenza diretta con la somministrazione di un questionario costruito ad hoc; • l’efficacia e il gradimento dell’iniziativa da parte degli insegnanti attraverso la conduzione di un focus group; • l’eventuale modifica di alcune dimensioni attraverso il confronto tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo; • il grado di applicabilità e replicabilità del modello proposto attraverso il confronto tra i diversi attori. Il percorso nel suo complesso è risultato particolarmente gradevole ed efficace, sia da parte degli allievi, sia da parte degli insegnanti. Questi ultimi in più di un’occasione hanno sottolineato il valore aggiunto di una tale esperienza in termini formativi e di accrescimento della propria professionalità; in termini di efficacia immediata dell’intervento sui singoli partecipanti nel processo di conoscenza di sé e del contesto scolastico e sociale di riferimento; in termini di efficacia sul gruppo classe sia a livello di clima e di comunicazione sia a livello di strategie didattiche. Inoltre le analisi statistiche effettuate sul campione complessivo evidenziano cambiamenti in accordo con le ipotesi di partenza nella direzione di un maggiore incremento di strategie attive di coping nel gruppo sperimentale. In particolare, si evidenziano cambiamenti significativi positivi tra prima e dopo la sperimentazione nelle classi che hanno partecipato al percorso, sulle dimensioni del coping, nel senso di un verificato aumento del ricorso a strategie di “analisi e valutazione della situazione” e diminuzione di “autocolpevolizzazione-autocritica” all’interno del campione femminile e un minore utilizzo di 74 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO strategie di “evasione-evitamento” nei licei e negli istituti tecnici. Il gradimento dell’iniziativa è stato, nell’insieme, medio-alto. La messa a regime del percorso con la disseminazione della pratica e la sua diffusione nel sistema scolastico rappresenterebbe certamente un primo contributo per la definizione di una cultura comune e di un modello di orientamento da realizzare in ambito scolastico ad opera degli stessi insegnanti. In tale ottica progetti che vedano la scuola impegnata in percorsi orientativi sin dai primi anni dovrebbero tener conto di differenziare l’offerta in relazione sia ai destinatari, con riferimento alle diverse caratteristiche e alla diversa domanda/bisogno degli studenti sia agli obiettivi, da articolare differentemente a seconda delle caratteristiche evolutive della popolazione target su cui impostare l’intervento e delle caratteristiche culturali ed organizzative dei vari Istituti. Sulla base di tali presupposti l’offerta potrebbe ulteriormente articolarsi sia per contenuti, ad es. attività informative, esperienze pratiche di lavoro, ma anche attività finalizzate al potenziamento di auto-consapevolezza, competenze decisionali e progettuali, etc., sia relativamente alla metodologia e agli strumenti. Allo stesso tempo la definizione di un modello orientativo da realizzarsi interamente nei contesti scolastici potrebbe rappresentare una spinta verso la riflessione culturale sulla definizione di un ruolo di orientatore/tutor in ambito scolastico, definendone puntualmente funzioni, compiti e competenze, organizzandole in un modello integrato, in relazione anche alla dimensione organizzativa, sia a livello interno, concernente le relazioni tra insegnanti, tutor ed altre figure, sia a livello esterno relativamente ai rapporti dell’Istituto con i soggetti esterni l’organizzazione di appartenenza. Riferimenti Bibliografici Castelli, C., Venini, L., (1996). Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2002). Analisi della domanda di orientamento: i bisogni emergenti di giovani allievi italiani. FrancoAngeli, Milano Grimaldi, A. (a cura di) (2003). Orientare l’orientamento, FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Porcelli, R. (a cura di) (2003). L’orientamento a scuola: quale ruolo per l’insegnante, FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Amendola, M., Montalbano, G. (a cura di) (2004). Dalla domanda di orientamento alle strategie di azione degli insegnanti. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A., Rossi, A. (a cura di) (2004). PassoallaPratica. Una pratica 75 “A scuola mi oriento”: Una pratica di orientamento CAPITOLO 3 Isfol di consulenza orientativa. Isfol Editore, Roma. Grimaldi, A. (2005). Editoriale. Osservatorio Isfol. Anno XXVI volume 4 Guichard, J., Huteau, M. (2003). Psicologia dell’orientamento professionale, teorie e pratiche per orientare la scelta negli studi e nelle professioni. Raffaello Cortina Editore, Milano. Pombeni, M.L. (1990). Orientamento scolastico e professionale. Un approccio socio- psicologico. Il Mulino, Bologna. 76 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO 3.4 PROGETTI “PONTE” DI ORIENTAMENTO ATTIVO TRA SCUOLA E UNIVERSITA’ IN LOMBARDIA di Cristina Castelli1, Rita Bramante2, Diego Boerchi3 La sfida della scelta universitaria Il periodo che va dai 14 ai 19 anni costituisce un momento cruciale nel percorso di crescita dell’individuo, che affronta progressivamente una serie di compiti di sviluppo propri dell’adolescenza e del passaggio all’età adulta (Castelli, 2002). È proprio nella fase più matura di questa transizione che l’adolescente studente si trova davanti, tra gli altri, a un banco di prova impegnativo, cioè quello della scelta scolastica o professionale in uscita dalla scuola secondaria di secondo grado, dell’assunzione di decisioni significative relative al proseguimento degli studi o all’ingresso nel mondo del lavoro. Il momento della scelta rappresenta un passaggio difficile e carico di ansia, soprattutto oggi in un contesto socioculturale in cui l’informazione è spesso sovrabbondante, ma non sempre decodificabile con facilità, e in cui le opportunità di scelta si moltiplicano e crescono in maniera esponenziale (Castelli, Sbattella, 2004). La gamma di scelte sempre più ricca e diversificata accresce infatti in qualche misura il rischio di sbagliare e di scegliere sulla base di stereotipi o pregiudizi che nel breve e medio periodo rivelano tutta la propria fragilità (Mancinelli, 2002). Con la Riforma Universitaria l’offerta formativa di ciascun ateneo si è arricchita notevolmente e in genere gli studenti, pur avendo possibilità di scelte più ampie, possono incontrare incertezze maggiori rispetto al passato, soprattutto nell’individuare i legami tra formazione accademica e attività professionali offerte e richieste dal mercato del lavoro. Negli ultimi anni i diversi soggetti istituzionali che a vario titolo si occupano dell’orientamento degli studenti – scuole autonome, università, enti locali, associazioni d’impresa e del privato sociale – non si sono sottratti all’impegno di aiutare il giovane ad orientarsi, di accompagnarlo nel1 Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo, Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore Milano. 2 Ricercatore Ministero della Pubblica Istruzione Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica - ex IRRE Lombardia. 3 Professore a contratto di Psicologia dei Processi di Orientamento, Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. 77 CAPITOLO 3 La sfida della scelta universitaria la progressiva identificazione, elaborazione e attuazione di un progetto futuro; il limite di molte esperienze è stato, però, quello di esaurirsi in momenti di tipo informativo, senza arrivare davvero ad offrire stimoli e opportunità di conoscenza e di messa alla prova delle proprie attitudini, interessi e motivazioni (Castelli, 2002). In questo compito alla scuola e all’università spetta una sfida importante, un impegno educativo al quale non possono venir meno, cioè quello di predisporre percorsi orientativi che si qualifichino per la continuità, per l’attenzione ai bisogni reali degli utenti e per l’impegno a creare le precondizioni necessarie affinché non soltanto la scelta possa avvenire in maniera consapevole, ma soprattutto possa essere sostenibile e avere garanzie di tenuta nel tempo (Pombeni, 1990). Negli anni Novanta la scuola ha cominciato ad affrontare con crescente attenzione la problematica dell’orientamento: numerose leggi, direttive e circolari – a partire da quelle sull’educazione alla salute, sulla prevenzione del disagio giovanile e sulla continuità educativa, per arrivare a quelle sull’autonomia scolastica e alle nuove norme generali sull’istruzione4 – hanno rappresentato e continuano a costituire un punto di riferimento importante e un’effettiva risorsa per la progettualità in materia di orientamento. In tema di orientamento la scuola si avvia a superare l’autoreferenzialità e si apre al dialogo con gli altri soggetti che sul territorio fanno formazione con l’obiettivo di realizzare progetti che possano realmente qualificarsi come integrati, così come integrata dovrebbe essere l’offerta formativa territoriale. La strada da percorrere non è semplice e non è già tracciata in maniera univoca, ma, parafrasando Morin (2000), “bisogna accettare di camminare anche senza sentiero, di tracciare il sentiero nel camminare”. Dialogo tra scuola e università in Lombardia Il sistema formativo lombardo si qualifica per un insieme di aspetti che fanno della Lombardia una learning region di eccellenza e un laboratorio di innovazione e di sviluppo del servizio scolastico e formativo, capace di aggregare risorse e competenze e di accompagnare e sostenere con slancio e lungimiranza le fasi di transizione. Lo slogan “Lombardia regione universitaria” sintetizza in particolare la peculiare situazione di privilegio che consiste nella presenza sul territorio regionale di una ricca costellazione di Atenei pubblici e liberi, o privati. 4 Alcuni riferimenti normativi: D.M.339/92; C.M.257/94; L.59/97; D.M. 487/97; D.leg.vo 112/98; D.P.R.275/99; L.53/03 e relativi decreti delegati. 78 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO In questo contesto Università e scuole si sentono motivate a consolidare strutture di accoglienza caratterizzate da standard sempre più elevati, il più possibile alleggerite da un certo marketing accademico, e a conferire un forte impulso a tutte le attività di orientamento. Uno sforzo che deve tuttavia essere ulteriormente potenziato, in quanto se da un lato il sistema universitario dimostra di avere un forte appeal iniziale sugli studenti, successivamente si registra un preoccupante fenomeno di abbandono precoce degli studi da parte delle matricole. Non si possono ignorare infatti alcuni dati preoccupanti relativi all’andamento del nostro sistema universitario: su 100 immatricolati all’università arriva alla laurea il 61,1%, dato in sensibile e costante crescita negli ultimi anni, che rivela però una percentuale di abbandono, soprattutto iniziale, ancora significativa5. Secondo la letteratura in materia di orientamento le cause prevalenti della dispersione in ingresso all’università sembrano legate da un lato alla non coincidenza del percorso di studi prescelto con le aspettative e gli interessi e alla conseguente delusione dello studente di fronte a una realtà inattesa, ma anche alla mancanza di alcune competenze specifiche disciplinari e di competenze trasversali, aspecifiche e metacognitive, strategiche ed indispensabili per affrontare con successo il cammino universitario. Come espressamente indicato dalla Legge 53/2003 con riferimento all’ultimo anno del percorso di studi del secondo ciclo, lo sforzo comune della scuola e dell’università muove nella direzione di individuare d’intesa specifiche modalità per l’approfondimento delle conoscenze, delle competenze e delle abilità richieste per l’accesso ai corsi di studio universitari6. In questa direzione una strategia che è sembrato opportuno sperimentare è quella di creare occasioni di presocializzazione con l’università, grazie alle quali i giovani possano costruire progressivamente la consapevolezza delle future scelte formative e professionali. Progetti pilota di orientamento attivo Gli Atenei lombardi, come si è detto, hanno moltiplicato nell’ultimo decennio gli sforzi per sviluppare attività di orientamento e tutorato te5 Rapporto Comitato Nazionale del Sistema universitario 2004 http://www.cnvsu.it/publidoc/datistat/default.asp 6 Legge 28 marzo 2003, n. 53 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”. Si veda anche l’Appendice normativa con un estratto dei Decreti Delegati di recente emanazione. 79 Dialogo tra scuola e università in Lombardia CAPITOLO 3 Progetti pilota di orientamento attivo se ad offrire soluzioni diverse, funzionali a rafforzare e rendere il più possibile precoce il dialogo con la scuola superiore, a costruire una progressiva consapevolezza delle scelte formative e professionali degli studenti e a favorire una piena realizzazione del diritto allo studio: open days, campus territoriali, partecipazione a fiere e saloni, interventi presso le scuole, ecc. Molta strada è stata percorsa, ma molto resta ancora da compiere sul terreno del dialogo tra scuola e università: in questa direzione una frontiera innovativa è rappresentata dai progetti “ponte” di orientamento attivo, che chiamano in causa in prima persona gli studenti, rendendoli protagonisti di percorsi di autorientamento, di analisi delle proprie attitudini e potenzialità, di valutazione delle motivazioni profonde e di consolidamento di competenze strategiche indispensabili per affrontare con esiti soddisfacenti il cammino universitario. In tal senso il bisogno concordemente riconosciuto dagli atenei lombardi e dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia ha condotto nell’ultimo quadriennio a siglare protocolli d’Intesa che hanno definito un contesto articolato di collaborazioni grazie al quale è stata avviata, nel rispetto dell’autonomia delle scuole, la sperimentazione di soluzioni orientative innovative, di progetti pilota rivolti agli studenti della scuola secondaria di secondo grado, accompagnata dallo studio di strumenti concreti per migliorare la futura performance e assicurare un passaggio più agevole verso l’università7. È nato così un progetto quadro di orientamento attivo per gli studenti degli ultimi anni della scuola secondaria di secondo grado, all’interno del quale è stata condivisa l’ipotesi di costruire con i singoli atenei, ognuno in relazione al proprio know how specifico, un percorso progettuale con una matrice sostanzialmente unitaria, orientato a sviluppare occasioni di lavoro congiunto tra scuola e università in precisi ambiti disciplinari, sollecitando il protagonismo degli studenti all’interno di un processo dinamico, creativo e altamente individualizzato. Alcuni progetti “ponte” puntano a creare condizioni funzionali a consolidare, anche con il supporto di un tutor on-line, la preparazione in matematica di studenti potenzialmente orientati verso facoltà tecnico-scientifiche, facilitando l’acquisizione di competenze logico-matematiche adeguate attraverso un ambiente di apprendimento integrativo, complementare e non sostitutivo rispetto alla didattica in aula, coinvolgente e aperto anche alla socializzazione e all’interazione con i coetanei. Un progetto si propone di affinare le competenze di elaborazione di 7 80 http://www.istruzione.lombardia.it/conv/universita.htm ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO testi di diversa tipologia in lingua italiana, con un’attenzione particolare alla composizione del saggio breve previsto come prova di scrittura dall’esame di stato. Una settimana full-time di attività di orientamento e cultura universitaria offre ai migliori talenti delle classi quarte delle scuole superiori lombarde – che si distinguono per ottimo rendimento scolastico, vivacità intellettuale, curiosità e apertura mentale, creatività e spirito di iniziativa – la possibilità di esplorare le aree disciplinari caratteristiche delle facoltà di economia e giurisprudenza, di mettere alla prova la propria capacità di comunicare e di lavorare in team e di cimentarsi con modalità didattiche coinvolgenti e interattive, quali studi di caso, discussioni, simulazioni e problem solving. Agli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado a indirizzo commerciale e aziendale della Lombardia viene proposta anche la simulazione di un’azienda virtuale, attraverso un vero e proprio gioco economico basato sul principio del learning by doing, che ha come obiettivo lo sviluppo di un’impresa che abbia tutte le caratteristiche di quelle che agiscono sul mercato. Un ulteriore progetto “ponte” mette precocemente in contatto studenti che già studiano discipline del settore socio-sanitario con i possibili sbocchi formativi e professionali socialmente utili. I progetti “ponte” mirano a vincere le resistenze di chiusura di sistemi di per sé autoreferenziali, creando un’interazione organica tra università e sistema scolastico, con la finalità di garantire maggiore coerenza e continuità tra i livelli precedenti della formazione e la formazione universitaria. Nei progetti “ponte” è facilmente riconoscibile una serie di obiettivi trasversali comuni, riconducibili ad un condiviso approccio pedagogico: si tratta infatti di esperienze che appaiono singolarmente attive, che aspirano ad un coinvolgimento degli studenti grazie all’animazione e all’originalità delle situazioni, che risulta leva efficace per richiedere impegno, autodisciplina e capacità collaborativa. I progetti ponte si propongono tra gli altri i seguenti obiettivi: • favorire l’interazione, la socializzazione e la cooperazione, ma anche la competizione positiva tra gli studenti; • favorire l’apprendimento collaborativo e il learning by doing; • stimolare capacità di espressione e comunicazione assertiva nell’ambito del lavoro di gruppo; • sviluppare la capacità di realizzare iniziative anche in termini creativi e innovativi; • affinare la capacità di progettazione e gestione del tempo; • sperimentare i vantaggi di un supporto cognitivo, emotivo e motivazionale da parte di un tutor; • incrementare la possibilità di conoscere altri studenti della stessa età 81 Progetti pilota di orientamento attivo CAPITOLO 3 Progetti pilota di orientamento attivo e di confrontarsi sulle diverse realtà, esperienze e aspirazioni. Ognuno dei progetti presenta inoltre obiettivi specifici che riguardano l’acquisizione o l’incremento e il consolidamento di competenze in precisi ambiti disciplinari (matematica, italiano scritto, economia, diritto, bioscienze ecc.). Sviluppo e prospettive La sperimentazione fin qui realizzata ha consentito di avviare prime azioni di monitoraggio e valutazione dei percorsi previste dai singoli progetti; alcuni team di progetto hanno prodotto dettagliati rapporti conclusivi delle esperienze di ciascun anno, che forniscono un bilancio del percorso realizzato attento a punti di forza, difficoltà incontrate, ipotesi di ridefinizione o nuova articolazione della proposta per le successive edizioni. L’articolazione delle esperienze -unitamente alla convinzione che i tempi siano maturi per mettere meglio a fuoco l’ipotesi di partenza di un progetto quadro per l’orientamento attivo articolato in sottoprogetti- rende però auspicabile un piano di monitoraggio più sistemico e organico, che possa portare a mettere in evidenza varianti e invarianti e ad individuare una modellizzazione condivisa, al fine di sostenere qualitativamente la riprogettazione dei percorsi negli anni scolastici/accademici a venire. È allo studio pertanto l’ipotesi di avviare attraverso un percorso di ricerca, un’analisi scientifica sui progetti “ponte” a partire da alcuni interrogativi di fondo, che consentono di indagare le esperienze in atto anche nella prospettiva di un ulteriore ampliamento delle stesse. In sintesi si riportano di seguito alcuni spunti che possono guidare una riflessione sulla genesi e sugli sviluppi dei progetti di orientamento attivo, sulle loro specificità e criticità e sulle prospettive di disseminazione: • come sono nati i progetti pilota di orientamento attivo e qual è l’humus in cui si sono inseriti; • quali sono le condizioni per un cambiamento di tipo strutturale che consenta di superare il tabù del confronto tra scuola e università; • quali sono gli elementi di novità che connotano tali progetti rispetto ad altre attività di orientamento più tradizionali; • quali forme di collaborazione tra docenti di scuola superiore e docenti dell’università sono state attivate; • come può essere affrontato in maniera convergente il problema degli esiti formativi degli studenti; • quali sono i punti di forza e gli aspetti problematici delle attività realizzate in forma sperimentale; 82 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO • quali strumenti sono stati predisposti e proposti agli studenti; • quale riconoscimento di crediti è stato concesso agli studenti; • quali modelli di finanziamento sono già stati utilizzati e quali possono essere suggeriti; • quali ipotesi di sperimentazione più allargata possono essere messe in campo; • quali raccomandazioni è possibile rivolgere alle scuole e alle università. L’obiettivo a breve termine può essere quello di rendere disponibile un primo catalogo ragionato delle esperienze; a medio termine si intende favorire – attraverso l’individuazione di modelli di buone pratiche – la disseminazione dei progetti “ponte” tra scuola e università – e incrementare il numero di esperienze di orientamento attivo che favoriscano un passaggio più consapevole dagli istituti secondari di secondo grado alle università, migliorandone al contempo la qualità e, quindi, l’efficacia orientativa. Obiettivo ulteriore è quello di studiare modalità che consentano una fruibilità dei percorsi e dei prodotti realizzati più flessibile, diversificata anche in relazione a bisogni individuali e il più possibile allargata. La valutazione dei percorsi progettuali già realizzati può consentire di raggiungere nel medio periodo alcuni obiettivi che sembrano significativi: • favorire la disseminazione delle esperienze già avviate; • attuare una campagna informativa rivolta ai dirigenti scolastici e ai delegati dei dirigenti scolastici per l’orientamento; • facilitare le condizioni di contesto per avviare nuovi progetti-ponte. Riferimenti bibliografici Castelli, C., Sbattella, F. (a cura di) (2004). Le età della vita. Aspetti psicologici. FrancoAngeli, Milano. Castelli, C. (a cura di) (2002). Orientamento in età evolutiva. FrancoAngeli, Milano. Fondazione CRUI Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (2004), L’Università che orienta. Comportamenti e iniziative negli atenei italiani: indagine realizzata dal Centro Studi, Roma. Mancinelli, M.R. (2002). L’orientamento dalla A alla Z. Vita e pensiero, Milano. Morin, E. (2000). La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Cortina editore, Milano. Pombeni, M.L. (1990). Orientamento scolastico e professionale. Il Mulino Bologna. 83 Sviluppo e prospettive CAPITOLO 3 3.5 ORIENTAMENTO E DISORIENTAMENTO TRA INSEGNANTI E ALLIEVI di Silvano Del Lungo1 Premessa e contesto Si rende conto qui di due ricerche sull’orientamento, condotte in sequenza, concluse ambedue nel 2002 e raccordate l’una all’altra. La seconda, infatti, è lo sviluppo dei risultati della prima. La prima ricerca (d’ora in poi “ricerca studenti”) ha per oggetto la domanda di orientamento di studenti degli ultimi tre anni degli Istituti di Istruzione media superiore di area romana. La seconda (d’ora in poi “ricerca insegnanti”) ha per oggetto la capacità degli insegnanti di leggere e interpretare la domanda e il bisogno di orientamento degli studenti, quale risulta dalla ricerca studenti. Si tratta degli insegnanti dei medesimi Istituti di Istruzione media superiore di area romana della ricerca studenti. Più in generale, si trattava anche, in questa seconda ricerca, di comprendere il modo di intendere l’orientamento scolastico e professionale degli studenti da parte degli insegnanti e il modo di influirvi attraverso la propria opera, nonché di comprendere le esigenze di propria formazione, che gli stessi insegnanti manifestano, relativamente ad una loro preparazione all’orientamento attivo. Le due ricerche ora menzionate, sono state poi inserite in un piano più vasto di ricerche sull’orientamento, portato avanti, ormai da alcuni anni, dall’ISFOL e intitolato “Definizione e valutazione di modelli cognitivo-psicologici nella scelta e nel successo della professione”. L’obiettivo a medio/lungo termine di tale piano era ed è di arrivare a proporre un modello per l’orientamento, completo in ogni sua parte con strumenti validi e innovativi. La sollecitazione ad un simile lavoro è apparsa necessaria in un periodo nel quale, di fronte al crescere della domanda di orientamento, si propone una mole imponente di strumenti a cui si contrappone un “vuoto” concettuale relativamente ai modelli teorici di riferimento. Proprio per questo motivo l’Isfol ha dedicato una sua ricerca volta a curare la raccolta, la classificazione e a definire i fondamenti teorici dei molti strumenti di orientamento oggi in uso sul territorio nazionale. 1 84 Presidente Studio Staff, Roma. ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO Il campionamento La ricerca studenti, ha preso in esame nella sua fase quantitativa un campione di 256 studenti frequentanti gli ultimi tre anni, di sette Istituti medi superiori: licei classici (2), licei scientifici (3), istituti tecnici (2) situati nel comune di Roma. La fase preliminare della ricerca, qualiquantitativa (test dinamico, focus group) ha interessato poco più della metà del campione totale (n. 134 studenti). La ricerca insegnanti ha preso in esame nella fase quantitativa un campione effettivo di 370 insegnanti (trattasi dei 370 questionari tornati indietro riempiti sui 380 distribuiti) appartenenti a 22 Istituti medi superiori, di otto diversi indirizzi (dai licei agli istituti professionali) distribuiti rappresentativamente sul territorio comunale romano. I due campioni -studenti e insegnanti- erano ambedue rappresentativi per quanto riguarda le variabili anagrafiche (sesso, età, famiglia, ecc.) e professionali (anzianità d’insegnamento, materie d’insegnamento, ecc.) di studenti e insegnanti. La metodologia In ambedue le ricerche la metodologia di indagine è stata articolata su due fasi, la prima, quali – quantitativa, per identificare o chiarire le variabili oggetto di analisi; la seconda, spiccatamente quantitativa, per esplorare attraverso un questionario le variabili identificate e definite nella prima fase. La fase quali-quantitativa Nella ricerca studenti la prima fase, quali-quantitativa, si è articolata in tre diverse applicazioni: • interviste focalizzate a insegnanti e genitori per mettere a fuoco il loro orizzonte cognitivo ed emotivo intorno al tema dell’orientamento degli studenti; • un giuoco di simulazione articolato su situazioni di coping, che ha coinvolto circa la metà degli studenti del campione, al fine di valutare il comportamento degli studenti di fronte a compiti e difficoltà, cui pure l’orientarsi appartiene, e al fine di trarne elementi concernenti la tematica dell’orientamento, da riproporre nella fase quantitativa; • n. 6 focus group rivolti agli studenti per esplorare la loro domanda di orientamento e la loro visione del futuro. Nella ricerca insegnanti la fase quali-quantitativa si è invece articolata su focus group di insegnanti (n. 5) e su somministrazioni agli stessi insegnanti, in coda ai focus group, di materiali stimolo a sfondo proiet85 CAPITOLO 3 La metodologia tivo, concernenti l’orientamento. La fase quantitativa La seconda fase, quantitativa, è stata sviluppata, sia nella ricerca studenti sia in quella insegnanti, attraverso la progettazione di specifici questionari fondati sui risultati delle rispettive ricerche quali-quantitative. Tali questionari sono poi stati somministrati rispettivamente agli studenti nella ricerca studenti e agli insegnanti nella ricerca insegnanti. Metodologicamente analoga è stata, nelle due ricerche, anche l’elaborazione statistica delle risposte ai questionari. Essa si è articolata nelle seguenti modalità: • analisi descrittive delle singole variabili sia con riferimento all’insieme del campione sia con riferimento a variabili indipendenti (sesso, età, scuola frequentata, ecc.); • analisi inferenziali, concernenti l’analisi delle differenze nelle risposte al questionario rispetto a variabili indipendenti (età, anzianità, tipo di scuola, ecc.) e l’analisi della significatività di tali differenze; • analisi multivariate, finalizzate all’identificazione degli assi logico-cognitivi attraverso i quali i soggetti collocano i loro giudizi. In particolare si è adoperato un programma statistico che permette di operare un tipo di analisi fattoriale (analisi fattoriale delle corrispondenze multiple) e, successivamente, sulla base dell’analisi fattoriale effettuata, permette l’analisi dei cluster (cluster analysis). I risultati I risultati della ricerca studenti L’analisi qualitativa Un primo risultato emerge dalle interviste focalizzate agli insegnanti responsabili e/o referenti scolastici per l’orientamento. L’atteggiamento verso l’orientamento di questi insegnanti e il contenuto cognitivo attribuitogli è risultato considerevolmente diverso da insegnante a insegnante. Si va così da concezioni passive e burocratiche strettamente ancorate agli adempimenti, a concezioni idealistiche e disorientate, sino alla concezione e alla sperimentazione, in alcuni, di insegnamenti alternativi. Questo primo risultato verrà poi ripreso e articolatamente sviluppato nella ricerca insegnanti e nelle sue conclusioni. Un secondo risultato proviene dall’analisi del giuoco di simulazione del coping somministrato agli studenti e dai focus group rivolti agli stessi studenti. Con riferimento anche ai successivi sviluppi della ricerca, il risultato più rilevante di questa fase è la constatazione che vi sono situazioni in 86 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO cui lo studente percepisce il rapporto tra il proprio mondo interno (bisogni, desideri, aspettative) e le richieste del contesto scolastico irriducibilmente conflittuali. Conflittuali sino al punto che l’attore studente non intraveda azioni, informazioni, mezzi che possano far da ponte o valico tra il suo mondo interno e il contesto e ricorra a strategie di evitamento e aggiramento per non soccombere. Questo dato è rilevante per comprendere – e lo si vedrà nel prosieguo – come lo scontro tra mondo interno dello studente e le richieste del contesto generi un bisogno acuto di orientamento o ri-orientamento. Tale bisogno tarderà tuttavia a tramutarsi in esplicita domanda fino a che le proprie strategie di evitamento non si manifestino palesemente inefficaci o fino a che un altro attore sia capace di leggere tale bisogno e tradurlo in una domanda. L’analisi quantitativa Il bisogno di orientamento è risultato diffuso ed elevato tra gli studenti. Talora gli studenti non ne sono consapevoli al momento, ma ne divengono consapevoli a posteriori, attraverso la presa d’atto che scelte scolastiche antecedenti, sono risultate nella loro percezione, alla prova dei fatti, sbagliate. Significativa a questo proposito l’analisi delle differenze della domanda di orientamento, bassa tra gli studenti di terza e alta tra quelli di quarta e quinta, i quali ultimi, però, indicano la terza classe come la più opportuna per iniziare l’orientamento. Oltre la metà degli studenti ritiene assente o poco attiva la scuola nel favorire l’autoconoscenza delle proprie caratteristiche e delle proprie aspirazioni professionali e, d’altra parte, la domanda di orientamento degli studenti rivolta agli insegnanti è bassa; essi indicano con decisione, al posto degli insegnanti, professionisti specializzati esterni alla scuola e, secondariamente, insegnanti diversi dai propri, quali eventuali desiderabili orientatori. Tale pur diffuso bisogno di orientamento degli studenti, tuttavia, non riesce spesso a tradursi in domanda. La domanda di orientamento resta opaca e da interpretare attraverso i segni del bisogno, affioranti nel comportamento dello studente, piuttosto che tradursi in una richiesta esplicita dello studente. L’analisi fattoriale delle risposte al questionario ha evidenziato i caratteri dell’organizzazione cognitivo ed emozionale della cultura degli studenti sui temi indagati. Sono stati evidenziati due assi fattoriali principali lungo i quali si ordinano le variabili del questionario. Uno dei due assi misura il grado di integrazione scolastica. In questo asse al polo dell’integrazione fa riscontro il polo della marginalizzazione scolastica. L’altro asse ordina e valuta il grado di interdipendenza/indipendenza dello studente con il contesto extrascolastico (famiglia, amici, genitori figure di riferimento, ecc.). Al polo dell’interdipendenza, cioè dello scambio, 87 I risultati CAPITOLO 3 I risultati del consiglio e anche di una certa dipendenza dall’Altro fa riscontro il polo della ostentata indipendenza o della negata dipendenza dall’Altro in ogni sorta di decisioni e di ambiente. La tipologia degli studenti La cluster analysis ha portato all’identificazione di quattro clusters, addensati intorno ai quattro poli dei due assi fattoriali, che delineano una tipologia di studenti della quale qui di seguito riportiamo, tipo per tipo, la denominazione identificativa e i principali tratti: Il successo nella scuola e nell’università. (È il cluster degli integrati, 30,5% del campione, sovrarappresentate le studentesse del 4° anno del liceo scientifico e turistico): • buone le relazioni con gli insegnanti che costituiscono persone di riferimento per lo studente e con la scuola; • risultati scolastici buoni e percepiti come frutto esclusivo delle proprie capacità, impegno e strategie di studio; • accettazione delle regole scolastiche e lealtà verso di esse, viste come elementi cui attenersi per ottenere successo nella scuola; • la scuola vista come luogo di acquisizione delle proprie competenze professionali presenti e future; • modalità efficaci di fronteggiare difficoltà e operare scelte; • soddisfazione per le scelte scolastiche pregresse; • la scuola aiuta a conoscere se stessi e le proprie aspirazioni; • le relazioni sociali sono ricche e positive con tutti gli attori del contesto: sono relazioni di scambio e di supporto per le decisioni; • la scuola è vista come efficace operatore di orientamento verso le successive scelte scolastico-universitarie e verso le professioni; • il futuro viene rappresentato come molto positivo e autocostruibile; • l’approccio complessivo del cluster presenta forse il limite di muoversi tra conformismo, moralismo ed eccesso di ottimistica centratura sulla scuola, forse un poco esclusiva di altre esperienze. Paura e disagio di fronte al futuro. (È il cluster dei male integrati nella scuola o della marginalizzazione, 20,7% del campione, significativa prevalenza di studenti del terzo anno, provenienti dal liceo scientifico): • cattivo rapporto con la scuola e con gli insegnanti, scarsamente produttivo di scambi efficaci; • tendenza a violare le regole scolastiche, ad apprendere ad aggirare le regole piuttosto che a muoversi al loro interno; • risultati scolastici scadenti; • le competenze acquisite nella scuola riguardano -dicono- il “farsi furbi” l’imparare a copiare, il nascondersi dietro i compagni; 88 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO • forte difficoltà ad attingere alle proprie risorse e a quelle del contesto per affrontare difficoltà. Forte tendenza all’evitamento degli impegni e delle responsabilità; • insoddisfazioni per le scelte scolastiche passate su cui spesso hanno influito pesantemente persone ritenute importanti; • la non conoscenza di sé e la mancanza di una immagine di sé sono tratti centrali nel cluster, come anche la difficoltà di individuare in sé delle capacità proprie, la quale si accompagna a rigidità e ripetitività di comportamenti; • le relazioni col contesto sociale sono difficoltose e si muovono tra incapacità e dipendenza; • l’attività di orientamento viene vista come poco importante anche se utile, qualora fosse esercitata da psicologi o enti preposti a questa funzione; • il proprio futuro è visto da un lato con paura e preoccupazione per le difficoltà che riserberà, d’altro lato come ricerca di una professione in cui potere esprimere se stessi. Professione dell’area artistica, psicosociale o con riferimenti a modelli mitici della musica e della tv; • l’approccio complessivo è quello di una tacita richiesta d’aiuto di fronte a un mondo troppo diverso dal proprio mondo interno. Anche la domanda di orientamento si risolve in questa richiesta di aiuto. Ottimismo ma futuro incerto. (È il cluster caratterizzato da interdipendenza e scambio col contesto extrascolastico, comprende i 38,3% del campione, è significativamente sovrarappresentato da maschi che frequentano il 5° anno degli Istituti tecnici): • le relazioni con la scuola e gli insegnanti sono orientate a un rapporto di impegno e di responsabilità improntata, tuttavia, ad un uso economico delle proprie risorse; • si fa quel che serve per ottenere risultati e quel che risponde alle aspettative altrui; • anche l’accettazione e la lealtà verso le regole scolastiche è improntata allo stesso criterio economico; • affrontano le difficoltà con impegno ed efficacia ma quando i compiti si fanno troppo gravosi pensano di poterli evitare; • per quanto riguarda le scelte pregresse non ritengono di aver scelto la scuola giusta e se potessero tornare indietro sceglierebbero altre scuole (in particolare istituti professionali); • viene sottolineata la esigenza di conoscere le proprie attitudini e i propri interessi; • le scelte, soprattutto scolastiche, sono state oggetto di discussione, scambio di opinioni, consigli nel contesto sociale e sono state influenzate dal gruppo di amici oltre che dai propri interessi; 89 I risultati CAPITOLO 3 I risultati • dell’orientamento colgono soprattutto l’utilità dell’aspetto informativo; • il proprio futuro è visto con ottimismo in forza dell’autonomia che si ritiene di aver raggiunta ma appare anche confuso. Le scelte professionali prefigurate attengono allo sport, alle attività motorie, al turismo oltre che ad alcune attività emergenti come la comunicazione, il marketing, l’informatica. L’approccio complessivo è quello di un adattamento al contesto extrascolastico attraverso lo scambio e l’influenzamento con qualche difficoltà a trovare se stessi e a costruire il proprio futuro. Il Successo attraverso provocazione e potere. (È il cluster contrapposto al precedente e rappresenta l’indipendenza ostentata dal contesto extrascolastico, ma non solo, e la dipendenza negata; comprende il 10,5% del campione, non è caratterizzato da alcuna variazione significativa di rappresentatività rispetto alle variabili indipendenti del campione): • la relazione col contesto scolastico oscilla tra trasgressione, rifiuto, competizione, impulsività; • il risultato immaginato non è mai proporzionato, anzi è scisso accentuatamente da obiettivi produttivi concreti e organizzati. Si rintracciano soltanto elementi competitivi ancorati a ideali di successo visti attraverso la lente “soldi e potere”; • il successo personale prevale sulle regole, che perciò vengono infrante per ottenere successo. Il successo si configura come soldi e potere; • la rappresentazione che questi studenti propongono di sé e delle proprie capacità rimanda a tratti di esaltazione, in quanto i loro elementi competenziali sono organizzati intorno a capacità mitiche; • mancano riferimenti significativi alla soddisfazione-insoddisfazione delle scelte scolastiche pregresse; • il fronteggiamento delle difficoltà e la capacità di scegliere sono rappresentati anche qui in modo mitico ed onnipotente; • l’autoconoscenza è forse l’elemento più carente, ma anche consapevolmente meno desiderato e più difficile a prodursi; • infatti questi studenti, seguendo la loro impulsività, idealizzando aspetti adulti che non posseggono, proclamano la loro totale indipendenza dagli altri in ogni tipo di scelta; • l’orientamento è una dimensione né vista dallo studente né possibile a realizzarsi se non si ha l’opportunità di stabilire un rapporto decondizionante con lo studente; • per quanto riguarda il loro futuro questi studenti ostentano grande sicurezza che non si accompagna ad una articolata rappresentazione professionale di un futuro di lavoro oppure universitario, ma al 90 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO massimo a riferimenti di relazioni sociali e di potere. In conclusione i risultati della ricerca mostrano che il bisogno d’orientamento è diffuso e profondo in tutti gli studenti. Soltanto in una frazione di essi, gli integrati, prevalentemente studentesse, tale bisogno trova una strada per essere trattato e sviluppato attraverso il rapporto con l’insegnante e attraverso l’insegnamento. In tutti gli altri (e cioè circa nel 70% degli studenti del campione) il bisogno di orientamento non arriva a trasformarsi in domanda esplicita, si manifesta invece attraverso comportamenti che sono anche degli indicatori di disagio e disorientamento e conseguentemente di una implicita richiesta d’aiuto. In taluni gruppi, per esempio i male integrati nella scuola, questa richiesta d’aiuto appare quasi manifesta; in altri, per esempio nel cluster successo attraverso provocazione e potere è addirittura negata e l’aiuto non facile a portarsi; infine nel cluster ottimismo ma futuro incerto la richiesta d’aiuto è opaca, difficile a leggersi. I risultati della ricerca insegnanti L’analisi qualitativa Focus group ed “emozioni in grafica” miravano ad esplorare i temi presumibilmente propri del vissuto cognitivo emozionale dell’insegnante: la classe, l’insegnamento, l’apprendimento, l’orientamento, la scuola. Di questi, il tema risultato assolutamente centrale per gli insegnanti è quello dell’insegnamento insieme al tema della classe, vista quest’ultima, come una entità da costruire, essendo tale costruzione condizione necessaria per poter insegnare. Poco esplorato dagli insegnanti il tema dell’apprendimento e soprattutto poco approfondito nelle sue componenti costitutive. Il tema dell’orientamento -centrale per la ricerca- è invece periferico per gli insegnanti. Non vedono la pur opaca domanda di orientamento degli studenti, non sanno leggere il senso dei loro comportamenti, che pur segnalano un bisogno d’orientamento e d’aiuto. Affiora tuttavia l’opinione che “un certo modo di fare scuola produce insuccesso; che l’insuccesso è per il ragazzo percepirsi incapace e che percepirsi incapace vuol dire bloccarsi”. Affiora nei focus group anche l’idea – poi confermata dai risultati dell’indagine quantitativa – che il potere orientante dell’insegnante passa tutto e soltanto attraverso l’insegnamento e – più in particolare – attraverso la didattica orientante. Infine, sempre con riferimento all’orientamento, emerge con forza il tema dell’orientamento degli insegnanti o, meglio, del loro disorientamento – cioè della perdita di orientamento – di chi si trova nel bel mezzo di un guado, nel corso di un lento processo di transizione da un modello di scuola ad 91 I risultati CAPITOLO 3 I risultati un altro e si sente incerto se restare avvinghiato alla vecchia sponda o avventurarsi sulla nuova con qualche aiuto. L’ultimo tema trattato nei focus group è quello della scuola, il rapporto tra l’insegnante e la scuola. Qui esplode il disagio dell’insegnante in una scuola che cambia: i cambiamenti, il disorientamento conseguente, la sottrazione di tempo libero, la fatica e lo stress, gli studenti sempre più difficili, la propria inadeguatezza, la perdita di prestigio della professione, ecc. L’analisi quantitativa Nella ricerca studenti il bisogno implicito di orientamento è risultato, come si è qui riferito, diffuso ed elevato tra gli studenti. Il bisogno di orientamento, tuttavia, non riesce a tradursi in domanda. La domanda resta opaca e da interpretare attraverso i segni del bisogno affioranti nel comportamento dello studente. L’indagine quantitativa della ricerca insegnanti ha accertato che gli insegnanti non riconoscono il bisogno se non c’è esplicita domanda o non c’è, almeno, una esplicita richiesta di aiuto. In conclusione vi è una insoddisfacente capacità degli insegnanti di cogliere nei comportamenti degli studenti il senso di tali comportamenti e la domanda implicita in essi. C’è, peraltro negli insegnanti, la percezione del problema – la percezione di un rapporto difficile e talora bloccato – e la richiesta di essere formati per affrontarlo. Essi intendono affrontarlo attraverso l’insegnamento. Infatti l’insegnamento è la sola dimensione, tra quelle indagate, che gli insegnanti sentono come veramente propria. Le indicazioni che si possono ricavare dalla ricerca vanno, dunque, nella direzione di un’attività orientativa diacronica rivolta allo studente, da svilupparsi dall’insegnante nel corso dell’insegnamento, attraverso modalità didattiche a valenza orientativa: vale a dire modalità atte a portar l’attenzione dell’allievo sulla relazione di scambio studente-insegnante e studente-studente, sui comportamenti, sulle emozioni, sulla consapevolezza e il governo di sé, sulle interconnessioni disciplinari. Tali modalità saranno anche ordinate per seguire e indirizzare passo dopo passo lo svilupparsi e l’orientarsi dello studente. È in questa direzione che possono essere organizzati corsi di formazione per insegnanti sull’orientamento. Bisogna tuttavia tener conto che se tutti gli insegnanti sentono fortemente propria la dimensione dell’insegnamento e se su di essa investono la maggiore quantità di energie e di emozioni, tuttavia le concezioni dell’insegnamento che essi professano e dalle quali, perciò, è necessario muovere, sono davvero molto diverse, e in più perturbate da un diffuso disagio da disorientamento, connesso coi cambiamenti che investono la scuola e con la difficoltà degli insegnanti a farvi fronte e a comprenderli. Le concezioni che gli insegnan92 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO ti hanno dell’orientamento, poi, sono decisamente dipendenti dalle loro concezioni sull’insegnamento, cosicché, per esempio, soltanto un quarto degli insegnanti attribuisce valore, nelle scelte professionali degli studenti a fattori intrinseci, quali le attitudini e gli interessi. Nella percezione che gli insegnanti hanno delle scelte dei giovani prevalgono le scelte eterodeterminate e opportunistiche. L’analisi fattoriale e la cluster analysis delle risposte al questionario evidenziano bene quanto siano differenti le concezioni dell’insegnamento e dell’orientamento degli insegnanti. Emerge una tipologia di insegnanti articolata in cinque tipi. I cinque tipi di insegnanti si distribuiscono lungo, o tra, due assi fattoriali principali che graduano, l’uno, la relazione dell’insegnante con l’ insegnamento ed il suo oggetto (da un insegnamento fondato prevalentemente sulla relazione con lo studente ad uno fondato su un rapporto di scambio completo e complesso) l’altro, la relazione dell’insegnante con il contesto scolastico (da rapporto critico e insoddisfacente con la struttura della scuola a positivo e funzionale). Si può qui notare che vi è una corrispondenza analogica tra uno dei due assi fattoriali della ricerca studenti e uno dei due assi fattoriali della ricerca insegnanti. Si tratta dell’asse del livello di integrazione scolastica per gli studenti corrispondente all’asse della criticità della relazione col contesto scolastico per l’insegnante. Il secondo asse, invece è assai differente nelle due ricerche: nella ricerca studenti è l’asse del livello di indipendenza-interdipendenza dello studente dal contesto sociale extrascolastico; nella ricerca insegnanti è il tipo di rapporto dell’insegnante con l’insegnamento e il suo oggetto, quasi si potrebbe dire con l’output dell’insegnamento. La tipologia degli insegnanti Si riportano qui di seguito, cluster per cluster, i caratteri distintivi dei cinque tipi di insegnanti che la ricerca ha messo in luce (quando la denominazione è al femminile significa che gli insegnanti appartenenti a quel tipo sono esclusivamente donne): Le insegnanti centrate sulla relazione (19%): • immagine negativa della scuola e della sua efficacia; • insoddisfazione per la riuscita del proprio lavoro (trasmissione di contenuti); • piacere di costruire relazioni produttive con gli allievi (di motivazione, collaborazione, ecc.); • trasmissione di modelli relazionali, quale obiettivo prevalente dell’insegnamento; • attività orientativa, presente. 93 I risultati CAPITOLO 3 Gli insegnanti per ripiego (9%): • insoddisfazione del proprio lavoro; • disinvestimento rispetto alla scuola; • immagine negativa del futuro della scuola; • lavoro scolastico scelto e apprezzato per il tempo libero che lascia; • scarsa fiducia nell’orientamento. I funzionari scolastici (26%): • visione positiva della scuola (prestigio, efficacia, ecc.); • buon rapporto col contesto scolastico; • la scuola vista come mezzo di inserimento nella società per gli studenti; • visione dell’insegnamento come spiegazione motivazione studio valutazione; • orientamento inteso soprattutto come visione prospettica nella scuola e per la scuola. Le missionarie (21%): • immagine negativa della scuola e del contesto scolastico; • soddisfazione abbastanza elevata per il proprio lavoro; • l’insegnamento come piacere di trasmettere i propri ideali e i propri valori; • l’insegnamento come strumento di cambiamento; • gli studenti visti come fortemente dipendenti dal contesto. Gli ottimisti (25%): • percezione di elevata auto-efficacia verso gli studenti; • gli studenti percepiti come molto positivi; • reciprocità dello scambio insegnante-allievo e viceversa, è fondamento dell’insegnamento; • é importante il feedback all’insegnante da parte dello studente; • percezione della scuola e dei rapporti con gli altri attori molto positiva; • fiducia nel futuro; • orientamento. Soprattutto verso gli studenti demotivati. I risultati Conclusioni e prospettive La ricerca insegnanti traccia, a mo’ di conclusione, un primo schema di piano di formazione per insegnanti alla didattica orientante. Tuttavia il compito è più complesso di quanto possa apparire ad un primo esame. Pensare di formare insegnanti alla didattica orientante significa muovere in concreto dai tipi di scambio diversi che intercorrono tra i cinque tipi di insegnanti e i quattro tipi di studenti evidenziati, rispettivamente, dalla ricerca insegnanti e dalla ricerca studenti. Si tratta infatti di inseri94 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO re principi di didattica orientante all’interno di modi di concepire e vivere l’insegnamento già esistenti e alquanto diversi tra loro e si tratta anche di adattare tali principi simultaneamente a modi diversi di porsi nell’insegnamento e a modi diversi di porsi nell’apprendimento. In conclusione si tratta di adattare tali principi ai già menzionati tipi di scambio (in teoria una ventina) che oggi corrono tra gli allievi e il loro insegnanti. Tali intrecci tipici di allievi e insegnanti rendono ovviamente più complessa la formazione degli insegnanti ad una didattica orientante e la diffusione di questa pratica. L’esame degli scambi di fatto intercorrenti tra studenti e insegnanti e viceversa, sarà oggetto di indagine in una nuova ricerca già avviata dall’Isfol. Più specificamente l’indagine verterà su tipiche situazioni difficili da fronteggiare per gli studenti, indicate e raccolte dagli stessi studenti. In particolare saranno prese in esame le strategie che gli studenti dichiarano di mettere in atto per fare fronte a quelle situazioni. Inoltre si indagherà sulla risposta (o strategia) messa in atto dagli insegnanti per fronteggiare le strategie degli studenti. Tutto ciò nell’ipotesi che le situazioni difficili per lo studente, la sua strategia di risposta, più o meno difficile da trattare per l’insegnante, siano le occasioni critiche, che pongono a rischio d’interruzione il flusso insegnamento/apprendimento e in particolare l’apprendimento dello studente intorno a se stesso, alla consapevolezza di sé e della propria identità. In ipotesi il risultato di questa linea di ricerca dovrebbe gettar luce su quanto gli insegnanti riescono o non riescono a fare per orientare i loro allievi attraverso l’insegnamento e perché. Riferimenti bibliografici Grimaldi, A. (a cura di), (2002). Modelli e strumenti a confronto: una rassegna sull’orientamento. FrancoAngeli, Milano. 95 Conclusioni e prospettive CAPITOLO 3 3.6 INTRODUZIONE ALLE SCHEDE OPERATIVE “VOGLIA DI STUDIARE” di Sergio Bettini1 “Ci lamentiamo che i nostri ragazzi, spendendo ore e ore davanti alla TV, non siano più capaci di parlare e usare bene la lingua. Basterebbe insegnare loro che con la lingua si può anche giocare e si divertirebbero persino ad andare a caccia degli errori sintattici dei presentatori Tv”. U. ECO In questi ultimi anni sempre più spesso si è sentito parlare di “insuccesso”, “dispersione”, “abbandono” per indicare le difficoltà dei ragazzi con la scuola e lo studio. Insegnanti e genitori si trovano disorientati di fronte agli studenti che percepiscono la scuola come una noia, un peso, una costrizione. Il Centro d’Orientamento Scolastico e Professionale, sensibile alla problematica della prevenzione del disagio scolastico, offre da parecchio tempo agli studenti delle medie inferiori un corso sul metodo di studio, volto ad aiutare i ragazzi a migliorare il proprio rendimento: si rivolge dunque a studenti cui in linea di massima piace lo studio e la scuola e che non hanno difficoltà d’inserimento. Ultimamente ci siamo chiesti “cosa fare per gli altri”. Con i ragazzi che vivono lo studio con disagio, con quelli che “decidono” che studiare non vale la pena, che ti dicono seraficamente che proprio non ne hanno voglia, come agire? Un corso sul metodo non è sufficiente; infatti, il problema di un corretto ed efficace metodo di studio nasce solo dopo aver acceso la propria motivazione a studiare. Finora il repertorio più ampio e ricco d’esperienze, riflessioni, proposte riguardo alla prevenzione dell’insuccesso scolastico si è concentrata proprio sugli aspetti legati a quest’ultima dimensione, ai processi cognitivi e di memorizzazione, ma tra queste tecniche e la voglia di studiare intesa come decisione e motivazione forte e consapevole di apprendere, c’è un baratro: le tecniche possono essere insegnate e utilizzate solo quando si manifesti la volontà di apprendere. L’insuccesso scolastico è un fenomeno che assume sempre maggiore rilevanza, anche perché una difficoltà nel vivere e affrontare la scuola e lo studio può connettersi ad una difficoltà d’inserimento sociale. In questi ultimi anni numero- 1 96 Direttore della Fondazione Centro di Orientamento Scolastico e Professionale di Alessandria. ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO se ricerche hanno cercato di individuare quali fattori influenzano maggiormente il successo scolastico, ricercando le dimensioni della personalità che sono alla base di quei comportamenti che favoriscono il processo di crescita e di formazione dello studente. In pratica ci si è chiesti: qual è il segreto del ragazzo di successo? Sono i “doni della natura” a determinare la riuscita scolastica o c’è qualcos’altro che permette, a quelle che potrebbero essere solo delle potenzialità, di diventare abilità reali? Gli stessi test per la misura del quoziente intellettivo, molto usati nel passato, sono stati oggetto di forti critiche per la difficoltà ad estrapolare delle abilità puramente cognitive da tutti quegli elementi che le possono condizionare. Quello che un individuo riesce ad apprendere è funzione, non tanto del suo livello di quoziente intellettivo, ma di un insieme di fattori che sono riconducibili piuttosto alla sua personalità o alla rete di relazioni affettive di cui fa parte. Per fare luce sui fattori che maggiormente potrebbero influenzare il successo scolastico, abbiamo considerato una serie di studi come: l’Analisi effettuata dal Censis nei primi anni 90, l’Analisi della dispersione scolastica in Italia in aree di rischio e disagio educativo, L’indagine conoscitiva sul problema della dispersione scolastica, condotta dalla Commissione VII della Camera dei Deputati nel 2000. Quest’ultima, che si è sviluppata lungo tutto un anno anche attraverso studi di casi in alcune significative realtà italiane, ha sottolineato ancora una volta come, per comprendere il fenomeno occorra prendere in esame cause interne ed esterne alla scuola, cause che si intrecciano con il vissuto minorile e adolescenziale e si correlano in modo diverso a seconda del contesto sociale, economico, culturale. Viene costruito un modello che, partendo da caratteristiche individuali, quali quelle temperamentali, coinvolge le relazioni familiari e quelle sociali per poi convergere in una dimensione più ampia qual è quella rappresentata dall’autostima; individuando nella motivazione ad apprendere l’elemento fondamentale da sviluppare ai fini del successo scolastico. I ragazzi più motivati affrontano le diverse materie e le tappe scolastiche con minore fatica e maggiore slancio. Per questo motivo nel presente lavoro ci si è posti il problema di come curare la demotivazione e recuperare la voglia di studiare. La demotivazione, intesa come apatia, disinteresse, non partecipazione può essere causata: • insufficiente o inadeguata adozione di strategie d’apprendimento: è la mancanza di un metodo corretto di studio (occorre notare che questo è un problema che si colloca al vertice dell’iceberg, intervenire solo su questa dimensione non è sufficiente per la prevenzione dell’insuccesso scolastico); • convinzioni e attese negative: lo studente si sente incapace e incom97 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” CAPITOLO 3 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” petente, dubita continuamente di riuscire a portare a termine il compito, vive con la costante paura del brutto voto sostenuta spesso da esperienze negative precedenti; • mancanza d’interesse verso quello che viene svolto a scuola; • relazioni negative tra insegnante e alunno che spesso mascherano il timore di fallire e di esporsi a critiche. Il timore di un giudizio negativo porta spesso al ritiro dell’impegno da parte del discente. Questo è il fenomeno denominato “impotenza appresa” osservato da Seligman e Maier (1976). Si verifica quando gli studenti con alle spalle casi ripetuti e frequenti di insuccessi, credono che non ci sia niente che essi possono fare per evitare il fallimento. Per spiegare gli insuccessi sono chiamati in causa ragioni interne al soggetto come la loro scarsa capacità e intelligenza, sulle quali pensano di non aver alcun controllo; • variabili socio-culturali e famigliari, il grado di sviluppo socio-economico del contesto territoriale di appartenenza, il patrimonio culturale di base dell’alunno, pochi stimoli culturali, mancanza di raccordo famiglia/scuola ed altre agenzie educative. Nonostante tutte le politiche sociali realizzate, infatti, le culture famigliari continuano ad esercitare una forte discriminazione tra gli alunni, indirizzandone modelli di socializzazione e definendone le effettive capacità di apprendimento. Noia e disinteresse spesso mascherano il timore di fallire e di essere criticati o derisi da insegnanti, compagni, genitori. Questi ragazzi sono portati ad evitare qualsiasi situazione di apprendimento e in generale a nutrire delle basse aspettative. Le schede qui presentate sono state raggruppate sotto la categoria “voglia di studiare”, dalla considerazione che per prevenire l’insuccesso scolastico e la demotivazione occorre recuperare questa dimensione: se manca la voglia, cioè la consapevole e volontaria partecipazione del singolo discente, tutte le più innovative strategie didattiche rischiano di fallire. Infatti, se è vero che le cause di un insuccesso scolastico sono molteplici interne ed esterne all’individuo e alla scuola stessa, è innegabile che, escludendo in questo contesto, i casi in cui sono coinvolti disturbi cognitivi o affettivi specifici, in tutti gli altri casi quello che deve essere recuperato e scoperto è l’amore, la passione, l’interesse per lo studio. La letteratura pedagogica e psicologica usa in genere il termine motivazione per indicare questo complesso dinamico di elementi (curiosità, interesse, bisogno di competenza, autostima, bisogno) che costituiscono l’energia e la spinta necessaria a studiare con profitto e consapevolezza. Il concetto “motivazione” è usato per spiegare e comprendere perché una persona svolga quel compito (a scuola come in qualsiasi altra occupazione) e in quel determinato modo. 98 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO La motivazione ha: • un inizio; • una direzione; • un’intensità; • uno scopo da raggiungere. È la carica energetica che conduce all’apprendimento, è un insieme di convinzioni positive che spingono un soggetto a spendere tempo, risorse, impegno, energie nell’attività di studio. La motivazione ad apprendere può essere pensata come ad un insieme di: • obiettivi; • aspettative; • processi emotivi; • valori/interessi personali che conducono il soggetto ad imparare. Nel corso degli anni, mentre si è assistito al proliferare di teorie sulla motivazione, poco è stato detto sul processo che sta alla base della spinta motivazionale: la voglia di studiare e il processo di volizione. La voglia di studiare include quegli elementi che permettono il “controllo” e il mantenimento della motivazione nel tempo; consiste nella tendenza a persistere di fronte agli ostacoli e alle difficoltà che si incontrano lungo il percorso, nella concentrazione sul compito di fronte alla tentazione di dedicarsi ad attività più stimolanti. Tra le componenti della voglia di studiare si possono indicare: la curiosità, il senso di responsabilità, la tenacia, la perseveranza, la padronanza, l’ambizione, il desiderio di mostrarsi competenti, una buona autostima, un locus of control interno. Ma la voglia è innata? Ci sono persone svogliate “di natura” con le quali non vale la pena di fare nessun tentativo? Parlare di “voglia” e di “volontà” sembrerebbe comportare qualcosa di misterioso e impalpabile, una dimensione sulla quale non può esserci intervento. Questa conclusione è semplicistica e non tiene conto della complessità del fenomeno. La voglia di studiare è qualcosa di diverso dalla “volontà” interpretata come dote morale. Se è vero che ci sono componenti innate che intervengono in ogni processo di apprendimento (se così non fosse, tutti gli alunni della stessa classe dovrebbero ottenere i medesimi risultati) è anche vero che la “voglia di studiare” può essere potenziata e educata. Perché si verifichi apprendimento, la motivazione – fase in cui si cerca l’occasione e il momento giusto per realizzare l’azione – si appoggia al processo di volizione, le cui componenti sono: • un’intensità di forze messe in azione: lo studente attribuisce valore all’impegno necessario a studiare; 99 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” CAPITOLO 3 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” • la persistenza nel tempo della decisione: lo studente è costante nel tempo; • la resistenza di fronte alla fatica agli ostacoli, ad eventuali insuccessi: lo studente è tenace e vuole arrivare fino in fondo. Se noi pensiamo al processo di volizione come ad un insieme di strategie che aiutano gli studenti a superare i momenti di stanchezza e a mantenere la concentrazione sull’attività di apprendimento, possiamo costruire un percorso che aiuti gli studenti a: • abituarsi a vedere la scuola come un’opportunità positiva di sviluppo e di crescita; • pensare di poter raggiungere lo scopo (autostima e controllo dei propri pensieri); • stabilire obiettivi generali da tenere presenti nei momenti di stanchezza; • vivere il compito come una “sfida”, cercando i modi migliori per affrontarlo; • essere consci dell’esistenza delle motivazioni che sottendono all’azione e saperle utilizzare e combinare per ottenere il risultato migliore; • riflettere sul proprio modo di affrontare lo studio e sull’efficacia raggiunta. Come usare il materiale La scuola è il luogo in cui avviene l’apprendimento intenzionale. Spesso però le cose non sono così semplici: possono comparire noia, svogliatezza, distrazione, lentezza, ritardi, stanchezza, cattiva assimilazione dei contenuti. In tutti questi casi si può ipotizzare una mancanza di motivazione e di volizione. Il materiale realizzato e proposto alle scuole si pone l’obiettivo di potenziare la voglia di imparare facendo leva su alcune dimensioni cognitive e affettive. Come visto, le componenti che concorrono al successo scolastico rappresentano un sistema complesso e di variabili interconnesse. Si è deciso di considerare quelle maggiormente “gestibili” dal soggetto proponendo esercitazioni su aspetti come: atteggiamenti e comportamenti positivi e negativi per lo studio, autostima, stile di attribuzione, rapporti con i compagni e con i docenti, capacità di riflettere e valutare il proprio essere studenti2. 2 La riflessione sulle componenti affettive dell’insuccesso scolastico fa emergere chiaramente molti motivi che stanno alla base della difficile relazione tra studenti e apprendimento. Allo stesso tempo, è possibile identificare le potenzialità della scuola e dei docenti, di essere rispettivamente sede e sostegno per una loro positiva elaborazione. 100 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO Queste schede sono state pensate per i ragazzi delle scuole medie inferiori, ciò non toglie che si possono utilizzare come spunti per elaborarne altre rivolte ai ragazzi delle secondarie. Nell’età in cui il cambiamento è rapido, all’inizio dell’adolescenza, le difficoltà si fanno più frequenti. La “preadolescenza” (tra i 10 anni e i 14 anni circa) è il periodo in cui il cambiamento fisico, sociale, mentale è più rapido. Si modifica il modo di pensare, vi è la nascita di una nuova forma di pensiero, il gruppo dei pari assume una funzione centrale nella vita del singolo: una certa presa di distanza dalla scuola e una diminuzione della motivazione ad imparare è frequente a questa età. Il materiale è stato pensato per garantire grande flessibilità nella fruizione, sia per quanto concerne il “quando” somministrare le esercitazioni, sia per quanto riguarda il “come” utilizzarle. Il kit può essere usato dagli insegnanti di classe nel corso della normale attività scolastica annuale (ad esempio alla fine del primo quadrimestre, rappresenterebbe un momento per fare un bilancio e riflettere sulle difficoltà incontrate e sui cambiamenti necessari), oppure nell’ambito di attività di recupero e sostegno verso gli studenti che presentano maggiori difficoltà, o ancora può costituire uno strumento per facilitare la transizione tra un percorso di studi e un altro. Il materiale è stato suddiviso per sezioni e la numerazione ricomincia sempre ad ogni nuova area tematica, ciò permette di aggiungere nuove attività, l’ordine con cui sono presentate le schede non vuole essere prescrittivo o vincolante (alcuni esercizi a giudizio del singolo docente potranno risultare non indicati per quel determinato contesto). Curare la motivazione degli studenti non è un compito facile né veloce, richiede un grande sforzo da parte dell’insegnante e certamente anche una buona dose di tempo. Il materiale è organizzato per facilitare un uso autonomo da parte degli studenti, la scheda può quindi essere consegnata ai ragazzi con le indicazioni necessarie per completarla, eventualmente può essere lasciata come attività/stimolo e momento di riflessione personale da svolgersi a casa. È comunque consigliabile al termine del lavoro proposto, predisporre un momento di condivisione in classe, durante il quale discutere su quanto emerso, raccogliendo opinioni e riflessioni degli studenti. L’insegnante rivestirà una funzione di mediazione, interverrà per chiarire dubbi e problemi, adattando gli stimoli proposti alla particolare situazione di classe, suggerendo percorsi e traiettorie nuove e diverse. Il programma di lavoro è composto da quattro sezioni che corrispondono alle diverse componenti individuate dalla lettura di ricerche e dall’esame della letteratura sulle tematiche della motivazione, disagio sco101 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” CAPITOLO 3 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” lastico e insuccesso. Ne offriamo una veloce descrizione. SEZIONE A: atteggiamenti verso lo studio. Molti casi di insuccesso scolastico, bocciature, abbandoni sono determinati più che per difficoltà cognitive per un negativo approccio verso la scuola e lo studio. OBIETTIVI: creare un rapporto positivo nei confronti della vita scolastica, generare un mutamento nel modo di rappresentare la scuola. Un atteggiamento positivo consente all’alunno di essere disponibile all’apprendimento. SEZIONE B: potenziare l’autostima. L’autostima gioca un ruolo fondamentale nell’apprendimento. Uno studente con bassa autostima e che si percepisce come inadeguato avrà certamente problemi motivazionali (senso di sfiducia, ansia, depressione) e dunque problemi di rendimento. OBIETTIVI: le schede di questa area si propongono di aiutare lo studente a sviluppare una visione positiva e reale di sé, delle proprie capacità e dei pregi e difetti. SEZIONE C: stile di attribuzione. In generale di fronte a insuccessi nello studio alcuni ragazzi possono essere più o meno portati a spiegare gli eventi facendo riferimento al caso: quante volte abbiamo visto fare in classe svariati tipi di riti scaramantici? È pericoloso fare affidamento solo ed esclusivamente sulla fortuna: questo atteggiamento esclude completamente lo sforzo e l’impegno dei soggetti. I fallimenti vengono così spiegati attraverso cause esterne e impediscono la ricerca e la comprensione dei motivi reali. OBIETTIVI: giungere alla comprensione che per riuscire nello studio occorre mettere in atto le capacità personali, l’impegno, lo studio, sapere individuare in modo autonomo obiettivi, strumenti e mezzi relativi al compito. SEZIONE D: interesse e studio. Viene messa in evidenza l’importanza di sviluppare interessi e curiosità intellettuali, di utilizzare queste ultime per riuscire e affrontare lo studio. Negli ultimi anni si è sottolineata l’importanza di una motivazione intrinseca che parte cioè dai bisogni e interessi profondi dei soggetti. Gli alunni possono trovare in loro stessi le risorse che li motivano ad affrontare le diverse attività didattiche. OBIETTIVI: riconoscere le proprie motivazioni, riconoscere i propri interessi. SEZIONE E: emozioni e pensieri. Questa sezione considera la centralità delle dinamiche affettive sui processi di apprendimento e sul legame tra pensieri/emozioni/comportamenti. OBIETTIVI: imparare a riconoscere che ci sono pensieri che causano stati d’animo e comportamenti d’ostacolo allo studio. 102 ORIENTAMENTO TRA SCUOLA, UNIVERSITÀ E LAVORO SEZIONE F: comportamento assertivo. La scuola deve lavorare per promuovere le abilità sociali. La componente emozionale riguarda gli stati affettivi che attivano il comportamento, l’atteggiamento positivo o negativo assunto dal soggetto nei confronti dell’ambiente scolastico e il suo coinvolgimento. Tali elementi sono strettamente collegati, da un lato ai bisogni psico-sociali di integrazione dal soggetto col gruppo classe, dall’altro alla percezione di adeguatezza o meno che l’individuo ha del suo comportamento. OBIETTIVI: presentazione dei comportamenti passivo, aggressivo, assertivo. Riconoscere il comportamento migliore, a partire dalla riflessione su situazioni estratte dalla vita quotidiana di classe: litigi, prese in giro, richieste di copiare i compiti. SEZIONE G: relazioni con gli insegnanti. Una delle variabili che influenzano il percorso scolastico è la tipologia di relazione interpersonale tra docente e studente. Buona parte del successo scolastico, della voglia di studiare e di andare a scuola sono determinati dal fatto che l’insegnante piaccia o no. Un clima di classe sereno, migliora la qualità della comunicazione e permette lo scambio e la spiegazione dei concetti promovendo la maturazione personale. Se un ragazzo ha un buon rapporto con gli insegnanti e con i compagni può dedicarsi tranquillamente allo studio, se invece i rapporti sono difficili questi potrebbe canalizzare le sue forze nel cambiare la relazione, a scapito dell’apprendimento OBIETTIVI: presa di coscienza delle relazioni all’interno della classe ed eventuale modifica degli atteggiamenti riconosciuti come non adatti, riconoscere la qualità e il modo di interazione con gli insegnanti. SEZIONE H: vita di classe. Nella vita scolastica il rapporto che ogni ragazzo intrattiene con i propri compagni, è un aspetto assai importante. Queste relazioni influenzano la qualità del clima educativo. Il fatto di star bene a scuola dipende da come si gestisce il rapporto con i coetanei: nella sua forma migliore deve tendere alla cooperazione. Già dai primi anni della scuola primaria la maggior parte dei bambini si dimostra attenta ad instaurare legami con gli altri bambini. È in età adolescenziale che la qualità dei rapporti aumentano di intensità. OBIETTIVI: prendere coscienza della questione, rendere comprensibile certi comportamenti tipici, valorizzare le relazioni sociali positive a partire dal riconoscimento delle capacità relazionali sottolineando l’importanza dei legami che si sviluppano nel tempo, riconoscere le qualità dei compagni ed alcuni aspetti della loro personalità, distinguendo pregi e difetti. SEZIONE I: gli ingredienti dello studio. Per organizzare il proprio la103 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” CAPITOLO 3 Introduzione alle schede operative “Voglia di studiare” voro e riuscire a studiare è necessario che il ragazzo impari a riflettere e a pensare se stesso come studente, andando alla ricerca dei punti deboli e delle possibilità di miglioramento e crescita. OBIETTIVI: aumentare la capacità di autovalutare il proprio operato, la situazione esistente, la prestazione passata e quella futura. Riferimenti bibliografici Bandura, A. (1996). Il senso di autoefficacia. Trad.it. Erikson, Trento. Bartolini, P. (1994). Sulla didattica. La Nuova Italia, Firenze. Blandino, G., Granieri, B. (1995). La disponibilità ad apprendere. Raffaello Cortina, Milano. Caprara, G.V. (1996). Le ragioni del successo. Il Mulino, Bologna. De Beni, R. (2000). Motivazione e apprendimento. Il Mulino, Bologna. De Bono, E. (1991). Sei cappelli per pensare. Rizzoli, Milano. Di Pietro, M.( 1995). L’educazione razionale-emotiva.Erikson. Trento Franta, H., Colasanti, A.R. (1992). L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi. La Nuova Italia Scientifica, Roma. Goleman, D. (1996). Intelligenza emotiva. Trad.it Rizzoli, Milano. Gordon, T. (1991). Insegnanti efficaci. Trad. it. Giunti, Teramo. Maggiolini, A. (1994). Mal di scuola. Unicopoli, Milano. Marini, F., Miglia, D. (1993). Avere successo a scuola. FrancoAngeli, Milano. Marini, F. (1994). Successo e insuccesso scolastico. FrancoAngeli, Milano. Mc Combs, B.L., Pope, A. (1995). Come motivare gli alunni difficili. Trad. it. Pedrotti F. Erikson, Trento. Lumbelli, L. (1972). Comunicazione non autoritaria. FrancoAngeli, Milano. Petracchi, G. (1981). Apprendimento scolastico ed insegnamento. La Scuola, Brescia. Petracchi, G. (1990). Motivazione e insegnamento. La Scuola, Brescia. Pope, A., Mc Hale, S., Craighead, E. (1992). Migliorare l’autostima. Trad.it. Erikson, Trento. Ricchiardi, P. (2000). Contro l’insuccesso scolastico. Il Segnalibro, Torino. Rovetto, F. (1990). Il piacere di apprendere. Mondatori, Milano. Slepoj, V. ( 1991). Capire i sentimenti. Mondatori, Milano. Titone, R. (1975). L’apprendimento educativo. Bulzoni, Roma. 104 CAPITOLO 4 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO SESSIONE PARALLELA Coordinata da Maria Luisa Pombeni 105 CAPITOLO 4 4.1 IL PROGETTO SIOG PER I COL DI BENEVENTO di Nazzareno Orlando1 SIOG (Sistema Informativo Orientativo Giovanile) è un progetto ideato dal Comune di Benevento, promosso dal Ministero del Lavoro e del Welfare e realizzato dalla sua agenzia tecnica: Italia Lavoro S.p.a. Esso nasce dall’esigenza di creare attività di informazione e orientamento, intesa come conoscenza e diffusione delle opportunità presenti e future, provenienti dal mercato del lavoro. La conoscenza delle opportunità, delle caratteristiche principali presenti sul territorio della Provincia di Benevento, nonché della evoluzione che le politiche del lavoro stanno attraversando nel nostro Paese, sono premesse indispensabili per l’elaborazione di efficienti strategie di occupazione. Da qui, la necessità di conoscere le trasformazioni sociali ed economiche in atto e di trasmetterle al territorio per dare impulso alle politiche attive del lavoro. Il target degli utenti a cui è rivolto il progetto è quello dei giovani di età compresa tra i 18 ed i 32 anni che abbiano conseguito un grado medio-alto di scolarizzazione. Nell’ambito di tale target, comunque, il progetto si rivolge in generale a tutti coloro che sono in cerca di occupazione, orientando i giovani nell’analisi delle proprie competenze e proponendo un percorso formativo/lavorativo adeguato alle proprie potenzialità. Lo scopo è quello di incrementare l’offerta a livello locale ed offrire un servizio aggiuntivo a quelli già presenti sul territorio, di garantire, inoltre, la fluidità del passaggio di informazioni dal mondo della produttività direttamente ai giovani in cerca di occupazione. Sono proprio i giovani, che avranno modo di reperire in maniera garantita ed in tempo reale le informazioni sui profili professionali ricercati dalle aziende e sulle dinamiche del lavoro. SIOG, infatti, svolge azioni mirate sia verso singoli individui che verso il mondo imprenditoriale promuovendo interventi che favoriscono l’incrocio tra domanda/offerta di lavoro e tramite la fornitura di servizi di consulenza per l’auto impresa. In questo modo il progetto SIOG vuole offrire ai giovani un percorso di accompagnamento e orientamento, sollecitando ed ampliando la partecipazione dei principali attori locali pubblici e privati nelle questioni riguardanti la diffusione e la creazione di nuove opportunità di lavoro. Questa attività si attua anche attraverso la stesura di Protocolli di Intesa con enti locali, con il mondo accademi1 106 Assessore alla Cultura, al Turismo e alle Politiche Giovanili del Comune di Benevento. ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO co ed enti di ricerca. Infatti 16 organismi istituzionali sono stati fino ad ora coinvolti di cui, due agenzie per lo sviluppo locale, un’Agenzia nazionale per l’orientamento, l’Università degli Studi del Sannio, 13 istituti scolastici di secondo livello, la Camera del Commercio e l’Unione industriali di Benevento. Il progetto si concretizza attraverso l’allestimento e l’attivazione di 7 Centri di Orientamento Locali (C.O.L.) dislocati presso i comuni di Benevento, Montesarchio, Paduli, Castelpoto, San Lorenzo Maggiore, Pietrelcina e Morcone. Attraverso tali centri il SIOG riesce a creare una capillare rete informativa del mercato del lavoro provinciale, anche tramite un sistema di networking tra il Centro Informagiovani di Benevento ed i Centri di Orientamento Locale sopra citati. Il progetto si avvale dell’intervento delle seguenti figure professionali: • addetti all’accoglienza: figure preposte a fornire agli utenti le prime informazioni sui contenuti e gli obiettivi del progetto; • coordinatore COL: supervisore di tutte le attività relative ai COL, monitorando le varie fasi progettuali; • segreteria tecnica: addetti alla funzione di supporto tecnico-amministrativo ai vari staff di progetto; • orientatori: il cui fine operativo è quello di orientare l’utente, redigendone il bilancio di competenze ed inserendolo nella Banca Dati specifica; • analisti di domanda: un team di professionisti preposti al monitoraggio e alla individuazione dei fabbisogni professionali del mercato del lavoro, attraverso la definizione del tessuto economico del territorio di riferimento e l’approccio diretto con le aziende; • responsabili della comunicazione: figure specializzate addette alla promozione del progetto, tramite l’organizzazione di eventi, manifestazioni e campagne pubblicitarie. Molteplici sono state le attività realizzate dall’inizio del progetto. Dalla creazione di un apposito spazio Web per la diffusione delle informazioni agli utenti e per la comunicazione tra gli operatori dei COL, alla creazione di una banca dati on-line per la raccolta dei curricula e delle richieste delle aziende con i relativi fabbisogni professionali, al fine di agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. E ancora, l’analisi dei fabbisogni professionali delle PMI, tramite l’individuazione di un campione e la distinzione per settore e dimensione e la definizione di un protocollo di intesa con l’Università degli Studi del Sannio, con l’ISFOL e con il Centro Risorse Nazionale per l’orientamento, per condividere obiettivi e azioni sinergiche volte alla crescita delle opportunità legate al mondo del lavoro. Per la promozione del progetto sono stati organizzati seminari informativi e conferenze stampa. I dati acquisiti nel primo anno di attività, evidenziano che 33 sono stati i Comuni della 107 Il progetto Siog per i Col di Benevento CAPITOLO 4 Il progetto Siog per i Col di Benevento Provincia di Benevento raggiunti attraverso la diffusione del progetto a mezzo stampa, spot radio e televisivi, manifesti, locandine, brochure e 7 i Comuni coinvolti direttamente nel progetto attraverso un’adesione firmata dal Sindaco e l’approvazione della giunta Comunale. Inoltre l’organizzazione di un Career-Day, ossia una giornata dedicata ai giovani della Provincia di Benevento, ha dato la possibilità di incontrare direttamente 13 delle principali aziende presenti sul territorio, di consegnare il proprio C.V. e sostenere un primo colloquio motivazionale. In tutto sono state 444 le aziende contattate dal Progetto SIOG tramite, anche, l’attivazione di un Call-Center aziendale, permettendo così un primo contatto telefonico con le aziende stesse. 120 sono state le aziende visitate, intervistate dagli Analisti della domanda e inserite nel database del portale dedicato al progetto SIOG. 84 sono state le richieste dirette di figure professionali specializzate e 1431 i curricula inviati alle aziende, 92 le imprese che hanno dato la disponibilità a stage e tirocini formativi. Per quanto riguarda l’offerta e l’occupazione creata, 1621 giovani hanno usufruito dei servizi del progetto SIOG, 1402 sono stati i colloqui di orientamento sostenuti, 2203 le indicazioni verso opportunità lavorative create per gli utenti, 740 giovani hanno ricevuto una preparazione atta a valorizzare le proprie esperienze formative per affrontare al meglio il colloquio di lavoro, 46 gli utenti che hanno trovato occupazione grazie al progetto SIOG, di cui 6 con tipologia di contratto a tempo indeterminato. Il SIOG intende comunque continuare il suo percorso e organizzare ulteriori iniziative collegandosi con altri progetti già in essere. Saranno intensificate le attività di orientamento, procedendo alla verifica dei fabbisogni formativi espressi dai giovani utenti e dalle aziende. Si svilupperanno delle azioni specifiche per motivare gli attori della domanda, attraverso ulteriori protocolli di intesa con gli enti locali, con il mondo accademico, con enti di ricerca. Si procederà inoltre, allo studio di una funzionale piattaforma telematica capace di velocizzare gli iter e determinare una maggiore e più dinamica partecipazione. Il tutto supportato da un’adeguata campagna di comunicazione, strategicamente mirata al miglioramento ed al raggiungimento degli obiettivi. 108 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.2 L’ESPERIENZA DEL CENTRO RISORSE EUROPEO di Andrea Rocchi1 Come riporta il Documento tecnico del MLPS, l’investimento sull’orientamento formativo e lavorativo costituisce in questo momento uno dei fattori strategici del processo di sviluppo del paese ed un dispositivo di sostegno al rinnovamento del sistema dell’istruzione e delle politiche del lavoro a livello nazionale e locale. Il tema orientamento riveste, inoltre, una centralità crescente all’interno delle politiche sociali volte al benessere della persona e allo sviluppo professionale, venendo ad assumere un significato sempre più globale e trasversale rispetto alle diverse fasi di vita dell’individuo. A tal proposito, ben si colloca il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento, il quale opera su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – DGPOF, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e della Commissione Europea – DG Educazione e Cultura, per favorire esperienze di studio, formazione e lavoro nei paesi dell’Unione Europea. Il Centro Risorse è organizzato in un’unica struttura con sede a Benevento, in area OB. 1, al fine di promuovere e rafforzare le politiche attive del lavoro e sfruttare le sinergie che dal nuovo assetto derivano. Il CRNO supporta e favorisce la mobilità all’interno dell’UE e sostiene lo sviluppo in un’ottica europea dell’orientamento all’interno del contesto nazionale attraverso le seguenti attività: elaborazione di materiali informativi sulle opportunità di studio, formazione e lavoro a livello nazionale e transnazionale; diffusione dell’informazione sui servizi di orientamento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea e di quelli di nuovo ingresso; formazione degli operatori di orientamento; confronto e sperimentazione di modelli ed esperienze innovative nel campo dell’orientamento scolastico e professionale; ricerca, promozione e monitoraggio nell’ambito delle metodologie e dei sistemi informativi per l’orientamento. Il Centro Risorse è membro, a livello transnazionale, della rete europea Euroguidance mentre a livello nazionale agisce attraverso il coordinamento della Rete Nazionale di Diffusione, costituita da strutture ed enti impegnati nel settore dell’orientamento. Euroguidance2 è la Rete europea dei Centri Risorse nata nel 1993 e sostenuta dalla Commissione 1 2 Direttore del Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento, [email protected] http://www.euroguidance.net 109 CAPITOLO 4 L’esperienza del Centro Risorse Europeo Europea DG Educazione e Cultura e dalle autorità nazionali competenti in ciascun paese. In ogni stato membro sono stati individuati uno o più centri operativi che, lavorando in rete tra loro, favoriscono e promuovono la raccolta, la produzione e la circolazione di informazioni in materia di opportunità di istruzione e formazione, opportunità di mobilità, sistemi nazionali d’istruzione e formazione, qualifiche e diplomi, sistemi di orientamento. Attraverso il sito Euroguidance la Rete Europea dei Centri Risorse diffonde informazioni relative alle attività dei centri che fanno parte della Rete e ai principali progetti transnazionali sviluppati a supporto della mobilità e dell’orientamento. I Centri, promossi dalla Commissione Europea e dalle Autorità Nazionali competenti, contribuiscono, inoltre, all’implementazione e alla gestione del portale Europeo sulle opportunità formative3. Il portale Ploteus è un servizio della Commissione europea costruito con l’intento di illustrare le molteplici possibilità d’apprendimento e di formazione nell’ambito dell’Unione Europea, e realizzare una piena mobilità dei cittadini. Il sito offre i seguenti servizi: • opportunità d’apprendimento: nel quale sono disponibili gli indirizzi dei siti internet sugli istituti superiori, i database dei corsi di formazione professionale e le scuole; • sistemi d’istruzione: nel quale sono presenti le descrizioni dei sistemi d’istruzione e formazione presenti nei diversi contesti nazionali; • scambi: nel quale è possibile scoprire le possibilità di partecipazione ai programmi europei di scambio; • andare in un altro paese: dove sono reperibili notizie specifiche rispetto al Paese nel quale si vuole effettuare un’esperienza di studio o di formazione. Per quel che concerne, invece, l’attività del CRNO a livello nazionale grazie al sostegno e al coordinamento del Ministero del Lavoro, e alla collaborazione di alcuni soggetti attivi sul territorio italiano, è nata la Rete Nazionale di Diffusione. Essa costituisce, in prima istanza, uno dei principali canali attraverso i quali il Centro Risorse diffonde i materiali informativi realizzati ma si caratterizza anche come una rete di centri servizi e agenti di sviluppo e di promozione della dimensione europea dell’orientamento. I Punti della Rete Nazionale di Diffusione rappresentano quasi tutte le regioni e molte delle tipologie di servizi attivi in Italia. Essi promuovono i materiali del Centro Risorse anche attraverso le 3 110 http://europa.eu.int/ploteus ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO proprie reti di “diffusori” locali. Ogni anno il Centro Risorse organizza incontri che costituiscono occasioni periodiche di scambio e confronto reciproco sui temi di interesse e promuove gruppi di lavoro che collaborano su specifiche tematiche. Il sito (www.centrorisorse.org) è il principale strumento d’informazione del Centro Risorse. Offre, in percorsi strutturati, tutti i contenuti dei prodotti informativi realizzati ed è rivolto sia agli operatori del settore interessati all’acquisizione d’informazioni sull’Italia sia alle persone che intendono realizzare un’esperienza di studio o lavoro all’estero. L’area GIOVANI contiene suggerimenti ed informazioni pratiche per individuare opportunità e organizzare esperienze di studio e lavoro in un paese europeo. L’area OPERATORI contiene, oltre alle informazioni su prodotti e progetti realizzati dal Centro Risorse, uno spazio di approfondimento dedicato all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’orientamento. Il Centro Risorse sviluppa le proprie attività a partire da quattro concetti chiave: 1. INFORMAZIONE Produzione di materiali informativi cartacei e informatizzati per favorire le esperienze di formazione e lavoro all’estero (Cd-rom e pagine web, Guide, Schede tematiche, Videoconferenze). Diffusione dei materiali realizzati attraverso lo stesso sito, la Rete di Diffusione Nazionale, le Fiere e le manifestazioni pubbliche in Italia e all’estero, la collaborazione a progetti editoriali a diffusione nazionale. Ricerche e proposte metodologiche sulla gestione delle risorse informative e sull’organizzazione dei servizi di informazione attraverso la realizzazione di manuali, seminari e workshop per gli operatori. Monitoraggio degli strumenti informativi per l’orientamento disponibili in Italia e in Europa. La Newsletter ‘Risorse News’, è il periodico rivolto agli operatori di orientamento italiani che offre una panoramica sulle iniziative e i progetti a livello nazionale ed europeo. 2. PROGETTAZIONE Ricerca e sperimentazione di azioni, metodologie e strumenti di orientamento attraverso progetti pilota transnazionali. Monitoraggio dei bandi e dei principali canali di finanziamento comunitari relativi ai temi dell’orientamento, della istruzione/formazione e del lavoro. Networking per favorire la costituzione di partenariati transnazionali. 3. INNOVAZIONE Sperimentazione e promozione di soluzioni e strumenti propri dell’Information Communication Technology nell’ambito dell’orien111 L’esperienza del Centro Risorse Europeo CAPITOLO 4 L’esperienza del Centro Risorse Europeo tamento: dalle videoconferenze per incontri tematici a distanza, rivolti ad operatori e giovani, all’utilizzo di piattaforme telematiche per sperimentare modalità di lavoro a distanza tra operatori europei. 4. ASSISTENZA TECNICA Formazione degli operatori dei servizi di orientamento su problematiche relative alla dimensione europea e alla gestione delle informazioni di supporto attraverso seminari e workshop. Organizzazione di scambi e visite di studio per operatori e accoglienza di delegazioni italiane e straniere. 112 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.3 L’ESPERIENZA DEL CENTRO RISORSE REGIONALE PER L’ORIENTAMENTO IN FRIULI VENEZIA GIULIA di Piero Vattovani1 Premessa Il Centro Risorse regionale per l’orientamento nasce in Friuli Venezia Giulia nel 2002, nell’ambito del progetto Ri.T.M.O. (progetto di sistema per l’orientamento finanziato dal POR FVG dell’Obiettivo 3 - 2000/2006), promosso dal Servizio istruzione e orientamento della Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace, d’intesa con la Direzione centrale lavoro, formazione, università e ricerca della Regione. Il Centro Risorse è una struttura di servizio ai servizi che ha il compito di raccogliere e diffondere strumenti utili agli operatori e supportare lo sviluppo e il mantenimento di un sistema di orientamento integrato sul territorio regionale. L’idea di attivare questo servizio a livello regionale era maturata grazie a una convergenza quasi naturale di linee di lavoro sviluppate a livello locale, nazionale ed internazionale nell’area informativa, tuttavia, a questo proposito, significative erano state anche alcune esperienze di scambi internazionali, che avevano fornito ai funzionari regionali la possibilità di visitare altri paesi europei, dove strutture con funzioni simili erano già attive da alcuni anni. Fin dalla fase di ideazione e di progettazione e successivamente durante la realizzazione operativa, al Centro Risorse era stato assegnato il compito di attivare delle funzioni di tipo “trasversale” di supporto al sistema regionale di orientamento e, in particolare, due filoni di lavoro erano stati individuati come fondamentali: a) la gestione di un sistema informativo per l’orientamento, unitario a livello regionale e trasversale ai sistemi scuola, formazione e lavoro; b) la costruzione di relazioni e di reti tra i sistemi e gli operatori. All’interno di questi due filoni sono stati poi collocati gli obiettivi di lavoro e le rispettive attività. La gestione del sistema informativo regionale per l’orientamento Nelle sezioni “Orientamento” e “Planet Giovani” del sito internet dell’Amministrazione regionale erano già presenti degli strumenti e dei servizi informativi ma, essendo stati realizzati per tappe nell’ambito 1 Responsabile del Coordinamento dei servizi regionali per l’orientamento della Regione Friuli Venezia Giulia. 113 CAPITOLO 4 La gestione del sistema informativo regionale per l’orientamento di diverse iniziative progettuali, era necessario dedicare, in maniera continuativa e specifica, delle risorse umane per raggiungere una maggiore unitarietà e omogeneizzazione nel complesso e per migliorare ed elevare gli standard qualitativi dei singoli prodotti e servizi. Le pagine Web dell’orientamento contengono pagine informative, banche dati e sezioni interattive che richiedono una manutenzione quotidiana. Le principali banche riguardano l’offerta scolastica, formativa e di servizi sul territorio regionale e sono dotate di appositi moduli per l’aggiornamento a distanza, da curarsi direttamente dai responsabili delle scuole e degli enti di riferimento. Il CR (Centro Risorse) comunque stimola e fornisce supporto agli operatori per garantire la verifica e l’aggiornamento periodico dei dati. Tra le varie attività il Centro Risorse gestisce anche un servizio diretto all’utenza con lo sportello on line “L’esperto risponde”. Tale attività comporta il monitoraggio delle richieste informative che pervengono ai vari siti dell’orientamento e l’evasione delle stesse attraverso ricerche personalizzate e la preparazione delle risposte agli utenti. Nonostante il Centro Risorse si configuri come un “servizio ai servizi”, a nostro giudizio è fondamentale che questa struttura mantenga anche un rapporto diretto e qualificato con i cittadini del territorio. Inoltre, mantenere alta l’attenzione sulla necessità di una mediazione tra i bisogni degli utenti e gli oggetti informativi, così come sono proposti dai sistemi, ha contribuito ad allontanare il pericolo, sempre presente, che gli operatori del Centro Risorse si trasformino, nel tempo, da orientatori in documentaristi. Il Centro Risorse svolge comunque una funzione di Centro di documentazione, in particolare per i Centri regionali di orientamento, raccogliendo e sistematizzando la documentazione cartacea e multimediale e il materiale documentale prodotto a livello locale, nazionale ed europeo relativo all’orientamento e ai suoi ambiti di applicazione, quali istruzione e formazione, lavoro, formazione professionale, università. In fase di avvio dell’attività previa analisi delle principali classificazioni, nazionali ed europee, e della classificazione già in uso presso il servizio regionale, è stato ideato e adottato uno specifico sistema di classificazione del materiale informativo presente presso tutte le sedi del servizio di orientamento. Il sistema permette ora la ricerca tramite apposita procedura on line dal sito “operatori di orientamento”. Altri servizi disponibili dal medesimo sito “operatori di orientamento” sono il servizio di Rassegna stampa tematica su riviste specializzate, la Newsletter mensile “Orientamento News”, il servizio di segnalazioni delle novità (News) che permette di portare all’attenzione degli operatori, in tempo reale, una selezione di notizie dedicate al tema dell’orientamento, utilizzabili per l’erogazione dei servizi di consulenza orientativa e informativa. Il servizio news è differenziato per target di riferimento nei tre siti 114 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO (Planet Giovani, Orientamento, Operatori) e viene aggiornato quotidianamente grazie al contributo degli operatori di tutta la Rete di orientamento del Friuli Venezia Giulia. La costruzione di reti di relazioni tra servizi e operatori L’obiettivo che ci si proponeva di raggiungere era duplice: da un lato rafforzare lo scambio di risorse e strumenti tra le istituzioni e i servizi presenti sul territorio regionale, favorendo in questo modo la conoscenza, la valorizzazione e trasferibilità ad altri contesti di esperienze di eccellenza, dall’altro promuovere la comunicazione e lo scambio di esperienze professionali tra operatori, per aumentare la completezza e la qualità delle risposte ai bisogni dell’utenza e per facilitare la sperimentazione di azioni innovative integrate. L’esistenza in Regione di strutture di orientamento dedicate con operatori esperti e di alcune iniziative di rete tra gli sportelli informativi imponeva di calibrare attentamente le specifiche attività del Centro Risorse che doveva, almeno in parte, inserirsi in maniera produttiva e qualificata in filoni di lavoro già da tempo attivi, potenziandone l’efficacia. Innanzitutto si è scelto di lavorare sulla circolazione dell’informazione professionale e sugli strumenti di lavoro, attivando un circuito costante di raccolta, selezione e diffusione di notizie su eventi, progetti e materiali rilevanti per l’attività informativa e di accoglienza degli utenti, propria di ciascun punto della rete informativa per l’orientamento operante sul territorio regionale. Il cuore del sistema si basa in primo luogo su un’interazione strutturata tra gli operatori del Centro Risorse a livello centrale e gli operatori di accoglienza e informazione degli sportelli Ri.T.M.O. a livello periferico, che a loro volta mediano la comunicazione in ingresso e in uscita con il Centro di orientamento di appartenenza, con le scuole e con la rete degli altri servizi attivata a livello territoriale. Lo strumento di lavoro creato appositamente per lo scopo è il portale “Operatori di orientamento“ all’interno del quale sono stati collocati strumenti ed aree di lavoro differenziate per funzione. Le principali aree sono: • Area Risorse con varie banche dati che contengono le schede descrittive di progetti attivati nei contesti dell’Università, Istruzione, Formazione e Lavoro (in ambito locale, nazionale ed europeo qualora di rilevanza per gli operatori del FVG), le schede bibliografice dei materiali documentali (libri, atti di convegni, relazioni, ecc.) disponibili presso i Centri regionali di orientamento, le schede descrittive di siti Web nazionali e internazionali specificamente dedicati al tema dell’orientamento e le schede anagrafiche degli Enti aderenti alla Rete informativa per l’orientamento in FVG. 115 La gestione del sistema informativo regionale per l’orientamento CAPITOLO 4 La costruzione di reti di relazioni tra servizi e operatori • Area Documentazione per l’aggiornamento informativo e l’approfondimento teorico e operativo che offre la Rassegna stampa dei quotidiani locali e delle riviste specializzate, la consultazione on line della newsletter mensile, la possibilità di scaricare in formato pdf la rivista semestrale “Quaderni di Orientamento”, una specifica scheda per ordinare materiali e guide al Servizio regionale di orientamento. • Area approfondimenti con sintesi, documenti e materiali di approfondimento elaborati nel corso dei laboratori di buone pratiche e dei Seminari. • Iniziative permette l’accesso ad aree di lavoro, resoconti e strumenti relativi a progetti, in fase di realizzazione o realizzati, promossi dal Servizio regionale di orientamento o dai Centri territoriali. Un discorso a parte meritano i laboratori di buone pratiche che si inseriscono all’interno delle attività di animazione della comunità degli operatori, proponendosi quali momenti di confronto e di discussione su tematiche di particolare rilievo o su esperienze significative che possono arricchire l’intero sistema di orientamento regionale. Le iniziative realizzate hanno toccato sempre temi di rilevanza operativa (“Il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali straniere”, “L’orientamento e la mobilità europea”, “Strumenti e buone prassi per le Pari Opportunità”, “L’orientamento nel contesto interculturale”, “Dall’università al lavoro”, “Scienziati si nasce o si diventa?” ecc.) e il più delle volte hanno avuto uno sviluppo misto, alternando percorsi preparatori con gruppi selezionati di operatori a momenti seminariali aperti a tutti gli interessati. Un’attività di rete stabile si è, per ora, consolidata solo all’interno dei servizi di orientamento gestiti direttamente dalla Regione, i Centri regionali di orientamento e gli Sportelli Ri.T.M.O., mentre sono rimasti legati a singoli eventi e collaborazioni saltuarie i rapporti con le strutture orientative appartenenti ad altri sistemi. Un’ipotesi per tentare di risolvere questa criticità potrebbe essere, in futuro, quella di prevedere che il Centro Risorse, a partire da un ristretto gruppo organizzativo stabile, si avvalga prioritariamente di orientatori provenienti dai vari sistemi e che la programmazione delle sue attività siano il frutto di forti accordi con i responsabili tecnici di tutti i servizi informativi e di orientamento operanti sul territorio. L’organizzazione Il Centro Risorse regionale opera come struttura di supporto tecnico al Servizio istruzione e orientamento della Regione, per le azioni di sistema e per la gestione dei servizi trasversali, sulla base di programmi 116 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO annuali di attività la cui realizzazione viene costantemente monitorata e supervisionata dal medesimo servizio. Il CR collabora in modo sistematico con i sei Centri regionali di orientamento e con gli otto Sportelli territoriali di accoglienza e informazione, a loro volta attivati con un’altra azione del medesimo progetto Ri.T.M.O. Inoltre, nell’animazione della “Rete informativa per l’orientamento”, il Centro Risorse regionale si pone come punto di riferimento per gli operatori/orientatori dei vari sistemi (Scuole, FP, Centri di orientamento universitario, Sportelli informagiovani, Centri per l’impiego ecc.). La gestione delle varie attività è stata affidata in appalto, previo esperimento di apposita gara ad evidenza pubblica, ad un’associazione temporanea di impresa con capofila la ditta Aster di Bologna. Il progetto, al momento, è finanziato fino a dicembre 2006. Nella sede operativa di Trieste operano stabilmente cinque operatori specializzati, di cui un coordinatore a full time e gli altri quattro a part time. Il Centro Risorse, all’occorrenza, si avvale anche dell’apporto e del know how di vari operatori senior appartenenti alle organizzazioni che gestiscono il servizio o di altri esperti incaricati per specifiche attività. Conclusione: sfide e criticità In sintesi, concludendo, preme ricordare che la sperimentazione del Centro Risorse regionale per l’orientamento in FVG si inserisce in un modello organizzativo che fa perno sui Centri regionali di orientamento e sugli Sportelli di accoglienza e informazione per strutturare in tal modo un solido sistema di servizi pubblici, con le diverse parti che interagiscono e si integrano reciprocamente per alzare la qualità dei servizi offerti. Sperimentare un Centro Risorse comunque, a differenza dei più tradizionali sportelli e Centri di orientamento, è stata una sfida che va ancora perfezionata e verificata: la sua funzione e i suoi obiettivi, ancora oggi, non sono sempre capiti al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Le sfide principali su cui ci siamo impegnati, ma che certamente non sono finite, riguardano in particolare: • la volontà di impostare un sistema informativo trasversale e comune per l’orientamento, così da rispondere in modo omogeneo alla domanda di orientamento su tutto il territorio regionale. Questo sistema informativo tutela in concreto il diritto di tutti i cittadini ad avere pari opportunità nell’accesso ad un’informazione di qualità; • il tentativo di promuovere processi di integrazione e raccordo tra sistemi sia a livello di programmazione istituzionale che a quello operativo territoriale; 117 L’organizzazione CAPITOLO 4 Conclusione: sfide e criticità • l’aver promosso l’idea che una comunità professionale di orientatori potesse riconoscersi e ritrovarsi in un lavoro comune, indipendentemente dalla diverse appartenenze istituzionali o settoriali; • l’aver provato nuove strade per produrre convergenze operative tra i saperi tecnici (accademici e/o professionali) e i diversi livelli di decisionalità istituzionale o politica. Rimangono comunque non definitivamente risolte, anche nella nostra esperienza, alcune questioni che possono essere considerate delle vere e proprie criticità per il futuro di questo tipo di strutture. La prima riguarda l’identità stessa di un Centro Risorse, la sua appartenenza interna o trasversale ai diversi sistemi. A questa è indissolubilmente legata la questione sostanziale del riconoscimento da parte degli altri servizi e degli operatori. Per essere efficace il Centro Risorse deve prima di tutto conquistarsi una credibilità sul campo, che difficilmente gli potrebbe venir garantita dalla sola norma istitutiva. Poi ci sono le questioni della sostenibilità: è facile che un Centro Risorse venga considerato un lusso che distoglie risorse preziose dai servizi di front office, mentre andrebbe valutato piuttosto in termini di ergonomicità e di risparmio per il resto del sistema. Anche l’organizzazione può essere un elemento di ulteriore analisi, da effettuarsi probabilmente in modo molto contestuale ai singoli territori e sistemi di riferimento. Dal punto di vista organizzativo diverse sono le opzioni disponibili; ad esempio si può adottare un modello organizzativo diffuso piuttosto che quello centralizzato o far assumere funzioni di servizio trasversali a strutture appartenenti ad uno specifico sistema o ancora impostare ex novo una struttura sovraordinata. C’è poi da discutere quale debba essere il nucleo di professionalità per gli operatori di un Centro Risorse. Devono essere specialisti o devono avere una professionalità condivisa con gli altri orientatori dei servizi? Certo che, dando per scontato un’alta competenza nei compiti progettuali-organizzativi e nell’utilizzo dei canali informativi e comunicativi, l’operatore senior di un Centro Risorse non può che essere un orientatore, magari con un bagaglio di esperienza pregressa sul campo di tipo settoriale, ma in grado di comprendere dall’interno le problematiche dei colleghi impegnati direttamente con l’utenza. Al momento poi, la competenza e la professionalità acquisita dagli operatori sono ancora una risorsa a rischio per l’intero sistema in quanto legate alla condizione di precarietà conseguente all’attivazione con modalità “a progetto” di questo tipo di servizi. In questo caso anche il Friuli Venezia Giulia, che invece per altre prestazioni orientative dispone di strutture stabili, si accomuna al resto dell’Italia, dove ormai quasi tutto il sistema di orientamento è attivato con progetti a termine, soggetti alle fluttuanti incertezze dei finanziamenti del FSE, su cui si è quasi totalmente basato in questi ultimi an118 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO ni. Concludendo, nella nostra esperienza il Centro Risorse è diventato un elemento cardine, indispensabile per la qualità e il buon funzionamento dell’intero sistema di orientamento regionale. Rimangono, tuttavia, aperte ancora molte questioni, tra cui, quella fondamentale, di come passare dalla fase sperimentale al consolidamento organizzativo e tecnico dei servizi attivati e dei risultati raggiunti. Riferimenti bibliografici Consolini, M. (2003). Progettare un servizio di informazione. Franco Angeli, Milano. D’Angelo, M.G., Silverii, M., Trevisani, A. (2004). Le comunità on line per gli operatori di orientamento. In Professionalità, marzo-aprile 2004. Pellegrini, M.G., Vattovani, P. (2002). Orientamento On Line in Friuli Venezia Giulia. In Magellano, n. 12, pp. 52-57. Pellegrini, MG., Vattovani, P. (2005). Centri dedicati per l’orientamento – natura e funzioni per una rete territoriale di servizi in FVG. In Professionalità, n. 89, pp. 65-71. Pombeni, M.L., Vattovani, P. (a cura di) (2005). Centri dedicati per un sistema integrato di orientamento. FrancoAngeli, Milano. Vattovani, P. (2002). Progetto di sistema per l’orientamento nel Friuli Venezia Giulia. In Quaderni di Orientamento, n. 21, pp. 4-11. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, pagine Web “Operatori di orientamento” a cura del progetto RiTMO www.regione.fvg.it (selezionare “sezione orientamento” e poi “operatore o insegnante”) oppure http://reteorientamento.regione.fvg.it. 119 Conclusione: sfide e criticità CAPITOLO 4 4.4 L’ESPERIENZA DELL’AGENZIA DEL LAVORO DI TRENTO di Mauro Ghirotti1 In provincia di Trento i servizi orientativi sono fortemente integrati nell’ambito dei Centri per l’impiego ormai da numerosi anni. L’esperienza di tale integrazione inizia nel 1994, con una sperimentazione che ha visto l’inserimento di alcuni orientatori professionali, dipendenti di una struttura della Provincia Autonoma di Trento, nelle Sezioni circoscrizionali per l’impiego, vale a dire nell’ambito degli uffici periferici del Ministero del Lavoro preposti alle funzioni di collocamento ed avviamento al lavoro, per offrire ai lavoratori informazioni di tipo occupazionale e la possibilità di fare dei colloqui di orientamento. La sperimentazione si è poi progressivamente ampliata a seguito della Legge Provinciale 3 febbraio 1997, n. 2 che ha ricomposto, a livello locale, le competenze istituzionali in materia di collocamento e politiche attive del lavoro. Ciò ha consentito la nascita e l’evoluzione di un unico soggetto, l’Agenzia del lavoro, nel quale l’integrazione fra servizi orientativi e le altre attività e servizi in materia di sostegno ai soggetti sul mercato lavoro si è ulteriormente sviluppata. A distanza di oltre un decennio dall’inizio di questo percorso e raggiunto uno stadio maturo dell’esperienza, è possibile proporre alcune riflessioni in merito all’evoluzione che ha caratterizzato i servizi orientativi, proprio in virtù del fatto di essere posti ed offerti a fianco di interventi occupazionali di altra natura. Va premesso che in Trentino l’orientamento professionale aveva, precedentemente all’integrazione con i Centri per l’impiego, una sua specificità. Dall’anno 1983, infatti, esisteva il Centro di Orientamento professionale ed assistenza nel collocamento, che aveva una identità organizzativa ed operativa ben definita. Gli operatori che vi lavoravano erano selezionati, mediante una valutazione delle potenzialità e capacità, specificatamente nei confronti della relazione d’aiuto e formati secondo il medesimo obiettivo. La formazione e la supervisione costanti nei confronti degli operatori avevano prodotto un tipo di intervento con delle caratteristiche peculiari, in base alle quali l’utente è l’attore principale di un processo di auto-orientamento e il compito essenziale dell’orientatore è quello di trasmettergli un metodo con il quale affrontare i momenti di transizione della vita professionale e favorire lo sviluppo di 1 Direttore dell’Area Orientamento Professionale, Assistenza nel collocamento-Servizi per l’Impiego- Agenzia del Lavoro della Provincia Autonoma di Trento. 120 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO competenze di autoanalisi, della consapevolezza di sé e del proprio percorso. Gli utenti che usufruivano del servizio erano, nella maggioranza dei casi, capaci di svolgere un percorso caratterizzato da un processo di autovalutazione: erano per lo più giovani adulti in possesso di titolo di studio di scuola media superiore o laurea. Essi si rivolgevano al Centro di Orientamento domandando principalmente informazioni e consulenza per la predisposizione di un progetto formativo e/o professionale articolato. Il contesto nel quale vengono oggi offerti i servizi di orientamento è profondamente diverso. I principali fattori di diversità si pongono in connessione con le caratteristiche e le aspettative dell’utenza. Il dato più evidente fa riferimento al volume di utenti. Rispetto ad un servizio dedicato esclusivamente ad una funzione orientativa, le persone che si rivolgono ai Centri per l’impiego sono moltissime. Nel 2004 i lavoratori che hanno usufruito dei servizi di orientamento sono stati 12595. Per quanto riguarda le caratteristiche dell’utenza, si riscontra una elevata percentuale di lavoratori con scolarità medio-bassa (nel 2004 il 14% è senza titolo di studio, il 37% ha conseguito la licenza media e il 13% ha una qualifica professionale) ed è frequente la provenienza da paesi extracomunitari, con una conseguente alta incidenza di persone con scarsa conoscenza della lingua italiana. Nel 85% dei casi gli utenti sono disoccupati e si rivolgono al Centro per l’impiego per cercare un lavoro. Molto significativa, per quanto riguarda il rapporto con i servizi orientativi, è proprio l’urgenza manifestata, nella stragrande maggioranza dei casi, di trovare impiego in tempi molto brevi. Il complesso di questi aspetti si associa molto spesso ad una scarsa abitudine all’uso e gestione di informazioni di tipo orientativo e, soprattutto, alla riflessione e progettazione del proprio percorso professionale. Ciò può derivare certamente, in parte, dal basso livello di scolarità, ma molto spesso anche dalle aspettative che i lavoratori hanno nei confronti della struttura presso la quale si rivolgono ed esprimono la domanda di servizi. A questo proposito va ricordato quanto sia stato impegnativo, ed in parte ancora lo sia, lo sforzo di modificare quelle aspettative, storicamente collegate al ruolo esercitato dagli Uffici di collocamento e culturalmente molto sedimentate, che facevano riferimento ad una funzione di controllo da parte degli operatori e ad un ruolo passivo del lavoratore nell’azione di ricerca occupazionale. È evidente che proporre interventi orientativi in un contesto così definito, è molto diverso rispetto alla realizzazione di un servizio analogo in un ambito dedicato e di121 L’esperienza dell’agenzia del lavoro di Trento CAPITOLO 4 L’esperienza dell’agenzia del lavoro di Trento sgiunto dagli altri servizi all’impiego. La progressiva rimodulazione ed evoluzione delle attività di orientamento realizzate nei Centri per l’impiego ha quindi portato al riconoscimento di una serie di specificità di tali attività, al punto di poterle identificare con una denominazione particolare: l’orientamento al lavoro. Le caratteristiche di tale tipo di orientamento si sono connotate, nel tempo, sempre più chiaramente. Un’importanza crescente ha ricoperto l’informazione professionale, intesa soprattutto come pubblicizzazione e costante aggiornamento delle opportunità lavorative e formative, dei concorsi pubblici e di tutte le informazioni di agile e veloce lettura ed utilizzo. Per quanto riguarda i colloqui individuali di orientamento, sono aumentati esponenzialmente nei numeri (11259 nel 2004) e nel contempo hanno subìto una significativa rimodulazione nei contenuti e nelle modalità di erogazione. Sono, infatti, molto richiesti i colloqui con prevalente aspetto informativo e/o con un’attenzione particolare alle tecniche di ricerca del lavoro, intese soprattutto come addestramento all’uso degli strumenti più pratici e concreti: il curriculum vitae, gli indirizzi utili, i settori d’impiego, ecc. Molto spesso, inoltre, i colloqui sono finalizzati alla valutazione di una possibile attivazione di altri strumenti di politica attiva, con la previsione di meccanismi di accesso mirato. Per quanto riguarda invece la consulenza orientativa vera e propria, la relativamente scarsa presenza di lavoratori con buone capacità di compiere processi di autovalutazione, e con disponibilità allo svolgimento di un percorso medio-lungo, hanno di fatto portato a riservare lo strumento ad un numero contenuto di utenti (572 nel 2004), in possesso di quelle risorse personali e motivazionali necessarie per sostenere un percorso strutturato di apprendimento. Uno degli strumenti che si è dimostrato più utile nell’orientamento al lavoro è sicuramente il tirocinio formativo e di orientamento. Il tirocinio permette, infatti, di coniugare l’urgenza di un rapido inserimento nel contesto lavorativo (anche se non a pieno titolo in quanto lavoratore subordinato), senza rinunciare alle necessità espresse dall’utente di svolgere percorsi di approfondimento di tipo formativo ed orientativo. Esso permette inoltre agli orientatori di proporre qualcosa che gli utenti considerano particolarmente “concreto” e, quindi, più rispondente alle loro richieste e aspettative, senza rinunciare, nel contempo, a cercare di impostare o almeno abbozzare un progetto professionale con degli obiettivi e una tempistica. L’evidenziarsi e lo strutturarsi di queste funzioni hanno avuto delle conseguenze anche di tipo organizzativo. In primo luogo va evidenziato che l’incremento costante del nume122 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO ro dei colloqui individuali richiede una disponibilità sempre maggiore di operatori di orientamento. Nel contempo, l’articolarsi del servizio in più funzioni ha portato alla definizione di livelli professionali differenziati, con l’individuazione di profili relativi ad operatori con una media specificità professionale (i più soggetti allo sviluppo in termini numerici), per la gestione dei cosiddetti colloqui orientativi di primo livello ed i tirocini, ed il riconoscimento che le caratteristiche professionali più tradizionali degli operatori di orientamento siano invece da riservare ai percorsi di consulenza orientativa. La situazione attuale si caratterizza dunque dalla presa d’atto delle modifiche strutturali e organizzative che si sono prodotte nei servizi orientativi a seguito della loro integrazione con le altre politiche del lavoro ed al loro essere proposte nel contesto dei Centri per l’impiego. Tale riconoscimento è un passo fondamentale per riuscire a gestire, sul piano strategico, i servizi e poter predisporre risposte adeguate alle richieste di orientamento comunque provenienti dai lavoratori. In quest’ottica è importante saper modulare sia l’offerta delle diverse linee di servizio che la professionalità degli operatori. L’aumento di domande sociali diversificate e le diverse condizioni personali emerse nei Centri per l’impiego richiedono, quindi, la presenza di più figure di operatori, con competenze riconosciute e standards operativi per le diverse funzioni dell’orientamento al lavoro, al punto che anche a livello nazionale vi sono proposte di linee guida in materia. Mi riferisco, in particolare, ad un documento tecnico scientifico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dal titolo ”Prospettive di sviluppo di un sistema nazionale di orientamento”. Proprio per rispondere in maniera diversificata ai bisogni espressi dagli utenti, l’Agenzia del lavoro di Trento ha avviato, nella seconda metà dell’anno 2005, una sperimentazione per la realizzazione di un nuovo strumento, denominato tutorato orientativo. Questo prevede l’accompagnamento di soggetti particolarmente deboli sul mercato del lavoro nel percorso di inserimento e reinserimento occupazionale. La funzione di accompagnamento si configura come azione strategica nell’offerta di sostegni di accesso al mercato del lavoro, in quanto offre alle persone con scarsi livelli di autonomia una mediazione sociale nel processo di ricerca e inserimento nel mercato del lavoro, rendendo disponibile al disoccupato un punto di riferimento personalizzato e continuativo. Il ruolo dell’operatore che svolge una funzione di tutorato orientativo è quella di affiancare concretamente il lavoratore disoccupato che presenta delle difficoltà comportamentali. I destinatari dell’intervento sono, in particolare, utenti con scarso livello di attivazione nella ricerca, con atteggiamento passivo e incapacità di identificare strategie concrete o con 123 L’esperienza dell’agenzia del lavoro di Trento CAPITOLO 4 L’esperienza dell’agenzia del lavoro di Trento attivazione non efficace, dovuta a scarsa capacità di autopromozione e/o esperienza lavorativa frammentata. Si tratta di una tipologia di utenti piuttosto frequente nei Centri per l’impiego e per la quale gli “storici” strumenti dell’orientamento non si rivelano adatti e funzionali. In prospettiva si potranno realizzare poi ulteriori misure correttive, per poter meglio rispondere ad altri bisogni. Si pensa ad esempio ad una graduale riattivazione dei corsi di orientamento di gruppo, che negli ultimi anni erano stati posti in secondo piano dalla strategia organizzativa adottata dalla nostra struttura. Si dovrebbero però ripensare, ponendo particolare attenzione ad alcuni aspetti, quali la valorizzazione delle tecniche di ricerca attiva del lavoro e la ridefinizione della durata degli interventi, per meglio rispondere alle esigenze dei lavoratori. Infatti, i moduli corsuali tradizionalmente utilizzati non sono positivamente considerati dalla maggioranza dei potenziali beneficiari proprio a causa della scarsa concretezza percepita e della loro durata, ritenuta troppo lunga e, quindi, impegnativa e fuorviante rispetto al concreto obiettivo occupazionale. 124 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.5 L’ESPERIENZA DELL’ARMAL PER L’ORIENTAMENTO: IL CASO “PASSO ALLA PRATICA” ISFOL di Elena Gregori1 Sperimentare e condividere una pratica specialistica di orientamento su un intero territorio regionale coinvolgendo operatori e strutture diversi appartenenti a Province diverse: quali effetti “collaterali”, oltre quelli più prevedibili (l’arricchimento della professionalità degli operatori e della gamma degli strumenti in dotazione), ne possono derivare? Come possono essere colti? Come potenziarli? L’impegno dell’ARMAL per l’Orientamento, il suo lavoro nella rete di relazioni con le strutture del territorio e l’attenzione ai risvolti che possono derivare dalla applicazione di una pratica di consulenza orientativa, quale quella proposta dall’ISFOL, sono i temi del presente contributo che vede come sfondo l’evolversi dei servizi di Orientamento nei Centri per l’Impiego delle Marche. Le attività dell’ARMAL per l’Orientamento Tra le molteplici attività che l’ARMAL, Agenzia Regionale Marche Lavoro, svolge nell’ambito delle proprie competenze a supporto delle politiche attive del lavoro (in particolare quella di assistenza tecnica alle Province per “realizzare uniformità di prestazioni nei Centri per l’Impiego”), uno spazio sempre più significativo è stato dedicato all’orientamento. Un campo, quello dell’orientamento, più di ogni altro delicato e complesso e nel quale permangono ancora molte incertezze e diversificate rappresentazioni, ma strategico nel processo di sviluppo dei servizi per l’impiego e nell’interazione tra i sistemi della formazione, dell’istruzione e del lavoro. L’ARMAL (attraverso l’UO Interventi diretti e Servizi Specialistici) da tempo infatti dedica una crescente attenzione all’orientamento nei suoi molteplici aspetti e dimensioni, incrementando le proprie attività in questo campo sia come interventi diretti sia come contributo allo sviluppo ed al governo di sistema. Dall’assistenza tecnica ai Centri per l’Impiego l’Orientamento e la Formazione, per la progettazione di interventi di orientamento rivolti a vari target di utenza, affiancando gli operatori nella fase di realizzazione, agli interventi diretti su richiesta delle 1 Responsabile unità organizzativa assistenza tecnica ed interventi diretti di ARMAL - Ancona. 125 CAPITOLO 4 Le attività dell’ARMAL per l’Orientamento scuole e di altri soggetti del territorio per iniziative destinate a studenti, genitori, docenti. Numerose e non secondarie le altre attività di informazione, pubblicizzazione e diffusione di strumenti e pratiche di orientamento, raccolta di documentazione, partecipazione a programmi, progetti, seminari e convegni, tutoraggio in tirocini. Qualificante la collaborazione con lo sportello EURES della Regione Marche ed il raccordo costante con altri enti e agenzie nazionali, quale il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento di cui l’ARMAL è punto attivo della rete di diffusione per la Regione Marche. Dunque una gamma di attività che permette all’ARMAL di relazionarsi con una pluralità di soggetti coinvolgenti e coinvolgibili per il loro apporto all’orientamento e sulle quali si è andata costruendo numerose esperienze. L’esperienza più coinvolgente e ricca di risvolti significativi è legata alla partecipazione a programmi sperimentali e di ricerca su strumenti ed attività riferiti alla consulenza orientativa, ambito delicato e non certo facile in un terreno altrettanto intricato e complesso qual è l’orientamento. Le sperimentazioni ISFOL e il ruolo dell’ARMAL L’ARMAL si è impegnata in diverse iniziative, cogliendo l’opportunità di partecipare alla intensa attività sperimentale dell’ISFOL, prendendo parte fin dal 2003 a tre diverse sperimentazioni i cui sviluppi si protraggono ancora nell’attività presente. La prima riguarda un percorso di consulenza orientativa individuale dal significativo titolo “PassoallaPratica” rivolto ai ragazzi in uscita dalla SMS, finalizzato a sviluppare e potenziare le competenze auto-orientative e a pervenire ad una scelta consapevole e realistica del proprio percorso di studi e di lavoro. La fase sperimentale consisteva nel testare sul campo il questionario ISFOL “Io di fronte alle situazioni” (strumento ad uso orientativo focalizzato sulle dimensioni del coping) unitariamente ad una serie di altri strumenti standardizzati e nella applicazione di un modello integrato di consulenza individuale. In questa fase nelle Marche sono intervenuti, oltre ad un operatore dell’ARMAL, altri 5 operatori provenienti da strutture diverse appartenenti a Province diverse. 2 Nell’applicazione collettiva sono state coinvolte 6 classi di quinto anno 2 Francesca Paci del Centro per l’Impiego di Senigallia, Gianluca Vergari e Daniela Piaggesi del Centro per l’Impiego di Fabriano, Lucia Barbieri del Servizio OF di Macerata, Roberta Garofolo del Servizio FP della Provincia di Ascoli Piceno ed Elena Gregori dell’ARMAL. 126 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO delle Scuole Medie Superiori3; per un totale di 98 alunni. L’applicazione del percorso individuale di consulenza ha interessato 13 alunni, per 11 dei quali si è svolto presso il Centro per l’Impiego di Senigallia. La seconda si colloca nell’ambito di un progetto di ricerca ISFOL-CETRANS “Orientamento: la valutazione dei servizi e delle pratiche” ed è consistita nell’applicazione sperimentale di strumenti di valutazione per la consulenza specialistica nell’orientamento erogata dai servizi di orientamento. È stata interessante, in quanto ha permesso di socializzare, in modo più puntuale, la definizione di consulenza orientativa, indipendentemente dai percorsi/strumenti utilizzati, ma anche perché ha permesso di coinvolgere la totalità delle strutture attive delle 4 Province delle Marche (i 13 CIOF e i due servizi dedicati per l’Obbligo Formativo). Più recente la terza, senza dubbio la più impegnativa tra quelle avviate, riguarda la sperimentazione di un percorso di Bilancio di Competenze (Bi.dicomp.) applicabile all’interno di strutture quali i Centri per l’Impiego. L’applicazione del percorso, anche qui preceduto da una fase di progettazione e pianificazione degli interventi nonché del training degli operatori coinvolti, è avvenuto in 3 Centri per l’Impiego (Jesi, Senigallia, Fermo), impegnando ben 14 operatori, provenienti anche da altri CIOF (di Ancona, Fabriano ed Ascoli Piceno)4. L’ARMAL, oltre a sperimentare direttamente il percorso presso il CIF di Jesi, ha organizzato riunioni di formazione con tutor ISFOL presso la propria sede ed ha curato il raccordo tecnico-scientifico tra gli operatori, monitorandone, con l’ISFOL, l’andamento. In tutte e tre l’ARMAL è intervenuta nelle varie fasi e ricoprendo più ruoli che ha avuto modo di esplicare, ad esempio, nella partecipazione a focus group gestiti dall’ISFOL in preparazione delle sperimentazioni o direttamente sul campo, nella applicazione della pratica da sperimentare. Ma la funzione più impegnativa, e comunque più distintiva dell’ARMAL, consiste nella promozione e nella realizzazione della partnership attiva tra l’ISFOL e i vari servizi territoriali interessati, appartenenti alle Province delle Marche nonché nel coordinamento tecnico-orga3 Classe V indirizzo Turismo IPS Servizi Alberghieri, della Ristorazione, Commerciali e Turistici “A. Panzini”, Senigallia (AN); Classe V geometri ITC “E. F. Corinaldesi”, Senigallia (AN); Classe V Indirizzo informatico ITIS “A. Merloni”, Fabriano (AN), Classe V Liceo Scientifico Statale “G. Galilei”, Macerata; Classe V Liceo delle Scienze sociali e Istituto Magistrale “L. Mercantini”, Ripatransone (AP). Il percorso di consulenza è stato applicato ad allievi del V anno indirizzo aziendale del citato Istituto “Panzini” di Senigallia e del Liceo Scientifico “Galilei” di Macerata. 4 Nel Centro per l’Impiego di Jesi: Tiziana Amori, Patrizia Pela con Gianluca Vergari e Daniela Piaggesi del Centro per l’impiego di Fabriano ed Elena Gregori dell’ARMAL. Nel Centro per l’impiego di Senigallia: Francesca Paci e Carolina Mercolini con 4 operatrici Catiuscia Casavecchia, Camilla Martini, Sabrina Masserelli, Elisabetta Muscari del Centro per l’impiego di Ancona. Nel Centro per l’impiego di Fermo: Adele Malavolta, Alessandra Caponi, Fabrizia Talamonti. 127 Le sperimentazioni ISFOL e il ruolo dell’ARMAL CAPITOLO 4 Le sperimentazioni ISFOL e il ruolo dell’ARMAL nizzativo degli operatori delle strutture che prendono parte alla sperimentazione, una volta costituito il team degli operatori. Operazione non certo semplice: porgere una proposta sperimentale a soggetti appartenenti a distinte istituzioni, verificarne e agevolarne le condizioni di applicabilità, prendere contatti e comunicare con operatori e decisori, sia a livello istituzionale che informale, vuol dire mettere in moto tutta una serie di relazioni e comportamenti che richiedono una loro collocazione e definizione proprio su un terreno, quello dell’orientamento, dove ancora poche sono le definizioni condivise e ancor meno le certezze. L’occasione di “PassoallaPratica” Ognuna delle 3 sperimentazioni ha rappresentato un’occasione importante per misurarsi con presupposti basilari e nodi cruciali propri dell’agire nell’orientamento, non ultimi la professionalità degli operatori e la qualità delle azioni nei servizi. Ma è proprio l’applicazione del percorso di “PassoallaPratica”, primo ad essere proposto alla sperimentazione, che è interessante seguire in quanto costituisce un’esperienza emblematica non solo per la pluralità degli aspetti toccati ma anche per le azioni che ne sono derivate ed ancora oggi in evoluzione. Per meglio comprenderne la portata occorre aggiungere qualche dettaglio in più nella descrizione della pratica e degli attori coinvolti. In verità sui contenuti e sulle caratteristiche di “PassoallaPratica”, nonché sulla sperimentazione ed i suoi esiti, si hanno già dettagliate informazioni provenienti da pubblicazioni e da seminari e convegni sul tema5; in ogni caso è da sottolineare il fatto che il percorso messo a punto dall’ISFOL ha una forte centratura in ambito scolastico e presuppone una relazione consulenziale con l’utente-studente, al di fuori della sede scolastica. Pertanto, per la sua applicazione sperimentale, ci si rivolgeva a strutture che fossero già aperte ed attive anche sul fronte scuola e soprattutto in grado di fornire servizi di consulenza, da affidare ad operatori preferibilmente senior, anche diplomati ma con almeno tre anni di esperienza di consulenza orientativa. Individuare tali caratteristiche, riguardanti sia le strutture che gli operatori, voleva dire connotare delle distinzioni non sempre colte a pieno nei vari contesti e a vari livelli, portarle in evidenza e di fatto condividerle. Altri aspetti del percorso, rilevanti per il loro peso sull’esperienza, ri5 Seminario “IO DI FRONTE ALLE SITUAZIONI - Roma 24 maggio 2004 / Volume “PassoallaPratica” Una pratica ISFOL di consulenza orientativa, Collana Studi e ricerche – ISFOL / Convegno “Orientare l’Orientamento” Roma 5-6 dicembre 2005. 128 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO guardano il forte ancoraggio ad una precisa teoria di riferimento (l’approccio socio-cognitivo e la teoria costruttivista) nonché la stessa situazione sperimentale in cui si andava ad operare. Aspetti questi ben evidenziati nel corso del breve training dei consulenti6, curato dall’ISFOL presso la propria sede, nel consegnare loro il kit degli strumenti all’avvio della sperimentazione. La stessa situazione sperimentale predisposta dall’ISFOL presupponeva parametri precisi (definizione di un target specifico di utenti, caratteristiche delle strutture, risorse tecniche e metodologiche messe in campo, comprese le competenze degli operatori, il setting, tempi di realizzazione, ecc…) e modalità organizzative per la realizzazione dei percorsi ed il monitoraggio del loro andamento (registrazione delle attività, “diario di bordo” a cura di ogni operatore, relazione informativa e consulenziale con un tutor ISFOL di riferimento). Del resto l’ISFOL ha reso ben esplicito il suo progetto, ribadito anche nelle successive sperimentazioni, di pervenire ad una ampia gamma di servizi di orientamento validati e standardizzati da offrire sul territorio, partendo dalla costruzione condivisa di modelli e strumenti da applicare sul campo coinvolgendo le strutture che vi operano. Tenendo conto di tutti questi aspetti e della loro portata, l’ARMAL ha colto questa importante e qualificante occasione per coinvolgere più operatori provenienti da distinte strutture, i Centri per l’Impiego7 e dipendenti da diverse amministrazioni (quelle provinciali) armonizzando le finalità proprie dell’ISFOL con quelle del sistema regionale e quindi anche quello locale, ponendosi come punto di snodo e di raccordo tra i vari livelli. Partendo quindi dalla conoscenza diretta della pratica da sperimentare (l’ARMAL partecipa a focus group in fase di progettazione e si mette nelle condizioni di sperimentarla direttamente, in una delle strutture del territorio) recependone la possibile estensione, verificando le condizioni di applicabilità nelle strutture ed individuando gli operatori con le caratteristiche richieste, si arriva ad un piano concordato di sperimentazione non mancando di interpellare i singoli decisori: i responsabili dei CIOF, i Dirigenti del Servizio FP e Lavoro delle Province e in certi momenti anche gli stessi Assessori Provinciali. È infatti indispensabile non trascurare la comunicazione con il piano istituzionale non solo per richiedere permessi, giustificazioni per missio6 Circa trenta provenienti anche da altre 7 Regioni d’Italia: Piemonte, Lombardia, Sicilia, Liguria, Campania, Lazio, Puglia. 7 Dal 2005 chiamati Centri per l’Impiego l’Orientamento e la Formazione (CIOF) - Legge Regionale n. 2/2005. 129 L’occasione di “PassoallaPratica” CAPITOLO 4 L’occasione di “PassoallaPratica” ni, per agevolare lo spostamento e l’utilizzo degli operatori, ma anche per fornire nel contempo ai decisori stessi essenziali ma precise informazioni e rendere loro visibile l’attività che si sta svolgendo e la sua portata. L ’ARMAL in queste funzioni (comunicare, coinvolgere, far incontrare, sviluppare) è agevolata in quanto può avvalersi della rete di relazioni che si è venuta a creare con le strutture locali per le attività di assistenza tecnica di cui ha competenza o partecipando congiuntamente ad altre iniziative, ma anche per la conoscenza diretta che deriva dalla sua attività di monitoraggio dei Servizi per l’Impiego, condotta ogni anno dal 20038. Una parentesi sul Servizio Orientamento nei Centri per l’Impiego nelle Marche Badando esclusivamente al Servizio Orientamento offerto dai Centri per l’Impiego si registra nel corso degli anni un aumento consistente delle attività ed una loro più netta differenziazione, distinguendo opportunamente gli interventi di consulenza orientativa dai cosiddetti “colloqui di orientamento” previsti dal D.Lgs 297/02 . I dati del 2002 raccolti dall’ARMAL nel suo primo monitoraggio mostravano chiaramente come il servizio di orientamento, pur essendo attivato in tutti i 13 Centri delle Marche, venisse diversamente inteso ed agito nella pratica. Ciò emergeva dalla elevata disparità del numero dei colloqui dichiarati, dalla diversificata composizione della tipologia di utenza trattata e dall’utilizzo delle risorse umane, anche questo assai diversificato. La situazione appariva eterogenea anche all’interno delle stesse singole Province nonostante la Regione Marche avesse curato gli standard di servizi9, compreso quello di “consulenza orientativa per il lavoro”. Da allora si sono avuti notevoli passi avanti ma ancora c’è molto da fare. Nell’ultimo monitoraggio ARMAL 2005, il Servizio Orientamento si configura come uno dei servizi maggiormente complessi soprattutto in termini di strumentazione e professionalità necessarie. La consulenza orientativa, offerta tramite un percorso articolato in media in tre incontri, ed individuata come macro-tipologia di attività all’interno del servizio, riguarda un numero ridotto di utenza (in media circa il 2,3%), all’interno della quale compare una quota elevata della componente giova8 I report di monitoraggio dei vari anni 2003, 2004, 2005 sono disponibili sul sito www.ARMAL.marche.it 9 Regione Marche Standard dei Servizi per l’Impiego, documento, pubblicato interamente nel supplemento n.12 del BU Regione Marche n.25 del 3 marzo 2000, come allegato “C” al Piano per le politiche attive del lavoro 2000-2003. 130 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO nile (giovani + adolescenti più del 34%) sebbene non sia uniformemente distribuita tra i Centri. Per quanto riguarda il personale impiegato nell’attività di consulenza orientativa solo 5 Centri su 13 utilizzano personale a tempo indeterminato e sempre in modo non esclusivo. In tutti gli altri il servizio viene assicurato attraverso consulenti o collaboratori esterni che vi si dedicano in modo esclusivo solo in tre Centri. La consulenza orientativa dunque acquista nei Centri per l’Impiego delle Marche progressivamente una sua visibilità anche se nella pratica sussiste ancora una certa indeterminatezza, legata non solo alla componente individuale dei singoli operatori ma dovuta soprattutto al loro parziale utilizzo, al loro avvicendarsi in un contesto organizzativo non sempre stabile. Queste ed altre variabili differenziano le realtà anche all’interno delle stesse province in uno sfondo cangiante in continuo movimento che si intreccia con la frammentazione degli interventi delle pratiche di orientamento e con il diverso peso loro conferito. Uno sfondo dunque che presenta una situazione cangiante rende difficoltoso il pervenire ad una stabilità ed omogeneità dei Servizi di Orientamento che renderebbero più visibile e ferma l’immagine dei servizi stessi. Oltre la sperimentazione di “PassoallaPratica” Anche tenendo conto di questa situazione, è sembrato opportuno non disperdere subito gli effetti collaterali dell’esperienza di “PassoallaPratica” e continuare, anzi potenziare, rafforzare una modalità di azione (interazione con operatori, formazione, assistenza tecnica, tutoraggio, valutazione coordinata...) che mostra tutta la sua efficacia nei raccordi operativi con gli operatori dei CIOF, assumendo una prospettiva temporale ed una visione più ampia e completa delle attività di orientamento. È così che l’esperienza nelle Marche si è protratta oltre la conclusione della fase sperimentale, prefigurando tappe successive in un percorso che, a tutt’oggi, prevede tappe ulteriori. L’ARMAL, quindi, dopo aver curato il coordinamento tecnico-organizzativo della sperimentazione nelle Marche ed averne preso parte direttamente, si è attivata per la diffusione della pratica consulenziale sul territorio e per favorirne le condizioni di trasferibilità nei Centri per l’Impiego che si fossero mostrati interessati. Del resto i risultati della sperimentazione, nel frattempo valutati dall’ISFOL, provavano che la pratica poteva essere trasferita, riprodotta nelle strutture del territorio. Un primo passo è consistito nella realizzazione di uno specifico seminario di diffusione del percorso ISFOL svoltosi presso la sede della Regione Marche nell’ottobre del 2004 e che ha visto la partecipazione 131 Una parentesi sul Servizio Orientamento nei Centri per l’Impiego nelle Marche CAPITOLO 4 Oltre la sperimentazione di “PassoallaPratica” di un ampio pubblico. L’attività seminariale, incentrata sulle caratteristiche del percorso sperimentato nelle Marche e sui primi risultati raccolti, è stata occasione di contatto e di confronto tra gli operatori dei Centri per l’Impiego e le Scuole Medie Superiori, nonché tra gli altri enti del territorio impegnati in attività di orientamento e informazione dei giovani (Informagiovani, Università, Enti scolastici e formativi, Associazioni). Sono intervenuti, affiancando Anna Grimaldi e Rita Porcelli dell’ISFOL, gli operatori che avevano preso parte alla sperimentazione dando vita ad un interessante dibattito alla presenza del Direttore dell’ARMAL, Fabio Montanini, e dell’Assessore regionale, Ugo Ascoli. L’interesse suscitato e il coinvolgimento degli operatori hanno rafforzato l’intenzione di rendere possibile il trasferimento della pratica sperimentata nei Centri per l’Impiego delle Marche, provvedendo alla necessaria formazione degli operatori e mettendo loro a disposizione lo strumento “Io di fronte alle situazioni”, utilizzato nel percorso di “PassoallaPratica”, che l’ARMAL ha provveduto a far stampare, nella versione standardizzata e su licenza dell’ISFOL. In questa prospettiva l’ARMAL ha richiesto il supporto tecnico-scientifico dell’ISFOL sia per la formazione degli operatori che per il monitoraggio dell’applicazione del percorso agli utenti finali, contributo accordato attraverso l’operatività e la supervisione della responsabile del progetto (Anna Grimaldi) e dei suoi collaboratori. L’attività di formazione degli operatori si è svolta presso la sede dell’ARMAL in due distinte sessioni (una ad aprile e l’altra a maggio del 2005) ed è risultata fortemente coinvolgente vista l’alta partecipazione degli operatori provenienti da tutte le strutture provinciali. L’iniziativa si è avvalsa dell’apporto dei 6 operatori che avevano a suo tempo sperimentato la pratica ed ha visto la partecipazione della stessa Anna Grimaldi nonché delle ricercatrici ISFOL Rita Porcelli (tutor per le Marche della sperimentazione) e Sabrina Marciano. Il Tavolo Tecnico “PassoallaPratica” L’esperienza della formazione comune, anche come spazio di incontro e discussione tra gli operatori di tutte le strutture del territorio regionale, ha messo in luce la necessità di prendere in esame problematiche ed aspetti cruciali toccati dalla effettiva messa a regime della pratica e che richiedono ulteriori approfondimenti anche in merito ai diversi contesti in cui vanno ad inserirsi. Queste considerazioni, e l’intento di continuare a procedere in modo coordinato e con rigore metodologico, hanno reso concreta l’ipotesi, nata nel corso degli incontri di formazione, di consolidare il rac132 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO cordo Regione-Province-ISFOL attraverso l’istituzione di un tavolo tecnico comune, attualmente operativo, e che ha preso il nome di “PassoallaPratica”. Il Tavolo Tecnico “PassoallaPratica”10, nato recentemente per accompagnare il trasferimento di tale percorso di consulenza nelle strutture della regione e monitorarne gli esiti, risulta una occasione di confronto e di condivisa osservazione dell’agire nell’orientamento. Nel raccordo ISFOL, Regione, Province si rende concreto l’avvicinamento dell’ambito scientifico all’ambito operativo della pratica per i servizi attivati. I componenti del Tavolo sono in costante raccordo per affrontare le diverse questioni tecnico-operative strettamente legate alla pratica (es. verificare i bisogni di ulteriore formazione degli operatori, concordare la stesura di un depliant di presentazione del percorso con parti comuni e parti personalizzate da utilizzare in occasioni diverse, raccogliere informazioni ed aggiornamenti sugli strumenti utilizzati), ma non solo. Infatti l’esame attento delle condizioni di applicabilità, il contatto diretto con gli operatori, i risvolti operativi nell’erogazione del servizio e i molteplici fattori messi in gioco, rendono inevitabile il confronto su questioni a più largo raggio e più evidente il bisogno di azioni di sistema. La modalità di lavoro in rete assunta dal Tavolo Tecnico “PassoallaPratica” consente sì di pervenire ad attività concordate e coerenti sulla situazione contingente ma permette anche di elaborare una visione di sintesi dell’esistente e una contemporanea considerazione dei vari livelli di azione. Tavolo quindi anche come osservatorio delle situazioni nel non facile sforzo di chiarezza nell’equilibrio tra rigorosità metodologica richiesta per l’applicazione dalla pratica e flessibilità rispetto ai contesti organizzativi dal punto di vista del servizio e ai bisogni dell’utente dal punto di vista del percorso individuale. Il proposito di continuare ad agire con rigore metodologico nel monitoraggio delle attività, se mantenuto ed agito nelle azioni future, avrà i suoi benefici riflessi e sulla professionalità degli operatori e sulla qualità dei servizi ma anche sul modo di approccio a questioni di sistema. 10 La proposta di dar vita ad un Tavolo Tecnico per PassoallaPratica, inoltrata dall’ARMAL, è stata accolta dalle Province che hanno indicato i loro referenti tecnici: Francesca Paci per Ancona, Lucia Barbieri per Macerata, Roberta Garofolo per Ascoli Piceno, Enrica Orciani per Pesaro Urbino. A questi si affiancano, nella composizione del tavolo, Giuseppe Attilio Trotta consigliere Eures Regione Marche, Elena Gregori dell’ARMAL e Anna Grimaldi e Rita Porcelli dell’ISFOL. La prima riunione si è tenuta il 4 ottobre 2005 presso l’ARMAL alla presenza di tutti i componenti il tavolo ed allargata ad altri funzionari ed operatori delle Province. 133 Il Tavolo Tecnico “PassoallaPratica” CAPITOLO 4 I risvolti di “PassoallaPratica” In effetti la sperimentazione di “PassoallaPratica” ha offerto più di una occasione agli operatori coinvolti, e non solo, di confrontarsi con la propria professionalità, di posizionare e conferire identità alla propria azione e prefigurare spazi di attività utili anche per sviluppi futuri. La situazione sperimentale in sé e l’applicazione dei percorsi di consulenza, concentrata nell’unico Centro per l’Impiego di Senigallia, hanno portato a concordare modalità di azioni che uscivano fuori dagli schemi usuali e dalle rigidità istituzionali. Alcuni consulenti hanno infatti operato in una struttura diversa dalla propria (la cosa si è ripetuta successivamente anche per la sperimentazione di Bi.dicomp. ISFOL- vedi nota 3) e tutti sono poi stati coinvolti in un ruolo diverso da quello usuale quali docenti dei loro colleghi partecipanti alle giornate di formazione presso l’ARMAL per il trasferimento delle pratica. Anche per l’ARMAL trattare direttamente l’utenza non è usuale, se non per richieste specifiche di assistenza tecnica: l’applicazione dell’operatore ARMAL all’interno di un Centro per l’Impiego, a fianco degli operatori locali, ha rappresentato una valida occasione per entrare nel vivo dell’operatività e rendere più partecipato ed efficace il proprio ruolo di supporto e di coordinamento oltre che mettersi in condizioni di apprendere e crescere a propria volta. Da non sottovalutare infatti la valenza formativa dell’esperienza per gli operatori che hanno partecipato alla sperimentazione. Certamente la formazione degli operatori non era la finalità primaria dell’ISFOL, tuttavia l’intera esperienza ha avuto un riflesso considerevole in tal senso in quanto prevedeva non solo il training iniziale presso la sede ISFOL, ma anche momenti di autoformazione, applicazione sul campo, confronto sull’attività in corso con colleghi in riunioni tecniche presso l’ARMAL in presenza del tutor e costante supervisione ISFOL. Inoltre il forte aggancio a costrutti teorici e metodologici di riferimento del percorso in sperimentazione, portavano gli operatori a focalizzare e confrontare idee teoriche di sfondo e la propria impostazione fino a socializzare e condividere alla base gli assunti culturali dell’orientamento. Cosa di non poco conto, tenendo presente che questo bisogno nasce proprio dagli stessi operatori così come proviene dal territorio l’esigenza di nuova formazione e di assistenza tecnica, registrata fin dalla prima riunione del Tavolo Tecnico. Emblematica la formulazione della richiesta da parte di due Province non limitata alla formazione di operatori di recente nomina, ma estesa ad altri soggetti all’interno del Centro per l’Impiego, che pur avendo funzioni diverse dalla consulenza orientativa, (accoglienza, informazione, rapporti con l’esterno, obbligo formativo,..) hanno, in qualche modo, a che fare con giovani ed adolescenti e che quin134 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO di sono interessati ad approfondire la conoscenza della pratica e delle dimensioni prese in esame: ciò non tanto per applicarla direttamente ma per meglio confrontarsi con l’utenza trattata o per effettuare con maggiore consapevolezza e coerenza i rimandi da altri servizi alla consulenza orientativa. Per gli operatori che avevano già seguito una prima formazione presso l’ARMAL e che di fatto applicheranno il percorso, viene previsto un approfondimento sugli strumenti ed un affiancamento tecnico-metodologico sempre con la supervisione dell’ISFOL. L’esperienza ha dunque evidenziato l’importanza dell’assistenza tecnica nel processo di sviluppo dei Servizi ed il valore che l’irrinunciabile attività di rete può avere se si procede in concreta sinergia su obiettivi concreti e chiari; del resto la crescita di una comunità di pratica si sostiene se ci sono certe condizioni. L’esigenza da parte degli operatori, di diversa provenienza e situazione contrattuale, di agire con conoscenze e competenze adeguate e soprattutto condivise, messa in luce in questa occasione, e colta opportunamente dai componenti del tavolo tecnico, che si pongono come coordinamento a livello del proprio territorio provinciale, sembra essere un aspetto significativo e quindi non trascurabile in vista di azioni future che possono avere riflessi sullo sviluppo del sistema. La mutualità degli operatori ed il superamento della rigidità istituzionale (pur sempre concordato ufficialmente su iniziativa dell’ARMAL), sperimentato con “PassoallaPratica”, rende più flessibili i rapporti tra i soggetti e può agevolare soluzioni organizzative più mobili e funzionali utilizzabili anche in altre occasioni (es. nell’ipotesi di specializzazione dei servizi sul territorio). “PassoallaPratica” inoltre, come percorso di consulenza rivolto ad una porzione ristretta di un target specifico di studenti di SMS, si inserisce e si integra con iniziative di orientamento che già si realizzano nell’ambito dei servizi territoriali ed in collaborazione con le scuole. Ciò risulta un’ottima occasione per rendere più concreto e propositivo il raccordo tra Centri per l’Impiego e le istituzioni scolastiche del territorio che ogni Provincia ha in qualche modo curato e strutturato nel tempo con modalità diverse (intese, protocolli) e con iniziative diverse. L’utilizzo di “PassoallaPratica” da parte di tutti i Centri per l’Impiego aumenterebbe l’uniformità di offerta e quindi la visibilità di un servizio qualificato ed esteso a tutto il territorio e nel contempo ridurrebbe la percezione della frammentarietà delle attività e dei servizi che nonostante i progressi registrati, ancora permane in qualche misura. La crescita di professionalità dei singoli operatori e la diffusione di una cultura condivisa dell’orientamento, insieme all’arricchimento della gamma di pratiche da offrire all’interno dei servizi, possono dunque es135 I risvolti di “PassoallaPratica” CAPITOLO 4 I risvolti di “PassoallaPratica” sere ascritti tra gli effetti di ritorno più diretti e prevedibili dell’esperienza; tuttavia, come si è cercato di evidenziare, possono essere considerati ulteriori effetti sulla qualità dei servizi e sul sistema stesso. Dalla pratica al sistema Indubbiamente la continuità e la sequenzialità delle azioni intraprese dopo la sperimentazione di “PassoallaPratica” hanno permesso di mettere in luce alcuni elementi che possono verosimilmente contribuire a pervenire ad un sistema reale che dia continuità e sviluppo a quanto avviato, in una situazione ricca di attività ma ancora precaria. Ciò può essere facilitato cogliendo e potenziando gli effetti sopra descritti anche attraverso l’operatività del Tavolo Tecnico “PassoallaPratica” quale strumento per alimentare il dialogo comune nella rete che si è venuta a consolidare: non solo per mantenere lo stretto rapporto tra enti e strutture a vari livelli (nazionale, regionale, locale), ognuno portatore di specificità, ma anche per mantenere l’avvicinamento dell’ambito scientifico all’ambito operativo della pratica attivata e favorire il dialogo tra il livello tecnico-operativo e quello decisionale. Può essere questa una premessa per passare da un tavolo legato ad una pratica specifica ad un Tavolo Tecnico per l’Orientamento a 360 gradi che possa vedere l’apporto di altri elementi nel sistema Istruzione formazione lavoro. In questa prospettiva l’ARMAL si fa parte attiva, insieme ad altri soggetti interessati, nel necessario lavoro di raccordo e di mediazione quanto più possibile coinvolgente e nello stesso tempo disponibile ad essere coinvolto. L’esperienza riportata dall’ARMAL si carica quindi di significati ben più ampi rispetto all’acquisizione di un “prodotto” di consulenza orientativa e meglio può mostrare come la sperimentazione di pratiche orientative in comune permetta di toccare questioni nodali, determinanti che aiutano a meglio definire e posizionarsi su tematiche quali qualità, integrazione, professionalità, sistema. Partendo proprio dalla pratica operativa attraverso comportamenti condivisi ed effettivamente praticati si può dare identità all’orientamento pur toccando un territorio parziale (la consulenza orientativa rivolta a giovani studenti) dell’intero pianeta orientamento. Il procedere concordemente nel rilevare e favorire le condizioni di applicabilità della pratica nei diversi contesti provinciali, prevedere ulteriori momenti di formazione e di assistenza tecnica agli operatori, seguirne gli sviluppi e monitorarne i risultati conseguiti (non solo sul fronte degli utenti) costituisce una nuova e concreta modalità di rapportarsi tra soggetti coinvolti e può costituire un significativo contributo a pervenire a un sistema orientamento istituzionalmente più consolidato. 136 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.6 LA PRATICA ORIENTATIVA DI CORA di Amelia Andreasi1 CORA è un raggruppamento nazionale di organizzazioni che sul territorio svolgono attività orientativa fondata su assiomi teorici e valori di riferimento comuni. Per questo dato, fondamento della rete stessa, non è possibile trattare gli elementi che costituiscono la sua pratica odierna senza inscriverla dentro alla cornice dei principi che la ispirano e costantemente la interrogano nel suo senso e significato. La rappresentazione stessa dell’orientamento è un dato in costante evoluzione che prende vita dal rapporto con il contesto in cui si opera e per questo definita dalla storia e dalle condizioni economiche e sociali di questo Paese. Da un’idea dell’orientamento centrata sulla funzione di strumento per il rafforzamento e la progettualità delle donne in rientro nel mercato del lavoro si è via via trasformata in una visione dell’orientamento più articolata e strettamente connessa al sistema di servizi che agiscono sul piano dello sviluppo sociale. Questa trasformazione si è sviluppata nel corso di 20 anni durante i quali è profondamente cambiato sia il mondo del lavoro che il sistema sociale in cui le persone si trovano a vivere; ed è stata prodotta attraverso la riflessione sulle attività realizzate dalle varie realtà organizzative della rete. Poiché fa parte degli assunti teorici di riferimento, concepire l’esperienza come esito di un lavoro di ri-flessione sulla pratica quotidiana senza il quale non è possibile l’apprendimento e l’appropriazione di quanto si è vissuto, è stato naturale sviluppare in questi anni la rivisitazione e l’approfondimento di quanto messo in pratica nei vari centri della rete e nelle loro diverse esperienze nei territori, per comprendere quanto andava trasformandosi nella stessa idea dell’orientamento che andavamo utilizzando. D’altronde questo lavoro di elaborazione che l’organizzazione ha fatto e costantemente fa su di sé, a partire dalla sua quotidianità, è quanto viene proposto alle persone nei gruppi o nei colloqui orientativi e negli stessi bilanci di competenze attraverso una metodologia ben radicata nel pensiero teorico di riferimento ma in relazione con la verifica del- 1 Presidente della rete nazionale Cora onlus, Centri Orientamento Retravailler Associati. 137 CAPITOLO 4 La pratica orientativa di CORA la propria pratica professionale e l’elaborazione che ne emerge. Quali sono dunque oggi gli elementi che caratterizzano l’orientamento CORA? 1) Porre al centro del campo di intervento la persona con un chiaro approccio di genere, quindi soggetti sessuati, segnati da storie specifiche, dai contesti di appartenenza, da influenze culturali, sociali e religiose che incidono sulla loro costruzione di identità personale e lavorativa. 2) Contribuire a rafforzare la fiducia nella possibilità di svilupparsi e rendersi autonome/i. 3) Credere nel valore della differenza e delle differenze come risorsa e come multidimensionalità da far emergere nei processi di scelta e sviluppo. 4) Combattere discriminazioni, condizionamenti e stereotipi favorendo, viceversa, la diffusione di pari opportunità, intesa come politica di promozione dello sviluppo delle persone, uomini e donne. 5) Promuovere l’inclusione sociale intervenendo concretamente sull’isolamento culturale, psicologico ed economico e contribuendo alla valorizzazione delle proprie idee e delle proprie aree vocazionali. 6) Costruire reti, sistemi di relazione e prassi che favoriscano spazi e tempi per le persone per progettarsi e riprogettarsi costantemente. 7) Promuovere ed agire principi di cooperazione e sussidiarietà, contribuendo a costruire e diffondere una cultura dell’orientamento che sta accanto ai soggetti per supportarli nelle scelte, ma che prova anche ad incidere in sedi istituzionali, economiche, sindacali per allargare lo spazio di diritto alla visibilità sociale e lavorativa di più persone in modo non appiattito ma ricercando modalità che favoriscano un incrocio dinamico e fertile fra persone e territorio, tra potenzialità dei contesti e risorse imprenditive dei diversi soggetti che vi agiscono. Venendo più specificatamente alla pratica orientativa CORA possiamo allora considerarla a partire dalle sue tre principali articolazioni: • a fianco dei soggetti: è mirata innanzitutto a promuovere l’autonomia e lo sviluppo delle persone fornendo chiavi di comprensione dei contesti attraverso strumenti operativi e cognitivi con i quali esse possano muoversi meglio nei territori o nei luoghi di lavoro; in secondo luogo punta ad alzare il livello di progettualità delle persone stando loro appunto “al fianco”, senza pre-vedere e pre-sapere dove arriveranno; ciò significa organizzare la possibilità per i soggetti di entrare ed uscire da setting orientativi differenti a seconda della dinamica che il processo da loro avviato sta assumendo; è evidente come il servizio così pensato comporti tempi lunghi e indefinibili a priori; • a fianco dei sistemi: è tesa a collaborare per l’innovazione delle po138 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO litiche del lavoro promovendo innanzitutto politiche di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; sostanziando le politiche attive del lavoro e dello sviluppo organizzativo con una forte attenzione alle competenze dei singoli e a come esse si connotano anche attraverso un approccio di genere; intervenendo sull’analisi dell’organizzazione del lavoro e sui sistemi organizzativi aperti che tengano in considerazione bisogni, risorse e vincoli delle persone che li abitano; • nei territori: tende a costruire connessioni tra i diversi attori (pubblici, privati, privato-sociale) per favorire la convergenza sulle ipotesi di sviluppo sociale, sulle politiche di promozione dell’inclusione sociale, di tutela dei diritti dei singoli, per la costruzione di coesione sociale nei contesti locali. In questi anni di grave crisi delle economie di mercato in generale e di recessione economica nel nostro Paese, abbiamo visto aumentare la precarietà dei rapporti di lavoro, la povertà e l’esclusione sociale e culturale di molte fasce di popolazione. A fronte di questi dati si sta profilando un’ombra sul futuro che ci preoccupa e che deriva dalla percezione che le problematiche che attengono allo sviluppo sociale, con la necessaria e dovuta attenzione alle fasce più deboli che il nostro sistema economico espelle dal mercato, siano ritenute residuali rispetto alle scelte politiche più generali e che pertanto lo spirito con il quale si definiscono le misure in direzione dell’inclusione sociale sia definito da codici compassionevoli, di beneficenza e assistenza. Sembra prevalere l’idea che la risposta al disagio sociale possa essere data dal perseguimento di obiettivi di crescita economica, dimenticando che proprio questa scelta è fattore determinante dello stesso insorgere dei problemi sociali che abbiamo di fronte, generati sostanzialmente dalle ingiustizie e dalle disgregazioni da essa prodotte. A confermare questa osservazione non occorre fare riferimento alle banlieus parigine: sono sufficienti quelle di casa nostra. Questo modo di pensare alle politiche economiche e sociali è lontano dall’idea di sviluppo della coesione e della qualità sociale che sta invece alla base della pratica dell’orientamento che CORA persegue. Al centro poniamo i soggetti, con il loro sapere, con la loro intelligenza, con le loro competenze, con la loro voglia di futuro perché sono il patrimonio più importante che il Paese possieda e come questo patrimonio venga tutelato dall’impoverimento culturale ed economico, sostenuto nella sua evoluzione, accompagnato nelle trasformazioni e negli adattamenti necessari, rappresenta il terreno di confronto e di azione dell’orientamento CORA. Nei territori sentiamo crescere la domanda di relazione e scambio: tra 139 La pratica orientativa di CORA CAPITOLO 4 La pratica orientativa di CORA persone, tra sistemi ancora troppo separati (educativo, produttivo, sociale, culturale, politico..), tra istituzioni pubbliche e private operanti a livelli e in ambiti diversi, tra culture troppo poco conosciute. È su questa domanda di connessione, spesso implicita, che l’orientamento si muove oggi per contribuire insieme agli altri servizi sociali ed educativi a tessere quella rete di collegamenti e collaborazioni, flessibile e sempre aperta al cambiamento in grado di accompagnare e sostenere gli individui, come le organizzazioni, nell’affrontare la fatica ma anche la bellezza della loro crescita in un’ottica di autonomia, di sviluppo, di relazione positiva e di scambio benevolo con il contesto in cui si vive. 140 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.7 IL SISTEMA DELL’ORIENTAMENTO AL LAVORO NELLA CITTÀ DI ROMA di Anna Crisà1 L’Amministrazione comunale di Roma ha voluto promuovere, attraverso una serie di azioni integrate, una strategia di intervento sul versante delle politiche attive del lavoro, a partire da un assunto che considera l’inserimento lavorativo e la buona occupazione fattori determinanti per il più ampio processo di integrazione sociale della comunità locale. Il Dipartimento XIV Sviluppo Locale Formazione e Lavoro è la struttura del Comune di Roma a cui è stato assegnato il compito di coordinare, in modo organico sul territorio cittadino, gli interventi e i programmi sul versante delle politiche attive del lavoro e della formazione professionale. In particolare, il Dipartimento, con la costituzione della VI Unità Organizzativa denominata “Orientamento al Lavoro”, gestisce, oggi, un articolato sistema di orientamento al lavoro presente su tutto il territorio romano. Partendo dal presupposto che le opportunità di inserimento lavorativo sono oggi diverse e in parte più complesse rispetto al passato, che i percorsi d’incontro tra domanda ed offerta sono meno automatici e la costruzione dei percorsi professionali sono individuali, il Comune di Roma ha ritenuto necessario garantire ai cittadini, attraverso dei servizi pubblici, l’opportunità di orientarsi o ri-orientarsi nella propria vita professionale al fine di moltiplicare e/o migliorare le possibilità occupazionali. L’esperienza dell’Orientamento al Lavoro del Comune di Roma nasce già in riferimento alla legge regionale n. 28/91, con la quale sono stati costituiti dal 1994 i primi 6 sportelli di orientamento, denominati Centri di Iniziativa Locale per l’Occupazione (C.I.L.O.). Con la Legge Regionale 38/98, che ha confermato la delega ai Comuni delle funzioni amministrative dell’orientamento al lavoro e ha attribuito le funzioni amministrative relative al collocamento alle Province, sono stati istituiti dieci C.O.L. finanziati con il F.S.E., potendo così sviluppare l’idea-guida di erogazione del servizio attraverso una rete di strutture di front-office, coordinate a livello centrale, ma presenti e decentrate operativamente su tutta l’area comunale. Si è di fatto determinata la nascita e lo sviluppo di una esperienza romana del tutto peculiare in tema di orientamento e accompagnamen1 Dirigente COL, Centri di Orientamento al Lavoro Comune di Roma. 141 CAPITOLO 4 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma to all’inserimento lavorativo, esperienza che acquista ancora maggiore significato in riferimento alla vastità territoriale ed alla complessità sociale di Roma che consta di una popolazione residente di 2.546.804 abitanti (ultimo censimento Istat) con una densità di popolazione pari a 1981,5 abitanti per kmq; inoltre la superficie territoriale del Comune di Roma in kmq (1285,3) è pari alla somma della superficie territoriale dei primi otto Comuni d’Italia (Genova, Milano, Catania, Palermo, Bologna, Torino, Napoli e Bari che insieme contano 1269,78 kmq di superficie territoriale). Il Comune per adeguare l’offerta dei servizi d’orientamento all’area metropolitana, ad oggi, ha avviato 23 C.O.L., oltre ad uno sportello sperimentale all’interno del carcere minorile romano di Casal del Marmo e uno sportello rivolto alle Comunità nomadi. Nell’attivare l’attuale sistema dei 23 C.O.L., si è voluto creare delle strutture dinamiche, collegate in rete tra loro in modo da poter condividere le stesse banche dati, con una conoscenza approfondita del proprio territorio, in grado di essere promotori dello sviluppo occupazionale locale anche nelle aree più distanti della città. I Centri coprono, con un sistema a rete, le diverse parti della città e sono un vero e proprio avamposto dell’Amministrazione Comunale in periferia, rispetto alla “questione lavoro”, considerato che le aree periferiche romane costituiscono per estensione circa l’80% della superficie complessiva del Comune (comprese le zone agricole) e che nelle zone periferiche vive attualmente oltre il 60% della popolazione. Il percorso di orientamento erogato dai Centri di Orientamento si sviluppa attraverso un’azione orientativa che inizia dall’analisi dei bisogni dell’utente per giungere, attraverso fasi di assessment-psicosociale delle competenze, alla pianificazione e alla costruzione del progetto personale e si caratterizza per il lavoro svolto in équipe dalle diverse figure professionali che vi operano e precisamente: • un documentarista-operatore dell’accoglienza, che gestisce l’informazione ed accoglie gli utenti precisandone la domanda orientativa; • un orientatore senior che concorda i percorsi orientativi con gli utenti e ne definisce i progetti di vita lavorativa e/o formativa; • un animatore territoriale specializzato nelle politiche del lavoro; • un animatore territoriale specializzato nell’area impresa. Il loro intervento è finalizzato ad orientare le persone, accompagnarle, motivarle, fornire loro informazioni pertinenti, in sintesi facilitarne le scelte; il loro ruolo è quello di “mediatori” tra bisogni ed esigenze degli utenti e le opportunità esistenti. Attualmente i servizi offerti al cittadino dai Centri di Orientamento al Lavoro sono: • accoglienza (orientaservizi), durante la quale si effettua l’analisi del142 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO la domanda orientativa, si raccolgono dati anagrafici e curriculari dell’utente, si eroga una serie di informazioni relative ai servizi ed alle finalità dei centri; • informazione (autoconsultazione), si da la possibilità agli utenti di accedere autonomamente ad una serie di informazioni complete ed aggiornate settimanalmente sulle possibilità formative, concorsuali, di stage e sulle offerte di lavoro provenienti sia dalle imprese contattate nel territorio che dai quotidiani e dalla rete; • consulenza informativa (orientainforma), si organizzano seminari informativi, sia presso i C.O.L. che all’esterno, relativi al mondo della scuola, della formazione, del lavoro, dell’autoimpreditoria, della normativa, dei contratti atipici ecc.; • formazione sulle tecniche di ricerca di lavoro (orientaforma), si organizzano interventi formativi finalizzati a orientare l’utente, a realizzare il proprio progetto di ricerca del lavoro attraverso l’adozione di specifici comportamenti attivi come la presentazione della sua candidatura attraverso il curriculum, la lettera di presentazione, la lettura delle inserzioni di lavoro sui quotidiani, le simulazioni di colloqui di selezione, l’autovalutazione ecc.; • counselling (percorsi di counselling), l’obiettivo è di offrire la possibilità di interventi di counselling individuali o di gruppo con un orientatore specializzato, finalizzati ad analizzare le motivazioni, le aspettative, le competenze e il potenziale dell’utente in cerca di lavoro attraverso l’ausilio di colloqui, di questionari motivazionali e di schede di autovalutazione, per elaborare il proprio profilo professionale e il proprio percorso, definire i propri obiettivi, individuare eventuali punti deboli e costruire quindi un progetto di vita formativa e/o lavorativa; • servizio di stage, consiste nella possibilità di effettuare esperienze di stage, sia all’interno dei centri (in qualità di soggetti ospitanti ad oggi abbiamo ospitato in qualità di stagisti oltre 150 ragazzi) sia presso le aziende distribuite sul territorio (il centro in questo ultimo caso è soggetto promotore), esperienza la cui funzione è di colmare quel gap esistente tra formazione e lavoro dando l’opportunità a chi ne usufruisce di definire ulteriormente le proprie aspirazioni professionali; • servizio EURES, consiste in interventi specifici d’orientamento rivolti all’utenza interessata alle opportunità offerte nell’ambito della Comunità Europea; • servizio di animazione territoriale, permette di creare delle relazioni tra il C.O.L. ed il territorio. Per quanto riguarda l’animazione relativa alle politiche del lavoro, si attivano collaborazioni con i 143 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma CAPITOLO 4 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma Municipi, i servizi per l’Impiego, i Centri di Formazione Professionale, le scuole, gli stessi servizi sociali, le cooperative e servizi connessi che mirano a specifiche fasce di disagio economico e sociale, il terzo settore e la cittadinanza attiva, nonché i programmi integrati attivi sul territorio come i Contratti di quartiere; l’animazione area impresa invece permette di creare contatti privilegiati con i settori economici predominanti sul territorio (associazioni di categoria e singole imprese di dimensioni significative), offre consulenze per l’attivazione di tirocini o contratti di formazione lavoro ed eroga informazioni alle piccole e medie imprese sull’ opportunità e le modalità dell’abbattimento degli oneri contributivi nell’assumere determinate fasce d’utenza, nonché favorisce le iniziative locali di creazione di aziende o cooperative sia da parte di individui che di gruppi di utenti, nella prospettiva dell’autopromozione sociale. Particolare attenzione viene rivolta alla Legge 266, o Legge Bersani, supportando gli utenti interessati ad individuare i finanziamenti locali attivi e ad elaborare il progetto; • servizi di orientamento per fasce deboli, consiste nell’organizzare percorsi di orientamento specifici per le fasce deboli: immigrati, donne, detenuti, ex detenuti, detenuti in semilibertà disabili, drop-out, percorsi che ripercorrono tutte le fasi fin qui descritte, finalizzati alla ricerca di percorsi formativi e/o lavorativi e all’acquisizione e realizzazione di strumenti di ricerca attiva del lavoro quali il Curriculum, la Lettera di motivazione, l’individuazione delle aziende da mirare ecc. Il Comune di Roma si è posto come obiettivo prioritario la realizzazione di una gestione organica dei Centri di orientamento, cioè iniziare a ragionare in termini non più di singole strutture ma di “rete di Centri di orientamento”. Per tutto ciò è stato fondamentale: • elaborare il modello organizzativo dei C.O.L. in modo da uniformare gli standard di erogazione dei servizi a quelli definiti dal Masterplan Regionale dei Servizi per l’impiego; • dedicare dei luoghi precisi di riferimento (individuare, acquisire e adeguare le sedi ai criteri individuati dal Masterplan regionale dei servizi per l’impiego); • collegare in rete le strutture; • potenziare la dotazione delle risorse informatiche; • selezionare le professionalità operanti presso la strutture di orientamento; • programmare il piano formativo finalizzato alla formazione degli operatori per avviare i servizi di base della procedura di orientamento e i servizi specialistici; 144 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO • individuare modalità di coordinamento tra i centri; • individuare modalità di integrazione tra i Centri e le altre strutture presenti sul territorio; • individuare strumenti operativi, metodologie e tecniche di raccolta dati, omogenei per tutti gli sportelli, in grado di garantire un monitoraggio puntuale delle strutture, dei servizi erogati, degli utenti e delle professionalità operanti nei COL; • specializzare ogni singolo COL (Cenci, Corviale, COL Carceri, Baronio, Casilina, Marranella, Volta, Mozart, Silone) in riferimento al territorio in cui opera e nei confronti di target d’utenza specifici; abbiamo creato C.O.L. specializzati sugli immigrati, sulle donne, sui disabili, detenuti. In particolare il C.O.L. Carceri, inizialmente presente nel solo carcere di Rebibbia penale, è stato esteso dai primi di ottobre 2002 in forma itinerante anche a tutte le altre 4 carceri romane (Regina Coeli, Rebibbia Femminile, Rebibbia terza casa penale, Rebibbia nuovo complesso, oltre ad uno sportello all’esterno per ex detenuti). Il tutto nell’ottica che i servizi pensati per la cittadinanza devono essere funzionali anche per i detenuti; inoltre abbiamo avviato uno sportello di orientamento denominato “La Bussola”, integrato con gli Informagiovani e con le Biblioteche di Roma, presso il carcere minorile di Casal del Marmo ed uno sportello rivolto alle Comunità nomadi presso la sede del C.O.L. di via della Seta. L’avvio dei servizi specialistici ha comportato la progettazione di interventi formativi rivolti a specializzare ulteriormente le professionalità presenti nelle strutture di orientamento, prevedendo l’affiancamento agli operatori dei C.O.L. di personale esperto nelle attività specialistiche previste. Ciò ha reso possibile un confronto diretto tra le diverse realtà, che nel territorio romano, operano nei confronti delle fasce deboli portando alla condivisione di modelli, strumenti, esperienze e modalità d’intervento delle stesse, nonché avviando, a livello informale, una rete territoriale. La specializzazione dei singoli C.O.L. ha avuto una ricaduta immediata in termini di miglioramento di efficienza, efficacia e qualità dei servizi erogati. In termini di formazione del personale, l’investimento è stato considerevole. A tal proposito sono stati organizzati ed effettuati i seguenti corsi di formazione rivolti agli operatori dei C.O.L.: Corso di formazione “Orientamento al lavoro e carcere”, realizzato dall’Università “La Sapienza”, Facoltà di Psicologia, cattedra di Psicologia Giuridica, rivolto soprattutto al COL carceri ed agli operatori dei COL di Corviale, Cenci, Baronio, Casilina; Corso di formazione “Agente di sviluppo Locale”, che ha interessato gli animatori territoriali, realizzato da B&B Consulting, Corso di formazione per personale esperto sulla condizione dei migranti in rela145 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma CAPITOLO 4 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma zione alle tematiche dei diritti e del lavoro, realizzato dal Master in Politiche dell’incontro dell’Università Roma 3, rivolto a tutti gli operatori dei C.O.L. in particolare agli operatori dei C.O.L. di Cenci, Marranella, Corviale cioè quei centri da specializzare nei confronti degli immigrati; percorso di formazione per Operatori di servizi di orientamento rivolti a persone in condizioni di svantaggio; corso “Orientamento in Formazione”, realizzato da Capodarco e rivolto a tutti gli operatori dei C.O.L. in particolare agli operatori dei Centri di Volta, Mozart, Casilina, Marranella da specializzare nei confronti dei disabili; Corso di formazione all’uso del portfolio digitale delle competenze rivolto a tutti gli orientatori, realizzato dalla Solco; Corso di Formazione “Facilita” organizzato dall’Agenzia Lazio Lavoro rivolto agli animatori territoriali. Un discorso a parte va fatto per tutto ciò che riguarda l’operazione di “internalizzazione” del servizio. Attualmente i 23 C.O.L. sono finanziati: con risorse derivanti dal F.S.E. Misura A1 ASSE A Ob.3 e con risorse Comunali. Trovandoci ormai alla vigilia della scadenza dei finanziamenti F.S.E. e volendo dare continuità all’esperienza dei C.O.L. oltre il 2006 si è deciso, in contrasto con altre tendenze in atto nelle modalità di gestione dei servizi pubblici, di procedere all’assunzione del personale (giugno 2003) alle dipendenze dirette del Comune di Roma. A tale scopo è stato formalizzato l’albo degli operatori dell’orientamento al lavoro, sono stati individuati e definiti i profili professionali di funzionario dei servizi di orientamento al lavoro categoria D e di istruttore dei servizi di orientamento al lavoro categoria C, inserendo ufficialmente per la prima volta nella dotazione organica del Comune di Roma il profilo professionale di orientatore; è stato trasformato il rapporto di lavoro del personale operante presso i COL con contratto CO.CO.CO e del personale operante presso gli sportelli a gestione indiretta, in un contratto a Tempo Determinato con il Comune di Roma; si sta attualmente lavorando sulla procedura concorsuale per dare la possibilità agli operatori di poter essere assunti a tempo indeterminato da parte del Comune. Tale scelta esprime la volontà dell’amministrazione comunale di essere sempre più presente, anche in riferimento al nuovo quadro legislativo italiano in materia di incontro domanda-offerta di lavoro, nella rete dei servizi per l’impiego. Nei COL attualmente sono presenti n. 60 dipendenti a tempo determinato, di cui n. 30 in categoria C1 full-time (operatori dell’accoglienza ), n. 30 in categoria D1 full-time (Orientatori e animatori territoriali). Obiettivo strategico del Comune di Roma, sul fronte delle risorse, è quello di andare ad una più precisa definizione con gli enti preposti, quali Regione e Provincia, dei compiti e delle funzioni amministrative in materia di orientamento al lavoro, alla definitiva individuazione di un nu146 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO mero di bacini dei servizi per l’impiego adeguato all’estensione e alla complessità del territorio metropolitano romano (non i soli 10 centri attualmente finanziati, ma riconoscere gli attuali 23 Centri) e di conseguenza ad una attribuzione di congrue risorse nell’ambito del POR Lazio. Questo permetterebbe soprattutto di implementare le risorse professionali presenti presso i COL. È evidente, infatti, la urgente necessità di ulteriori operatori in riferimento all’attuale dotazione di personale (duetre operatori a sportello) rispetto all’organico previsto nel Modello Organizzativo dei COL (6 operatori a sportello). Per quanto riguarda la costruzione di una rete territoriale ci si propone di lavorare ad una sempre maggiore integrazione delle attività svolte dai COL con le attività svolte dall’Università, Scuola, Formazione, Centri per l’impiego, tramite la stipula di protocolli d’intesa relativi a progetti specifici. Ad oggi sono stati siglati oltre 100 protocolli d’intesa con enti e soggetti pubblici e privati finalizzati appunto alle creazione di reti territoriali. Particolare importanza assume la convenzione siglata con la Provincia di Roma finalizzata a raccordare i Centri per l’impiego con i C.O.L. ; in particolare, il lavoro in rete tra i servizi sarà assicurato dall’adozione di un omogeneo sistema di raccolta e archiviazione dei dati relativi agli utenti dei Centri. Il collegamento tra i punti della rete, attraverso il progressivo accesso al Sistema informativo, permetterà all’utente di recarsi nei vari centri per accedere ai servizi di cui ha bisogno, partecipare alla procedura di orientamento e candidarsi per una preselezione, senza ripercorrere ogni volta i medesimi steps di avvio (accoglienza, raccolta dati anagrafico/curriculari e profili psicosociale). Il processo di cambiamento, in termini di risorse, attrezzature, cultura degli operatori, interazione con altri servizi nel territorio, è stato avviato, ma è ovvio che ora è necessario proseguire e continuare ad investirci in termini di risorse finanziarie, progetti formativi rivolti agli operatori, azioni di monitoraggio ed accompagnamento dell’implementazione dei nuovi servizi. Un obiettivo importante è sicuramente quello di riuscire a realizzare un “sistema integrato per l’orientamento” tra Scuola, Università, Formazione Professionale, Centri di Orientamento al Lavoro e Centri per l’Impiego, in modo da poter lavorare in rete e ridurre realmente la distanza tra Scuola e mondo del lavoro, favorire l’incontro tra domanda e offerta del lavoro, governando il passaggio verso conoscenze e professionalità realmente spendibili, prevenendo le esclusioni, anticipando il cambiamento. È evidente quanto il Comune di Roma ritenga strategico il radicamento e lo sviluppo dei Centri di Orientamento al Lavoro nell’ambito del sistema delle politiche attive per il lavoro e la loro assunzione tra i fini istituzionali del Comune stesso. 147 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma CAPITOLO 4 il Sistema dell’orientamento al lavoro nella città di Roma Per quanto riguarda infine gli utenti indico alcuni dati relativi ad un solo anno di attività dei COL: Utenti che hanno contattato i COL 45.000 Utenti che hanno usufruito dei servizi di orientamento 26.000 M 40% F 60% Età media 31 anni Scolarità 30% Scuola Media Inferiore Formazione Professionale 70% non frequenta 30% frequenta corsi corsi di formazione Nazionalità 80% Italiana 50% Diploma 20% Straniera Iscrizione al colloca70% si mento 30% no Condizione occupa80% disoccupati zionale 18% occupati 148 20% Laurea 2% fuori contratto ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4.8 L’ESPERIENZA DELLA COOPERATIVA INFORMA: PROGETTO “START UP – LA SCUOLA ORIENTA AL FUTURO” di Roberta Rizzi1 INFORMA S.c.ar.l. è una cooperativa che dal 1998 lavora nel campo dei servizi di informazione e dell’orientamento per la scuola, l’università, la formazione e gli enti locali territoriali. Nata in Puglia come prosecuzione di un progetto pilota finanziato dal FSE, INFORMA supporta enti pubblici, servizi per l’impiego e agenzie formative ed educative nella realizzazione di progetti e servizi di informazione e orientamento di qualità. L’esperienza di INFORMA si caratterizza inoltre per: • lavoro in rete a livello locale, nazionale e europeo. Informa è strutturata come un network di servizi territoriali (Rete Informa-network di 18 centri di informazione e orientamento sul territorio regionale) e di esperti e consulenti di orientamento coordinati da una centrale unica di ricerca e documentazione, il Centro Risorse Informa. La Cooperativa Informa, a propria volta, aderisce alla Rete di Diffusione del Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento e alla Rete Eurodesk, network europeo di informazione e orientamento per i giovani; • orientamento alla qualità e all’innovazione. Dal 2001 Informa ha implementato un sistema di assicurazione e controllo della Qualità dei servizi certificato secondo le nuove norme Vision 2000, volto a garantire, dalla progettazione fino alla rilevazione della customer satisfaction, l’erogazione di interventi centrati sui bisogni del cittadino utente e insieme il coinvolgimento attivo degli operatori dei servizi nel processo di miglioramento continuativo delle performance. Alla Rete Informa è stato riconosciuto nel 2004 il premio 100 Progetti per il Cittadino (Formez-Ministero della Funzione Pubblica). L’esperienza di Informa: il Progetto START UP In occasione del convegno “Orientare l’orientamento” Informa presenta il progetto “START UP–la scuola orienta al futuro”, progetto realizzato su incarico della Provincia di Brindisi con l’obiettivo di costruire un sistema territoriale integrato scuola-formazione-lavoro per sperimenta1 Responsabile del settore orientamento e formazione presso la Cooperativa Informa di Bari. 149 CAPITOLO 4 L’esperienza di Informa: il Progetto START UP re un approccio “orizzontale” e collaborativo di governance del Mercato del Lavoro ed aumentare le opportunità formative e di inserimento per i giovani studenti. Il nome “Start Up”, preso in prestito dal gergo manageriale, indica la delicata fase di avvio di un nuovo progetto; il momento nel quale, dopo una attenta analisi dei bisogni, degli obiettivi e delle risorse in campo, si passa dalla teoria alla pratica. In questo senso esso ha rappresentato davvero un “passaggio verso il nuovo”: sia per i giovani destinatari delle attività; sia per gli enti e le organizzazioni coinvolte - l’Amministrazione Provinciale, le scuole e i centri per l’impiego della Provincia. Rispetto ai cosiddetti clienti interni del progetto - Amministrazione provinciale e CTI della Provincia di Brindisi - già in fase di progettazione esecutiva, infatti, furono stabilite alcune priorità che andavano nel senso di supportare e rafforzare l’attivazione di processi di cambiamento nella pubblica Amministrazione e nelle modalità di erogazione di servizi ad alto contenuto consulenziale. Nello specifico, furono stabilite le seguenti priorità: • definire e validare un modello per la gestione dei Servizi di Orientamento nei Centri Territoriali per l’Impiego (ad un livello sistemico); • costruire e sperimentare in un’ottica di qualità strumenti e procedure per la realizzazione dei servizi di orientamento; • condividere il modello con gli operatori dei CTI e affiancarli nella sua messa in opera. In quest’ottica il progetto ha rappresentato un’occasione di trasferimento di competenze specialistiche agli operatori dei CTI e di motivazione rispetto alle nuove funzioni dei Servizi per l’Impiego. Per gli operatori dei CTI della Provincia, Start Up ha rappresentato un’occasione di affiancamento consulenziale – svoltosi come un vero e proprio job shadowing – in modo da favorire, nel normale contesto lavorativo degli operatori, il trasferimento di competenze, buone pratiche e modalità di fronteggiamento del ruolo. La condivisione “sul campo” di strumenti e modalità per la gestione dei nuovi servizi ha stimolato il coinvolgimento attivo degli operatori nel costante processo di ridefinizione e ottimizzazione del modello sperimentale adottato, influendo positivamente sulla motivazione del personale. Gli operatori si sono trovati a confrontarsi personalmente con la logica del “decentramento” dei servizi, con l’assunzione di nuove responsabilità e con il lavoro di gruppo. Rispetto ai clienti esterni del progetto – operatori scolastici, direttori d’istituto, corpo docente e gruppo target (allievi) – si è provveduto ad un’analisi delle esigenze della scuola come istituzione e come gruppo 150 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO studenti. Ciò al fine di modulare gli interventi di orientamento in risposta alle specifiche esigenze (diverse da scuola a scuola ma diverse anche all’interno della stessa scuola) e alle diverse capacità di attivazione della scuola [ndr: si pensi ad esempio come un intervento di questo genere venga concepito diversamente dal corpo docente e dal gruppo studenti]. Metodologicamente l’approccio prescelto si è basato sulle seguenti opzioni: • costruire un Sistema Informativo di Opportunità (formazione, qualificazione e riqualificazione, pre-inserimento lavorativo) costantemente implementato e aggiornato; • considerare come centrale la relazione tra operatore e utente (il servizio di informazione e orientamento individuale e su appuntamento) al fine di personalizzare l’azione orientativa; • modulare l’intervento orientativo in azioni poste lungo un continuum dal punto di vista dell’impegno del soggetto, in termini di consapevolezza e di attivazione: dall’erogazione di informazioni di primo livello per l’accesso ad opportunità immediate, sino alla realizzazione di pratiche di counselling e di azioni mirate alla costruzione del progetto professionale. Elementi essenziali del progetto START UP Il progetto START UP si è inserito in un territorio caratterizzato da un elevato tasso di disoccupazione (23%) e da livelli di alfabetizzazione e di successo negli studi universitari nettamente inferiori alla media nazionale. Esso ha avuto una durata poco più che annuale: da settembre 2004 a novembre del 2005. La tipologia di azioni orientative erogate si è distribuita lungo un continuum che va da interventi a cosiddetta “bassa specificità” (ascolto, informazione, ricostruzione attiva e valorizzazione del proprio profilo formativo e professionale) ad interventi cosiddetti ad “alta specificità” quali la realizzazione di seminari di formazione orientativa (su temi quali la ricerca attiva di lavoro, la stesura di un curriculum ecc.) e la consulenza orientativa. Il progetto Start Up ha portato alla realizzazione di un servizio di informazione, formazione e consulenza orientativa (di seguito si fornisce una breve descrizione di dettaglio dei diversi servizi) all’interno di 27 scuole superiori della provincia, per supportare adeguatamente gli studenti dell’ultimo triennio a compiere scelte più consapevoli e in linea alle loro potenzialità e attitudini. 151 L’esperienza di Informa: il Progetto START UP CAPITOLO 4 Elementi essenziali del progetto START UP SERVIZIO DI INFORMAZIONE ORIENTATIVA Si è configurato come un’attività di informazione orientativa personalizzata erogata dentro spazi adeguatamente attrezzati e messi a disposizione dalla scuola. I singoli utenti hanno avuto la possibilità di realizzare percorsi di ricerca individuali e con il supporto del counsellor. La corretta erogazione del servizio ha previsto l’implementazione di percorsi di autoconsultazione e di supporti informativi adeguati (banche dati specialistiche, internet ecc.). Agli studenti è stato consentito il libero accesso al servizio negli orari stabiliti. SERVIZIO DI CONSULENZA ORIENTATIVA Obiettivo dell’azione di counselling era fornire agli studenti – attraverso lo strumento del colloquio individuale – una consulenza specialistica finalizzata a supportare il soggetto nel processo decisionale per la definizione del progetto di sviluppo personale, passando attraverso l’analisi del bisogno orientativo, l’autovalutazione e valorizzazione delle competenze personali, l’erogazione di informazioni, fino alla progettazione di una strategia e di un piano d’azione idonei al fronteggiamento del compito orientativo dell’utente e alla elaborazione e condivisione con l’utente del proprio dossier personale. SERVIZIO DI FORMAZIONE ORIENTATIVA Obiettivo del servizio di formazione orientativa era attivare un processo di rafforzamento (empowerment) e valorizzazione, da parte del soggetto, delle competenze necessarie a esercitare pienamente la capacità di controllo attivo sulla propria vita e di acquisizione di nuovi strumenti per affrontare i passaggi critici del proprio sviluppo personale e professionale. Il percorso è stato pensato nella logica delle unità formative capitalizzabili e prevedeva la possibilità di attivare uno o più moduli formativi riguardanti i seguenti argomenti: 1. La valorizzazione delle risorse personali e la definizione del progetto di sviluppo personale 2. Orientamento all’offerta formativa post-diploma e all’università 3. Orientamento al mercato del lavoro: la ricerca attiva di lavoro, strumenti e tecniche. 152 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO Pienamente integrati nelle attività scolastiche ed organizzati secondo una struttura modulare, gli interventi di orientamento sono stati affidati ad un team di esperti - “counsellor scolastici”, che hanno operato in stretta collaborazione con i docenti e con i referenti operatori dei CTI della Provincia di Brindisi. La realizzazione del progetto START UP è stata accompagnata dall’implementazione di un articolato processo di monitoraggio e valutazione del livello di qualità dei servizi erogati. Ciò ha consentito l’individuazione tempestiva dei punti di forza e debolezza del progetto e la conseguente messa a punto di azioni finalizzate al miglioramento continuo della performance offerta. Nello specifico il monitoraggio ha avuto l’obiettivo di: • conoscere le attese dell’utenza; • progettare e organizzare il servizio in funzione delle attese rilevate; • misurare il livello di qualità percepita dall’utente e il rispetto dei livelli di servizio “promessi”; • porre in essere azioni preventive (o correttive) per il miglioramento continuativo del servizio in termini di risposta efficace alle attese dell’utenza. Attraverso apposite schede/strumenti di rilevazione messi a punto da Informa (Scheda per la progettazione esecutiva, Scheda Anagrafica Studente, Scheda Consulente, Questionari di Gradimento del Servizio ecc.) sono stati pertanto rilevati: • risultati qualitativi: grado di soddisfazione degli utenti rispetto agli interventi di consulenza formazione e informazione orientativa (reazione del target – utenti finali); clima organizzativo (reazione dei partecipanti al progetto – clienti interni); grado di risposta degli interventi effettuati alle attese e motivazioni degli utenti finali dei servizi; • risultati quantitativi: n. e tipologia di destinatari raggiunti; n. e tipologia di interventi realizzati. I risultati del progetto: alcune considerazioni conclusive Dati del 2002, forniti dal Provveditorato agli Studi della Provincia di Brindisi, rilevano la presenza di 47 scuole sul territorio provinciale (diventate 35 nel 2005 in seguito agli accorpamenti di alcune scuole in IISSistituti di istruzione secondaria superiore) con un totale di studenti iscritti pari a 20310. Da un punto di vista meramente quantitativo, la realizzazione del progetto START UP (che ha riguardato 27 scuole del territorio provinciale – il requisito della partecipazione da parte delle strutture scolastiche era 153 Elementi essenziali del progetto START UP CAPITOLO 4 I risultati del progetto: alcune considerazioni conclusive esclusivamente su base volontaria) ha permesso di erogare servizi di informazione, formazione e consulenza orientativa a circa 2783 studenti, 1438 femmine e 1345 maschi, frequentanti gli ultimi tre anni di un percorso di formazione scolastica superiore. Per quanto riguarda la tipologia di servizi erogati, la scelta dei referenti scolastici di progetto è ricaduta il più delle volte sul servizio di formazione orientativa (22 scuole sul totale hanno fatto la scelta di attivare percorsi di formazione orientativa per lo più destinati alle V classi). In molti casi (14 sul totale) il servizio di formazione orientativa è stato sperimentato in abbinamento al servizio di informazione orientativa e/o di consulenza (quest’ultimo è stato scelto solo da un paio di scuole e comunque sempre in integrazione al servizio di formazione orientativa). 5 istituti hanno preferito optare unicamente per l’apertura all’interno della struttura di uno sportello informativo. Questi dati dimostrano come gli interventi orientativi ad “alta specificità” incontrino ancora qualche resistenza ad essere sperimentati ed implementati in strutture come quelle scolastiche. D’altro canto, la scelta preponderante per interventi orientativi a carattere formativo è comprensibile alla luce di due considerazioni: 1. la familiarità del corpo docente e scolastico con la metodologia della formazione e della didattica (un seminario formativo di tipo orientativo, pur diverso per contenuto e metodologia didattica dalla formazione tradizionale, è simile ad essa per setting, modalità relazionali ecc.); 2. la possibilità di raggiungere il più alto numero di utenti a parità di tempo (una delle costanti preoccupazioni rilevate era la necessità di raggiungere e coinvolgere nelle attività orientative il maggior numero possibile di classi e di conseguenza di utenti). I dati di seguito riportati illustrano alcuni dei risultati raggiunti dal progetto START UP e in particolare la capacità del progetto di soddisfare le attese e le motivazioni dei partecipanti e di essere percepito come qualcosa di utile. In considerazione del fatto che la fine delle attività progettuali è coincisa con la fine del mese di novembre c.a., l’elaborazione proposta è realizzata su una base dati pari a 1715, ovvero circa il 62% del totale degli studenti che hanno partecipato alle attività di START UP (campione decisamente rappresentativo). 154 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO Qual è il motivo che ti ha spinto a usufruire dei servizi offerti dal progetto SU? per un orientamento all'università 2% 3% 7% per un orientamento al mercato del lavoro 17% per acquisire maggiori informazioni/conoscenze 8% per chiarire i propri dubbi 16% per curiosità perché obbligato dalla scuola 22% altro 25% non risponde Cosa ti aspetti di ottenere e ricevere dalla partecipazione alle attività del progetto SU? 4% 6% maggiori informazioni e conoscenze 29% orientamento all'università orientamento al mercato del lavoro maggiore consapevolezza di 35% sé e sicurezza nelle decisioni 13% 13% altro non risponde All’inizio dell’attività progettuale erano state rilevate le aspettative e le motivazioni iniziali degli studenti che avrebbero preso parte al percorso per poi confrontarle con le attese e la soddisfazione finale. La maggioranza degli studenti afferma di essere spinto ad usufruire del percorso orientativo dalla necessità di acquisire maggiori informazioni e conoscenze sul mondo esterno e sulle opportunità formative e di inserimento presenti sul territorio (risposte: orientamento all’università; orientamento al mercato del lavoro; per acquisire maggiori informazioni e conoscenze). Significativo il bisogno personale di fare chiarezza (22% delle risposte). È minima la percentuale di coloro che prendono parte alle attività perché obbligati dalla scuola. Le risposte alla domanda sul motivo della partecipazione al percorso di orientamento trovano conferma 155 I risultati del progetto: alcune considerazioni conclusive CAPITOLO 4 I risultati del progetto: alcune considerazioni conclusive nelle risposte date alla domanda “Cosa ti aspetti di ottenere e ricevere dalla partecipazione alle attività del progetto Start Up?”. Il 29% degli studenti si aspetta di acquisire maggiori informazioni e conoscenze di scenario; il 26% di orientarsi al mercato del lavoro e all’università. La percentuale più alta (35%) si aspetta di acquisire il risultato più paradigmatico di un percorso di orientamento: maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità; maggiore controllo della propria vita e sicurezza nelle decisioni. La partecipazione al progetto START UP ti è servita? no 7% non risponde 2% si no si non risponde 91% Ritieni che il progetto START UP abbia risposto alle tue aspettative? no non risponde 16% 3% si no non risponde si 81% 156 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO Complessivamente quanto ti ritieni soddisfatto del seminario cui hai preso parte? 1% 2% 4% 26% 24% 1 2 3 4 5 non risponde 43% Dai dati rilevati emerge che il 91% del campione considera assolutamente utile la partecipazione al progetto START UP; l’81% inoltre sostiene che il progetto abbia risposto alle proprie aspettative. Alla domanda “Complessivamente quanto ti ritieni soddisfatto della partecipazione al progetto START UP?” (gli studenti potevano rispondere ricorrendo ad una scala di valutazione da 1 a 5 dove 1 sta per “per nulla” e 5 per “moltissimo”) il 67% del campione risponde scegliendo valori pari a 4 o a 5 (ovvero collocandosi nella parte alta della scala). Minima è la percentuale degli insoddisfatti (pari al 6 %). Al di là del giudizio assolutamente positivo degli studenti, il progetto START UP registra altri buoni risultati a livello di sistema: • nella copertura di un territorio vasto come quello della Provincia di Brindisi, • nel coinvolgimento attivo in un’azione integrata sul territorio degli operatori dei Centri per l’Impiego della Provincia, • nell’aver offerto l’occasione di accedere a servizi di orientamento di primo livello ad un numero complessivo di studenti pari a circa il 13,7% dell’intera popolazione studentesca provinciale (un risultato ancor più positivo se si considera che il progetto era rivolto esclusivamente a studenti frequentanti gli ultimi tre anni di studi superiori). 157 I risultati del progetto: alcune considerazioni conclusive CAPITOLO 4 4.9 L’ESPERIENZA DELL’IRFAP IN MATERIA DI ORIENTAMENTO di Piera Di Stefano1 Presentazione dell’ente L’IRFAP (Istituto Regionale per la Formazione e l’Addestramento Professionale) opera in Sicilia da oltre trent’anni nell’ambito della formazione professionale regolamentata dalla legge regionale 24/76 e successive modifiche. È presente su tre province: Caltanissetta, Palermo e Catania ed ha al suo attivo migliaia di ore di formazione a cui ha potuto accedere negli anni un’utenza variegata acquisendo qualifiche che hanno permesso a molti di entrare nel mercato del lavoro sia isolano che nazionale. Da quasi un decennio si occupa di orientamento. Ha iniziato nel 1996 progettando moduli di orientamento all’interno delle azioni formative organizzate dall’Ente stesso, moduli di Cultura di impresa e Conoscenza di sé per l’utenza dei Centri Eda, dei Centri Territoriali e per gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori nonché brevi interventi formativo/orientativi sul mercato del lavoro e bilancio di esperienze per giovani diplomati allo scopo di far loro prendere consapevolezza sulle loro propensioni, attitudini professionali e sviluppare la capacità di analisi del mercato del lavoro. Nel 1998 la riforma dei Servizi del territorio e le nuove competenze assegnate agli Uffici di Collocamento hanno spinto la Regione Sicilia a prestare attenzione ad un settore che stava evolvendo velocemente e che necessitava di un’azione di riqualificazione a cui non potevano sottrarsi gli operatori in forza presso gli enti di formazione. Così attraverso un progetto Multiregionale pluriennale ha strutturato una serie di interventi formativi finalizzati all’aggiornamento del personale della formazione, e alla creazione di nuove figure professionali (Esperto in Orientamento e selezione del personale, Esperto in Integrazione e orientamento di soggetti appartenenti alle categorie protette, Progettisti, Tutors ed Esperti in valutazione). Nell’arco di pochi anni circa 4.000 operatori hanno potuto partecipare a tali azioni acquisendo nuove qualifiche che hanno loro permesso di affrontare le problematiche scaturite da un nuovo modello formativo e da nuove esigenze provenienti dal mercato del lavoro. 1 Esperta in attività di integrazione e orientamento presso lo sportello multifunzionale IRFAP di Catania. 158 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO Anche l’IRFAP, attraverso queste azioni di riqualificazione, si è dotata di un personale qualificato che gli ha permesso di modificare radicalmente la propria attività incrementando in modo significativo il settore dei Servizi orientativi. Con la riforma del collocamento si affaccia una nuova logica strategica per prevenire e combattere la disoccupazione e quindi diventa necessario attribuire agli uffici pubblici che erogano servizi per l’impiego funzioni e ruoli attivi per accompagnare l’utenza nella ricerca del lavoro. In considerazione di ciò, nel 2000 la Regione Sicilia pone in essere l’attivazione di nuovi Servizi formativi rivolti alle persone e alle imprese, e vengono istituiti gli Sportelli Multifunzionali con l’intento di integrare i Centri per l’Impiego per sviluppare le funzioni relative alla consulenza orientativa. C’è da dire che ancora oggi la situazione che i Centri per l’Impiego stanno vivendo in Sicilia è molto frammentata, infatti, a circa otto anni dall’avvio della riforma del mercato del lavoro (decreto legislativo 469/97), i nuovi servizi di collocamento non decollano in quanto bloccati dagli adempimenti amministrativi e dai carichi di lavoro pregressi, il Decreto 181/2000 non ha trovato applicazione. Comunque, nell’ambito delle attività di servizi formativi programmate e finanziate dall’Assessorato Regionale, gli Sportelli Multifunzionali rappresentano i terminali della rete di servizi territoriali di informazione-accoglienza ed orientamento, coordinata dall’Agenzia Regionale per l’Impiego e la Formazione Professionale, essi garantiscono una serie di servizi di base finalizzati a facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, a garantire la massima circolazione delle informazioni sul mercato del lavoro, la più larga diffusione di servizi di orientamento professionale. L’IRFAP in Sicilia ha istituito 6 Sportelli Multifunzionali così distribuiti: 3 a Catania, 2 a Caltanissetta e 1 a Palermo. Mappa degli Sportelli IRFAP Sportello Multifunzionale Sede di Palermo Sportello Multifunzionale Via Roma, 97 Belpasso Sportello Multifunzionale Via F. Crispi, 201 Catania Sportello Multifunzionale Sede di Niscemi Sportello Multifunzionale Via L. Vigo Catania Sportello Multifunzionale Sede di Caltanissetta 159 Presentazione dell’ente CAPITOLO 4 Attività orientativa degli SM di Catania In questo intervento prenderemo in esame l’attività di orientamento svolta a Catania e provincia attraverso gli operatori dei tre Sportelli. Tipologia di Servizi orientativi INFORMAZIONE CONSULENZA FORMAZIONE UTENTE IRPAF CATANIA Le azioni dei tre Sportelli si collocano nell’ambito dei Servizi formativi e dei Servizi all’Impiego della Regione Siciliana e sono state realizzate in stretta collaborazione con l’Ufficio del lavoro e con il Centro dell’Impiego di Catania e di Belpasso – Ragalna, inoltre sono stati fondamentali i raccordi strategici instaurati fra diversi soggetti (scuole, c.f.p., servizi sociali, associazioni, organismi di ricerca nazionali), che operano sul territorio a favore del raggiungimento degli obiettivi comuni per la creazione di un sistema integrato a sostegno dello sviluppo occupazionale. Servizi alle Persone Accoglienza Informazione orientativa Promozione auto imprenditorialità Supporto all’inserimento lavorativo Tutoring accompagnamento 160 Formazione orientativa Consulenza orientativa Consulenza Counseling orientativo Bilancio di competenze ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO Attività più rilevanti • Realizzazione dei moduli di Bilancio di competenze del Progetto Informati - Italia Lavoro Ass. Lavoro Regione siciliana. • Progetto “Bilancio di competenze” rivolto al personale della Regione siciliana e organizzato dall’Ass. reg. alla Presidenza. • Formazione per funzionari del SUPL (Servizi Uffici Provinciali del Lavoro) di Catania per la “Progettazione di un servizio di Orientamento”. • Formazione formatori rivolta agli operatori di altri Enti di formazione sulla Comunicazione e la Didattica orientativa. Sperimentazioni Le operatrici degli Sportelli hanno collaborato con l’ISFOL in alcune sperimentazioni finalizzate a definire metodologie e standard di intervento specifiche per le nuove funzioni dei Centri per l’Impiego. In particolare sono state realizzate le seguenti azioni di ricerca - intervento: • L’orientamento dei giovani nella scelta post diploma attraverso la sperimentazione “PassoallaPratica” in cui sono stati coinvolte 6 quinte classi di Istituti Superiori regionali; • “Modelli e strumenti di orientamento: Bi.dicomp. un percorso di bilancio di competenze Isfol”, rivolto a soggetti adulti da sperimentare all’interno dei Servizi per l’Impiego e gli Sportelli Multifunzionali (ISFOL/POLIS 2000) in cui sono stati coinvolti 5 donne e due uomini; • “Orientamento: la valutazione dei servizi e delle pratiche”, definizione e valutazione di modelli cognitivo-psicologici nella scelta e nel successo della professione rivolto a coloro che desiderano definire o ridefinire il proprio progetto professionale (ISFOL/CE.TRANS ); • Validazione dello strumento ISFOL “Io di fronte le situazioni di lavoro” attraverso la somministrazione di una batteria di strumenti a n. 30 lavoratori adulti impegnati in processi di formazione continua; • E per ultimo, partecipazione al tavolo di lavoro per la messa a punto di un percorso di orientamento per donne. Collaborazione col SUPL di Catania Per quanto riguarda la collaborazione con il Servizio dell’Ufficio del Lavoro di Catania sono state realizzate le seguenti attività: • Partecipazione al gruppo tecnico di lavoro per realizzazione del 161 CAPITOLO 4 Collaborazione col SUPL di Catania software per la Banca Dati provinciale dei lavoratori disoccupati (Scheda Anagrafica e Scheda di Accoglienza) e presentazione agli operatori degli Sportelli; • Partecipazione al tavolo tecnico per le problematiche inerenti l’obbligo formativo. Utenza Dal 2001 ad oggi l’utenza che si è rivolta ai nostri servizi ha superato le quattromila unità. Utenza degli Sportelli di Catania (numero utenti per Sportello) 900 1800 Monte Po F. Crispi Belpasso 1500 I.R .F .A.P. - C atania Utenza degli Sportelli di Catania 20% Maschi Femmine 80% I.R .F .A.P. - C atania La percentuale più alta è rappresentata da una utenza femminile, seguita da una presenza di minori. Tipologia di utenza 2005 Da gennaio 2005 al 31 ottobre gli utenti sono stati oltre un migliaio, rappresentati da: • Adolescenti, compresi tra 14 e 18 anni soggetti all’obbligo formativo ai sensi della legge n. 53/03 e articolo n. 68 della legge n. 144/99; 162 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO • Giovani, da 18 anni a 25 anni considerati drop out o in possesso di titoli di studio “deboli” che non permettono loro di accedere al mercato del lavoro; • Disoccupati di lunga durata, cioè persone che abbiano perso un posto di lavoro o cessato un’attività autonoma e siano alla ricerca di un nuovo lavoro da oltre 12 mesi; • Inoccupati di breve e lunga durata, cioè persone che non hanno mai lavorato e cercano di inserirsi nel mondo del lavoro; • Donne in inserimento o reinserimento lavorativo, cioè donne che non hanno mai lavorato o che intendano rientrare nel mercato del lavoro dopo almeno due anni di inattività. Presentazione degli sportelli I tre Sportelli, due in Catania e uno a Belpasso–Ragalna (CT), rispondono alle esigenze di un’utenza eterogenea in modo differenziato legando la propria attività alla specificità del contesto territoriale in cui ricadono. Lo Sportello Monte Po (VII Municipalità), quartiere “caldo” di Catania, per quanto concerne le attività di Orientamento Scolastico ha operato sul territorio della municipalità attraverso un protocollo di intesa tra L’IRFAP e la scuola media statale del territorio, in collaborazione con i docenti sono stati tracciati percorsi di orientamento per le terze classi finalizzati alla scelta autonoma e consapevole degli istituti superiori. Sono stati individuati percorsi specifici a sostegno di soggetti a rischio di dispersione scolastica e formativa e sono state coinvolte le famiglie degli alunni attraverso seminari informativi e colloqui individuali. Per i casi specifici in cui si sono manifestati disagi familiari e scarso rendimento scolastico o rischio di abbandono degli studi, l’orientatore ha collaborato costantemente con i servizi sociali della municipalità. Per quanto riguarda l’orientamento agli adulti lo Sportello ha collaborato con i dieci Centri Eda (educazione permanente agli adulti) di Catania e provincia e in particolare, grazie ad un protocollo di intesa con il centro Eda n. 2, già avviato dal 2001, ha rafforzato l’interazione tra i due sistemi: formazione professionale – sportelli multifunzionali e scuola – Centri Eda al fine di diffondere una migliore cultura del lavoro attraverso corsi base e di aggiornamento legate ad attività di sviluppo locale. Lo Sportello Via F. Crispi, in cui opero io, si caratterizza per aver assunto una visibilità che si estende su un vasto bacino territoriale, infatti l’utenza che si rivolge al servizio, data la centralità in cui sono ubicati gli uffici, non è circoscritta al territorio di appartenenza dello Sportello ma comprende un’ampia fascia di popolazione proveniente dalla provincia. In quest’ultimo anno il Servizio ha rappresentato un punto di riferi163 Collaborazione col SUPL di Catania CAPITOLO 4 Collaborazione col SUPL di Catania mento per numerose famiglie che si sono rivolte allo Sportello per affrontare le problematiche relative al diritto/dovere allo studio dei propri figli minori. Un numero ampio di giovani maggiorenni che si rivolgono allo Sportello sono in cerca di prima occupazione e sempre più manifestano disagio per la condizione di incertezza in cui si trovano denunciando una situazione di precarietà dalla quale non riescono ad uscire. In questo caso la consulenza orientativa è stata soprattutto rivolta a potenziare le capacità di coping e l’empowerment necessari per fronteggiare la situazione. Una grossa percentuale di utenza dello Sportello (così come anche negli altri due) è costituita da donne che in primo luogo esprimono una esigenza formativa manifestando tra l’altro la necessità di uscire da una condizione di marginalità sociale e lavorativa in cui sono state relegate per molto tempo. Per questi soggetti il Bilancio di competenze, in cui gli operatori si sono specializzati, ha rappresentato un valido strumento metodologico che ha consentito alle donne di riacquistare fiducia nelle proprie possibilità e di proporsi con determinazione nel mondo del lavoro. Lo Sportello di Belpasso-Ragalna accoglie un’utenza molto variegata proveniente anche dai comuni limitrofi. Quest’anno gli operatori di questa sede si sono trovati impegnati in una azione selettiva a largo raggio in virtù del fatto che sul territorio è stato realizzato il più grosso Centro commerciale del Meridione (Etnapolis) il quale prevede circa 3.500 assunzioni di cui l’80% proveniente dal contesto territoriale in cui ricade lo Sportello. Questo Sportello, a differenza degli altri due, non registra un’utenza minorile a rischio di dispersione. La consulenza orientativa è stata rivolta agli studenti di quarto e quinto anno dell’ITIS locale (per un totale di 80 studenti di cui solo 5 donne) per supportarne i processi di scelta. L’esperienza di Via Crispi In questo mio intervento desidero parlare dell’esperienza fatta dallo Sportello “ Via Crispi” e mi soffermerò solo su due tipologie di utenza: studenti in obbligo formativo e donne al rientro nel mercato del lavoro. Obbligo formativo Lo Sportello, come ho detto prima, si è caratterizzato per una grossa affluenza di minori bisognosi di essere orientati o riorientati alla scelta scolastico/formativa ciò dovuto al fatto che tradizionalmente il Centro di Formazione IRFAP di Catania ha privilegiato una azione formativa rivolta a fasce giovani in ambiti legati alle professioni estetiche in considera164 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO zione del fatto che in questo settore la richiesta è stata sempre molto alta e che, da una verifica periodica effettuata dall’Ente, risulta che quasi tutti coloro i quali hanno conseguito la qualifica hanno trovato occupazione facilmente sia come lavoratori autonomi che come dipendenti. Quindi, nel rispetto dei principi legislativi enunciati dalla riforma scolastica e dall’art. 68 della legge n. 144/99 che prevede l’assolvimento dell’obbligo formativo nel sistema regionale della formazione, è stato incentivato un servizio di orientamento, rimotivazione e sostegno individuale e/o di gruppo a favore dei minori in regime di obbligo formativo finalizzato a prevenire la dispersione, intervenire nei casi di dispersione avvenuta, accompagnare e sostenere la scelta scolastica e formativa. Obbligo formativo Via Crispi - 2005 27% 36% inseriti attività form inviati altri Enti inviati Istituti scolastici provenienti da abbandono scolastico preiscrizioni gennaio 21% 8% 8% Da gennaio ad oggi ha potuto usufruire del servizio un’alta percentuale di minori così distribuiti: a) minori in uscita dalla scuola dell’obbligo che a gennaio hanno effettuato, attraverso la scuola media di provenienza, la pre-iscrizione al Cfp IRFAP; b) minori che, pur avendo effettuato nell’anno 2004 una scelta formativa per l’assolvimento dell’obbligo, sono rimasti fuori da azioni formative e quindi in situazione di evasione scolastica a causa di mancata offerta di azioni formative da parte del sistema regionale; c) minori che al termine dell’obbligo scolastico non hanno presentato domanda di iscrizione né per il sistema di istruzione, né per quello formativo (così come previsto dalla legge 53/03) e che, essendo in regime di evasione, sono stati segnalati allo Sportello dai Servizi Sociali di competenza; 165 L’esperienza di Via Crispi CAPITOLO 4 L’esperienza di Via Crispi d) minori in regime di abbandono scolastico che, pur avendo effettuato una scelta di indirizzo non hanno mai frequentato o che hanno interrotto la frequenza alla scuola o alla formazione e il cui abbandono è attribuibile ad una scelta iniziale errata, a difficoltà economiche familiari, a scarso interesse per lo studio in genere, all’assenza di una “cultura del sapere” nelle famiglie di provenienza; e) infine, minori provenienti da insuccesso scolastico. Dal punto di vista organizzativo, considerata la specificità dell’utenza annoverata fra i soggetti deboli, le attività sono state impostate su una scelta metodologica, che ha trovato conferma nel nuovo Modello Idealtipico della Regione Sicilia, basata su una figura di orientatore unico (l’esperto in integrazione). Tale scelta si fonda su alcune considerazioni di metodo e di merito, tra cui: • la volontà di garantire continuità alla relazione dell’orientatore con l’adolescente; • la necessità di garantire, nell’attuale fase di mutamenti e di disinformazione diffusa, una basilare omogeneità informativa per tutti coloro che sul territorio sono coinvolti; • la necessità di fronteggiare la dispersione scolastica e formativa attraverso interventi di recupero rivolto soprattutto a quei minori in fase di abbandono o allontanamento dal sistema scolastico. Le azioni sono state così articolate: 1. Informazione. Attività svolta presso le scuole e con le famiglie sui percorsi previsti dalla legge per l’assolvimento dell’obbligo scolastico e formativo e circa le possibili conseguenze del mancato assolvimento. 2. Percorsi di orientamento di gruppo. Attività svolta con giovani che frequentano la III media e devono scegliere a quale scuole media superiore iscriversi. Sono stati impostati su attività di gruppo (indirizzate in alcuni casi anche ai genitori) volte alla presentazione dei diversi indirizzi delle scuole medie superiori e, talvolta, a stimolare la riflessione su di sé con l’obiettivo di favorire una scelta coerente con le proprie caratteristiche e aspirazioni. I ragazzi che giungono allo sportello multifunzionale vengono inviati direttamente dalla sede di provenienza. 3. Colloquio individuale di riorientamento. Attività rivolta ai giovani che frequentano il primo anno degli Istituti superiori che hanno manifestato dubbi sulla scelta iniziale e che nel corso del 1° quadrimestre hanno conseguito risultati negativi e che possono aver bisogno di fare il punto sulla propria situazione, ridefinire un proprio progetto formativo con il fine di evidenziare eventuali disagi anticipatori di abbandoni e di dispersione. 166 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO 4. Percorsi di rimotivazione individuali. Attività di aiuto e sostegno alla scelta, con l’obiettivo di supportare i giovani in obbligo formativo che avevano manifestato disagio nel canale di assolvimento prescelto o che avevano abbandonato il percorso intrapreso. Strumenti utilizzati Per i vari interventi sono stati utilizzati le schede inserite nella “Guida per lo svolgimento di attività di orientamento per minori in obbligo formativo” realizzato nell’ambito del progetto INTRATOOLS dalla Regione Toscana, le schede presenti nel testo “Saperi minimi dell’orientamento” della Prof.ssa Pombeni e il test SDS di Holland con un adattamento per soggetti in obbligo formativo. Risultati I risultati indicano 75 minori inseriti in 5 progetti di obbligo formativo (15 per ogni progetto) presso il CFP dell’IRFAP con inizio aprile 2005, 18 inseriti in altri percorsi formativi presso altri Enti, 17 orientati verso una scelta scolastica (8, Istituto Agrario, 4 Istituto Alberghiero, 1 Liceo Artistico, 1, Liceo Classico, 3 Liceo Psico Pedagogico). La rimanente parte (circa 150 minori), purtroppo ancora oggi si trova in attesa di essere inserita in percorsi formativi per l’obbligo, dico purtroppo, perché la Regione Sicilia ha disatteso le leggi nazionali e regionali in materia di obbligo formativo e, anche se gli Enti hanno presentato la progettazione a fine maggio, a tutt’oggi non ha autorizzato alcuna attività lasciando nella sola provincia di Catania circa 700 minori di fatto in regime di evasione scolastica. Ad onore di informazione, c’è da dire che il dato è per difetto in quanto numerosi giovani che risultano frequentare la scuola superiore di fatto, avendo abbandonato la scuola, si ritrovano in condizione di drop out e pur avendo richiesto di passare al sistema formativo, non avranno nessuna possibilità di inserimento per il 2006 in quanto dai dati emersi l’offerta formativa non potrà soddisfare l’intera richiesta. Orientamento donne L’altro dato significativo di utenza degli Sportelli dell’IRFAP è rappresentato da donne il cui target è caratterizzato da donne con esigenze ed esperienze diverse. La situazione delle donne anche in Sicilia appare caratterizzata da vi167 CAPITOLO 4 Orientamento donne stose contraddizioni. Se da una parte, l’andamento della presenza femminile nel mondo del lavoro sembra segnata da una tendenza positiva, dall’altra, la possibilità concreta per le donne di migliorare le chanches di carriera, rappresenta un percorso difficile, con limiti e resistenze che rende questo trend tutt’ora difficile e lentissimo. L’IRFAP, attraverso la propria attività orientativa e formativa fornisce: • un servizio di counseling finalizzato all’orientamento alle scelte professionali e/o percorsi di carriera; • strumenti tecnici (redazione di curricula, lettere di autocandidatura, tecniche per affrontare un colloquio di lavoro); • strategie di azione (definizioni di tempi, obiettivi e strumenti, bilancio di competenze) per l’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro; • brevi azioni formative per lavoratrici finalizzate all’acquisizione di competenze informatiche e linguistiche; • corsi di qualificazione e riqualificazione professionale. Tipologia di utenza femminile Molte di esse sono inoccupate diplomate, in possesso di titoli di studio poco spendibili nel mercato del lavoro, altre con esperienze lavorative poco gratificanti e che vorrebbero acquisire competenze. La maggior parte esprime un forte bisogno di uscire dall’isolamento della vita familiare, di conquistare un piccolo spazio di autonomia, di confrontarsi con altre e scambiarsi esperienze, di recuperare autostima e fiducia in se stesse, di inserirsi nel mondo del lavoro, di migliorare la propria formazione attraverso l’acquisizione di competenze trasversali e disciplinari, rapportabili alla cultura d’impresa, al lavoro, autonomo. Molte di esse pur essendo occupate richiedono brevi momenti formativi per adeguare le loro conoscenze alle moderne dinamiche del lavoro attraverso lo sviluppo di competenze linguistiche ed informatiche. Risultati È stato possibile dare risposte a bisogni formativi da loro espresse nel modo seguente: • 67 donne occupate inserite in corsi brevi organizzate dall’IRFAP stesso, di informatica con competenze ECDL, per il conseguimento della patente europea; • 64 donne occupate inserite in percorsi di base brevi di lingua inglese, anche questi organizzati dall’IRFAP, (quasi tutte hanno richiesto di partecipare alla edizione avanzata di lingua inglese); 168 ORIENTAMENTO: ESPERIENZE A CONFRONTO • 22 donne disoccupate e 5 studentesse (che avevano conseguito il diploma presso l’Istituto scolastico in cui si sono svolte le azioni) inserite in progetti PON realizzati dall’Itaer Ferrarin di Catania (due edizioni “IO DONNA IO LAVORA, DALL’EMARGINAZIONE AL PROTAGONISMO,” una edizione “DONNA, LAVORO IMPRESA” Miur, Misura 7, Azione 3, di quest’ultimo progetto 5 partecipanti hanno creato un’associazione di catering e organizzano feste ed eventi per privati); • 21 giovani donne inoccupate (età 19-25) inserite in percorsi formativi presso altri enti per il conseguimento di una qualifica professionale che possa loro permettere di accedere al mondo del lavoro più facilmente. Numerose sono le richieste di azioni formative ma, purtroppo, questo è un altro capitolo doloroso in cui è coinvolta l’inefficienza della nostra Regione in questo contesto, preferisco non parlarne! Grazie. 169 Risultati CAPITOLO 5 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO SESSIONE PARALLELA Coordinata da Francesco Avallone 5.1 MODELLI, PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO: SPUNTI DI RIFLESSIONE di Francesco Avallone1 La lettura trasversale dei diversi contributi presentati nell’ambito della sessione “Modelli, Pratiche e Strumenti per l’Orientamento” mi induce ad una prima e immediata considerazione. Al di là dei diversi ambiti disciplinari di relatori ed uditori si coglie il comune interesse verso la ricerca di un approccio integrato dell’orientamento che, coniugando i diversi luoghi e tempi, possa far dialogare una comunità professionale che si presenta spesso eterogenea per competenze, ruoli e obiettivi. In altri termini, parafrasando i contenuti dei diversi interventi, e includendo anche le numerose considerazioni emerse dal pubblico, mi sembra che il momento sia maturo per superare l’agire spontaneo verso l’adozione di modelli unitari che ricompongano la frantumazione ancora oggi esistente tra orientamento scolastico, professionale, informativo, formativo e gettino le basi per un approccio che sostenga la persona nelle diverse transizioni che caratterizzano la vita personale e professionale del cittadino. Il riferimento alla componente adulta, fino a qualche tempo fa esclusa dai percorsi di orientamento e ri-orientamento, costituisce l’evidenza più forte emersa dai lavori di ieri, soprattutto in considerazione della necessità di progettare servizi che non siano la riproduzione di quelli esistenti per i giovani ma siano impostati su un impianto personalizzato e mi1 Docente di Psicologia del Lavoro, Preside della Facoltà di Psicologia 2, Università “La Sapienza” di Roma. 171 CAPITOLO 5 Modelli, Pratiche e Strumenti per l’Orientamento: spunti di riflessione rato alla reale domanda di posizionarsi o ri-posizionarsi in un mercato in evoluzione, che richiede sempre più profili capaci di coniugare saperi specifici e competenze di processo, nonché di utilizzare le risorse maturate e acquisite nel corso di tutta una vita, valorizzando le diverse esperienze. Seguendo questo filo di pensiero e di analisi, non mi preme qui tanto riassumere i contributi della sessione2 ma soffermarmi su due questioni che possono favorire una lettura organica del fenomeno in una prospettiva capace di contribuire all’individuazione di possibili sviluppi per la definizione di una cultura condivisa dell’orientamento. La prima questione riguarda la numerosità e la pluralità di soggetti che, insieme, concorrono a determinare la comunità dell’orientamento. Un convegno affollato, una sessione, quella da me coordinata, numericamente molto ricca: circa 650 uditori. Se questo dato pone enfasi verso la tematica dell’orientamento in generale e, in particolare, verso la conoscenza e l’applicabilità di strumenti e percorsi fondati teoricamente e validati sul campo, di fronte a tale numerosità è doveroso interrogarsi sulla tipologia di soggetti che hanno aderito all’iniziativa, per metterne a fuoco aspettative, bisogni, domande e adeguarne linguaggio e contenuti. È ragionevole attendersi che la maggior parte di coloro che sono interessati ad una sessione dedicata a modelli, strumenti e pratiche, siano professionisti del settore – operatori scolastici, consulenti di orientamento, ricercatori – rispetto ai quali si può dare per scontata una convergenza tra aspettative e riflessioni riportate. Un convegno sull’orientamento rappresenta, infatti, un’occasione preziosa, per coloro che si occupano di ricerca per diffondere, ciascuno a partire dalla propria area di competenza, risultati, progetti, percorsi, suggestioni. Così come preziosa è l’opportunità, per i professionisti, di acquisire nuovi strumenti e nuova conoscenza sul mondo dell’orientamento che si interroga – come evocato dal titolo di questo convegno – sull’orientamento dell’orientamento. Peraltro viene più volte evocata, con maggiore vigore dagli operatori di orientamento ma in ogni caso condivisa dalla comunità scientifica che si occupa di questi temi, la necessità di un’interdipendenza serrata tra conoscenze ed esperienze maturate, a sostegno del fatto che la mobilitazione dell’interesse sui temi dell’orientamento è in gran parte imputabile al sistematico confronto tra mondo della ricerca e quello professionale. Al tempo stesso è opportuno anche chiedersi se, a fianco della maggioranza costituita dai professionisti, esista anche un altro insieme di uditori che, nello specifico, mi sembra di poter definire, genericamente, studenti, giovani e meno giovani, probabilmente sorretti da un 2 172 Si rimanda il lettore ai testi integrali riportati, di seguito, nel volume. MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO personale bisogno di orientamento e alla ricerca di una strada per collocarsi o ri-collocarsi professionalmente. Non si tratta, a mio avviso, di una questione da poco. Se non hanno sbagliato luogo, se l’orientamento e le forze messe in atto dalla comunità scientifica sono finalizzate alla messa a punto di un servizio integrato dove le diverse azioni siano modellizzate in sinergia alla specifica domanda degli utenti e, in relazione ai diversi contesti di riferimento (scuola, università, formazione, lavoro), allora è necessario entrare in contatto anche con questa tipologia di utenti, che rappresenta, in ultima analisi, l’utenza privilegiata, con la quale il mondo dell’orientamento intende mantenere un’efficace interlocuzione. In tal senso è opportuno utilizzare un linguaggio chiaro e semplice, che seppur condiviso dalla comunità scientifica, sia fruibile dall’intera platea, per non attestare, di contro, una presunta “distanza” con l’interlocutore meno esperto; così come è essenziale “aprire degli spazi”, “allargare i contesti”, cercando di avvicinare l’utente a realtà personali e professionali poco pensate, offrire opportunità di riflessione su se stessi, sulle proprie competenze, il proprio futuro e sulle possibilità di porsi obiettivi aderenti al contesto per tradurli in realistici piani di azione e progetti di vita. In altre parole, si tratta di stimolare un ascolto attivo finalizzato all’interrogazione sui propri modi di rapportarsi alla realtà e alla presa di coscienza che non esiste orientamento senza capacità di orientarsi. Queste considerazioni introducono il tema della responsabilità sociale dell’orientamento che questo convegno, a mio avviso, ha messo in luce con sufficiente chiarezza e determinazione. La seconda questione pone enfasi ad una nuova prospettiva culturale, che segna il passaggio da un “orientamento diagnostico” ad un “orientamento maturativo”. Ho provato, a questo riguardo, ad immaginare, come sarebbe stata la discussione, se la stessa sessione fosse stata proposta dieci anni fa. Credo che in un’ipotetica analoga sessione centrata su modelli strumenti e pratiche professionali, si sarebbe parlato di intelligenza, personalità, o altri costrutti ascrivibili alla sfera individuale, quasi a proporre una sorta di orientamento come “ somministrazione”, volto ad esplorare l’area delle potenziali compatibilità tra il mondo professionale e quello dei profili degli utenti, in modo da coniugare profili e persone, in chiave lineare. Se cerco, invece, di individuare il filo conduttore degli interventi proposti durante questo convegno, la centratura sembra definitivamente spostata lungo la dimensione relazionale. L’operazione di confronto che mette in relazione la domanda del mercato con le attitudini e gli interessi individuali oggi è superata. Se, infatti, offerta di informazioni sul sistema formativo-professionale e indagini sugli interessi e le attitudini rappresentano, senza dubbio, azioni rilevanti nel processo di orientamento, sen173 Modelli, Pratiche e Strumenti per l’Orientamento: spunti di riflessione CAPITOLO 5 Modelli, Pratiche e Strumenti per l’Orientamento: spunti di riflessione za un’integrazione ed un’interrogazione con e su altre variabili, tali azioni inducono una scarsa o nulla modificazione sul soggetto. Di contro l’agire orientativo acquista valore se inserito in un modello integrato in cui sia valorizzata la componente formativa in grado di favorire modifiche cognitive e di sviluppo delle competenze necessarie per autoorientarsi. Una pista di sviluppo innovativa consiste quindi nel promuovere e valorizzare competenze che possono supportare l’individuo nella messa a punto di progetti personali e professionali flessibili per potersi collocare adeguatamente nel proprio contesto economico e sociale. In questo senso dimensioni come il coping, gli stili di attribuzione, gli orientamenti motivazionali, le convinzioni di auto-efficacia, gli stili decisionali, i valori professionali, acquistano sempre più rilevanza nell’orientamento in quanto dimensioni di confine tra sé e il mondo esterno, indicative della relazione che l’individuo intrattiene con il contesto di riferimento. 174 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO 5.2 LA RILEVAZIONE E LA CONVERGENZA DEI COSTRUTTI FONDAMENTALI NELL’ORIENTAMENTO di Klement Poláček1 Premessa Il contributo si colloca nel secondo aspetto di “cattive pratiche”, denunciate da Messeri (2005) che consistono nel tecnicizzare l’intervento. In tal caso il concetto e la conduzione dell’attività vengono ristretti ad una scienza specialistica, riservata a pochi esperti. Facendo poi riferimento ad altri Paesi, Messeri riporta che le realtà complesse, come la comunicazione e l’educazione, sono affrontate da diverse discipline e nessuna di esse può pretendere di gestire da sola tali realtà. Egli auspica perciò che si stabilisca una relazione tra le discipline attinenti all’attività dell’orientamento e che ad essa ricercatori, esperti tecnici e operatori di tali discipline, offrano le loro competenze e diano i loro contributi. Messeri indica, in modo più esplicito, alcune conoscenze utili per l’orientamento: le caratteristiche attuali dei giovani, la costruzione dell’identità personale e di gruppo, la trasformazione del lavoro e le forme di ricostituzione della società. Tenendo presenti i suoi suggerimenti, cercheremo di indicare come evitare alcuni inconvenienti da lui denunciati. Proporremo quattro costrutti fondamentali: attitudini, preferenze, valori e motivazione all’apprendimento che potrebbero essere integrati nello sviluppo generale e in quello professionale per il superamento della frammentarietà di conoscenze sull’utente nel normale esercizio dell’orientamento. Integrazione di quattro costrutti Per evitare la frammentarietà delle conoscenze del soggetto da orientare (come anche della società e del mondo del lavoro in cui egli deve entrare) vogliamo proporre schematicamente quattro costrutti, indicando poi come integrare le informazioni ottenute in una coerente struttura. Per una descrizione più esaustiva saranno indicate le rispettive fonti. I quattro costrutti sono riportati nella figura 1. 1 Professore Ordinario di Tecniche Psicodiagnostiche e dell’Orientamento Facoltà di Scienze dell’Educazione Università Pontificia Salesiana di Roma. 175 176 Continuatore Continuatore 20 Pronunciato Moderato Divergente Innovatore Pronunciato Stile di azione 19 Accomodatore Innovatore Moderato Assimilatore Immaginativo Perspicace Stile di apprendimento Operoso Convergente Intellettivo Stile mentale 18 17 16 Artistica Investigativa Realistica Aree Congruenti Consistenti Differenziate Persona – ambiente Creatività Perfezionamento Realizzazione di sé Intrinseci Sicurezza Dipendenza Retribuzione Estrinseci Interazione Stili cognitivi Motivi Altruismo – egoismo Norme di condotta Spirituali Psichici Capacità razionali Componenti Oggettive Interessi affettive Componenti Concrete Realistiche Fluida Spaziale 15 Cristallizzata Intelligenza (Fattore G) Numerica Bisogni Fisiologici Fantasiose Valori Prestigio e fascino Preferenze 14 13 12 11 Verbale Livello dei tre tipi di abilità Attitudini Metacognitive Procedurali Concettuali Fattuali Conoscenze Complesso Astratto Semplice Concreto Coordinate Motivazione Creare Valutare Analizzare Applicare Comprendere Ricordare Processi Integrazione di quattro costrutti 10 9 Età Maturità generale e professionale Figura 1- Lo sviluppo dei quattro costrutti nell’arco evolutivo in mutua interazione CAPITOLO 5 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Come si può vedere dalla figura 1 i quattro costrutti sono intesi nella prospettiva evolutiva partendo dalla preadolescenza e giungendo alle soglie dell’età adulta. In tutti e quattro i costrutti avviene una progressiva articolazione e una progressiva qualificazione dei processi e delle componenti fino al raggiungimento dell’obiettivo finale che è la maturità professionale. Illustriamo brevemente i quattro costrutti. Attitudini – Già in tenera età emergono delle differenze in tre aree: verbale, numerica e spaziale. In tal modo inizia la cristallizzazione delle attitudini che sarà poi guidata nella scuola primaria con il regolare insegnamento per proseguire alla conclusione degli studi. Le stesse aree continueranno a formarsi anche fuori dell’ambiente scolastico e vanno sotto il termine di intelligenza fluida. Progressivamente emergono stili cognitivi che si articolano in tre ulteriori stili: stile mentale con la combinazione dei processi intellettivi con quelli creativi, dando origine a quattro tipi (intellettivo, operoso, immaginativo e perspicace). Nello stile mentale si innesta lo stile di apprendimento, dando di nuovo origine a quattro tipi (convergente, accomodatore, divergente e assimilatore). Nello stile di apprendimento si innesta lo stile di azione e cioè il modo di condurre l’attività lavorativa da continuatore (con intensità moderata o pronunciata) oppure da innovatore (ugualmente di intensità moderata o pronunciata). Teoricamente viene ipotizzata la continuità nei quattro tipi dei tre stili cognitivi (per esempio, intellettivo, convergente e continuatore moderato). Per una più ampia descrizione dei livelli e degli stili si può vedere Poláček (2001a, b, c, d). Preferenze – Anche esse iniziano in tenera età in una forma fantasiosa, in cui sono condizionate, generalmente, dal prestigio e dal fascino. Nella preadolescenza assumono un certa concretezza, ma sono ancora notevolmente pervase dall’affettività. Successivamente assumono componenti maggiormente razionali e diventano più oggettive per essere poi realistiche. In rapporto all’ambiente professionale possono risultare differenziate, consistenti e congruenti. Le preferenze possono essere rivolte alle specifiche professioni oppure possono indirizzarsi alle note aree come riportato nello schema. Per un approfondimento si può vedere Holland, Powell e Fritzsche (2003). Valori – Hanno origine nei bisogni, articolati gerarchicamente in: fisiologici, psichici e spirituali. Già in tenera età sono percepiti come norme di condotta sociale e possono oscillare per un certo tempo tra altruismo ed egoismo orientando le future scelte del soggetto. Successivamente diventeranno dei motivi per scegliere ed esercitare una professione. Tali motivi possono essere puramente estrinseci, e cioè esterni alla professione oppure intrinseci cioè legati ad essa per natura. Da essi dipende la stabilità e la soddisfazione nella professione. Per un’ul177 Integrazione di quattro costrutti CAPITOLO 5 Integrazione di quattro costrutti teriore informazione si può vedere Trentini, Bellotto, Muzio e Zatti (1999). Motivazione – Il quarto costrutto consiste nella motivazione all’apprendimento. La qualità della motivazione dipende dall’approccio che lo studente assume di fronte all’apprendimento, che può essere, come risulta dal consenso dei ricercatori, profondo, superficiale e strategico. Il profondo consiste in una vigorosa interazione con il contenuto da apprendere, nello stabilire rapporti tra nuove informazioni e quelle già possedute, e nell’esaminare il valore delle argomentazioni apportate. L’approccio superficiale sta prevalentemente nel memorizzare i contenuti in vista dell’esame, nell’apprendere quello che è strettamente richiesto all’esame e in una notevole dipendenza dal testo da studiare. Lo strategico consiste nell’organizzare il tempo e nel distribuire le forze per ottenere un buon risultato, nel prevedere le domande dell’esame e nel preparare le risposte. Dai tre approcci dipende una differente qualità di motivazione allo studio. All’approccio profondo corrisponde la motivazione intrinseca all’apprendimento, all’approccio superficiale la motivazione estrinseca ai contenuti da apprendere mentre a quello strategico è associata la motivazione mista, in parte intrinseca e in parte estrinseca, secondo la qualità delle strategie stesse. Ai tre tipi di approccio vengono associati uno specifico processo e una specifica strategia. Il processo consiste nella capacità metacognitiva e la strategia nel consolidamento delle informazioni apprese a breve distanza di tempo. Il soggetto che è in possesso della capacità metacognitiva, essendo a conoscenza dei processi per mezzo dei quali apprende, ottiene risultati migliori rispetto al soggetto che ignora tali processi. La metacognizione ha come effetto l’apprendimento autoregolato; infatti colui che capisce come avviene il suo apprendimento sa predisporre il proprio metodo di studio, valorizzando le sue risorse in vista di un buon risultato. Il consolidamento è una strategia, oppure una tecnica, che consiste nel ritornare una seconda volta sull’argomento studiato per fare delle precisazioni e acquisire ulteriori informazioni per assimilarlo in modo più completo. L’apprendimento è strettamente correlato con le tassonomie dell’apprendimento nelle sue note categorie, dalla più semplice (ricordare) a quella più complessa (creare). Alle categorie corrispondono poi i tipi di conoscenze (fattuali) come base per quelle elevate (metacognitive). Nella stessa figura 1 le conoscenze e i processi sono disposti in rapporto a due coordinate: concreto – semplice e astratto – complesso. L’avanzamento lungo tali coordinate rappresenta una lineare maturazione intellettiva e affettiva del soggetto. Da tale avanzamento dipende an178 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO che la capacità del soggetto di operare il transfer nelle conoscenze e nei processi, e cioè la capacità del soggetto di usare conoscenze acquisite in un settore per utilizzarle in un altro e adottare processi acquisiti in una situazione per usarli in un’altra. Per un’informazione più ampia si può vedere Poláček (2005). Rapporto tra i contenuti dei quattro costrutti È facile rendersi conto che tra i contenuti dei quattro costrutti ci sono delle affinità più o meno grandi. Conviene rilevarne alcune. L’intelligenza fluida può contribuire alla formazione dell’area artistica, mentre quella cristallizzata alla formazione dell’area convenzionale. Gli stessi due tipi di intelligenza, rispettivamente, possono dare origine a due tipi di valori: la fluida ai valori intrinseci (creatività, perfezionamento e realizzazione di sé), la cristallizzata ai motivi estrinseci (sicurezza, dipendenza e retribuzione). Lo stile mentale può essere facilmente associato ad alcune aree: operoso alla realistica, immaginativo all’artistica, perspicace all’intraprendente e intellettivo all’investigativa. Similmente gli stili possono essere messi in rapporto con i valori: ad esempio l’immaginativo con la creatività, l’operoso con la sicurezza e la dipendenza. Lo stile di apprendimento può essere correlato a pieno titolo con i processi e con le strategie di apprendimento: l’assimilatore all’apprendimento profondo, il convergente allo strategico, l’accomodatore all’apprendimento superficiale. Lo stile di azione trova riscontro nelle preferenze e nei valori. Il continuatore propenderebbe per l’area realistica e convenzionale; l’innovatore invece per quella artistica e intraprendente. Analogamente i due tipi possono essere associati ai valori: il continuatore ai valori estrinseci (sicurezza e dipendenza) e l’innovatore a quelli intrinseci (creatività, perfezionamento e realizzazione di sé). Al rapporto tra le preferenze e i valori è stato già accennato prima. Il tipo investigativo intende realizzare i valori che si riferiscono al perfezionamento e alla creatività; il tipo intraprendente preferisce la realizzazione di sé; il tipo convenzionale privilegia la dipendenza e la sicurezza. Gli ulteriori rapporti possono essere stabiliti tra le attitudini suddivise in tre note aree: verbale, numerica e spaziale e nelle quattro categorie di conoscenze (fattuali, concettuali, procedurali, metacognitive) in stretto rapporto con le materie scolastiche. I due fattori di intelligenza, cristallizzata e fluida, possono essere rapportati ai sei processi (ricordare ... creare) in quanto sono presenti in essi in modo differente: nelle prime quattro categorie (ricordare… analiz179 Integrazione di quattro costrutti CAPITOLO 5 Rapporto tra i contenuti dei quattro costrutti zare) è presente prevalentemente l’intelligenza cristallizzata, mentre nelle rimanenti due (valutare e creare) quella fluida. Da questa ultima dipende notevolmente il transfer. Questi suggerimenti sono basati sui contenuti dei quattro costrutti e fondati sulle probabili associazioni logiche. Alcuni anni fa, Ackerman e Heggestad (1997) hanno raccolto i contributi sul rapporto tra vari costrutti che ora esponiamo brevemente. Conferme empiriche delle affinità Ackerman e Heggestad hanno condotto la metaanalisi di 155 studi, in cui sono stati utilizzati 188 campioni e calcolati 2.033 coefficienti basati su 64.592 soggetti. Gli autori hanno incluso anche i dati di alcune dimensioni della personalità. Innanzitutto essi hanno voluto accertare il rapporto tra le abilità e gli interessi professionali. Sono stati riscontrati coefficienti positivi fra gli interessi contabili, l’abilità numerica (0.30) e il ragionamento induttivo (0.24). Gli interessi letterali sono stati correlati positivamente con l’abilità verbale (0.27) e con l’intelligenza generale (0.39); al contrario, gli interessi artistici sono stati correlati negativamente con l’abilità numerica (-0.21). Anche gli interessi di servizio sociale sono stati correlati negativamente con l’abilità numerica (-0.13) e con l’intelligenza generale (-0.24). Gli interessi meccanici risultarono essere correlati negativamente con l’intelligenza generale (-0.18). Gli autori hanno poi confrontato le aree di Holland con tre abilità specifiche (verbali, numeriche e spaziali). L’area realistica risultava correlata con la abilità spaziale (0.34) e con quella numerica (0.38). L’area artistica è stata correlata positivamente con la abilità verbale (0.28) e con quella musicale (0.43). L’area investigativa è risultata correlata con tre differenti abilità: verbale (0.22), numerica (0.23) e spaziale (0.27). Infine, l’area sociale è stata correlata con le abilità numerica e spaziale. Come si può vedere dai coefficienti il rapporto tra gli interessi e le abilità è moderato e può offrire utili indicazioni nell’esame dei risultati individuali. Le aree di Holland sono state confrontate anche con alcune dimensioni della personalità. Globalmente l’area sociale e quella intraprendente è risultata associata all’estroversione; l’area investigativa e artistica all’apertura all’esperienza e l’area convenzionale alla coscienziosità. Più specificamente l’area sociale è stata correlata con il benessere generale (0.28), l’area sociale e intraprendente con la forza sociale (0.31), l’area convenzionale con il controllo di sé (0.20) e con il tradizionalismo (0.24). L’area artistica è risultata correlata in modo negativo con il tradizionalismo 180 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO (-0.24) e con il coinvolgimento nell’attività (0.55). Con la stessa dimensione della personalità è stata correlata anche l’area realistica (0.31). Questo vuol dire che le attività concrete assorbono notevolmente l’attenzione delle persone del tipo realista come pure del tipo artista. Tre aree risultarono correlate in modo negativo con evitamento di danno (che si oppone all’accettazione di un ragionevole rischio): artistica (-0.26), realistica (-0.33) e investigativa (-0.23). Infine, due aree risultarono opposte al nevroticismo: la realistica (-0.32) e l’investigativa (-0.26). In conclusione, da questa sommaria descrizione dei dati è sufficientemente chiaro che tra le abilità, preferenze, valori, motivazione ad apprendere ed alcune dimensioni della personalità esiste una reciproca causalità. Tenendo conto dei rapporti esistenti, i dati individuali possono essere considerati in una logica struttura integrandosi e correggendosi reciprocamente. Riferimenti bibliografici Ackerman, P.L. e Heggestad, E. D.(1997). Intelligence, personality, and interests: Evidence for overlapping traits. Psychological Bulletin. 121, 219-245. Holland, J.L., Powell, A.B. e Fritzsche, B.A. (2003). SDS Self Directed Search. Manuale. Organizzazioni Speciali, Firenze. Messeri, A. (2005), Ancora sulle “cattive pratiche” dell’orientamento. Magellano , pp. 4, 1-4. Poláček, K. (2001a). IST-2000 Test di Struttura dell’Intelligenza. Manuale. Organizzazioni Speciali, Firenze. Poláček, K. (2001b). Stili cognitivi nella crescita e nella preparazione professionale: Lo stile mentale. Magellano, 6, 59-62. Poláček, K. (2001c). Stili cognitivi nella crescita e nella preparazione professionale: Lo stile di apprendimento. Magellano, 7, 57-62. Poláček, K. (2001d). Stili cognitivi nella crescita e nella preparazione professionale: Lo stile di azione. Magellano, 8, 59-63. Poláček, K. (2005). Questionario sui Processi di Apprendimento. Organizzazioni Speciali, Firenze. Trentini, G., Bellotto, M., Muzio, G.B. e Zatti, A. (1999), WIS/SVP Scala dei Valori Professionali. Organizzazioni Speciali, Firenze. 181 Conferme empiriche delle affinità CAPITOLO 5 5.3 QUANDO ORIENTARE È DIFFICILE STRATEGIE, STRUMENTI E SPUNTI PER GLI INTERVENTI di Salvatore Soresi1 Premessa Gli utenti dei servizi di orientamento, come si è già avuto modo di ribadire in altri sedi, si caratterizzano per un’accentuata variabilità a proposito delle loro condizioni, necessità ed attese anche nei confronti dei supporti e degli interventi che potrebbero essere erogati (Soresi, 2000a). Tra questi figurano certamente quelli che avvertono elevati livelli di indecisione, che presentano discrepanze significative tra alcune importanti dimensioni dell’orientamento e dello sviluppo professionale (ad es: abilità vs aspirazioni, abilità vs interessi; abilità vs credenze di efficacia, ecc.). L’eterogeneità delle persone che si rivolgono ai servizi di orientamento tende generalmente a manifestarsi in modo ancor più accentuato se si considerano anche quegli individui che, pensando al proprio futuro, lo fanno in modo superficiale, che avvertono un senso elevato di preoccupazione, che ritengono addirittura di non avere scopi da raggiungere, poche prospettive e poche speranze. In presenza di situazioni simili a quelle appena citate, l’orientamento non può ridursi a semplici operazioni di diagnosi e classificazione, né a superficiali e spesso tardive affermazioni di tipo prognostico in quanto si tratta di utenti che necessiterebbero di azioni di orientamento aventi attributi di natura marcatamente preventiva. Nei confronti di persone che, per quanto concerne il loro futuro professionale, si sentono impreparate, inadeguate e che, a volte, si trovano a concludere che, pur avendo dei desideri, non riusciranno mai a soddisfarli e che pertanto non varrà neppure la pena il tentare di farlo, l’orientamento dovrebbe innanzitutto evitare di occuparsi di loro in modo superficiale e demagogico puntando, di contro, alla predisposizione di condizioni effettivamente in grado di ridurre la probabilità che quelle previsioni si realizzino (Nota e Soresi, 2004a; Nota, Soresi, Solberg e Ferrari, 2005). È soprattutto di queste persone che dovrebbero occuparsi i professionisti dell’orientamento ed è ad esse che saranno dedicate le pagine che seguiranno. Mi auguro che possano servire almeno a stimolare ul1 Professore Ordinario di Valutazione delle disabilità e di Psicologia della disabilità presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova. 182 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO teriori approfondimenti, ad avviare spunti di ricerca e di riflessione e a monitore in modo rigoroso l’efficacia delle azioni di orientamento che di fatto vengono realizzate in loro favore. Orientamento e prevenzione L’attività di orientamento può pretendere di ricoprire un ruolo preventivo e di contribuire all’incremento della probabilità di far sperimentare ai propri utenti almeno sufficienti livelli di soddisfazione a proposito delle proprie scelte scolastico-professionali, se riuscirà ad evitare di realizzare interventi unicamente informativi, standardizzati, ovvero se riuscirà ad evitare che a persone con esigenze diverse vengono proposte le stesse azioni di orientamento, gli stessi strumenti e supporti, e per lo più tardivamente, in concomitanza, di scadenze amministrative e alla fine dei percorsi formativi. Affinché l’orientamento acquisti spessore scientifico ed etico, legittimità, rilevanza sociale e valenze di tipo preventivo dovrà dimostrare di: 1. essere stato avviato precocemente, con visioni curriculari rispettose dei principi della continuità e della gradualità; 2. essere stato programmato adeguatamente in modo tale da risultare effettivamente congruente alle diverse specificità dei destinatari. Dovrà, in altri termini, prevedere azioni personalizzate, rispettose, cioè, delle caratteristiche gli utenti anche se non si dovessero realizzare in forma individualizzata; 3. essere in grado di ridimensionare in modo efficace la capacità inibente di ostacoli, di rimuovere barriere e difficoltà sia di tipo personale che sociale. L’orientamento “preventivo” dovrà, pertanto, essere in grado di incrementare abilità e di predisporre quelle condizioni che potrebbero facilitare la realizzazione di progetti professionali e di vita effettivamente vantaggiosi anche per le persone che sperimentano svantaggi e difficoltà. Tutto questo richiede ovviamente sofisticati requisiti di professionalità ed elevati livelli di formazione, da un lato, e servizi di orientamento autenticamente interessati alle persone più che alla promozione di questo o quel comparto formativo o lavorativo (Soresi, Nota e Lent, 2004). Queste necessità sono ormai ampiamente documentate dalla letteratura internazionale che, di fatto, indica chiaramente che gli utenti di un servizio di orientamento avrebbero bisogno di azioni diverse e personalizzate dal momento che sullo sviluppo professionale sembrano agire ancora effetti deleteri derivanti dalle differenze economico-sociali, dalle differenze culturali ed etniche e, persino, dalle differenze di genere (Blustein, 2001). Chi lavora nell’ambito dell’orientamento con una certa frequenza si 183 CAPITOLO 5 Orientamento e prevenzione trova infatti ad operare con: 1. clienti/utenti indecisi per quanto concerne i propri obiettivi professionali; 2. clienti/utenti poco interessati, demotivati e poco impegnati nell’affrontare il problema della scelta; 3. clienti/utenti “incongruenti” come quelli che presentano autovalutazioni “sorprendenti ed inattese”; 4. clienti/utenti particolarmente “pressati” che avvertono delle difficoltà a causa dei comportamenti di altre persone (membri della sua famiglia, insegnanti, compagni di scuola, ecc.); 5. clienti/utenti con atteggiamenti disfunzionali, pensieri ed idee irrazionali associati al lavoro. Il proporsi di far sperimentare aiuti significativi in situazioni come quelle indicate richiederebbe la scelta di obiettivi, di approfondimenti, di interventi e di supporti marcatamente eterogenei in quanto qualsiasi “trattamento” sarebbe destinato a risultare scarsamente efficace se non dovesse risultare almeno sufficientemente specifico e “centrato-sulla situazione” di volta in volta considerata. La personalizzazione dell’orientamento Come già anticipato, le persone che hanno poche speranze o che avvertono delle difficoltà nel perseguire la realizzazione dei propri progetti non traggono, generalmente, alcun aiuto e vantaggio rivolgendosi a servizi di orientamento che ricorrono a modalità standardizzate di consulenza in quanto la variabilità di queste situazioni è talmente accentuata da richiedere forme di consulenza massicciamente personalizzate. Vediamo almeno sommariamente alcune di queste situazioni al fine di rafforzare ulteriormente questo convincimento. È ad esempio facile imbatterci: 1) in clienti/utenti che non riescono a gestire l’indecisione a causa di una serie di loro caratteristiche “disfunzionali” e che avrebbero bisogno di conoscere meglio se stesse a proposito, soprattutto, delle proprie aspirazioni; 2) in altri che necessiterebbero di indicazioni precise a proposito dei cambiamenti che si sono registrati e che si registreranno nel mondo del lavoro; 3) in altri ancora che non riescono a superare il loro massiccio ancoraggio ad attribuzioni causali di tipo esterno, la loro propensione ad utilizzare strategie decisionali tendenti, come direbbe Leon Mann (2000), all’evitamento, all’ipervigilanza o alla procrastinazione. Si tratta di situazioni piuttosto frequenti (sembrerebbe che almeno 184 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO il 25% dei clienti/utenti dei servizi di orientamento apparterrebbe a questa tipologia – vds Nota, 1999; Soresi, 2000b) che a causa della loro elevata etereogeneità avrebbero bisogno di modalità diverse di intervento e consulenze altamente personalizzate. Le iniziative standardizzate di orientamento (diagnosi con la formulazione di referti contenenti indicazioni prognostiche sul futuro scolastico-professionale) tenderebbero a rinforzare la già massiccia tendenza alla delega e al locus of control esterno lasciando di fatto inalterata la situazione personale del cliente; 4) vi sono poi clienti che potremmo definire poco interessati, demotivati e poco impegnati nell’affrontare in profondità il problema della scelta a causa della loro tendenza all’evitamento dei conflitti e alla passività. Almeno il 20% di coloro che si trovano ad affrontare le transizioni scuola-lavoro, ma anche scuola-scuola e lavoro-lavoro, avrebbero queste caratteristiche. Nei loro confronti, l’intervento di orientamento, quando esiste o viene proposto, risulta di fatto tardivo e i consulenti e le persone stesse, a causa soprattutto della presenza di pressioni temporali ed ambientali, non si trovano nelle condizioni necessarie per maturare e stimolare la consapevolezza dell’importanza di approfondire gli elementi cruciali della progettazione del proprio futuro in modo sistematico; 5) anche secondo Brown e Krane (2000) i clienti che necessiterebbero di attenzioni particolari sono piuttosto numerosi e apparterebbero almeno a tre diverse tipologie: • vi sarebbero quelli che hanno bisogno di informazioni occupazionali aggiuntive e specifiche e di supporti per l’attivazione di produttive esplorazioni occupazionali; • quelli con problemi di scelta dovuti alla presenza di elevati livelli di ansia e interferenze di natura emozionale; • quelli che presentano una scarsa identità professionale e che nutrono scarsi sentimenti di efficacia circa le loro capacità di risolvere i problemi e di compiere delle decisioni di carriera; 6) vi sono anche tutti quei casi che presentano autovalutazioni “sorprendenti ed inattese”, come, ad esempio, incongruenze tra le stime di autoefficacia e le eterovalutazioni, tra gli interessi dichiarati e quelli osservati, tra le possibilità in materia di competenze maturate e i livelli di aspirazione, tra il possesso di condizioni favorenti l’autodeterminazione e la tendenza a ricorrere a strategie improntante a passività o a modalità esterne di attribuzione della causa dei propri successi ed insuccessi. (Lent, Brown, e Hackett, 1996; Nota e Soresi, 2000; Nota e Soresi, 2003); 7) vi sono anche clienti/utenti che avvertono delle difficoltà a causa 185 La personalizzazione dell’orientamento CAPITOLO 5 La personalizzazione dell’orientamento dei comportamenti di altre persone (membri della famiglia, insegnanti, compagni di scuola, colleghi di lavoro, amici o superiori) e che necessiterebbero anche dell’alleanza di “terze persone” come direbbe Conger (2002); 8) altre che presentano atteggiamenti disfunzionali ed “idee irrazionali” associati al lavoro, al futuro professionale e a tutto ciò che può determinare il successo e la soddisfazione lavorativa (Krumboltz, 1981; Mitchell e Krumboltz, 1996); 9) altre ancora che hanno difficoltà ad individuare quelle che Gati chiama gli aspetti delle professioni e ad effettuare confronti fra le diverse opzioni sulla loro base (Gati, 1998; Gati e Asher, 2001; Nota, Mann, Soresi e Friedman, 2002); 10) tra le persone che necessiterebbero di azioni preventive di orientamento non possono ovviamente essere dimenticate quelle che provengono da ambienti socio-economici svantaggiati e quelle che presentano disabilità diverse (Nota e Soresi, 2004b). In riferimento a quest’ultima categoria, e soprattutto ai soggetti che provengono da ambiti socio-culturalmente svantaggiati, anche in considerazione del fatto che i tassi di disoccupazione sono in crescita e che le offerte di collocamento lavorativo qualificato tendono sempre più a richiedere competenze elevate e capacità interpersonali sofisticate, saranno sempre più frequentemente proposti, e a volte anche con l’avvallo di qualche orientatore, lavori mal retribuiti, ripetitivi e scarsamente soddisfacenti. Queste persone, invece, necessiterebbero innanzitutto di formazione, di supporti economici e di aiuti a proposito, ad esempio, del rispetto del loro diritto allo studio, e dell’incremento dello loro abilità professionali e dello loro capacità di interazione sociale. I soggetti con difficoltà d’apprendimento, come noto, sperimentano frequentemente quel “senso di impotenza appresa” ben analizzato dalla recente psicologia dell’apprendimento e basse credenze di efficacia che li portano a nutrire scarse aspettative, ad impegnarsi poco nella ricerca attiva di un lavoro soddisfacente, a delegare e a preferire stili interpersonali di tipo passivo. Accanto ad interventi finalizzati al decremento delle difficoltà d’apprendimento, queste persone necessiterebbero di interventi precoci di orientamento per far registrare aumenti a proposito dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione e di quella che la letteratura sociocognitiva presenta in termini di human agency (Soresi, Nota e Ferrari, 2005; Lent et al, 2006). Anche i problemi che possono presentare le persone con disabilità meriterebbero molte più considerazioni ed approfondimenti di quanto sia possibile fare in questa sede. Al variare delle disabilità sembrano innanzitutto variare gli effetti disabilitanti a proposito della processazione 186 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO delle informazioni e dell’assunzione di scelte e decisioni anche se, generalmente, la presenza di limitazioni nelle attività fisiche, sensoriali o cognitive riduce anche notevolmente la quantità dei comportamenti esplorativi che vengono attivati e la gamma delle opzioni professionali di fatto considerata. In favore di queste persone l’orientamento non può che essere altamente personalizzato e precoce se si desidera operare al fine di ridurre la capacità invalidante delle menomazioni e di incrementare le probabilità di inserimento lavorativo in contesti competitivi tramite il potenziamento delle abilità necessarie alla ricerca e al mantenimento di un lavoro (Soresi e Nota, 2003a; Soresi e Nota, in press). Obiettivi e strumenti Ciò che accomuna le persone descritte è il fatto che si tratta di situazioni che non possono sperare di trovare aiuti significativi in interventi di orientamento “standardizzati”, realizzati in extremis, e massicciamente orientati alla diagnosi, all’analisi dei requisiti di accesso alla formazione e al lavoro, alla precisazione degli indici di congruenza e alla formulazione di previsioni a proposito della loro adattabilità agli ambienti formativi e lavorativi. Si tratta di una miriade di casi che avrebbero bisogno di counseling personalizzati che, per risultare efficaci, dovranno essere in grado di stimolare il cambiamento procedendo, di volta in volta e sulla base delle diverse necessità, tramite: a. la scelta di obiettivi descriventi i miglioramenti e i cambiamenti considerabili auspicabili ed opportuni per quella persona o situazione; b. la decisione di effettuare, assieme al cliente, gli approfondimenti necessari a caratterizzare la sua specifica situazione; c. la scelta di azioni e tecniche di orientamento congruenti a quanto evidenziato nelle fasi precedenti; d. l’individuazione di criteri specifici di valutazione dell’efficacia della consulenza che di fatto sarà posta in essere. Nel riquadro sottostante, e sempre al fine di esemplificare la necessità della personalizzazione, si riportano gli obiettivi e gli approfondimenti che sono stati decisi in presenza di alcune “situazioni difficili di orientamento”. 187 La personalizzazione dell’orientamento CAPITOLO 5 Obiettivi e strumenti Caso n. 1 – “Basta, non ne posso più…debbo prendere una decisione…. non importa quale”. A fare questa affermazione era un giovane di 22 anni che si sentiva particolarmente pressato a scegliere una facoltà universitaria dalla famiglia che non perdeva l’occasione di ricordargli le scadenze e il fatto che compagni avevano già idee chiare a proposito del loro prossimo futuro. Per questa persona l’importante era “decidere e mettere a tacere i genitori…anche se non mi viene in mente nulla che mi piaccia veramente, debbo iscrivermi da qualche parte, non importa dove ... tanto sarò in ogni caso insoddisfatto”. Obiettivi: incremento dell’autodeterminazione; individuazione di opzioni promettenti. Approfondimenti effettuati: analisi dell’autodeterminazione; dell’autoefficacia decisionale; della percezione di ostacoli e barriere; delle “funzioni lavorative promettenti”. Strumenti utilizzati: “Questionario sull’autodeterminazione” (Soresi, Nota, e Ferrari, 2004), “Quanta fiducia ho in me?”, per l’analisi dell’autoefficacia decisionale (Soresi e Nota, 2003c); “Supporti sociali e Barriere” (Lent et al., 2002; 2003) per l’analisi di ostacoli e barriere; le carte delle professioni per l’analisi delle“funzioni lavorative” maggiormente promettenti. Tecniche: colloqui non direttivi, short card, compiti per casa. Caso n. 2 – “Mi piacerebbe molto studiare filosofia...è l’unica materia che a scuola mi interessava...ma a casa, e anche i miei amici, mi chiedono dopo cosa me ne potrò fare di una laurea in filosofia, che con la filosofia non si ingrassa! Certo che se studiassi economia come i miei vorrebbero...potrei lavorare nell’azienda di mio padre, ma...” Queste riflessioni appartengono ad uno studente che aveva da poco ultimato la frequenza di un liceo classico con esiti sufficienti. Obiettivi: aumento delle conoscenze a proposito delle probabilità di inserimento professionale; incremento dell’autodeterminazione e dell’assertività; riduzione del conflitto familiare. Approfondimenti effettuati: analisi dell’autodeterminazione; dell’autoefficacia nei confronti dell’apprendimento di contenuti di tipo economico, dei tassi di occupazione associati a laureati provenienti da facoltà diverse e dell’esistenza di una debole relazione tra il tipo di laurea posseduta ed occupazione, abilità sociali ed assertività. Strumenti utilizzati: “Questionario sull’autodeterminazione” (Soresi, Nota, e Ferrari, 2004); subtest relativo all’autoefficacia del 188 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO questionario “Il mio lavoro futuro” (Soresi e Nota, 2003b); dati di Alma Laurea a proposito dell’inserimento lavorativo dei laureati; “Come mi comporto con gli altri” (Soresi e Nota, 2003d) per l’analisi delle abilità sociali e dell’assertività. Tecniche: colloqui non direttivi, short card, role-play assessment, sessioni di training assertivo, coinvolgimento dei familiari, compiti per casa. Caso n. 3 – “Della scuola non ne voglio più sapere...mi hanno detto che lo studio non fa per me e che è meglio che vada a lavorare!” Si tratta di uno studente di terza media, con insuccessi scolastici, proveniente da un ambiente socioculturamente svantaggiato. Obiettivi: aumento della consapevolezza che qualsiasi tipo di inserimento professionale richiede l’assolvimento dell’obbligo formativo; incremento della capacità di individuare i fattori distali e prossimali dell’autoefficacia, della capacità di ricercare attivamente un lavoro, degli aspetti associabili ad un lavoro soddisfacente. Approfondimenti effettuati: analisi dell’apprendimento scolastico, del concetto di studio, lavoro e tempo libero, dell’autoefficacia, della presenza di idee disfunzionali a proposito della scuola e del lavoro, analisi delle barriere personali e sociali, dei valori e degli interessi professionali. Strumenti utilizzati: “Abilità di comprensione di testi umanistici e scientifici” e “Abilità matematiche” (Soresi e Nota, 2003e) per l’analisi dell’apprendimento scolastico; “Io, la scuola e lo studio” (Soresi e Nota, 2003e) per l’accertamento delle strategie di studio; “Strumenti per il futuro” (Chaves et al, 2004; Nota et al., 2005) per l’analisi del concetto di lavoro, di studio e di tempo libero; “Pensieri sul mio futuro” (Soresi, Nota e Ferrari, in press) per l’analisi della presenza di idee disfunzionali e irrazionali; “Supporti sociali e Barriere” (Lent et al., 2002; 2003) per l’analisi della percezione di supporti e barriere; “I miei valori professionali” (Soresi e Nota, 2001) e “Il mio lavoro futuro” (Soresi e Nota, 2001) per l’approfondimento dei valori e degli interessi professionali. Tecniche: colloqui non direttivi, analisi di resoconti a proposito della formazione di lavoratori soddisfatti e non soddisfatti, coinvolgimento di familiari ed insegnanti. 189 Obiettivi e strumenti CAPITOLO 5 Obiettivi e strumenti Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento In presenza di situazioni analoghe a quelle qui presentate agli orientatori si presenta un ampio ventaglio di possibilità che potrebbero andare, come suggerisce Savickas (2002), dall’aiutare i clienti a diventare le persone che vorrebbero essere, più che incoraggiarli a seguire un “continuum lineare di compiti evolutivi”, ad accettare l’incertezza e l’incoerenza tipiche del mondo del lavoro e ad essere positivi anche di fronte a tali incertezze. Come suggerisce Crow (2001) potrebbe anche essere utile aiutare le persone a scoprire i motivi delle decisioni o dei loro progetti di carriera facendo sì che si attivino nuove percezioni in grado di incrementare la flessibilità ed adattabilità. Si tratterà, in ogni caso, di focalizzarsi sulle differenze e sulle specificità delle persone e delle situazioni in quanto: 1. in alcuni casi, si dovrebbe puntare essenzialmente all’ampliamento della gamma delle attività lavorative da considerare senza alterazioni dovute a distorsioni cognitive e a visioni stereotipate delle professioni2; 2. in altri, all’identificazione, differenziazione e superamento, nel limite del possibile, degli ostacoli e le barriere, che possono impedire l’implementazione dell’opzione preferita (gli ostacoli e le barriere sono superabili? A quali condizioni, tramite quali alleanze e a quali costi?)3; 3. in altri ancora alla modifica di inadeguate credenze di efficacia ed aspettative di risultato che possono impedire la realizzazione della scelta maggiormente preferita4; 4. con altri si dovrebbero indagare le opzioni già scartate e i motivi che hanno determinato il loro rigetto (come mai alcune opzioni risultano poco interessanti? Sono state valutate con attenzione le esperienze compiute e le opinioni nutrite a loro proposito? Quali, quante e a quali condizioni potrebbero essere recuperate?); 5. in presenza di altri clienti l’obiettivo fondamentale da perseguire 2 Utile il ricorso al mazzo delle carte facendo riferimento a diverse modalità: a) Professioni considerate “Interessanti”, “Non interessanti”, Così-Così”. b) Analisi delle professioni “Promettenti” e “Non promettenti”(Come potrebbero essere raggruppate?, Cosa hanno in comune i diversi raggruppamenti?) Quali potrebbero essere considerate “Professioni conosciute” e “Professioni non conosciute?” c) Controllo della conoscenza delle professioni tramite richiesta di descrivere funzioni e compiti lavorativi, ambienti lavorativi, orari, conoscenze, reddito annuo medio, ecc., e confronto con i dati a disposizione dell’operatore (riportati nel retro della carta). Compiti per casa: job analysis ed interviste. 3 Spesso a questo riguardo è necessario coinvolgere terzi significativi. 4 Potrebbe essere utile indagare le fonti distali e prossimali dell’autoefficacia. 190 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO potrebbe riguardare l’insegnare a trasformare i propri interessi, i propri valori, le proprie difficoltà in obiettivi formativi e professionali; 6. infine con altro potrebbe essere utile il riuscire a spiegare e a far comprendere, al fine di decidere il da farsi, la presenza delle discrepanze, delle differenze, delle “contraddizioni” (ad esempio la discrepanza esistente tra l’autoefficacia e le aspettative di risultato; tra il bilancio delle competenze acquisite e dell’apprendimento, gli interessi e i valori professionali; tra le auto ed eterovalutazioni). Il perseguimento di obiettivi come quelli riassunti a titolo esemplificativo richiede, innanzitutto, approfondimenti specifici. Come suggeriscono Leong e Barak (2001) quando le difficoltà si riferiscono a superficialità e difficoltà decisionali può essere utile accertare se la persona in questione: • conosce procedure da seguire per accertare se la decisione che sta per assumere sarà più o meno adeguata; • è disposta a spendere risorse (tempo, energia, denaro) sufficienti per prendere una decisione ponderata a proposito del proprio futuro; • è disposta ad essere onesta con se stessa quando sarà chiamata a precisare i propri punti di forza e di debolezza; • è disposta ad affrontare ostacoli, barriere e possibili conflitti; • constatando di aver bisogno di aiuti sa a chi rivolgersi, dove ricercarli ed ottenerli; • è pronta ad assumersi la responsabilità della decisione che sarà chiamata a prendere; • è pronta ad analizzare le convinzioni che nutre a proposito del lavoro e della formazione ed, eventualmente, i suoi pensieri disfunzionali o le sue idee irrazionali come, ad esempio, le aspettative non realistiche, l’idea che esista “un’occupazione perfetta”, oppure che “l’orientatore troverà e indicherà sicuramente quella adatta e che basterà starlo a sentire”; • è in grado di procedere nell’analisi delle sue opzioni tramite l’individuazione di aspetti ritenuti rilevanti, la loro gerarchizzazione sulla base dell’importanza ad essi attribuibili, tramite operazioni di confronto delle diverse possibilità eliminando quelle marcatamente incompatibili con le sue aspettative di successo e soddisfazione. In molte di queste situazioni risulterà importante, inoltre, puntare intenzionalmente all’incremento delle capacità e all’ampliamento degli interessi. Per quanto concerne l’intervento nei casi difficili di orientamento si tratta essenzialmente di proporre sessioni di apprendimento nel corso delle quali il consulente funge da insegnante che, ad esempio, “fa vedere”, se necessario e se rientra negli obiettivi specifici di quel particolare caso, come si implementa una decisione, come si può aumen191 Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento CAPITOLO 5 Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento tare la possibilità di realizzazione dell’alternativa più promettente o di quelle considerabili “di riserva” in quanto frutto di negoziazioni e compromessi. A questo proposito, infatti, sebbene non siano disponibili in letteratura molti dati longitudinali indicanti che i clienti che utilizzano i servizi di orientamento presentano maggiori livelli di soddisfazione lavorativa, di performance lavorativa e di soddisfazione a proposito della qualità della loro esistenza, è molto probabile, come ricorda Walsh (2003) che le iniziative di orientamento che vengono realizzate senza la guida di un professionista esperto sono generalmente poco efficaci e che quelle altamente strutturate, soprattutto quando si realizzano in contesti di gruppo, tramite laboratori e gruppi di discussione, risultano decisamente più efficaci di quelli non strutturati e non adeguatamente programmati. Sempre a questo proposito la supercitata ricerca di Brown e Krane (2000) sull’efficacia dell’orientamento, indica chiaramente che l’incisività degli interventi in materia di scelta aumenta significativamente quando si includono: 1. esercizi e compiti scritti; 2. attenzione individualizzate e feedback; 3. esplorazione delle informazioni occupazionali durante il counseling e con la supervisione di un esperto di orientamento; 4. modeling; 5. la creazione di reti di supporto. Tutto questo, inoltre, deve avvenire all’interno di una relazione di consulenza che fa registrare un’alleanza tra consulente e cliente e questo non può che realizzarsi in contesti personalizzati dal momento che richiede la presenza di accordi massicci tra il cliente e il consulente a proposito degli obiettivi dell’intervento e dei compiti da eseguire per il loro raggiungimento. In molte di queste situazioni risulta importante, inoltre, puntare intenzionalmente all’incremento delle capacità possedute e all’ampliamento degli interessi in quanto, se ci si dovesse ridurre a rinforzare le decisioni di molti nostri clienti/utenti considerando solamente le caratteristiche esistenti, il loro futuro difficilmente potrebbe essere percepito con fiducia e colorarsi di speranze. A proposito degli interessi, tra l’altro, è opportuno ricordare che ciò che emerge dalla stragrande maggioranza degli inventari disponibili non considera necessariamente l’esperienza di fatto maturata da molti dei nostri clienti che si accingono a compiere una scelta professionale in quando essi non possiedono un’esperienza diretta delle attività che vengono presentate. Forse è proprio questa mancanza di esperienza a rendere alcune persone “indifferenti” alle stesse attività e a non far emergere interessi professionali alternativi. Gli orien192 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO tatori, da questo punto di vista, al fine di massimizzare le capacità e possibilità di scelta, dovrebbero essere in grado di aiutare i clienti ad analizzare nuove attività e sviluppare nuovi interessi piuttosto che dirigerli verso i campi in cui hanno già avuto, e spesso frustrante, esperienza diretta. Si tratta, in altre parole, di incoraggiarle ad agire, a non accontentarsi. Se un tempo il ruolo degli orientatori poteva ridursi al fornire prognosi e di diagnosi, si ritiene oggi sempre più frequentemente opportuno che questi professionisti stimolino le persone a riflettere su come si sentiranno in quel determinato posto di lavoro, come reagiranno le loro famiglie e i loro amici di fronte alla scelta che compiranno, cosa potranno fare per la propria soddisfazione e realizzazione nel malaugurato caso che si dovessero trovare a svolgere un lavoro ritenuto scarsamente attraente. L’orientamento si trova pertanto e si troverà sempre più spesso a dover accettare nuove sfide, a dover facilitare l’apprendimento di nuove abilità, interessi, credenze, valori, abitudini lavorative e qualità personali che consentano ad ogni cliente di costruire una vita soddisfacente all’interno di un ambiente di lavoro in costante cambiamento (Mitchell e Krumboltz, 1996; Nota e Soresi, 2004c). I professionisti dell’orientamento vengono così chiamati a manifestare le proprie competenze psico-educative e sociali nel convincimento che i risultati degli strumenti diagnostici che hanno utilizzato rappresentano non solo i risultati del passato ma anche il punto di partenza per l’avvio di nuove esperienze e di nuovi apprendimenti. Sebbene le storie dei nostri clienti possano, in altri termini, apparire “già scritte” e sebbene le loro conclusioni possano tutto sommato essere facilmente previste, i professionisti dell’orientamento dovrebbero e potrebbero operare in favore di evoluzioni non così marcatamente lineari e determinate. L’operare affinché “cambino” le conclusioni di storie già scritte, di quelle improntate soprattutto a svantaggi e disagi consistenti, dovrebbe agire affinché si possano realizzare sviluppi e miglioramenti significativi, anche se poco probabili e difficilmente prevedibili. Questo rappresenta la sfida più interessante e rilevante che l’orientamento dovrebbe stimolare ed accettare. In tale ottica ai costrutti della soddisfazione e della qualità della vita dovrebbe essere attribuito un ruolo centrale nel rispetto, tuttavia, dell’enorme variabilità che a questo riguardo persone diverse possono manifestare e nel convincimento che i criteri di soddisfazione possono essere contesto-dipendenti e variare nel corso del tempo. Abbiamo bisogno, in ogni caso, di strumenti ed interventi diversi da quelli tradizionali e passare dalla tendenza a circoscrivere e valutare le esperienze già maturate alla predisposizione di condizioni di facilitazio193 Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento CAPITOLO 5 Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento ne di nuovi apprendimenti e nuove e esperienze di successo e soddisfazione. Questi cambiamenti dovrebbero riguardare anche il nostro modo usuale di concepire le attitudini e gli interessi e condurci ad enfatizzare sempre più la loro modificabilità (Lent, Brown & Hackett, 1994) e a dare particolari attenzioni alle “rappresentazioni personali e soggettive” che del lavoro e della formazione i nostri clienti posseggono. A volte queste, come ci ha insegnato Krumboltz (1992, 1994), possono essere errate e derivare direttamente da stereotipi e pregiudizi influenzando negativamente i processi di scelta e di sviluppo professionale. Alcuni nostri clienti, ad esempio, ritengono che le conseguenze di un fallimento siano definitive e disastrose e che, pertanto, si debbano evitare limitando drasticamente le aspirazioni e le aspettative; altri potrebbero essere fermamente convinti che “non è ciò che conosciamo, ma chi conosciamo” ad essere importante e, proprio per questo, si trovano ad aver diretto i propri sforzi soprattutto verso la ricerca di contatti più che nella direzione dell’incremento delle proprie abilità. Anche queste opinioni, queste “idee irrazionali” e pensieri disfuzionali, sono frutto di apprendimento e possono, proprio per questo, essere cambiate grazie a nuovi ed “antagonisti” apprendimenti ed insegnamenti. Invece di dare dei consigli o suggerimenti (quando qualcuno ci da un consiglio o un suggerimento, difficilmente lo seguiamo), Crow (2001) raccomanda di porre delle domande in modo che siano soprattutto i clienti a cercare e fornire risposte (invece di chiedere “Ha mai pensato di fare XYZ?” potremmo chiedere: “Che cosa succederebbe se facesse XYZ?” oppure “La sua vita sarebbe in qualche modo diversa se facesse XYZ”?) e Conger suggerisce (2002) di cercare di massimizzare la flessibilità e le capacità di apprendimento, lasciandosi alle spalle l’idea dell’anticipabilità e dell’equilibrio. Tutto questo assume oggi connotazioni ancor più marcate in quanto il mondo del lavoro appare sempre più variegato, dinamico, in continua evoluzione richiedendo capacità di adattamento, di cambiamento di flessibilità ed auto-imprenditorialità particolarmente accentuate (Soresi, 2004). Di conseguenza già in questi anni, ma in modo sicuramente più frequente in quelli futuri, gli individui saranno chiamati a realizzare, nel corso della loro vita professionale, un numero elevato di transizioni e a compiere, più volte, scelte e decisioni di carriera. Queste decisioni, inoltre, avranno implicazioni diverse anche a carico di altri importanti aspetti della vita, quale quello della selezione delle competenze che si acquisiranno nelle relazioni interpersonali che saranno sperimentate, nelle attività di tempo libero che verranno praticate e così via. Oggi, a mio avviso, non si tratta più di decidere se insegnare o me194 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO no il decision making quanto, piuttosto, di scegliere con attenzione, in relazione alle proprie competenze e finalità professionali e alle caratteristiche dei diversi destinatari, a quale programma ispirarsi per massimizzare gli effetti positivi di un programma di orientamento. Questi dovrebbero ispirarsi sempre più ad una serie importante di principi di facilitazione dell’apprendimento e puntare a: a) stimolare la partecipazione attiva degli utenti facendoli esercitare, chiedendo loro di proporre situazioni personali e di esprimersi a proposito del loro gradimento per quanto viene loro proposto; b) cercare alleati e supporti tra colleghi, genitori e supervisori; c) programmare in modo sufficientemente dettagliato la consulenza, l’insegnamento e le diverse sessioni di orientamento in quanto solamente ciò che si sarà previsto potrà essere modificato, solamente ciò che si sarà deciso ed enfatizzato potrà essere oggetto di verifica ed eventualmente cambiato; d) prevedere obiettivi “concatenati” e a “difficoltà crescente”, procedendo gradatamente dal più semplice al più complesso: si può, ad esempio, iniziare con l’analizzare le differenze che esistono tra due persone con le quali non si hanno rapporti particolari (tra due calciatori che ricoprono ruoli diversi, tra due personaggi famosi, tra due professioni, ecc.) e procedere poi a considerare le “differenze” che si costata in noi stessi al variare “del dove”, “del quando” e “del con chi”, mettendo in evidenza che ognuno, oltre ad essere diverso dagli altri, è anche diverso da se stesso al variare dei contesti in cui si trova inserito e dei compiti e dell’attività che di volta in volta si è chiamati a svolgere; e) ricordare e rispettare il principio dell’etereogeneità, ovvero che ciò che può essere adeguato per uno non necessariamente lo sarà anche per un altro, che tutti, e pertanto anche i nostri clienti, hanno il diritto di compiere “errori diversi”, di valutare diversamente il proprio e il nostro operato, di nutrire preferenze diverse, di aspirare al raggiungimento di traguardi “personalizzati” e “personalizzanti”. Considerazioni conclusive Come si sarà intuito le “cose” da farsi in presenza di “casi difficili” di orientamento sono molte, come, d’altra parte, sono copiosi i suggerimenti che a questo riguardo possono essere desunti dalla letteratura. Ci si dovrebbe ovviamente augurare che queste persone non cadano nelle mani di operatori con scarsa formazione, che hanno fretta di concludere, o ad avere a che fare con servizi ed agenzie poco autenticamente interessate alle persone maggiormente a rischio e quindi ad essere orien195 Alcuni suggerimenti e spunti per gli interventi di orientamento CAPITOLO 5 Considerazioni conclusive tate verso lavori poco attraenti e per di più mal pagati. Le cattive pratiche sono purtroppo numerose (Messeri, 2005), così come le improvvisazioni e l’assenza di operazioni rigorose di valutazione dell’efficacia dell’orientamento: è giunto forse il momento che i professionisti dell’orientamento si facciano sentire, che dichiarino da che parte essi effettivamente stanno, che si diano da fare, come suggerisce la Società Italiana per l’Orientamento, affinché un codice deontologico anche in questa materia venga effettivamente rispettato. I finanziamenti per l’orientamento diminuiranno...l’Europa sarà in futuro meno generosa con noi... mi auguro solamente che questo possa contribuire alla fuori uscita dal mercato di quegli enti e di quei progetti che, di fatto, oltre a strumentalizzare e sfruttare l’orientamento, non producono nulla di rilevante in favore delle persone e di quelle maggiormente bisognose di interventi personalizzati ed efficaci. Riferimenti bibliografici Blustein, D.L. (2001). 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Così la dimensione del coping è sempre più presente nelle attività di orientamento: nei programmi di sostegno alle transizioni di lavoro, nelle pratiche di valutazione psicologica e di career counseling, all’interno di percorsi di coaching, nelle azioni di supporto tese a facilitare i processi di scelta verso un migliore benessere. Tale crescente interesse per il tema del coping si pone in linea di continuità con un trend degli studi che attribuisce sempre più centralità a modelli fondati sul benessere e sulla salute: in questa direzione può essere letta l’attenzione diffusa verso il tema dell’ottimismo, e delle emozioni positive (Lazarus, 2000; Folkman, Moskowitz, 2000). Alla base degli studi sul coping vi è l’idea che il comportamento sia funzione dell’interazione tra persona ed ambiente, una relazione dinamica e reciproca. In questo senso il coping, come dimensione di confine tra il sé e il mondo esterno, indicativo della relazione con il contesto di riferimento, acquista sempre più rilevanza nell’orientamento nella misura in cui si pone come variabile significativa di conoscenza di sé e degli altri, dinamica e variabile, complessa e multidimensionale, influenzata da un intreccio complesso di fattori cognitivi, emotivi e contestuali. Mettere meglio a fuoco questo intreccio e individuare puntualmente le variabili che concorrono di volta in volta nel processo può aiutare le persone a prendere posizione o a riposizionarsi, in maniera duttile e flessibile, rispetto a una decisione o a un evento senza cristallizzarsi dietro posizioni rigide e precostituite (Grimaldi, 2003). Ma se, da un lato, complessità e multidimensionalità del costrutto determinano interesse scientifico e sollecitudine applicativa, dall’altro, è proprio la stessa complessità, dinamicità e multidimensionalità del costrutto a rendere problematica la costruzione di strumenti attendibili e validi. Il ricorso alle strategie di coping varia tra le persone, ma anche nel- 1 200 Collaboratrice Isfol Area Politiche per l’Orientamento. MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO la stessa persona in differenti situazioni. Si pone dunque fortemente la questione se sia possibile ottenere misure generali di coping o se esso sia per natura specifico: in questo senso sono state individuate sia misure generali, ovvero strumenti utilizzabili per diversi tipi di agenti stressanti (Frydenberg, 1997), sia misure specifiche, ovvero strumenti relativi al variare delle strategie di coping nei diversi contesti e tra i differenti agenti stressanti (Behson, 2002). Un’ulteriore difficoltà si incontra per quanto riguarda l’adattività delle azioni di coping: essa è infatti non invariabilmente attribuibile al ricorso ad uno specifico pattern di strategie. Se, in linea generale, si conviene su una maggiore adattività delle strategie problem-focused rispetto a quelle emotion-focused, l’effettivo significato adattivo non può che essere stabilito in relazione al contesto e alla situazione e comunque non può prescindere dall’osservazione di alcuni forti indicatori come il benessere personale, l’autostima, la risoluzione del conflitto, la riduzione dello stress. A fronte di tali difficoltà, si rende sempre più urgente la necessità di poter disporre di strumenti sul coping validati e standardizzati. L’Isfol, all’interno del progetto di orientamento, ha così avviato un filone di studi sul coping, nell’ambito del quale uno dei lavori fondanti è stata la costruzione e la validazione di uno strumento “Io di fronte alle situazioni” per l’esplorazione delle strategie di coping nei giovani (Grimaldi, Ghislieri, 2004). Le soddisfacenti caratteristiche psicometriche di tale strumento e la consapevolezza dell’utilità di poter disporre di un analogo strumento sugli stili di coping per soggetti adulti ci hanno indotto a proseguire su questa strada mettendo a punto una versione per adulti del questionario “Io di fronte alle situazioni”. Lo strumento, in linea con quello pensato per i giovani, è destinato a un pubblico di soggetti adulti, 26-55 anni, che si trovano ad affrontare un qualche tipo di transizione e che possono quindi avvertire l’esigenza di intraprendere un percorso di consulenza orientativa. (Grimaldi, et al. 2004; Rossi et al. 2004). Un’indagine preliminare, condotta su un campione di soggetti adulti, volta ad esplorare le situazioni critiche e le principali modalità di fronteggiamento, ha evidenziato che, in generale, le situazioni di lavoro risultano, forse perché più conflittuali, più facilmente individuabili , e quindi, sono state numericamente maggiori e più varie sia per tipologia sia per strategie di fronteggiamento ad esse associate. Per questo motivo e, insieme, al fine di costruire uno strumento per adulti specificamente volto ad un uso orientativo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione solo sul contesto lavorativo. 201 “Io di fronte alle situazioni di lavoro”: uno strumento sulle strategie di coping CAPITOLO 5 “Io di fronte alle situazioni di lavoro”: uno strumento sulle strategie di coping IO DI FRONTE ALLE SITUAZIONI DI LAVORO: lo strumento Isfol2 Il percorso che ci ha portati alla versione attuale del questionario è cadenzato da alcuni passaggi: una prima fase di ricerca qualitativa, realizzata attraverso la conduzione di un centinaio di interviste, finalizzata alla raccolta di situazioni ed episodi legati alla vita adulta, ci ha consentito di individuare situazioni reali, ricorrenti e salienti per definire un primo inventario di item cui fare ricorso per la messa a punto del questionario. Una seconda fase, pilota, dove una prima versione del questionario è stata somministrata ad un campione di 174 soggetti ci ha consentito, previa verifica delle caratteristiche psicometriche, di arrivare alla seconda versione del questionario. Una terza fase, conclusiva, dove il questionario, nella sua seconda versione, è stato somministrato a un campione nazionale di 1548 soggetti, di cui il 51% donne e il 49% uomini, di età compresa tra 26 e 55 anni, rappresentativo di differenti aree professionali e di differenti aree geografiche. L’analisi dei dati, che ha portato alla versione attuale del questionario, ha previsto differenti passaggi. In particolare, dopo un primo momento di valutazione e selezione degli item, si è proceduto all’analisi delle Componenti principali, all’analisi di attendibilità ed infine al calcolo dei punteggi Stanine. L’Analisi delle Componenti Principali (rotazione obliqua promax), ha consentito di individuare tre fattori distinti capaci di spiegare il 34% della varianza totale. Gli item, come emerso dall’analisi fattoriale, sono raggruppati in tre diverse sottoscale: • la prima, analisi e valutazione della situazione e ricerca di supporto sociale, composta da 16 item, (coefficiente Alpha .84), identifica una modalità di fronteggiamento attiva che comporta azioni finalizzate alla risoluzione del problema, anche attraverso la ricerca di un sostegno da parte di altri (amici, conoscenti, familiari, professionisti…); Esempio: Alcuni colleghi non perdono occasione per svalutare il mio lavoro di fronte al capo… … cerco un’occasione per chiarire con loro il perché Mai Esempio: Ho cambiato lavoro e mi trovo in difficoltà… … chiedo aiuto ai colleghi per avere informazioni e chiarimenti Mai Sempre 12345 Sempre 12345 2 Hanno collaborato alla realizzazione, Anna Grimaldi, responsabile del progetto, Antonietta Maiorano, Sabrina Marciano, Giuseppa Montalbano, Rita Porcelli per l’Isfol; Simona Capello, Alessia Rossi e Alessia Zuzio per Polis 2000 e Chiara Ghislieri, Monica Reynaudo, Simona Ricotta per L’Università Degli Studi di Torino. 202 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO • la seconda, autocolpevolizzazione/autocritica, composta da 11 item, (coefficiente Alpha .81), identifica una difficoltà a fronteggiare la situazione, connessa alla credenza da parte del soggetto di non essere capace di agire in maniera risolutiva; Esempio: Ho alcune difficoltà con il gruppo di lavoro… … mi sento poco capace di stare con gli altri Mai Esempio: In un progetto in cui sono coinvolto c’è un visibile problema di organizzazione… … temo che in parte sia colpa mia Mai Sempre 12345 Sempre 12345 • la terza, evasione/evitamento, composta da 9 item, (coefficiente Alpha .75), identifica una tendenza a fuggire dalla situazione, attraverso comportamenti di tipo sostitutivo o consolatorio oppure attraverso azioni di netto rifiuto della situazione stessa…). Esempio: Scopro che l’azienda in cui lavoro è in crisi… … organizzo una gita con gli amici per non pensarci Mai Esempio: Ho un problema di relazioni sul lavoro… … vado in palestra per rilassarmi un pò Mai Sempre 12345 Sempre 12345 “Io di fronte alle situazioni di lavoro”, nella sua versione definitiva, si compone di 36 item relativi a situazioni di lavoro problematiche e ad altrettante 36 modalità di far fronte alla situazione sfidante descritta nell’item stesso. La richiesta è di indicare su una scala a 5 punti (1 mai, 5 sempre) la frequenza con cui la persona reagirebbe nel modo proposto, a quella data situazione. Con la suddivisione degli item in tre scale distinte è stato possibile creare tre indici riassuntivi per ciascuna delle tre dimensioni. Le statistiche descrittive e inferenziali effettuate sui tre fattori hanno evidenziato differenze di genere statisticamente significative. Non si sono invece evidenziate differenze significative tali da poter essere incluse nella costruzione dei profili normativi. Sulla base di tali indicazioni sono state così predisposte due diverse tabelle di conversione dei punteggi grezzi in punteggi stanine (da 1 a 9), una per i maschi e l’altra per le femmine. Il profilo finale di ogni soggetto è quindi dato dalla lettura congiunta di tre diversi punteggi corrispondenti, ognuno, ad una diversa sottoscala: 203 Io di fronte alle situazioni di lavoro: lo strumento Isfol CAPITOLO 5 Io di fronte alle situazioni di lavoro: lo strumento Isfol Analisi e valutazione della situazione (AVS) e ricerca di supporto sociale (RSS) – è una strategia di fronteggiamento attiva e nel caso in cui il problema sia direttamente e consapevolmente preso in carico in prima persona e nel caso in cui il problema si condivida con altri, siano essi esperti, amici o parenti. In ogni caso si tratta di soggetti che si impegnano attivamente per affrontare una situazione anche se esprimono un bisogno di vicinanza e di accettazione dell’interdipendenza. Questi soggetti sono caratterizzati da motivazione alla riuscita e dalla capacità di attivare le proprie risorse cognitive e comportamentali per far fronte agli eventi che si presentano. Ad alti punteggi su questa sottoscala dovrebbero corrispondere bassi punteggi nella scala 3 di Evasione ed Evitamento. Di contro, a bassi punteggi su questa sottoscala dovrebbero corrispondere ad elevati punteggi nella scala 3 di Evasione ed Evitamento. Autocolpevolizzazione / Autocritica (AA) – fa riferimento alla tendenza del soggetto a non affrontare la situazione esprimendo sentimenti di inadeguatezza o incapacità. La persona sente di essere responsabile della difficoltà in cui si trova e pensa di non avere gli strumenti per fronteggiarla in maniera adeguata. I soggetti che hanno un punteggio elevato su questa scala, di fronte alle situazioni difficili, vedono prevalere reazioni emotive e pensieri di natura pessimistica. Si tratta di vissuti negativi rispetto alla propria adeguatezza davanti a compiti difficili o complessi, che possono essere relativi sia alla sensazione di non avere le risorse o le capacità per agire, sia di non poter controllare gli eventi esterni. I soggetti che hanno un punteggio non elevato su questa scala sono, di contro, capaci di reagire positivamente alle situazioni, non provando sconforto o senso di incapacità. Evasione/Evitamento (EE) – è la strategia che implica un consapevole rifiuto del problema che appare impossibile da risolvere: questa è la soluzione di evitamento, per così dire, allo “stato puro”. Fa riferimento alla tendenza ad evitare il problema concentrandosi su di un’attività piacevole, fisica o intellettuale: il rifiuto non è esplicito ma si innesca un’azione sostitutiva e piacevole per la persona. I soggetti che hanno un punteggio elevato su questa scala, di fronte alle situazioni difficili, mettono in atto comportamenti di fuga dalla situazione stessa. Talvolta il rifiuto di affrontare la situazione è esplicito e diretto, talvolta invece il soggetto si impegna in attività che servono a contenere il disagio provato di fronte alla situazione, distraendosi e cercando di restaurare un vissuto emotivo positivo. Punteggi non elevati su questa scala sono invece distintivi di soggetti che raramente evitano di affrontare attivamente situazioni più o meno difficili. A questo profilo dovrebbe accompagnarsi un elevato punteggio di analisi e valutazione della situazione. 204 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO In conclusione lo strumento mostra buone caratteristiche psicometriche, inoltre è semplice, non è diagnostico e piacevole. Tali caratteristiche lo rendono particolarmente fruibile per tutte quelle figure professionali che intervengono nei processi di aiuto alla scelta (consulenti di orientamento, tutor, formatori, ecc) e che sono impegnati a sostenere la persona nell’esplorare le proprie risorse interne ed esterne. Va sottolineato, a questo proposito che il questionario nasce come studio di validazione nell’ambito dell’orientamento per cui si considera elettivo l’utilizzo in questo settore, per quanto non va escluso il suo impiego anche in altri ambiti formativi nei quali sia utile conoscere le strategie di coping di soggetti adulti. Riferimenti bibliografici Behson, S. J. (2002). Coping with family-to-work conflict: The role of informal work accommodations to family. Journal of Occupational Health Psychology, 7/4, pp. 324-341. Folkman, S. K., Moskowitz, J.T. (2000). Positive affect and the other side of coping. American Psychologist, 55, pp. 647-654. Frydenberg, E. (1997), Far fronte alle difficoltà. Trad. it. Giunti, OS, Firenze. Grimaldi, A. (2003). Verso un sistema di orientamento. Dossier Orientamento Professionalità, 77, I-VII. Grimaldi, A., Ghislieri, C. ( 2004). Io di fronte alle situazioni. Uno strumento Isfol per l’orientamento, FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Ghislieri, C., Montalbano, G., Porcelli, R. (2004a). L’adulto di fronte alle situazioni di lavoro: un questionario sugli stili di coping. Magellano, V, 23,50-53. Rossi, A., Montalbano, G., Grimaldi, A. (2004b). Coping e vita adulta: un questionario Isfol Osservatorio Isfol, XXV, 6,54-66. Lazarus, R.S. (2000), Toward better research in stress and coping. American Psychologist, 55/6, PP. 665-673. 205 Io di fronte alle situazioni di lavoro: lo strumento Isfol CAPITOLO 5 5.5 “SE CAPITASSE A ME”: UNO STRUMENTO ISFOL SUGLI STILI DI ATTRIBUZIONE CAUSALE di Chiara Ghislieri1 Il contributo presentato, descrive il processo di costruzione di un questionario sugli stili di attribuzione causale (in due sezioni, una per situazioni di successo, una per situazioni di insuccesso), rivolto a giovani in transizione, in uscita dalla scuola secondaria superiore. Il questionario è stato pensato soprattutto come uno strumento da inserire in quei percorsi di orientamento scolastico e professionale, nei quali particolare attenzione è destinata alle dimensioni cognitive (Guichard, Huteau, 2001). La ricerca si inserisce dunque, in un più ampio progetto Isfol coordinato da Anna Grimaldi e finalizzato a mettere a punto un insieme di strumenti validi e attendibili, resi disponibili per azioni orientative attente alla loro coerenza interna, teorica e metodologica. Se la filosofia portante dell’insieme dei “prodotti” del progetto di orientamento Isfol vuole privilegiare, dunque, il metodo, dedicando particolare attenzione agli aspetti di validità e affidabilità degli strumenti messi a punto, a questa prima istanza se ne affianca una non meno importante: quella di garantire al contempo un’elevata utilizzabilità e fruibilità degli strumenti stessi, pensati per essere capaci di rilevare dimensioni importanti nei processi orientativi, e, al contempo, pensati per essere efficaci mezzi di approfondimento e conoscenza, di immediato utilizzo e chiara comprensione. La costruzione del questionario “Se capitasse a me” (articolato in due sezioni: Se capitasse a me – Successi; Se capitasse a me – Insuccessi), realizzata da Isfol in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino2, ha pienamente condiviso tale filosofia, declinandola in un disegno di ricerca articolato e complesso. In particolare le attività di ricerca possono essere ricondotte a tre fasi principali, necessarie per definire lo strumento: • una prima fase, di rassegna bibliografica, ha in realtà rappresentato un accompagnamento trasversale a tutto il processo di messa a punto dello strumento; 1 2 Ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dell’ Università di Torino. Hanno partecipato al progetto: per quanto riguarda Isfol, Andrea Laudadio, Marco Amendola, Keiri Becherelli, Enrica Sabatino (con la supervisione di Anna Grimaldi); per quanto riguarda il Dipartimento di Psicologia: Chiara Ghislieri, Lorenzo Tesio, Stefania Novello, Mara Martini, Paola Gatti, Simona Ricotta, Laura Viada e Chiara Gabba (con la supervisione di Gian Piero Quaglino). Si ringrazia, per la consulenza metodologica, Marco Zuffranieri e Lara Colombo. 206 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO • una seconda fase, di ricerca qualitativa, è stata finalizzata a raccogliere un insieme di situazioni e costruire l’inventario degli item; • una terza fase, di ricerca quantitativa, ha comportato due momenti di pre-test, un momento di somministrazione estesa a un campione nazionale, un momento di somministrazione finale, destinato alla validazione esterna. Data la complessità del processo, l’impegno che ha comportato e la ricchezza dei risultati prodotti, ci soffermeremo qui solo su alcuni passaggi per ciascuna fase, quelli in un certo senso “portanti”, dovendo necessariamente fare una selezione, rinviando a una prossima, più estesa, pubblicazione, il compito di completare il quadro. Di seguito si presenteranno dunque i principali riferimenti teorici considerati, i passaggi cruciali delle fasi di ricerca qualitativa e quantitativa, le caratteristiche psicometriche dei due questionari, così come sono emerse a valle della somministrazione su di un campione nazionale, al fine di descrivere gli strumenti nella loro versione definitiva. Teoria Il costrutto di attribuzione causale si sviluppa all’interno della psicologia sociale e origina dal lavoro di alcuni autori classici (Heider, 1958, Kelley, 1967). L’attribuzione causale è considerata come un costrutto dinamico, un processo che prevede l’interazione tra aspetti cognitivi, emotivi, motivazionali, attivi quando un soggetto si appresta a interpretare le cause di un evento in un particolare ambiente (Kelley, 1967). Rispetto alle situazioni di successo o di insuccesso, le persone tendono a fornire spiegazioni che collocano le cause: • all’interno (impegno o abilità) della persona; • all’esterno (facilità/difficoltà del compito, caso, sostegno/ostacolo da parte di altri) della persona (De Beni, Moè, 1995). Accanto alla dimensione di internalità, è possibile individuare anche aspetti di globalità e stabilità nell’attribuzione causale (Corr, Gray, 1996). Sono “stabili”, ad esempio, le attribuzioni che riconoscono prevalentemente cause interne in termini di abilità (mentre sarebbero “instabili” quando prevalgono cause relative all’impegno, pur se è possibile interrogarsi sulla presenza di una tendenza costante a impegnarsi), oppure cause esterne in termini di difficoltà del compito. La tendenza del singolo a interpretare gli eventi che accadono attorno a lui, rinvia a una sorta di bisogno, di necessità sottostante, di comprensione del mondo e delle sue regole, e in specifico di comprensione della relazione tra se stessi e “l’altro”. L’attribuzione causale sembra inoltre influenzare non solo le reazioni immediate di un individuo di fronte agli eventi ma anche il 207 “Se capitasse a me”: uno strumento Isfol sugli stili di attribuzione causale CAPITOLO 5 Teoria suo comportamento in situazioni future: la comprensione degli stili attributivi è dunque considerata funzionale alla possibilità di fare previsioni rispetto alle tendenze emotive e d’azione del soggetto. La letteratura scientifica più recente conferma l’interesse per la relazione tra gli stili di attribuzione causale e alcune altre dimensioni psicologiche, come gli stili di coping (Grimaldi, Ghislieri, 2004), l’autoefficacia (Gernigon, Delloye, 2003), i comportamenti di Tipo A (Keinan, Tal, 2005). Di particolare rilievo sono quegli studi che cercano di comprendere se e come la prevalenza di determinati stili di attribuzione causale influisca sullo stress (Friedland, Keinan, 1991), sul benessere psicologico (Cheng, Furnham, 2003) e anche, in tono meno “clinico”, sul successo scolastico e professionale. Va inoltre evidenziata la presenza, in letteratura, di lavori di ricerca finalizzati a cogliere gli stili di attribuzione causale in generale, oppure in specifico per alcuni contesti (ad esempio quello lavorativo, Furnham, Sadka, Brewin, 1992). In Italia è disponibile, in commercio, uno strumento validato, il “Questionario di Attribuzione” (De Beni, Moé, 1995), che si concentra in particolare su situazioni di successo e insuccesso che implicano soprattutto il fatto di riuscire o non riuscire a ricordare-apprendere qualcosa. Metodo Il progetto di messa a punto di uno strumento di rilevazione degli stili di attribuzione causale nasce dunque dall’esigenza di porre attenzione a questa dimensione all’interno dei percorsi di orientamento (ma non solo), così come è stato fatto nel corso di un’esperienza sperimentale di Isfol, PassoallaPratica, presentata in questo stesso convegno. Era al contempo importante dare origine a un questionario capace di cogliere gli stili di attribuzione con riferimento a contesti differenti e dunque a esperienze di successo e di insuccesso diverse. Le due sezioni del questionario “Se capitasse a me”, sono dunque state messe a punto a partire da una fase iniziale di ricerca qualitativa (più di 100 interviste) finalizzata a ottenere un inventario di situazioni di successo e di insuccesso con le relative attribuzioni causali, cogliendo la specificità dell’esperienza vissuta dal target di riferimento, e il linguaggio con cui tale esperienza era espressa. Si è dunque proceduto alla realizzazione di interviste strutturate grazie ad uno strumento di intervista molto semplice che ha consentito di costruire un inventario di situazioni di successo e di insuccesso e di relativi pensieri attributivi, facendo riferimento a 4 principali contesti: la scuola, la famiglia, il tempo libero/le amicizie e, infine, il lavoro (solo se la persona aveva avuto esperienze di lavoro). L’inventario è stato costruito sulla base di più di 100 interviste che hanno coinvolto sog208 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO getti di età variabile, tra i 17 e i 25 anni di differenti zone d’Italia (nord, centro e sud). A partire da questi dati sono stati individuati item sia relativi a situazioni di successo, sia relativi a situazioni di insuccesso: ogni item era comprensivo sia della situazione, sia della relativa attribuzione causale, e l’inventario iniziale conteneva, sia per successi, sia per insuccessi, item riferibili3 a 5 possibili modalità attributive (causa esterna compito, fortuna o altri; causa interna abilità o impegno). Sono state realizzate alcune somministrazioni “pilota” (la prima con 117 soggetti, la seconda con 354 soggetti) che hanno consentito di ridimensionare il questionario eliminando prevalentemente gli item con elevata asimmetria o quelli rispetto ai quali i rispondenti, nel corso di un momento qualitativo di scambio con i somministratori, a valle della compilazione, avevano espresso dubbi o evidenziato criticità. È così stato possibile definire due sezioni così composte: • “Se capitasse a me – Successi”, 41 item. • “Se capitasse a me – Insuccessi”, 37 item. Tabella 1 - Esempio di item di successo INDICA SU DI UNA SCALA DA 1 (PER NULLA) A 5 (DEL TUTTO), QUANTO È PROBABILE CHE IN UNA SITUAZIONE SIMILE TU POSSA AVER FORMULATO IL MEDESIMO PENSIERO… Hai vinto una borsa di studio… Pensi che sia tutto merito del tuo impegno 12345 Il questionario è stato somministrato a un campione nazionale di 1818 soggetti (sono stati eliminati alcuni questionari caratterizzati da elevato numero di missing, evidenti response set, …). Tra le principali caratteristiche del campione si segnalano le seguenti: • età media di 18 anni; • distribuzione di genere: 48,7% femmine; 51,3% maschi; • distribuzione per scuola frequentata: 42,2% liceo; 34,8% istituto tecnico; 22,5% istituto professionale; • distribuzione per classe frequentata: 50,9% quarto anno; 49,1% quinto anno; • distribuzione per regione di provenienza: 12,8% Lombardia; 26,1% Piemonte; 26,1% Lazio; 35% Sicilia. I dati raccolti sono stati analizzati (descrittive, asimmetria e curtosi; 3 L’abbinamento tra item e modalità di attribuzione causale è stato realizzato attraverso un lavoro di giudici. 209 Metodo CAPITOLO 5 Metodo correlazioni tra item, analisi fattoriale esplorativa; analisi di affidabilità; anova) per verificare le caratteristiche psicometriche dello strumento. In particolare si è proceduto, sia per la sezione relativa ai successi, sia per quella relativa agli insuccessi, ad un primo momento di analisi descrittive e di valutazione del coefficiente di asimmetria: sono stati eliminati tutti gli item con asimmetria uguale o superiore a 1. Anche l’analisi della mappa di correlazione tra tutti gli item ha consentito di eliminare item caratterizzati da coefficienti di correlazione eccessivamente bassi, rispetto al resto dello strumento. Entrando nello specifico delle due sezioni, per quanto riguarda “Se capitasse a me – Successi”, una volta eliminati gli item sulla base dei criteri precedentemente descritti, si è proceduto ad un’analisi fattoriale esplorativa. In quest’ottica, dunque, si è pervenuti ad identificare come maggiormente soddisfacente una soluzione a 5 fattori che spiegano il 43.2% della varianza (ACP, Promax con normalizzazione di Kaiser). La soluzione fattoriale presenta saturazioni soddisfacenti, come si può vedere dalla tabella 2, e vede confluire: • nel primo fattore, 9 item di attribuzione causale interna all’abilità, per situazioni di successo (alpha .78); • nel secondo fattore, 7 item di attribuzione causale esterna al compito, in situazione di successo (alpha .75); • nel terzo fattore, 6 item di attribuzione causale esterna alla fortuna, in caso di successo (alpha .75); • nel quarto fattore, 4 item di attribuzione causale esterna agli altri, in caso di successo (alpha .61); • nel quinto fattore, 4 item di attribuzione causale interna all’impegno, in caso di successo (alpha .60). Le caratteristiche di affidabilità delle sottoscale individuate, considerato il non elevato numero di item presenti in alcune di esse e l’elevata variabilità dei contesti cui le situazioni sono riferite, risulta soddisfacente. Tabella 2 - Matrice dei modelli(a), Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Promax con normalizzazione di Kaiser. La rotazione ha raggiunto i criteri di convergenza in 6 iterazioni. Componente 1 Successi 3 Sei riuscito/a a migliorare il tuo rendimento scolastico… pensi di avere buone capacità ,711 Successi 23 ,693 210 2 3 4 5 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Metodo segue: Tabella 2 Componente 1 Successi 6 ,689 Successi 1 ,633 Successi 20 ,586 Successi 28 ,568 Successi 11 ,523 Successi 10 ,504 Successi 22 ,501 2 3 4 5 Successi 12 La tua squadra di pallavolo ha vinto il torneo della scuola… pensi che fosse una prova semplice ,693 Successi 24 ,681 Successi 21 ,660 Successi 25 ,629 Successi 9 ,617 Successi 33 ,585 Successi 15 ,551 Successi 30 Hai preso un voto decente ad un esame universitario che non ti piaceva proprio… pensi di avere avuto molta fortuna ,769 Successi 32 ,755 Successi 29 ,731 Successi 17 ,639 Successi 26 ,560 Successi 13 ,466 Successi 27 Hai preso 30 e lode al tuo primo esame universitario… pensi che ti abbia aiutato molto prepararti con i tuoi amici ,834 Successi 19 ,830 Successi 2 ,496 Successi 37 ,428 Successi 39 211 CAPITOLO 5 Metodo segue: Tabella 2 Componente 1 2 3 4 5 Hai migliorato il rapporto con tuo fratello… pensi di esserti impegnato/a per stargli vicino/a ,771 Successi 38 ,730 Successi 35 ,598 Successi 31 ,482 Tabella 3 – Matrice di correlazione di componenti Componente 1 2 3 4 5 1 1,000 -,147 -,141 ,008 ,414 2 -,147 1,000 ,484 ,205 -,082 3 -,141 ,484 1,000 ,268 -,033 4 ,008 ,205 ,268 1,000 ,110 5 ,414 -,082 -,033 ,110 1,000 L’anova evidenzia differenze di genere significative (p < .000) con riferimento al primo fattore (femmine > maschi, F 42.45), al secondo fattore (maschi > femmine, F 23.36) e al quinto fattore (femmine > maschi, F 64.62). Le femmine avrebbero dunque una tendenza maggiore, rispetto ai maschi, a fare attribuzioni causali interne, all’abilità e soprattutto all’impegno, laddove nei maschi sembra essere più evidente la tendenza ad attribuzioni causali esterne. Differenze statisticamente significative, pur se di entità minore, sono emerse anche in funzione della scuola frequentata e della provenienza geografica (ma non della classe frequentata). Questi dati consentono di affermare la capacità dello strumento di discriminare tra popolazioni diverse e suggeriscono la costruzione di tabelle di conversione dei punteggi grezzi in punteggi stanine, distinte per genere. Per quanto riguarda la sezione “Se capitasse a me – Insuccessi”, si è proceduto come nel caso precedente. La soluzione fattoriale più soddisfacente, però, in questo caso, identifica 3 fattori (ACP, Promax con normalizzazione di Kaiser), vedendo confluire in un solo fattore tutti gli item relativi all’attribuzione esterna. I 3 fattori spiegano il 38.3% della varianza: • nel primo fattore confluiscono 6 item di attribuzione causale inter212 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO na all’impegno in caso di insuccesso (alpha .78); • nel secondo fattore confluiscono 8 item di attribuzione causale esterna in caso di insuccesso (alpha .68); • nel terzo fattore confluiscono 7 item di attribuzione causale interna all’abilità in caso di insuccesso (alpha .68). Anche in questo caso, l’affidabilità delle sottoscale è risultata soddisfacente. Tabella 4 - Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Promax con normalizzazione di Kaiser. La rotazione ha raggiunto i criteri di convergenza in 4 iterazioni. Componente 1 2 3 Insuccessi 18 I tuoi voti nell’ultimo mese sono in peggioramento… pensi che sia perché ti stai impegnando poco ,753 Insuccessi 16 ,720 Insuccessi 17 ,712 Insuccessi 26 ,694 Insuccessi 33 ,665 Insuccessi 7 ,588 Insuccessi 2 Un’interrogazione è andata male… pensi che le domande fossero troppo difficili ,622 Insuccessi 24 ,611 Insuccessi 13 ,598 Insuccessi 1 ,583 Insuccessi 22 ,575 Insuccessi 15 ,536 Insuccessi 5 ,528 Insuccessi 30 ,411 Insuccessi 10 Non sei ancora riuscito/a a trovare un lavoro… pensi di non avere le capacità giuste ,692 Insuccessi 11 ,690 Insuccessi 14 ,680 Insuccessi 20 ,660 Insuccessi 9 ,477 Insuccessi 31 ,461 Insuccessi 35 ,436 213 Metodo CAPITOLO 5 Metodo Tabella 5 – Matrice di correlazione di componenti Componente 1 2 3 1 1,000 -,189 ,102 2 -,189 1,000 ,134 3 ,102 ,134 1,000 In questo caso non emergono differenze significative in funzione del genere, mentre emergono differenze statisticamente significative, seppure di non elevata entità, in funzione del tipo di scuola e della provenienza geografica (solo per il secondo fattore emerge anche una minima differenza in funzione della classe frequentata). Ulteriori indicazioni sulle caratteristiche delle scale e sulla relazione tra attribuzione causale e altre dimensioni psicologiche sono fornite dai dati relativi alla validazione esterna4, per la quale sono stati utilizzati i seguenti strumenti (somministrati a un campione di circa 200 soggetti del nord e centro Italia): • Scheda anagrafica; • Se capitasse a me successi; • Se capitasse a me insuccessi; • Autoefficacia scolastica percepita (Caprara, 2001); • Autoefficacia sociale percepita (Caprara, 2001); • Io di fronte alle situazioni (Grimaldi, Ghislieri, 2004); • Questionario di attribuzione (De Beni, Moè, 1995). Conclusioni Il percorso descritto in queste pagine, ha consentito dunque di mettere a punto un questionario sugli stili di attribuzione causale, che risulta convincente sul piano contenutistico e psicometrico. Nella sua versione definitiva, il questionario si articola come segue: • “Se capitasse a me – Successi” è composto da 30 situazioni di successo e relative attribuzioni causali; • “Se capitasse a me – Insuccessi” è composto da 21 situazioni di insuccesso e relative attribuzioni causali. In entrambi i casi ai soggetti è chiesto di rispondere, anche se sembra loro di non essersi mai trovato o trovata in una situazione simile, indicando su di una scala da 1 – per nulla, a 5 – del tutto, quanto è pro4 I risultati dell’analisi dei dati relativa alla fase di validazione esterna saranno presentati in altra sede. 214 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO babile che in quella situazione avrebbe pensato la stessa cosa. Sono state predisposte, per ciascuna sezione del questionario, sia le griglie per il calcolo dei punteggi grezzi, sia le tabelle di conversione da punteggi grezzi a punteggi stanine. Se i risultati relativi al processo di costruzione dello strumento appaiono soddisfacenti, sarà importante “testare” lo strumento in concreti momenti di consulenza orientativa, onde poterne verificare l’utilità percepita dal consulente (in termini di informazione aggiuntiva, oltre il colloquio e gli altri questionari utilizzati) e dall’utente (in termini di restituzione). Indicazioni ulteriori circa la dimensione dell’attribuzione causale e la stabilità dello strumento, potranno essere consolidate attraverso un progetto di ricerca a carattere longitudinale. Riferimenti bibliografici Caprara, G.V. (2001). La valutazione dell’autoefficacia. Erickson, Trento. Cheng, H., Furnham, A. (2003). Attributional style and self-esteem as predictors of psychological well being, Counselling Psychology Quarterly, 16/2, pp. 121-130. Corr, P.J., Gray, J.A. (1996). Structure and validity of the Attributional Style Questionnaire: A cross sample comparaison, Journal of Psychology, 130, pp. 645-657. De Beni, R., Moè, A. (1995). Questionario di attribuzione. OS, Firenze. Friedland, N., Keinan, G. (1991). The effects of stress, ambiguity tolerance, and trait anxiety on the formation of causal relationships, Journal of research in personality, 28, pp. 88-107. Furnham, A., Sadka, V., Brewin, C.R. (1992). The development of an occupational attributional stule questionnaire, Journal of Organisational Behaviour, 13, pp. 27-39. Gerningon, C., Delloye, J.B. (2003). Self-efficacy, causal attribution, and track athletic performance followin unespected success or failure among elite sprinters, Sport Psychologist, 17/1, pp. 55-76. Gimaldi, A., Ghislieri, C. (2004). Io di fronte alle situazioni. FrancoAngeli, Milano. Guichard, J., Huteau, M. (2001), Psicologia dell’orientamento professionale. Trad. it.(2003). Raffaello Cortina, Milano. Heider, F. (1958), The Psicologia delle relazioni interpersonali. Trad. It. (1972). Il Mulino, Bologna. Keinan, G., Tal, S. (2005). The effects of Type A behavior and stress on the attribution of causality, Personality and Individual Differences, 38(2), pp. 403-412. 215 Conclusioni CAPITOLO 5 Kelley, H.H. (1967). Attribution Theory in social Psychology. In D. Levine (Ed), Nebraska Symposium of Motivation (Vol. 15, pp 192238). University of Nebraska Press, Lincoln, NE. 216 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO 5.6 DIMENSIONI DELLA VALUTAZIONE: CRITERI PER LA COSTRUZIONE DI UNO STRUMENTO di Claudio Bezzi1 Premessa Il tema assegnatomi è piuttosto complesso e ampio e il tempo concesso alla comunicazione orale piuttosto breve. Mi scuso per le inevitabili semplificazioni che dovrò fare; anche se in questo testo scritto avrò maggiore possibilità di spiegarmi, limiterò comunque la scrittura facendo riferimento a testi dove le materie affrontate sono dibattute con maggior approfondimento. Alcuni equivoci sulla tecnica valutativa e i suoi strumenti Come scrive Nicoletta Stame, guardando la recente legislazione “l’Italia sembrerebbe il paese di Bengodi della valutazione, salvo poi subito accorgersi che tali leggi [Bassanini, 286/99, ecc.] non sono applicate”2. La valutazione è penetrata nelle abitudini e nel lessico amministrativo italiano e un modulo valutativo non manca in qualunque formulario per progetto a bando, ma sulle conseguenze concrete sul piano della qualità valutativa è lecito avere qualche dubbio3. A fronte di un interesse spesso superficiale o di facciata delle Amministrazioni pubbliche, si contrappone una competenza valutativa sempre più diffusa, ma non particolarmente brillante. In Italia, malgrado la maggiore aspettativa che avevamo una decina di anni fa, la qualità valutativa complessiva (teorica e tecnica) non si è elevata quanto si sarebbe auspicato4. La valutazione si limita spesso all’assemblaggio di alcune tecniche di ricerca, piuttosto semplici e solitamente interpretate in modo piuttosto piatto e banale (ma semmai nobilitate da analisi statistiche sofisticatissime). Ricerche valutative basate su questionariet1 Claudio Bezzi, valutatore, Icrodus Srl. [email protected]. 2 Nicoletta Stame, La valutazione nella P.A., in “Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni”, a cura di Mauro Palumbo, FrancoAngeli, Milano 2000; su questo punto si veda anche il saggio di Giuseppe Mele, La valutazione e la riforma della Pubblica Amministrazione. Gli spazi e le prospettive applicative nell’analisi dell’azione amministrativa, in Mauro Palumbo (a cura di), Valutazione 2000. Esperienze e riflessioni, cit., ancora più severo nel giudizio. 3 Una riflessione completa e condivisibile in pieno in Mita Marra, Alcuni aspetti e problemi della valutazione nella PA, “Rassegna Italiana di Valutazione”, a. VIII, n. 29, 2004. 4 Una riflessione in merito in Claudio Bezzi, Dieci anni di RIV, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 33, 2005. 217 CAPITOLO 5 Alcuni equivoci sulla tecnica valutativa e i suoi strumenti ti improvvisati, su pochi focus group (o presunti tali5), su manciate di oscuri indicatori, sono prodotte in numero che mi appare assolutamente superiore a quelle più articolate e giustificate metodologicamente6. Le ragioni sono molteplici, e mi limito qui a un breve sommario: 1. Una dimenticanza a monte: la teoria. C’è ormai molta produzione di valutazione, in Europa e in Italia, che mostra una corsa verso il tecnicismo: si applica l’equazione “valutazione = tecniche valutative”, ignorando la necessità di una “teoria della tecnica”, che giustifichi ogni scelta operativa che – dato un contesto e un mandato – conduca verso l’espressione del giudizio valutativo. È piuttosto facile avere una controprova empirica di questa affermazione: è sufficiente interrogarsi – leggendo un rapporto valutativo – sulla ragione delle scelte delle diverse tecniche e procedure; quasi di regola manca – nel testo – ogni giustificazione metodologica seria e si salta a pie’ pari dalle descrizioni preliminari di contesto alla presentazione dei risultati, ottenuti in un qualche modo appena accennato. In effetti, negli ultimi anni, appaiono a volte delle cornici giustificative che si rifanno alle teorie più in voga e dibattute al momento (in questi anni in particolare la Realistic Evaluation e la Theory-based Evaluation), ma spesso questi riferimenti teorici sembrano più una concessione al lettore erudito che non una necessità concreta con ricadute empiriche specifiche e dopo tali riferimenti si illustrano pratiche di ricerca sostanzialmente scollegate, quando non in contraddizione, con quanto prima declamato. Non collegare l’approccio empirico a una teoria ha delle ricadute abbastanza serie in tutto il lavoro valutativo; significa infatti che si ritengono neutrali le tecniche, e indifferenti, e non invece sistematicamente soggette a limiti specifici che sono accettabili solo se controllati. Tale “controllo” ha a che fare solo con una conoscenza in merito al tipo di informazione che si rileva in quel modo e alla sua pertinenza entro certi obiettivi cognitivi sostenibili alla luce di finalità più generali, che hanno appunto a che fare con la teoria. Esempio immaginario per capirsi: se utilizzo una determinata matrice multicriteriale costruita a partire da determinati criteri, forse la logica che scaturisce è pertinente con un approccio “realista” (à la Pawson) capace di rivelarmi qualcosa di pertinente sui meccanismi; non so se quello che ho detto – giusto per esemplificare – sia vero o 5 Che i focus group – tecnica peraltro sovrastimata in Italia – siano spesso solo “presunti”, è stato da me discusso in Il Focus group: consideriamone i limiti, “Sociologia e Ricerca Sociale” n. 76/77, 2005. 6 Cfr. Claudio Bezzi, Cosa valutiamo, esattamente?, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 27, 2004. 218 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO no, ma se non sono in grado di stabilire questo genere di connessioni, allora perché avrei scelto di costruire una matrice multicriteriale sulla base di quei determinati criteri, anziché fare i soliti tre focus group? 2. Un equivoco a valle: la metodologia. Conseguentemente si equivocano “metodo”, “metodologia”, “tecniche” e “strumenti”, e i limiti intrinseci in ogni approccio e ogni strumento di ricerca sono ignorati o sottovalutati. Sembra spesso mancare un disegno generale della ricerca valutativa e una cornice giustificativa delle scelte operative. Sembra sfuggire – in una cospicua maggioranza di casi – che le tecniche sono l’ultimo anello di una catena che parte molto più a monte con la definizione di un mandato valutativo, la costruzione di specifiche domande valutative e diverse altre fasi e considerazioni che solo in seguito possono contribuire alla scelta di determinate tecniche e procedure piuttosto di altre7. Ovviamente questa è una conseguenza del punto precedente e ci serve per non lasciare galleggiare la teoria in un vuoto empirico. Fra la teoria e la rilevazione e analisi di informazioni, c’è invece questa necessità di creare dei nessi e ciò costituisce il complesso metodologico. Per illustrare meglio questa continuità propongo una sintesi estrema nella figura sottostante. Livello Livello epistemologico-metodologico metodologico-operativo Disegno1 Disegno2 Livello delle definizioni operative Tecniche • Riflessione sulla conoscibi- • Traduzione del disegno1 in • Scelta delle tecniche che sodlità dell’oggetto di valutazio- un determinato percorso disfano le precondizioni del ne adatto al caso specifico (op- disegno2 (validità, affidabi• Precondizioni necessarie per portunità, coerenza, plausi- lità, …) nel caso specifico, all’avvio della valutazione bilità…) la luce anche dei vincoli strut• Conseguenze operative ed • Definizione specifica delle turali della ricerca etiche, oltre che cognitive, precondizioni e delle conse- • Definizioni operative relative della valutazione guenze, e analisi delle ricadu- alla raccolta e analisi delle • Valutazione della valutabi- te tecniche nella valutazione informazioni lità, metavalutazione, etc. specifica Indipendentemente dal lessico adottato in questa tabella8 si vede abbastanza chiaramente qual è il percorso che qui viene giudicato ottimale: una lettura teorica (dove la “teoria”, come si vede, è legata all’oggetto della valutazione), cui segue una concezione metodologica generale, entro la quale stabilire gli specifici percorsi empirici. 7 Questo è il tema centrale del mio Il disegno della ricerca valutativa, Nuova edizione rivista e aggiornata, FrancoAngeli, Milano 2003 (prima ed. 2001). 8 Ripresa da Claudio Bezzi, Il disegno della ricerca valutativa, cit.7. 219 Alcuni equivoci sulla tecnica valutativa e i suoi strumenti CAPITOLO 5 Alcuni equivoci sulla tecnica valutativa e i suoi strumenti 3. Il risultato: un potenziale operazionismo sterile. Se non si pone attenzione a tali problemi, il risultato è un esercizio tecnico sterile, definibile operazionismo, che produce risultati di maniera, o poco pertinenti, o poco validi, o comunque scollegati dalle reali necessità indicate nel mandato9. Questo ambito problematico ha una grande rilevanza perché investe sia la qualità della valutazione (la sua validità, la sua autorevolezza, la sua credibilità) sia il suo concreto utilizzo (che deve partire dalla sua comprensione da parte dei potenziali utilizzatori per arrivare sino alla credibilità e potenziale condivisione dei giudizi valutativi finali), temi evidentemente a cuore ai valutatori, ma che i valutatori devono sostenere con una maggiore competenza teorico-metodologica. Una nota finale: si suggerisce, da alcune parti, che la valutazione non sia e non debba essere un fatto metodologico e che la valutazione fondata sulla validità delle sue tecniche sia una concezione antiquata, ormai superata da impostazioni e filosofie nuove (quarte generazioni, valutazioni finalizzate all’empowerment, e via discorrendo). Il pluralismo è un dovere valutativo e c’è spazio anche per tali approcci non metodologici o addirittura anti-metodologici10, ma l’opinione di chi scrive è che una valutazione senza riflessione metodologica abbia il valore di una chat, che la valutazione finalizzata all’empowerment sia una meritoria azione politica che non si debba chiamare valutazione e che la “valutazione democratica”11 avrà senso quando sarà apparsa una valutazione fascista o in qualche modo almeno tirannica. L’esplosione degli approcci partecipati, bottom-up, qualitativi, nati da una giusta presa di distanza dall’eccessivo formalismo tecnico, non deve portare alla liquidazione dell’assunto di base che la valutazione è soprattutto una forma di ricerca sociale applicata e che deve pertanto confrontarsi con i problemi anche epistemologici e metodologici della ricerca sociale. 9 Abbiamo precisi riscontri empirici, se solo vogliamo riconoscerli; si veda per esempio quanto scrive, criticamente, Roberto Righetti, Trascurare l’evaluando, “Rassegna Italiana di Valutazione”, n. 27, 2004. 10 Anti-metodologico è p.es. quello noto di Guba e Lincoln, Fourth Generation Evaluation, Sage, Newbury Park, CA., 1989, che ha fatto più proseliti che non valutazioni (per una critica radicale si veda almeno Saville Kushner, The Limits of Constructivism in Evaluation, “Evaluation”, vol. 2, n. 2, 1996); per quanto riguarda la nota empowerment evaluation vale la pena di leggere la stroncatura che ne fanno Michael Quinn Patton e Michael Scriven nella recensione all’ultimo volume di Fettermann (con replica dell’interessato): Toward Distinguishing Empowerment Evaluation and Placing It in a lager Context: Take Two, “American Journal of Evaluation”, Vol. 26, n. 3, pp. 408-417, 2005. 11 Per tutti si veda Floc’hlay Beatrice e Plottu Eric, Democratic Evaluation. From Empowerment Evaluation to Public Decision-Making, “Evaluation”, vol. 4, n. 3, July 1998, parzialmente tradotto come La valutazione democratica delle decisioni pubbliche, “Queste istituzioni”, a. XXVIII, n. 124, 2001. 220 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Elementi teorico-metodologici per la costruzione di uno strumento valutativo Dalla denuncia dell’operazionismo sterile, alla riflessione su un “come si fa” più adeguato, il passo è lungo e complicato. E bisogna ricordare che molti sono gli approcci e le filosofie di fondo che il pluralismo valutativo accoglie; vale a dire: quello che segue riflette la filosofia valutativa dell’Autore, non certo dell’intera comunità dei valutatori. Ogni strumento è innanzitutto un concetto inserito in un “testo” metodologico più ampio. Cosa significa ciò? Occorre vedere ogni strumento non già come serie preordinata di procedure tecniche, ma come operazioni cognitive, integrate, finalizzate a produrre conoscenza. Se decido di costruire un questionario, per esempio, lo faccio perché il formato delle informazioni che il questionario mi produce è conforme sia al mandato valutativo, al contesto, alle diverse necessità organizzative e di budget, etc., sia alla mia capacità operativa e di analisi, sia alla più generale organizzazione e analisi dei dati che ne farò per esprimere un giudizio valutativo conforme al mandato. E nell’ambito di quel questionario compirò numerose scelte tecniche (p.es. in relazione alla strutturazione degli item, al lessico utilizzato per formulare le domande, al campione, etc.), ognuna delle quali è parte dello stesso tipo di ragionamento che, in sintesi, si può formulare col tradizionale “perché?”; perché per esprimere un giudizio valutativo pertinente, valido, etc. etc., ritengo più utile un questionario del tale tipo, somministrato a un tale campione, analizzato poi in qual modo, e così via? Se non si sa rispondere a tali domande, probabilmente si è fatta una cattiva ricerca valutativa; cattiva perché non argomentabile, forse casuale, basata su quel che il valutatore credeva di saper fare (e non già su quello che credeva utile). Si è accennato al questionario a mo’ di esempio, naturalmente; stesso discorso per i focus group, per le interviste, per ogni tecnica econometrica, per approcci sperimentali o presunti tali, e così via enumerando. Il legame fra le operazioni tecniche e le informazioni che si raccolgono è di tipo semiotico, come quello fra indicatori e concetto, tipico della ricerca sociale. Il discorso ci porterebbe troppo lontano, ma ha a che fare, sostanzialmente, con la possibilità/capacità di argomentare ogni scelta che viene compiuta12. “Ogni scelta” significa certamente anche quelle tecniche, quelle che diamo per scontate perché le abbiamo imparate così, così sono scritte nei manuali, così tutte le usano. Queste false certezze metodologiche affliggono in particolare la va12 Personalmente mi sembra illuminante l’equivalenza fra valutazione e argomentazione. Si veda Ville Valovirta, Evaluation Utilization as Argumentation, “Evaluation”, vol 8, n.1, January 2002. 221 CAPITOLO 5 Elementi teoricometodologici per la costruzione di uno strumento valutativo lutazione più formalizzata, quella fondata su approcci macroeconomici, sull’analisi costi-benefici, sull’approccio sperimentale, o comunque su quello che gode di un ampio apparato statistico. Purtroppo a me pare che dietro apparenti formalismi tecnici si nascondono, spesso, scelte poco motivate, errori o difetti o leggerezze sapientemente (o inconsapevolmente?) occultati, banalità dei risultati. Non sempre, ovviamente, ma spesso. E per essere ecumenico dico subito che anche dietro approcci “qualitativi” vedo spesso – in realtà – superficialità teorico-metodologica, inconsistenza empirica, banalità dei risultati e dei giudizi valutativi. Le procedure che legano lo strumento o la tecnica al mandato (a monte) e specialmente al risultato (a valle) non riguardano solo la validità statistica dei dati (che altro non è che un particolare tipo di legame semiotico) ma anche altri aspetti, dalla face validity indicata da Patton13, alle necessità strategiche del contesto, fino alla fondamentale attenzione a quell’apprendimento organizzativo che appare sempre più come la principale vocazione implicita della valutazione. Volendo indicare gli elementi cruciali nella costruzione di una procedura valutativa, di uno strumento valutativo, mi sento di indicarne almeno due: il contesto (con una connotazione antropologica specifica, relativa alla cultura locale, sia essa una cultura “sociale” – di popolazione – o professionale, o organizzativa, etc.) e la necessità della più ampia partecipazione degli stakeholder all’impresa valutativa. Relativamente al contesto occorre ricordare che in un significato sociologicamente rilevante è tornato in auge da qualche anno con la realistic evaluation di Pawson14, approccio ormai ritualmente citato dai più. Nella realistic evaluation il contesto è – scusandomi per la banalizzazione – il luogo dove agiscono quegli importanti “meccanismi” che animano ogni Programma e la cui scoperta e analisi sono il cuore – per Pawson – del mandato valutativo. Anche se non viene detto in modo esplicito sembrano i meccanismi l’elemento essenziale della coppia, ma forse dobbiamo soffermarci con maggiore attenzione proprio su quei contesti che sono, in realtà, substrato sociale, complessità culturale, ambiente linguistico che performa ogni nostra valutazione. Si tratta insomma di avere più attenzione agli aspetti culturali, ad indossare con più convinzione occhiali antropologici, per valorizzare gli elementi culturali che finiscono per determinare la possibilità di individuare i meccanismi, che – di più – stabiliscono cosa siano i meccanismi per quella comunità, come siano interpretati, come realmente agiscano15. 13 Nel celebre Utilization-focused Evaluation, Sage, Beverly Hills, CA, 3rd ed., 1998. 14 In particolare Ray Pawson, Nick Tilley, Realistic Evaluation, Sage, London, 1997. 15 Ho trattato compiutamente di tutto questo dal punto di vista teorico e metodologico nel mio Evaluation Pragmatics, “Evaluation”, in corso di stampa, 2005. 222 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO In secondo luogo la partecipazione. Tale partecipazione non ha alcuna finalità “democratica” o di empowerment, ma costituisce la necessaria risposta metodologica alla coniugazione fra contesto, apprendimento organizzativo e analisi concettuale finalizzata al giudizio valutativo. La partecipazione diventa una necessità metodologica quando si concepisce la valutazione come un procedimento argomentativo (non meramente come sequenza di operazioni tecniche), l’evaluando come una parte del contesto e il contesto come eminentemente linguistico e culturale. A quel punto il valutatore ha bisogno di ri-co-costruire i modelli di evaluando che sono nella testa degli stakeholder, sia per realizzare una valutazione valida per loro (la face validy di Patton), sia per stimolare quell’apprendimento organizzativo che altrimenti non si darebbe. Elementi tecnici finali per la costruzione di strumenti valutativi Con una eccessiva sinteticità, volendo indicare alcuni elementi tecnici finali che – in relazione agli elementi teorico-metodologico sopra accennati – possano portare verso una corretta ed efficace costruzione di “strumenti” valutativi, mi sento di segnalare i seguenti: 1. Evitare l’adesione acritica a qualunque forma di fast thought, la scelta di soluzioni basate sul “si è sempre fatto così!”, la pedante riproposizione di idee manualistiche e scolastiche, la convinta adesione alle mode, specie le più tecnicistiche, specie quelle basate su procedure di una qualche supposta “qualità”. Porsi il dubbio intellettuale e avere un atteggiamento critico costante come abito precipuo del valutatore. Anche negli elementi più tecnici. 2. Non pensare mai che le tecniche risolvano i problemi cognitivi: le tecniche sono protesi, e le dobbiamo utilizzare solo in quanto estensioni della nostra capacità argomentativa; e sono per giunta infide, ognuna con i suoi bravi difetti e limiti che occorre conoscere, salvo produrre errori sistematici (bias) che inficiano i giudizi valutativi finali. 3. Occorre saper scegliere le procedure operative, le soluzioni tecniche, gli strumenti concettuali, più appropriati in ogni singolo caso e quindi occorre conoscere un ventaglio sufficientemente ampio 16 Le tecniche miste (o “triangolazione”) è un esempio interessante di una nuova frontiera metodologica in valutazione che fa sempre più capolino anche in Italia senza una chiara consapevolezza di cosa implichi. Per una rassegna problematica si veda Jennifer C. Greene and Valerie J. Caracelli, eds. (1997), “Advanced in Mixed-Method Evaluation: The Challenger and Benefits of Integrating Diverse Paradigms”, New Directions for Evaluation, 74; in italiano si può leggere Paolo Parra Spiani, Triangolazione e processi valutativi, RIV 24/2001, poi ampliato dall’Autore nel suo Triangolazione e privato sociale. Strategie per la ricerca valutativa, Bonanno editore, Acireale-Roma 2004. 223 Elementi teoricometodologici per la costruzione di uno strumento valutativo CAPITOLO 5 Elementi tecnici finali per la costruzione di strumenti valutativi di tecniche, occorre avere competenze metodologiche abbastanza solide, tanto da poter modificare e adattare quelle procedure operative e saper utilizzare tecniche miste, integrate fra loro16. 4. Attenzione ad alcuni elementi molto comuni, quasi inevitabili, ma sovente oggetto di errori clamorosi; prima di tutti gli “indicatori”: gli indicatori non sono un set di numeri, che ci sembrano belli, scelti fra i pochi che abbiamo a disposizione. Gli indicatori sono complesse costruzioni concettuali che poi possono anche assumere un formato numerico, ma a monte di tutto c’è – ancora una volta – un ragionamento, e non la scelta più o meno casuale di basi numeriche17. 5. Ogni valutazione si situa in un contesto specifico. Il concetto di contesto non fa affatto riferimento a una dimensione geografica circoscritta, ma ad un ambito culturale e sociale: una comunità di pratiche, un’organizzazione, un insieme identificabile di attori sociali accomunati da identità di obiettivi. C’è quindi indubbiamente un contesto specifico nel singolo servizio sociale territoriale, ma c’è il contesto delle politiche sociali nazionali (che raccoglie tutti gli attori interessati direttamente dalla loro definizione, gestione, uso, conseguenze); c’è il contesto “umbro” come c’è il contesto delle politiche del lavoro europee; e così via. Ebbene la valutazione non può essere generico, standardizzato, amorfo assemblaggio di procedure valide ovunque e comunque, ma deve essere “ritagliata”18 su ogni specifico contesto; ma “contesto” – come già ricordato – viene così ad assumere un significato socio-antropologico: la cultura professionale che in quell’organizzazione si esprime; l’agenda delle priorità che quegli stakeholder individuano; le logiche ge17 Gli indicatori non sono (o non sono necessariamente) dei numeri, bensì elementi informativi facilmente operativizzabili (misurabili) che indicano, con un rapporto incerto, semantico (o secondo alcuni Autori, probabilistico), un concetto non altrimenti indagabile; quindi, per esempio, il rossore sul volto è – fra l’altro – un indicatore di timidezza, la professione è – fra l’altro – un indicatore della capacità di spesa di un individuo, come il consumo energetico nazionale è un indicatore del livello medio dei consumi e quindi della ricchezza media nazionale. Una bibliografia minima sugli indicatori (e sulle correlate questioni dei concetti, dimensioni, indici, etc., che brevemente vedremo in questo paragrafo) prenderebbe numerose pagine; mi limito a segnalare Paul F. Lazarsfeld, Dai concetti agli indici empirici, in “L’analisi empirica nelle scienze sociali. I – Dai concetti agli indici empirici”, a cura di R. Boudon e P.F. Lazarsfeld, Il Mulino, Bologna 1969; Alberto Marradi, Concetti e metodi per la ricerca sociale, La Giuntina, Firenze 1987; Alberto Marradi, “Referenti, pensiero e linguaggio: una questione rilevante per gli indicatori”, Sociologia e Ricerca Sociale, n. 43, 1994; Luca Ricolfi, “Sul rapporto di indicazione: l’interpretazione semantica e l’interpretazione sintattica”, Sociologia e Ricerca Sociale, n. 39, 1992; Leonardo Cannavò, Teoria e pratica degli indicatori nella ricerca sociale. 1 – Teorie e problemi della misurazione sociale, Ed. LED, Milano 1999. Per una riflessione specifica sugli indicatori in valutazione si veda invece Mauro Palumbo, Gli indicatori valutativi, “Rassegna Italiana di Valutazione”, a. VII, n. 27, 2003, pp. 107-129. 18 Come ci ricordano esplicitamente Peter Rossi, Howard E. Freeman e Mark W. Lipsey, Evaluation. A systematic approach, 6th ed., Sage, Thousand Oaks, CA., 1999. 224 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO nerali, gli obiettivi e le finalità che in quelle politiche si affermano, nel linguaggio loro proprio. Una valutazione attenta a questa fondamentale dimensione non può che adottare una metodologia specifica, flessibile, capace di rispondere a quelle determinate domande valutative19. 6. Ecco perché non può esserci valutazione efficace senza coinvolgimento degli stakeholder; se guardiamo al contesto e intendiamo costruire domande valutative a partire dalle sue specificità, dobbiamo avere un dialogo non formale con gli attori rilevanti e costruire strumenti con una chiara face validity, perché loro devono capire quello facciamo come valutatori, altrimenti non saranno in grado di compenetrarsi con la valutazione e non sapranno indirizzare il valutatore verso dimensioni concrete, strumenti efficaci, giudizi valutativi utilizzabili. 19 Cfr. Claudio Bezzi, Evaluation Pragmatics, cit. 15. 225 Elementi tecnici finali per la costruzione di strumenti valutativi CAPITOLO 5 5.7 VAL.ORI. UNO STRUMENTO PER LA VALUTAZIONE DELLA CONSULENZA ORIENTATIVA di Rita Porcelli1 Introduzione In questo contributo viene presentato il processo di ricerca con cui si è arrivati alla messa a punto dello strumento per la valutazione della consulenza orientativa Val.Ori. - Isfol.2 In particolare vengono, in primo luogo, proposte alcune riflessioni sul panorama nel quale tale ricerca si inserisce e successivamente, dopo aver presentato l’impianto metodologico, le fasi della ricerca e le caratteristiche dello strumento, saranno discussi alcuni dei risultati emersi dallo studio applicativo realizzato nell’ultima fase della ricerca. È possibile oggi evidenziare lo sviluppo e la diffusione di esperienze di orientamento sempre più ricche e stimolanti a fronte delle quali ritroviamo però ancora l’assenza di un quadro sistematico condiviso ed unitario, sia in termini di modello teorico che di professionalità che in tale campo operano (Grimaldi, 2003a; Pombeni, Gugliemi, 2000). Accanto a questo, uno dei nodi significativi su cui bisognerebbe soffermarsi, è la carenza di un sistema di valutazione affidabile e applicabile nei diversi contesti in cui le azioni di orientamento vengo quotidianamente praticate che aiuterebbe il processo di sistematizzazione delle esperienze favorendone così la loro diffusione. Questa sollecitazione che incontra l’esigenza di legittimare le attività e le azioni realizzate nell’ambito dei servizi alla persona, anche in ragione della necessità di giustificare e rendicontare l’impiego di fondi e finanziamenti pubblici, ha spinto ricercatori e professionisti a ideare e sperimentare ipotesi e percorsi valutativi di servizi e azioni orientative. Ma se la tematica acquisisce una grossa rilevanza e diventa oggetto di strategici investimenti negli ambienti scientifici e di ricerca, negli ambienti operativi rimane una pratica poco diffusa e poco conosciuta, così che raramente gli enti territoriali dichiarano di effettuare procedure valutative fondate e sistematiche, a seguito delle azioni e dei servizi erogati. Ad oggi nell’ambito dei servizi di orientamento italiani (e si fa riferimento qui prevalentemente ai servizi di consulenza orientativa) le ricerche valutative non hanno avuto la necessa1 Collaboratrice Isfol Area politiche per l’Orientamento. Dall’analisi della domanda alla valutazione della consulenza di orientamento. Val.Ori.: uno strumento Isfol. Isfol Editore, Roma. 2 226 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO ria diffusione e ciò probabilmente è adducibile sia a motivazioni culturali dettate dall’assenza, a riguardo, di una consolidata pratica professionale nei nostri servizi, sia a motivazioni tecniche dettate dalle difficoltà insite nella stessa peculiarità di un processo valutativo nell’ambito dei servizi orientativi nonché dalla mancanza di competenze specifiche. È inoltre importante evidenziare che affrontare la valutazione delle attività di orientamento è particolarmente complesso: coinvolge infatti questioni metodologiche, tecniche, procedurali e deontologiche (Bezzi, 2001, 2002; Bresciani, 2000). Inoltre, come sottolinea Fraccaroli (2003), l’oggetto di studio è multiforme in quanto vi sono numerose prospettive dalle quali è possibile condurre una valutazione. Partendo da tali argomentazioni, e nella convinzione che uno degli scopi prioritari di una ricerca valutativa deve riguardare il raggiungimento dei risultati attesi, è stata concepita un’ipotesi di ricerca valutativa partecipata con l’obiettivo di mettere a punto un approccio metodologico (costrutti, indicatori, strumenti) alla valutazione dell’azione di consulenza orientativa specialistica. L’obiettivo generale è quindi quello di fornire un contributo allo sviluppo della cultura della valutazione nel campo dell’orientamento, mettendo a disposizione un prodotto operativo che possa favorire la realizzazione di attività di verifica/monitoraggio delle azioni consulenziali e sostenere così il lavoro degli operatori. L’impianto metodologico della ricerca Obiettivi L’obiettivo generale, contribuire allo sviluppo della valutazione nel campo dell’orientamento, può essere declinato nei seguenti sotto-obiettivi: 1) la messa a punto di un approccio metodologico alla valutazione dell’azione specialistica di orientamento definendo una serie di descrittori/criteri del processo di consulenza; 2) la messa a punto di uno strumento operativo da mettere a disposizione delle strutture territoriali così da favorire e sostenere una verifica e un monitoraggio, costante ed autonomo, delle azioni di consulenza. Fasi della ricerca Sarà ora presentato l’impianto metodologico della ricerca con particolare attenzione ai principi che sottendono tale lavoro e alle fasi di azione, rimandando il lettore, per la parte relativa alla descrizione dettagliata dello strumento e delle procedure di somministrazione e di elaborazione dei punteggi al volume Isfol pubblicato. 227 VAL.ORI. uno strumento per la valutazione della consulenza orientativa CAPITOLO 5 L’impianto metodologico della ricerca Per perseguire il primo obiettivo della ricerca l’équipe di lavoro3 ha realizzato un approfondimento conoscitivo sul tema della consulenza specialistica in orientamento con l’utilizzo di due strumenti fondamentali: 1. il coinvolgimento, attraverso interviste individuali e focus group di testimoni significativi appartenenti a contesti diversi; 2. l’analisi della letteratura. Con il coinvolgimento dei testimoni significativi (sono stati realizzati in particolare due focus group che hanno visto riunire studiosi di tematiche relative all’orientamento, alla formazione, al lavoro più in generale, ecc. e rappresentanti di diverse strutture presenti sul territorio nazionale – CPI e Centri di orientamento pubblici e privati –) si è voluto raggiungere un duplice obiettivo: da un lato condividere l’intera metodologia di ricerca al fine di focalizzare i punti salienti; dall’altro di coinvolgere le strutture che, operando da anni in tale settore, avrebbero potuto fornire un contributo relativo ai punti forza e alle difficoltà operative delle azioni di consulenza orientativa. Le interviste individuali e gli incontri di focus group hanno costituito alcuni dei momenti più arricchenti della ricerca nel suo complesso in quanto hanno fornito l’opportunità di realizzare una comunità di interlocutori che hanno contribuito al dibattito sul tema della valutazione dei servizi di orientamento. Con l’analisi della letteratura si è voluta sistematizzare la conoscenza sulla consulenza orientativa specialistica al fine di rispondere: a. al bisogno di declinare i costrutti teorico-metodologici, presenti in letteratura ed ampiamente condivisi dagli operatori del settore che sono collegati, sul piano operativo, alle azioni diverse di sostegno alla capacità personale di dare senso alla propria storia formativa e lavorativa e di gestire in maniera efficace e consapevole i diversi momenti di transizione; b. all’esigenza di condividere un linguaggio definitorio delle azioni, di mettere a punto standard di riferimento dei servizi, di sperimentare un dispositivo di riconoscimento delle professionalità che è stato già ampiamente dibattuto (Grimaldi, 2003b). Sono stati pertanto approfonditi i contributi di letteratura relativi a metodologie e buone pratiche in materia di consulenza orientativa specialistica; in particolare sono state ricostruite le peculiarità connesse alle azioni di: a) counseling di orientamento; b) counseling di carriera; 3 L’équipe di lavoro, coordinata dalla Dott.ssa Anna Grimaldi, Responsabile dell’area di Ricerca “Politiche per l’Orientamento” dell’Isfol, è composta dalla Dott.ssa Rita Porcelli dell’Isfol, dalla Prof.ssa Maria Luisa Pombeni e dalla Dott.ssa Paola Gremigni del CE.TRANS. 228 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO c) bilancio di competenze. Grazie all’approfondimento delle specificità della consulenza specialistica di orientamento4 che sono state tratte sia dalla rassegna bibliografica che dai contenuti del dibattito con gli interlocutori significativi coinvolti siamo arrivati alla fase di messa a punto del questionario. Tale approfondimento ha, infatti, portato all’individuazione dei criteri generativi in base ai quali sono stati formulati gli items del questionario. In particolare, grazie alla collaborazione di strutture5 presenti su tutto il territorio nazionale impegnate da anni nei servizi di orientamento alla persona, è stata realizzata la raccolta di dati di tipo quali-quantitavo indispensabili per la costruzione del questionario Val.Ori. Isfol (cfr. nota 2). Il Questionario-ISFOL si propone i seguenti obiettivi: a) ricostruire il percorso di consulenza svolto dal cliente con il consulente ed identificare gli obiettivi raggiunti, attraverso l’auto-valutazione del cliente e l’etero-valutazione del consulente; b) valutare il servizio di consulenza di orientamento attraverso l’opinione e il grado di soddisfazione espresso dalle persone che hanno utilizzato questo servizio. Al fine di poter raggiungere questi obiettivi sono stati realizzati due studi: • nel primo il questionario predisposto in due formati destinati al cliente e al consulente è stato somministrato complessivamente a 1344 soggetti, suddivisi in 672 clienti e 672 consulenti provenienti da 42 strutture territoriali. Lo studio si è concluso con la realizzazione delle procedure di verifica della validità e dell’attendibilità; 4 Prima di passare alla descrizione delle procedure operative per la costruzione del questionario Isfol Val.Ori. si vuole condividere la definizione di consulenza specialistica a cui si fa riferimento: un’azione processuale volta all’attivazione di un processo di maturazione che, partendo da una riflessione sulla propria storia formativa e lavorativa, arrivi alla elaborazione di un progetto professionale aderente al contesto di riferimento. 5 In particolare si coglie l’occasione per ringraziare: Gabriella Frassy (Agenzia del Lavoro di Aosta); Elena Gregori (Agenzia Regionale Marche Lavoro); Simona Pezzuoli (CPI di Ascoli Piceno); Daniela Piaggesi e Gianluca Vergari (CPI e la Formazione di Fabriano); Lucia Barbieri (CPI di Macerata); Lilia Pepe e Marini Rita (CPI di Campobasso e Termoli); Luca Drudi (CPI di Rimini); Maria Luisa Pombeni (CE.TRANS.); Ciofs Catania; Lauretta Valente; Marini Giovanna e Santina Mongardini (Ciofs Lazio sede Roma); Giuliana Storace (Ciofs Liguria/Genova); Maria Grazia Storace (Ciofs Liguria/La Spezia); Donato Elisabetta (Ciofs Piemonte sede Torino); Raffaella Di Tella e Iaria Paola (Ciofs Reggio Calabria); Ciofs Sicilia /Catania; Ciofs Sicilia/Noto; Elisabetta Mei (Ciofs Toscana); Anna Crisà (Comune di Roma); Rita Minello e Daniela Cecchetti (Comune di Terni); Roberta Rizzi e Antonia Stringaro (Cooperativa Informa Scarl Bari); Elena Antoniazzi e Angelo Sismondi (Cooperativa Orso Torino); Sergio Bettini e Clementina Castagnaro (Fondazione Centro di Orientamento Scolastico Alessandria); Piera Di Stefano (IRFAP Catania); Claudio Oliva (Job Centre Genova); Luisa Widmann (Provincia Autonoma di Trento Agenzia del Lavoro); Annamaria Arrighi (Provincia di Modena); Gaetano Romaniello (referente per la Regione Campania); Russo Liberatrice (CPI Giugliano); Bruno Acconcia (CPI Flegreo Pozzuoli); Enrico Brienza, Carlo Magno e Cecilia Salvia (Regione Basilicata – Potenza); Piero Vattovani, Rita Riannetti e Tiziana Zanella (Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Trieste); Emma Leopardi e Lucia Strusi (Polaris Reggio Emilia); Università di Milano. 229 L’impianto metodologico della ricerca CAPITOLO 5 L’impianto metodologico della ricerca • nel secondo, la versione aggiornata del questionario-clienti è stata somministrata a 106 soggetti. Successivamente è stata verificata la struttura fattoriale e la valutazione dell’attendibilità. I studio Nel primo studio è stato predisposto uno strumento strutturato in due versioni, una per il cliente (Q-cliente) e una per il consulente (Q-consulente), in modo da permettere una valutazione quantitativa delle dimensioni indagate. Il Q-cliente comprende una pagina iniziale di presentazione del questionario, con l’indicazione degli scopi e delle istruzioni per l’auto-somministrazione, e tre parti fra loro separate con diverse tipologie di domande relative alle aree di contenuto che descrivono l’intero processo di consulenza. Il Q-consulente comprende, oltre alla pagina iniziale e alle tre parti corrispondenti, nel contenuto, a quelle del questionario-cliente, anche una quarta parte composta da una scheda personale relativa alle modalità di accesso, alla durata e andamento del percorso e alle caratteristiche socio-anagrafiche del cliente. Sono stati somministrati i questionari complessivamente a 672 clienti provenienti da 42 strutture territoriali. Per ogni questionario compilato dal cliente (Q-cliente) è stato raccolto anche il corrispettivo questionario (Q-consulente) compilato dal consulente che aveva in carico il cliente presso la struttura territoriale. La raccolta dei questionari ha reso possibile sia l’analisi delle caratteristiche psicometriche del QuestionarioISFOL, sia la realizzazione di alcune procedure di validazione. È stata calcolata la validità di costrutto con i metodi dell’analisi degli items, della correlazione inter-item e della correlazione item-totale, lavorando sul Questionario-cliente e sul Questionario-consulente separatamente. Inoltre, sono state condotte le analisi fattoriali sul Questionario-cliente utilizzando gli items della seconda parte che riguardano le aree di contenuto relative al percorso di orientamento portato a termine dal cliente. Infine è stata misurata l’attendibilità del questionario, intesa come coerenza interna, utilizzando il coefficiente alpha di Cronbach. Dall’Analisi degli items emerge che gli items hanno variabilità e distribuzione di frequenza accettabili. Tutte le correlazioni risultano significative al test di Fisher per p < 0,0001. Tali valori, piuttosto alti, indicano che tutti gli items della Parte seconda appartengono alla stessa area di indagine. Per rispondere all’esigenza di semplificare il più possibile il questionario sono state condotte una serie di analisi fattoriali in successione, eliminando di volta in volta, tutti gli items che presentavano saturazioni vicine a 0,40 in più di un fattore. È stata infine accettata una struttura fattoriale a 4 fattori. Tutti e 4 i fattori della Parte seconda del que230 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO stionario hanno un’alta attendibilità (tutti >0.80). I risultati evidenziano che tutte le correlazioni sono statisticamente significative; questo dato indica un buon grado di omogeneità interna dei 4 fattori (FATTORE 1 – Propensione al cambiamento e autodeterminazione progettuale. FATTORE 2 – Qualità/efficacia del primo colloquio. FATTORE 3 – Capacità di analisi del contesto formativo e lavorativo. FATTORE 4 – Consapevolezza della storia personale) della Parte seconda del Questionario-cliente. Le analisi hanno evidenziato inoltre una correlazione statisticamente significativa tra i punteggi ottenuti dal clienti e quelli attribuiti dal consulente. II studio Relativamente al Secondo studio, attraverso il quale si è arrivati alla versione definitiva del questionario, si è proceduto partendo dai risultati del Primo che ha offerto spunti importanti per sintetizzare la formulazione di alcune parti e ridurre il numero degli items. L’esame dei risultati del Primo studio è stato condotto da un gruppo di esperti di orientamento e di psicometria che hanno valutato alcune possibili modifiche da apportare al Questionario-ISFOL. È stata effettuata la verifica delle caratteristiche psicometriche della nuova versione del questionario; è stata condotta l’Analisi fattoriale della Parte seconda per verificare la validità del costrutto e la possibilità che gli items si raggruppino a formare dimensioni latenti simili a quelle emerse nel Primo studio. La soluzione fattoriale accettata è a 5 fattori (FATTORE 1 - Consapevolezza della storia personale. FATTORE 2 - Propensione al cambiamento. FATTORE 3 - Capacità di analisi del contesto formativo e lavorativo. FATTORE 4 - Coping attivo nella transizione. FATTORE 5 Autodeterminazione progettuale) che spiegano complessivamente il 62% della varianza degli items che offre spunti interpretativi interessanti (tabella 1). 231 L’impianto metodologico della ricerca CAPITOLO 5 L’impianto metodologico della ricerca Tabella 1 – Analisi fattoriale – saturazioni degli items Fattori 1 2 3 4 5 Q-8A ,44 ,53 ,32 ,23 -,01 Q-8B ,10 ,72 ,14 ,19 ,23 Q-8C ,26 ,16 ,33 ,59 ,13 Q-8D ,45 ,41 ,21 ,64 ,12 Q-8E ,23 ,25 ,68 ,36 ,21 Q-8F ,23 ,74 ,14 ,14 ,16 Q-8G ,23 ,41 ,30 ,22 ,79 Q-8H ,35 ,23 ,19 ,39 ,24 Q-8I ,42 ,16 ,63 ,26 ,17 Q-8L ,52 ,15 ,22 ,27 ,26 Q-8M ,75 ,13 ,26 ,22 ,04 Q-8N ,35 ,35 ,46 ,11 ,28 Q-8O ,61 ,33 ,16 ,21 ,22 Q-8P ,41 ,26 ,28 ,30 ,23 Sono state poi calcolate le correlazioni item-totale, per valutare l’omogeneità interna dei fattori emersi ed è stata valutata l’attendibilità, intesa come coerenza interna utilizzando il coefficiente alpha di Cronbach (α) per i fattori della Parte seconda. Tutti i fattori della Parte seconda del questionario hanno un’alta attendibilità. Complessivamente, la struttura fattoriale risultante dal Secondo studio rappresenta un raggruppamento degli items in fattori più appropriato, in relazione ai contenuti, di quanto non fosse quella risultante dal Primo studio. Infatti, questa struttura permette di distinguere fra loro – e quindi di interpretare meglio – le due componenti della propensione al cambiamento (Fattore 2) e dell’autodeterminazione progettuale (Fattore 5) che nel primo studio erano raggruppate nel Fattore 1. Inoltre permette di identificare una nuova dimensione, quella del coping attivo nella transizione (Fattore 4), i cui items nel Primo studio apparivano distribuiti trasversalmente nei Fattori 1 e 3, ma che in realtà è più adeguatamente interpretabile come dimensione a sé stante. Resta infine sostanzialmente confermata la struttura dei Fattori 3 e 4, che nello Studio 2 diventano rispettivamente i Fattori 3 e 1. 232 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Struttura del questionario Viene di seguito presentata una descrizione sintetica della struttura del questionario nella sua versione definitiva. Val.Ori. è uno strumento, pensato nella forma di questionario strutturato “carta e penna” predisposto per l’auto-somministrazione, che favorisce nel cliente la riflessione sull’efficacia percepita rispetto alle diverse aree di approfondimento affrontate nel percorso consulenziale. Il suo obiettivo specifico è quello di ricostruire il percorso di consulenza svolto dal cliente con il consulente e di identificare gli obiettivi raggiunti, attraverso l’auto-valutazione del cliente. Si compone complessivamente di 11 domande suddivise in 3 parti più una Scheda Iniziale: • La Scheda iniziale comprende 3 domande che riguardano le caratteristiche socio-anagrafiche del cliente: genere, età e condizione sociale. • La Parte prima comprende 6 domande che riguardano: la struttura (centro per l’impiego o struttura dedicata); la durata del percorso di consulenza; l’andamento del percorso (lineare e continuativo; con interruzioni, ecc.); la motivazione principale; le aspettative che il cliente aveva prima di iniziare il percorso di consulenza; l’autovalutazione di quanto il cliente è riuscito a realizzare alcuni obiettivi e ad acquisire alcune competenze nel corso del primo colloquio. • La Parte seconda del questionario comprende 14 domande, tutte con risposta su scala Likert a 10 punti (da “Non sono per niente in grado” a “Sono perfettamente in grado”). Questi items rappresentano, nel contenuto, gli items che nell’analisi fattoriale condotta nello Studio 1 risultavano raggruppati nei fattori 1, 3 e 4 (rispettivamente Propensione al cambiamento, Capacità di analisi del contesto e Consapevolezza della storia personale). • La Parte terza del questionario comprende 3 domande con risposta su scala Likert a 10 punti, (da “Per nulla” a “Del tutto”). Le prime due domande riguardano la soddisfazione per la consulenza di orientamento ricevuta e la percezione della sua utilità, mentre i due items dell’ultima domanda permettono al cliente di riflettere su quanto il servizio abbia soddisfatto due aspettative specifiche ossia i consigli ricevuti da un esperto per valutare la situazione del mercato e la capacità di valutare le proprie competenze e risorse. 233 L’impianto metodologico della ricerca CAPITOLO 5 Studio applicativo: alcuni risultati In conclusione ci sembra interessante presentare alcuni dei risultati dello studio applicativo condotto sui dati raccolti nell’ambito del Secondo studio in cui come precedentemente detto sono stati somministrati 106 questionari. Per quanto concerne le caratteristiche del campione: dei 106 questionari somministrati ne sono esclusi 3 in quanto incompleti, gli utenti dei 103 questionari ritenuti validi hanno le seguenti caratteristiche: età media 28,86 ± 9 d.s.; genere, 64 (62%) erano femmine e 39 (38%) maschi; appartenenti alle seguenti categorie rispetto alla condizione sociale: 30 (35%) erano disoccupati, 21 (20,4%) studenti universitari, 16 (15,5%) in cerca di prima occupazione, 16 (15,5%) persone già occupate, 13 (12,6%) studenti medi e solo 2 (1,9%) persone in formazione professionale. Riguardo al tipo di struttura, 42 (41%) si era rivolta ad un centro per l’impiego e 61 (59%) ad una struttura dedicata. Rapportando i punteggi medi ottenuti dai soggetti nei 5 fattori al numero degli items inclusi in ciascun fattore, si evidenziano i seguenti valori medi: Fattore 1 m = 7,93, Fattore 2 m = 7,66, Fattore 3 m = 7,65, Fattore 4 m = 7,82 e Fattore 5 m = 7,89. Tali valori, come è possibile evidenziare dalla Figura 1, evidenziano che i punteggi medi ottenuti dai soggetti a tutti e 5 i fattori sono superiori alla media, in particolare il fattore per il quale i soggetti ritengono di avere ottenuto i risultati maggiori è il primo, che riguarda la consapevolezza della propria storia personale, mentre le dimensioni per le quali ritengono di avere conseguito i risultati minori sono la propensione al cambiamento (Fattore 2) e la capacità di analisi del contesto formativo e lavorativo (Fattore 3). Figura 1 – Andamento delle medie dei punteggi nei 5 fattori 8,1 7,95 Medie 7,8 7,65 7,5 Fattore 1 234 Fattore 2 Fattore 3 Fattore 4 Fattore 5 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO In relazione alla terza parte del questionario che riguarda la soddisfazione dei clienti per il servizio di consulenza di cui hanno usufruito: i valori medi dei punteggi ottenuti dai soggetti nelle prime due domande di questa parte, che si riferiscono rispettivamente alla soddisfazione complessiva verso la consulenza di orientamento (media = 8,60 ± 0,92 d.s.) e alla valutazione di utilità del percorso consulenziale per il proprio futuro formativo e/o lavorativo (media 8,32 ± 1,20 d.s.), si evidenzia per entrambi, come è possibile osservare dalle medie riportate, un alto grado di soddisfazione. Le ultime due domande riguardano la valutazione di quanto siano state soddisfatte le due principali tipologie di aspettative che erano state indicate nella prima parte. Le risposte riguardanti le aspettative indicano punteggi medi più alti nell’aspettativa legata al locus interno (“conoscere meglio le proprie competenze/risorse”) (media = 8,50 ± 1,15 d.s.) rispetto a quella legata al locus esterno (“ricevere consigli da un esperto”) (media = 7,89 ± 1,75 d.s.). Riferimenti bibliografici Bezzi, C. (2001). Il disegno della ricerca valutativa. FrancoAngeli, Milano. Bezzi, C. (2002). La valutazione dei servizi alla persona. I.I.V. www.valutazione.it Bresciani, P. G. (2000). La valutazione degli interventi di orientamento come paradigma della valutazione delle politiche del lavoro. Alcune suggestioni. In: D. Ceccarelli (a cura di), Valutare le politiche del lavoro. FrancoAngeli, Milano. Fraccaroli, F. (2003). Valutare le azioni di orientamento. Alcune considerazioni di metodo e di contenuto. Magellano, Vol. 15, pag. 23-30. Grimaldi, A. (a cura di) (2003a), Profili professionali per l’orientamento: la proposta Isfol .FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2003b). Orientare l’orientamento. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Pombeni, M. L. (2007). Dall’analisi della domanda alla valutazione della consulenza di orientamento. Val.Ori.: Uno strumento Isfol. Isfol Editore, Roma. Pombeni, M. L., Guglielmi, D. (2000). Competenze Orientative: costrutti e misure. Giornale Italiano di Psicologia dell’Orientamento, 1/3, 2637. 235 Studio applicativo: alcuni risultati CAPITOLO 5 5.8 PENSAREILFUTURO: UNA PRATICA IN GRUPPO PER LA COSTRUZIONE DEL PROPRIO PROGETTO PERSONALE di Marco Amendola1 Premessa Il lavoro che si propone in questo contributo – all’interno di una intera sessione dedicata ai “modelli, strumenti e pratiche per l’orientamento” – pur facendo riferimento ad un preciso modello, e presentando al suo interno un insieme completo e articolato di strumenti, sostanzialmente consiste nella presentazione di una pratica di consulenza specialistica e, in particolare, una pratica di/in2 gruppo. Se per gli aspetti sia operativi che teorici si rinvia il lettore al manuale di riferimento3 – opportunamente approfondito nei dettagli perché il percorso proposto fosse il più possibile fruibile agli operatori che intendessero accogliere questa proposta di pratica di intervento – in questo contributo si vogliono riportare alcune riflessioni avanzate nel gruppo di ricerca4 durante la fase di ideazione e sperimentazione del percorso che ne individuano l’architettura, gli elementi che l’hanno sostenuto, nonché sottolineare alcune implicazioni relative alla diffusione di questa pratica. In questo modo si vuole integrare il manuale, che ne descrive approfonditamente i contenuti operativi, con il “dietro le quinte” che lo ha accompagnato. A questo proposito, un particolare ringraziamento va a tutti coloro che hanno partecipato5 alla sperimentazione della pratica. Pensareilfuturo Pensareilfuturo. Nel linguaggio corrente spesso si dice di “pensare al futuro”. Nella scelta di un titolo che esprimesse in forma sintetica l’es1 2 Collaboratore Isfol Area Politiche per l’Orientamento. Per il momento si preferisce mantenere contestualmente entrambe le preposizioni. Le ragioni per cui si preferisce adottare la formula in, piuttosto che di, gruppo, saranno esplicitate successivamente. 3 Al manuale di riferimento è allegato un cd-rom in cui sono presenti tutti i materiali messi a disposizione per gli operatori che volessero adottare questa pratica nei propri centri. 4 Hanno contribuito a questo progetto – coordinato da Anna Grimaldi (Isfol) e Francesco Avallone (Università degli studi di Roma “La Sapienza”) – Marco Amendola, Maria Luisa Farnese, Giorgia Ortu La Barbera, Andrea Laudadio, Letizia Lombardi, Raffaella Milazzo e Rita Porcelli. 5 Un particolare ringraziamento va ai consulenti di orientamento – Antonella Barile, Antonia Colasante, Laura Pernice e Ivo Spadoni - che hanno affiancato il team di ricerca. 236 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO senza della pratica, cioè a dire l’obiettivo principale declinato rispetto ai destinatari, non si voleva intendere “pensare al futuro” in una forma generica, né si voleva alludere al tentativo di rendere consapevole la propria relazione rispetto al futuro, nell’ipotesi che talvolta non lo sia. “Pensare il futuro” ha una accezione precisa perché, come ricorda Avallone (2002) in riferimento agli obiettivi dell’orientamento, “rendere pensabile il futuro lavorativo” si riferisce al fatto che “molte persone e, in particolare, i giovani sono, per diversi motivi, concentrati sul presente, hanno difficoltà a delineare un progetto: pensare il futuro significa poter definire degli obiettivi, individuare dei percorsi, dotarsi di una strategia, valutare alternative, orientare l’azione”. A volte infatti, incontrando i clienti/utenti, esattamente coloro rispetto ai quali sono declinate le pratiche di intervento a finalità orientativa - perché per loro si presume siano pensate, anche se non sembra del tutto scontato che lo sia - ci si imbatte in situazioni analoghe a quella appena descritta, cioè di “centratura sul presente”. È per questo motivo che, al fine di promuovere nel soggetto una scelta consapevole in una prospettiva maturativa (Grimaldi, Avallone; 2005a), e quindi di sostenere la scelta dei soggetti nella direzione di ampliare le possibili opportunità di crescita e/o sviluppo professionale, a volte l’impressione non è, per semplificare, quella di una mancanza di “tempo” per pensare al futuro; piuttosto, una mancanza di “spazio” per pensare al futuro o, in altre occasioni, una mancata auto-legittimazione a pensare il futuro, a pensarsi in una prospettiva possibile. Un esempio può essere di aiuto per meglio chiarire questo ultimo passaggio. In un Istituto di una piccola cittadina del Meridione, una ragazza - in occasione di un intervento di orientamento in gruppo messo a punto per una classe di studenti del III anno e, in particolare, in una esercitazione di gruppo in cui si chiedeva sostanzialmente di “pensare il proprio futuro” – pur dichiarando di non avere le idee molto chiare, aveva espresso il desiderio di andare a vivere e studiare in una grande città, una volta terminati gli studi in corso. Nel tentativo di entrare maggiormente nel merito della questione, con la collaborazione dei suoi compagni, è emerso che relativamente alla possibilità di partire per studiare lontano dalla propria città (“ovunque tranne che qui”) non c’erano particolari controindicazioni o limiti posti dal contesto come, ad esempio, una scarsa disponibilità economica (c’erano sia la disponibilità che l’accordo da parte dei genitori), precedenti in casa (“mia sorella più grande studia medicina già da due anni”), divieti riconducibili a dimensioni di tipo culturale, altri vincoli di natura affettiva, o altro. La giovane studentessa diceva semplicemente di non poterlo fare (“…mia sorella può 237 Pensareilfuturo CAPITOLO 5 Pensareilfuturo farlo, io no, io non posso; io devo stare qui”) come se non le fosse consentito, come se non fosse per lei legittimo, negandosi anche la possibilità di poterlo pensare. L’idea alla base del gruppo di lavoro è esprimibile in questa forma: per parlare di progetto o, meglio, prima ancora di un progetto o della possibilità di maturare competenze “progettuali”, è opportuno che gli individui siano messi nella condizione di poter pensare il proprio futuro, spostare la centratura sul presente e/o legittimarsi in questa operazione. Se per gli autori, pertanto, l’intento era quello di mettere a punto una pratica di/in gruppo con un esplicito modello di riferimento, metodologie e strumenti, in modo da offrire una struttura omogenea di riferimento per gli operatori che intendessero realizzarla, l’obiettivo del percorso, declinato per i destinatari di tale pratica, era quello di promuovere un pensiero progettuale attraverso l’esplorazione, di/in gruppo, di tutte quelle dimensioni che possono sostenere il soggetto in un percorso che va da un futuro impensabile verso un futuro progettuale. Ma il futuro – ci siamo chiesti - è pensabile? Noi riteniamo di sì. E soprattutto riteniamo che tale lavoro - quello di favorire la “pensabilità” del proprio futuro - sia più agevole se svolto insieme agli altri, così come sostenuto nel paragrafo che segue. La scelta di attivare un percorso in gruppo Così come ricordato nel II capitolo del manuale (Amendola, Laudadio, Porcelli; 2005) l’utilizzo del gruppo in orientamento non sembra così diffuso. Più precisamente, sulla base di una rilettura critica di una recente rassegna sulle buone pratiche di orientamento (Grimaldi, Avallone; 2005b), se si fa eccezione per alcune tipologie di intervento che lo utilizzano per tradizione consolidata o per opportunità di setting, si ricorre al gruppo in alcuni momenti precisi (ad esempio, i laboratori) all’interno di un percorso più lungo e articolato, tipicamente di natura individuale. È come se “pensare il futuro” – pertanto – consentisse di realizzare contestualmente due obiettivi: il primo, che fa riferimento all’opportunità di colmare la carenza di pratiche di orientamento interamente in/di gruppo, dall’inizio fino alla fine del percorso; il secondo, che si riferisce invece al tentativo di realizzare una pratica di orientamento centrata su un obiettivo specifico – quello di promuovere la pensabilità del futuro – come momento preliminare in vista di un progetto personale/professionale. Se relativamente al primo obiettivo c’è poco da aggiungere, qualora venga accettata l’ipotesi di una carenza di servizi di questo tipo, o almeno la scarsa propensione ad adottare il gruppo nei centri, pubblici o pri238 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO vati, che erogano servizi di orientamento, rispetto al secondo è possibile aggiungere alcuni elementi a sostegno della scelta di adottare il gruppo nella proposta di “pensareilfuturo”. Se si condivide la necessità di favorire la “pensabilità” del futuro, nell’accezione appena ricordata, sarà altrettanto condivisibile la scelta del gruppo come luogo privilegiato all’interno del quale tale pensabilità possa realizzarsi. Le ragioni a sostegno di tale scelta – proposte con maggiore dettaglio nel manuale di riferimento relativo ai gruppi in orientamento – sono sinteticamente riconducibili a tre. 1. In primo luogo occorre esplicitare il riferimento teorico. Il modello a cui ci si è ispirati è quello definito dall’approccio psicosociale6 al tema dell’orientamento in cui l’attenzione è rivolta all’individuo in relazione al suo contesto e, con particolare riferimento alle situazioni di transizione, alle strategie che l’individuo mette in atto nella gestione di situazioni critiche. Il gruppo, in questa prospettiva, sembra funzionale al conseguimento di obiettivi che scaturiscono da una moderna concezione di orientamento - definita appunto dalla prospettiva psicosociale - che si esprime nella necessità di conoscere e sperimentare se stessi, ciascuno nel proprio stile di intrattenere la relazione con il contesto. 2. Nel gruppo, se si realizza un contesto non valutativo e adeguatamente protetto, gli individui hanno l’opportunità non solamente di accrescere la conoscenza di sé in relazione al proprio contesto, ma anche una occasione di appropriazione di nuove modalità di relazione con la realtà, innescando la premessa per un possibile cambiamento che può rivelarsi strategico nella traduzione in azione di un progetto personale e/o professionale. 3. Nel gruppo – infine – gli altri non vengono solamente evocati, ma sono anche presenti. In altri termini in gruppo si realizzano le condizioni per una auto-valutazione e pertanto, prima ancora di una opportunità di orientamento sulla persona, si rende possibile un orientamento (o ridefinizione) dei parametri sui quali si fonda la propria valutazione; e tale operazione è tanto più agevole quanto più forte è l’ancoraggio alla realtà, e il gruppo – in questo senso – offre maggiori garanzie che tale ancoraggio si realizzi. Un’ultima considerazione per sciogliere la riserva sulla preposizione adottata: in gruppo piuttosto che di gruppo. Prendendo le opportune distanze dalle psicoterapie che privilegiano il gruppo come setting privilegiato, è tuttavia possibile prendere in prestito la distinzione che ricorre in letteratura tra analisi in gruppo e analisi di gruppo per precisare, sul pia6 Cfr a tale proposito Pombeni M.L (1996), Orientamento scolastico e professionale, il Mulino, Bologna (nuova edizione), cap II. 239 La scelta di attivare un percorso in gruppo CAPITOLO 5 La scelta di attivare un percorso in gruppo no teorico, perchè si preferisce sostenere che “pensare il futuro” sia un percorso in gruppo, e non di gruppo. Se a prima vista potrebbe sembrare una sfumatura linguistica, in realtà esiste una ragione più profonda: pur prevedendo l’adozione di un setting gruppale dall’inizio alla fine del percorso – non un laboratorio di gruppo all’interno di un percorso di natura individuale – e tenendo ferme le ragioni a sostegno di tale scelta, tuttavia rimane il fatto che l’unità di riferimento non è – in questo caso – il gruppo in sé ma, piuttosto, l’individuo, all’interno del gruppo. L’utilizzo del gruppo, infatti, non implica necessariamente un cambiamento dell’obiettivo e/o dell’unità di riferimento: è sempre il singolo – all’interno del gruppo – il destinatario finale di tale azione di intervento professionale. Al tempo stesso attraverso il gruppo è più agevole – almeno dal nostro punto di vista – attivare gli individui in un percorso di conoscenza su di sé, nell’accezione proposta di “pensare il futuro”, in vista di un progetto personale/professionale. Nel corso della sperimentazione, in particolare, sono stati attivati quattro gruppi differenti: un primo gruppo di giovani neo-laureati; un secondo gruppo di persone in una condizione di transizione professionale; un terzo gruppo di lavoratori con contratto atipico; un quarto ed ultimo gruppo composto da disoccupati di lunga durata. Articolazione del percorso Nel lavoro di progettazione e sperimentazione di pratiche di orientamento destinate a coloro che intendano realizzarle nei propri centri è ricorrente la propensione a tener conto contestualmente dei seguenti due aspetti: da un lato, la necessità di mettere a punto percorsi strutturati, anche nel dettaglio, sia al fine di agevolare il lavoro degli operatori di orientamento che per esigenze di omogeneità del percorso, ineliminabili almeno nella fase della sperimentazione; dall’altro, la consapevolezza che tali percorsi, una volta messi a punto nella forma definitiva, devono essere sufficientemente flessibili per fare in modo che possano essere facilmente declinati in ragione delle risorse e dei vincoli della realtà in cui vengono adottati, sia sotto il profilo economico che organizzativo. Nella proposta di pensare il futuro si è tentato di coniugare il più possibile questa duplice necessità. È per questo motivo che prima ancora di fornire nel dettaglio lo sviluppo del percorso nei suoi momenti specifici7 si è voluto definire in modo chiaro l’architettura di base del percorso in tre momenti chiave: una 7 Si rimanda ancora una volta il lettore al manuale della pratica che, anche e soprattutto su questo aspetto, approfondisce nel dettaglio ogni singolo momento del percorso. 240 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO prima parte (a) in cui si riconosce al partecipante la legittimità del desiderio, la possibilità di avere sogni ed ambizioni; una seconda (b) che è centrata sull’esplorazione delle forze in gioco (risorse, vincoli, competenze, capacità, punti di forza) che facilitano o che ostacolano la realizzazione delle proprie aspirazioni; una terza (c) in cui si definisce un obiettivo professionale in vista di un progetto e/o di un piano di azione a questo finalizzato. Il percorso, nella sua forma definitiva, si sviluppa in tre incontri in gruppo di circa 6 ore ciascuno, preliminarmente ai quali è previsto un primo appuntamento – sempre in gruppo - di circa 2 ore nel quale i partecipanti vengono coinvolti per la prima volta al fine di circoscrivere gli obiettivi del percorso e formalizzare un “patto” di lavoro per una adesione motivata e consapevole. In sintesi il percorso, della durata complessiva di circa 20 ore e articolato in cinque moduli e una attività intermodulo, è strutturato come segue. Nella prima giornata, dei cinque complessivi, sono previsti il I, il II, e la prima unità del III modulo. In particolare il I modulo (“ci presentiamo”) è dedicato all’accoglienza e alla costituzione del gruppo. Nel II (“il futuro”) si introduce il tema del “sogno” professionale, ci si proietta nel futuro e si esprimono desideri e aspettative lavorative: la riflessione condivisa sugli aspetti di utopia (sogni troppo “grandi”) e sui vissuti di impotenza (sogni troppo “piccoli”) fonda le basi per la costruzione del progetto professionale attraverso la definizione progressiva di un obiettivo che contempli, al suo interno, anche una porzione del sogno espresso. Nella prima unità del III modulo (“io nel contesto”) viene proposto un lavoro sulla relazione tra stili di attribuzione, le emozioni vissute e le strategie di coping attraverso una esercitazione mirata ad evidenziare caratteristiche e stili individuali. La seconda giornata prevede un lavoro sulla seconda unità del III modulo (avviato nella giornata precedente) e sulla prima e seconda unità del IV. La seconda unità del III modulo (“io nel contesto”) costituisce un approfondimento delle riflessioni emerse nel pomeriggio della prima giornata, declinate rispetto a momenti realmente presenti nella vita del partecipante. Rispetto al IV modulo, nella prima unità i partecipanti definiscono uno specifico obiettivo professionale, individuato attraverso l’intersezione tra le caratteristiche del desiderio ed una valutazione soggettiva dell’importanza e della perseguibilità dei vari possibili obiettivi professionali prefigurati; nella seconda unità, in relazione a questo specifico obiettivo, vengono dunque analizzati i punti di forza e di debolezza interni ed esterni e vengono individuate strategie di implementazione. Se la prima e la seconda giornata, relativamente alla distanza di tem241 Articolazione del percorso CAPITOLO 5 Articolazione del percorso po in cui vengono proposte, sono vicine tra loro, la seconda e la terza, al contrario, sono separate da circa una settimana e prevedono una attività intermodulo che sostanzialmente consiste in una sospensione dell’attività di gruppo che i partecipanti impiegano per una riflessione individuale sui punti di forza e di debolezza personali, facilitata da alcuni strumenti finalizzati alla rivisitazione dei contenuti emersi all’interno del gruppo. È anche possibile, in questa fase, che l’obiettivo prescelto sia sottoposto ad una nuova valutazione e sostituito con un altro. Nella terza giornata, quella conclusiva, si propone una attività di lavoro sulla terza e quarta unità del IV modulo e sul V, dedicato alla chiusura del percorso. Nella terza unità, in particolare, viene proposta una ulteriore analisi delle proprie competenze; nella quarta unità, invece, le riflessioni sviluppate vengono organizzate all’interno di un progetto di (ri)collocazione professionale che parte dall’obiettivo individuato per una analisi della sua realizzabilità (un piano di massima per la valutazione di fattibilità del progetto o un piano d’azione vero e proprio). Nel V modulo, infine, si tenta di creare uno spazio affinché i vari progetti/piani d’azione possano essere condivisi all’interno del gruppo e le persone possano restituire, infine, le impressioni maturate nel corso degli incontri. A conferma di quanto appena sostenuto in merito alla necessità di allestire una struttura di percorso suscettibile di cambiamento (in alcune parti) ma in ogni caso rigorosa nell’architettura che la sostiene, un elemento di flessibilità è dato dalla presenza, per alcuni dei 5 moduli, di alternative: in questo modo un operatore, nell’ambito della sua discrezionalità, può operare una scelta tra due opzioni di modulo che semplicemente sono diverse perché si è pensato che gruppi diversi, con caratteristiche di omogeneità diverse, suggerissero l’adozione di una o dell’altra opzione di lavoro. Valutazione della pratica In questa sede, relativamente alla valutazione della pratica, l’attenzione sarà rivolta solamente ad alcuni delle riflessioni avanzate nel gruppo di ricerca, e si rimanda – nuovamente – il lettore, per un eventuale approfondimento, al manuale del percorso. In primo luogo va ricordato che tutto il lavoro di progettazione, nonché le attività in gruppo, è stato svolto in collaborazione e sinergia con quattro operatori (uno per ciascuno dei gruppi attivati) dell’area di Roma. In particolare sono stati coinvolti, nella fase di progettazione in veste di testimoni privilegiati della propria area di riferimento, nella conduzione dei gruppi in qualità di osservatori del processo attivato, nella fase di valutazione ex post come polarità privilegiata nella rete che si è 242 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO venuta a creare con i partecipanti, nella consapevolezza che fosse un requisito importante della pratica quello di coinvolgere non solo durante il gruppo, ma molto prima, fin dalla fase di progettazione degli incontri, proprio coloro che sono a diretto contatto con gli utenti, e rispetto ai quali è stata pensata la pratica come proposta di lavoro. In secondo luogo occorre sottolineare che i partecipanti, a distanza di circa otto mesi dal termine degli appuntamenti di gruppo, sono stati nuovamente invitati per partecipare ad un follow up specifico nel quale è stato possibile monitorare, a distanza di tempo, l’eventuale impatto o valore aggiunto fornito dalla partecipazione al percorso sia in termini di attività che di realizzazione del piano d’azione messo a punto in occasione degli incontri. In quella occasione è stato possibile registrare una singolare differenza di atteggiamento: se da un lato alcune persone hanno dichiarato di aver trovato grande giovamento dall’esperienza vissuta8, diversamente dai primi, i soggetti che avevano aspettative più “concrete” – la possibilità, ad esempio, che l’esperienza fosse un’occasione concreta per trovare o cambiare lavoro – si sono mostrati più critici. Questo aspetto, in particolare, ha (ri)proposto al gruppo di ricerca l’annoso tema della motivazione delle persone a partecipare a percorsi di questo tipo e, soprattutto, all’analisi della domanda di orientamento: cosa chiedono le persone che si rivolgono ai centri di orientamento? Gruppi omogenei al loro interno ma sensibilmente diversi per condizione professionale hanno mostrato aspettative diverse rispetto al percorso. E tale motivazione è emersa in modo chiaro soprattutto a percorso concluso, anzi, in occasione del follow up, quando le persone hanno avuto l’occasione, a distanza di tempo, di riformulare e operare un confronto tra aspettative iniziali e risultati raggiunti in termini di attivazione. È evidentemente di grande importanza, all’inizio degli incontri, la definizione puntuale degli obiettivi di un percorso di questo tipo. Peraltro era a questo fine l’idea di un appuntamento in gruppo, preliminare al percorso vero e proprio, finalizzato alla puntualizzazione delle finalità del lavoro proposto. Questo aspetto certamente non costituisce una novità per coloro che si occupano di orientamento ma, al tempo stesso, è importante sottolineare che anche in questa occasione è emerso in modo chiaro come i confini tra una domanda di orientamento e una richiesta di lavoro siano sempre più sfumati di quanto gli operatori e gli esperti del settore, probabilmente, siano disposti ad accettare. 8 In particolare alcuni dei partecipanti del gruppo di “disoccupati di lunga durata” hanno raccontato, a seguito dell’esperienza, di essersi attivati in sottogruppi e, alcuni di loro, avrebbero formalizzato tale attivazione attraverso la costituzione di una cooperativa. 243 Articolazione del percorso CAPITOLO 5 Nota conclusiva Da più parti viene invocata la necessità di pensare all’orientamento – in termini di intervento professionale – in una prospettiva di più ampio respiro. Se “orientare l’orientamento” esprime chiaramente questa necessità, sul piano della pratica professionale occorre anche ripensare in una nuova prospettiva l’integrazione tra servizi di orientamento, nei termini di una offerta articolata di servizi perché coerente rispetto ad una domanda di orientamento altrettanto articolata, posta da coloro che si rivolgono ai centri per l’impiego e ad altri centri deputati a svolgere servizi analoghi. Rimane pertanto aperta la riflessione sul raccordo tra questo tipo di intervento proposto – pensare il futuro - e altri interventi che il Servizio offre, garantendo una continuità di relazione con ciascun partecipante. In questo modo ci sentiamo di riformulare attraverso questa chiave di lettura anche il disagio verbalizzato da alcuni partecipanti a questo percorso che lamentavano, in occasione del follow up, un percorso che, dalla sua conclusione, si interrompe bruscamente e non garantisce proprio la continuità invocata: “pensare il futuro”, nella sua essenza, si propone un obiettivo di attivazione degli individui rispetto alla possibilità di rendere pensabile il proprio futuro personale/professionale; per forze di cose è auspicabile che tale continuità con il servizio debba essere garantita in ragione di una pluralità di servizi, rimandando cioè la persona, eventualmente, ad altri percorsi, con obiettivi diversi, di cui quello proposto in questo contributo costituisce solamente un primo momento. Riferimenti bibliografici Amendola, M., Laudadio, A., Porcelli R. (2005). Il gruppo in orientamento. Dai modelli di riferimento alle esperienze realizzate, in Grimaldi A., Avallone, F. (a cura di), Pensare il futuro. Una pratica di orientamento in gruppo. ISFOL Editore, Roma. Avallone, F. (2002). L’orientamento tra informazione e produzione di conoscenza, in Grimaldi A. (a cura di), Orientamento: modelli, strumenti ed esperienze a confronto, ISFOL Strumenti e Ricerche, FrancoAngeli, Milano, pp.55-67. Grimaldi, A., Avallone, F. (2005a). La costruzione del progetto professionale, in Grimaldi A., Avallone F. (a cura di). Pensareilfuturo. Una pratica di orientamento in gruppo. ISFOL Editore, Roma. Grimaldi, A., Avallone, F. (a cura di) (2005b), Percorsi di orientamento. Indagine nazionale sulle buone pratiche. ISFOL Editore, Roma. Pombeni, M. L. (1996). Orientamento scolastico e professionale. Il Mulino, Nuova Edizione, Bologna. 244 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO 5.9 PASSOALLAPRATICA: UN PERCORSO DI CONSULENZA ORIENTATIVA di Andrea Laudadio1 Premessa Ilya Prigogine - premio Nobel per la chimica nel 1977 – era solito citare nei suoi interventi una lettera di Einstein, rivolta a Tagore, in cui sosteneva: “Se alla luna fosse chiesto perché segua il suo eterno percorso attorno alla terra, essa potrebbe rispondere che lo ha scelto con autocoscienza, e che la decisione è stata presa una volta per tutte.” Secondo Prigogine, seguendo lo stesso principio, siamo portati a sorridere perché sappiamo che questo percorso è subordinato alle leggi di Newton. E, sempre per lo stesso principio, Einstein potrebbe chiederci di sorridere anche quando sosteniamo di agire di nostra iniziativa. “L’iniziativa sarebbe semplicemente un’illusione. Perché non c’è ragione per cui il determinismo – che si trova in natura – si debba arrestare davanti al cervello umano.” (Prigogine, 1999a). Se adottiamo questo paradigma, di natura squisitamente determinista, tutte le nostre azioni, le nostre scelte, sarebbero state contenute ed esplose all’interno del Big Bang. Anche se questa prospettiva potrebbe non piacere, oggi sappiamo che grazie al lavoro di Prigogine oggi la fisica ha cambiato prospettiva. Infatti, il futuro ci appare come predeterminato se si commettono due errori: se ci si limita a studiare le situazioni di equilibrio e se si ignora che la maggior parte dei fenomeni sono non-lineari, ovvero che in essi la somma delle singole cause non produce la somma degli effetti corrispondenti. Prigogine dedicò gran parte dei suoi studi ai sistemi in situazione di non equilibrio. Lì dove i sistemi si trovano davanti ad una biforcazione, ad un bivio, ad una scelta. «La fisica del non equilibrio ci ha fornito una migliore comprensione del meccanismo della comparsa degli eventi. Gli eventi vengono associati alle biforcazioni. Il futuro non è determinato» (Prigogine, 2003). Sono state avanzate più prove dell’esistenza delle biforcazioni in numerosi ambiti disciplinari. Le biforcazioni sono momenti in cui un sistema “sceglie” una strada. Chi opera nel campo dell’orientamento non ha difficoltà ad accetta1 Collaboratore Isfol Area Politiche per l’Orientamento. 245 CAPITOLO 5 Premessa re come familiari concetti come il caos, i bivi, le biforcazioni, la complessità, la non-linearità. Di seguito vengono riportate alcune suggestioni su questo tema. «Il principio di “ordine attraverso le fluttuazioni” descrive come le strutture emergano lontano dall’equilibrio, dove non esiste un principio estremo globale. Il sistema “trova la sua strada” attraverso attrattori e repulsori, subendo transizioni critiche in seguito al cambiamento dei parametri d’ordine, determinato dalle fluttuazioni» (Antoniou, 2003). «Tanto più il sistema è complesso, tanto maggiore è il numero di possibili biforcazioni e quindi tanto più importante il ruolo delle fluttuazioni individuali» (Pessa, 2003). «Il caos è sempre la conseguenza di fattori di instabilità. Il pendolo in assenza di attrito è un sistema stabile, ma curiosamente la maggior parte dei sistemi di interesse fisico […] sono sistemi instabili. In essi una piccola perturbazione si amplifica e traiettorie inizialmente vicine divergono. L’instabilità introduce nuovi aspetti essenziali» (Prigogine, 1999b). Anche se le suggestioni appena riportate provengono da un ambito disciplinare solo apparentemente lontano, al tempo stesso esiste una straordinaria corrispondenza con la pratica professionale dell’orientamento. Chi opera nel campo dell’orientamento, infatti, ha sperimentato che le persone (sistemi complessi) in prossimità di una scelta sono in una situazione instabile, sono prossimi alla biforcazione, al bivio. La scelta è una questione non-lineare. Sulla base di tale premessa, l’obiettivo del presente contributo è quello di fornire una presentazione del percorso di orientamento realizzato da Isfol – denominato PassoallaPratica2 – che, rivolto a giovani in uscita del sistema scolastico, è centrato sui temi della scelta. Trattandosi di una pratica già descritta nel dettaglio in una recente pubblicazione in questo contributo verrà fornita una sintesi della struttura del percorso, nonché alcuni contributi di ricerca realizzati e propedeutici alla fase di valutazione del percorso. Il Percorso PassoallaPratica PassoallaPratica si configura come un intervento di “primo orientamento”, o di “orientamento di base”, su base volontaria, rivolto agli studenti delle scuole medie superiori, in procinto di decidere se prosegui2 Il percorso “PassoallaPratica” è stato realizzato all’interno dell’Area ISFOL Politiche per l’orientamento con la collaborazione della società di consulenza Polis 2000 di Torino. Il gruppo di lavoro, coordinato da Anna Grimaldi è composto da Marco Amendola, Andrea Laudadio, Giuseppa Montalbano, Raffaella Nardiello, Rita Porcelli e Paloma Vivaldi Vera (Isfol) e da Chiara Ghislieri, Simona Capello, Cristina Peyrani, Alessia Rossi, Simona Sartori e Angelo Sismondi (Polis 2000 di Torino). 246 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO re gli studi o entrare nel mondo del lavoro. Articolato in tre colloqui, il percorso si svolge presso i servizi di orientamento, esterni alla scuola, su appuntamento, perché concordati in relazione al bisogno e al grado di interesse al percorso di orientamento. Il percorso si ispira – sul piano teorico – al modello sociocognitivo (cfr. Bandura 1986, Soresi, 2000, Lent, Brown e Hackett, 2002) che, a sua volta, rimanda alle teorie costruzioniste in campo psicologico (Vygotskij, 1968; 1980; Watzlavick, 1988). Pertanto “PassoallaPratica”, così come nell’orientamento di tipo socio-cognitivo, individua come obiettivo quello di sostenere la persona nel fare il punto rispetto ad alcune sue risorse (Guichard, Huteau, 2001) così da poter accrescere la propria consapevolezza rispetto a sé e alimentare la capacità di auto-orientarsi. In particolare, nel percorso venivano indagate, rispetto al soggetto, cinque dimensioni ritenute particolarmente rilevanti a fini orientativi la cui esplorazione si è svolta sia nel corso dei colloqui, attraverso delle check-list di domande dedicate, che mediante l’uso di strumenti validati: (1) stili di fronteggiamento della realtà (coping); (2) autoefficacia; (3) attribuzione causale; (4) motivazione e metodo di studio; (5) interessi professionali. La sperimentazione del percorso ha coinvolto complessivamente 112 soggetti (32 maschi e 80 femmine, corrispondenti rispettivamente al 28,57% e al 71,42% del campione) con età media di 18 anni e 3 mesi (d.s. 10 mesi, età massima di 23 anni e minima di 17)3. Gli strumenti adottati Di seguito, per ciascuna delle dimensioni ritenute rilevanti nella messa a punto del percorso, vengono sinteticamente illustrati gli strumenti adottati. Coping Al fine di indagare gli stili di fronteggiamento della realtà, agli studenti è stato somministrato il questionario “Io di fronte alle situazioni” (Grimaldi, Ghislieri, 2004). 3 Il 29,46% dei soggetti proviene dal nord Italia, il 25.00% dal centro e il 45,54% dal sud. Il 26,79% dei soggetti frequenta il liceo classico, il 21,43% il liceo scientifico, il 19,64% l’istituto tecnico, il 17,86% il liceo linguistico, il 13,39% l’istituto industriale e lo 0,89% l’istituto magistrale. Il 66,67% del campione ha dichiarato di aver scelto, al termine della scuola superiore, di frequentare l’università; il 3,92% sostiene che cercherà lavoro, il 2,94% desidera fare una esperienza di lavoro all’estero e l’1,96% un corso di formazione professionale. Il restante 24,51% afferma, al contrario, di non aver ancora deciso. 247 Il Percorso PassoallaPratica CAPITOLO 5 Gli strumenti adottati Il questionario è composto da 18 situazioni relative a differenti ambiti (scuola, famiglia, tempo libero e rapporti amicali) ed è composto da 47 item. Ai soggetti viene chiesto di indicare con quale frequenza farebbero ricorso a determinate modalità di fronteggiamento in una scala da 1 (mai) a 4 (sempre). I punteggi ottenuti consentono di ricondurre le strategie a quattro stili di coping: (AVS) Analisi e Valutazione della Situazione (modalità di fronteggiamento attiva che comporta azioni finalizzate alla risoluzione del problema); (AA) Autocolpevolizzazione/Autocritica, che esprime una difficoltà a fronteggiare la situazione, connessa alla credenza del soggetto di non essere in grado di agire in maniera risolutiva; (RSS) Ricerca di Supporto Sociale, che esprime la tendenza ad affrontare la situazione ricercando l’aiuto di altri, ai quali viene chiesto un sostegno concreto nella soluzione del problema oppure un conforto emotivo; (EE) Evasione ed Evitamento, che esprime la propensione a fuggire dalla situazione attraverso comportamenti di tipo sostitutivo o consolatorio, oppure attraverso azioni di netto rifiuto della situazione stessa. Autoefficacia Rispetto a questa dimensione è stato utilizzato il questionario “Quanta fiducia ho in me?” (Nota, Soresi, 2003). Nel questionario il soggetto deve indicare, in una scala da 1 (per niente) a 5 (perfettamente) e per ciascuno dei 20 item, fino a che punto le affermazioni proposte corrispondono al proprio sentire. Il test consente di ottenere indicazioni su quattro sottodimensioni di autoefficacia: (I) Fiducia nei confronti delle proprie capacità di prendere decisioni; (II) Fiducia nei confronti delle proprie capacità di autocontrollo emozionale; (III) Fiducia nei confronti delle proprie capacità di portare a termine compiti ed attività; (IV) Fiducia nei confronti delle proprie capacità di affrontare con successo situazioni ed attività diverse. Attribuzione Causale Gli stili di attribuzione causale sono stati esplorati tramite il “Questionario di attribuzione” (De Beni, Moè, 1995). Lo strumento è composto da 24 situazioni ipotetiche (12 di successo, altrettante di insuccesso) ciascuna delle quali è seguita da 5 possibili cause attribuibili all’evento. I soggetti devono scegliere 3 delle 5 possibili cause proposte, indicandone l’ordine di importanza. L’esito del questionario offre un profilo di stili attribuzionali articolato su 10 scale, 5 per le situazioni di successo, 5 per quelle di insuccesso. In entrambi i casi la causa può essere identificata in impegno personale (causa interna, 248 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO stabile e controllabile), abilità personale (causa interna, stabile ed incontrollabile), facilità/difficoltà del compito (causa esterna, stabile ed incontrollabile), fortuna/caso (causa esterna, instabile, incontrollabile), aiuto esterno (causa esterna, instabile controllabile). Motivazione L’area della motivazione viene esplorata attraverso l’uso del “Questionario di motivazione e metodo” (Mancinelli, 2002). Il questionario si compone di 3 scale (30 item per ciascuna delle scale) ulteriormente suddivise in tre sottoscale di 10 item ciascuna (90 item in tutto). Complessivamente si arriva ad un profilo articolato in 9 sottoscale che forniscono 9 punteggi diversi. Gli item sono costituiti da affermazioni positive o negative riguardanti opinioni, atteggiamenti e comportamenti inerenti l’impegno scolastico. Al soggetto viene chiesto di indicare quanto ritiene che l’affermazione sia vera o falsa attribuendo il punteggio su una scala da 1 (sicuramente falso) a 4 (sicuramente vero). Le tre sottoscale sono: (1) “motivazione alla riuscita”, suddivisa nelle sottoscale (a) impegno nello studio, (b) gestione delle difficoltà, (c) accettazione delle finalità di apprendimento; (2) “atteggiamento verso lo studio”, suddivisa nelle sottoscale (d) autocontrollo dell’emotività, (e) attribuzione del successo scolastico e (f) attenzione e concentrazione; (3) le “strategie di apprendimento”, suddivise nelle sottoscale (g) organizzazione del materiale di studio, (h) organizzazione personale e (i) strategie metacognitive. Interessi Professionali Per gli interessi professionali viene utilizzato il test SDS – Self directed Search di Holland, Powell, Fritzsche (1994) nell’adattamento italiano di Poláček (2003). In particolare la versione utilizzata corrisponde all’adattamento italiano della forma R (forma regolare) nella sua quarta edizione. L’SDS è uno strumento di orientamento professionale autosomministrabile, autocorregibile e autointerpretabile (ma può essere utilizzato anche da consulenti di orientamento) che si ispira al modello esagonale di Holland. Ai 6 vertici identificati dall’esagono (Realistico, Investigativo, Artistico, Sociale, Imprenditoriale) vengono associati tratti personali, preferenze, competenze e professioni. Il numero totale delle domande è 228. Il risultato del test è un punteggio non standardizzato per ciascuno dei vertici dell’esagono. 249 Gli strumenti adottati CAPITOLO 5 Gli strumenti adottati I colloqui Per indagare le dimensioni considerate centrali del percorso, anche nell’ambito dei colloqui, sono state messe a punto specifiche check-list come guida e supporto per il consulente. Ogni check-list è stata dunque pensata come sostegno all’esplorazione delle dimensioni di analisi. Un punto che si considera importante riguarda la possibilità di creare/mantenere un filo conduttore nei colloqui (quindi nella relazione) che limiti il rischio di frammentazione e dispersione dei contenuti affrontati. Le informazioni che emergono dai colloqui e dai profili dei questionari dovrebbero, quindi, essere lette nel loro continuo intreccio con attenzione a due aree di risorse: – quelle qui definite di base: coping, attribuzione causale e autoefficacia; – quelle ritenute utili per decidere: motivazione, metodo di studio e interessi professionali. Le check-list, proprio perché hanno il compito di facilitare la lettura sia delle singole dimensioni sia del loro legame nei termini di possibili “formule comunicative”, non sono tracce rigidamente strutturate o esaustive del tema, ma esclusivamente stimoli alla riflessione. Gli esempi di domande non sono stati pensati con riferimento a una sequenza determinata: ogni consulente può riformulare queste domande, proporne altre, invertire l’ordine, ecc. secondo il proprio stile e modo di condurre il colloquio. Le check-list sono complessivamente tre e sono articolate secondo le dimensioni proprie di ogni colloquio, riservandosi sempre e comunque uno spazio per i rimandi e alcune “domande di controllo” nei colloqui successivi. Un percorso alternativo di valutazione Rinviando la dettagliata descrizione del percorso e della fase di valutazione alla recente pubblicazione ISFOL, si vuole integrare questa breve presentazione del percorso con i risultati di un percorso alternativo di valutazione della pratica. Per verificare la rispondenza del percorso di orientamento alle reali esigenze dei soggetti è stato successivamente messo a punto un percorso di verifica innovativo. In sintesi, i dati ottenuti sui soggetti sono stati sottoposti – attraverso specifiche tecniche statistiche – a classificazione automatica4. L’intento era quello di sostenere il processo di analisi del4 Per la descrizione dettagliata della procedura statistica utilizzata si rinvia a Laudadio A., Porcelli 250 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO la domanda di orientamento dei giovani, a carico degli operatori, coerentemente con la necessità, di più ampio respiro, di mettere a punto percorsi specifici in risposta ad una domanda specifica degli utenti di orientamento. Sono stati identificati dei soggetti prototipici (ovvero altamente rappresentativi) del gruppo di riferimento, che vengono di seguito presentati. Cluster I – Gli “inattivi” Il cluster è composto per il 60,63% da maschi e per il rimanente 39,37% da femmine. I soggetti di questo cluster attribuiscono il successo a cause esterne, in particolare ad aiuto e fortuna, e l’insuccesso all’incapacità o alla mancanza di aiuto. Sembrano soggetti fortemente demotivati. Punteggi bassi (nella motivazione alla riuscita, n.d.a.) sono indicativi della tendenza a considerare lo studio come un dovere difficile e opprimente e ad impegnarsi il minimo indispensabile nell’esecuzione dei compiti o nel raggiungimento degli obiettivi scolastici. Punteggi bassi (nell’atteggiamento verso lo studio, n.d.a.) indicano la tendenza a non organizzare e pianificare la propria giornata di studio, a lasciarsi facilmente distrarre da pensieri o attività extrascolastiche, ad assumere un atteggiamento “passivo” e “superficiale” nei riguardi dei contenuti dell’apprendimento. Punteggi bassi (nelle strategie di apprendimento, n.d.a.) indicano la tendenza ad assumere un comportamento che non tiene conto della particolarità del compito da affrontare, delle competenze personali, della necessità di verificare il proprio lavoro (Mancinelli, 2002). Hanno strategie di coping passive (in particolare autocolpevolizzazione/autocritica ed evasione/evitamento), nonché un basso senso di autoefficacia, che si rivela alto solo in corrispondenza della capacità di portare a termine i lavori. Cluster II – I “preoccupati” Il cluster è composto per il 59,85% da femmine e per il 40,15% da maschi. I soggetti di questo cluster attribuiscono all’impegno le situazioni di successo e all’incapacità e alla mancanza di impegno quelle di insuccesso. Hanno un buon livello di motivazione generale. Lo stile di coping di questi soggetti è riconducibile o all’autocritica o all’analisi e valutazione della situazione. Peraltro è interessante osservare che questi R., Amendola M., Grimaldi A. (2005), PassoallaPratica, un percorso ISFOL di orientamento. Rilettura della sperimentazione. Osservatorio ISFOL. Anno XXVI n. 4 2005. 251 Un percorso alternativo di valutazione CAPITOLO 5 Un percorso alternativo di valutazione punteggi, incrociati con i livelli bassi di autoefficacia generale e medi di autoefficacia nel portare a termine i lavori, sono indicativi di un atteggiamento propositivo ma allo stesso tempo preoccupato rispetto agli eventi della vita (sarà possibile rilevare tale dato nella descrizione del prototipo). Cluster III – Gli “attivi” Il cluster è sostanzialmente equiripartito tra maschi (50,37%) e femmine (49,63%). I soggetti di questo cluster attribuiscono all’abilità e all’impegno il successo, alla mancanza di impegno l’insuccesso. Hanno una altissima motivazione generale e strategie di coping attive (in particolare una alta “analisi e valutazione della situazione” e una alta “ricerca di supporto sociale”), nonché un’alta autoefficacia generale che è più lieve in corrispondenza della capacità di portare a termine i compiti. Cluster IV – Gli “evitanti” Il cluster è composto per la maggior parte da maschi (73,79% contro il 26,21% di femmine). I soggetti di questo gruppo attribuiscono il successo alla loro abilità o alla facilità del compito e l’insuccesso alla sfortuna o alle difficoltà. Hanno una buona motivazione generale. La loro principale strategia di coping è l’evitamento. Hanno una buona autoefficacia in attività diverse e nel controllo emozionale. Dalla analisi dei cluster sono stati estratti i prototipi di ciascun cluster e, con la tecnica delle distanze euclidee, sono stati individuati, tra i soggetti che hanno partecipato a PassoallaPratica – campione “utenti” – coloro che maggiormente gli assomigliavano. Di seguito vengono descritti i 4 percorsi che assumiamo come rappresentativi di ciascuno dei cluster individuati. Percorso tipo “Inattivi” Descrizione Samantha5 è una ragazza di 19 anni di Roma, che frequenta un corso quinquennale per odontotecnici presso un Istituto Professionale Statale per l’Industria e l’Artigianato, e che ha una situazione scolastica di “sufficienza”. Tra tutte le materie preferisce la gnatologia6 mentre, al 5 6 252 I nomi utilizzati per la descrizione dei profili sono di fantasia. Materia scientifica che studia da un punto di vista medico la bocca. MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO contrario, non ama la matematica, avendo accumulato da sempre lacune: per quattro anni ha avuto un debito formativo nella materia; l’anno scorso tuttavia, frequentando i corsi di recupero, è riuscita a migliorare e a non prendere il debito. Ha perso un anno di scuola (III anno delle superiori) a causa di una seria malattia della madre che l’ha “distratta” dagli impegni scolastici. Samantha si definisce timida e lunatica, non ha molti rapporti con i compagni di scuola, ritenendoli infantili, mentre è molto legata alla sua compagna di banco. Nella scheda di adesione indica che le piace la musica e stare insieme agli amici. Non pratica sport. Non ha idee chiare su cosa fare, ma dichiara di non voler fare l’odontotecnico perché è un lavoro troppo solitario; preferirebbe, piuttosto, un lavoro a contatto con le persone; ha pensato infatti all’igienista dentale, sfruttando così le nozioni specifiche acquisite nel corso di studi. Rispetto a questa scelta è preoccupata di non farcela sia nella fase di accesso7, che nel prosieguo. Per il corso di studi la spaventano il numero di esami, la quantità di pagine da studiare e la differenza nell’approccio allo studio rispetto alle scuole superiori. Motivazione al percorso Samantha non ha mai partecipato ad un percorso di orientamento prima di PassoallaPratica. La motivazione che l’ha spinta a intraprendere il percorso di orientamento risiede nel bisogno di conoscere se stessa più approfonditamente, di avere indicazioni chiare ed esaustive sulle opportunità post diploma esistenti al fine di definire possibili percorsi di studio e, in seguito, di lavoro. I dati emersi dai questionari Coping: risulta basso il fattore di valutazione della situazione (4) e quello di ricerca di supporto sociale (4); alti invece sono i punteggi riguardanti le strategie di evasione ed evitamento (6) e la tendenza all’autocritica (7). L’autoefficacia è bassa su tutti i fattori (da 0 a 39). Rispetto all’attribuzione causale i risultati evidenziano una sottovalutazione dell’impegno personale sia nelle situazioni di successo che di insuccesso, una sopravvalutazione della fortuna nelle situazioni di succes7 Per l’accesso agli studi universitari di igienista dentale, essendoci il numero chiuso è obbligatorio il test di ingresso, comune a tutte le professioni sanitarie. 253 Percorso tipo “Inattivi” CAPITOLO 5 Percorso tipo “Inattivi” so e una sopravalutazione dell’abilità negli insuccessi. Sostanzialmente Samantha ritiene che i suoi successi siano causati da colpi di fortuna e i suoi insuccessi dovuti al fatto che “non è capace in quelle cose”. Sono bassi i fattori di motivazione alla riuscita (4) e l’atteggiamento verso lo studio (4), con un basso controllo dell’emotività e una bassa attenzione e concentrazione; medio (5) è invece il fattore riguardante le strategie di apprendimento. Il codice ottenuto nel test SDS è A/E/S (20) – R (18) che non fornisce una particolare propensione, ma esclude nettamente il profilo “convenzionale”. Nella sezione “Sogni ad occhi aperti” indica nell’ordine: Igienista dentale, Gestore di profumeria, Estetista, Regista pubblicitario, Veterinaria, Ballerina. I dati emersi dai colloqui I dati emersi dai colloqui confermano le indicazioni provenienti dai questionari. Emerge l’idea di una persona un po’ pigra, insicura, che si accontenta della situazione. Di fronte a una situazione problematica e nuova, afferma spesso di non sentirsi in grado e di aver paura di affrontarla, spesso cercando di evitare di affrontare la situazione. L’esempio del debito in matematica le indicano però che, laddove ci mette impegno, i risultati arrivano. Non ha di sé una fiducia enorme; è piuttosto insicura, in particolare verso le sfide non conosciute. L’ignoto la spaventa e istintivamente non ritiene di essere in grado di fronteggiarlo. La motivazione allo studio è bassa, fa l’indispensabile, più per dovere che per interesse. Non ritiene lo studio attuale importante per il proprio futuro professionale. La costruzione del proprio profilo professionale per lei comincia ora, con la scelta post diploma. Risorse su cui contare e le aree di sviluppo Samantha appare come una ragazza che ha delle potenzialità e delle risorse personali ma non le ha ancora espresse completamente. Vuole portare a termine il percorso scolastico “senza debiti”, “dignitosamente”, ma ci investe poco, sia in termini di impegno che di interesse. Rispetto alle scelte future l’obiettivo della prosecuzione degli studi e quello dell’iscrizione al corso di laurea breve di igienista dentale appare ancora sfumato e poco concreto. Rispetto alla scelta universitaria è stato impostato, insieme a lei, un piano d’azione che prevede una prima fase di ricerca di informazioni relative al corso di studi attraverso il sito dell’Università di Roma, alle guide degli studenti, alla ricerca delle ma254 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO terie, se possibile, dei test degli anni precedenti su cui verterà l’esame di ammissione al corso di laurea e un contatto diretto con il mondo universitario, attraverso un incontro con studenti universitari già iscritti e attraverso una visita agli sportelli SORT dell’Università la Sapienza e ai servizi di orientamento delle altre Università romane. Percorso tipo “preoccupati” Descrizione Cinzia è una ragazza di 18 anni della provincia di Ancona, dove frequenta l’indirizzo Aziendale in un Istituto di Stato per Servizi Alberghieri, Ristorazione Commerciale Turistico. Nella scheda di adesione indica che suona in una banda e che le piace stare insieme agli amici. Frequenta una palestra. I problemi che la preoccupano maggiormente in questo momento riguardano lo studio e la scelta futura. Prova una certa ansia in riferimento all’esame di maturità che però ritiene di poter superare con prontezza. Dopo la maturità pensa di ricercare un impiego inerente il titolo di studio e sicuramente non intende intraprendere studi universitari anche se si mostra interessata a conoscere e valutare la possibilità di seguire un corso di Formazione Professionale. Motivazione Cinzia ha già aderito a un percorso di orientamento prima di PassoallaPratica, al quale partecipa per acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità personali e per sentire – inoltre – una voce diversa da parte di persone “esterne”, rispetto a quelle dell’ambiente familiare e scolastico. I dati emersi dai questionari Per il coping risulta basso il fattore di ricerca di supporto sociale (3) e quello di analisi e valutazione delle situazione (4). Alti invece sono i punteggi riguardanti le strategie di evasione ed evitamento (5) e la tendenza all’autocritica (6). L’autoefficacia è bassa su tutti i fattori (da 0 a 39). Rispetto all’attribuzione causale i risultati evidenziano una attribuzione, sia in caso di successo che di insuccesso, all’impegno. Basso il ricorso alla strategia di apprendimento (4) con un bassissimo punteggio (2) per l’organizzazione dei materiali. Sono nella media la mo255 Percorso tipo “Inattivi” CAPITOLO 5 Percorso tipo “preoccupati” tivazione alla riuscita (5) e buono l’atteggiamento verso lo studio (7). Rispetto al test SDS il codice ottenuto è C (37) - E (28) – A/S ((17). Nella sezione “Sogni ad occhi aperti” indica: Impiegata, Parrucchiera/Estetista, Avvocato. I dati emersi dai colloqui I dati emersi dai colloqui confermano le indicazioni provenienti dai questionari. Di fronte a situazioni difficili e complesse Cinzia non si mostra sicura di poter reagire positivamente, né sembra ricorrere al supporto sociale. Prevale un atteggiamento introverso e una propensione alla chiusura. Il pessimismo che solitamente nutre, e che ha dichiarato come una sua caratteristica, le impedisce di mettersi in gioco in prima persona se non per situazioni strettamente dovute e necessarie. In particolare, questo emerge nella descrizione di comportamenti di consolazione del tipo “tanto fan tutti così…”, “capita anche agli altri…” tendenti a minimizzare le situazioni, che non vengono quindi analizzate del tutto per essere affrontate e superate. Risorse su cui contare e le aree di sviluppo In definitiva Cinzia ha già presente il suo percorso post-diploma: ricercare un lavoro aderente al titolo di studio e – se è il caso – frequentare un corso di Formazione Professionale. Anche l’area di interesse è piuttosto precisa e riguarda lavori di tipo convenzionale, in particolare impiegatizio. L’atteggiamento verso lo studio è positivo: il suo rendimento scolastico è sopra la sufficienza e avverte l’esame di maturità come una prova molto impegnativa, ma non insormontabile. La capacità di impegno non le manca; l’ordine e la precisione sono il suo forte. Tutte queste caratteristiche depongono a favore di una sua riuscita nello studio e nel lavoro. In ogni caso è opportuno tenere presente anche possibili punti di debolezza dovuti ad una bassa fiducia nelle proprie possibilità e una difficoltà a gestire adeguatamente le proprie emozioni che la portano spesso a non mettersi in gioco in prima persona e a limitare le situazioni nuove. Riuscire ad attenuare questi tratti e frenare il pessimismo con cui si difende dalla paura dell’insuccesso potrebbe avere effetti positivi sulla sua capacità di scegliere con maggiore risolutezza le attività da intraprendere, per meglio individuare e selezionare obiettivi personali e aspirazioni professionali. Migliorare su questo fronte vuol dire dare più colore e calore alle sue scelte future. A questo punto – anche in considerazione di come Cinzia ha vissuto 256 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO la recente esperienza di stage programmato dalla sua scuola e che l’ha vista più attenta a ruoli e competenze in situazione lavorativa – sembra opportuno suggerire la ricerca di ulteriori occasioni di contatto e di approfondimento della conoscenza del mondo del lavoro e delle professioni. Sperimentare situazioni nuove e significative e aumentare la gamma delle informazioni sugli aspetti dei lavori e delle professioni aiuterebbero Cinzia ad impostare con maggiore sicurezza le scelte legate alla carriera professionale, a individuare la formazione adeguata e a seguire, nel contempo, l’evolversi e la caratterizzazione delle sue competenze. Forse ciò la porterebbe anche ad essere più pronta, a vincere la titubanza a “buttarsi”, giocarsi in prima persona e a sviluppare quella parte di interessi professionali legati alla dimensione dell’imprenditorialità che pure è emersa nel questionario SDS. Percorso tipo “Attivi” Descrizione Elena è una ragazza di 18 anni della provincia di Cuneo, dove frequenta un Istituto Tecnico Commerciale per diventare Ragioniera. Nella scheda di adesione indica che le piace cucire e adora i bambini piccoli. Frequenta una piscina e lavora il sabato pomeriggio. I problemi che avverte con maggiore preoccupazione in questo momento riguardano la scelta futura, lo stress e problemi di tipo psicologico (ansietà, insicurezza e nervosismo). La decisione di diventare ragioniera – a suo tempo – è avvenuta a partire dall’analisi di due motivazioni: da un lato, il sentirsi portata per il tipo di studi scelto unito al desiderio di terminare le scuole superiori con l’acquisizione di un titolo spendibile nel mondo del lavoro; dall’altro, le aspettative della famiglia. Motivazione Elena non ha mai partecipato ad un percorso di orientamento, tuttavia ha deciso di partecipare a PassoallaPratica perché vorrebbe proseguire gli studi all’università, ma le resta il dubbio relativo all’area da scegliere. Si è decisa a partecipare ai colloqui per avere uno spazio di confronto individualizzato e per ragionare sulle proprie attitudini, in modo da raccogliere elementi utili per definire la scelta della facoltà. 257 Percorso tipo “preoccupati” CAPITOLO 5 Percorso tipo “Attivi” I dati emersi dai questionari Rispetto al coping risulta molto basso il fattore Evasione/Evitamento (2) ed Autocolpevolizzazione/Autocritica (2). Sono alti, al contrario, i punteggi in Analisi e Valutazione della Situazione (6) e Ricerca di Supporto Sociale (6). L’autoefficacia è alta su tutti i fattori (>50) ma, in particolare, è molto alta (54) nella capacità di portare a termine i compiti. Rispetto all’attribuzione, i risultati evidenziano una attribuzione interna sia in caso di successo che di insuccesso. Nello specifico, l’attribuzione in caso di successo è alle Abilità e all’Impegno mentre in caso di insuccesso è all’Impegno. Alta è la motivazione nell’atteggiamento verso lo studio (7) e Strategie di apprendimento (7). Altissima (8) è la motivazione alla riuscita. Estremamente alto (9) è il punteggio nelle strategie Metacognitive. Relativamente al test SDS il codice ottenuto è C (42) - E (41) – S (26). Nella sezione “Sogni ad occhi aperti” indica: Imprenditore, Dirigente, Interprete, Pediatra, Direttore di Banca. I dati emersi dai colloqui Durante i colloqui sono stati affrontati aspetti relativi alla definizione del proprio percorso di scelta post diploma, a partire dalle valutazioni sulla scuola scelta fino ai desideri in relazione alle proprie prospettive. Oggi Elena ritiene più importante continuare ad investire nella formazione al punto che, se ricevesse una offerta di lavoro interessante, vi rinuncerebbe per non rischiare di perdere la voglia di studiare. Dà molto valore alla cultura in generale, al possedere competenze trasversali spendibili in più settori, marcia in più per presentarsi sul mercato del lavoro e aspirare a “cariche importanti”. L’interesse per l’inglese ne è un esempio: ha avuto modo di approfondirlo in virtù di viaggi-studio estivi e sicuramente continuerà ad approfondirlo per il “gusto di sapere” cose nuove che siano spendibili. Si riconosce capacità di tipo relazionale e gestionale, importanti per la riuscita in diversi campi professionali. Sa ascoltare, analizzare e affrontare i problemi con calma, tenta sempre di individuare possibili soluzioni ed è disponibile nei confronti degli altri. Riconosce di essere una buona organizzatrice, capace di individuare le priorità da perseguire e di pianificare il tempo necessario in relazione ai diversi impegni di cui si è fatta carico. Un tratto caratteristico del suo modo di essere è la metodicità: cerca sempre di reagire di fronte a qualunque situazione senza perdere la 258 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO concentrazione, al fine di fronteggiare ogni evento nel modo migliore, seguendo l’insegnamento della madre, che ama ricordarle che “prima o poi una soluzione si trova”. Risorse su cui contare e le aree di sviluppo Elena concorda con il quadro emerso dall’analisi, da cui emerge un profilo molto coerente rispetto a quanto lei stessa pensa di sé. Riprendendo la motivazione che l’ha spinta a partecipare al percorso e mettendola in relazione con quanto emerso durante i colloqui, pensa di poter definire la scelta della facoltà universitaria: frequenterà Economia e Commercio. Per continuare a coltivare anche la sua seconda area di interesse, lo studio delle lingue straniere, cercherà informazioni sui progetti di studio all’estero (ad esempio i corsi ERASMUS) non escludendo di scegliere, in futuro, una specializzazione universitaria che la possa portare a studiare, e poi lavorare, anche all’estero. Sa che il percorso di studi sarà lungo, ma è pronta ad investire tempo ed energie perché vuole riuscire a svolgere un giorno un lavoro “importante”, che venga riconosciuto anche dagli altri, in cui mettere a frutto tutte le proprie capacità ed attitudini. Percorso tipo “evitante” Descrizione Giuliana è una ragazza di 18 anni, della provincia di Catania, e frequenta il Liceo Linguistico. Nella scheda di adesione indica che le piace leggere romanzi e dipingere. Frequenta una pista di pattinaggio. I problemi che avverte con maggiore preoccupazione in questo momento riguardano la sua vita sentimentale oppure sono di natura psicologica (ansia, insicurezza o nervosismo). Motivazione Giuliana non ha mai partecipato ad un percorso di orientamento. Durante il primo incontro, riferisce di aver aderito con molto interesse a questa iniziativa avendo esigenza di definire il percorso universitario da intraprendere e ritenendo che il confronto con un esperto potrebbe aiutarla, in quanto si definisce insicura e disorientata. 259 Percorso tipo “Attivi” CAPITOLO 5 Percorso tipo “evitante” I dati emersi dai questionari Nel coping risulta molto basso il fattore Ricerca di Supporto Sociale (2) ed Analisi e Valutazione della Situazione (4). Sono alti i punteggi in Autocolpevolizzazione/Autocritica (6) ed Evasione/Evitamento (7). L’autoefficacia è bassa per ciò che riguarda la capacità di prendere decisioni (>39) mentre è alta per tutti gli altri fattori (>55). Il test sugli stili attribuzionali evidenzia una attribuzione interna alle abilità in caso di successo e una forte sottovalutazione dell’impegno. In caso di insuccesso l’attribuzione è alla sfortuna. La motivazione allo studio è medio bassa (4) per tutte le dimensioni. In particolare è molto bassa per quello che riguarda le strategie metacognitive (3). Rispetto al test SDS, il codice ottenuto è I (27) - A (26) – S (21). Nella sezione “Sogni ad occhi aperti” indica: Hostess, Professoressa di lingue, Dietologa, Baby-Sitter, Ballerina, Estetista. I dati emersi dai colloqui Giuliana confermerebbe oggi la scelta da lei effettuata di frequentare il liceo linguistico e pensa di proseguire a livello universitario lungo la stessa direzione intrapresa al liceo. Esprime in altri ambiti (disegno e cucina) doti di creatività e manualità. La famiglia rappresenta per Giuliana un punto di riferimento importante, in certe occasioni quasi “un rifugio”: nelle relazioni sociali esterne si definisce insicura e riconosce di dover perfezionare competenze di tipo comunicativo. Al secondo colloquio riferisce che l’aver riflettuto su se stessa, sollecitata dal colloquio precedente e dai questionari compilati, ha accresciuto il suo senso di sicurezza. Durante il primo colloquio è stato necessario, da un lato, ridurre l’ansia derivante da una rappresentazione della scelta, intesa come definitiva e, dall’altro, potenziare le competenze metodologiche di decision making attraverso l’esplicitazione delle fasi, affrontate insieme, per la soluzione del problema. Emergono alcune criticità in relazione alla forte tendenza all’evitamento. Risorse su cui contare e le aree di sviluppo Le principali risorse di Giuliana, emerse durante il percorso, sono già state descritte. In particolare si è mostrata molto ricettiva e ha acquisito un ruolo più attivo e consapevole nei confronti della scelta. 260 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Conclusioni La transizione Scuola superiore – Università (oppure) Scuola superiore – Mondo del Lavoro sembra presentarsi – se si conservano le prospettive esplicitate in premessa – come una biforcazione a cui i sistemi (gli individui) rispondono con una scelta. Se si accettano le considerazioni già avanzate in premessa, gli individui, in una fase di scelta, si troverebbero in una situazione di non equilibrio. Come possiamo aiutarli a fare la scelta migliore? La proposta che sottende la progettazione del percorso PassoallaPratica è quella di offrire ai soggetti uno spazio narrativo nel quale riflettere su se stessi, sulle proprie risorse e aree di sviluppo individuali. A posteriori, guardando i risultati di questo studio, sembra esserci una buona rispondenza tra le tipologie individuate (e le relative caratteristiche dei gruppi) e le dimensioni oggetto dell’intervento. In particolare, sembra che due dimensioni riescano a rendere conto di ben tre gruppi. La prima dimensione sembra essere il Coping, ed in particolare la strategia di evitamento. La seconda dimensione sembra essere legata all’energia o comunque al livello generale di attivazione o di autoefficacia. Inoltre, emergono due aspetti interessanti: in primo luogo la rispondenza e integrazione tra i risultati degli strumenti e dei colloqui. In secondo luogo la forte integrazione tra le dimensioni utilizzate nel definire e dettagliare i profili dei soggetti. Queste considerazioni possono offrire interessanti spunti anche per successivi interventi di progettazione e definizione di percorsi di orientamento, così come auspicato da più parti, al fine di mettere a punto percorsi il più possibile coerenti e vicini alla domanda di orientamento che viene posta agli utenti dei servizi in tale ambito professionale. Riferimenti bibliografici Bandura, A. (1986). Social foundations of thought and actions. A social cognitive theory. Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall. De Beni, R., Moé, A. (1995). Manuale del Questionario di Attribuzione. Organizzazioni Speciali, Firenze. Grimaldi, A., Ghislieri, C. (a cura di) (2004). Io di fronte alle situazioni. Uno strumento per l’orientamento. FrancoAngeli, Milano. Guichard, J., Huteau, M. (2003). Psicologia dell’orientamento professionale. Trad. it. Raffaello Cortina Editore, Milano. Holland, J., Powell, A, & Fritzsche, B. (1994). Self-Directed Search: Professional user’s guide. Odessa, FL. Psychological Assessment Resources. 261 CAPITOLO 5 Ioannis Antoniou, Epilogo, (2003). In Prigogine Ilya, Il futuro è già determinato? Di Renzo Editore, Roma. Lent, R. W., Brown, S.D., Hackett, G. (1996). Career development from a social cognitive perspective. In D. Brown, L. Brooks (a cura di), Career. Choice and development (3rd ed.). San Francisco, Jossey Bass. Mancinelli, M.R. (2002) Manuale del Questionario di Motivazione e Metodo. Vita e pensiero, Milano. Nota, L., Soresi, S. (2003). Autoefficacia nelle scelte. La visione sociocognitiva dell’orientamento. ITER-Institute for Training Education and Research., Giunti, Firenze. Pessa, E. (2003). Introduzione, in Prigogine Ilya, Il futuro è già determinato? Di Renzo Editore, Roma. Poláček, K. (a cura di) (2003), Manuale dell’adattamento italiano dell’SDS Self-Directed Search di J.L. Holland, A.B. Powell, B.A. Fritzsche., Organizzazioni Speciali, Firenze. Prigogine Ilya, The Arrow of Time - La Freccia del Tempo. (1999a). Discorso inaugurale del Congresso su “L’Universo Caotico” del premio Nobel Ilya Prigogine in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Comune di Pescara. ICRA International Center for Relativistic Astrophysics – ICRA Network n. 4. Prigogine Ilya, (1999b). Le leggi del caos., Editori Laterza, Bari. Prigogine Ilya, (2003). Il futuro è già determinato? Di Renzo Editore, Roma. Soresi, S. (a cura di) (2000). Orientamenti per l’orientamento: ricerche e applicazioni dell’orientamento scolastico-professionale.Giunti, ITER-Institute for Training Education and Research Firenze. Vygotsky, L.S. (1968). Pensiero e linguaggio. Giunti-Barbera, Firenze. Watzlavick, P. (a cura di) (1998). La realtà inventata. Contributi al costruttivismo. Feltrinelli, Milano. 262 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO 5.10 VERSO UN MODELLO DI ORIENTAMENTO PER IL SETTORE AGROALIMENTARE di Massimo Ferraro1 Premessa Il settore agroalimentare – con le diverse componenti di cui è composto e con i legami di sistema con cui si connette ad altri settori produttivi e distretti territoriali di sviluppo rurale – rappresenta un ambito nel quale stanno sempre più emergendo nuove opportunità occupazionali, sia per i ruoli operativi e tecnico che imprenditoriali. Il recente cambio epocale del settore agricolo, da semplice settore produttivo a sistema agroalimentare aperto ed orientato alle problematiche ambientali, alla qualità dei prodotti agroalimentari, alla sicurezza alimentare, alla pianificazione territoriale, all’educazione ambientale ed alimentare e, non ultimo, alle produzioni non alimentari, come le biomasse ed altre, conferma la valenza strategica, anche in termini di trend occupazionali positivi, che le prospettive della multifunzionalità e diversificazione agricola ricoprono per l’intera collettività nazionale, sostanziando così il nuovo ruolo sociale del sistema agroalimentare ed ambientale. Questa evoluzione radicale del ruolo dell’agricoltura nel territorio richiede l’attivazione di nuove linee di servizi, indispensabili per il conseguimento dell’obiettivo di uno sviluppo integrato del settore ma ancora pienamente da sviluppare, come nel caso dell’orientamento alle persone, alle imprese ed allo sviluppo del territorio nel suo insieme. La presenza di qualificate strutture di orientamento, consulenza e formazione, finalizzate alle problematiche dei comparti agro-alimentare e agro-ambientale, rappresenta attualmente un fattore chiave e determinante ad una piena espressione delle potenzialità di settore. Inoltre, la particolarità dei servizi di orientamento espressa dal sistema agricolo comporta una modificazione delle funzioni tradizionali dell’orientamento, nella direzione di un legame più dinamico fra attese dell’individuo e opportunità territoriali. Esiste la necessità per gli operatori agricoli di superare una visione aziendale “adattiva”, che miri unicamente a conseguire una redditività minimale, per una visione imprenditoriale “innovativa”, basata sulla 1 Direttore generale INIPA, Capo Area Ricerca, Formazione & Sviluppo di Coldiretti. 263 CAPITOLO 5 Premessa capacità di cogliere e rispondere alle nuove prospettive e sfide del settore. Oggi, gli imprenditori agricoli nell’affrontare le nuove sfide poste dalle recenti evoluzioni sociali, economiche e normative, devono mettere sempre di più in gioco la propria capacità di cambiamento e di propensione all’innovazione. Questo richiede un adeguato sviluppo delle risorse umane e delle capacità imprenditoriali nelle nuove generazioni, soprattutto nel delicato momento del ricambio generazionale nelle aziende. Su questa linea di produzione sperimentale di nuove metodologie e strumenti di servizi per l’agro alimentare si inserisce, pertanto, questo modello di orientamento, frutto di una pluriennale ricerca-azione sperimentale (2002-2005) realizzata da INIPA-Coldiretti, con il patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. I numeri dell’agroalimentare in Italia Roma ha un patrimonio, in termini di territorio ancora affrancato dall’urbanizzazione, che non ha pari. Molte delle aree comunali conservano la vocazione agricola: con i suoi 63.000 ettari di zone coltivate, circa il 50% dell’intero territorio, è il primo comune agricolo d’Italia ed il più grande d’Europa. Roma città agricola, Italia leader europeo nell’agroalimentare Questa suggestiva realtà è rappresentativa di un nuovo trend positivo nazionale, in controtendenza rispetto agli ultimi decenni, di rivalorizzazione del settore, che vede un nuovo modello di rapporto tra agricoltura e sviluppo sostenibile, per la salvaguardia territoriale ed ambientale e per la sicurezza alimentare. L’Italia è, da sempre, un Paese dalle molteplici e straordinarie risorse agricole. L’agricoltura italiana, tuttavia, oggi non produce più “mate264 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO ria grezza o prima”, come si diceva un tempo, ma prodotti ad alto valore aggiunto, “beni” alimentari di eccellente qualità, legati al territorio e all’ambiente, alle tradizioni e alla identità dei luoghi e che come tali, hanno contribuito allo stile e alla diffusione del made in Italy nel mondo perché sono espressione di cultura, conoscenza e professionalità. Interi territori rurali si sono conformati alle attività agricole coniugando costantemente modernità e tradizione, fattori economico-finanziari e coesione sociale. Nella standardizzazione degli stili di vita, nelle difficoltà del “consumo responsabile”, insieme ad una oggettiva difficoltà legata ai prezzi al consumo e ai costi di produzione, cresce nei cittadini/e una volontà di conoscenza sulla identità e sulla qualità del cibo. I nuovi tracciati di Filiera Agroalimentari, come proposti da Coldiretti, che portano fino al consumatore e che da esso vengono legittimati, sono uno strumento ideale per dare corposità alla congiunzione tra politica agricola e politica economica e sociale. L’obiettivo di questo processo di “rigenerazione” dell’agricoltura è di liberare tutte le opportunità che la moderna agricoltura può offrire nella società post-industriale per dare reddito alle imprese e garantire più sicurezze ai cittadini. È di questi giorni l’approvazione definitiva della legge “salva cibo Made in Italy” che assicura ai prodotti alimentari legati ai nostri territori il giusto spazio sugli scaffali dei supermercati, invasi da prodotti stranieri, nell’interesse delle imprese agricole e dei consumatori. Una ottima possibilità per l’apertura anche in Italia dei Farmers Market, i mercati gestiti direttamente dai coltivatori per la vendita diretta dei propri prodotti, rendendo molto più conveniente l’acquisto, come prezzi e qualità alimentare (ALIMENTI A CHILOMETRO ZERO). È proseguito anche nel 2005 il processo di valorizzazione qualitativa dei prodotti e di diversificazione dell’offerta delle imprese agricole italiane, con una crescita delle vendite dirette e delle produzioni a denominazione d’origine. Il fatturato dell’agroalimentare nazionale (agricoltura, industria, distribuzione e servizi) vale circa il 15% del PIL nazionale. In agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese (16% del totale imprese italiane), mentre circa 70.000 sono quelle dell’industria alimentare. Sul piano qualitativo, l’agricoltura italiana ha la leadership in Europa per numerosità di prodotti (153 – 20% del totale comunitario) che possono fregiarsi del marchio a denominazione controllata. Il valore al consumo dei prodotti nazionali a denominazione d’origine è pari a 5,6 miliardi di Euro (1,5 miliardi le esportazioni). Sempre nel corso del 2005, le specialità nell’albo nazionale dei cibi tradizionali (ottenuti secondo metodiche tradizionali praticate in parti265 I numeri dell’agroalimenta re in Italia CAPITOLO 5 I numeri dell’agroalimenta re in Italia colari territori) sono passate a 4.100, mentre secondo una recente indagine Agri 2000 nel 2005 in Italia sette italiani su dieci hanno fatto acquisti direttamente dalle circa 100.000 imprese agricole che hanno offerto questa opportunità. Infine, l’Italia è terza nella classifica mondiale del biologico e leader assoluta in Europa, preceduta soltanto da Australia ed Argentina, paesi con una disponibilità di terreni coltivati enormemente più grande di quella nazionale. Nei campi si coltiva anche l’energia elettrica e biocarburanti (più girasoli nei motori) La generazione di energia elettrica da parte delle imprese agricole, attraverso i liquami derivanti dall’allevamento, dal legname, dal mais ceroso e da altre biomasse per la produzione di biogas, rientra tra le attività connesse a quella agricola. Questa è uno dei recenti impegni pubblici di Coldiretti per fare rientrare questa opportunità (inserita nella finanziaria 2006) nel reddito agrario, resa possibile, insieme a tante altre aperture per il settore, grazie alla recente Legge di orientamento, che estende di molto il campo delle attività e valorizza il ruolo multifunzionale dell’agricoltura. Si tratta di un importante passo in avanti per valorizzare il contributo che l’agricoltura italiana può offrire allo sviluppo di alternative energetiche, meno inquinanti. Al riguardo, sempre la Coldiretti, per contrastare l’inquinamento ed il caro petrolio ha promosso l’iniziativa per produrre BioCarburanti, ottenuti da coltivazioni agricole nazionali, come i cereali, il girasole, la barbabietola, la soia e la colza, che l’Italia può produrre abbondantemente e che l’aumento dei prezzi del greggio rende più competitivi soprattutto alla luce del contributo che possono offrire al raggiungimento degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto con la riduzione delle emissioni di gas serra. Agricoltura, Importanza sociale Il progetto coldiretti per una “ rigenerazione” dell’agricoltura L’agricoltura italiana ed europea oggi si trovano in mezzo ad un difficile confronto tra Nord e Sud del mondo: da una parte mantenere le funzioni produttive organizzate in maniera squisitamente quantitativa e di largo consumo, aprendo il proprio mercato ai paesi emergenti; dall’altra però, la necessità di garantire prodotti qualitativi, i fattori ambientali e la sicurezza alimentare. Il progetto di Coldiretti per un profondo rinnovamento dell’agricoltu266 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO ra è pienamente inserito in questi processi di globalizzazione dell’economia e di riequilibrio tra il nord ed il sud del mondo, fuori dalle politiche dei protezionismi e dei sostegni che vengono progressivamente a cadere. La stessa riforma della Politica Agricola Comunitaria è, da questo punto di vista, rappresentativa di questa tendenza. Coldiretti da anni è impegnata a difendere in Italia e nell’ Unione europea il modello di agricoltura basata sull’impresa diffusa, sulla qualità delle produzioni, sulla specializzazione, sulla multifunzionalità, cioè sulla sua funzione, insieme, economica, sociale ed ambientale. I valori fondanti di questo impegno vedono le strategie di rilancio economico delle imprese coincidere sempre di più con obiettivi di carattere etico e sociale (Responsabilità Sociale d’Impresa): la tutela e la sicurezza del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente e del territorio, l’inclusione sociale nelle aree rurali, la valorizzazione delle risorse locali, la tutela del consumatore, la produzione di energie e carburanti alternativi e meno costosi ed inquinanti. Inoltre, nel rapporto città – campagna, non più contrapposto, ma complementare, i “Distretti” territoriali agroalimentari e rurali, possono costituire il volano per un rilancio forte e decisivo dell’economia agricola ma anche, per la valorizzazione integrata di intere aree rurali e di montagna, con l’avvio di politiche di interesse generale differenziate per territori ed agricolture e per le quali il paesaggio e i sistemi urbani diventano valore aggiunto e possono trovare espressione nei distretti rurali (nella loro nuova accezione). In questo scenario si collocano le questioni della protezione delle denominazioni d’origine e della biodiversità, della sicurezza alimentare, dell’innovazione biotecnologia, dell’informazione al consumatore, come capacità di corrispondere ad un livello alto ed evoluto di domanda alimentare e come condizione della competitività, elementi costitutivi di un nuovo e condiviso patto sociale tra agricoltura e società (Patto con il Consumatore di Coldiretti). Da difendere c’è dunque un interesse concreto per gli imprenditori agricoli nazionali ma anche dei consumatori come dimostra il fatto che, secondo l’Indagine 2005 COLDIRETTI-ISPO sulle opinioni degli italiani sull’alimentazione, tre italiani su quattro (+80%) sono d’accordo sul fatto che “se il prodotto alimentare è italiano sono più sicuro da dove proviene e quindi mi fido di più” e per assicurarsi l’origine italiana quasi la metà degli italiani (46%) si è detta addirittura disposta a pagare di più. Pertanto, i punti di nuova attenzione sull’agricoltura, intesa nella sua accezione più ampia di “sistema agro alimentare” e “agro no-food”, da tenere in debita considerazione sono: • individuare elementi di riqualificazione dell’agricoltura nei suoi ruoli propri, come attività produttiva da sostenere in un mercato com267 Agricoltura, Importanza sociale CAPITOLO 5 Agricoltura, Importanza sociale petitivo, e per la sua rilevanza sul versante sociale ed ambientale; • ricollocare l’agricoltura nelle priorità delle politiche economiche e sociali, ponendo al centro le imprese, il mondo del lavoro, le realtà territoriali, valorizzando, in particolare le energie giovanili e femminili; • produrre energie alternative, considerando che le risorse non rinnovabili ormai sono arrivate ad un punto di non ritorno. Nuova agricoltura, nuove opportunità Una nuova agricoltura (multifunzionale) reca con sé l’idea di un minore ricorso alle sovvenzioni pubbliche per nuove opportunità, che possono essere supportate, invece, da nuove occasioni di reddito esterne allo stretto ciclo produttivo tradizionale; emergono nuove idee di impresa e di servizi che collocano la gestione della multifunzionalità in una dimensione fortemente legata al territorio, ad una rete che diventa di sussidiarietà e valorizzazione reciproca, elemento fondamentale di una moderna gestione delle risorse per lo sviluppo locale. La nuova frontiera sulla quale impegnarsi per queste nuove opportunità di lavoro nel settore è quella del riordino delle filiere allargate fino al consumatore, dei valori premiali per la capacità di collocarsi nel mercato, del sostegno alle politiche di promozione, commercializzazione, marketing e, soprattutto, della formazione del capitale umano e dei servizi di orientamento ed accompagnamento al lavoro, all’impresa e allo sviluppo locale. I giovani imprenditori agricoli con buona scolarità che hanno introdotto cambiamenti nella gestione, nuove attività o servizi di tipo multifunzionale e certificato le proprie produzioni dichiarano di avere positive prospettive economiche e reddituali nei prossimi 3-5 anni. È quanto emerge dalla ricerca condotta da INIPA-Coldiretti alla base dello sviluppo del Modello di orientamento “AgriOrienta”. Questo dato dimostra come l’innovazione in agricoltura, quando è sostenuta da interventi qualificati di consulenza e formazione, si generi anche nelle aree “marginali” dove è più pressante l’esigenza di individuare nuove opportunità imprenditoriali, per integrare il reddito aziendale prodotto dalle attività agricole tradizionali. L’occupazione in agricoltura Nel corso del 2005 è rimasto stabile il livello occupazionale in agricoltura. Nel 2004 sono stati 113.112 i lavoratori extracomunitari occupati a tempo determinato in agricoltura e 17.979 quelli a tempo indeterminato. Da un’analisi Coldiretti dei dati Istat su base 2004, aumentano com268 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO plessivamente di ben il 2,6% le unità di lavoro dipendente impegnate in agricoltura, in netta controtendenza con il calo dello 0,7% fatto registrare nell’industria e con un contributo decisivo alla lieve crescita dei lavori dipendenti (+ 0,5%) fatta registrare per l’insieme delle attività economiche. Questo dato evidenzia una grande dinamicità del settore agricolo con un contributo record sia alla formazione del Pil (+ 10,8%) che alla crescita dell’occupazione (+ 2,6%). Con quasi 990mila unità di lavoro dipendente, si dimostra che in agricoltura il lavoro c’è sia per chi vuole seriamente intraprendere con iniziative innovative ma anche per chi chiede possibilità di occupazione. Non si tratta di un fatto marginale ma di una opportunità, per molti disoccupati, immigrati, donne e giovani, che è in grado di garantire valore economico, ambientale e sociale all’intera società. Lavoro: Coldiretti, un giovane su dieci apre impresa in campagna Tra i giovani che accettano il rischio di far nascere imprese, uno su dieci sceglie come campo di attività l’agricoltura spinto sopratutto dalla passione per un settore che riesce a coniugare la sfida con il mercato, il rispetto dell’ambiente e la qualità della vita a contatto con la natura. È quanto emerge da una elaborazione Coldiretti su dati triennali dell’ “Osservatorio sulla demografia delle imprese”: i giovani con età inferiore ai 36 anni che “si mettono in proprio” privilegiano per il 27% il commercio, seguito dall’edilizia (17%) mentre al terzo posto, quasi a pari merito, si collocano le attività manifatturiere e l’agricoltura (10%) che sale sul podio delle professioni che riscuotono il maggior interesse tra i giovani, anche nella moderna società post industriale. Il giovane che vuole diventare imprenditore nei campi – rileva la Coldiretti – è prevalentemente maschio (75%), anche se la presenza femminile è in continua crescita, con una scolarizzazione medio alta, circa il 37% possiede un diploma di scuola secondaria o una laurea, proviene da una famiglia di tradizione agricola e forse anche per questo il grande passo viene fatto in età matura e diventa pieno titolare dell’impresa in media attorno ai 35 anni. L’interesse dei giovani precisa la Coldiretti – si rivolge soprattutto alle attività agricole altamente specializzate a più alta intensità di lavoro e a più diretto contatto con il mercato come l’agriturismo, le coltivazioni biologiche, gli allevamenti non tradizionali e la trasformazione dei prodotti agricoli, come dimostra peraltro il fatto che nel 39% delle aziende condotte da giovani sono presenti impianti di lavorazione della produzione. 269 Nuova agricoltura, nuove opportunità CAPITOLO 5 Nuova agricoltura, nuove opportunità L’elevato valore aggiunto delle imprese guidate da giovani offre un grande contributo al raggiungimento dei primati qualitativi e quantitativi dell’agricoltura italiana anche se – spiega la Coldiretti – la presenza delle “nuove leve” resta comunque limitata nel settore primario dove gli under 35 sono quasi centomila e rappresentano solo il 10% del totale dei conduttori di azienda. Sono infatti numerosi gli ostacoli che frenano il crescente entusiasmo verso l’agricoltura dimostrato peraltro – ricorda la Coldiretti – da una recente indagine del mensile universitario Campus secondo la quale il sogno di aprire un agriturismo è preferito al posto di manager in una multinazionale. Si tratta in primo luogo – spiega la Coldiretti – degli elevati costi di insediamento connessi alla disponibilità del capitale terra che i giovani faticano ad affrontare e questo spiega il fatto che solo nel 54% dei casi è in proprietà rispetto al 74% della media nazionale. Ma difficoltà si registrano anche nell’accesso al credito, nella formazione e nell’assenza di un tutoraggio qualificato necessari per sostenere gli investimenti innovativi e per questo, è fondamentale offrire ai giovani un “Pacchetto” di misure ed interventi, anche di orientamento, a sostegno delle giovani imprese. Orientare in agricoltura, modello Coldiretti Modello servizi orientamento “Agriorienta” Il nuovo modello di sviluppo fondato sull’agricoltura sostenibile e sul patto sociale con il consumatore chiede, come si è visto, di essere governato con alti livelli di efficacia ed efficienza, riconsiderando in modo organico e innovativo le competenze professionali ad esso necessarie. Il modello di orientamento necessario deve costruire un servizio che pone al centro l’utente in rapporto al suo territorio nel suo diritto a ricevere risposte personalizzate e di elevata qualità per una scelta professionale e lavorativa consapevole. Su questo punto la riflessione di fondo posta nel modello Coldiretti è consistita in un ribaltamento del concetto di “sportello”, passando da una concezione passiva di orientamento ad una propositiva. In sostanza, il Servizio di Orientamento non è inteso in senso statico, ossia come un luogo dove semplicemente sono disponibili delle informazioni a chi ne fa richiesta. Al contrario, le buone pratiche più significative realizzate in questo ambito da INIPA – Coldiretti negli ultimi anni (Rete nazionale di sportelli VerdImpresa per l’imprenditorialità femminile – Presidio Agrimprendo per l’orientamento in agricoltura in tutto il territorio provinciale di 270 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Potenza - OrientaImpresa, buone pratiche di orientamento realizzate in collaborazione con il settore artigianato e commercio, ecc.) ci hanno mostrato come uno sportello di informazione ed orientamento, per essere davvero funzionante, deve “scendere” dentro le imprese e le situazioni sociali ed educative, tra gli imprenditori e i tecnici – tra gli studenti e giovani e le loro famiglie e contesti sociali di riferimento – ecc., e promuovere “sul campo” e “nel territorio” i suoi servizi. Sulla base di queste esperienze e necessità, Coldiretti ha inteso organizzare un’offerta integrata di servizi di orientamento in agricoltura (valida anche per utenti e imprese degli altri settori economici presenti nei territori rurali) per facilitare l’avvicinamento tra soggetti (giovani in uscita dall’istruzione, giovani potenziali imprenditori, figli di agricoltori che devono subentrare all’attività paterna, imprenditori, donne, ecc.) e le nuove opportunità occupazionali e di sviluppo presenti nel territorio, al fine di anticipare le domande degli imprenditori, dei loro collaboratori e soprattutto dei giovani e degli adulti interessati ad entrare nel settore, attraverso il collegamento tra agricoltura, opportunità del territorio ed altri settori produttivi. In tale contesto il Modello di servizi “AgriOrienta”, promosso e realizzato sperimentalmente da Coldiretti in una logica di qualità, ha posto solide basi di buone prassi procedurali ed operative per l’attivazione di un Sistema di orientamento, articolato per diversi target, diffuso capillarmente sul territorio nazionale, in una logica di collaborazione con le organizzazioni, gli enti e le istituzioni che a vari livelli operano per il sostegno e la crescita del settore agricolo, delle imprese e delle risorse umane. Alla base del modello AgriOrienta è stata posta una visione di orientamento che non riguarda unicamente gli ambiti di informazione, formazione e consulenza (orientativa, beninteso), ma che tende a divenire sinonimo di strategia di sviluppo del settore, di modo che l’orientamento viene inteso anche in senso economico, finalizzato a valorizzare le potenzialità locali in una prospettiva di strategie d’imprese coinvolte tra di loro in RETE per uno sviluppo integrato ed intersettoriale. Cosa è stato fatto Nella convinzione della complessità dell’attuazione di un simile sistema di orientamento e per verificare validità e attendibilità del modello operativo ipotizzato in partenza (relativamente ai profili professionali, funzioni, aree di attività e di competenza, percorsi formativi identificati per il consulente di orientamento in ambito agro-alimentare), sono state sviluppate da INIPA le seguenti aree di ricerca, analisi e sviluppo, con una 271 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti CAPITOLO 5 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti logica di progressivo approfondimento concettuale e di relativa validazione sperimentale dell’impianto strumentale: • analisi dei contesti agro-alimentari italiani (nel quadro europeo e mondiale) e delle relative opportunità ed esigenze di servizi di orientamento; • analisi della situazione attuale di ricambio generazionale e di ingressi di giovani nelle imprese agricole: quali servizi di orientamento-consulenza si possono proporre; • sviluppo modello integrato di servizi di orientamento (con ambiti/funzioni di osservatori locali sul territorio – informazione – consulenza orientativa – consulenza specialistica – ecc.); • definizione delle funzioni/ruoli richiesti, delle competenze necessarie e relativi profili professionali (Repertorio profili e competenze professionali); • sviluppo di un dispositivo “modulare” di percorsi di formazione per le figure – operatori di orientamento individuati (secondo il sistema di formazione blended – ossia con un mix equilibrato di formazione frontale ed elearning – con la possibilità di costruirsi il “proprio” percorso con il sistema dei Crediti Formativi). Per sostenere il valore di rete del modello AgriOrienta, è stato predisposto un Portale per l’Orientamento (visionabile nella forma prototipale su http://www.agriorienta.coldiretti.it/), sviluppato secondo un APPROCCIO COGNITIVO. Tale approccio parte dall’esame delle aspettative dei target idealtipici individuati dalla ricerca per contestualizzare a livello soggettivo la struttura del Portale. In particolare l’attenzione viene focalizzata sul contesto personale e sulle aspettative specifiche nei confronti del Portale con l’elaborazione di profili di possibili persone interessate alla navigazione. La stessa strategia di navigazione risente di questa prospettiva nuova: nella progettazione del portale obiettivo fondamentale è stato infatti di provvedere ad una struttura e ad una grafica in cui “l’utente non viene mai lasciato solo”. Ogni pagina è stata predisposta con rimandi, indicazioni di possibili percorsi di navigazione, finestre di accompagnamento che facilitano e incentivano l’utente nella navigazione, evitando di elevare il tipico livello di stress che caratterizza chi si rivolge ad un Portale di ricerca di possibilità occupazionali. Il Portale è inoltre ispirato a criteri di georeferenzialità, prevedendo che le informazioni contenute a livello di sottoarea (lavoro – creare un’impresa – subentrare in impresa – diversificare l’impresa – istruzione e formazione – consulenze – osservatorio – news) siano riferite anche alle specifiche regionali e locali. 272 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO Servizi e modello organizzativo Il modello di orientamento per l’agroalimentare AgriOrienta (osservatori locali per l’orientamento al lavoro, servizi di informazione, consulenza e formazione) persegue diverse strategie – percorsi di intervento, cui si accompagnano differenti target di utenti: • incontro domanda/offerta (servizi di accompagnamento al lavoro, per ricerca occupazione da parte di inoccupati-disoccupati); • creazione, subentro e diversificazione di impresa (sviluppo e consolidamento dell’impresa “giovane”); • sostegno e accompagnamento dell’impresa (consulenza a impresa matura); • sostegno allo sviluppo locale, attraverso la sperimentazione territoriale di una rete Coldiretti di Osservatori Locali sulle evoluzioni del settore e del lavoro (per orientare le linee strategiche di intervento delle organizzazioni agricole e della pubblica amministrazione); • integrazione, in generale, dei servizi di accompagnamento al lavoro con quelli di consulenza innovativa all’impresa. Il modello fa riferimento alle specificità territoriali e, da un punto di vista organizzativo, il sistema disegnato dal modello AgriOrienta si colloca in una prospettiva sistemica di rete integrata a tre livelli: nazionale (linee strategiche), regionale (coordinamento) e locale (erogazione servizi). In particolare, il sistema AgriOrienta è costituito dalle seguenti realtà: • sede nazionale AgriOrienta; • sedi regionali AgriOrienta; • centri territoriali AgriOrienta (di seguito, per brevità, “centri territoriali”). La SEDE NAZIONALE ha la funzione di definire, in coerenza con le politiche Coldiretti, le linee di intervento del sistema AgriOrienta e di trasferirle alle sedi territoriali attraverso il proprio Servizio di miglioramento e le sedi regionali. In particolare la sede nazionale attiva le necessarie azioni per garantire: • la promozione e la diffusione delle attività del sistema AgriOrienta presso gli organi istituzionali nazionali di riferimento per il settore dell’orientamento; • l’organizzazione di eventi di formazione, informazione e di coordinamento destinati agli operatori dei centri territoriali; • l’implementazione ed attivazione di sistemi di registrazione ed elaborazione dei dati del servizio di orientamento funzionali all’operatività dei centri territoriali ed all’elaborazione dei dati statistici per la sede nazionale di AgriOrienta; 273 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti CAPITOLO 5 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti • attività dei centri territoriali. Le SEDI REGIONALI hanno la funzione di coordinare, a livello regionale, i centri territoriali, in coerenza con quanto indicato dalla sede nazionale. In particolare coordinano: • l’indirizzo delle attività dei centri di orientamento; • le esperienze di scambio, di sviluppo e di innovazione sui servizi di orientamento, di concerto con la sede nazionale AgriOrienta; • la formazione continua per gli operatori dei centri territoriali di orientamento. I CENTRI TERRITORIALI hanno la funzione di erogare all’utenza i servizi di orientamento in conformità e secondo le modalità indicate dalle linee di indirizzo ed ai requisiti di servizio previsti dal relativo Disciplinare tecnico di Qualità (sistema a Marchio Interno). Profili e funzioni degli operatori di orientamento Collocato il sistema agro-alimentare nell’integrazione e nell’intreccio tra i diversi settori economici, il ruolo delle figure dedicate al suo sviluppo deve essere quello di promuovere e consolidare il cambiamento. In questo ambito, l’operatore di sistemi integrati di Orientamento può rappresentare una figura di raccordo trasversale tra i sistemi ricerca & innovazione – formazione – servizi di consulenza alle imprese agricole, dove le parole chiave saranno: dinamicità, flessibilità, coordinamento e progettualità unitaria. Al fine di promuovere lo sviluppo di questo sistema “integrato” di orientamento, intendendo con esso la messa a valore (ottimizzazione delle funzioni, condivisione degli obiettivi, coordinamento dei servizi, integrazione delle risorse, sviluppo di nuovi servizi, ecc.) dell’insieme di attività e/o servizi già erogati alle imprese agricole, sono stati primariamente individuati gli ambiti di professionalità e le funzioni necessarie (ad esempio, analista di imprese e di contesto – informatore – orientatore – consulente specialistico – formatore – responsabile e coordinatore di centro territoriale, ecc.). È emerso chiaramente che le “nuove” aree di “performance” degli operatori di orientamento devono essere sempre di più centrate in progetti di sviluppo d’impresa, di sviluppo di sistemi di relazioni e partnership sul territorio, di capacità di orientare ed accompagnare l’utente impresa o il singolo. Come funzioni essenziali, il modello di orientamento per l’agroalimentare sperimentato, rispetto al quale sono stati consolidati in alcune aree territoriali Coldiretti funzioni/profili/competenze e percorsi formativi, presenta i seguenti requisiti: 274 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO • concezione ampia di orientamento, tale da estenderne il servizio dall’ambito della promozione e osservazione locale di prossimità, fino a quello dell’incontro domanda-offerta e di consulenza agli imprenditori ed alle imprese; • dinamica di intervento connessa alla capacità di osservare ed analizzare le “opportunità di sviluppo locale” e di offrire risposte e supporti alle necessità imprenditoriali, professionali e lavorative emergenti; • prospettiva di “servizio a rete”, quindi necessità di una stretta connessione del servizio con il sistema delle politiche attive del lavoro e dell’orientamento, con il quadro degli attori e degli organismi operanti nell’ambito dello sviluppo agricolo e con le opportunità di consulenza connesse a tale sviluppo; • prospettiva di “sistema in rete”, ossia fondato sulla valorizzazione ed integrazione dei servizi agricoli già offerti dalle organizzazioni di categoria e dal pubblico, raccordato a livello nazionale, regionale e territoriale: Riflessioni finali La ricerca ha consentito innanzitutto di evidenziare le modalità maggiormente richieste, in questo momento, di interventi di orientamento e consulenza formativa in agricoltura, con particolare riferimento alla categoria dei neo-imprenditori, ma riguardanti in generale l’intero ventaglio dei soggetti interessati potenzialmente al servizio: • l’orientamento iniziale anche in fase scolare, in particolare per i giovani interessati al settore, finalizzato a diffondere in modo adeguato una nuova percezione ed immagine positiva dell’agricoltura ed a proporre modi diversi di fare agricoltura oggi, corredato anche di opportunità di stage presso imprese agricole per consentire un confronto con la realtà; • l’accompagnamento personalizzato, centrato sulle relazioni intergenerazionali che si instaurano nel momento del ricambio generazionale, in grado di offrire un supporto nella valorizzazione degli aspetti positivi e nella soluzione dei nodi problematici; • l’offerta di momenti di approfondimento esperenziale (anche come stage e visite presso casi di eccellenza o a realtà estere) tesi a stimolare capacità di apertura e confronto con ambienti, iniziative e stili diversi, per superare la chiusura del mondo agricolo tradizionale; • una vera e propria formazione mirante ad ampliare il bagaglio di skill e competenze - oltre che delle tecniche a ciò connesse. In questa prospettiva, il modello di orientamento AgriOrienta appa275 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti CAPITOLO 5 Orientare in agricoltura, modello Coldiretti re fortemente centrato da un lato sulla qualità delle informazioni e delle opportunità richieste, tra le quali trovano uno spazio preminente momenti di orientamento e formazione attiva quali lo stage, i laboratori, i progetti innovativi, e dall’altro sulla valorizzazione del sistema delle imprese agricole, come agenzia formativa al lavoro nel territorio, in grado pertanto di perseguire obiettivi di valorizzazione ed utilizzo di risorse umane in rapporto a precisi profili di riferimento richiesti dal mercato del lavoro. 276 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO 5.11 IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE DEI SERVIZI DI ORIENTAMENTO: IL MODELLO METIDE di Domenico Paparella1 Premessa Il Cesos ha realizzato, nell’ambito dei programmi POM e PON2, finanziati dal Ministero del Lavoro, il modello Metide per la gestione in qualità dei servizi di orientamento e per l’impiego. L’obiettivo che il Cesos ha inteso perseguire con la messa a punto del modello Metide è quello di accrescere l’accountability dei servizi di orientamento e per l’impiego. Il servizio di orientamento costituisce uno degli snodi strategici per lo sviluppo di politiche attive del lavoro. La centralità della persona e la necessità di potenziarne il capitale intellettuale e professionale fanno dei servizi di orientamento il tessuto connettivo per la gestione delle transizioni professionali lungo tutto l’arco della vita. I servizi di orientamento costituiscono infatti l’anello di congiunzione tra la leva formativa e le politiche d’accompagnamento e d’inserimento al lavoro che costituisce l’obiettivo finale delle politiche attive del lavoro. I servizi di orientamento stanno conoscendo un ampliamento del loro raggio d’azione. La popolazione che si rivolge ai servizi è sempre più adulta, in molti casi in difficoltà ad affermarsi nel mercato del lavoro, di qui l’esigenza di servizi qualificati in grado di differenziarsi nei luoghi, nei supporti erogati, nelle diverse competenze tecniche messe in gioco. Ad una pluralità di servizi e di soggetti deve corrispondere una politica d’integrazione di soggetti che operano nel mercato del lavoro per giungere a standard di qualità condivisi. L’adozione di standard, di procedure e metodologie di assicurazione della qualità e della valutazione dei servizi erogati costituiscono la base per migliorare l’allocazione delle risorse economiche ed umane. Diviene di estrema attualità l’adozione di sistemi di monitoraggio e di valutazione dei servizi erogati in grado di assicurare la qualità dei servizi e di facilitare i processi decisionali sulle politiche attive e sull’allocazione efficiente delle risorse. 1 Segretario Generale del CESOS – Centro di Studi Economici Sociali e Sindacali. POM 940030/I/3 fasc. 465/30, POM 940028/I/1 fasc. 373/28 e PON Ob. 3 IT 053P0007 fasc. 36. 2 277 CAPITOLO 5 La valutazione dei servizi di orientamento Le esperienze di monitoraggio e di valutazione dei servizi di orientamento non sono molto diffuse in Italia. Le difficoltà di ordine metodologico che si presentano nello sviluppo di queste attività sono ben note nella letteratura3. Il dibattito in Italia e all’estero ha però consentito lo sviluppo di approcci innovativi e di soluzioni pratiche che hanno segnato una serie di azioni di sistema volte a introdurre i paradigmi della qualità totale nell’erogazione dei servizi per il lavoro. Queste azioni non si sono trasformate, nella generalità dei casi, in approcci, metodologie e procedure che affrontano in maniera sistematica il tema dell’assicurazione di qualità, del monitoraggio e della valutazione dei servizi erogati. L’esperienza condotta dal CESOS con il modello Metide costituisce un tentativo organico di introdurre, nell’ambito dei servizi di orientamento e per il lavoro, i paradigmi della Qualità Totale. Non si tratta di una pura e semplice trasposizione di approcci e metodologie maturate in ambiti organizzativi propri dell’industria manifatturiera e dei servizi destinati ad imprese e persone. La strada scelta dal CESOS è quella di ancorare le acquisizioni connesse alla Total Quality alle impostazioni di carattere teorico sul tema della valutazione delle politiche del lavoro. Come è noto, le moderne politiche del lavoro si sono evolute da un approccio di tipo passivo (essenzialmente sostegno al reddito nei casi di fallimento sul mercato del lavoro) a politiche di tipo attivo, volte a potenziare e a sostenere la posizione delle singole persone sul mercato del lavoro fino al loro inserimento attivo. Sono state così elaborate politiche d’intervento su gruppi d’individui per limitare i tempi della loro permanenza in situazione di disoccupazione. La pluralità degli interventi si riflette sulle problematiche connesse alla valutazione delle politiche accentuandone la complessità, rendendo arduo l’individuazione e la misurazione degli effetti delle singole misure. Per superare queste difficoltà è emerso un nuovo approccio alla valutazione delle politiche del lavoro, non più riferito ai programmi ma ai singoli obiettivi che le stesse politiche si propongono (target-oriented po3 Origo, F., Samek Lodovici, M. (2002). La valutazione nei servizi di orientamento: una rassegna della letteratura internazionale. in R. Botticelli, D. Paparella (a cura di), La valutazione dei servizi di orientamento, FrancoAngeli, Milano. 278 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO licy evaluation)4. Si tratta di un approccio empirico che, partendo dagli obiettivi che la politica in esame intende perseguire, valuta gli stessi in relazione alle condizioni socio economiche nelle quali le azioni si collocano e allo sviluppo stesso delle singole politiche. Da questa impostazione discende un processo di valutazione fondato su quattro momenti: a) definizione degli obiettivi in relazione alle politiche che si intendono adottare; b) monitoraggio del processo di erogazione delle politiche utilizzando appropriati indicatori di tipo fisico e finanziario; c) monitoraggio dei risultati che le politiche hanno generato; d) stima dei costi/benefici dell’attuazione delle politiche adottate. La target-oriented policy evaluation adotta una prospettiva bottomup, che si sostanzia nella valorizzazione del punto di vista di ciascun singolo attore coinvolto nel processo d’implementazione delle politiche e dei servizi correlati. Gli attori che vengono coinvolti nel processo di valutazione includono i beneficiari a cui le politiche vengono indirizzate, gli attori che assicurano la loro erogazione e i decisori politici. In quest’ottica multi-attore, le singole politiche diventano parte di un quadro più vasto che comprende: • il contesto istituzionale e normativo che presiede alla formazione delle decisioni relative alle singole politiche; • il contesto organizzativo che preside all’erogazione dei servizi in cui le politiche si sostanziano, inteso come risorse umane e finanziarie disponibili e infrastrutture tecniche impiegate; • i fattori tangibili ed intangibili che possono incentivare o scoraggiare, favorire o sfavorire gli esiti delle politiche nel contesto determinato. I presupposti culturali del modello Metide Il quadro così delineato riconosce, nella sostanza, che il miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro dipende dall’interazione di diverse politiche, dalle relazioni tra i diversi attori, dagli interessi di cui sono portatori e dalla capacità degli agenti che sono chiamati ad implementare le politiche. 4 Schmid G., O’Reilly Y.J., Schomann K. (a cura di) (1996). International Handbook of Labour Market Policy and Evaluation, Edward Elgar, Cheltenham. 279 La valutazione dei servizi di orientamento CAPITOLO 5 I presupposti culturali del modello Metide Al fondo di questa concezione sta la convinzione che né il mercato, con il suo funzionamento spontaneo, né le politiche pubbliche, possono costituire di per sé soluzioni ottimali ai problemi sociali che le dinamiche del mercato del lavoro generano. Solo se opportunamente combinate, coordinate ed arricchite dall’apporto cooperativo degli attori, le politiche hanno la potenzialità di offrire soluzioni superiori e più efficaci ai fallimenti del mercato. Su queste opzioni culturali si fonda il modello Metide che pone al centro del processo di valutazione tre momenti essenziali: • l’individuazione condivisa degli obiettivi delle singole politiche; • le modalità di implementazione e di erogazione dei servizi; • gli esiti ed i risultati delle singole azioni nella percezione dell’insieme degli attori protagonisti del processo. Nella letteratura internazionale è ben documentato il nesso tra efficacia delle politiche e personalizzazione dell’intervento. La possibilità di personalizzare l’intervento dipende dalla capacità delle strutture che erogano servizi d’identificare e di elaborare la domanda sociale e di concepire, strutturare ed erogare servizi congruenti con tale domanda. Si tratta perciò, per le strutture di erogazione dei servizi di leggere, con metodologie scientificamente fondate, le priorità che i contesti territoriali esprimono e di condividerle con il sistema degli attori locali e dei decisori politici. L’azione di elaborazione della domanda (profiling) costituisce soprattutto l’occasione per instaurare e diffondere una prassi sociale di dialogo tra le istituzioni e il sistema locale degli attori volto ad assicurare il corretto “posizionamento” strategico dei servizi e un efficace radicamento nel territorio. Si tratta di una forma di programmazione dal basso che dovrebbe consentire di estendere la condivisione dell’agire sociale dei servizi e delle istituzioni in materia di lavoro. La definizione di obiettivi condivisi costituisce un’occasione per dare senso d’identità dell’agire sociale delle strutture e visibilità delle istituzioni. L’elaborazione della domanda, la definizione degli obiettivi e l’allocazione delle risorse umane e finanziarie costituiscono la premessa all’attivazione del sistema di valutazione. Il modello Metide adotta una pluralità di ambiti di valutazione che presuppongono l’esistenza di un’azione sistematica di programmazione dei servizi e di pianificazione delle attività. Gli ambiti di valutazione che Metide attiva sono i seguenti: • congruenza tra obiettivi, strumenti e risultati (policy evaluation); • modalità con cui il processo di attuazione viene realizzato (process evaluation); 280 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO • efficienza ed efficacia degli interventi (formative evaluation); • la qualità percepita dagli attori (customer satisfaction); • se e in che misura l’intervento ha raggiunto i risultati o l’impatto desiderato (summative evaluation). Il modello di valutazione Il modello di valutazione dei servizi di orientamento prevede l’applicazione dei dispositivi di monitoraggio e valutazione alle tre dimensioni nei quali i servizi agiscono: • il contesto economico e sociale; • la struttura dedicata all’orientamento; • i servizi di orientamento erogati. La conoscenza approfondita del contesto economico e sociale dove il servizio di orientamento si trova ad agire è alla base di una valida programmazione delle attività. Il modello individua una serie di indicatori per elaborare la “domanda sociale” presente nel territorio in modo da consentire ai responsabili di una struttura di definire la strategia di posizionamento territoriale dei servizi e gli obiettivi della struttura e di pianificarne le attività. Gli indicatori proposti mirano a cogliere le informazioni essenziali sul contesto locale ed in particolare quelle riguardanti: • la composizione della popolazione per classi di età e titolo di studio; • il tasso di occupazione; • il tasso di disoccupazione (giovanile e adulta, in cerca di primo impiego e di lunga durata, ecc.) calcolato sul totale della forza lavoro; • il tasso di avviamento al lavoro; • la composizione della domanda di lavoro (per figura professionale); • il tasso di abbandono scolastico annuo per ciascun livello d’istruzione; • il tasso di scolarizzazione per ciascun livello d’istruzione; • l’andamento e la composizione professionale delle liste di mobilità; • la composizione per tipologia e classi di età delle categorie svantaggiate e/o protette; • il numero delle aziende potenzialmente interessate ai servizi (articolate per settore e dimensioni); • il numero degli immigrati in età lavorativa; • il numero delle imprese (piccole, medie e grandi presenti nel territorio); • servizi sociali presenti sul territorio. 281 I presupposti culturali del modello Metide CAPITOLO 5 Il modello di valutazione Per quanto concerne la Struttura di orientamento il modello prende in considerazione, ai fini della valutazione, le seguenti dimensioni: • il grado di realizzazione degli obiettivi; • il tasso di successo esterno; • il tasso di aggiornamento degli operatori, cioè il livello d’attenzione che il servizio presta al miglioramento della qualità delle risorse umane e professionali impiegate nel servizio; • il costo totale della struttura per utente; • il tasso di investimento, cioè la capacità di rinnovamento della struttura, ecc. La parte più corposa dell’intero modello è dedicata al monitoraggio dei servizi erogati. La classificazione dei servizi che il modello adotta individua cinque diversi servizi: • il servizio di accoglienza orientativa ha la finalità d’impostare il percorso del beneficiario dei servizi all’interno della struttura. Valutare la qualità di questo servizio permette di acquisire informazioni sulla percezione della struttura da parte degli utenti e consente d’attivare eventuali misure di miglioramento organizzativo in base alle aspettative degli utenti; • il servizio informazione orientativa informa l’utente riguardo le possibili scelte concernenti i percorsi formativi, professionali e d’inserimento lavorativo disponibili nel contesto locale. L’informazione orientativa favorisce l’acquisizione da parte dell’utente dei primi elementi di riferimento rispetto al possibile sviluppo professionale. È un servizio di “contatto”, che non prevede tempi lunghi per l’erogazione e che può essere ripetuto nel corso del tempo. Anche per questo servizio, come per l’accoglienza, l’importanza risiede nel fatto che esso costituisce in molti casi il primo approccio da parte dell’utente con la struttura; • il servizio di formazione orientativa tende a far acquisire ai beneficiari le tecniche attive per la ricerca del lavoro e può essere erogato immediatamente dopo l’accoglienza o a seguito di un colloquio di consulenza orientativa. Rispetto ai due servizi precedenti, questo permette l’attivazione di una relazione più “profonda” fra utente e struttura rispetto ai servizi precedenti e pertanto si avvale di tecniche specialistiche; • il servizio di consulenza orientativa supporta l’utente nei processi di scelta relativi alle fasi di transizione professionale e lavorativa e nella ricerca attiva del lavoro. Il rapporto che s’instaura fra servizio e utente, può essere prolungato nel tempo ed è decisamente più “intenso” rispetto ai servizi di accoglienza e informazione; • il servizio d’accompagnamento e sostegno all’inserimento lavora282 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO tivo s’esplica, in molti casi, nella gestione di tirocini o stage formativi, in altri si tratta di veri e propri progetti finalizzati all’inserimento in un contesto lavorativo. Per la pianificazione degli obiettivi dei servizi è necessario individuare le tipologie di utenza che costituiscono il target dei diversi servizi. Le possibili tipologie sono: • giovani disoccupati in cerca di primo impiego; • giovani disoccupati; • giovani disoccupati di lunga durata; • adulti disoccupati; • adulti disoccupati di lunga durata; • lavoratori occupati; • lavoratori in mobilità; • lavoratori immigrati; • persone svantaggiate; • servizi sociali; • piccole e medie imprese; • grandi imprese; • ecc. Che cosa valuta Metide Gli ambiti di monitoraggio e valutazione del modello sono tre: • l’efficacia, cioè la misura del rapporto fra obiettivi prefissati di un servizio e i risultati ottenuti; • l’efficienza, cioè la relazione tra gli elementi utilizzati per l’erogazione del servizio (risorse umane, materiali, ecc.) e il risultato (output) che si è prodotto; • la soddisfazione degli attori, intendendo con il termine “attori” tutti coloro che sono stati coinvolti nel processo (operatori della struttura di orientamento, utenti, imprese, ecc.). Il modello ha individuato, per ognuno di questi ambiti, degli indicatori che rispondono alle seguenti caratteristiche: • devono produrre informazioni rilevanti per tutti gli attori coinvolti nel processo; • devono costituire motivo di riflessione sulla validità degli obiettivi pianificati dalla struttura, mettendo in risalto la relazione di causalità con gli obiettivi stessi; • devono contribuire significativamente al miglioramento del servizio; • devono essere attendibili; • devono essere facilmente utilizzabili; • devono consentire di misurare fenomeni in un arco temporale medio-lungo. 283 Il modello di valutazione CAPITOLO 5 Che cosa valuta Metide Per quanto riguarda gli indicatori di efficacia, le aree principali di interesse sono due: 1) la copertura della domanda: lo scopo è di misurare la capacità della struttura di cogliere i bisogni sociali, definire l’entità degli stessi e valutare l’incidenza delle risposte fornite. La procedura di calcolo degli indicatori si incentra sulla relazione fra gli obiettivi definiti dalle strutture (numero di utenti potenziali) e il risultato realizzato (numero di utenti effettivi del servizio); 2) l’adesione all’offerta del servizio: questo gruppo d’indicatori misura l’efficacia del servizio e l’utilità percepita che gli utenti ne ricavano. La relazione su cui si incentrano gli indicatori è fra il numero degli utenti che si sono rivolti al servizio in oggetto e il numero degli utenti che accettano di continuare il percorso suggerito, usufruendo del servizio e terminandone il percorso proposto con soddisfazione delle aspettative. Gli indicatori di efficienza si focalizzano su tre principali aree d’interesse: 1) Il tasso di efficienza interna, cioè le risorse utilizzate per ottenere un risultato di qualità. La relazione che gli indicatori attivano è fra il numero d’utenti con una percezione positiva di un servizio e il numero di operatori impiegati all’interno del servizio stesso. Un aspetto importante per l’efficienza è il confronto della serie storica di questi indicatori: all’aumento della percentuale nel tempo corrisponde, ovviamente, un aumento dell’efficienza; 2) Il carico di lavoro: quest’area mette in relazione il numero totale di utenti di un servizio con il numero di operatori impiegati nello stesso. Anche in questo caso, il trend si può valutare confrontando la serie storica o l’andamento di altri servizi o strutture; 3) Il costo di servizio per utenti misura il grado di efficienza di ogni singolo servizio per cui valgono le medesime considerazioni per il carico di lavoro. Il terzo ambito per valutare la qualità del servizio, cioè quello della soddisfazione degli attori, misura la percezione del servizio che hanno tutti coloro che sono stati coinvolti nella sua erogazione: operatori, utenti e beneficiari finali. In questo caso non si tratta di confrontare dati numerici ma di raccogliere valutazioni soggettive. È prevista infatti, per questo ambito, la compilazione di un questionario da parte di tutti gli attori coinvolti. Le aree tematiche che s’indagano con i questionari sulle soddisfazioni degli attori riguardano: • la competenza e la disponibilità del personale che ha erogato il servizio; • la qualità del servizio erogato; 284 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO • l’adeguatezza del servizio rispetto alle aspettative degli utenti. Agli operatori viene inoltre chiesto di esprimere il grado di soddisfazione relativamente all’organizzazione del lavoro, alle condizioni di lavoro e ai bisogni di adeguamento delle competenze. Metide informatizzato Una volta definito il modello è stato prodotto un software che consente la gestione del servizio e la contestuale raccolta ed elaborazione dati. Il modello è stato lungamente sperimentato in diverse strutture. La sperimentazione mirava, fondamentalmente, a tre obiettivi: • verificare l’efficacia del modello, individuandone le eventuali criticità. In questo modo il software è stato ritoccato più volte, a seconda dei problemi che di volta in volta si presentavano, fino ad arrivare ad una versione finale; • creare un nucleo pilota di strutture d’orientamento interessate a sviluppare delle “buone pratiche” in materia di valutazione, anche in vista di una futura azione di benchmarking; • diffondere la cultura della qualità tra operatori e dirigenti del centro di orientamento. L’utilizzo del software non presenta particolari difficoltà tecniche proprio per facilitare l’uso dello stesso da parte di persone con poca dimestichezza con l’informatica. La strumentazione richiesta è semplice: un computer che lavori in ambiente Windows e il programma Microsoft Office. Il software lavora in due macroaree: una per l’inserimento e l’altra per l’elaborazione dei dati. Nell’Area inserimento sono raccolti tutti i dati di cui si deve disporre per il funzionamento del modello: • la scheda anagrafica-professionale dell’utente, composta da codice fiscale, nome e cognome, luogo e data di nascita, domicilio, titolo di studio, qualifiche professionali acquisite; • la scheda anagrafica delle ditte che deve contenere la Partita Iva e/o il Codice fiscale, n. dipendenti, ragione sociale, attività (codice Istat), nome di un referente e incarico ricoperto, sede, descrizione della qualifica richiesta; • le schede di servizio (da compilare a cura dell’operatore) contenente le specifiche di ogni servizio erogato. La scheda del servizio informazione, ad esempio, dovrà contenere: la tipologia di utente, se è la prima volta che si rivolge alla struttura (se l’utente ha già usufruito del servizio dovrà essere richiamata ed eventualmente aggiornata la scheda compilata a suo tempo), come ne è venuto a cono285 Che cosa valuta Metide CAPITOLO 5 Metide informatizzato scenza, il motivo del colloquio, il tipo di intervento svolto ed eventuali annotazioni, suggerimenti dati dall’operatore, decisioni a cui l’utente è pervenuto, commento dell’operatore, che tipo di strumenti informativi sono stati consegnati, ecc.; • i questionari di gradimento degli utenti e degli operatori per ogni servizio erogato. Il questionario di gradimento delle imprese andrà inserito solo per il servizio di sostegno e accompagnamento al lavoro. Le schede di servizio costituiscono un valido sostegno all’azione dell’operatore perché ne guidano l’attività secondo standard di qualità, registrano le interazioni con il cliente e i risultati condivisi tra cliente ed operatore, assicurano la tracciabilità dell’utente e la gestione degli appuntamenti di monitoraggio degli impegni e dell’agenda condivisa tra gli operatori. Il software prevede un’area, denominata “amministrazione”, ad accesso limitato per salvaguardarla da eventuali modifiche involontarie da parte dell’operatore addetto all’inserimento dati. Quest’area contiene: • la scheda anagrafica della struttura contenente tutti i dati della struttura che utilizzerà il software, compilata una volta per tutte e indispensabile per implementare le procedure di rating; • la gestione degli operatori dove sono riportati tutti i dati anagrafici e sulla formazione a cui l’operatore ha partecipato; • la scheda di rilevazione dei costi sostenuti: generici (per es.: per il personale, per le ore di docenza, per il materiale di consumo, ecc.) e specifici dell’eventuale intervento formativo (nome del modulo e costo complessivo); • la scheda di rilevazione dei dati di programmazione: anno, tabella degli utenti per tipologia di utenza e per servizio erogato, dati di programmazione (es. obiettivi per n. utenti, n. aziende, preventivo spese per il personale, preventivo spese per il materiale di consumo, informativo, didattico, ecc.) per ogni servizio erogato; • la scheda degli indicatori socio-economici; • l’impostazione dell’orario di accesso del pubblico ai servizi per il calcolo delle ore di apertura medie per mese; • l’impostazione dei parametri in una serie di tabelle create nella fase di implementazione del modello e soggette ad essere aggiornate in qualsiasi momento (tipologia di utenti, titoli di studio, classi di età, qualifiche, ecc.). Nell’area di elaborazione dati vengono stilate le statistiche necessarie per le attività di reporting e di eventuale rating. I dati raccolti vengono elaborati automaticamente in tempo reale, contestualmente all’erogazione del servizio e rappresentati graficamente. La visualizzazione dei 286 MODELLI PRATICHE E STRUMENTI PER L’ORIENTAMENTO dati può essere resa sottoforma di tabelle e istogrammi. L’utilizzo di pulsanti semplifica la scelta del tipo di visualizzazione. I parametri per l’elaborazione dei dati è attivabile dall’operatore mediante l’uso di un applicativo Microsoft “Pivot” di Excel. Il modello è un applicativo Web-based (accessibile via browser Internet), sviluppato in C# con tecnologia ASP.NET e l’archiviazione dei dati avviene con Microsoft SQL Server. La stazione di lavoro dell’operatore che utilizza Metide richiede: • un browser Internet scelto tra Explorer 6* e Mozilla.org 1.7*; • un PDF Reader; • un Word Processor scelto tra Microsoft Word*, OpenOffice.org*, StarOffice* per personalizzare alcuni documenti; • un foglio di calcolo scelto tra Microsoft Excel*, OpenOffice.org*, StarOffice* per personalizzare i report di valutazione (statistiche e grafici). Gli sviluppi di Metide Metide è un bene pubblico: il suo utilizzo a titolo gratuito è condizionato dall’autorizzazione da parte del Ministero del Lavoro. I costi eventuali che una struttura che intende utilizzarlo deve sostenere sono quelli riferibili alla necessaria personalizzazione del modello, alla formazione degli operatori e agli eventuali aggiornamenti. Metide è stato adottato dalla Regione Liguria e verrà integrato nel Sistema Informativo Lavoro Regionale, denominato Rubens, che in questi giorni entra in esercizio nei CPI della provincia di Savona. Il modello è stato richiesto dall’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio (Arestud) dell’Emilia Romagna, dalla sede di Brescia dell’Università Cattolica, dallo Ial Regionale del Piemonte, dal Centro per l’Impiego di Corato (Bari) e dal Centro di Orientamento Professionale di Caserta della Regione Campania. 287 Metide informatizzato CAPITOLO 6 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI SESSIONE PARALLELA Coordinata da Anna Grimaldi 6.1 BILANCIO E COMPETENZE. VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI: SPUNTI DI RIFLESSIONE di Anna Grimaldi1 La sessione su competenze e bilancio, da me coordinata, si è posta in linea di continuità con il dibattito avviato in Isfol con la partecipazione di diversi attori ed istituzioni che lavorano in sinergia, con l’obiettivo, partendo da una riflessione sullo stesso concetto di competenza, di pervenire ad un percorso di bilancio italiano, originale nell’articolazione e negli strumenti da poter essere realizzato nei servizi presenti sull’intero territorio nazionale con le risorse disponibili, i vincoli organizzativi esistenti e la mission dei diversi sistemi. L’urgenza di tale riflessione è enfatizzata sia dagli ambienti scientifici, che si interrogano sul termine competenza e sugli approcci metodologici per la sua esplorazione, sia dagli ambienti operativi dei nostri Servizi per l’impiego, per la necessità avvertita di rendere questo servizio maggiormente fruibile dagli utenti e più socializzabile nelle aziende. Partendo da tali sollecitazioni, Isfol ha puntato alla messa a punto di un percorso di bilancio – Bi.dicomp. – originale che è stato condiviso e nella sua impostazione concettuale e nella sua articolazione metodologica, nell’ambito di un tavolo di lavoro con il quale è stata realizzata una partnership tra diversi interlocutori e testimoni chiave che di orientamento si occupano. Si rimanda il lettore, per l’approfondimento delle caratteristiche e dell’articolazione del percorso, al successivo contributo di Alessia Rossi, che per Isfol, ha illustrato nel dettaglio filosofia e processo del lavoro. Il percorso è stato sperimentato da una serie di strutture presenti sul nostro territorio2 con il continuo sostegno e mo1 2 Responsabile dell’Area Politiche per l’Orientamento dell’Isfol. Le strutture che hanno partecipato alla sperimentazione sono: Ciofs-FP di Torino, la Provincia 289 CAPITOLO 6 Bilancio e competenze verso un modello per i servizi territoriali: spunti di riflessione nitoraggio di un tutor facente parte dell’équipe di ricerca. La disseminazione e la diffusione della pratica contribuisce a livello concettuale per il consolidamento di una cultura comune, a livello operativo ad arricchire la gamma di servizi e strumenti validi e attendibili e quindi di sostegno al lavoro di quanti operano nel settore, a livello istituzionale ad integrare domanda e offerta di orientamento. La sessione da me coordinata è stata ricca di stimoli e sollecitazioni sia da parte dei relatori che si sono succeduti al tavolo della presidenza sia da parte del pubblico in sala che ha contribuito ad arricchirne il dibattito. Con questo contributo proverò a sintetizzare tali sollecitazioni organizzandole virtualmente intorno alle principali categorie concettuali che trasversalmente ho identificato come gli assi portanti del dibattito. La prima categoria fa riferimento ad un problema di definizione dello stesso concetto di competenza che spesso appare abusato e confuso con altre dimensioni quali qualifiche e profili professionali, attributi delle persona, abilità e conoscenze. Di contro è più probabile che tutte queste diverse dimensioni concorrano nel determinare la competenza, ma da sole, ognuna di loro, non è sufficiente a descriverla. L’interesse, da più parti sottolineato, di integrare saperi elevati, tecnici, metodologici, con competenze diffuse, acquisite durante il corso della vita, non solo e non più attraverso i luoghi formali di apprendimento ma recuperando e valorizzando tutte le esperienze acquisite, implica una riflessione approfondita sullo stesso concetto di competenza che, alla luce di tali argomentazioni, va rivisto e rifondato. Alla luce di tali considerazioni la competenza professionale si compone e si arricchisce di fattori individuali e soggettivi, termini che non devono essere usati come sinonimi ma rispettivamente con il significato di “personale” e “vissuto”. Personale fa riferimento alle strategie e agli stili cognitivi che l’individuo mette in atto; vissuto fa, invece, riferimento alla soggettività intesa come testimonianza percepita dal singolo e dai significati che ad esso vi attribuisce. La seconda categoria concettuale, strettamente legata alla prima, pone enfasi sulla necessità di rivedere gli attuali modelli di competenza che, a dispetto delle considerazioni sin qui riportate, poco ne rivisitano la terminologia, restando ancora troppo ancorati a classificazioni che ne richiamano l’acquisizione in luoghi formali e specialistici e poco si arricchiscono di concetti e termini come informale, tacita, di processo. Alla luce di tali argomentazioni mi sembra di poter affermare che la competenza didi Torino con alcuni centri per l’impiego, Job Centre di Genova, Regione Friuli con alcuni servizi regionali di orientamento, alcuni centri per l’impiego della Regione Emilia-Romagna, alcuni centri per l’impiego della Regione Marche, il centro per l’impiego di Viterbo, alcuni centri per l’impiego della Regione Campania, il Coordinamento regionale Informagiovani della Regione Basilicata, l’IRFAP di Catania per la Regione Sicilia. 290 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI venta sempre di più la capacità di mettere insieme e organizzare le proprie conoscenze e risorse per far fronte in maniera efficace e innovativa a una nuova situazione personale e/o professionale che il contesto presenta. La terza categoria concettuale è relativa alla funzione stessa del bilancio. Una funzione questa connotata da una triplice valenza: individuale, sociale e di sistema. Individuale, in quanto sollecita nel cliente modifiche comportamentali nella direzione di una maggiore adattività e funzionalità per fronteggiare situazioni nuove, nonché nuove strategie di azione e attiva processi di sviluppo rispetto alla sfera cognitiva. Sociale, in quanto facilita l’integrazione tra domanda e offerta di orientamento, promuove il cambiamento negli assetti organizzativi, promuove e favorisce un cambiamento culturale nella direzione del benessere collettivo. Di sistema, in quanto contribuisce alla definizione di standard di qualità che possono essere condivisi dai diversi contesti di riferimento e adottati come base per i successivi processi formativi e di orientamento. La quarta categoria concettuale si riferisce alla finalità individuabile in un aspetto certamente formativo e non valutativo. Il bilancio di competenze e più in generale le attività di counseling orientativo, si collocano spesso in una direzione valutativa che assomiglia più a quella della selezione, poco efficaci, di contro, nella lettura e nell’analisi delle storie personali e professionali finalizzate alla decodifica e la riflessione sulle competenze possedute e su come ri-organizzarle in futuri progetti anche in vista di un cambiamento individuale ogni volta che ne sorga la necessità. La quinta categoria enfatizza il concetto della continuità. In questo senso la pratica del bilancio non deve essere finalizzata necessariamente al fronteggiamento in specifiche e di specifiche transizioni (perdita del lavoro, mobilità, re-ingresso) ma come intervento che facilita la conoscenza di se stesso e delle proprie risorse e competenze e quindi deve essere un diritto della persona a cui accedere ogni volta che voglia ripensare al proprio futuro in qualsiasi momento. La sesta categoria concettuale è relativa alla disseminazione e diffusione della pratica anche alle aziende e alla pubblica amministrazione. Se il bilancio deve essere uno strumento per lo sviluppo professionale e della qualificazione dei processi di carriera allora deve essere effettuato per tutte le organizzazioni, pubbliche e private che siano, e allargato a tutti i diversi profili compresi dirigenti e funzionari e non solo ai soggetti considerati deboli e in situazioni di transizione. La settima categoria concettuale si riferisce ai luoghi. La letteratura sul bilancio enfatizza l’area degli strumenti, della metodologia e dei processi ma poco la sede e l’équipe degli operatori. La sede, invece, come sottolinea Silvana Rasello, è garanzia di qualità, si pone come finestra sul 291 Bilancio e competenze verso un modello per i servizi territoriali: spunti di riflessione CAPITOLO 6 Bilancio e competenze verso un modello per i servizi territoriali: spunti di riflessione territorio e deve soddisfare una serie di requisiti, tra cui: • l’inter-istituzionalità, nel senso che deve essere possibile riconoscere la rappresentatività delle diverse istituzioni che operano sul territorio; • la territorialità, nel senso che è indispensabile garantire la contiguità del servizio con le logiche specifiche di sviluppo del territorio locale; • la pluri-disciplinareità, nel senso che deve essere garantita la pluralità delle figure professionali in una logica di competenze complessive dell’équipe di tecnica; • la ricerca e sviluppo, nel senso che deve essere garantita la riflessione sull’innovazione delle pratiche e degli strumenti anche in relazione alla tipologia di clienti, del contesto sociale, culturale, ecc. L’ottava categoria concettuale pone attenzione alla valutazione del bilancio e alla messa a punto di un modello di valutazione specifico per tale azione. Se dibattuta è la questione relativa alla valutazione dell’azione orientativa in generale e a quella consulenziale in particolare, ancora più sostenuto appare il dibattito relativamente alla possibilità di elaborare un modello condiviso per la valutazione del bilancio. La multifunzionalità che caratterizza la pratica di bilancio pone enfasi a tre diversi obiettivi: • un obiettivo individuale come azione di orientamento di supporto alla scelta per la persona; • un obiettivo sociale per la comunità come azione di supporto alle politiche attive per rafforzare l’occupabilità; • un obiettivo formativo come azione tesa all’implementazione delle competenze. Allo stesso modo i livelli di valutazione si collocano almeno in corrispondenza dei tre obiettivi identificati precedentemente, assumendo così, di volta in volta, una connotazione che sposta l’asse dalla persona al sistema. Accanto a tali sollecitazioni culturali, l’esigenza di legittimare attività e azioni realizzate nell’ambito dei servizi alla persona, anche in ragione della necessità di giustificare e rendicontare l’impiego di fondi e finanziamenti pubblici, spinge ambienti di ricerca ed ambienti operativi verso la messa a punto di ipotesi valutative sia in termini di efficacia che in termini di efficienza per poter valutare la relazione e la direzione sia tra costi/benefici sia tra obiettivi/risultati e avviare, sulla base dei risultati raggiunti, una eventuale ri-programmazione dell’intervento. Il focus della valutazione può quindi essere su diversi aspetti: la congruenza tra obiettivi e strumenti (policy evaluation), la modalità realizzativa e il processo di implementazione (process o formative evaluation), l’impatto (impact, outcome, effectiveness o summative evaluation), il rapporto tra costi e benefici, la soddisfazione percepita dall’utente/cliente (custumer satisfaction), la qualità del processo di erogazione in una lo292 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI gica di total quality management. È importante pertanto, prima di definire l’approccio di ricerca e le tecniche valutative, individuare gli obiettivi della valutazione, definirne il livello, identificarne criteri ed indicatori, analizzare il contesto e verificare le risorse disponibili. Sulla base di tali argomentazioni, considerati i dati raccolti durante la sperimentazione di Bi.dicomp. – il percorso Isfol di bilancio – e pensando agli elementi distintivi che tale azione sollecita o dovrebbe sollecitare nel cliente – modifiche comportamentali nella direzione di una maggiore adattività e funzionalità per fronteggiare la situazione di transizione, nuove strategie di azione, attivazione di alcuni processi di sviluppo rispetto alla sfera cognitiva, accrescimento delle competenze – è stata concepita un’ipotesi di ricerca valutativa partecipata che tiene in considerazione tutti gli attori che hanno preso parte all’iniziativa – i responsabili degli enti che hanno aderito alla sperimentazione, i consulenti che hanno realizzato i percorsi, i clienti e i tutor che hanno monitorato il processo. Ulteriore obiettivo del lavoro è quello di mettere a punto un approccio metodologico (costrutti, indicatori, strumenti) alla valutazione dell’azione di bilancio, contribuendo così allo sviluppo della cultura della valutazione nel campo dell’orientamento. La nona categoria concettuale emersa è relativa ai ruoli, alle competenze e alla formazione della o delle figure professionali che dovrebbero realizzare azioni di bilancio. Siamo in un ambito complesso che richiama il problema più generale delle figure professionali preposte alle attività di orientamento. Queste sono spesso molto diverse tra di loro, tra le più svariate per nomenclatura, per competenze, per formazione, spesso provenienti da contesti diversi. In assenza di una chiara regolamentazione normativo-legislativa che delimiti i livelli di competenza e responsabilità, individui i confini e le integrazioni di funzioni e ruoli, è difficile pensare ad un reale cambiamento degli assetti organizzativi. Nell’attuale scenario modalità innovative nell’organizzazione del lavoro basate sull’integrazione tra i ruoli e l’équipe appaiono insostenibili, anche a causa di una comprensibile ansia degli operatori relativamente al ruolo assunto o da assumere. L’incertezza, l’ambiguità e la confusione non facilitano il processo di cambiamento né tanto meno la propositività e la partecipazione, d’altronde non si può creare sistema prescindendo da chi, poi, dovrà realizzarlo. L’ultima categoria concettuale, che mi piace richiamare, si riferisce alla necessità di arrivare ad un’azione sistemica e regolamentata sul bilancio di competenze alla stregua di quanto avviene in Francia. Anche qui arrivare ad un protocollo tipo non vuol dire annullare le differenze locali o l’autonomia tra consulente/committente piuttosto condividere una cultura comune che parla lo stesso linguaggio e che rende fruibile il servizio su larga scala. 293 Bilancio e competenze verso un modello per i servizi territoriali: spunti di riflessione CAPITOLO 6 6.2 SVILUPPO CONSAPEVOLE DELLE COMPETENZE E RIFLESSIVITÀ NELLA LEARNING ECONOMY: SPUNTI PER I SERVIZI PER L’ORIENTAMENTO di Massimo Tomassini 1 Introduzione Questo contributo cerca di introdurre alcuni spunti sui temi dello sviluppo consapevole delle competenze e della riflessività, potenzialmente utili per la maturazione culturale dei servizi per l’orientamento e per l’innalzamento della preparazione e della qualità dell’intervento degli operatori del settore. Tali spunti, in ipotesi, potrebbero in particolare riguardare gli orientatori interessati a indirizzare le proprie attività non solo ai clienti attualmente più tipici dei servizi dell’orientamento (giovani in cerca di prima occupazione, strati sociali svantaggiati, disoccupati di lunga durata) ma anche soggetti già dotati di esperienza in aziende o altre organizzazioni e che necessitano di supporti consulenziali in relazione a momenti di impasse e ristrutturazione della propria vita professionale. È nel rapporto con questi strati socio-professionali che – in ipotesi – potrebbero essere valorizzate le potenzialità di nuove pratiche orientative, come quelle imperniate sul bilancio di competenze. Per non diventare semplici aggiornamenti di modalità burocratiche di interazione con l’ “utenza”, queste ultime dovrebbero essere condotte dando spazio a forme di riflessività finalizzate allo sviluppo consapevole delle competenze, a partire da un background anche teoricamente aggiornato riguardo ai contesti e alle caratteristiche di tale sviluppo. Nel prossimo paragrafo vengono quindi brevemente richiamate le coordinate più ampie dei discorsi sull’ “economia dell’apprendimento”, sulla “società dell’apprendimento” e sulla “società del rischio” all’interno dei quale si riconfigura il significato di ciò che può intendersi come “competenza”. Successivamente – alla luce di visioni proposte da diverse scuole di pensiero – viene richiamata l’importanza della riflessività come funzione legata allo sviluppo e al mantenimento delle competenze in rapporto alle dinamiche sociali e organizzative in cui le competenze stesse si situano. In sede di conclusioni questi spunti vengono ripercorsi in funzione di nuove proposte di orientamento/counselling da rivolgere a persone in fasi di impasse e ristrutturazione della propria vita professionale. 1 294 Primo Ricercatore Isfol. BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI Le competenze tra apprendimento e rischio L’attuale sistema economico viene sempre più spesso identificato come un sistema integralmente cognitivo, mosso – salvo pochissime eccezioni – da lavoro che si trasforma in conoscenza e da conoscenza che si traduce in valore (Rullani, 2004). Lo stretto rapporto tra conoscenza e generazione di valore è alla base del costrutto di knowledge-based economy sul quale si sono basate negli ultimi anni significative analisi delle trasformazioni in atto e che è stato fatto proprio anche dal decisionmaking di importanti istituzioni transnazionali come l’Unione Europea e l’OCDE. In questi contesti istituzionali è peraltro maturata – grazie a una serie di importanti ricerche coordinate dall’economista danese B.A. Lundvall – una nozione di economia della conoscenza che consente di percepirne in modo più netto l’impatto sulla nozione di competenze. “Il fattore principale del successo economico – scrivono Lunvall e Borras in un fondamentale rapporto per la Commissione Europea (1999, p. 33) – non risiede nelle basi di conoscenze o nelle abilità di accesso all’informazione in quanto tali, ma nelle capacità degli attori economici che riguardano l’uso ottimale di conoscenze e informazioni, l’aggiornamento delle competenze, la sostituzione delle competenze obsolete”. Apprendere e innovare continuamente le proprie competenze sono i perni di trasformazioni importanti sia negli assetti delle organizzazioni complesse (nella logica della learning organization), sia nella gestione di strutture locali e statuali sia anche nell’auto-sviluppo individuale. In questa prospettiva l’attuale contesto viene definito da Lundvall in termini di learning economy anziché di knowledge-based economy, laddove la prima definizione non è sostitutiva ma integrativa della seconda, mostrando la crucialità dei fattori sociali dello sviluppo economico. Lo sviluppo delle competenze appare in tal modo non come un processo lineare collegato all’accumulo di conoscenze formalizzate ma come un processo ad elevata complessità, contrassegnato da esigenze di apprendimento continuo e di contestualizzazione. Le prime riguardano sia l’acquisizione di conoscenze esistenti, sia la capacità di saperle ri-usare e innovare in funzione di specifiche necessità operative, sia anche – soprattutto – la capacità di creare nuove conoscenze, integrando continuamente le risorse cognitive di tipo “esplicito” (racchiuse in pubblicazioni, database, e altri supporti accessibili) con risorse di tipo “tacito”. Queste ultime si generano attraverso l’esperienza, la partecipazione a pratiche socialmente condivise, l’intersecazione con esigenze innovative, la messa in gioco di fattori soggettivi, inclusi quelli di natura creativa ed emozionale (Nonaka, 1994). Strettamente con295 CAPITOLO 6 Le competenze tra apprendimento e rischio nesse alle precedenti, le esigenze di contestualizzazione riguardano la commisurazione delle competenze alla realtà di contesti specifici, laddove essere competenti significa saper partecipare a scambi cognitivi, che hanno luogo nell’ambito di organizzazioni complesse, comunità di pratica e in reti di diversa natura e che richiedono la continua integrazione tra competenze personali e gruppali/organizzative. Il carattere “situato” delle competenze e il legame con la conoscenza tacita non è di per sé un carattere tipico della learning economy. Non a caso i primi studi sulla cognizione situata e le comunità di pratica sono stati infatti condotti in settori a bassa innovazione nei quali predominano forme produttive pre-moderne (Lave e Wenger, 1991). Ciò che è tipico dell’economia dell’apprendimento è la capacità di trasformare in innovazione e vantaggio competitivo la conoscenza tacita e sviluppata in forme locali e idiosincratiche. Luoghi emblematici da questo punto di vista sono le imprese innovative i cui professionisti a maggiore contenuto tecnico-scientifico e manageriale incorporano conoscenze e competenze che rappresentano il core del vantaggio competitivo delle imprese stesse. Luoghi nei quali i modelli organizzativi tradizionali non reggono più e – anche in relazione alla ridislocazione dei rapporti tra diverse fasi e componenti dei sistemi di produzione – si assiste all’emergere di forme organizzative definite come reticolari, cellulari, virtuali, eterarchiche in cui l’uso, lo scambio e la creazione di conoscenza sono i principali fattori di riferimento del management. Anche le caratteristiche di altri strati socio-professionali, non necessariamente ai maggiori livelli, sono rappresentabili attraverso il costrutto della learning economy. Ad esempio quelli che operano nei settori in cui le tecnologie vanno gestite attraverso continui adattamenti alle realtà applicative o nei quali prevalgono esigenze di personalizzazione delle prestazioni (stretto rapporto con i clienti, necessità di attitudini micro-innovative, etc..). Anche a questi strati, che occupano posizioni intermedie – o in alcuni casi medio-basse (es. certi lavori di segreteria) – si richiede la mobilitazione di quote significative di autonomia e apprendimento, comunque rilevanti per lo sviluppo dei loro settori di appartenenza (come certi comparti della produzione di software applicativo o, su un altro versante la sanità e i servizi alle persone, solo per fare alcuni esempi). Vasti strati sociali (i working poors nella definizione di U. Beck, 1999) sono invece esclusi dalle forme di vita e di lavoro che si possono considerare tipiche dell’economia della conoscenza. La realtà di tutti i paesi ad elevato sviluppo è caratterizzata dalla presenza di quote significative (ancorché forse non maggioritarie) di occupazione in settori in cui il lavoro è non solo sempre più precario ma soprattutto svuota296 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI to in modo crescente di risorse e occasioni di apprendimento, come è il caso ad esempio di molti comparti della grande distribuzione, o di sacche dequalificate della produzione industriale. Ancor più di questi strati, non si possono assolutamente ascrivere a una società-economia basata sulla conoscenza quelli di tipo marginali per i quali l’inoccupazione è la norma, dato che il lavoro di cui sono capaci (a carattere generico) tende ad essere socialmente superfluo. In diversa misura i componenti di questi due ultimi strati sono sospinti verso loop, in alcuni casi inarrestabili, di depauperamento cognitivo e materiale. Ma a differenza di altri precedenti modi di leggere il processo complessivo dello sviluppo economico e sociale, quello che si impernia sull’uso produttivo della conoscenza tende a rimuovere la propria endogena “questione sociale”. Nell’approccio learning economy, prima citato, la contraddizione è affrontata sottolineando l’irriducibilità del divario tra “haves” (coloro che riescono a sopravvivere o prosperare nel nuovo assetto sociale) e “havenots” (coloro che invece ne sono esclusi) cui si può riparare solo attraverso nuove politiche sociali a favore di questi ultimi: una sorta di New Deal, con forti riferimenti all’attuale modello sociale danese, finalizzato al mantenimento di aree dell’economia protette dalle dinamiche dell’innovazione e della competizione. Sotto altri punti di vista la contraddizione risulta invece totalmente rimossa. Ne sono esempio le modalità prevalenti con cui sono state teorizzate le politiche di lifelong learning, secondo l’ipotesi che le persone – come membri della società prima ancora che come associati a processi produttivi – dovrebbero assumere crescenti responsabilità circa le traiettorie del proprio sviluppo professionale, il rinnovamento delle proprie competenze, la scelta di percorsi di apprendimento adeguati (OCDE, 1997; Commissione Europea, 2000). Un’ipotesi in qualche misura utopica – spesso usata come sfondo di interventi molto tradizionali di educazione degli adulti o di formazione continua – che trascura aspetti allo stesso tempo elementari e macroscopici. In primo luogo, chi già è in posizione di apprendere continuamente nel corso della vita attraverso la propria collocazione lavorativa e sociale ha poco o nessun bisogno di politiche specifiche in questo campo mentre chi è escluso dai vantaggi dell’apprendimento avrebbe bisogno di forme di volano sociale più articolate di quelle rappresentate dagli incentivi a interventi formazione esterni rispetto alle reali occasioni di partecipazione ai processi produttivi. In secondo luogo, la società della conoscenza è anche la società del rischio (Beck, 1999) per le persone che la popolano. Una società altamente “volatile” nella quale sono in agguato vari fattori di declino individuale e sociale e in cui la “generalizzazione dell’insicurezza del lavoro” non sembra dipendere più solo da specifiche vicende del ciclo eco297 Le competenze tra apprendimento e rischio CAPITOLO 6 Le competenze tra apprendimento e rischio nomico ma appare come una caratteristica stabilizzata della vita sociale, associata a incertezze di altra natura, incluse quelle legate ai modi di vivere. Nella società del rischio le popolazioni dei diversi “mercati del lavoro” – compresi quindi gli strati vincenti in termini di apprendimento – sono esposti a fenomeni di precarietà dovuti alla accresciuta permeabilità dei confini tra occupazione e disoccupazione. Oltre che apprendere conoscenze specifiche da applicare nei processi lavorativi per gli abitanti della società del rischio diventa essenziale generare e rigenerare continuamente capacità di prospezione riguardo alle realtà di cui si è partecipi. Competenze e riflessività Nella società del rischio gli individui appaiono immersi in una mescolanza inestricabile di opportunità e ansie rispetto alle quali è sempre più importante la disponibilità di capacità e risorse riflessive, finalizzate all’auto-regolazione e alla gestione creativa di conoscenze che possano essere rilevanti sia in termini professionali, incluso il “saper essere” sociale e relazionale nei contesti di riferimento. Sotto questo profilo la riflessività può essere vista come una meta-competenza caratterizzante il vivere e il lavorare di una pluralità di strati sociali (non dell’insieme del corpo sociale), che consente di accedere ad una condizione di cittadinanza organizzativa, ossia a una posizione attiva nei diversi contesti – organizzazioni, comunità di pratica, reti – nei quali si riproduce conoscenza e si generano competenze (Tomassini, 2004; 2005). La dimensione macro-sociale della riflessività su cui insistono le fondamentali analisi sulla società “neo-moderna”, nella quale convivono le componenti dell’apprendimento e del rischio (Beck et al., 1994) si salda da questo punto di vista con la dimensione micro rivolta al lavoro e alla vita delle organizzazioni. Cruciale in questa prospettiva è l’analisi della riflessività offerta da Donald Schoen in The Reflective Practitioner (1983), attraverso la quale si è aperto un nuovo modo di intendere la riflessività stessa e prende nuova luce tutto il dibattito sulla natura di ciò che può intendersi per competenza. Grazie alla sua osservazione del lavoro di diversi tipi di professionisti, Schoen giunge a considerare la riflessività come una funzione che va oltre le forme strettamente tecniche della razionalità legate a corpi di conoscenza e tradizioni di tipo disciplinare/professionale finalizzati alla soluzione di problemi. Prima ancora del problem-solving, usualmente assunto come l’attività chiave in ogni lavoro altamente qualificato, Schoen mette in evidenza l’importanza del problem setting, ossia del processo attraverso il quale si definisce quali decisioni vadano intese co298 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI me rilevanti, quali siano i fini da raggiungere ed i mezzi necessari. Essere competenti, da questo punto di vista, significa saper mettere in atto processi riflessivi strettamente intrecciati con le pratiche, attraverso i quali si riesce a venire a capo di situazioni complesse e contraddittorie. Processi riflessivi nei quali vengono messi in azione saperi pratici spesso impliciti la cui essenza si coglie nel momento stesso dell’applicazione che possono quindi essere definiti in termini di reflection-in-action e non di una reflection-on-action equivalente a una valutazione expost dell’azione e dei suoi risultati. In questa contemporaneità tra agire, conoscere e riflettere all’interno di un determinato continuum situazionale si realizza l’esigenza di contestualizzazione caratteristica della competenza nell’attuale modello economico-sociale. Il rapporto tra il soggetto e la sua situazione operativa viene descritto da Schoen in termini “dialogici”: lavorando, applicando conoscenze esplicite e tacite, risolvendo problemi, il professionista riflessivo dialoga incessantemente con il contesto – composto di colleghi, clienti, strumenti materiali, tecniche, teorie codificate – per giungere a risultati che, anche se inseriti in una rigorosa pianificazione, portano il segno della pluralità delle interazioni che li hanno generati. In questo senso l’apprendimento continuo – altra caratteristica essenziale della competenza – e le capacità riflessive necessarie per mantenerlo si saldano con l’ambito dell’apprendimento organizzativo, ossia delle modalità con cui diversi soggetti che partecipano ad uno stesso contesto interagiscono tra loro per comprendere le situazioni in cui si trovano e risolvere i problemi (Argyris e Schoen, 1996). Anche l’apprendimento organizzativo è visto, in questa prospettiva, come intrinsecamente dialogico e riflessivo, essendo basato su indagini (“inquiries”) attraverso le quali gli attori si interrogano sulle cause dei fattori più o meno pressanti di alterazione dei flussi organizzativi. Tali indagini possono avere diverse finalità ed esiti. Come avviene nella grande maggioranza dei casi, possono dar luogo a forme semplici di apprendimento che portano a soluzioni di tipo routinario (single-loop learning). Quando invece vengano condotte in modo più approfondito e superando le difese organizzative che si addensano intorno alle soluzioni routinarie, possono generare forme di apprendimento più complesse (double-loop learning) capaci di rimettere in discussione valori e regole di comportamento e di dar luogo in tal modo a nuovi assetti delle relazioni tra le persone e delle strutture organizzative. La nozione di riflessività “dialogica” proposta da Schoen ha una parentela concettuale diretta con quella “pragmatista” di Dewey (1933), proposta come un processo circolare, attivato in situazioni di decisione e scelta, e che attraversa ricorsivamente diverse fasi quali la “sorpresa”, 299 Competenze e riflessività CAPITOLO 6 Competenze e riflessività la “generazione di suggestioni”, l’“intellettualizzazione”, la “generazione di ipotesi”, il “ragionamento” e la “messa alla prova delle ipotesi”. Al di là delle semplificazioni che sono state generate a partire da questo tipo di nozioni, la posizione pragmatista ha tuttora una notevole importanza laddove venga declinata in una prospettiva “critica”, sottolineando la crucialità della riflessione sulle premesse e sugli assunti delle azioni piuttosto che sui problemi in quanto tali. Nell’approccio di Mezirow (1990) il saper porre correttamente i problemi è un aspetto fondamentale della riflessività. Quest’ultima dovrebbe soprattutto focalizzarsi sulle situazioni che generano i problemi, le quali non vanno considerate come un semplice sfondo ma come oggetto delle forme di apprendimento “trasformativo” che rappresentano il più interessante terreno di impegno dell’educazione degli adulti. Ulteriori visioni che definiscono la riflessività in termini “critici” sono state generate all’interno di approcci alla confluenza tra fenomenologia, costruttivismo e post-modernismo. Questi avvertono l’oggettivazione dei problemi come un rischio per le pratiche riflessive, le quali dovrebbero essere finalizzate all’esplorazione dei rapporti tra le persone nei contesti di lavoro e alle modalità di costruzione delle realtà sociali e organizzative da parte degli attori (Cunliffe e Easterby-Smith, 2004). Le competenze appaiono più che mai, in questa prospettiva, non come dati oggettivi ma come prodotti di determinate combinazioni di fattori, rispetto ai quali i soggetti possono mettere in campo una riflessività che indaga anche i dubbi, le contraddizioni, le potenzialità inespresse. Alcuni concetti chiave sono quelli di self-reflexivity e di practical reflexivity, che riguardano i modi in cui i soggetti riescono ad analizzare i propri processi interni, possono dare un qualche tipo di ordine alle situazioni nelle quali sono coinvolti e – se opportunamente supportati – possono riuscire a decostruire criticamente le situazioni stesse. Gli strumenti privilegiati sono quindi quelli dello story telling, laddove il saper raccontare le situazioni è essenziale per poi potere intervenire, anche il riconoscimento della dimensione emozionale – se opportunamente guidato – può valere come fattore di innesco anche di modalità cognitive-razionali. Conclusioni Quale può essere l’uso degli spunti sinora sinteticamente richiamati? Quali riferimenti possono essere offerti per la formazione di orientatori interessati a intervenire sugli snodi vitali del discorso sulle competenze e a fornire servizi di tipo non burocratico a chi necessita di supporti a importanti scelte formative, professionali e di vita? Un primo input significativo potrebbe essere proposto in termini di 300 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI attenzione al significato stesso di “competenza/competenze”. Negli usi correnti competenza equivale spesso a insieme di requisiti oggettivi per un determinato posto di lavoro (come tale riportato in job description e profili professionali cui vengono connesse specifiche mansioni e comportamenti). Ovvero equivale al riconoscimento di conoscenze esplicite, attraverso titoli, attestati, certificazioni. Ovvero equivale a sfera di azione (denotata rispetto ad altre in un dato sistema gerarchico o relazionale: “è di mia competenza”). Non si tratta ovviamente di criticare questi significati, che traggono la propria forza dagli usi che li generano. Il problema è far intendere agli orientatori la complessità del discorso sulle competenze, e di aggiungere quindi a quelli correnti altri significati, legati in larga misura ad aspetti non formalizzati: la connessione con determinate “pratiche” e saperi in azione, la connessione a specifici contesti organizzativi, l’intrinseca correlazione tra apprendimento – individuale e organizzativo – sviluppo delle competenze e conoscenza tacita. Più che la serialità di competenze da descrivere, o prescrivere, emergono in tal modo i fattori individualizzanti: le competenze come capacità di rapporto con un determinato lavoro e con l’ambiente in cui si svolge, inevitabilmente segnate da intenzioni soggettive e da peculiari spinte identitarie (“sviluppo le mie competenze in quanto mi identifico a fondo con quello che faccio”)2. Da questi significati derivano una serie di input su forme di orientamento da svolgere, ove possibile, alla stregua di interventi di counseling personalizzato. In luogo di un orientamento di tipo “informativo”, ossia finalizzato essenzialmente a offrire mediazioni informative rispetto al mercato del lavoro emergono in tal modo i contorni di un orientamento “supportivo”, incentrato sullo stimolo alla riflessività sulle condizioni che rendono possibile ed efficace la partecipazione. Le domande chiave, da questo punto di vista – più che domande del tipo “dove trovo lavoro?” o in parallelo con queste – sono le domande che il soggetto dovrebbe rivolgere in primo luogo a se stesso: “cosa so veramente fare? “Cosa è per me il lavoro?”, “Come riesco a partecipare ai processi in cui sono inserito, o in cui dovrei inserirmi”? Domande rispetto alle quali un ascolto non direttivo potrebbe innescare momenti di consapevolezza e mettere sulle tracce di soluzioni consistenti al problema dello sviluppo efficace delle competenze. Ulteriori input possono inoltre essere identificati rispetto alla tipologia di clienti cui potrebbe rivolgersi un segmento “qualitativo” dei ser2 Per quest’ultimo aspetto si rinvia al contributo di Guichard, (2005) qui presentato. Per altre importanti indicazioni sull’argomento: Viteritti, 2005. 301 Conclusioni CAPITOLO 6 Conclusioni vizi di orientamento ispirato alle logiche della riflessività. Considerando le differenze tra i diversi strati tipici della società dell’apprendimento e del rischio, possono essere immediatamente esclusi come clienti di tale segmento gli strati superiori – i knowledge workers in linea di principio già sufficientemente dotati di proprie risorse (per crescere continuamente sul lavoro, e anche se necessario, per acquisire le forme di aiuto più in linea con le proprie esigenze). Per opposti motivi non andrebbero presi in considerazione gli strati meno favoriti sul piano culturale e lavorativo, sui quali vanno, almeno in prima battuta, concentrati interventi soprattutto di tipo informativo e finalizzati al rimedio immediato a situazioni di emergenza, a livello individuale e sociale. Gli strati di riferimento sembrano invece quelli popolati da persone dotate di sufficienti risorse culturali e già in qualche modo a conoscenza delle opportunità e delle difficoltà che si incontrano nel mondo del lavoro, ma che, per diversi motivi, possono incorrere, o sono già incorse, in difficoltà di diverso tipo nei propri processi di sviluppo professionale. Una recente indagine sui tecnici operanti nei settori della produzione del software e dell’audiovisivo evidenzia, ad esempio, importanti spazi di sviluppo per attività di supporto a questo tipo di popolazioni, caratteristiche dei contesti – molto rilevanti nell’economia dell’apprendimento – che possono essere definiti “dinamici e instabili” (Tomassini et al., 2005; Tomassini et al., 2006). L’indagine, condotta attraverso diverse storie di vita e uno studio di caso riferito a una piccola impresa di successo, mostra come l’area professionale dei tecnici informatici e audiovisivi sia contrassegnata da significativi livelli di sviluppo delle competenze ma anche da elevati rischi di impasse. La molla dello sviluppo professionale è infatti costituita da opportunità legate ai cicli dell’innovazione tecnologica e da diffuse – ma non generalizzate – occasioni di work-based learning. Queste ultime riguardano sia modalità di apprendimento organizzativo legate al contesto aziendale sia modalità di auto-apprendimento (es. connessione a comunità virtuali su Internet e/o studio individuale su libri, riviste, etc.. in relazione a aspetti specifici del lavoro), individualizzate ma niente affatto astratte dal contesto stesso. L’indagine mette in evidenza una diffusa disponibilità dei soggetti a modelli positivi di ingaggio nel work-based learning contestualizzato. Alcuni dei soggetti delle storie di vita, ad esempio, mostrano di riuscire ad apprendere continuamente e a ristrutturare in modo flessibile i propri percorsi professionali (oltre che – come in alcuni esempi – essere stati capaci di utilizzare la leva formativa per ridefinire alla radice il proprio destino professionale facendo seguire uno o più corsi di formazione professionale a esperienze universitarie concluse da sbocchi di lavoro deludenti). L’indagine rivela tuttavia, allo stesso tempo, l’esistenza di dislivelli non 302 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI trascurabili tra contesti aziendali in cui si verificano le dinamiche di workbased learning che assicurano lo sviluppo delle competenze, e altri contesti in cui invece le occasioni di apprendimento sono limitate e/o i soggetti incontrano difficoltà, affievoliscono le loro capacità di auto-sviluppo, accumulano ritardi e squilibri non solo cognitivi ma anche esistenziali ed emozionali. Su questo tipo di situazioni – molto diffuse al di là dei ristretti esempi offerti dall’indagine qualitativa di cui si è brevemente riferito – si potrebbe positivamente intervenire anche con strumenti di tipo “bilancio delle competenze”, finalizzati a indagare e ristrutturare criticamente problemi e premesse soggettive, in una logica per alcuni versi adattiva ma per altri soprattutto generativa, dalla quale possano cioè scaturire soluzioni innovative-evolutive. È evidente che questa opzione implica di intendere il bilancio in senso non ristretto, ma invece come uno spazio di riflessività che consenta al soggetto di interrogarsi sul proprio rapporto con lo sviluppo delle competenze. Un rapporto necessariamente singolare e “emergente”, in quanto generato all’intersezione tra disposizioni individuali e contesti di attività, la cui esplorazione può essa stessa rappresentare una importante pratica riflessiva e l’innesco di capacità riflessive permanenti da applicare nella dimensione lifelong. Riferimenti bibliografici Argyris, C., Schoen, D.A. (1996). Organizational Learning II. Theory, Method and Practice. Reading, Mass: Addison Wesley, (tr. it.: Apprendimento organizzativo: teoria, metodo e pratiche. Guerini, Milano, 1998). Beck, U. (1999). Schone neue Arbeitswelt. Vision: Weltburgergesellshaft. Campus, Frankfurt am Main, (tr. it.: Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Einaudi, Torino, 2000). Beck, U., Giddens, A., Lash, S. (1994). 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Un caso di studio, alcuni spunti per la ricerca, Professionalità, 91. 304 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 6.3 APPRENDIMENTO E TRASFERIMENTO DI COMPETENZE PROFESSIONALI di Michele Pellerey1 Introduzione Uno dei problemi, che i processi formativi diretti allo sviluppo di competenze spendibili nel mondo del lavoro e delle professioni si trovano a dover affrontare con grandi difficoltà, riguarda la capacità di far evolvere le competenze acquisite in determinati contesti, trasferendole mediante la loro estensione o applicazione a situazioni non ancora affrontate o a contesti operativi che si differenziano più o meno fortemente da quelli già famigliari. È la questione del transfer delle competenze. Essa si connette con la più ampia questione del transfer delle conoscenze e dell’apprendimento. La storia della psicologia scientifica è segnata da questa questione; sono state proposte varie teorie esplicative ma in gran parte sul piano pratico formativo esse non hanno trovato ancora molti riscontri fecondi e affidabili2. L’importanza dell’argomento è abbastanza evidente: quanto si acquisisce in uno specifico contesto, sia esso formativo in senso formale, informale o non formale, manifesta la sua qualità nel corso della propria esperienza e carriera lavorativa sulla base della sua utilizzabilità positiva nell’affrontare situazioni che inevitabilmente tendono a modificarsi nel tempo in termini di tecnologie coinvolte, di organizzazione dell’attività, di relazioni istituzionali e interpersonali, di tipologia di servizi, di prodotti e di processi produttivi. Ciò è particolarmente evidente sia nel caso di mobilità lavorativa orizzontale, sia di mobilità lavorativa verticale. Nel primo caso si può giungere fino alla necessità di affrontare esigenze caratterizzanti una vera e propria riconversione professionale; nel secondo, occorre in genere superare le difficoltà, che emergono a livelli via via più avanzati di carriera professionale. In ogni caso, le nuove forme di professionalità da sviluppare si basano, oppure sono condizionate, da quelle pre- 1 Professore Ordinario (Emerito) di Didattica presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione Università Pontificia Salesiana. 2 Una rassegna delle ricerche sulla natura e sulle dinamiche dei processi di transfer, in particolare riferibili ai processi formativi scolastici, si trova nell’opera curata da S.M. Cormier e J.D. Hangman (Eds.) Transfer of learning contemporary research and application (New York, Academic Press, 1987). Una ricostruzione aggiornata della storia delle indagini sullo stesso argomento si può leggere nel volume di R.E. Haskell Transfer of learning. Cognition, instruction, and reasoning (San Diego, Academic Press, 2001). 305 CAPITOLO 6 Introduzione cedentemente acquisite. In ogni nuova situazione di apprendimento, come di lavoro, entra in gioco il patrimonio di risorse interne disponibile. In sintesi, si può affermare che la condizione lavorativa attuale mette in grande evidenza un insieme consistente di richieste provenienti da un mondo economico, sociale e produttivo in via di rapide trasformazioni, che rendono le abilità di trasferire positivamente quanto è già famigliare a situazioni più o meno nuove, non solo di grande importanza, ma spesso anche indispensabili per rimanere, come si dice, sul mercato del lavoro e delle professioni. Questo contributo ha per oggetto tale nodo cruciale della formazione e si basa su alcuni passaggi fondamentali: a) l’assunzione di un concetto di competenza, sufficientemente ricco e articolato, e di una definizione di transfer d’apprendimento, abbastanza comprensivo, tali da poter costituire un adeguato riferimento di base; b) un approfondimento teorico del problema connesso con il trasferimento o la generalizzazione delle competenze da contesti e tipologie di situazioni già famigliari a contesti nuovi e situazioni che non lo sono e appaiono più o meno distanti dai precedenti; c) l’elaborazione di una teoria sufficientemente comprensiva e affidabile sul transfer delle competenze in ambito lavorativo e professionale; d) prospettare una serie di indicazioni operative, dal punto di vista formativo, tenendo conto delle condizioni richieste perché tali processi di transfer possano aver luogo. Il quadro di riferimento iniziale adottato A partire dalla riflessione critica sviluppata (Pellerey, 2001; 2002; 2004), si può giungere a definire inizialmente una competenza come: “la capacità di mobilizzare (attivare) e orchestrare (combinare) le risorse interne possedute e quelle esterne disponibili per far fronte a una classe o tipologia di situazioni formative in maniera valida e produttiva”. Questa definizione è adeguata per avviare la nostra indagine, anche se dovrà essere ulteriormente precisata. Essa include quattro aspetti o riferimenti fondamentali. a) In primo luogo sono indicate “le risorse interne possedute”. Si tratta del soggetto considerato nella sua complessità. Entrano qui in gioco non solo le conoscenze concettuali e operative acquisite significativamente e stabilmente, ma anche l’insieme delle convinzioni (incluso il sistema di assunzioni e di attese di natura prevalentemente epistemologica), delle motivazioni, delle aspirazioni e dei desideri; inoltre, la flessibilità intellettuale, la sensibilità al contesto specifico e la volizione, intesa quest’ultima come capacità di perseguire con costanza, sistematicità e perseveranza le scelte effettuate; ecc. Tra queste risorse interne sa306 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI rebbe necessario includere la disponibilità a impegnarsi in ciò che da M. Foucault è stato chiamato in vario modo come “pratica di sé”, “tecnologia del sé”3, “cura di sé”: impegno formativo rivolto alla propria persona e diretto a fornire senso, energia e prospettiva allo sviluppo del sé e delle sue risorse interne. b) L’osservazione precedente si collega a quanto viene preso in considerazione successivamente nella definizione di competenza e cioè la componente di tipo energetico, la capacità di mettere in moto, di attivare le risorse interne in maniera agevole e funzionale di fronte alle esigenze o alle sfide che provengono dalle situazioni formative incontrate. Questa componente evidentemente non può manifestarsi in maniera adeguata, se le risorse interne richieste sono carenti, distorte o non congruenti con quanto richiesto dal contesto in oggetto; ma, d’altra parte, anche personalità dotate di un patrimonio soggettivo adeguato possono manifestare carenze in questo ambito, se non riescono a interpretare correttamente le situazioni formative e a risvegliare quanto in termini di cognizioni e affetti deve essere mobilizzato. Viene qui evocato un duplice apporto interno. Il primo apporto deriva dalla consapevolezza riflessa del proprio patrimonio personale di risorse interne e la fiducia nella sua adeguatezza a interpretare e affrontare validamente e positivamente situazioni anche complesse e difficili. Il secondo apporto proviene dal saper utilizzare questo patrimonio per leggere e interpretare in maniera il più possibile adeguata tali situazioni. Anche in questo caso si può evocare una certa “antropologia del sé” accanto a una “comprensione penetrante della realtà”. Tutto ciò, è evidente, richiede apprendistato, un esercizio attuato a partire, soprattutto inizialmente, da modelli e che diviene a poco a poco sempre più autonomo da essi e creativo di una propria identità e peculiarità personali. c) Il terzo aspetto, considerato nella definizione di competenza, concerne il processo organizzatore o di sintesi operativa che deve essere portato a termine. Si può vedere tale processo come legato alla capacità di risoluzione di problemi di natura operativa, oppure riferibile alla capacità di giudizio pratico, o di inferenza pratica. È un aspetto chiave della competenza. È l’incontro fecondo, sul piano dell’azione, tra il mondo interno soggettivo e la percezione della situazione nella quale si deve intervenire, incontro che conduce alla generazione non solo delle decisioni, ma anche all’elaborazione di un progetto concreto d’azione e alla sua attuazione con sistematicità, costanza e perseveranza. d) Il quarto aspetto, o componente, della definizione di competen3 Per quanto riguarda la tecnologia del sé evocata da M. Foucault si può leggere quanto ripreso da Pellerey (1999, pp. 180-181). 307 Il quadro di riferimento iniziale adottato CAPITOLO 6 Il quadro di riferimento iniziale adottato za è preso in considerazione per ultimo, benché in realtà esso sia il primo a qualificare la competenza stessa. Si tratta del contesto dell’attività professionale, quello nel quale la competenza deve essere sviluppata e colta nella sua reale presenza o assenza, nel suo grado di adeguatezza e fecondità. La comunità di pratiche lavorative e professionali, che caratterizza la tipologia di situazioni in oggetto diventa in questo modo anche il tribunale di verifica della sua validità ed efficacia. Nel caso di competenze formative, occorre comunque essere ben consapevoli del fatto che il sistema formativo non agisce direttamente sui destinatari, bensì indirettamente, creando le condizioni nelle quali questi possano e vogliano effettivamente apprendere, crescere, fiorire secondo un progetto di maturazione condiviso. Le competenze riguardano, dunque, la costruzione dello spazio di un loro apprendimento valido e fecondo. Non è possibile, né opportuno richiamare, sia pure per grandi linee, le varie elaborazioni teoriche che si sono succedute nel tempo, spesso sulla base dei riscontri empirico-sperimentali, sull’esistenza e la natura del transfer dell’apprendimento. Basti qui citare un concetto abbastanza comprensivo di transfer dell’apprendimento, quale è quello avanzato da Marini e Genereux: un processo secondo il quale “l’apprendimento precedente influenza l’apprendimento o la prestazione successiva” (Marini e Genereux, 1995, 2). Una definizione così generale mette in evidenza come in ogni forma di apprendimento si possano produrre forme di transfer positivo o negativo, il fatto, cioè, che gli apprendimenti precedenti favoriscono o impediscono, o almeno rendono più difficili, gli apprendimenti successivi. In particolare, risulta chiaro il ruolo cruciale dell’interfaccia esistente tra le precedenti esperienze di apprendimento e quelle nuove o successive. Le impostazioni costruttivistiche odierne insistono sul fatto che “il vecchio apprendimento è sempre rivisto, riorganizzato ed anche reinterpretato per potersi conciliare con i nuovi apporti” (Cust, 1995, 281). Nel campo della formazione professionale il transfer può essere riletto come “il processo attivo secondo il quale il soggetto si impegna per comprendere o interpretare una nuova situazione di attività professionale e per diventare in essa competente, sulla base del patrimonio di esperienze, conoscenze e competenze in lui già disponibile”. Transfer e apprendimento trasformativi Jack Mezirow (1991; 2000) ha sviluppato una concezione dell’apprendimento considerato come “un’estensione della nostra abilità di rendere esplicito, schematizzare (associare entro un quadro di riferimento), 308 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI render proprio (accettare un’interpretazione come propria), validare (stabilire la verità, la giustificazione, l’appropriatezza, l’autenticità di quanto asserito) e agire (decidere, cambiare un atteggiamento nei confronti di qualcuno o qualcosa, modificare una prospettiva, oppure attuare una prestazione) in riferimento a qualche aspetto del nostro coinvolgimento con l’ambiente, le altre persone, noi stessi” (Mezirow, 1991, 11). In esso svolge un ruolo centrale il processo interpretativo, per cui l’apprendimento può essere inteso come “il processo connesso con l’uso di una precedente interpretazione per costruire una nuova o una rivista interpretazione del significato di una propria esperienza come guida per azioni future” (Mezirow, 2000, 5; 1991, 12). In quest’approccio gioca un ruolo centrale proprio il processo di transfer, rivisitato al livello proprio dei processi di attribuzione di senso e di significato alle proprie esperienze. Questa prospettiva è valorizzata soprattutto in riferimento all’apprendimento adulto, in quanto il soggetto ha già sviluppato un insieme di assunzioni e di attese, che formano un sistema di significati. Mezirow, data la centralità dell’attribuzione di significato nella sua impostazione, specifica che questa deriva dall’utilizzazione di un vero e proprio quadro di riferimento, definito “prospettiva di significato”, che coinvolge la dimensione cognitiva, quella affettiva e quella conativa (o volitiva). “Esso dà forma e delimita selettivamente percezione, cognizione, sentimenti e disposizioni predisponendo le nostre intenzioni, attese e propositi. Esso fornisce il contesto per costruire significati entro i quali noi scegliamo che cosa e come l’esperienza sensoriale deve essere costruita e/o fatta propria” (Mezirow, 2000, 16). L’apprendimento è così visto come un processo interpretativo dialettico mediante il quale interagiamo con oggetti ed eventi, guidati da un insieme d’attese già presente. “In altre parole, noi usiamo le attese già stabilite per spiegare e costruire ciò che percepiamo essere la natura di un aspetto dell’esperienza che fino ad ora manca di chiarezza o è stata mal interpretata. Tuttavia, in un apprendimento trasformativo reinterpretiamo una vecchia (passata) esperienza (o una nuova) da un nuovo insieme d’attese, dandole così un nuovo significato e una nuova prospettiva” (Mezirow, 1991, 11). Mezirow precisa quattro forme di apprendimento adulto che implicano un processo di transfer gradatamente sempre più impegnativo (Ibidem, 93-94). La prima forma concerne l’apprendere attraverso gli schemi interpretativi già posseduti, che possono essere ulteriormente differenziati ed elaborati per adattarsi alla nuova esperienza, oppure possono essere utilizzati immediatamente senza bisogno di alcun adattamento. In quest’ultimo caso, ciò che cambia rispetto al passato è solo la risposta specifica. 309 Transfer e apprendimento trasformativi CAPITOLO 6 Transfer e apprendimento trasformativi La seconda forma d’apprendimento riguarda la formazione di un nuovo schema interpretativo, cioè la creazione di nuovi significati, che siano sufficientemente consistenti e compatibili con le prospettive di senso già esistenti, per integrarle e in questo modo estenderne gli scopi. La terza forma d’apprendimento avviene attraverso la trasformazione di schemi di significato, o schemi interpretativi. Questo tipo d’apprendimento implica una riflessione attenta circa la qualità delle assunzioni, o presupposizioni, sulle quali essi si basano. In tale contesto, nostri specifici punti di vista e particolari convinzioni si manifestano poco funzionali o del tutto inadeguati di fronte a una nuova situazione o esperienza e sperimentiamo, di conseguenza, un crescente senso d’inadeguatezza delle nostre vecchie maniere di vedere e di comprendere. La quarta forma si ha quando la trasformazione riguarda più in profondità la prospettiva stessa di significato, cioè si diventa consapevoli, attraverso la riflessione e la critica, della natura erronea dei presupposti sui quali si basa una distorta o incompleta prospettiva di significato e, a partire da questa consapevolezza, ci si impegna nel trasformare tale prospettiva attraverso una riorganizzazione dei significati. Secondo Mezirow, in tutte le forme di apprendimento è presente un’attività di soluzione di problemi, anche se di natura diversa a seconda del dominio di apprendimento. L’autore, infatti, utilizza la distinzione avanzata più volte da J. Habermas tra razionalità e interesse tecnico, o strumentale, e razionalità e interesse pratico, o comunicativo. Nel primo caso, quello dell’apprendimento nel dominio strumentale, l’Autore prevede un procedimento risolutivo basato su processi di pensiero di natura ipotetico-deduttiva: formulazione d’ipotetici corsi d’azione, anticipazione delle loro conseguenze, attuazione di quelli più plausibili, verifica dei risultati ottenuti. Nel secondo caso, quello dell’apprendimento nel dominio comunicativo, sono coinvolti processi che si basano prevalentemente sul consenso: giudizi provvisori aperti a nuove argomentazioni e testimonianze e a nuovi paradigmi di comprensione. Habermas in realtà distingue una terza forma d’interesse o razionalità, la forma emancipatoria, che implica un ulteriore dominio di apprendimento. Mezirow, però, precisa che esso è presente in ambedue i domini come modalità di riflessione critica, soprattutto quando si tratta della terza e quarta forma di apprendimento. D’altra parte, il processo di riflessione deve essere inteso come “valutare criticamente il contenuto, il processo, o le premesse dei nostri sforzi di interpretazione e di attribuzione di senso a una nostra esperienza” (Ibidem, 1991, 104). Esso ricopre un ruolo centrale nei processi d’apprendimento trasformativi che, sulla base di una constatazione di assunzioni distorte, inautentiche o in altro modo ingiustificate, giunge a nuovi o trasformati schemi di si310 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI gnificato oppure, se ci si è concentrati sulle premesse o presupposizioni, a nuove o trasformate prospettive di significato. Elementi per una teoria del transfer delle competenze Jack Mezirow insiste sul ruolo dei processi interpretativi nell’utilizzare il patrimonio personale (schemi e prospettive interpretative) nel leggere nuove situazioni ed esperienze e dar loro senso e significato. Ciò è certamente importante. Ma sembrerebbe in questo modo trascurare il ruolo degli schemi d’azione. In realtà, egli spesso insiste sul fatto che di fronte alle sfide poste dalle nuove esperienze se il primo passo è quello di cercare di comprenderle e dar loro senso, il successivo è quello di progettare una linea di azione che risponda a tale sfida e poi attuarla, verificandone l’efficacia. Questa impostazione è coerente con l’approccio alla dinamica dell’agire umano che ho cercato di riassumere in altra occasione (Pellerey, 1999). L’azione umana prende l’avvio da un processo interno di natura motivazionale, attivato da un’interazione tra il Sé (inteso come il sistema di attese, desideri, convinzioni, significati, motivi, conoscenze e abilità che caratterizza il soggetto) e l’ambiente (la situazione, il contesto, gli oggetti, le persone), quale esso è percepito dall’individuo. Di qui emerge la sollecitazione a intervenire per trasformare la situazione percepita per giungere a una nuova situazione prefigurata come obiettivo da raggiungere. La decisione di agire (o elaborazione dell’intenzione d’azione) chiude il processo predecisionale, ma apre quello della volizione, cioè della progettazione concreta dell’azione decisa, della sua attuazione coerente e persistente e della valutazione attenta dei suoi risultati. Occorre precisare che il processo motivazionale, pur essendo il primo passo verso l’azione, non include in sé la generazione dell’intenzione. Occorre che almeno si sviluppi un atto interno di consenso per trasformare la finalità di un’azione in un’esplicita intenzione d’agire. Si tratta del momento decisionale vero e proprio, che non riguarda tanto se fare o meno una certa cosa, ma se farla proprio ora, in questo contesto preciso. Si passa cioè da un desiderio a una scelta. I suggerimenti di Mezirow portano a distinguere i processi di transfer secondo due categorie radicalmente differenti. La prima riguarda l’utilizzo di schemi interpretativi e operativi in maniera tale da non esigere una loro modifica sostanziale o loro trasformazione. Si tratta, come già accennato, di una loro evocazione e utilizzo immediato o quasi immediato, oppure di una loro rimodulazione, affinamento e generalizzazione per includere nuove situazioni in una tipologia già sufficientemente conosciuta. Il processo di transfer si presenta, come già notato, abbastanza age311 CAPITOLO 6 Elementi per una teoria del transfer delle competenze vole, anche se in qualche caso pericolosamente esposto a insuccessi dovuti ad applicazioni ingenue o superficiali di quanto consolidato. La seconda categoria concerne situazioni ed esperienze che per essere adeguatamente interpretate ed efficacemente affrontate esigono un processo di riorganizzazione degli schemi interpretativi e/o operativi oppure della stessa prospettiva di significato (nella concezione propria di Mezirow). Tale processo di trasformazione può aver luogo solo se si mette in moto un processo di riflessione critica adeguatamente sostenuto e perseguito. Mezirow accenna anche alla qualità di questo processo riflessivo e alle sue caratteristiche. Egli fa riferimento sia a Dewey, e in particolare al sorgere del pensiero riflessivo quando il corso dell’azione viene bloccato, sia a Kolb e, nel contesto della sua teoria dell’apprendimento esperienziale, alla dialettica tra osservazione riflessiva e sperimentazione attiva. La sua definizione di riflessione è elaborata in accordo con il quadro teoretico sviluppato: “il processo di valutare criticamente il contenuto, il processo o le premesse dei nostri sforzi per interpretare e dare senso alla nostra esperienza” (Mezirow, 1991, 104). Essa si ha solo quando “abbiamo bisogno di una guida nel negoziare un passaggio in una serie di azioni o incontriamo difficoltà nel comprendere una nuova esperienza” (Ibidem, 107). Va quindi distinta da modalità d’azione che si possono definire non riflessive come: a) le azioni che derivano da ambiti ormai consolidati; b) la consapevolezza dei propri processi che può essere raggiunta nel contesto di un’azione. La riflessione costituisce, dunque, la dinamica centrale implicata nei processi di soluzione di problemi, di posizione di problemi, di trasformazione degli schemi interpretativi e delle prospettive di senso (Ibidem, 116). Il ruolo del formatore diventa cruciale in particolare nella diagnosi dello stato di preparazione del soggetto, non solo della sua capacità di interpretare validamente la nuova situazione al fine di trasferire le competenze necessarie ad affrontarla, ma anche della sua disponibilità motivazionale, affettiva e volitiva a farlo. La diagnosi consentirà di impostare un percorso che crei le condizioni più favorevoli a intraprendere un più o meno profondo processo di trasformazione. Sembra dunque che la capacità di attivare un processo di transfer delle competenze si configuri come un tipo di metacompetenza che implica almeno quattro componenti fondamentali. In primo luogo la disponibilità a considerare da un punto di vista superiore le proprie competenze in relazione alle nuove situazioni esperite, in particolare da un punto di vista critico-analitico. In secondo luogo, entra in gioco un’adeguata sensibilità per avvertire, se c’è, la presenza di una distanza tra le competenze già acquisite e quelle che si richiederebbero nella nuova situazione. Ciò non basta, oc312 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI corre anche che si riesca ad avvertire l’entità di tale distanza e quindi quanto impegnativo in termini di tempo e di sforzo personale potrà essere l’adattare o il trasformare le proprie competenze. In terzo luogo è coinvolta una capacità di tipo analitico-prospettico per individuare quali risorse interne o esterne debbono essere prese in considerazione al fine di affrontare la sfida incontrata. Infine, è bene non dimenticarlo, è richiesta la capacità non solo di giungere alla decisione effettiva di affrontare il lavoro necessario per adattare o trasformare le competenze in oggetto, ma anche, e soprattutto, la capacità di impegnarsi per un tempo adeguato e mettendo in campo tutte le forme di controllo dell’azione che consentono di portare a termine la decisione presa. Una delle conclusioni a cui vorremmo giungere riguarda la definizione dal punto di vista adottato di alcuni caratteri propri di una competenza esperta. In questo modo avremmo anche un riferimento prospettico per impostare l’attività formativa rivolta allo sviluppo della capacità di transfer delle proprie competenze. Colui che ha raggiunto il livello della competenza esperta (Pellerey, 2001, 257-258) agisce nel contesto del campo di sua specializzazione con naturalezza, senza particolari forme di analisi critica, rapidamente. È come se riconoscesse immediatamente una configurazione nella sua totalità e attivasse senza alcuna difficoltà o tensione interiore la modalità d’azione conseguente. Egli cioè, possiede una base di schemi interpretativi, e di schemi operativi collegati, organizzata in maniera altamente funzionale alla sua attività professionale, che permette di discriminare in maniera assai raffinata situazioni che per altri apparirebbero assai simili, se non identiche. Quanto è più larga la base esperienziale accumulata e strutturata, tanto più vasta sarà la capacità di leggere, interpretare e intervenire efficacemente nelle diverse situazioni. Il transfer in questi casi è praticamente automatico. Lo stesso esperto, però, è in grado anche di distinguere situazioni che si discostano da quelle già incontrate e che non rientrano entro i quadri interpretativi e operativi ormai consolidati, valutandone i caratteri peculiari. Qui entra in gioco la metacompetenza sopra descritta che permette di identificare non solo la consistenza della distanza tra quanto si è già in grado di affrontare validamente ed efficacemente, ma anche i possibili percorsi di arricchimento o di trasformazione delle risorse interne o della capacità di una loro attivazione e orchestrazione in modo da rispondere alle nuove sfide. Quanto ai livelli di distanza tra la base conoscitiva ed esperienziale, sia concettuale che operativa, se ne possono indicare almeno due di riferimento, che possono essere considerati come posti su posizioni contrastanti su 313 Elementi per una teoria del transfer delle competenze CAPITOLO 6 Elementi per una teoria del transfer delle competenze di una scala continua. Il primo livello, prende in considerazione situazioni nelle quali emerge la necessità di una estensione della base di conoscenza esperienziale a nuovi casi non ancora incontrati precedentemente e che si discostano per alcuni aspetti significativi, ma non tali da rimettere in discussione il quadro interpretativo utilizzato. Si tratta di sviluppare un controllo critico di tipo analitico della situazione, seguito da un attento esame del repertorio di schemi interpretativi e operativi disponibile per verificare se essa può essere inclusa con opportuni adattamenti in qualcuno di essi per poi passare all’azione e valutare se la pratica sviluppata permette effettivamente di superare la difficoltà o la sfida incontrata. In questo caso si hanno un allargamento del repertorio posseduto e una migliore capacità di attivazione e orchestrazione delle proprie risorse. Se ciò non avviene occorre passare a una nuova modalità di intervento. L’altro livello è riferibile a situazioni in cui non si riesce a cogliere nella sua totalità la configurazione della nuova situazione, sfuggono non solo alcuni elementi, ma la sua stessa struttura fondamentale. Occorre in questo caso un esame critico approfondito per identificare, anche con l’aiuto di altri esperti, quali componenti della competenza vengano rimesse in discussione: se si tratta di categorie concettuali e interpretative carenti, inadeguate o erronee; oppure di modalità d’azione e di schemi operativi non rispondenti o del tutto fuori luogo; o, infine, di prospettive di significato, di teorie generali, che sono rimesse in discussione e devono essere trasformate. Congiuntamente, il competente esperto riesce a elaborare una valutazione, anche se ipotetica e sommaria, circa il tempo, l’impegno, le risorse esterne necessarie e a decidere se egli si sente di affrontare quanto richiesto per far evolvere positivamente la sua competenza. In questo caso, quando egli è giunto a una vera e propria decisione di agire in proposito, deve saper elaborare una linea di azione e essere in grado di metterla in atto con costanza e sistematicità e di valutarne in corso d’opera e al termine gli esiti. Si vengono così a evidenziare vari livelli di distanza tra le situazioni ed esperienze nuove da affrontare, e le competenze implicate, e il patrimonio di competenze già posseduto in modo stabile e fruibile. In questo contesto, come spesso oggi avviene quando si esaminano categorie concettuali, probabilmente è utile considerare classi e tipologie di situazioni che sono al loro interno sfumate. In effetti, tra il prototipo di una situazione professionale, che caratterizza una competenza, o un grappolo di competenze, e le situazioni che a poco a poco si discostano sempre più da esso, si apre una gamma di casi, che implicano un adattamento sempre più esigente, fino a raggiungere i confini stessi della classe o tipologia di situazioni presa in considerazione. Finché si rimane all’interno di una particolare classe o tipologia di situazioni, il processo d’adattamento può es314 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI sere definito di modulazione della competenza. Quando tale processo non è più sufficiente, cioè ci si trova in contesti che implicano non tanto e non solo la mobilizzazione e orchestrazione di risorse interne già possedute, bensì un loro sviluppo e, spesso, una loro profonda trasformazione, si passa a tipologie di situazioni che implicano una vera e propria discontinuità. Le risorse interne e la capacità di una loro mobilizzazione e orchestrazione si dimostrano in questi casi non più sufficienti per una semplice azione di modulazione della competenza, bensì una vera e propria modificazione della competenza intesa nel suo complesso o almeno in alcune delle sue componenti fondamentali. Sulla base di quanto esaminato è possibile prospettare un continuo costituito da classi o tipologie di situazioni professionali sfumate e relative competenze richieste, che coinvolgono livelli di transfer progressivamente sempre più impegnativi, in quanto si passa da una valorizzazione valida ed efficace di risorse interne già possedute a una anche profonda e impegnativa loro trasformazione, che implica capacità non solo di mobilizzazione e orchestrazione, ma una metacompetenza abbastanza sofisticata. La promozione della capacità di transfer delle competenze Il transfer delle competenze è un processo fondamentale per il loro sviluppo e adattamento alle sempre più velocemente mutevoli condizioni dell’attività professionale; quali ne siano le condizioni non solo di attuazione, ma anche di promozione nelle attività formative è dal nostro punto di vista il cuore del problema. Si tratta di un’indagine non facile, in quanto, molte delle teorie sviluppate nel corso del secolo passato, una volta applicate in campo formativo, non hanno trovato riscontri affidabili. Tanto, che da alcuni è stata messa in dubbio la possibilità di un suo sviluppo mediante un opportuno intervento formativo (Detterman, 1993). Tuttavia, una lettura attenta dei contributi più rilevanti, e di alcune delle proposte più recenti sopra richiamate, apre una prospettiva di lavoro interessante. In particolare, sono state evidenziate alcune condizioni, che permettono un più agevole trasferimento delle varie componenti delle competenze da un ambito, o tipologia, di situazioni ad altre. Necessità della disponibilità di una base conoscitiva sufficientemente larga e ben organizzata Nella definizione generale di transfer assunta come riferimento all’inizio di questo contributo, si è posto l’accento sul ruolo insostituibile gio315 Elementi per una teoria del transfer delle competenze CAPITOLO 6 La promozione della capacità di transfer delle competenze cato dai processi di trasferimento verso nuove situazioni ed esperienze dal “patrimonio di esperienze, conoscenze e competenze […] già disponibile”. Ausubel (1978, 222) afferma a questo proposito che: “La conseguenza forse più importante per l’insegnamento è che, poiché la struttura cognitiva esistente riflette tutto l’apprendimento significativo precedente, si può esercitare un controllo […] sulla precisione, chiarezza, persistenza nella memoria e applicabilità di un determinato complesso di conoscenze, tentando di agire sulle variabili cruciali della struttura cognitiva”. In altre parole, si tratta di migliorare il contenuto e l’organizzazione di tale patrimonio, e le precedenti esperienze di apprendimento, al fine di facilitare quanto più possibile lo sviluppo ulteriore o la trasformazione delle conoscenze e delle competenze. Se ci si riferisce poi alle indicazioni offerte dal modello di apprendimento esperienziale prospettato da Kolb e riletto da Le Boterf (Pellerey, 2001, 267-68) questo momento formativo è costituito da un percorso riflessivo, che consenta di rendere intelligibile, ricca di senso, l’esperienza precedente e da un processo di concettualizzazione e modellizzazione che valorizzi apporti teorici e interpretativi ulteriori. A partire da questa riorganizzazione del proprio patrimonio conoscitivo è possibile trasporre i modelli concettuali e operativi a nuove situazioni. È stato riconosciuto, a questo proposito, che anche nell’attività di soluzione di problemi ciò che è cruciale non è tanto l’uso di differenti e più potenti euristiche, quanto una rappresentazione iniziale che permetta all’esperto di individuare una migliore via di soluzione, rispetto a quelle possibili. Ciò è possibile, se la base di conoscenze, concettuali ed esperienziali, è adeguatamente organizzata e facilmente accessibile. Dal punto di vista del trasferimento di una competenza da un ambito esperienziale a uno nuovo occorre da una parte disporre di una base conoscitiva relativa a tale ambito, possedere una consapevolezza della sua organizzazione e un accesso facile ai suoi aspetti più rilevanti di fronte alle situazioni da affrontare e, dall’altra, di una adeguata, anche se iniziale, comprensione e rappresentazione del nuovo contesto operativo, sapendone individuare gli elementi più rilevanti (a esempio, per differenza o per somiglianza). Il processo di pensiero più importante sembra essere quello analogico. Tuttavia, altri processi appaiono centrali: astrazione, pensare per archetipi, classificare, generalizzare, indurre, cercare invarianze, relazioni isomorfiche e omeomorfiche, ecc. Sembra, dunque, che occorra promuovere, al fine di favorire la capacità di trasferimento delle competenze, un processo di valutazione e una capacità di autovalutazione delle risorse interne, in particolare di tipo conoscitivo (concettuale e operativo) dal punto di vista della loro organizzazione e di una consapevolezza soggettiva della loro presenza e dispo316 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI nibilità, tenendo conto delle esigenze professionali in oggetto. A partire da tale valutazione di tipo diagnostico impostare un percorso di strutturazione, approfondimento, integrazione. In questo percorso formativo acquistano un particolare rilievo le proposte di J. Mezirow dirette a favorire la costruzione e la trasformazione di schemi e di prospettive di significato, che consentono l’interpretazione o la reinterpretazione dell’esperienza e un’impostazione più consapevole e riflessiva dell’azione. “La riflessione è la dinamica centrale sia nell’apprendimento intenzionale, sia nel problem solving, sia nella verifica di validità mediante discorsi razionali. L’apprendimento intenzionale coinvolge al suo cuore l’esplicitazione del significato di una esperienza, ovvero la sua reinterpretazione, o, ancora, la sua applicazione in un’azione guidata dalla riflessione” (Mezirow, 1991, 99). A questo fine, soprattutto nell’educazione degli adulti, occorre promuovere pratiche formative finalizzate “ad aiutarli a diventare più criticamente riflessivi, a partecipare più pienamente e liberamente nei discorsi razionali e nell’azione, a crescere orientandosi verso prospettive di significato che sono più inclusive, discriminanti, pervasive e integrative dell’esperienza. […] La valutazione dei guadagni risultanti da un apprendimento trasformativo dovrebbe essere diretta a confrontare le prospettive di significato iniziali con quelle successive o finali tenendo conto dei cambiamenti in interessi, obiettivi, consapevolezza dei problemi e dei contesti, riflessività critica e nell’azione, apertura a prospettive alternative, abilità a partecipare liberamente e pienamente in discorsi razionali e disponibilità ad accettare una validazione consensuale come un modo di risolvere i problemi nell’apprendimento comunicativo” (Ibidem, 224-226). Nella razionalità pratica, quella certamente evocata dall’approccio per competenze, è centrale il procedimento intellettuale descritto dall’inferenza pratica. Questa parte da una premessa di carattere generale che riguarda il fine, o obiettivo, che si vuole raggiungere e, sulla base di una ricognizione della situazione da affrontare e delle risorse disponibili, giunge alla conclusione di come si debba agire. Se le risorse, soprattutto quelle interne, risultano insufficienti o inadeguate per raggiungere l’obiettivo, ci si appresta allora a modificarle o arricchirle convenientemente. Un processo di questo tipo implica da una parte il desiderio di superare positivamente l’ostacolo incontrato; dall’altra, l’investimento di tempo e sforzo personale per conseguire le condizioni riscontrate necessarie per procedere. Su questi ultimi aspetti concentreremo ora la nostra attenzione. L’acquisizione dello spirito e del desiderio del transfer Lo spirito del transfer secondo R.E. Haskell (2001) deriva dall’insie317 La promozione della capacità di transfer delle competenze CAPITOLO 6 La promozione della capacità di transfer delle competenze me delle disposizioni interiori come atteggiamenti, motivazioni, sentimenti riferibili al trasferimento di competenze. Da questo punto di vista già G. Allport (1977) aveva evidenziato che la disponibilità a impegnarsi in un transfer di conoscenze o di abilità dipende soprattutto da disposizioni interne al soggetto, anche di tipo volitivo. Posizioni analoghe si possono trovare in D. P. Ausubel (1978). Soggetti che partecipano a un’attività formativa spinti solo dal desiderio di imparare il più velocemente possibile tecniche operative e abilità di natura pratica da spendere in contesti specifici, ben difficilmente attiveranno processi di modificazione e adattamento delle conoscenze e abilità già possedute alle nuove esigenze. Sinteticamente si possono individuare tre grandi aree nelle quali va promosso lo spirito del transfer: l’area delle caratteristiche personali, l’area affettiva e motivazionale, l’area volitiva. L’area delle caratteristiche di personalità risulta determinante secondo Allport, perché l’afferrare molte delle relazioni di somiglianza dipende in gran parte da caratteristiche psicologiche del soggetto. Nel cogliere le somiglianze, infatti: “gli effetti del transfer dipendono soprattutto dall’equivalenza di significati che per l’individuo hanno i campi che gli sono di fronte: il transfer avviene se questi sono simili. Equivalenza e somiglianza non sono affatto uniformi, sono cose personali; è quindi impossibile prevedere per la massa delle persone il valore di transfer della singola esperienza” (Allport, 1977, 275). Allport ritiene che all’origine della “capacità di rendere molti stimoli funzionalmente equivalenti e di dare origine e guidare forme coerenti (equivalenti) di condotta di adattamento, secondo determinati stili” si collochino le disposizioni personali (Ibidem, 318). Il transfer emerge sotto la guida di categorie interpretative generali e sulla base di disposizioni volitive positive. Ad esempio, una personalità timida e diffidente troverà più difficoltà ad affrontare situazioni nuove che implichino anche disponibilità ad affrontare situazioni di rischio in condizioni poco protette. I caratteri peculiari di ogni persona derivano da forme specifiche di integrazione e generalizzazione di motivi, significati e desideri sulla base della storia soggettiva e del vissuto di esperienze, emozioni e sentimenti. Per promuovere lo spirito del transfer occorre, dunque, svilupparne in maniera solida il significato per la propria crescita personale, la sua importanza dal punto di vista formativo, il desiderio di metterlo in atto per migliorare la propria competenza professionale. Una persona volitiva, resistente alla fatica, capace di controllare le emozioni negative, perseverante nei propri impegni può garantire meglio la continuità dello sforzo nel cercare di promuovere un trasferimento positivo delle proprie competenze. Da queste considerazioni deriva una dimensione propria della forma318 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI zione, che non è propriamente di natura tecnico-professionale, anche se a questa deve essere collegata, quanto riferentesi allo sviluppo e alla integrazione della persona considerata nelle sue disposizioni fondamentali. Tra queste occupa un posto centrale la disponibilità a rimettersi in discussione, a cambiare prospettive di lettura e interpretazione delle proprie esperienze, ad avventurarsi in percorsi formativi che possono condurre a uno sviluppo o a una trasformazione del proprio patrimonio personale non solo di conoscenze, ma anche di schemi interpretativi e d’azione e di prospettive di significato. Lo sviluppo di contesti formativi e di lavoro, che siano caratterizzati da una cultura del transfer Le attività formative e di lavoro si svolgono in contesti segnati da specifiche culture e dinamiche sociali. Anche i processi di transfer ne sono segnati. La conversazione che precede, accompagna e segue le attività promosse influenza l’attenzione data non solo ai contenuti conoscitivi e operativi da attivare, ma anche al modo con il quale essi possono essere modificati, adattati, collegati alle situazioni da affrontare. Occorre, inoltre, ricordare che ogni apprendimento è inevitabilmente situato, legato al contesto nel quale esso si attua. Un contesto lavorativo è caratterizzato a sua volta da ruoli, norme, sollecitazioni, conoscenze procedurali, finalità, forme di rinforzo, modelli di comportamento, atteggiamenti, significati, specifiche informazioni, ecc. Passare da un contesto formativo, spesso esterno a una comunità di pratiche di lavoro, all’ambito lavorativo, oppure passare da un contesto lavorativo a un altro, implica un complesso processo di adattamento, nel quale una cultura del transfer e una formazione specifica giocano un ruolo essenziale. Permeare il contesto culturale e sociale sia della comunità di pratiche formative sia della comunità di pratiche di lavoro di un’attenzione e orientamento pratico a forme più o meno pronunciate di transfer, sembra costituire una delle condizioni per favorire non solo lo sviluppo di una consapevolezza soggettiva della sua importanza, ma anche delle abilità nell’attivarlo. Nei contesti formativi una cultura del transfer può essere promossa in particolare mediante forme di simulazione, di role playing, ecc. Nei contesti lavorativi essa dipende però in gran parte dai modelli di comportamento e di interazione messi in atto dal management e dai colleghi. Un ruolo può anche averlo il contesto fisico e le iniziative di aggiornamento e formazione continua programmate. Una comunità di pratiche formative o di lavoro è segnata da una cultura del transfer se si costituisce come una vera e propria organizzazio319 La promozione della capacità di transfer delle competenze CAPITOLO 6 La promozione della capacità di transfer delle competenze ne che apprende sia dalla propria esperienza, sia da nuovi modelli e nuove prospettive di azione: aperta al cambiamento e all’innovazione; capace di riflettere sulla propria esperienza e la propria vicenda anche al fine di coglierne con più acutezza il senso; desiderosa di sviluppare modalità più valide e produttive di organizzazione dell’attività svolta e di promuovere migliori relazioni istituzionali e interpersonali; disponibile a dare spazi e tempi per comunicare sia le insoddisfazioni, sia le aspirazioni, ma soprattutto per progettare il futuro e individuarne le condizioni di fattibilità quanto a competenze collettive e individuali richieste. L’attuazione di pratiche formative, basate su un esercizio guidato e progressivo, in forme ricorsive, della pratica del transfer. Si è già accennato alla necessità di una consapevolezza critica delle variabili coinvolte nell’esplicare una competenza legata a una particolare tipologia di situazioni lavorative e di una certa conoscenza e famigliarità con i nuovi contesti operativi da affrontare. Una formazione alla capacità di generalizzazione e di trasferimento delle competenze sembra poter essere favorita da alcuni fattori. In primo luogo si tratta di osservare coloro che già operano nel nuovo contesto, si tratta di cogliere nel modo in cui agiscono analogie e differenze con quanto già si conosce. Ciò è particolarmente rilevante nei confronti di soggetti che sono impegnati in attività di transfer. Quindi, si tratta di utilizzare le proprie competenze cercando di rimodularle, adattandole alle nuove esigenze e verificando l’efficacia o meno di tale operazione. In questo è essenziale prender coscienza di ciò che è identico, di ciò che è simile, di ciò che è moderatamente diverso, di ciò che è profondamente diverso. Segue quella che può essere definita una pratica riflessiva, deliberatamente controllata, che porta a poco a poco ad accumulare adeguata esperienza, sulla quale innestare un processo di sempre maggiore consapevolezza critica, di concettualizzazione e di confronto con quanto era già posseduto prima di affrontare il nuovo contesto. Di qui si può sviluppare uno schema operativo più generale e astratto, derivato però da un’integrazione di schemi più particolari. La metodologia diretta allo sviluppo di competenze proposta da Spencer e Spencer (1995; Pellerey, 2001), si articola secondo sei passaggi, che possono essere riletti dalla particolare prospettiva della promozione del transfer delle competenze. Il primo passaggio implica il riconoscere la natura delle competenze da sviluppare e il loro valore; esse possono essere colte nella loro natura e rilevanza a partire dalla considerazione di nuove situazioni ed esperienze di lavoro o di formazione. Segue uno studio finalizzato a comprendere in che cosa esse consista320 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI no e come si manifestino; ciò corrisponde a un’analisi attenta degli elementi caratterizzanti la nuova condizione professionale e le esigenze che sollecita. Il terzo passaggio comporta l’identificazione mediante forme di autovalutazione della distanza o discrepanza tra il livello attuale di competenza e quello prefigurato; questo passaggio coinvolge una capacità che precedentemente è stata descritta in termini di metacompetenza. Secondo Spencer e Spencer a questo punto è possibile esercitarsi sotto la guida e il feedback di un formatore. Il ruolo di questi può essere considerato a vari livelli e secondo molteplici approcci, che vanno da una semplice guida alla consapevolezza della dinamica fondamentale dei processi di transfer per passare da competenze già consolidate a nuove competenze e a un sistematico lavoro di costruzione o trasformazione di schemi interpretativi e prospettive di significato, verificati nel corso di nuove esperienze e relative riflessioni critiche. Quando si è raggiunto un sufficiente livello di sviluppo delle nuove competenze intese, “il soggetto fissa obiettivi e sviluppa piani operativi intesi a determinare i modi di utilizzare la nuova competenza nella vita lavorativa” (Ibidem, 273). Infine, si sviluppa un sistema di follow up e di supporto al fine di consolidare e integrare nell’attività lavorativa le competenze acquisite. Conclusione Il discorso sviluppato è partito dalla definizione delle competenze come “capacità di mobilizzare (attivare) e orchestrare (combinare) le risorse interne possedute per far fronte a una classe o tipologia di situazioni lavorative o professionali in maniera valida e produttiva”. Nel corso delle precedenti argomentazioni si è precisato che oltre alla risorse interne, soprattutto in contesti formativi diretti al loro sviluppo, occorre prendere in considerazione le risorse esterne disponibili, giungendo a prefigurare le pratiche formative e lavorative come il luogo delle conoscenze e competenze distribuite. Inoltre, si è chiarito come la classe o tipologia di situazioni lavorative o professionali debba essere identificata a partire dalle pratiche messe in atto da una comunità di lavoro. Nel caso di contesti formativi entrano in gioco la cultura di riferimento e la pratica formativa attivata. Occorre comunque aggiungere che in non poche situazioni di trasformazione del contesto vitale, delle tecnologie adottate e delle forme organizzative dell’attività lavorativa non ci si può facilmente riferire a una precisa e attuale comunità di pratiche. In vari casi la progettazione di nuovi prodotti, di nuovi processi produttivi e di nuove modalità attuative implica anche la prefigurazione di nuove pratiche di lavoro, che dovranno certamente essere validate sulla base dell’esperienza, ma che comun321 La promozione della capacità di transfer delle competenze CAPITOLO 6 Conclusione que aggiungono un aspetto ulteriore di sfida e di avventura professionale. L’individuazione di quanto queste nuove tipologie di situazioni lavorative implichino più o meno profonde trasformazioni nelle competenze già acquisite è un requisito indispensabile non solo per la formazione del personale, ma anche una condizione di fattibilità della stessa nuova organizzazione del lavoro. Comunque, le competenze intese nell’accezione sopra ricordata e che il soggetto ha sviluppato nel corso della sua attività e delle sue esperienze di lavoro e di apprendimento precedenti costituiscono certamente la base a partire dalla quale si devono innestare le competenze richieste nei nuovi contesti di lavoro o di formazione. Per riuscire a collegare il proprio patrimonio di conoscenze e di competenze con le nuove esigenze occorre mettere in atto una vera e propria dinamica che parte da uno stato motivazionale per elaborare un’intenzione d’azione e una gestione della sua realizzazione valida ed efficace. Ha anche un ruolo importante un coinvolgimento sollecitato da esperienze vicarie, cioè l’interiorizzazione di modalità d’azione, messe in opera da altri e che possono essere rievocate in circostanze simili. La progettazione di un’attività formativa diretta allo sviluppo del transfer delle competenze implica, dunque, da una parte l’individuazione delle caratteristiche e delle componenti di nuove specifiche competenze, richieste da nuovi contesti professionali e, dall’altra, l’effettuazione di un bilancio delle competenze già acquisite da parte del soggetto. Dal confronto tra questi due riferimenti è possibile elaborare un progetto formativo che assuma la forma di un’orchestrazione di esperienze, di una sistematica stimolazione alla riflessione su di esse in vista di una loro decontestualizzazione e concettualizzazione, di guida alla costruzione di schemi operatori aperti a nuove contestualizzazioni più o meno impegnative. Se è importante sollecitare, guidare e sostenere l’attività riflessiva, interpretativa, di concettualizzazione dell’esperienza e di ricontestualizzazione, è altrettanto importante tener conto della necessità di nutrire la componente motivazionale e volitiva dell’azione. In particolare, occorre sostenere: la percezione di autodeterminazione, cioè il senso di essere all’origine delle proprie scelte e delle proprie azioni; la percezione di competenza nello svolgere le attività proposte, il sentirsi capaci di portare a termine i compiti affidati o scelti; il senso di progresso, il percepire che attraverso il proprio impegno si migliora in qualche componente della competenza intesa; una percezione più chiara del significato della competenza sviluppata e del suo ruolo nell’attività professionale, cioè un’adeguata attribuzione di valore al raggiungimento dell’obiettivo formativo proposto; lo sviluppo della capacità di gestire se stesso nel 322 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI condurre a termine un’attività o un impegno con costanza e ferma decisione. Riferimenti bibliografici Allport, G.W. (1977). Psicologia della personalità. LAS, Roma. Ausubel, D.P. (1978). Educazione e processi cognitivi. FrancoAngeli, Milano. Cormier, S.M., Hangman, J. D. (1987). Transfer of learning contemporary research and application. Academic Press, New York. Cust, J. (1995). Recent cognitive perspectives on learning-implications for nurse education. Nurse Education Today, 15, 280-290. Detterman, D.K. (1993). The case for the prosecution: transfer as an epiphenomenon. In D.K Detterman, R. J. Sternberg, Transfer on trial: Intelligence, cognition, and instruction. Alex Publishing Co, Noorwood, NJ. Haskell, R.E. (2001). Transfer of Learning: Cognition, Instruction, and Reasoning. Academic Press, San Diego. Le Boterf, G. (2000). Construire les compétences individuelles et collectives. Éditions d’Organisation, Paris. Marini, A., Genereux, R. (1995). The challenge of teaching for transfer. In A. McKeough, J. Lupart, A. Marini, Teaching for transfer. Fostering generalization in learning. Lawrence Erlbaum, Mahwah, NJ. Mason, L .(1992). Reti di somiglianze. FrancoAngeli, Milano. Mezirow, J. (1991). Transformative dimensions of adult learning. Jossey-Bass, San Francisco. Mezirow, J. (2000). Learning to think like an adult: Core concepts of transformation theory. In J. Mezirow et alii, Learning as transformation: critical perspectives on a theory in progress. Jossey-Bass, San Francisco. Pellerey, M. (1999). Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale. LAS, Roma. Pellerey, M. (2001). Sul concetto di competenza ed in particolare di competenza sul lavoro. In ISFOL, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica. FrancoAngeli, Milano. Pellerey, M. (2002). Processi di transfer delle competenze e formazione professionale. In C. Montedoro (a cura di) ISFOL, Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo. FrancoAngeli, Milano. Pellerey, M. (2004). Le competenze individuali e il portfolio. La Nuova Italia, Scandicci. Spencer, L.M., Spencer, S.M. (1995). Competenza nel lavoro, FrancoAngeli, Milano. 323 CAPITOLO 6 6.4 BI.DICOMP. UN PERCORSO ISFOL DI BILANCIO DI COMPETENZE di Alessia Rossi1 L’interesse crescente verso la metodologia del bilancio di competenze, riscontrato nei diversi contesti culturali, e l’esigenza avvertita dai nostri centri per l’impiego in tema di analisi delle competenze, ha sollecitato l’idea di progettare e sperimentare un percorso di bilancio a marchio Isfol, nel tentativo sia di contribuire alla riflessione concettuale su tale metodologia e sulle dimensioni in essa sottese sia di ampliarne le applicazioni operative. La relazione che segue illustra il percorso di bilancio Isfol denominato Bi.dicomp., ripercorrendo le linee principali del progetto, i motivi ispiratori e l’articolazione della pratica così come è stata sperimentata in alcuni centri di orientamento e servizi per l’impiego del nostro paese2. La proposta progettuale ha visto il coinvolgimento di un gruppo composto da responsabili di servizi e operatori di orientamento al fine di contribuire alla messa a punto della proposta sperimentale di bilancio. È stato così costituito un tavolo di lavoro che si è riunito periodicamente, dalla fase iniziale di progettazione alla fase finale di valutazione. Le considerazioni più ricorrenti emerse dal confronto allargato hanno rappresentato, nel loro insieme, elementi fondanti per la messa a punto e l’articolazione del percorso definitivo3. Il percorso di bilancio è stato progettato per: • soggetti adulti con pregressa esperienza professionale e lavorativa, con un’età compresa tra i 26 e i 55 anni circa, ovvero non immediatamente inseriti nel mondo del lavoro o prossimi a uscirne; • persone con una motivazione al cambiamento, o meglio al posizionamento o ri-posizionamento socio-professionale esplicito e dichiarato; • una potenziale fascia di utenza molto ampia che si rivolge ai servizi per l’impiego per motivi diversi: persone che sono in cerca di nuova occupazione non necessariamente disoccupate, e comunque non 1 2 Psicologa, partner di Polis 2000. Le strutture che hanno partecipato alla sperimentazione sono: Ciofs-FP di Torino, la Provincia di Torino con alcuni centri per l’impiego, Job Centre di Genova, Regione Friuli con alcuni servizi regionali di orientamento, alcuni centri per l’impiego della Regione Emilia Romagna, alcuni centri per l’impiego della Regione Marche, il centro per l’impiego di Viterbo, alcuni centri per l’impiego della Regione Campania, il Coordinamento regionale Informagiovani della Regione Basilicata, l’IRFAP di Catania per la Regione Sicilia. Si coglie l’occasione per ringraziare tutti i consulenti che hanno realizzato i percorsi di bilancio nel corso della sperimentazione. 3 Grimaldi, A., Rossi, A., Montalbano, G. (2006). Bi.dicomp. Un percorso Isfol di bilancio di competenze, Isfol Editore, Roma. 324 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI di lunga durata (ritenendo di poter offrire a questi soggetti servizi più mirati). Dopo l’iniziale successo che si è accompagnato all’introduzione nel nostro paese della metodica del bilancio, oggi si rileva infatti il bisogno, soprattutto da parte del personale che opera nei centri per l’impiego, di rendere questo servizio maggiormente fruibile dagli utenti e più socializzabile nelle aziende. In tal senso, il progetto di ricerca dell’Isfol ha inteso valorizzare sia le esperienze già maturate in Italia (Ruffini, Sarchielli, 2001; Lemoine, 2002; Di Francesco, 2004; Di Fabio, Majer, 2004), sia quelle più innovative presenti in altri paesi europei, primo fra tutti la Francia (Grimaldi, Reynaudo, Ruffinatti, 2004), arrivando a una proposta di bilancio di competenze da sperimentare sul campo e da valutare alla luce dei risultati conseguiti. A tal fine sono stati individuati i seguenti tre passaggi propedeutici alla progettazione vera e propria: 1. la ricognizione della letteratura specialistica sul tema delle competenze professionali e del bilancio di competenze applicato agli adulti; 2. l’analisi di buone pratiche di bilancio nel contesto italiano e francese anche attraverso la realizzazione di interviste in profondità; 3. l’individuazione di alcune dimensioni di analisi salienti da inserire nella progettazione di un percorso di bilancio per utenti adulti che accedono ai servizi per l’impiego (in cerca di prima occupazione, disoccupati, inoccupati, in cerca di lavoro o di reinserimento nel mercato del lavoro, ecc.). In una prima fase si è dunque avviata un’analisi della letteratura nazionale e internazionale sul tema delle competenze e del bilancio di competenze congiuntamente alla realizzazione di alcune interviste a opinionleader di servizi e società specializzate in questa tipologia di interventi (Grimaldi, 2003; Grimaldi, Rossi, Ghislieri, 2003). A valle di questa fase si sono definiti gli elementi fondanti del percorso, le principali dimensioni di analisi e si sono selezionati i relativi strumenti di approfondimento. Per ragioni di sintesi si renderà conto, qui di seguito, degli elementi fondamentali che hanno guidato la fase di progettazione del percorso Bi.dicomp. e che attengono a quattro obiettivi di carattere metodologico: 1. l’articolazione di un percorso di bilancio delle competenze possibilmente realizzabile nei centri per l’impiego che tenesse conto delle risorse presenti e di eventuali vincoli organizzativi (competenze, tempi, costi); 2. l’individuazione di alcune variabili ritenute particolarmente salienti nei processi orientativi, quali gli stili di coping e il sentimento di auto-efficacia. Dimensioni considerate utili indicatori dello sta325 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze CAPITOLO 6 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze to di “benessere” complessivo della persona, nonché di eventuali aree critiche; 3. l’utilizzo di strumenti validati e standardizzati che potessero rilevare atteggiamenti e valutazioni relativi ai costrutti di interesse in modo preciso e mirato; 4. l’assenza di momenti di lavoro auto-gestito tra un intermezzo e l’altro del percorso, se non nell’intervallo necessario alla verifica di fattibilità del progetto. A partire da questi obiettivi si è passati all’individuazione di una gamma di dimensioni ritenute particolarmente centrali nei processi di analisi della carriera professionale, soprattutto nei percorsi di progettazione o riprogettazione socio-lavorativa. Senza voler dare una connotazione psicologica al percorso di bilancio si è ritenuto tuttavia fondamentale prendere in considerazione quelle dimensioni che attengono al rapporto tra il mondo più privato della persona (sé, famiglia, tempo libero, ecc.) e quello più pubblico e sociale del lavoro. Nell’ambito di una possibile mappa di dimensioni, tra quelle che più frequentemente ricorrono nelle pratiche di bilancio e negli studi specifici, ne sono state selezionate alcune ipotizzate come centrali nel percorso Bi.dicomp. Tale selezione è avvenuta in funzione del tipo di percorso progettato e della scelta metodologica di prevedere l’utilizzo di questionari validati e standardizzati. In particolare sono state selezionate le seguenti dimensioni (figura 1): • coping • gestione dello stress • soddisfazione personale e professionale • locus of control • auto-efficacia • valori professionali • orientamenti motivazionali. 326 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI Figura 1. – Le dimensioni esplorate nella sperimentazione del percorso Bi.dicomp. P rob le m solving A u tonomia Gest ione d ello st r ess Coping Pian ian if icaz ione A u toe f f icacia Motivazione al lavoro e orien tam en t i mot mo t ivazionali A t t eggiame n to r e lazionale P rosp e t t iva t e m porale Gest est ione d ei r ischi In t e r essi professi on a l i Soddisfazion e p e rsonale e p ro roff essionale Benesse r e Gest ione d elle dif f e r e n z e c u lt u rali A u tos tostt ima A t t r ibu z ione causale Locus of con t rol Valor i professi on a l i D e c ision making Equilibir io t ra gli amb it i d i vita Impdimensioni r end itor ialità ∞ Oltre alle già menzionate e considerate come centrali nella fase della sperimentazione di Bi.dicomp., sono state proposte, a far da sfondo ai colloqui e alla relazione consulenziale, questi Oltre alle dimensioni già menzionate e considerate come centrali nella fase della sperimentazione di Bi.dicomp., sono state proposte, a far da sfondo ai colloqui e alla relazione consulenziale, questi ulteriori punti d’attenzione: • interessi professionali • prospettiva temporale • gestione delle differenze culturali • equilibrio tra gli ambiti di vita. Per l’analisi di tutte queste dimensioni è stato privilegiato un approccio di tipo autobiografico che ha trovato espressione, in particolar modo, nel processo di ricostruzione della storia lavorativa delle persone e delle competenze professionali. Tenendo conto di questo approccio, che potremmo definire narrativo per gli obiettivi che si pone ma che è pur sempre vincolato ai tempi e agli spazi consentiti, si è optato per il seguente mix di strumenti: • colloqui individuali • laboratori in gruppo • questionari validati e standardizzati. I questionari, validati e standardizzati, fatti compilare al termine di un colloquio o di un laboratorio in gruppo, e comunque sempre di una fase dialogica di raccolta di dati, sono stati: • OSI, Occupational Stress Indicator (adattamento italiano a cura di S. Sirigatti e C. Stefanile - 1996, 2004) che tratta le dimensioni del 327 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze CAPITOLO 6 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze coping e gestione dello stress, del locus of control e della soddisfazione personale e professionale; • WIS/SVP (realizzazione italiana del Work Importance Study di G. Trentini, M. Bellotto e M.C. Bolla del 1999), questionario sui valori professionali; • TOM o Test di orientamento motivazionale (Borgogni, L., Petitta, L., Barbaranelli, C., (2004) finalizzato a un approfondimento delle preferenze in ambito professionale. A questi questionari sono state aggiunte alcune scale di analisi dell’auto-efficacia tratte da La valutazione dell’auto-efficacia (Caprara, 2001). La versione sperimentale del percorso, riportata graficamente in figura 2., si è strutturata in: • un servizio di accoglienza, da modellare sulla base delle modalità operative già presenti nelle diverse realtà di lavoro; • quattro colloqui individuali di un paio d’ore ciascuno; • un servizio di informazione e documentazione configurabile sulla scia degli attuali servizi disponibili nei diversi contesti operativi; • due laboratori in gruppo di circa quattro ore l’uno. Figura 2. – La struttura complessiva del percorso Bi.dicomp. 1° colloquio La storia della persona Il servizio di accoglienza 1° LABORATORIO DI GRUPPO Líanalisi delle competenze 2° colloquio Le risorse per il lavoro 2° LABORATORIO DI GRUPPO Dalle competenze al progetto professionale Follow -up 6/8 mesi dopo Durata complessiva: 16 ore 328 Il servizio di informazione e documentazione 3° colloquio Lo sviluppo professionale 4° colloquio La sintesi BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI Più in generale, si precisa che i momenti di laboratorio sono stati pensati come esempio e sostegno metodologico per la raccolta e la sistematizzazione dei dati sulle competenze, mentre il colloquio è stato concepito come un approfondimento di visione ma anche un supporto alla lettura e alla comprensione di quanto svolto in gruppo. In quest’ottica sono stati inseriti nei diversi momenti del percorso numerosi strumenti. L’insieme di questi strumenti ha originato un raccoglitore con più di 30 schede e materiali per la formazione e l’auto-formazione degli operatori impegnati nella sperimentazione del percorso. In questa sede, e in grande sintesi, si vogliono sottolineare due aspetti di metodo che rinviano alla scelta di base di esplorare alcune dimensioni con strumenti specifici già esistenti: • che i questionari non forniscono misure di abilità o misurazioni di buoni o cattivi comportamenti; • che non esiste una sequenza predefinita delle dimensioni da esplorare, tale per cui tutti i bilanci le esplorano nello stesso modo e con la stessa filosofia. Fatta salva la scelta progettuale di prestare attenzione a un certo mix di dimensioni non si è voluto darne una restituzione puntuale e approfondita a tutti e con le stesse modalità. Tuttavia si pensa che, l’abbinamento colloquio-compilazione di questionari validati e standardizzati, possa aiutare il consulente nell’operazione di “messa in fila e insieme” di tali dimensioni. Più precisamente, e volendo entrare nel vivo di alcune questioni legate alla scelta delle dimensioni esplorate nel corso della sperimentazione di Bi.dicomp. è possibile affermare che: • coping e gestione dello stress, locus of control, soddisfazione personale e professionale sono di per sé dimensione intrecciate dal momento che possono essere trattate come utili indicatori di una condizione di “benessere” o “malessere” presente, ma non necessariamente passata o futura. Una lettura complessiva anche con i dati della storia della persona può quindi essere d’aiuto nel cercare di capire come un certo tipo e livello di “stress” potrebbe attivare certe azioni e relazioni; • la percezione di auto-efficacia è certamente importante nel fornire un’ulteriore indicazione rispetto alle fonti e al tipo di risorse che si possono mettere in gioco: quando, come e con chi ci si sente in forma o piuttosto ci si abbandona a sfiducia e pessimismo; • indagata l’area delle risorse legate alla percezione di sé, ma anche degli eventi e della relazione tra essi e con essi, è utile passare a un altro livello di analisi, anche per evitare il rischio di “psicologizzare” la lettura dei dati. Tale livello più astratto fa riferimento alle dimensioni dei valori professionali e degli orientamenti motivazionali 329 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze CAPITOLO 6 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze nelle situazioni di lavoro (esplorabili ad esempio con due strumenti specifici: il WIS/SVP e il TOM). Un fatto importante, che attiene alla progettazione del percorso, è di avere trattato questi aspetti all’interno di un laboratorio di gruppo in una dimensione di confronto e discussione e con un obiettivo di ampliamento delle proprie rappresentazioni stereotipiche. Il passaggio da una restituzione su aspetti di percezione ad aspetti più di valutazione di ciò che si ricerca ed è importante nel lavoro sposta anche il fuoco da sé al progetto di sé in ambito professionale; • la prospettiva temporale è certamente una dimensione chiave di ogni bilancio che ha il suo punto di attenzione in apertura durante il primo colloquio e in fase conclusiva di progetto. Risulta in ogni caso difficile, oltre che frustrante per l’utente, pensare di “modificare” la propria percezione del tempo attraverso un percorso di bilancio (escludendo a priori l’obiettivo di analizzarne il vissuto), mentre è fattibile guardare al tempo come a una risorsa tra le tante che attiene a come si è gestito nella propria storia in termini di scelte fatte, cambiamenti avvenuti, relazioni costruite, ecc. Si suggerisce quindi di leggere la collocazione temporale di ogni individuo in una visione concreta che descrive fatti e persone (come si è fatto qui nel primo colloquio) senza arrivare a trattarne il livello più astratto e “filosofico”; • una particolare centratura su come si considerano e si gestiscono le differenze culturali in tema di lavoro (nell’ottica che questa sia un’esigenza sempre più sentita nei contesti professionali internazionali, multi-etnici e multi-lingue che caratterizzano il nostro tempo) può essere interessante da caso a caso. In altre parole, è stata presa in considerazione questa sfumatura valoriale con l’obiettivo di discuterne prima di tutto in gruppo nel laboratorio, ma con l’idea di approfondirla singolarmente a seconda del tipo di storia e di esperienze vissute da ogni persona; • infine, il tema degli interessi professionali e quello dell’equilibrio tra gli ambiti di vita (per quanto non esplorati nel corso della sperimentazione attraverso strumenti dedicati) sono entrambi ritenuti trasversali e ricorsivi in tutto il bilancio. Tuttavia, soprattutto in fase di chiusura, possono essere richiamati all’attenzione della persona per portare il suo ragionamento sulle risorse di cui dispone e a confrontarsi con i vincoli e le opportunità non solo del contesto esterno ma anche di quello proprio “interno”. In conclusione, quattro le linee guida risultano fondamentali per la trasferibilità della pratica: 1. la convinzione della necessità di integrazione tra i diversi sistemi; 330 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 2. l’ancoraggio delle pratiche a solidi e validi modelli concettuali; 3. l’utilizzo di strumenti standardizzati e validati; 4. la necessità di concepire percorsi specialistici realizzabili all’interno dei servizi territoriali con le risorse disponibili, i vincoli organizzativi esistenti e la mission dei diversi sistemi. Questo al fine di poter diffondere all’interno dei centri per l’impiego una pratica Isfol di consulenza specialistica modulata a seconda della domanda dell’utenza e delle esigenze della rete locale dei servizi. Riferimenti bibliografici Borgogni, L., Petitta, L., Barbaranelli, C. (2004). Manuale del Test di Orientamento Motivazionale. O.S. Organizzazioni Speciali, Firenze. Caprara, G.V. (2001). La valutazione dell’autoefficacia. Erickson, Trento. Di Fabio, A., Majer, V. (a cura di) (2004). Il bilancio di competenze. Prospettive di approfondimento. FrancoAngeli, Milano. Di Francesco, G. (a cura di) (2004). Ricostruire l’esperienza. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (a cura di) (2003). L’orientamento in Europa. Alcune esperienze significative. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A., Rossi, A., Ghislieri, C. (2003). Orientarsi in Europa. Percorsi e strumenti in quattro paesi europei. Magellano, 14, pp. 56-59. Grimaldi, A., Reynaudo, M., Ruffinatti, S. (2004). Servizi “per” l’orientamento: una ricognizione tra Italia e Francia. Osservatorio Isfol, 6, pp. 112-139. Lemoine, C. (a cura di) (2002). Risorse per il bilancio di competenze. Percorsi metodologici e operativi. FrancoAngeli, Milano. Ruffini, C., Sarchielli, V. (a cura di) (2001). Il bilancio di competenze. Nuovi sviluppi. FrancoAngeli, Milano. Sirigatti, S., Stefanile, C. (2004). Manuale dell’Occupational Stress Indicator. O.S. Organizzazioni Speciali, Firenze. Trentini, G., Bellotto, M., Bolla, M.C. (1999). Manuale del Work Importance Study. O.S. Organizzazioni Speciali, Firenze. 331 Bi.dicomp. un percorso Isfol di bilancio di competenze CAPITOLO 6 6.5 RIFORMA DELLA DIRIGENZA PUBBLICA E COMPETENZE. IL BILANCIO DI COMPETENZE PER DIRIGENTI E FUNZIONARI DI PROVINCE E REGIONI di Paolo Serreri1 Queste note rappresentano una prima riflessione su una esperienza di Bilancio di competenze (d’ora in poi, Bilancio o BdC) “periferica” rispetto al modello canonico di riferimento2 ed agli usi oggi prevalenti in Italia. Lo spunto ci è offerto dalla sperimentazione da parte del Formez3 di una serie di Bilanci rivolti a dirigenti, funzionari e posizioni organizzative di alcune Province e Regioni italiane su un modello messo a punto dal Laboratorio di Metodologie Qualitative per la Formazione degli Adulti (d’ora in poi, Laboratorio o MetQualFA), attraverso l’intervento diretto della sezione Bilancio di Competenze, dell’Università Roma TRE4. Il modello messo a punto da MetQualFA, limitatamente al settore di insediamento ed ai beneficiari diretti, si discosta alquanto dal modello che dianzi abbiamo definito canonico. Sotto questo profilo, possiamo dire che esso è il risultato di una triplice evoluzione del BdC originario: 1) dal privato industriale (dal secondario) al pubblico (Pubblica Amministrazione, terziario); 2) da soggetti in mobilità esterna (oppure a rischio di) a soggetti in “transizione”5 sì, ma professionale all’interno del loro stesso settore o dello stesso ruolo; 3) da soggetti socialmente vulnerabili, disoccupati o ad elevato rischio di disoccupazione, a soggetti forti, comun- 1 Professore a contratto del Laboratorio di Bilancio di Competenze e del Laboratorio di Individualizzazione e Personalizzazione dei Percorsi della Formazione Continua presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre; Presidente di CRASonlus. 2 Per modello canonico intendiamo il modello sperimentato in Francia a partire dalla metà degli anni ottanta del secolo passato e messo a sistema nel 1991 attraverso un’apposita legge quadro nazionale che ne regolamenta le strutture, i servizi, i modi di utilizzazione, le procedure e gli standards di riferimento. 3 La sperimentazione si è svolta tra il 2001 e il 2005 nell’ambito del PON Azioni di Sistema Obiettivo 1 e Obiettivo 2, attraverso i Progetti “Bilco” e “Sintesi” diretti da Anna Gammaldi. Nel primo anno il modello MetQualFA è stato messo in pratica dal CRAS di Roma presso le province di Pesaro e Sassari e da Studio Meta di Bologna presso la Provincia di Bologna stessa. Negli anni successivi è stato attuato direttamente dal Formez presso le Regioni Campania e Sicilia. L’Università ne ha curato il monitoraggio. Per approfondimenti sulla prima tornata di sperimentazioni cfr. Mezzullo N., Delle Piane A. (2003), Formez-Il Bilancio di competenze. Una proposta per la Pubblica Amministrazione. Formez, Roma. 4 Il Laboratorio MetQualFA è un Laboratorio di ricerca diretto da Aureliana Alberici ed opera nell’ambito del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università Roma TRE. La sezione Bilancio di competenze è coordinata dall’autore di queste note. 5 Il termine transizione è usato qui secondo il significato del verbo latino transeo (is,ii, itum,ire) trasformarsi, mutare piuttosto che nell’accezione corrente nell’orientamento di passaggio dal non lavoro al lavoro o da un lavoro ad un altro o dalla scuola al lavoro, ecc. 332 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI que stabili sotto l’aspetto occupazionale: dirigenti di seconda fascia, posizioni organizzative, funzionari: il nucleo centrale di coloro che Guichard ha definito i “lavoratori centrali”.6 Perché il BdC è stato rivolto ai dirigenti, alle posizioni organizzative ed ai funzionari della P.A? E perché è stato adottato proprio il BdC piuttosto che un altro strumento o un altro approccio formativo? Le risposte a queste domande le troviamo sia nel tipo di processo riformatore in atto in questo settore, sia nelle potenzialità del Bilancio stesso. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 un processo riformatore lento, faticoso ma irreversibile sta ridisegnando il profilo della Pubblica Amministrazione in generale e del lavoro del dipendente pubblico in particolare. La velocità, gli avanzamenti, le pause e gli arretramenti di tale processo ricadono – oltre che sui decisori e sulla massa dei dipendenti – in gran parte sulle spalle dei dirigenti. Essi, infatti, lungi dall’essere fuori dai giochi o arbitri di una partita che altri giocano, sono investiti in prima persona dal cambiamento in atto e lo sono in misura proporzionale al livello di responsabilità che hanno. Più precisamente, essi hanno una doppia responsabilità: quella di gestire la propria transizione professionale e di presidiare/guidare/facilitare la trasformazione del lavoro e – prima ancora e soprattutto – la cultura del lavoro del personale e del settore che dirigono. La riforma Bassanini, poi ripresa con modifiche da Frattini, giusto a cavallo tra i due secoli e i due millenni, ha introdotto una nuova concezione della Pubblica Amministrazione; la quale, fino a quel momento, era sostanzialmente ferma al modello disegnato nel 1853 da Cavour con una legge del parlamento subalpino. Salvo alcune modifiche d’impianto apportate da Crispi nel 1883 ed alcune altre, non d’impianto, apportate nel corso dei due dopoguerra, il modello era rimasto immutato. Nonostante l’evoluzione dei rapporti tra stato e società e nonostante l’aumento delle funzioni dello stato e le conseguenti inevitabili modifiche incrementali che il tempo aveva reso necessarie (basti pensare solo alla decuplicazione in cento anni dei pubblici dipendenti a fronte del solo raddoppio della popolazione italiana). In ogni caso, si trattava sempre di interventi che innestavano nuove funzioni e nuovi compiti, tipici di un altro tipo di stato e di amministrazione pubblica, in un tronco sempre più vecchio. Nell’ottocento e nei primi anni del novecento, quando la nostra amministrazione si è formata, lo Stato veniva identificato come Stato regolatore il cui compito fondamentale era quello di mantenere l’ordine pubblico. Basti ricordare che il Testo Unico del 1934, che ha regolato la vita degli Enti Locali fino all’approvazione nel 1990 della L.142, considerava come spese facoltative quelle relative alla fornitura di un servizio di illuminazione pubblica, di fognatura e di acqua potabile (Balducci, 333 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni 2000). Oggi i compiti dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali sono profondamente cambiati. L’accento ora cade soprattutto sui servizi al cittadino e alle imprese, sulla loro fornitura, sulla loro qualità e sulla governance diffusa dei relativi processi di programmazione e di erogazione. Nasce da qui la necessità di superare la stagione degli innesti e di disegnare un nuovo modello di Stato: lo Stato funzionale fortemente innervato nella società civile; che presuppone un’amministrazione orientata al soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e delle imprese e, per i pubblici dipendenti, un tipo di lavoro misurabile soprattutto a partire dagli obiettivi, dal loro raggiungimento e dalla loro qualità. In questo quadro lo strato di pubblici dipendenti maggiormente investito dai cambiamenti in corso è proprio quello dirigenziale. La fisionomia del dirigente del modello burocratico tipico dello stato regolatore è caratterizzata dai seguenti tratti distintivi: • opera in una struttura centralizzata dove le decisioni più rilevanti sono sua materia esclusiva. Man mano che si scende nella catena di comando scema il potere decisionale fino a scomparire quasi del tutto nel punto di contatto dell’Amministrazione con il cittadino; • è garante del rispetto delle procedure di funzionamento di una struttura rigida e marcatamente standardizzata che non prevede cambiamenti; • prescinde dal consenso dei subalterni e tanto più dal giudizio o dal gradimento del suo operato da parte del cittadino-utente; • misura il risultato del suo lavoro dall’applicazione corretta della norma e dal rispetto rigoroso delle procedure; • non è né attrezzato né predisposto a governare il cambiamento in tutte le sue versioni (politico, economico, sociale, culturale, ecc): per lui “il futuro finisce per essere, in larga misura, la proiezione del presente e a sua volta il presente è la proiezione del passato” (Cocozza, 2004, 50). Con le riforme in atto, concepite nell’ottica dello stato funzionale, la figura del dirigente risulta profondamente modificata. Esso, infatti, oltre a muoversi nel quadro della normativa di riferimento, è sempre più chiamato a: • misurarsi con il cambiamento, a pensare il futuro, a “generare” futuro; • agire in un’ottica progettuale (promuovere progetti, gestirli, valutarne i risultati (seppure non in prima persona); • rispondere in prima persona dei risultati conseguiti e valutarne la con6 Cfr. la relazione Transizione: un concetto centrale dell’orientamento oggi? Presentata da J. Guichard in apertura del Convegno Isfol “Orientare l’orientamento” il 5.12.2005 (Roma). 334 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI gruenza con i risultati attesi; • ricercare il consenso dei suoi collaboratori e più in generale del personale alle sue dipendenze. Per dirla in breve, nel teatro della Pubblica Amministrazione è entrata in scena una figura nuova: il dirigente/leader, destinato a superare in prospettiva il dirigente/garante della norma e della procedura. Non solo. In virtù delle caratteristiche appena ricordate, esso è destinato a prendere la forma del leader trasformazionale. Il quale è: • orientato al cambiamento; • capace di coinvolgere i collaboratori, di stimolarne l’automotivazione attraverso il consenso e la partecipazione nel raggiungimento degli obiettivi; • capace di interpretare la realtà e di ricondurla ad una visione strategica (comunque più ampia); • capace di mettere a fuoco correttamente i problemi e di dare un contributo personale alla loro soluzione; • in grado di utilizzare il potenziale dei collaboratori, di conciliare i bisogni degli individui con gli obiettivi dell’organizzazione; capace di essere creativo e di sollecitare la creatività dei suoi collaboratori nella ricerca di soluzioni innovative ai problemi, valorizzando le risorse a disposizione in un’ottica allargata (risorse interne: umane, tecnologiche, economiche; risorse esterne: il territorio; il mercato)7. Come si vede, le competenze attese di una figura così ricca e sfaccettata non sono più soltanto le competenze tecnico-professionali – che pure conservano una loro importanza – ma le competenze trasversali, per usare l’ormai classica definizione dell’Isfol; ovvero, per dirla con Goleman8, le competenze personali e sociali, con l’ampio corredo di capacità e abilità ad esse connesse. Per cui, a quelle accennate dianzi, vanno aggiunte specificamente: • la capacità di comprendere i sentimenti, le esigenze e gli interessi altrui; • saper lavorare in équipe (saper costituire un’équipe e saperla coordinare e dirigere); • saper conquistare la fiducia dei collaboratori e dei committenti; Si tratta, con tutta evidenza, di un insieme di capacità che danno un grosso risalto alla figura del leader trasformazionale. Anche perché ad esse si associa un grappolo di altre capacità altrettanto importanti qua7 Per una descrizione più approfondita del leader trasformazionale cfr. Cocozza, A., La riforma rivoluzionaria, già. Cit. 8 Cfr. Goleman, D. (2000). Lavorare con intelligenza emotiva. Rizzoli, Milano. 335 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni li, l’influenza, la comunicazione, la gestione del conflitto, la costruzione di legami, ecc. (Goleman, 2000). Dal confronto tra il vecchio dirigente del modello burocratico puro e il dirigente/leader trasformazionale appare con tutta evidenza che in questo momento in Italia i dirigenti delle Province e delle Regioni, al pari di quelli del resto della Pubblica Amministrazione, si trovano in mezzo al guado di un processo di trasformazione della loro figura professionale e delle loro funzioni senza precedenti. Nel 2001, quando sono iniziate le sperimentazioni del Formez essi avevano appena cominciato ad abbandonare gli ancoraggi sicuri delle vecchie certezze ed avevano cominciato una navigazione con pochi punti di riferimento, con scarsi strumenti di bordo e senza le ciambelle di salvataggio delle procedure standardizzate e rigidamente predefinite. Soprattutto per queste ragioni si è ritenuto che essi fossero dei soggetti potenzialmente interessati a fare l’esperienza del Bilancio. Il BdC per le sue caratteristiche intrinseche si rivela particolarmente appropriato per accompagnare soggetti che intraprendono un processo di sviluppo, di riposizionamento professionale o di ridefinizione del ruolo. I dirigenti della P.A e, specificamente, delle Province e delle Regioni, per età, per biografie personali e professionali, nonché per condizioni lavorative, posseggono i requisiti d’elezione per fare un Bilancio: appartengono ad una fascia d’età corrispondente a quella dell’adultità matura (mediamente tra i 45 e i 55 anni), hanno una lunga esperienza di vita e una lunga e diversificata esperienza lavorativa. Inoltre si trovano a dover affrontare un tornante della loro carriera in cui sono chiamati a confrontarsi con un modo nuovo di lavorare, con un tipo di responsabilità nuova e con una progettualità finora estranea al loro agire professionale. Non è semplice passare dalla condizione di vestali della burocrazia a quella di piloti del cambiamento. Non è semplice, ma è possibile. Perché ciascuno di essi possiede un grande patrimonio di saperi, conoscenze e di competenze (tecniche, personali e sociali) il quale – ove sia interamente riconosciuto, opportunamente valutato/rivalutato – può essere reinvestito in funzione degli sviluppi delineati dai nuovi orizzonti professionali; ossia, può essere commutato in energia che alimenta un progetto di sviluppo professionale. Il Bilancio è il commutatore giusto, grazie ai quattro “cilindri” che ne azionano il motore. Essi corrispondono ai nomi di: progettualità, proattività, individualizzazione e formazione. La progettualità. È una dimensione costitutiva del BdC. La legge francese definisce il Bilancio come un insieme di azioni aventi l’obiettivo di permettere a dei lavoratori di analizzare le loro competenze professionali e personali, le loro attitudini e le loro motivazioni al fine di mette336 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI re a punto un progetto professionale o di formazione. Il progetto traduce gli obiettivi finalizzati che l’individuo si fissa. Esso testimonia una volontà di cambiamento e di diversificazione. Alcuni studiosi del Bilancio e, tra questi Joras in particolare (Joras, 1995), sostengono che tutti i Bilanci debbano concludersi con la messa a punto del progetto professionale, mentre non necessariamente varrebbe la stessa regola per il progetto formativo. Ciò dimostra quanto questo strumento sia rispondente alle caratteristiche di una società che ha “eletto il progetto a suo emblema,” per dirla con le parole di Boutinet (1999)9. E quanto sia ancor più rispondente al tipo di impegno di molti dei dirigenti delle Regioni che hanno aderito al Bilancio impegnati nella gestione dei POR finanziati dai Fondi Strutturali solo su base progettuale. L’attività/proattività. Il Bilancio è un metodo attivo. Com’è noto, esso non si fa a qualcuno, né lo si fa su qualcuno. Tanto meno lo si somministra. Esso si sviluppa sotto forma di autoanalisi del lavoratore o del beneficiario in genere; un’autoanalisi assistita (o accompagnata) da esperti esterni che si avvalgono di un’ampia e variegata strumentazione (griglie di autoanalisi delle competenze, dei saperi e dei relativi modi di acquisizione, laboratori, gruppi di simulazione, ecc). Per di più è richiesta, come condizione necessaria, la libera adesione al percorso da parte del lavoratore stesso che non può essere costretto a fare il Bilancio. Il coinvolgimento del beneficiario deve essere totale e incondizionato. Da qui, la sua caratteristica di metodo attivo. Ed essendo rivolto all’approfondimento delle motivazioni ed alla messa a punto di un progetto, come abbiamo visto prima, esso è, al tempo stesso, attivo e proattivo: sviluppa la propensione e l’attitudine ad agire, a pro-gettare, ad impegnarsi a fare in futuro. Individualizzazione. Il Bilancio è un metodo individualizzato e personalizzato. Fermi restando alcuni principi ed alcune regole di fondo da rispettare in tutti i BdC (regole e principi senza i quali non si può parlare correttamente di Bilancio) ogni percorso viene impostato dal Consigliere di Bilancio a misura di ogni singolo individuo che intraprende il percorso stesso (numero dei colloqui individuali, eventuali lavori di gruppo, uso o meno di prove conative, partecipazione a seminari in azienda, visite guidate a posti di lavoro, la durata dei singoli incontri e dell’intero percorso, ecc.: sono tutte attività, la cui presenza ed il cui svolgimento cambiano da individuo ad individuo. Perché è irriducibilmente unico e singolare il patrimonio di esperienze formative, professionali e di vita - ov- 9 Cfr. Boutinet, J.P. (1999). Psicologie des conduites à projet, (3° Ed.) PUF, Paris e dello stesso autore, Antropologie du projet, (5° ed.) PUF, Paris, 1999. 337 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni vero il tracciato biografico – di ogni persona adulta; un tracciato a partire dal quale ogni adulto si misura con il lavoro: sia che egli il lavoro lo stia cercando sia che lo abbia e si ponga in una prospettiva di sviluppo di carriera o professionale. Ammesso, per ipotesi, che due persone abbiano fatto le stesse identiche esperienze lavorative per lo stesso tempo, lavorando fianco a fianco nella stessa catena di montaggio della stessa azienda o, come nel nostro caso, nella stessa Regione o Provincia; ammesso tutto ciò, rimarranno comunque diversi i vissuti di queste due persone. A questo bisogna aggiungere che le competenze professionali sono individuali e situate per definizione. Perché le persone competenti, a loro volta, sono situate ciascuna nella propria storia e nel proprio contesto lavorativo, esperienziale e di vita. Il Bilancio, fenomenologicamente, accompagna il singolo individuo a fare un doppio percorso. Un percorso va nella direzione della riscoperta da parte del beneficiario del proprio patrimonio di competenze e dei modi delle loro acquisizione per reinvestirlo in un nuovo progetto, in un nuovo quadro contestuale confrontando bisogni e possibilità di soddisfarli; sottraendo il bisogno all’ “opacità del desiderio” (Boutinet) e restituendolo alla dimensione del reale, del realistico e del realizzabile. In altre parole, alla dimensione del progetto. Un altro percorso va nella direzione di collocare le proprie competenze in un contesto di senso, dando significati nuovi e più vivi ad esperienze vecchie e investendo di significato le tappe progettuali che si vanno delineando. I due percorsi sono circolari ed integrati, distinguibili solo logicamente. Per questi aspetti l’individualizzazione tipica del Bilancio risponde bene alle caratteristiche ed alle aspettative di dirigenti che si devono misurare, in prima persona, e mettendosi in gioco in quanto individui operanti in una organizzazione, con le dimensioni della scelta, della decisione, della strategia e della tattica. Formazione. In Francia il BdC dal punto di vista normativo si colloca nella Legge Quadro Nazionale sulla Formazione Continua. Si tratta, quindi, di uno strumento dotato di una inequivocabile valenza formativa. Nel senso che la formazione è nel suo DNA, per quanto occorra intendersi sul concetto di formazione. Certo, non si tratta di formazione trasmissiva di contenuti, alla stessa stregua della formazione tradizionale d’aula. Semmai, si tratta di formazione maturativa che mira a modificare i comportamenti e le condotte personali attraverso, appunto, la maturazione di motivazioni e di convincimenti nuovi, sviluppando nel beneficiario del Bilancio una nuova consapevolezza del proprio sé professionale e personale all’interno di un rinnovato orizzonte di senso. Su questo tronco di “apprendimenti,” incentrati sulla rielaborazione dei vissuti e sullo sviluppo dell’autoconsapevolezza, si innestano anche altri apprendimenti vicini a quelli più tradizionali come apprendere a “leggere” 338 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI il mercato del lavoro, ad analizzare un’organizzazione, ad analizzare e descrivere una competenza, a fare un progetto di sviluppo professionale o di formazione/autoformazione, ecc.10 In ogni caso siamo di fronte ad una modalità di formazione particolarmente rispondente alle caratteristiche dei dirigenti della Pubblica Amministrazione. I quali sono adulti maturi con livelli alti di qualificazione e con un ricco patrimonio di esperienze, poco inclini ad accettare proposte formative rigide, a catalogo e con modalità d’aula. Giacché sovente si tratta di offerte difficilmente conciliabili con i loro orari di lavoro, di scarso interesse (e, a volte, di dubbia utilità) in quanto, spesso sono ripetitive di contenuti da loro posseduti. Se questi sono i quattro “cilindri” nel motore del Bilancio, per rimanere nella metafora, il “carburante” (la sua fonte di alimentazione primaria) è rappresentato da un mix di due elementi che sono distintivi del BdC in quanto tale e che, ancora una volta, lo rendono compatibile con il target della P.A prescelto: il pensiero narrativo-biografico ed il pensiero riflessivo. Il pensiero narrativo-biografico. Il paradigma biografico ed il paradigma narrativo sono entrambi coessenziali – sia pure con accentuazioni diverse – al Bilancio, qualunque sia il modello di riferimento adottato. L’autoanalisi assistita delle competenze possedute e delle modalità della loro acquisizione può essere condotta solo in filigrana sul tracciato biografico del beneficiario, tramite la sua narrazione (brevi storie di vita, interviste biografiche, ricostruzione di eventi di cui è stato protagonista il narrante, ecc.). In generale, il paradigma narrativo ad avviso di Cambi, che prende le mosse da Bruner (1988), svolge una funzione esplicativa primaria: dà significato all’esperienza e lavora intorno alle intenzioni di un personaggio – che nel nostro caso il beneficiario del Bilancio – “in uno spazio-tempo comune a una condizione di squilibrio e di ricerca (…) giocata tra azione e coscienza e che dà corpo alla trama e alla storia.” (Cambi, 2004). Inoltre sappiamo che le competenze sono situate: in luoghi e tempi che le contengono; ed è lì che vengono descritte e comprese attraverso la narrazione. In questo modo si compie anche quel processo di restituzione di identità al soggetto di cui parla Ruffini: “la ritessitura dell’io che avviene nella narrazione sottrae i vissuti alla loro frammentazione, li sottopone ad un processo di riorganizzazione/ristrutturazione attraverso l’introduzione di uno sguardo nuovo, diverso/altro (o di più sguardi nuovi, diversi/altri), per creare nessi e ricostruire lad10 Per una trattazione più ampia della valenza pedagogica del Bilancio si rimanda al nostro Alberici, A., Serreri, P. (2003). Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze. Monolite, Roma. 339 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni dove possibile una mappa di riferimenti in grado di aiutare la “rilettura” e l’interpretazione.” (Ruffini, 2005, 208). Dare senso, reinterpretare l’esperienza, offrire uno sguardo nuovo, creare nessi, ritessitura dell’io: sono nello stesso tempo concetti paradigmatici del pensiero narrativo-biografico messo in azione dal BdC e passaggi cruciali che definiscono la transizione” di soggetti quali i dirigenti e i funzionari a cui si rivolge il Bilancio Formez. Il pensiero riflessivo. Abbiamo parlato di un mix di pensiero biografico-narrativo e di pensiero riflessivo. Nella realtà del concreto svolgimento di un BdC i due elementi agiscono in modo intrecciato. Qui li distinguiamo solo per comodità descrittiva e di analisi. Creare nessi, stabilire relazioni e correlazioni, dare senso, reinterpretare l’esperienza, individuare i problemi, le ombre, le penombre, i punti deboli e i punti forti sono tutte attività e valenze, al tempo stesso, del pensiero narrativo e del pensiero riflessivo. Con una valenza in più per il secondo, data dalla sua connotazione progettuale11 che, a sua volta, si coniuga con il carattere progettuale del Bilancio. Nel nostro metodo, infatti, l’indagine riflessiva prende corpo come attività progettuale mettendo in risalto e sviluppando la capacità del soggetto di ristrutturare /destrutturate i propri schemi cognitivi e le proprie modalità d’azione, come sottolinea Alberici (Alberici, 2001). La quale, a proposito del binomio riflessività/progettazione, fa notare inoltre come entrambi i termini rimandino a paradigmi forti quali quelli della ricerca/azione, del problem solving, dell’experiential e del trasformative learning (Mezirow, 2003), ecc. Anche per questa via arriviamo, quindi, al cuore delle competenze strategiche del leader trasformazionale quale modello di riferimento per il riposizionamento del dirigente della P.A, quale “soggetto in transizione”. La circolarità tra le competenze del dirigente/leader trasformazionale/i paradigmi fondativi del Bilancio/i paradigmi dell’apprendimento degli adulti disegna il perimetro teorico all’interno del quale si colloca il modello di Bilancio messo a punto e sperimentato dal Formez secondo lo schema di articolazione che riassumiamo qui di seguito. I Bilanci per i dirigenti delle Province e delle Regioni. La scarsa conoscenza del bilancio in generale (soprattutto nel 2001 quando la sperimentazione ha mosso i suoi primi passi), la sua assoluta novità nella Pubblica Amministrazione (non solo in Italia ma anche nella stessa Francia)12, la 11 Sul rapporto tra pensiero riflessivo e dimensione progettuale si rimanda in particolare a Shön, D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Dedalo, Bari e a Kolb, D.A, (1984). Experiential Learning. Prentice-Hall, New Jork. 12 Nel 2001 non c’erano precedenti in Italia ed in Francia era in corso la prima sperimentazione di Bilanci negli Enti Locali la quale, per altro, si sarebbe interrotta a poco meno della metà del percorso. 340 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI limitata attività di formazione continua svolta in parecchie Province o Regioni; oppure, ancor peggio, l’alone di diffidenza lasciato da precedenti esperienze poco felici e la paura di trovarsi di fronte ad uno strumento (il BdC) di assessment mimetizzato a fini di controllo, sono tutti elementi che hanno reso necessaria un’accurata attività di pubblicizzazione e di presentazione del modello sia all’Amministrazione (ai decisori) sia ai destinatari diretti dell’intervento. Questa attività ha impegnato il Formez e l’équipe di consulenza scientifica ad una serie di incontri, di iniziative allargate e di interventi mirati durante periodi di uno/due mesi. L’intervento proposto ha previsto l’identificazione di due diversi “clienti”, i beneficiari del Bilancio e l’Amministrazione di appartenenza e, di conseguenza, di due ordini di obiettivi perseguibili:13 a) obiettivi del beneficiario: • riflettere sulla propria vita professionale, sulle scelte e le strategie utilizzate in ambito lavorativo; • ricostruire, analizzare, valorizzare, mobilitare le competenze messe in campo nell’attività lavorativa; • migliorare la capacità di autoanalisi delle proprie competenze e, più in generale, di analisi delle competenze interne all’organizzazione; • individuare i propri bisogni formativi; • costruire, elaborare il proprio progetto di sviluppo o di mobilità professionale a partire dall’analisi dei propri bisogni, delle proprie esigenze e competenze; • dare corpo al proprio progetto di sviluppo attraverso la messa a punto di un piano di azione contestualizzato che tenga conto delle possibilità e dei vincoli dell’organizzazione, del territorio e del livello politico: un progetto di Bilancio, lo abbiamo detto in precedenza, al pari di qualsiasi altro progetto, deve essere reale, realistico e realizzabile. b) Obiettivi dell’Amministrazione: • disporre di una mappa delle competenze presenti all’interno dell’organizzazione costruita a partire dalle sintesi dei bilanci dei singoli partecipanti nel più rigoroso rispetto della riservatezza assicurata dal dispositivo del Bilancio. In sostanza, si tratta di una mappa delle competenze maggiormente ricorrenti tra le competenze autopercepite dai partecipanti; • avere a disposizione risorse umane consapevoli delle proprie competenze e delle proprie potenzialità, in grado di progettare azioni o percorsi di sviluppo professionale e organizzativo; 13 Cfr. Mezzullo, N., Delle Piane, A. (a cura di), Formez-Il Bilancio di competenze…Op.Cit. 341 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni • sperimentare, attraverso il BdC, modalità di gestione delle risorse umane basate sulla valorizzazione e lo sviluppo del capitale di competenze interne all’organizzazione; • facilitare le condizioni per creare un clima positivo all’interno dell’organizzazione (costruttivo, collaborativo, proattivo, ecc.); • definire piani di formazione finalizzati allo sviluppo di quelle competenze considerate strategiche per l’incremento e lo sviluppo della professionalità dei lavoratori. Gli obiettivi rispetto all’Amministrazione necessitano di un chiarimento e di un approfondimento in ordine al fatto stesso di essere stati previsti come costitutivi del modello. Essi rappresentano una innovazione. Quindi, un ulteriore scostamento – oltre quello indicato in premessa – dal modello originario. Il quale, nel caso di Bilanci fatti con occupati non prevede che venga rilasciato alcun tipo di documentazione da rendere pubblica, tanto meno al datore di lavoro. Ma questa assoluta cautela di riservatezza ha sempre rappresentato un elemento di criticità. Infatti, non tutti i datori di lavoro si accontentavano dei risultati indiretti, visibili solo nel corso del tempo, di un intervento lungo, costoso e, per giunta, difficile da definire. Non è selezione, non è valutazione, non è certificazione. Ma allora che cos’è?, si domandano nella P.A soprattutto i politici e quei dirigenti generali (costoro, essendo di nomina politica, non rientrano nella sperimentazione) ancora saldamente fermi al modello tradizionale di dirigenza. Per superare questo elemento di criticità si è deciso di rendere pubblico un documento che, senza indicare nomi, fornisse insieme ad un rapporto sui bilanci svolti anche una mappa delle competenze emerse con maggiore frequenza. Mentre, la riservatezza del BdC è interamente conservata sui dati sensibili e personali e sull’area della rivisitazione autobiografica e biografica. Per quanto concerne invece l’articolazione del Bilancio, il modello non si discosta da quello canonico. Si articola in tre fasi (accoglienza, approfondimento, restituzione/sintesi) secondo una modalità mista che alterna colloqui individuali, laboratori di gruppo (sulla leadership, sul lavoro in team, sull’attitudine all’innovazione, sul problem solving, ecc.), momenti individuali di compilazione delle griglie di autoanalisi e somministrazione di prove conative standardizzate. I prodotti dell’intervento di Bilancio si dividono: - in prodotti di proprietà esclusiva dei partecipanti: • il documento di sintesi (sempre); • il dossier di Bilancio (sempre); • il progetto e il piano d’azione contestualizzato, ove presenti (non tutti i bilanci si concludono con un progetto specifico). - In prodotti destinati sia ai beneficiari che all’Amministrazione: 342 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI • il Rapporto sull’attività di Bilancio; • la mappa delle competenze autopercepite; • il rapporto di monitoraggio; • proposte formative da discutere con l’Amministrazione (questo documento è stato prodotto solo nell’ultima sperimentazione in Sicilia, dove è stato discusso durante un seminario conclusivo che ha visto la partecipazione di tutti i dirigenti generali interessati). Per concludere. Il modello di BdC di cui abbiamo fornito le premesse storico-teoriche, dopo oltre quattro anni di sperimentazione, può essere “internalizzato” come uno degli strumenti della gestione e dello sviluppo delle risorse umane sia nelle Amministrazioni che lo hanno sperimentato sia in quelle che non lo hanno sperimentato ma che possono adottarlo in quanto già validato sperimentalmente e scientificamente. Un tentativo in tal senso lo si sta facendo in Sicilia14. Lo stesso modello sarà proposto dall’Università e dal CRAS per il riconoscimento da parte della Federazione Europea dei Bilanci di competenze costituitasi recentemente con lo scopo di diffondere, valorizzare e certificare il BdC in Europa a partire dai Paesi che per primi hanno contribuito alla nascita della Federazione stessa (Francia, Belgio, Germania, Italia, Polonia e Portogallo). Riferimenti bibliografici Alberici, A. (2001). La dimensione lifelong learning nella teoria pedagogica. In C. Montedoro (a cura di), Isfol, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica. FrancoAngeli, Milano. Alberici, A., Serreri P. (2003). Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze. Monolite, Roma. Calducci, M. (a cura di) (2000). Organizzazione e management dell’ente locale. FrancoAngeli, Milano. Boutinet, J.P. (1999). Psicologie des conduites à projet. PUF, Paris. Boutinet, J.P. (1999). Anthropologie du projet. PUF, Paris. Bruner, J. (1988). La mente a più dimensioni. Laterza, Roma-Bari. Cambi, F. (2004). Saperi e competenze. Laterza, Roma-Bari. Cocuzza, A. (2004). La riforma rivoluzionaria. Leadership, gruppi professionali e valorizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni. FrancoAngeli, Milano. 14 Cfr. Progetto Traguardi 2006. Proposta per la Regione Siciliana. Ambito internalizzazione delle competenze. Documento ad uso interno. 343 Riforma della dirigenza pubblica e competenze. Il bilancio di competenze per dirigenti e funzionari di province e regioni CAPITOLO 6 Goleman, D. (2000). Lavorare con intelligenza emotiva. Rizzoli, Milano. Joras, M. (1995). Le bilan de compétences. PUF, Paris. Kolb, D.A. (1984). Experiential Learning. Prentice-Hall, New Jork. Mezirow, J. (2003). Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti. Raffaello Cortina, Milano. Mezzullo, N., Delle Piane, A. (2003). Il bilancio di competenze. Una proposta per la pubblica amministrazione. Formez, Roma. Ruffini C., Epistemologia della narrazione. In: AA.VV., (2005). Fare cose con la filosofia. Pratiche filosofiche nella consulenza individuale e nella formazione, Milano, Apogeo. Shön D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Dedalo, Bari. 344 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 6.6 IL BILANCIO DI COMPETENZE NELLE POLITICHE DEL LAVORO di Claudio Oliva1 Premessa C’è una discussione teorica importante sul bilancio di Competenze, sulla sua natura, deontologia, strumenti. Questo confronto però non risolve il problema più rilevante del bilancio di competenze in Italia: la sua incapacità di diventare un servizio stabile, incardinato nei servizi all’impiego e per lo sviluppo professionale. Le sperimentazioni che si sono svolte in ambiti diversi, non hanno prodotto, se non in rare eccezioni, sedimentazioni rilevanti. Non si è costruita una pratica omogenea, né una conoscenza sociale né strumenti di supporto adeguati. Spesso al nome – seducente e magico – non corrisponde la cosa. Il suo rapporto con le politiche ed i servizi all’impiego è evocato ma essenzialmente casuale ed estemporaneo. Il contesto Nella società nucleare, dove le principali istituzioni – uso di scambio dei saperi formalizzati, famiglia, impresa – sono meno affidabili e durevoli, le persone sono chiamate più volte a riprogettare la propria vita ed il proprio rapporto con il sapere. Anche il rapporto tra le vicende personali e il percorso lavorativo è sempre più complesso, reversibile e pervasivo e richiede di essere interpretato alla luce di una forte assunzione di responsabilità individuale. È “il senso” soggettivo, la capacità di interpretazione di codici culturali, l’ibridazione di mondi e dimensioni diverse della vita a “connotare”e rendere uniche le persone e a favorire o rendere difficili le relazioni nella vita sociale e nel lavoro. Tra i capitali dei quali una persona può disporre nell’affrontare il maniera libera e appassionata le vicende della propria vita, il capitale culturale è oggi la risorsa più dinamica, quella da salvaguardare ed accrescere continuamente. Nell’economia dei servizi, la componente di servizio e relazionale è intrinseca nei nuovi modelli industriali e persino nei prodotti, il cui uso è legato sempre più a saperi e fattori immateriali e caratterizza, abilitandole o stigmatizzandole ed escludendole, persone e gruppi sociali. 1 Direttore e Amministratore delegato Job Centre. 345 CAPITOLO 6 Il contesto Nel modo di produzione parcellizzato, ad innovazione diffusa, le parole chiave (Cartellino – tracciabilità e relazione – e Miglioramento – partecipazione attiva di ognuno all’ottimizzazione) sono tremendamente implicanti. Questo può essere un modo potentemente elitario, poco inclusivo e molto escludente. Nella società dei servizi anche il welfare presuppone comportamenti e capacità di utilizzazione: diventa un Welfare “relazionale”. Non si tratta più di ridistribuire e riparare, ma di investire sulle risorse potenziali, di costruire il servizio con la persona. Questo presuppone che la persona sia un agente molto attivo e responsabilizzato nella relazione di servizio. Nel welfare della responsabilità i diritti sfumano in opportunità: sto passando da un contratto collettivo, che mi tutela, ad un contratto individuale, dove le opportunità sono legate al mio status e ai miei comportamenti. La vita lavorativa delle persone è mediamente più lunga di quella delle imprese dove lavorano, le competenze e i saperi si logorano al di fuori di un loro uso e sviluppo. Sono le persone stesse che debbono porsi il problema di sopravvivere alle loro imprese e durare professionalmente. Aumenta il rischio, nelle politiche del lavoro, di un insieme di politiche cogenti che tendono a creare condizionamento sociale, ma il welfare della responsabilità ha senso, anche etico, se si accompagna alla libertà e all’autodeterminazione della persona, all’empowerment, nel senso dell’aumento di potere sulla traiettoria della propria esistenza. Oggi le persone, per affrontare con successo e stabilità il loro attraversamento del mercato del lavoro, hanno bisogno di molteplici capitali (professionali, progettuali, economici, sociali) non sempre in loro possesso: sono la conoscenza, le motivazioni, la cultura del lavoro, la percezione di sé nell’avventura produttiva, il vero motore dello sviluppo e del successo delle persone e delle comunità. La costruzione di strumenti in grado di supportare la persona (Empowerment) e la prefigurazione di scenari realistici (contesto) e desiderabili amplia le possibilità di sviluppare traiettorie vincenti. Il bilancio come strumento di un nuovo welfare In questa nuova situazione il bilancio di competenze, per la sua natura di strumento autoriflessivo e di sostegno al posizionamento individuale e alla scelta, si colloca straordinariamente: é uno degli antidoti contro la trasformazione del welfare della responsabilità in welfare dell’insicurezza. 346 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI Purtroppo se le dinamiche economiche, sociali e individuali che abbiamo descritto producono già i loro effetti, la costruzione di nuovi strumenti di welfare professionale è ancora lontana. Questo vale anche per il bilancio di competenze, che nominalisticamente presente in quasi tutti i documenti ufficiali ed in innumerevoli progetti formativi, è lontano dall’essere sufficientemente diffuso, formalizzato e riconosciuto . È necessario dare atto, soprattutto all’interno della comunità degli operatori che non si tratta più di esaminare le pratiche con lo sguardo dell’entomologo, ma di costruire un quadro di riferimento che consenta l’istituzionalizzazione di questo servizio, l’individuazione delle regole di accesso e sostenibilità e il suo inserimento in un quadro di nuovi diritti legati al lavoro. Dobbiamo ammettere che l’azione del legislatore, anche di quello liberista, ha, fino ad oggi, avviato un sistema ossessivamente centrato, oltre che sulla flessibilità, sull’incontro domanda-offerta (chi può operarlo diviene legittimato ad operare tutti gli altri servizi) come se questo fosse ancora, come nel dopoguerra, il problema centrale del mondo del lavoro. Nessuna volitività, magari visionaria, ma in grado di imprimere una svolta anche culturale al sistema, ha prodotto in Italia iniziative paragonabili a quelle del bilancio di competenze regolato in un Codice del Lavoro e alla Legge di Modernizzazione Sociale francese che ha prodotto la V.A.E. In questa assenza di riferimenti le prestazioni di bilancio sono rimaste segregate in piccole sperimentazioni, o anche quando, come a Genova, grazie alla esistenza di Job Centre, il bilancio è divenuto uno dei servizi prescritti nei centri per l’impiego, sia i numeri, che la difficoltà ad integrarsi con altri strumenti e politiche ne dimostrano la marginalità. Una delle ragioni dipende proprio dalla stessa natura del bilancio che è un processo individuale assistito di autovalutazione di molteplici informazioni provenienti dal sé, dalla propria biografia e dal proprio sistema di risorse in rapporto al contesto. Tale processo è finalizzato a fare il punto su dove si è e su dove si vuole e può andare. I risultati del bilancio appartengono esclusivamente alla persona. Così definito il bilancio non risolve direttamente il problema di dare visibilità e riconoscibilità-credibilità alle competenze ed è incapace, se vuole salvaguardare il suo effetto principale, a trasformarsi in uno strumento di certificazione. Il bilancio di competenze risponde ad un bisogno preciso: ad una domanda di mobilità. È una persona in “crisi”, in transizione, quella che pone la domanda di bilancio. La transizione e la mobilità si potranno giocare verso un nuovo lavoro o all’interno di una rivisitazione della propria posizione attua347 Il bilancio come strumento di un nuovo welfare CAPITOLO 6 Il bilancio come strumento di un nuovo welfare le, magari per ragionare sul come operare una “curvatura” professionale che possa portare col tempo in una dimensione desiderata o fuori dalle secche di un lavoro in estinzione. Si tratta di mettere a disposizione della persona un tempo, uno spazio istituzionale, strumenti e soprattutto una relazione, che possano supportare il processo. Il bilancio nei servizi per l’impiego Esaminiamo ora le specifiche esigenze del bilancio nei servizi per l’impiego. La necessità di spazi fisici, di operatori competenti, ma anche la irriducibilità di questo servizio ad adattamenti nostrani e l’incapacità a costruire forti connessioni con altri strumenti lo tengono spesso ai margini del sistema. Il bilancio di competenze all’interno dei servizi per l’impiego ha necessità di essere descritto e regolato – anche per renderlo comprensibile a priori e integrabile nelle strategie delle persone e generare su di esso aspettative fondate – e insieme ha bisogno di mantenere la natura di un servizio dove è la domanda individuale a definire gli obiettivi e a guidare l’andamento del processo. Solo se si tratta di un processo volontario, anzi implicante e attivo e guidato dalla domanda, può avere un’efficacia ricostruttiva e riappropriativa delle competenze ed eventualmente costitutiva di una presa di decisione o di un progetto. Per fare questo occorre preliminarmente che il sistema di accesso al servizio si basi su una conoscenza sociale diffusa. Questo è spesso un problema in molti contesti in quanto il bilancio non è ritenuto un servizio basilare e quindi non è né continuativo né esigibile né integrato nel sistema di servizi prescrivibili ed è difficile quindi che le persone possano prefigurarsene l’uso come strumento a disposizione per il cambiamento individuale. Il contratto di servizio individuale serve a connotare il terreno di incontro tra l’istituzione, l’operatore e il cliente, trovando un equilibrio tra le finalità del dispositivo, gli obiettivi della domanda e la definizione del ruolo della struttura e dell’operatore. Si tratta di uno strumento importante perché fonda l’avvio del processo, e ne consente l’andamento circolare, dove nuove informazioni raccolte e trattate fanno cambiare e rileggere quelle già sedimentate, e dove ritornare al contratto a volte serve per confermare o meno la strada intrapresa. La storia delle persone, nel bilancio, è lo sfondo vivo nel quale sostenere la ricostruzione delle competenze. Ma occorre trovare una misura che consenta di accogliere la persona nella sua complessità ed insieme lavorare in un contesto, che non volendo essere né inutilmente diagno348 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI stico né tantomeno terapeutico, mantenga il percorso nell’ambito di un servizio di politiche del lavoro. Altre condizioni “le garanzie” interne al percorso sono molto importanti, e connotanti: tra queste il tempo, la possibilità di raccogliere e trattare informazioni, la pertinenza degli strumenti proposti. Fuori da queste condizioni (purtroppo molte pratiche di bilancio vengono progettate od operate in termini diversi) è difficile pensare di poter erogare un servizio di bilancio di competenze. Alcune sottolineature per spiegarsi meglio: • Il tempo a disposizione non è solo il tempo complessivo formalmente a disposizione, ma la distanza tra un momento e l’altro, il tempo di riappropriazione individuale di ogni singola informazione, il tempo tra ogni nuova consapevolezza e il passo successivo, il tempo per riprendere in mano il filo del proprio percorso, dello spazio di analisi e decisione che rappresenta il bilancio. Se questo tempo non è messo a disposizione del processo, il bilancio diventa immediatamente più direttivo e tecnocratico. In altri termini l’operatore si riprende il potere e l’autovalutazione diventa eterovalutazione; diminuisce fino al nulla la possibilità di auto e meta riflessione: il bilancio diventa una valutazione e forse un progetto che non appartiene alla persona e non si vede cosa possa poi farsene davvero. • Anche le informazioni di contesto rappresentano una risorsa fondante del bilancio. Un processo di bilancio senza contesto, al massimo è un processo di ascolto e di falso empowerment, destinato a finire cinque minuti dopo il bilancio stesso. • Le informazioni di contesto sono trattate nella relazione, non sono e non possono essere affidate alla sola ricerca individuale del cliente. Anzi è l’operatore che le seleziona e spesso le propone, per introdurre elementi di verifica, informazioni supplementari, il principio di realtà. • Questa capacità richiede che il bilancio sia erogato all’interno di strutture stabili, con importanti relazioni con il territorio, con le agenzie formative e le aziende. Richiede professionalità orientative specifiche, aggiornate sulle opportunità e sulle regole. La qualità del bilancio si rafforza e le evoluzioni delle pratiche trovano terreno fertile nella presenza di una équipe multidisciplinare di consulenti/conduttori di bilancio, intesa anche come luogo di confronto tra pratiche e operatori diversi. • Ogni strumento proposto deve essere pertinente, cioè utile per rispondere alla domanda iniziale del cliente e a quella della fase nella quale è il percorso e appropriabile, cioè deve produrre informazioni trattabili e comprensibili per il cliente. 349 Il bilancio nei servizi per l’impiego CAPITOLO 6 Il bilancio nei servizi per l’impiego • Questo significa, in altri termini, che l’operatore di bilancio deve, all’interno di un catalogo vasto di strumenti, proporre al cliente, quelli che siano utili in funzione della domanda. Un accanimento diagnostico o una somministrazione indifferenziata aggiungerebbero informazioni inutili e spesso intrattabili e quindi confusive. L’accettabilità da parte del cliente è altrettanto importante. Si tratta di valutare ad esempio se il cliente ha più facilità all’espressione orale o scritta, se sia più utile una scrittura estesa o sintetica, se sia meglio un’intervista a un professionista o un laboratorio collettivo, ecc. Un ulteriore aspetto di qualità indispensabile nell’erogazione di servizi di bilancio è delineato dalla presenza, all’interno della struttura di erogazione, di una disponibilità di un centro di documentazione ricco, facilmente usufruibile e articolato. • Il movimento del bilancio è dato dal cliente. Il bilancio non è un’autostrada dove ad ogni casello si apprende qualcosa e dove i chilometri tra un casello e l’altro sono uguali per tutti ed uguale è l’uscita. Salvaguardando il contratto, la fase esplorativa e quella conclusiva, è possibile e necessaria una certa circolarità. Si possono saltare alcuni caselli, ritornare indietro, fermarsi su un tratto. Le competenze sono uno dei fuochi centrali del bilancio ma l’obiettivo non è l’eterovalutazione, se non quando è necessario avere una misurazione standard ai fini del progetto, ad esempio una conoscenza linguistica per un progetto di lavoro all’estero. Il lavoro con la persona si svolge su un continuum di diversi livelli di consapevolezza e formalizzazione, che possono andare, a seconda della domanda, dalla ricostruzione di un sentimento di competenza ad un’autovalutazione analitica, ad elementi di eterovalutazione. Si parte dal racconto, che viene riorganizzato secondo criteri diversi, compatibili con la domanda e con le risorse della persona. Il problema delle competenze nel bilancio è immaginarne la trasferibilità: la competenza non è astratta e il vero problema è misurare competenze sviluppatesi in contesti specifici e fare ipotesi sulle interazioni e quindi sulle competenze future. Ma sempre di più non è la semplice ripetizione di un comportamento dentro uno standard misurabile a integrare la competenza. In molti casi è evidente la necessità, in un quadro di grande cambiamento della natura dei processi e dei lavori, di misurare alcune azioni ridefinendone il senso e quindi la loro misura mentre le si compiono così definendo l’azione ed il suo contesto ed in questo modo il suo essere o meno competente. Non fornendo un output omogeneo sulle competenze e non avendo natura certificativa, il bilancio fatica ad essere percepito come risor350 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI sa del sistema se non come strumento di sostegno ed empowerment della persona. Questa difficoltà non riguarda soltanto le competenze, in quanto tutti i prodotti formali del bilancio, la sintesi, il progetto/piano d’azione, il portafoglio di competenze, se sostengono e sviluppano la consapevolezza e il “discorso” sulla propria competenza, non sono traducibili e raccordabili con sistemi formali se non dalla persona stessa. La spendibilità del bilancio risulta molto ridotta e lasciata al singolo, mentre dovrebbe garantire maggiore tenuta e coerenza e fare fede nell’accesso ad altre risorse del sistema: formazione individualizzata, placement, sostegno al reddito. In questo senso a Genova stiamo sperimentando una “sintesi pubblica”, un documento contenente solo elementi della sintesi, come le risorse professionali, il piano d’azione, l’individuazione di un percorso formativo, che con il consenso della persona possano facilmente essere utilizzate nei servizi formativi e all’impiego e verso le imprese. Anche il Portafoglio di competenze, usato come strumento utile a dare visibilità e volume al lavoro fatto e ad ordinarlo per sé, può essere costruito per una migliore comunicazione con l’esterno, sia verso le imprese che agenzie formative o di inserimento. Un altro limite del bilancio è quello di essere uno strumento finanziato con il Fondo Sociale Europeo dalle Regioni o Province. Molto basso è l’interesse dimostrato verso questo strumento dalla bilateralità e dalle parti sociali. Questo porta ad un paradosso: il bilancio avrebbe un’utilizzazione elettiva per le politiche di durabilità professionale degli occupati ma questi ne sono perlopiù esclusi . Inoltre il bilancio viene visto come un tempo inutile e perso per l’obiettivo fondamentale di immettere il prima possibile in un lavoro le persone disoccupate. In realtà i dati, come la recente analisi dell’ANPE francese, dimostrano il contrario: il bilancio aumenta significativamente il successo nel trovare e soprattutto mantenere il lavoro. Occorre dunque sollecitare uno slancio legislativo capace di dare stabilità e regolamentazione al bilancio, introdurlo in un quadro di diritti esigibili, superare l’occasionalità e integrarlo nelle politiche del lavoro e del welfare. La Federazione Europea dei Centri di Bilancio In mancanza di un quadro dato di regole e strumenti di valutazione, alcuni centri hanno ottenuto il marchio di qualità della Federazione dei Centri Interistituzionali di Bilancio di Competenze francesi. Tale label riguarda l’insieme delle condizioni organizzative, di contesto, strumenta351 Il bilancio nei servizi per l’impiego CAPITOLO 6 La Federazione Europea dei Centri di Bilancio li, deontologiche e professionali necessarie all’erogazione di bilanci di qualità. Si è trattato per molti, più che di accrescere il valore competitivo della propria struttura, di essere rassicurati e valutati e di inserirsi a pieno titolo in una più ampia comunità di lavoro. Con la nascita, nel giugno 2005 della Federazione Europea, e con la gestione ed evoluzione del marchio divenuta patrimonio comune, si è aperto un ulteriore spazio di confronto e di costruzione di qualità dal basso in Europa. Per noi italiani però questo non è sufficiente. Abbiamo bisogno di un quadro di riferimento e di regole nazionali che vogliamo contribuire a definire. È importante per il futuro legislatore ascoltare le esperienze. La sperimentazione ISFOL ISFOL ha un ruolo centrale nell’analisi e nella costruzione concettuale sulle competenze. Quasi tutti i passaggi evolutivi compiuti dal nostro paese, dalla definizione delle competenze trasversali alle unità formative capitalizzabili, al supporto alla bilateralità per individuare profili professionali e formativi “larghi” sono frutto del contributo ISFOL. La sperimentazione di un nuovo modello di bilancio particolarmente pensato per essere erogato nei Centri per l’Impiego ha senza dubbio aumentato le aspettative e l’attenzione sul tema, coinvolgendo nella fase operativa e di valutazione molte agenzie di bilancio e Centri per l’Impiego. Questa iniziativa, anche grazie ai mezzi messi in campo, ha portato un grande contributo ad arricchire il catalogo cognitivo e degli strumenti a disposizione, costruendone una versione ricca di strumenti diagnostici validati. Il mio centro e anch’io personalmente siamo stati coinvolti ed impegnati nella sperimentazione, svolgendola secondo il protocollo indicato. Su due questioni in particolare la sperimentazione è stata importante: a) la compatibilità e il punto di equilibrio tra l’obiettivo di creare uno strumento più snello e la salvaguardia di uno spazio ricostruttivo/narrativo; b) la capacità del modello di insediarsi nei Centri per l’Impiego meglio del bilancio tradizionale. La sperimentazione ha indicato che una riduzione del tempo disponibile e la sua organizzazione sequenziale riducono gli spazi per la relazione e rendono più complessa la restituzione e il trattamento delle informazioni su di sé e sul contesto e in definitiva l’appropriazione. Non avere il tempo per potersi soffermare o ritornare su informazioni salienti, può esporre al rischio di animare e dinamizzare senza chiudere il cerchio dell’autovalutazione e del progetto. Da questo punto di vista occor352 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI re forse pensare ad uno standard più flessibile e ad un equilibrio sulle risorse economiche che si può trovare concentrandosi di volta in volta sulla specifica domanda del cliente, tralasciando di acquisire e trattare informazioni non indispensabili o ridondanti. Circa la seconda questione, abbiamo già visto come sia difficile non solo per il bilancio ma anche per altri strumenti di secondo livello essere situati all’interno dei Centri per l’Impiego, ancora schiacciati in una dimensione burocratica, informativa e di primo orientamento e poco propensi, anche per ragioni logistiche ed organizzative, ad accogliere permanentemente e a salvaguardare percorsi complessi e ricorrenti. Il punto è che per sviluppare percorsi di bilancio di successo il tempo e la personalizzazione necessari sono in qualche misura inversamente proporzionali ai capitali economici, sociali e culturali, all’autonomia e alla progettualità della persona. In molti casi strumenti come il portafoglio diventano la principale risorsa metodologica di supporto al processo. Questa sperimentazione ha avuto il merito di diventare un acceleratore del dibattito nazionale e aprire uno spazio di confronto ed elaborazione utile per migliorare le pratiche e sollecitare le politiche. Il bilancio di competenze deve necessariamente avere una teoria di riferimento? Il bilancio di competenze si è confrontato, nel tempo, con le stratificazioni teoriche e con il loro rapporto con le pratiche utilizzando tecniche e strumenti di varia matrice: ad esempio posso usare strumenti di matrice comportamentista, ma non per questo il mio approccio sarà quello di Palo Alto, se per leggere le competenze uso una griglia legata al ROME ne avrò un approccio cognitivista, ma se poco dopo uso una griglia più tecnica o prestazionale ne avrò ancora un altro? In realtà il bilancio di competenze, proprio per essere uno strumento fondato sulla variabilità della persona, autodirettivo, di empowerment, e contestualizzato, è basato su un approccio Rogersiano, educativo. E dato che un buon bilancio ha senso solo di fronte ad una domanda di mobilità professionale, sono piuttosto dentro una dimensione Pombeniana, dove ha luogo l’orientamento diffuso come orientamento della vita ma l’intervento intenzionale e professionale è utile e accettabile solo nelle fasi di transizione psicosociale. Ma soprattutto siamo dentro ad un servizio di orientamento. Forse si potrebbe dire che siamo dentro la teoria dei servizi pubblici dove contano le carte dei servizi, cioè dove conta innanzitutto una definizione socialmente ed individualmente comprensibile di cosa è, per esempio un bilancio di competenze e cosa è richiesto alla persona, cosa garantisce 353 La sperimentazione ISFOL CAPITOLO 6 Il bilancio di competenze deve necessariamente avere una teoria di riferimento? la struttura e quale è il compito dell’operatore. Inoltre per quanto si lavori in équipe e si cerchino di omogeneizzare linguaggi, contenuti e stili operativi le differenze tra gli operatori rimangono, come pure ogni persona ha un bisogno diverso ed è unica. Questa esigenza di soggettività e individualizzazione si gioca però in un equilibrio sempre da ricercare, tra il servizio da erogare (durata messa in gioco, direttività, setting), la persona, l’operatore ed il sistema di risorse e di vincoli nel quale avviene la relazione. Il tempo di ricognizione e riappropriazione delle competenze agite e dei significati attribuiti alle esperienze personali è soggettivo e sviluppa un processo di consapevolezza che è l’elemento centrale della pratica (non è tanto il tipo di strumento a dare un taglio educativo, ma l’utilizzo del tempo di riflessione e ricostruzione tra gli incontri). Il bilancio di competenze, per definizione si sposa con un’idea di orientamento che accompagna l’individuo, quando è necessario, ad affrontare le sue varianze e quelle del contesto e a progettarsi per far fronte al problema della durabilità professionale. È un processo di accompagnamento e sviluppo, in fasi critiche di transizione con un approccio più processuale che strettamente strumentale. L’approccio empowerment è molto presente, almeno in alcuni bilanci perché è la persona che si autoregola, si rende autonoma e si potenzia attraverso il metodo e il tempo di maturazione degli apprendimenti e/o cambiamenti, ma come tutti i processi di orientamento e di aiuto alla scelta anche il confronto con il contesto, ha un peso rilevante. Lavorare su una teoria del bilancio, o ricercare a quale matrice filosofica sociologica o psicologica possa appartenere può dunque avere una certa utilità, anche se, lo strumento, una teoria l’ha sviluppata da sé e questa teoria è piuttosto una impostazione di fondo, un senso, una finalità che accetta anche un certo meticciato pur di aderire al suo risultato finale. In fondo, come scrive Gianluca Bocchi nel bel libro “Fare cose con la Filosofia” occorre evitare che le teorie vengano prima della loro applicabilità concreta e che applicandole non si debba dire “l’operazione è perfettamente riuscita, purtroppo il paziente è morto”. Anche in questo convegno c’è molta enfasi sulle teorie di riferimento e sugli strumenti. Non dimentichiamo che nel bilancio ciò che conta è il lavoro che la persona riesce a fare, ciò che scopre, ciò che decide, è il tempo, è la circolarità: sono queste le cose che rendono possibile l’autoriflessività. Non sono le teorie, non sono i singoli strumenti, è il percorso. Come canta Roberto Benigni “nell’amore le parole non contano, conta la musica”. 354 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 6.7 IL RUOLO DELLA SEDE ORIENTATIVA NEL BILANCIO DI COMPETENZE di Silvana Rasello1 Nell’aprile 2006 il bilancio di competenze celebra in Francia i suoi primi 20 anni facendo il punto sulle pratiche, sui risultati, sulle prospettive di questa metodologia che ha suscitato grande interesse anche in altri paesi europei e viene oggi spesso associata al concetto di formazione ed educazione lungo tutto l’arco della vita. In Italia, sia in termini di studi e pubblicazioni che di pratica, la metodologia è stata ampiamente ritradotta e sperimentata. Una rilettura di queste nostre esperienze nazionali sembra però presentare una carenza, la parziale perdita di un riferimento irrinunciabile per un coerente e adeguato percorso di bilancio: il riferimento alla sede, al “Centro di bilancio” – diventato poi “Centro interistituzionale di bilancio” (o CIBC) – che in Francia è stata la naturale condizione di sviluppo e fattibilità del bilancio di competenze. Il CIBC ha come obiettivo fondamentale di offrire a persone occupate o in cerca di lavoro la possibilità di realizzare un proprio bilancio personale e professionale con il supporto di specialisti nell’ambito del consiglierato, della formazione e del lavoro, appartenenti a differenziate e molteplici organizzazioni. Si pone come centro capace di: • costituire un “luogo risorsa” per specialisti e professionisti del bilancio; • favorire e prendere parte a scambi di esperienze tra organismi che applicano la metodologia, in una logica di miglioramento continuo e formazione condivisa; • adattare, testare e creare strumenti adeguati al percorso; • assumere e applicare un percorso sistema di qualità rigoroso, coerente, aperto all’innovazione. Ogni CIBC diventa così garante della deontologia e della qualità del bilancio di competenze, ne assicura il riconoscimento sociale, ne garantisce la spendibilità dei risultati e si costruisce intorno a caratteristiche comuni e condivise che assumono la valenza di “requisiti”. In primis l’interistituzionalità, in termini di elementi costitutivi o almeno in termini di riferimenti organizzativi fondamentali che offre e ricerca il contributo e la rappresentatività delle diverse istituzioni che opera1 Direttrice Ciofs – Fp Piemonte. 355 CAPITOLO 6 Il ruolo delle sede orientativa nel bilancio di competenze no sul territorio, sia su un piano strategico (partner sociali, associazioni imprenditoriali, enti pubblici), sia su un piano tecnico-metodologico (mobilizzazione delle risorse esterne per la realizzazione delle prestazioni); la pluriDiscipliNarietà, che valorizza le competenze individuali e soggettive in un quadro complessivo di competenza di équipe, garantita dalla pluralità delle figure professionali coinvolte nella progettazione ed erogazione dei percorsi, sinergia costruita e continuativa tra risorse interne alla struttura e risorse esterne, non limitatamente alla fase di erogazione); territorialità e continuità del servizio, coerentemente coniugato con le specifiche del territorio, anche in funzione di promozione di sviluppo locale (in ambito soprattutto di analisi e riadeguamento dei profili professionali di validazione delle competenze e riconoscimento delle competenze acquisite in contesto di apprendimento e formazione non istituzionale); ricerca e sviluppo, per la necessaria riflessione sull’innovazione delle pratiche e degli strumenti rispetto alla tipologia dei finanziamenti disponibili, alle condizioni di mercato, agli specifici destinatari del servizio. La riflessione si confronta naturalmente con l’evoluzione del contesto sociale, economico, culturale e professionale; formazione degli operatori, condizione essenziale per garantire la qualità delle prestazioni, l’evoluzione delle pratiche, la coerenza metodologica. Presuppone un lavoro sulle competenze di gestione del colloquio, nelle sue diverse specifiche, di sviluppo della metodologia, con il ricorso agli strumenti caratteristici (contratto di bilancio, analisi delle competenze, portafoglio, sintesi di bilancio), di gestione delle attività pertinenti l’analisi della situazione e la lettura del contesto personale e lavorativo, di gestione della negoziazione sia all’interno del percorso che in ambito di contesto di inserimento lavorativo e di partner istituzionali. In sintesi, emerge la definizione di un centro che si pone come garanzia della qualità e della deontologia del bilancio di competenze, della professionalità degli operatori, dell’aggiornamento e adeguatezza degli strumenti; una sede che diventa “finestra sul territorio”: al servizio delle persone, delle organizzazioni, dello sviluppo locale, per promuovere innovazione e sviluppare collaborazione e rete territoriale. In tale direzione si muove il DM166/2001, che regola e definisce in Italia le norme per l’accreditamento delle sedi formative e orientative. Il documento, infatti, precisa che se l’area di applicazione dell’accreditamento sono le attività di orientamento e formazione professionali, il soggetto da accreditare è però una sede operativa, di cui vengono analizzati, come criteri sulla base dei quali costruire gli standard, “le capacità gestionali e logistiche, la situazione economica, la disponibilità di competenze professionali in specifiche funzioni, i livelli di efficacia ed efficienza in attività pregresse e interrelazioni maturate con il sistema sociale e 356 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI produttivo presente sul territorio”. Il riferimento alla “sede” non vuole implicare una scelta organizzativa rigida, o la scelta di uno standard di struttura organizzativa rigido, bensì esplicitare una serie di “ingredienti organizzativi” necessari da utilizzare per definire una configurazione organizzativa flessibile, “che abbia probabilità di successo anche perché non fossilizza i vari processi sociali dell’Organizzare persone, gruppi e risorse al fine di conseguire gli scopi rilevanti” (Sarchielli, 2002). Tra gli elementi su cui si possono costruire tali organizzazioni sono particolarmente rilevanti: • gli operatori, che rappresentano la base dell’organizzazione e che forniscono i servizi richiesti; • la direzione, che assume il ruolo di vertice strategico; • la tecnostruttura, che assume il ruolo di staff per la standardizzazione delle attività, l’integrazione tra le stesse e il corretto ricorso alle risorse tecniche, strumentali, personali interne ed esterne. Le modalità di articolazione e interconnessione degli stessi sono assai diversificate e possono quindi produrre un numero notevole di combinazioni, che ritrovano comunque elementi identificativi comuni e si confrontano con l’esigenza di “alta prontezza alla risposta” di fronte alla variabilità delle richieste dei diversi utenti, e con l’esigenza di facilitazione del lavoro di équipe, cioè della costruzione e manutenzione di team di lavoro multiprofessionale necessari a facilitare l’erogazione di bilanci o comunque azioni orientative caratterizzate come prestazioni qualitativamente elevate a fronte di esigenze spesso complesse e multideterminate. Gli obiettivi individuati dai CIBC nel loro anniversario di fondazione possono rivelarsi significativi e importanti anche per noi e per il nostro contesto italiano; proprio per questo li ricordiamo, a conclusione di queste brevi riflessioni, affidandoli a tutti gli operatori e le sedi che si occupano con dedizione e serietà di approfondire e diffondere le metodologia del bilancio di competenze: • favorire l’assunzione, da parte dei centri, di quelli che sono i bisogni emergenti dall’evoluzione del territorio, per un approccio più efficace degli interventi orientativi, ricordando che i rapporti di rete e i partenariati ne sono uno degli elementi chiave; • sviluppare una politica territoriale rinforzando gli interventi e i servizi che hanno maggiore rilevanza strategica per la comunità di riferimento e socializzando i contenuti e le metodologie in modo sempre più allargato; • rinforzare le professionalità degli operatori, attraverso lo sviluppo di équipe pluridisciplinari e interistituzionali; • assicurare una “funzione risorsa” allargando l’attenzione alla dimen357 Il ruolo delle sede orientativa nel bilancio di competenze CAPITOLO 6 Il ruolo delle sede orientativa nel bilancio di competenze sione europea, per la diffusione e il confronto delle buone pratiche in materia di bilancio e di orientamento lungo tutto l’arco della vita; • perché si possa parlare non solo di “buoni bilanci” e buone metodologie, ma soprattutto di ottime sedi o Centri di bilancio, anche in Italia. Riferimenti bibliografici AA.VV. Decreto Ministeriale n. 166/2001. Disposizione in materia di accreditamento dei soggetti attuatori nel sistema di formazione professionale, Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale. AA.VV., (1996). Les Acts du Dixième anniversaire des CIBC: Bilan de Compétences. Lille. Guillerme, I., Kaiser, B., Magron, A., Marchand, F., Retiere, L., Rochet S. (1995). Bilan de Compétences et Qualité, Une nouvelle pratique au ^ne, service des salariés et des entreprise. Iniziativa Chalonsur-Sao ^ Imprimerie del Centre Chalon-sur-Saone. Di Francesco G. (a cura di) (2003). Ricostruire l’esperienza, Competenze, bilancio, formazione. FrancoAngeli, Milano. Ruffini, C., Sarchielli, V. (a cura di) (2001). Il Bilancio di Competenze. Nuovi sviluppi. FrancoAngeli, Milano. 358 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 6.8 BILANCIO DI COMPETENZE E STILI DECISIONALI IN UN CAMPIONE DI INSEGNANTI DI SCUOLA SUPERIORE di Annamaria Di Fabio1 e Lara Busoni2 Introduzione I processi di decision-making rappresentano un’area tematica rilevante in molti campi della psicologia ed in particolare nell’orientamento professionale (Mann, 2000). Tipologie di intervento come il bilancio di competenze, volte all’acquisizione della consapevolezza individuale in vista dello sviluppo professionale e di una progettualità declinata armonicamente tra complessità interna e complessità esterna, risentono positivamente delle nuove acquisizioni provenienti dalla ricerca sulla psicologia delle decisioni: la capacità di monitorare il proprio processo decisionale e di utilizzare modalità di scelta adattive risultano fondamentali nella costruzione e nell’attuazione del progetto di bilancio (Di Fabio, 2002). L’attenzione per gli aspetti psicologici ed individuali che influenzano il decision-making e la proliferazione di differenti tipologie di stili decisionali (Arroba, 1977; Harren, 1979; Janis e Mann, 1977; Mann Burnett, Radford, e Ford, 1997; Scott e Bruce, 1995) si sono definite nel corso degli ultimi decenni in seguito alla scoperta delle deboli capacità predittive delle teorie normative e dei modelli razionali (Tversky, 1969; Tversky e Kahneman, 1981). Ad oggi risulta ancora carente un’analisi approfondita di ciascuno stile decisionale mediante lo studio sistematico dei vari correlati, prospettiva di ricerca che Mann e Friedman (2002) hanno indicato come area d’elezione per necessari approfondimenti in ambito di decision-making. Dall’analisi della letteratura emergono l’ampia gamma dei fattori associati alle differenti strategie decisionali che spazia dalle variabili cognitive a quelle di personalità e la particolare attenzione rivolta allo stile decisionale della procrastinazione (Berzonsky e Ferrari, 1996; Beswick e Mann, 1994; Blunt e Pychyl, 1998; Effert e Ferrari, 1989; Ferrari, 1991a, 1991b, 1994, 2000; Harriot, Ferrari, e Dovidio, 1996; Milgram e Tenne, 2000; Watson, 2001) rispetto agli altri stili. La finalità di questo lavoro è quindi arricchire la comprensione di ciascuno stile decisionale con l’obiettivo di approfondirne sia i correlati che 1 2 Ricercatrice presso il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze. Psicologa dello Sviluppo. 359 CAPITOLO 6 Bilancio di competenze e stile decisionali in un campione di insegnanti di scuola superiore i predittori in termini di autostima, self-efficacy, percezione di fallimento cognitivo e tratti di personalità in un target di insegnanti afferenti a diversi istituti coinvolti in un progetto di Bilancio di competenze. La scelta delle variabili è relativa al peso specifico che si suppone abbiano sugli stili decisionali: in particolare è sembrato interessante valutare il ruolo dell’autostima e dell’auto-efficacia vista l’influenza che sembrano esercitare sulle scelte professionali, sulla stabilità occupazionale e sulla realizzazione di efficienti processi di career decision making (Nota, 1999; Taylor e Pompa, 1990). L’importanza di approfondire l’impatto della percezione di fallimento cognitivo è dovuta al maggior interesse riservato finora alle variabili di personalità rispetto a quelle cognitive nonostante gli incoraggianti risultati di Effert e Ferrari (1989). Sono stati inoltre considerati i tratti di personalità data la necessità di determinare il peso specifico degli stessi nel conflitto decisionale (Laethem, Mestdagh, e Vanderhayden, 2003). Le ipotesi della ricerca riguardano, in dettaglio, l’ambito della procrastinazione decisionale per il quale è possibile rintracciare riferimenti in letteratura; per gli altri stili decisionali (evitamento, vigilanza ed ipervigilanza) non sono state fatte ipotesi a priori, ad eccezione delle relazioni con l’auto-efficacia, a causa della natura esplorativa del presente studio. (H1) La procrastinazione decisionale correla inversamente con la misura di autostima in quanto, come accade per altri tipi di procrastinazione, è atteso che anche i procrastinatori decisionali manifestino un’autostima vulnerabile (Beswick e Mann, 1994; Di Fabio, 2005; Effert e Ferrari, 1989; Ferrari, 1991a, 1991b, 1994, 2000). (H2) La self-efficacy correla inversamente con le strategie decisionali disadattive (evitamento, procrastinazione e ipervigilanza) e positivamente con la vigilanza (Di Fabio e Busoni, 2006; Nota, 1999). Essendo il campione costituito da insegnanti e non da studenti, come nelle ricerche riportate in letteratura, si è ritenuto opportuno valutare l’auto-efficacia occupazionale. (H3) La procrastinazione decisionale correla positivamente con misure self-report relative a fenomeni di scarsa attenzione, perdita delle informazioni in memoria, facilità di distrazione e mancanza di idee (Di Fabio, 2005; Effert e Ferrari, 1989), etichettabili complessivamente in termini di fallimento cognitivo (Broadbent, Cooper, Fitzgerald, e Parkes, 1982). (H4) La procrastinazione decisionale correla inversamente con la stabilità emotiva, polo opposto del nevroticismo (Beswick e Mann, 1994; Milgram e Tenne, 2000; Watson, 2001). Tale legame può essere riconducibile alla mancanza di fiducia dei procrastinatori nelle loro capacità 360 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI di saper prendere una decisione (Milgram e Tenne, 2000), inoltre i processi di autoregolazione necessari per prendere decisioni senza eccessivi ritardi (Kuhl, 1984), richiedono un funzionamento adattivo e facilitante che non include ansietà, depressione e le altre modalità iscritte nel nevroticismo. (H5) La procrastinazione decisionale correla inversamente con la coscienziosità e tale legame è inferiore rispetto a quello tra procrastinazione e stabilità emotiva (Milgram e Tenne, 2000). I processi di autocontrollo (Kuhl, 1984) che afferiscono alla dimensione della coscienziosità e che chiamano in causa, solo per citare alcuni aspetti, l’autodisciplina e l’aderenza al dovere, potrebbero risultare solo in misura minima compromessi non trattandosi di procrastinazione task avoidant ma di procrastinazione decisionale. (H6) Esiste una correlazione inversa tra procrastinazione decisionale ed energia/estroversione (Milgram e Tenne, 2000; Watson, 2001) forse interpretabile come la mancanza nei procrastinatori di quei tratti quali socievolezza ed energia essenziali per sollecitare e ricevere aiuto dagli altri nella presa di decisione (Milgram e Tenne, 2000). (H7) Il piano del fallimento cognitivo, variabile finora non sufficientemente indagata, è il predittore più marcato della procrastinazione decisionale rispetto alle altre variabili incluse nello studio. Metodo Partecipanti Su un campione totale di 195 insegnanti di Scuola Superiore, hanno preso parte alla ricerca 172 docenti di cui 58 maschi e 114 femmine. Nello specifico il campione risulta così composto: 51 insegnanti dell’istituto professionale (29.7%), 59 dell’istituto tecnico (34.3%), 22 del liceo classico (12.8%) e 40 del liceo scientifico (23.3%). L’età dei soggetti è compresa tra 26 e 64 anni con un valore medio M= 46.99 e DS= 7.92. Strumenti utilizzati Per valutare gli stili decisionali è stato utilizzato l’adattamento italiano a cura di Nota, Mann e Soresi (2003) del Melbourne Decision Making Questionnaire (MDMQ) di Mann et al., (1997). L’MDMQ è composto da 22 affermazioni con scala di risposta formato Likert a 3 punti. In particolare individua quattro stili decisionali denominati evitamento (F1), vigilanza (F2), procrastinazione (F3) ed ipervigilanza (F4), le prime due scale costituite da 6 item ciascuna con un punteggio che può variare da 6 a 18, le altre due scale costituite da 5 item con un punteggio compreso tra 5 e 15. I valori di attendibilità dello strumento nel361 Bilancio di competenze e stile decisionali in un campione di insegnanti di scuola superiore CAPITOLO 6 Metodo la versione originale sono i seguenti: evitamento alfa= .87, vigilanza alfa= .80, procrastinazione alfa= .81 ed ipervigilanza alfa= .74. L’adattamento italiano del test presenta i seguenti valori: evitamento alfa=.78, vigilanza alfa=.68, procrastinazione alfa=.65 ed ipervigilanza alfa=.60 (Nota e Soresi, 2000). Per valutare l’autostima è stata utilizzata la versione italiana a cura di Prezza, Trombaccia e Armento (1997) della Self-Esteem Scale di Rosenberg (RSES) del 1965. Il test è costituito da 10 item con scala di risposta formato Likert a quattro punti. Il punteggio totale può variare da 10 a 40. Per ciò che attiene alla consistenza interna della scala l’Alfa di Cronbach è .84. Per valutare l’auto-efficacia occupazionale è stato utilizzata la versione italiana ridotta (a cura di Di Fabio e Taralla, 2004) della Occupational Self-Efficacy Scale (OCC-SEFF) (Schyns e von Collani, 2002). Il test è composto da 8 item con scala di risposta formato Likert a 6 punti. Misura il senso di autoefficacia personale in ambito lavorativo. L’attendibilità della scala è di · = .91. Per valutare la percezione di fallimento cognitivo è stato usato il Cognitive Failures Questionnaire (CFQ) di Broadbent et al., (1982) nella versione italiana a cura di Di Fabio (2003). Tale strumento è costituito da 25 item che afferiscono ad una delle tre categorie (area percettiva, area di memoria, area di controllo motorio) identificate da Broadbent et al. (1982) con modalità di risposta su scala Likert a 5 punti. Il punteggio totale del CFQ prevede una gamma da 0 a 100. Il questionario presenta un’alfa di Cronbach di .81 (Di Fabio, Giannini, e Martelli, 2004). Per valutare gli aspetti di personalità è stato utilizzato il Big Five Questionnaire (BFQ) di Caprara, Barbaranelli e Borgogni (1993). Il questionario, composto da 132 item, individua cinque dimensioni fondamentali per la descrizione e la valutazione della personalità, indicate come Energia (E), Amicalità (A), Coscienziosità (C), Stabilità emotiva (S) ed Apertura mentale (M), ognuna delle quali consta di 24 item. È presente inoltre una sesta scala, L (Lie), composta da 12 item, che misura la tendenza del soggetto a fornire un profilo falsato di sé. Le cinque scale principali implicano ciascuna due sottodimensioni: la scala E è definita dalle due sottodimensioni di Dinamismo (Di) e Dominanza (Do); la scala A da Cooperatività/Empatia (Cp) e Cordialità/Atteggiamento Amichevole (Co); la scala C da Scrupolosità (Sc) e Perseveranza (Pe); la scala S da Controllo dell’emozione (Ce) e Controllo degli implusi (Ci); infine la scala M da Apertura alla cultura (Ac) e Apertura all’esperienza (Ae). Gli item presentano una modalità di risposta su scala Likert a 5 punti. Il calcolo dei punteggi prevede una prima somma in punteggi grezzi, in seguito convertiti in punteggi standardizzati espressi in punti T 362 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI (M=50; DS=10). Per ciò che concerne l’attendibilità delle scale del questionario, il coefficiente alfa di Cronbach varia da un valore di .73 per la scala A ad un valore di .90 per la scala S. Procedura e analisi dei dati Le somministrazioni sono avvenute, in forma anonima, all’interno dell’edificio scolastico, sia individualmente che a piccoli gruppi. Per ciò che attiene alle modalità di elaborazione dei dati, nella presente ricerca sono state utilizzate statistiche descrittive, correlazioni r di Pearson e regressioni multiple metodo enter. Risultati Media, deviazione standard e correlazioni, relative a ciascuno dei quattro stili decisionali individuati dal Melbourne Decision Making Questionnaire con la Rosenberg Self-Esteem Scale, l’Occupational SelfEfficacy Scale, il Cognitive Failures Questionnaire ed il Big Five Questionnaire (dimensioni principali e sottodimensioni), sono riportate in Tabella 1. In relazione all’evitamento si riscontrano correlazioni significative sia con le variabili cognitive che con quelle di personalità ed in particolare con l’autoefficacia occupazionale. Per quanto riguarda la vigilanza, le principali correlazioni si riscontrano con la dimensione di personalità coscienziosità e le relative sottodimensioni mentre si evidenzia un moderato legame con l’autostima. In relazione a procrastinazione ed ipervigilanza, i principali legami si riscontrano con autostima, percezione di fallimento cognitivo e auto-efficacia occupazionale. 363 Metodo Risultati 364 1 2 1 3 86.64 8.89 -.30** .12 12. BFQ M 44.02 5.53 -.42** .30** -.29** -.30** .42** -.49** -.30** .64** 37.19 7.83 -.25** .15 -.27** -.47** .43** -.30** -.51** .36** .22** 35.07 7.62 44.26 5.47 -.21** .18* 42.38 5.21 -.29** .02 19. BFQ (Pe) 20. BFQ (Ce) 21. BFQ (Ci) 22. BFQ (Ac) 23. BFQ (Ae) -.02 .02 .02 .01 -.08 .44** .15 .12 .04 .14 .84** .79** .08 .17* -.24** -.26** .35** .37** .35** -.07 -.37** .11 .10 -.09 .28** .92** -.18* -.20** .22** -.27** -.13 .52** .26** .29** -.04 -.07 .45** .11 .16* .24** .11 .16* .57** 1 16 .60** .53** .21** .07 .07 .09 1 15 .07 .06 1 17 .34** 1 18 1 19 .09 .14 .92** .47** .15* .03 .24** .51** .04 .02 .82** .02 .53** .37** .28** .20** .01 .43** .84** .22** .40** .19* .45** .23** .26** .32** .10 .92** .16* .38** .34** .30** .17* .21** -.02 .23** .14 .01 .39** .26** .36** .39** -.12 .31** .86** .23** .22** .44** .20** .42** .17* -.23** -.13 .03 -.05 -.17* .15* -.10 .47** -.05 -.05 -.13 39.07 4.90 -.01 .03 18. BFQ (Sc) .02 .02 38.61 5.91 .01 17. BFQ (Co) .11 1 14 .41** .18* .34** .23** .59** 42.86 4.59 -.02 1 16. BFQ (Cp) .09 .15 37.92 5.00 -.41** .11 -.32** -.30** .36** -.38** -.31** .86** -.10 -.23** .20** -.25** -.38** .33** .33** .21** .46** 15. BFQ (Do) .05 13 33.23 6.45 1 12 40.39 6.64 -.40** .09 -.24** -.33** .39** -.51** -.29** .92** .45** .43** .27** .56** .33** .14 1 11 14. BFQ (Di) -.15 1 .10 -.13 -.17* .23** -.30** -.24** .52** .38** .39** -.18* -.35** .32** -.20** -.48** .26** .36** 10 13. BFQ L .09 -.12 .33** 72.26 14.25 -.15* -.11 11. BFQ S .03 83.09 8.55 -.33** .46** -.22** -.18* .37** -.45** -.27** .47** .16* .01 10. BFQ C -.02 81.47 9.33 9. BFQ A .05 78.31 10.40 -.45** .11 -.30** -.36** .42** -.51** -.33** .01 36.90 11.22 .41** -.07 .42** .53** -.41** .39** 1 9 8. BFQ E 1 8 7. CFQ 1 7 41.08 13.43 .51** -.15* .40** .50** -.54** 1 6 6. OCC-SEFF 1 5 33.13 4.10 -.40** .24** -.44** -.51** 1 4 5. RSES 4. MDMQ (F4) 8.35 2.14 .55** -13 .63** 3. MDMQ (F3) 6.85 1.89 .54** -.17* 1 1 -.08 SD 1. MDMQ (F1) 9.08 2.76 M 2. MDMQ (F2) 16.12 2.07 Variabili .13 .13 .70** 1 20 .03 .13 1 21 .39** 1 22 1 23 Tabella 1 – Media, deviazione standard e correlazioni fra stili decisionali e autostima, auto-efficacia occupazionale, percezione di fallimento cognitivo e tratti di personalità CAPITOLO 6 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI Le regressioni multiple relative a ciascuno dei quattro stili decisionali, effettuate sulla base dei punteggi del campione in esame (N=172), sono riportate in Tabella 2. Per quanto riguarda l’evitamento, il modello di regressione multipla individuato risulta significativo (F(3,168)= 29.15; p <.001) e spiega il 34% della varianza. Tale modello mostra quale principale predittore dell’evitamento l’auto-efficacia occupazionale; ulteriori predittori risultano l’energia (inversamente) e la percezione di fallimento cognitivo. Relativamente allo stile decisionale della vigilanza, il modello finale di regressione risulta significativo (F(2,169)= 27.96; p<.001) e presenta un R2 =.25: la vigilanza risulta spiegata maggiormente dalla sottodimensione scrupolosità mentre l’autostima contribuisce solo in minima parte. In riferimento alla procrastinazione decisionale, il modello di regressione individuato risulta significativo (F(3,168)= 21.92; p<.001) e presenta un R2 di .28. Questo stile risulta maggiormente spiegato dalla variabile percezione di fallimento cognitivo e successivamente dall’autostima. Per ciò che concerne l’ipervigilanza il modello di regressione individuato risulta significativo (F(4,167)= 33.39; p<.001) e presenta un R2 di .44: emergono quali moderati predittori la percezione di Tabella 2- Regressioni multiple su Evitamento (F1), Vigilanza (F2), Procrastinazione (F3) e Ipervigilanza (F4) nel campione totale (N=172). Regressione multipla su Evitamento (F1) Variabile B 1. Auto-efficacia occupazionale .06 2. Energia -.05 3. Percezione di fallimento cognitivo -.05 Nota. R2 = .34; F(3,168)= 29.16; p <.001. Regressione multipla su Vigilanza (F2) Variabile B 1. Scrupolosità .19 2. Autostima .08 2 Nota. R = .25; F(2,169)= 27.96; p <.001. Regressione multipla su Procrastinazione (F3) Variabile B 1. Autostima -.11 2. Percezione di fallimento cognitivo .04 3. Auto-efficacia occupazionale .02 Nota. R2 = .28; F(3,168)= 21.92; p <.001. Regressione multipla su Ipervigilanza (F4) Variabile B 1. Percezione di fallimento cognitivo .05 2. Autostima -.10 .04 -.19 -2.55 .012 3. Auto-efficacia occupazionale .04 4. Controllo della emozione -.05 Nota. R2 = .44; F(4,167)= 33.39; p <.001. BSE .02 .02 .02 .31 -.22 .21 ‚t 4.13 -2.95 3.09 p .001 .004 .002 BSE .03 .03 .44 .17 ‚t 6.54 2.50 p .001 .013 BSE .04 .01 .01 -.24 .26 .17 ‚t -2.96 3.51 2.13 p .004 .001 .035 BSE .01 .26 ‚t 3.73 p .001 .01 .02 .24 -.19 3.43 -2.68 .001 .008 365 Risultati CAPITOLO 6 Risultati fallimento cognitivo e l’auto-efficacia occupazionale; ulteriori deboli apporti vengono forniti dall’autostima e dalla sottodimensione controllo dell’emozione. Discussione e conclusioni Il presente lavoro si è proposto di favorire una maggiore comprensione delle strategie decisionali vista la loro rilevanza nel settore dell’orientamento professionale ed in particolare nell’ambito di una ancorata progettualità che ne consenta una traduzione applicativa. In particolare la ricerca si è proposta di verificare il ruolo di autostima, self-efficacy occupazionale, cognitive failures e tratti di personalità in termini di correlati e predittori degli stili decisionali dell’evitamento, della vigilanza, della procrastinazione e dell’ipervigilanza in un campione di docenti di Scuola Superiore individuati per un progetto di Bilancio di competenze. La prima ipotesi, riguardante il legame fra procrastinazione ed autostima (Beswick e Mann, 1994; Di Fabio, 2005; Effert e Ferrari, 1989; Ferrari, 1991a, 1991b, 1994, 2000), è stata ampiamente confermata. Il rimandare le decisioni si associa infatti ad un’autostima vulnerabile ed implica il desiderio di non mettersi alla prova evitando così eventuali insuccessi attribuibili alle scarse abilità individuali (Burka e Yuen, 1983). In linea con lo studio di Nota (1999), la seconda ipotesi è stata confermata supportando l’esistenza di un legame inverso della self-efficacy occupazionale con stili decisionali disadattivi e di un legame diretto con la vigilanza. Anche la terza ipotesi risulta confermata e supporta l’esistenza del legame fra procrastinazione decisionale e fenomeni di percezione di fallimento cognitivo: il procrastinatore potrebbe pertanto sottostimare il tempo necessario per completare un compito e fallire nel valutarlo fino a dimenticarne addirittura gli aspetti fondamentali (Di Fabio, 2005; Effert e Ferrari, 1989). In linea con gli studi precedenti (Beswick e Mann, 1994; Milgram e Tenne, 2000; Watson, 2001) è risultata confermata anche la quarta ipotesi che, sottolineando il legame inverso tra procrastinazione decisionale e stabilità emotiva, sostiene che i processi di autoregolazione svolgano un ruolo importante al fine di evitare la procrastinazione nella presa di decisione (Khul, 1984). La quinta ipotesi risulta confermata solo in parte: la procrastinazione decisionale, infatti, correla inversamente con la dimensione coscienziosità (Milgram e Tenne, 2000) ma tale legame risulta lievemente superiore a quello riscontrato tra procrastinazione e stabilità emotiva forse per la diversità degli strumenti utilizzati nei due studi (BFQ e NEO-PI-Revised). La sesta ipotesi, in base alla quale la procrastinazione correla inversamente con la dimensione energia/estroversione, risulta anch’essa verificata; probabilmen366 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI te la fiducia in sé e la maggiore competenza sociale che caratterizza gli estroversi, li rende capaci di sollecitare e ricevere svariate forme di supporto facilitanti nella presa di decisione (Garmezy, 1983; Milgram e Palti, 1993) mentre coloro che risultano poco energici, poco dinamici e scarsamente socievoli hanno poche persone su cui fare affidamento e ciò potrebbe renderli più cauti nel prendere le decisioni con la conseguenza di rimandarle nel tempo (Milgram e Tenne, 2000). Per ciò che concerne la settima ipotesi, che postula il piano del fallimento cognitivo come il predittore più marcato della procrastinazione decisionale rispetto alle altre variabili incluse nello studio, risultata confermata. Una possibile spiegazione è che la consapevolezza e la percezione delle proprie debolezze cognitive spinga le persone a posticipare, procrastinando, per avere più tempo a disposizione al fine di vagliare tutte le informazioni necessarie, incrementando la probabilità di non dimenticare niente e di non lasciare alcunché al caso. Ulteriori predittori risultano l’autostima e la self-efficacy occupazionale. Per quanto riguarda le altre strategie decisionali ciò che emerge in particolare è la varietà dei predittori ed il fatto che l’uso dell’unico stile adattivo è associato principalmente a caratteristiche di personalità quali precisione e ordine ed a una buona considerazione di sé, caratteristiche di cui, negli stili disadattivi, è frequente rilevare la mancanza. I limiti della presente ricerca attengono sia al carattere autovalutativo dei dati raccolti che alle caratteristiche del campione: i soggetti coinvolti non sono infatti rappresentativi delle diverse professioni né della complessità delle varie aree geografiche. É auspicabile, pertanto, estendere la ricerca ad un campione più esteso e variegato e facilitare l’introduzione di variabili che implichino rilevazioni oggettive. I risultati ottenuti consentono tuttavia di ampliare la riflessione in ambito di stili decisionali in relazione agli aspetti individuali implicati, segnalando l’importanza di continuare la ricerca empirica approfondendo lo studio delle caratteristiche del decisore in aggiunta alle variabili contestuali e sottolineando nuove direttrici di riflessione in ambito di bilancio di competenze. Sia identificare gli aspetti individuali maggiormente implicati in ogni stile decisionale sia la rilevazione di punti di forza e di fragilità individuali da potenziare, possono rivelarsi particolarmente utili non solo per una migliore comprensione dei processi decisionali ma per le implicazioni che questo settore di ricerca può determinare sul versante operativo dell’intervento. 367 Discussione e conclusioni CAPITOLO 6 Riferimenti bibliografici Arroba, T. (1977). Styles of decision making and their use: An empirical study. British Journal of Guidance and Counselling, 5 (2), pp. 149-158. Berzonsky, M.D., Ferrari, J.R. (1996). Identity orientation and decisional strategies. Personality and Individual Differences, 20, pp. 597-606. Beswick, G., Mann, L. (1994). State orientation and procrastination. In J. Kuhl, J. Beckmann (a cura di), Volition and personality: Action versus state orientation. Hogrefe & Huber, Seattle, WA. Blunt, A., Pychyl, T.A. (1998). 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In Atti del Convegno “Orientamento precoce alla scelta universitaria”, CLEUP, Padova. Nota, L., Mann, L., e Soresi, S. (2003). MDMQ-Melbourne Decision Making Questionnaire di Mann, Burnett, Radford e Ford. Adattamento italiano. In S. Soresi, L. Nota (a cura di) CLIPPER-Portfolio per l’orientamento dai 15 ai 19 anni, pp. 35-55, ITER – Institute for Training Education and Research, Firenze. Nota, L., Soresi, S. (2000). Adattamento italiano del Melbourne Decision making Questionnaire di Leon Mann, Giornale Italiano di Psicologia dell’Orientamento, 1/3, pp. 38-52. Prezza, M., Trombaccia, F.R., Armento, L. (1997). La scala dell’autostima di Rosenberg: traduzione e validazione italiana, Bollettino di Psicologia Applicata, 223, pp. 35-44. Schyns, B., Von Collani, G. (2002). A new occupational self-efficacy scale and its relation to personality constructs and organizational variables. European Journal of Work and Organizational Psychology, 2(11), pp. 219-241. Scott, S.G., Bruce, R.A. (1995). 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Procrastination and the five-factor model: a facet level analysis, Personality and Individual Differences, 30, pp. 149-158. 370 BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI 6.9 BILANCIO DI COMPETENZE E APPROCCIO AUTOBIOGRAFICO-NARRATIVO di Carla Ruffini1 Il contributo che vorrei proporre in questa sede è finalizzato a sostenere la pertinenza e la rilevanza dell’approccio o, per meglio dire, degli approcci autobiografico-narrativi e dei modi di operare che a questi approcci si rifanno nelle pratiche di bilancio di competenze, tentando, pur nel breve tempo a disposizione, di esplorare le ragioni della fortuna che tali approcci hanno incontrato e le motivazioni che ne sono all’origine. Sempre più diffusamente, nei dispositivi che hanno come finalità la ricostruzione dell’esperienza e la valorizzazione delle competenze delle persone in funzione di sviluppi progettuali, e in particolare nel bilancio di competenze (dispositivo per eccellenza a ciò finalizzato), l’approccio narrativo e il paradigma autobiografico si sono imposti come “modi” privilegiati per dar vita a pratiche consulenziali e orientative fondate sui presupposti concettuali della consulenza di processo e dell’orientamento/formazione degli adulti, ovvero sul nesso inscindibile tra esperienza individuale, apprendimento, temporalità. Tali presupposti, contrastando la tendenza al riduzionismo insita in una vecchia e progressivamente dismessa concezione della consulenza in ambito orientativo e professionale, ci propongono un’interpretazione dell’azione consulenziale più coerente con gli indirizzi epistemologici che si sono affermati nei periodi più recenti e che fanno perno sui concetti di complessità, sistema, dinamismo del sistema e co-evoluzione delle sue parti. Nel nostro caso, si tratta di adottare una vision che fa riferimento ai complessi e dinamici sistemi di persona, consulente – persona, consulente – persona – setting consulenziale nella loro connotazione di produttori di senso e costruttori di possibilità evolutive. Il bilancio di competenze può essere definito come un dispositivo e una pratica di consulenza processuale che si propone di sostenere la persona in uno sforzo di auto-narrazione e auto-ricostruzione della propria esperienza professionale e di vita, al fine di dar valore e attribuire senso a questa stessa esperienza in termini di risorse e potenzialità maturate e direzioni progettuali percorribili. Per le sue prerogative di mediazione sociale e intensa dinamica relazionale, il bilancio rappresenta infatti una preziosa situazione euristi1 Partner Studio Méta & associati – Bologna. 371 CAPITOLO 6 Bilancio di competenze e approccio autobiograficonarrativo ca di comunicazione e confronto tra differenti portatori di senso (il locutore e l’interlocutore, il narratore e l’ascoltatore, il consultante e il consulente-metodologo). Ma che cosa, in particolare, nel bilancio di competenze aiuta le persone a produrre “narrativamente” questa attribuzione e riattribuzione di senso all’esperienza attraversata e ricostruita con modalità autoriflessive? L’opzione concettuale che sostiene l’approccio in questione, consiste principalmente nell’esplicitare il sapere implicito che la narrazione contiene in sé, nel ricercare uno spazio di conoscenza e apprendimento che richiede un co-investimento degli attori (persona e consulente) implicati nel doppio movimento della narrazione e della risignificazione della narrazione. Alla luce di tale opzione concettuale, che ha importanti risvolti metodologici, ADOTTARE L’APPROCCIO AUTOBIOGRAFICO E NARRATIVO NEL BILANCIO SIGNIFICA essenzialmente: • favorire un’interazione ricorsiva tra i momenti fattuali (esperienze formative, lavorative, personali) e la loro integrazione riflessiva in un percorso che torna ciclicamente su se stesso per meglio proiettarsi in uno scenario di sviluppo. La ricostruzione non procede in modo lineare, ma può tornare su se stessa riprendendo temi e oggetti già esplorati e la variabile tempo diventa elemento fondamentale del dispositivo di consulenza. Il tempo chiamato in causa dalla narrazione non è il tempo astratto dell’orologio, ma un “tempo umano” (come lo definisce P. Ricoeur nel volume Sé come un altro2): la narrazione non è subordinata al tempo, ma dà senso al tempo e ha come proprio prodotto specifico il tempo sensato, cui il tempo rappresentato, cioè ordinato secondo un prima e un poi, è funzionale. In questo senso il bilancio costituisce il paradigma di un modello di temporalità che inizia a trovare spazio in molte pratiche di orientamento e formazione, in particolare nella formazione degli adulti. Si tratta di un modello i cui tratti costitutivi sono la circolarità e l’integrazione: non c’è apprendimento sulla propria esperienza senza progettualità e non c’è progettualità senza consapevolezza del proprio essere presente e del proprio divenire storico. Si tratta di un apprendimento “trasformativo”, che sostiene le persone nel loro sforzo di cambiamento e nel loro percorso di maturazione e sviluppo professionale e personale. Sempre su questo piano, il progressivo affermarsi del concetto di formazione lungo l’arco della vita e la rottura con una concezione pedago2 372 Ricoeur, P. (1993). Sé come un altro. Jaca Book, Milano (ed. or. 1990). BILANCIO & COMPETENZE VERSO UN MODELLO PER I SERVIZI TERRITORIALI gica (dunque soltanto iniziale, preliminare) di formazione contribuisce a fare del bilancio di competenze un’efficace metafora (ma anche e soprattutto un paradigma metodologico) del rapporto che deve instaurarsi tra esperienza individuale, apprendimento e temporalità: tempo della vita, tempo del lavoro e tempo dell’apprendimento. Ancora, ADOTTARE L’APPROCCIO AUTOBIOGRAFICO E NARRATIVO NEL BILANCIO SIGNIFICA: • definire nella relazione e attraverso la narrazione i temi di indagine percepiti/valutati come rilevanti per la persona (contesti attraversati, eventi ed esperienze vissute), in funzione del costituirsi in progress di un’identità professionale e progettuale che non pretende di essere già compiuta e definita, quindi passibile di essere analizzata con modalità statiche e passive. Tali temi, i leit motiv della vicenda professionale e umana della persona, diventano concretamente visibili nel corso del processo consulenziale, in funzione dei nuovi apprendimenti che la persona stessa realizza tramite il percorso e che valuta come importanti per sé. Emerge dunque tutta l’importanza e la significatività della dimensione biografico-narrativa quale nuova figura dell’identità delle persone e come luogo del prodursi di apprendimenti non solo su di sé ma anche sugli oggetti di interesse specifico. Il che si sostanzia e prende forma nel processo di costruzione insieme alla persona (co-costruzione) di un percorso di ricerca e analisi che individua nel progressivo istituirsi e consolidarsi della relazione consulenziale il luogo di emersione e chiarificazione delle problematiche e degli oggetti rilevanti e significativi ai fini del proprio progetto di sviluppo. Infine, ADOTTARE L’APPROCCIO AUTOBIOGRAFICO E NARRATIVO NEL BILANCIO SIGNIFICA: • privilegiare una ricostruzione di tipo evolutivo, la cui finalità non è valutativa, bensì essenzialmente formativa (nel senso che produce stimoli per l’originarsi e il consolidarsi di forme sempre più mature di consapevolezza su di sé, sulle proprie risorse e sulla propria capacità progettuale), e la cui natura non è statica, ma al contrario dinamica e volta a favorire un’evoluzione nella persona e nella sua competenza. La centralità attribuita all’autonomia nei processi valutativi fa dell’autoricostruzione e dell’autovalutazione i motori fondamentali della conquista di livelli di decisionalità e progettualità sempre più importanti: è imparando a valutare se stessi che gli individui si emancipano e sono in grado di farsi carico dell’onere e della possibilità di intervenire sui loro destini personali. Anche in questo senso, il ricorso ad un modello di competenza centrato su modalità autovalutative mostra tutta la sua essen373 Bilancio di competenze e approccio autobiograficonarrativo CAPITOLO 6 Bilancio di competenze e approccio autobiograficonarrativo ziale importanza teorica, pratica e metodologica, evidenziando con forza la valenza formativa del percorso consulenziale, che già durante il suo “farsi” è occasione per la persona di incremento di consapevolezza sulle competenze e risorse acquisite e, dunque, di sviluppo delle competenze e risorse stesse (intese soprattutto come metacompetenze). È dunque in primo luogo la persona, nella sua interezza e unicità, che viene assunta come riferimento dell’esperienza da rivisitare e analizzare attraverso la narrazione, costituita dalla storia professionale e personale, dai nessi tra gli eventi e le esperienze che l’hanno caratterizzata, dai risultati prodotti da tali eventi ed esperienze in termini di competenze acquisite e risorse sviluppate. La ricostruzione dell’esperienza socio-professionale permette cioè di individuare nuclei tematici significativi per il presente e per il futuro, con i quali avviare il processo di identificazione del proprio progetto di sviluppo e la definizione di strategie d’azione coerenti. I momenti di autoriflessione diventano essenziali tappe di sviluppo e apprendimento, in cui la scansione sequenziale apprendimento – lavoro – tempo di vita (ma più in generale, ogni scansione sequenziale in quanto tale) è superata verso una concezione integrata nella quale il fine (il progetto) interagisce costantemente con i mezzi (le azioni formative, l’orientamento, le esperienze professionali ed extraprofessionali), secondo una logica esemplificata dalla relazione competenze-progetto così come essa ha luogo nel bilancio di competenze. In questa prospettiva, la narrazione come dispositivo meta-riflessivo può infatti aiutare a mettere in luce sia i saperi e le competenze incorporate nella pratica e implicite nell’azione, sia i processi “non lineari” che non è possibile far emergere attraverso modalità ricostruttive razionali e consequenziali e che non sono riconducibili all’applicazione di conoscenze e teorie, ma si manifestano attraverso un giudizio, una riflessione su un vissuto, un’azione, un comportamento. La conoscenza e l’apprendimento, che sono anche condizione e presupposto fondamentale della progettualità, prendono forma attraverso il continuo prodursi di un processo ricorsivo nel quale l’esperienza di sé e del mondo si riordina e si ristruttura, rendendo possibile l’emergere di nuove dimensioni interpretative e di chiavi di lettura innovative dell’esperienza stessa. 374 CAPITOLO 7 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI SESSIONE PARALLELA Coordinata da Giancarlo Tanucci 7.1 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI: SPUNTI DI RIFLESSIONE di Giancarlo Tanucci1 Premessa Orientare l’orientamento è, nella prospettiva dell’assetto delle professionalità dedicate, una scelta coraggiosa e “provocatoria” in questo scenario che vede, da un lato, il sistema occupazionale e del mercato del lavoro in una situazione di estrema difficoltà e, dall’altro, il “pianeta” dei professionisti coinvolti in una condizione di estrema incertezza e disorientamento. Se orientare vuol dire dare una direttiva, un allineamento, ecc. la proposta ISFOL, quanto meno, ha il pregio ed il valore di mettere al centro gli attori per responsabilizzarli rispetto alla complessità del nuovo posizionamento di una pratica consulenziale consolidata ma sistematicamente sollecitata a far fronte a nuove e più urgenti esigenze. Una sessione dedicata alla “Professione orientamento” rappresenta e segnala un terreno di sfida rilevante per consentire a quanti interessati di dire la loro su una serie di problematiche di estrema attualità ed importanza: profili professionali e competenze, ruoli e inquadramenti, reclutamento e percorsi di formazione, certificazioni e campi di operatività, istituzioni e sistemi d’utenza, ecc.. Spazio illimitato per tentare, in definitiva, di trovare e disegnare un’identità, allo stato, sfumata, incerta, tra1 Professore ordinario di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni – Facoltà di Scienze della formazione – Università di Bari. 375 CAPITOLO 7 Professione orientamento. Ruoli, funzioni e organizzazioni: spunti di riflessione vagliata e dilaniata tra appartenenze e rifondazioni. Arrivando alle conclusioni che hanno coronato le sessioni di discussione e di confronto, si potrebbe facilmente sostenere che tante potevano essere le identità dei partecipanti coinvolti e rappresentate, altrettanti i profili e le istanze di riconoscimento avanzate in un turbinio di distinguo e di posizioni frutto di approcci, storie personali e di contesto innumerevoli e plurimi. Ma, tant’è, è questa la storia di tutti i Convegni che si rispettano e che hanno lo scopo di “fare il punto” e che finiscono per dare i punti e/o “mettere i punti” ad una situazione incerta e articolata come quella di “una casa della professione”, di un profilo professionale al centro di dinamiche e tensioni indirette quali quelle del mercato del lavoro e della difficoltà di occupazione. Per dare conto dell’evento, i contributi, in estrema ed imperfetta sintesi – ci sono gli atti per documentare delle produzioni – danno testimonianza di alcuni centri d’interesse e d’attenzione che possono essere considerati tipici ed esemplari del dibattito in corso. La necessità di delineare il profilo professionale degli orientatori e di definire i criteri di valutazione e certificazione delle competenze rappresenta una delle istanze/modalità di declinazione della riflessione sulla professione orientamento così come attesa dagli operatori e dagli animatori di strategie e programmi d’intervento. L’elaborazione di un pacchetto/proposta che sia in grado di superare gli angusti spazi di un percorso formale conduce alla individuazione di una figura unica ed unitaria di operatore d’orientamento declinata all’interno di una pluralità di contesti d’operatività. Si tratta, è ben evidente, di un profilo di alto livello che non è in grado di riconoscere la pluralità delle funzioni nel campo dell’orientamento e che, solo in parte, consente di prefigurare percorsi alternativi – formali ed esperienziali – di professionalizzazione congruenti. Contributi Il versante dell’attualità dell’orientamento, in un’ottica long life, consente di pensare all’azione di orientamento come la realizzazione di una comunità di pratiche professionali capace di rispondere ad un sistema più complesso di domande sociali e di concorrere alla costruzione di significati salienti per l’individuo, relativamente al suo mondo ed alla sua realtà socio-professionale. Il segno tangibile di una trasformazione e di una radicalizzazione di un approccio di tipo “pedagogico-maturativo” che si dipana lungo tutto l’arco dell’esperienza dell’individuo in un contesto del mercato del lavoro e dello sviluppo delle professioni estremamente articolato e complesso. La specifica connotazione del campo d‘azione 376 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI dell’orientamento consente di porre l’accento sulle strategie di approccio multi-disciplinare e multi-professionale dei soggetti coinvolti. I profili professionali e la configurazione delle funzioni associate rappresentano il focus di contributi di ricognizione ed indagine che evidenziano la complessità del sistema delle professioni, delle competenze, degli ambiti di intervento, delle tipologie d’utenza, ecc.. Si tratta di una situazione non specifica del nostro contesto, ma espressione di una difficoltà rilevante ed evidente ad altri livelli e che denota, come fattore di origine e di determinazione della situazione, la pluralità degli assetti e dei modelli di sviluppo organizzativo all’interno dei quali gli operatori di orientamento si collocano, con profili professionali assolutamente sovrapposti e non specificabili in termini di identità professionale (informatore, counselor, tutor “factotum”). Individuare e delineare le ragioni “attuali e contingenti” dell’azione di orientamento è una delle preoccupazioni che caratterizza alcuni contributi che pongono in evidenza la necessità di prefigurare modelli strategie d’intervento per target, contesti e situazioni molto complesse e differenziate, altamente caratterizzate da elevati livelli di scolarità, pluralità delle valenze culturali, complessità e globalizzazione del mercato del lavoro e delle professioni, ecc.. In questo nuovo contesto si impone, dunque, una ridefinizione dei profili professionali degli operatori – non solo “competenze psicologiche”, variamente intese – ma specificità e distintività professionali in tema di processi economici e del lavoro, di strategie di formazione continua, di legislazione del lavoro e di progettazione e gestione degli interventi sociali. Il richiamo all’assetto normativo è una delle costanti dei contributi che hanno focalizzato l’interesse sulle prospettive di definizione e di caratterizzazione della professionalità dell’orientatore nelle sue diverse articolazioni. Il punto emerso riguarda la dialettica tra identità professionale elaborata e riconoscimento istituzionale e di struttura rispetto ai sistemi organizzativi e d’utenza. Le “buone pratiche”, frutto di iniziative locali e di sistema, evidenziano la necessità di delineare modelli d’intervento che siano in grado di integrare la pluralità di attori, istituzioni ed organismi che operano, spesso, secondo modalità settoriali, se non conflittuali, rispetto alle esigenze dell’utenza. Le ricognizioni effettuate evidenziano, infatti, elevate opportunità d’integrazione organizzativa e professionale, con riferimento alle proposte di profilo individuato dall’Isfol, a fronte di una avvertita carenza di competenze specifiche e di assetti organizzativi in grado di erogare servizi e consulenze distintive e specifiche. Il ruolo dei contesti e dei modelli di comunicazione e di scambio delle informazioni rilevanti ai fini delle decisioni orientative è il tema di con377 Contributi CAPITOLO 7 Contributi tributi che evidenziano l’interdipendenza dei fattori che concorrono a determinare le scelte scolastico-professionali in fase adolescenziale. Si tratta di contributi che evidenziano la complessità del profilo di competenze dell’orientatore rispetto alla pluralità dei sistemi di informazione, influenza sociale e modellizzazione delle scelte e delle condotte formativo-professionali. Un richiamo centrale e sistematico nelle diverse analisi ed elaborazioni proposte all’attenzione dell’uditorio, ha interessato la tematica delle reti e delle metodologie di lavoro in rete considerate come strumento per il miglioramento della qualità del servizio (buona pratica o semplice dichiarazione di intenti?). In questa logica, il focus degli interventi ha riguardato l’insieme degli aspetti organizzativi chiave necessari per raggiungere risultati di efficacia: disegno e progettazione della rete, ruoli dei partner, accordi formali, strumenti di lavoro, condivisione delle risorse informative e documentarie, strutture di coordinamento della rete. Dall’insieme delle rilevazioni ed esperienze condotte, emerge la necessità di valorizzare tali approcci – nei termini di buone pratiche – funzionali alla realizzazione di interventi efficaci nel campo dell’orientamento e della consulenza di carriera. Non si esaurisce in questa sintesi l’articolazione e la ricchezza dei contributi e del dibattito che gli stessi hanno generato e concorso ad alimentare; la problematica ha un suo specifico spessore e rappresenta uno dei fattori di maggiore interesse ed attenzione delle parti coinvolte e degli stakeholder interessati. Si tratta, dunque, di raccogliere le suggestioni e le indicazioni che possono contribuire a delineare dei percorsi, a individuare dei nodi cruciali per affrontare la questione dell’assetto istituzionale e “di competenze” dell’orientatore nell’attuale scenario. Professionalità e competenze Lo stato dell’arte della riflessione e del dibattito evidenzia, dunque, un generale disorientamento ed una tendenza alla richiesta/pretesa di riconoscimenti, di status e di profili che in qualche misura non consentono di delineare il fuoco centrale della questione. Appare, allora, opportuno richiamare l’attenzione su alcuni aspetti che rappresentano il punto di avvio per la messa in campo di strategie di costruzione ed affermazione dell’identità professionale. Gli snodi critici, alla luce delle considerazione svolte, sembrano rimandare: • all’assenza di una identità professionale. I contributi proposti ed il dibattito hanno dato la sensazione di un universo dialogico molto frastagliato in cui le diverse parti rimandano a registri comunicativi e ambiti tematici molto distanti e differenziati. Ricercare elemen378 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI ti relativi all’esistenza di una “comunità professionale”, al di là del riconoscimento in una comune etichetta, appare molto difficile in ragione delle diversità di appartenenze, di mission e vocazioni che i diversi attori si riconoscono; • alla “multiforme” articolazione delle connotazioni della funzione orientamento. Al di là delle classiche aggettivazioni di “scolastico e professionale”, l’orientamento assume vesti e declinazioni che appartengono e/o rimandano ad altre aree disciplinari ed operative che non rendono giustizia della specificità del campo di riflessione e di operatività. In particolare, questa tendenza a coniugare l’orientamento con altre funzioni ed altre aree d’interesse determina e produce una sorta di “riduzionismo”, di volta in volta, psicologico, pedagogico-educativo, terapeutico-trattamentale, normativo-contrattuale, assistenziale, ecc., riducendo ed eliminando la specificità progettuale e di investimento in termini di potenziale; • alla pluralità e alla diversificazione degli approcci teorico-metodologici espressi. Sia pure nell’apprezzamento e nella valorizzazione delle differenze di ispirazione e di operatività, quello che emerge è la profonda e radicale “funzione d’uso” delle diversità espresse nella realizzazione di interventi e di azioni consulenziali; • alla diversa collocazione organizzativa ed istituzionale. Sia pur considerando la “pervasività” della funzione orientativa rispetto alla complessità dei processi di formazione, di sviluppo e pianificazione, di allocazione delle risorse professionali, ecc., la dispersione e la disseminazione delle figure professionali d’orientamento rende difficile, se non impossibile, delineare i contorni di una comunità professionale riconoscibile, identificabile e saliente; • alla peculiarità delle scelte di “politica sociale e del lavoro”. È storicamente connotato l’interesse delle istituzioni del welfare, in particolare nel nostro paese, alle tematiche dell’orientamento solo in termini di sostegno, allocazione “dell’uomo giusto al posto giusto”, di azione per l’occupazione rivolta al target a basso livello di qualificazione e in difficoltà nel mercato del lavoro. Del tutto neglette e disattese sono le prospettive dell’orientamento intese come strategie proattive di “career counseling” rivolte a tutti i target in posizione occupazionali diverse ed in contesti di mercato complessi; • alla diversificazione dei percorsi di qualificazione e di accreditamento professionale. Si tratta di una situazione al limite che vede una pluralità di operatori diversamente qualificati impegnati in processi di erogazione e di consulenza assolutamente differenziati che non consentono di evidenziare e di riconoscere le specificità del profilo di competenze e il ruolo che l’orientatore può e deve avere per 379 Professionalità e competenze CAPITOLO 7 Professionalità e competenze i diversi target e categorie d’utenza. La richiesta di “tavoli istituzionali” e d’interventi per il riconoscimento della “Professione orientamento”, così come legittimamente manifestata a partire, anche, dalle sollecitazioni attivate dal Convegno Isfol, interpreta un’istanza che per certi versi rischia di eludere e marginalizzare il nodo centrale della questione, facendo leva su istanza di difensivismo corporativo in un momento di forte richiesta di liberalizzazione e di flessibilità. Ciò che non sfugge alla riflessione e ai tentativi di progettazione, è il fatto che la specificità e l’identità professionale della categoria è assolutamente debole, frastagliata e, per alcuni aspetti, con elementi di incompatibilità. Gli sforzi e le iniziative lodevoli di aggregazione, di elaborazione di piattaforme condivise, di quadri di regolamentazione, ecc. non possono nascondere il fatto che le componenti pedagogico-educative, quelle consulenziali-terapeutiche, quelle normativo-contrattuali, quelle supportive-assistenziali, quelle proattive-progettuali, ecc. hanno pochi ed angusti spazi di integrazione e di compatibilità all’interno di un unico corpo/profilo di competenze, di specificità di funzioni e di ruoli. Si tratta, in altri termini, di creare le condizioni e le situazioni per individuare le specificità e le peculiarità professionali, a partire dall’individuazione di modelli ed approcci teorico-operativi significativi, per definire e promuovere, quindi, luoghi, condizioni e contesti d’integrazione tra identicità professionali caratterizzate e riconoscibili. Diversamente, ed è questo lo stato attuale della professione, il rischio di una paralisi nella progettualità e nella definizione del quadro di regole e di standard di qualificazione e di riconoscimento scaturisce proprio dall’incapacità degli stessi interessati a individuare ed elaborare una piattaforma convergente e consensuale di richieste e di caratterizzazioni rilevanti per l’utenza e significative per il mondo dell’orientamento e della consulenza allo sviluppo professionale. 380 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI 7.2 PROCESSI E PROCEDURE DI INTERVENTO PROFESSIONALE E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE DEGLI “ORIENTATORI” di Giorgio Sangiorgi1 I tempi sono maturi, in rapporto alla crescente diffusione dell’orientamento sia nell’insegnamento che nella pratica professionale, perchè, a tutela dei Clienti e degli stessi operatori, vengano affrontate e risolte alcune questioni da tempo oggetto di attenzione e di confronto. Si tratta innanzitutto del profilo professionale degli orientatori e delle correlate competenze; in secondo luogo, dei criteri di valutazione e di certificazione delle competenze possedute dagli operatori che lavorano sul territorio: questioni non nuove, sulle quali tuttavia la SIO – Società Italiana di Orientamento2 – intende proporsi con un ruolo centrale. Coerentemente infatti con la tendenza a riconoscere quale elemento fondante le professioni non più (o non solo) i titoli di studio, bensì le competenze necessarie per svolgerle, la SIO intende contribuire in maniera significativa alla definizione degli standard professionali degli orientatori ed alla individuazione di un dispositivo che ne consenta l’accertamento ed il riconoscimento. Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore Il processo di orientamento si caratterizza come una relazione tra career counsellor e Cliente, con la finalità di supportare lo stesso nella costruzione di un “progetto di vita”. Per questo obiettivo, il counsellor deve innanzitutto favorire la scoperta o la riscoperta dei desideri e delle motivazioni individuali; deve poi facilitare il soggetto nell’esplorazione delle proprie risorse e potenzialità, rispettando il livello di approfondimento cui intende arrivare in termini di conoscenza di sé; il passaggio successivo consiste nel portare il Cliente a valutare il proprio sistema di riferimento ed a fare un esame di realtà in vista di una decisione. In que1 Professore Ordinario di Psicologia del Lavoro – Facoltà di Scienze della Formazione – Università di Cagliari. 2 L’Art. 4 dello Statuto della S.I.O. recita: “Possono far parte dell’associazione quali: – soci aderenti: tutte le persone interessate allo sviluppo delle tematiche inerenti alla realizzazione dei fini di cui all’art. 2 del presente statuto; – soci ordinari: i soci ordinari si distinguono in: a) persone in possesso di un titolo specifico post laurea in materia di orientamento scolastico professionale rilasciato da una Università Italiana o in possesso di titolo equipollente; b) docenti universitari che abbiano svolto la loro attività istituzionale nel settore dell’orientamento scolastico professionale. - soci sostenitori: persone fisiche e giuridiche che intendano sostenere l’attività dell’associazione con contributi economici e/o culturali e/o scientifici; – soci onorari: eminenti personalità italiane o estere, su chiamata del Consiglio Direttivo.” 381 CAPITOLO 7 Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore sto percorso è centrale la figura dell’operatore e la sua professionalità, da ricondursi all’interno delle professioni d’aiuto: deve dunque ritenersi acquisito che il compito di orientare compete ad uno psicologo specializzato. D’altra parte, la disponibilità di orientatori qualificati consente il superamento delle inutili distinzioni tra le diverse attività orientative, che danno luogo ad apparenti figure professionali diversificate (documentaristi, progettisti, informatori, formatori, consulenti, organizzatori, esperti in bilancio, ecc.): infatti, sebbene finalità orientative possano essere rintracciate anche in altri ruoli professionali, così come le competenze psicosociali siano indispensabili a numerose figure professionali, occorre sottolineare come il compito di svolgere l’insieme del percorso di orientamento richiede la presenza dello psicologo. Nel nostro Paese, in assenza di un quadro legislativo e di un albo professionale all’interno del quale si riconoscano i professionisti, la definizione della figura professionale dell’orientatore è ancora aperta: sono i diversi approcci metodologici e teorici che hanno, nel tempo, individuato tipologia e capacità degli operatori impegnati nei vari Servizi, talvolta articolando e suddividendo l’utenza potenziale. In termini generali, le funzioni che l’orientatore svolge possono essere distinte in: • funzioni dirette, che lo mettono a contatto con i fruitori del Servizio, come ad esempio le attività di “sportello”, di counselling o di informazione. In questi casi, svolge un’attività di sostegno al processo di progettazione individuale e di trasferimento di informazioni sulle opportunità formative o lavorative e sulle fonti informative consultabili; • funzioni indirette e cioè di sensibilizzazione e promozione delle attività di orientamento verso il mondo del lavoro e il sistema formativo, di raccolta di informazioni quantitative e qualitative sul sistema formativo e produttivo, il mercato del lavoro, le professioni e loro organizzazione, di preparazione, produzione e diffusione di materiale informativo, di sviluppo del rapporto tra scuola e mondo del lavoro, di organizzazione e gestione di attività di sportello per il pubblico con compiti di informazione e consulenza individuale. In una prospettiva professionale, l’orientamento può essere definito come una relazione d’aiuto focalizzata sulle risorse interne del Cliente con l’obiettivo di supportarlo nelle decisioni che dovrà assumere nei confronti delle fasi o dei momenti critici del proprio sviluppo personale o professionale (external problem solving): si riferisce ad una vasta gamma di attività che mette in grado il Cliente, indipendentemente dall’età ed in ogni momento della vita, di identificare le proprie capacità, competenze ed interessi; assumere decisioni corrette in relazione alla propria formazione, al proprio sviluppo ed alla propria occupazione; gestire “li382 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI fe long” le proprie risorse nelle situazioni di apprendimento, di lavoro e negli altri contesti nei quali queste capacità e competenze sono apprese o utilizzate3. Il Professionista dell’orientamento (orientatore, career counsellor) è un consulente che, nel quadro della relazione d’aiuto ed usando metodologie e strumenti specifici, attiva col Cliente un processo di rielaborazione della sua storia formativa/lavorativa ad fine di sostenerlo nella definizione di un progetto di sviluppo coerente con l’identità, i valori, le motivazioni, gli interessi, le capacità e le competenze del soggetto e realistico in termini di opportunità. Da queste funzioni derivano le capacità e le competenze professionali richieste agli orientatori, partendo dal fatto che l’analisi del ruolo consente di superare la distinzione tra le diverse figure professionali che pur sembrano avere qualche riconoscimento sul territorio, riconducendo ad un’unica figura professionale il professionista dell’orientamento. A favore dell’ipotesi di un unico profilo di alto livello stanno infatti ragioni assolutamente consistenti: • innanzitutto, occorre ribadire che non si configurano come orientativi4 alcune attività o servi- Pare da sottolineare la necessità che il counsellor zi di informazione, di tuto- non intrattenga con il Cliente altre relazioni signise non quelle regolate dalla relazione d’aiuraggio, di accompagnamen- ficative to, dal setting e dal “contratto orientativo”. to che vengono talvolta of- Il suo è un ruolo (professionale), non un insieme ferti in risposta alla doman- di attività pur supportate da appropriate competenze: in altre parole, il “miglior orientatore del monda del Cliente; do” potrebbe porsi in una relazione d’aiuto con un • fondamentale poi il fatto amico, un parente, un figlio, un collega, un collaboratore, un dipendente, una persona affidata alche la domanda del Cliente la sua custodia o sulla quale eserciti un ruolo è frutto della “coscienza d’autorità o di controllo, un allievo,...? No. possibile”, mentre il biso3 Tre elementi paiono da sottolineare: la relazione d’aiuto (l’orientamento si colloca all’interno delle helping profession per le quali si rende indispensabile il possesso di conoscenze e competenze psicologiche); la prospettiva “life long” (l’orientamento respinge la settorializzazione per fasce di età o per tipologie di Clienti, pur non escludendo specificità o avvertenze metodologiche, per considerare in maniera omogenea, la problematica del soggetto nel suo insieme e nel processo evolutivo personale, sociale, lavorativo); l’approccio “client centered” (l’ampiezza delle modalità che l’intervento può assumere esprime la preoccupazione dei counsellor di calibrare l’intervento sugli effettivi bisogni dei Clienti). Da ultimo, l’orientamento non può essere confuso con manifestazioni di solidarietà, con il buon senso, con una prospettiva pedagogica, con l’impegno degli operatori sociali e di comunità, con la disponibilità degli addetti ai centri di ascolto, di accoglienza, di informazione, di placement. Deve invece essere ricondotto ad un intervento specifico, sviluppato da professionisti qualificati che obbediscono a precisi canoni deontologici e che adottano criteri, metodologie, strumenti scientificamente corretti e che non sovrappongono la relazione orientativa con altre relazioni. 4 Numerosi attori sociali – famiglia, scuola, gruppo dei pari, colleghi, funzionari P.A. – svolgono attività significative per la crescita e lo sviluppo del soggetto, ma non si tratta di attività di orientamento: Attività che precedono l’orientamento: Job scouting e job accounting; Preparazione e sensibilizzazione all’orientamento; Informazione orientativa; Rinforzo delle capacità sociali. Attività 383 Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore CAPITOLO 7 Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore gno retrostante è o può essere tutt’altro mentre il compito dell’orientatore è quello di comprendere e dare risposta al bisogno e non alla domanda, pur partendo dalla stessa. Ciò richiede competenze interpretative proprie di uno psicologo in possesso di una specifica professionalità. La risposta al bisogno richiede lo sviluppo di un percorso che può includere, senza che sia possibile porre in anticipo limitazioni, la necessità di ricorrere a tutte le competenze del counsellor; • inoltre, prevedere un’unica figura professionale “piena” appare senz’altro più convincente sotto il profilo deontologico, più corretto sotto il profilo scientifico e metodologico, più affidabile in termini di tutela del Cliente e, quando è il caso, dello stesso Committente. Nel definire il profilo professionale del Career counsellor, conviene esaminare le conoscenze, le capacità e le competenze richieste dal profilo e dai compiti. Per ciò che riguarda le conoscenze, è necessaria la Laurea in Psicologia di II° Livello seguita da un Master in orientamento. La professione infatti richiede la disponibilità di un corpus di conoscenze di base e caratterizzanti riconducibile ad un corso di studi in psicologia, nel cui ambito queste conoscenze sono insegnate e verificate. L’Esame di Stato, preceduto da consistenti tirocini, ulteriormente ne certifica il possesso consentendo l’iscrizione all’Ordine: non si tratta di una professione per la quale occorre una preparazione accademica tout court, bensì una preparazione specifica. Pur con le necessarie cautele, tuttavia, i compiti attribuibili all’orientatore consentono l’accesso ad operatori in possesso di altre Lauree di secondo livello, purchè integrate dal Master di II° livello che in questa prospettiva diviene il “Titolo” di riferimento. Il tema delle capacità è più complesso giacché, così come avviene per tutte le professioni, occorre anche per questa procedere alla ricognizione di specifiche skill che in sostanza si caratterizzano come job requirement. Tenendo conto di numerose esperienze professionali e del parere degli esperti è possibile individuare alcune tra le più significative di queste capacità – Assertività, capacità di influenzamento; Autocontrollo; Autoefficacia; Autonomia; Capacità Comunicativa; Capacità di analisi; Capacità di comprensione psicologica; Capacità di lavorare in gruppo; Propensione al cambiamento; Iniziativa; Networking; Problem solving; Resistenza allo stress; Saper imparare, formabilità; Tenacia – che, per che accompagnano l’orientamento: Alternanza scuola lavoro; Tutorato in itinere e Tutorato tirocini. Attività che seguono l’orientamento: Job club; Supporti per la transizione; Accompagnamento al lavoro; Tutorato stage; Sviluppo dell’imprenditorialità; Coaching; Mentoring; Placement. Naturalmente anche queste attività, che possono essere organizzate in Servizi, con proprie regole operative e standard di qualità, richiedono specifiche professionalità, competenze multidisciplinari, interventi formativi appropriati, relazioni con il territorio, le istituzioni, i decisori politici. Inoltre non sembra possibile, se non enucleando compiti e responsabilità estranei o marginali rispetto all’orientamento, definire il profilo di un operatore di basso profilo. 384 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI la loro generalità e trasversalità, dovrebbero essere possedute da parte di tutti coloro che si occupano di orientamento. Per quanto riguarda le competenze, ci riferiamo ad un modello5 che indica alcune unità di competenza, sintesi di più articolati elementi, che considera il processo di orientamento – talvolta articolato in una procedura – quale una serie di azioni, non poste in rigide sequenze, che, partendo dalla domanda iniziale, accompagnano il Cliente a prendere decisioni appropriate davanti alle cerniere o alle fasi di transizione che incontra. 1 Career counsellor Accogliere il Cliente, mettendolo in grado di identificare le potenzialità del servizio Accoglienza Operare all'interno di una rete Mettere in grado il Cliente di accedere alle informazioni e di utilizzarle Informazioni Raccogliere e organizzare le informazioni Gestire supporti informatizzati per l'orientamento Bilancio Svolgere attività di Bilancio personale Assessment Svolgere attività di assessment psicosociale Sviluppare percorsi di career guidance per utenti svantaggiati o per fasce deboli Assessment Analizzare e valutare le competenze professionali del Cliente competenze Assistere i Clienti nel decidere ed attuare scelte che ne soddisfano le esigenze (counselling) Counselling Sviluppare percorsi di career guidance per utenti svantaggiati o per fasce deboli Organizzare stage e tirocini Supportare i Clienti nel pianificare ed attuare il proprio progetto personale Supporto Creare e gestire opportunità di apprendimento a livello individuale e di gruppo Offrire affiancamento Supportare gli Studenti nelle scelte Aiutare gli Studenti nella transizione Il quadro riportato costituisce un riferimento per la definizione degli standard della figura professionale dell’orientatore. Ovviamente, tenendo conto del fatto che le competenze sono descritte in relazione al loro contenuto e finalità, ma non limitatamente ad uno specifico ruolo professionale, è probabile che possano rivelarsi comuni ad altre attività, 5 Per una descrizione delle unità e degli elementi di competenza si veda: Sangiorgi G. (2000). Orientare. ISEDI, Torino; cfr. inoltre www.career-point.com accedendo al Programma di Formazione per Career Counsellor. 385 Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore CAPITOLO 7 Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore con particolare riferimento a quelle svolte in contesti simili, sia in relazione allo scopo che al setting. Per quanto riguarda la certificazione delle competenze, occorre ricordare i Master Universitari che svolgono una essenziale ed insostituibile azione nella formazione professionale degli orientatori. Sono inoltre sede privilegiata per la realizzazione di programmi di formazione continua e di aggiornamento professionale che, organizzate col sistema dei crediti, possono consentire la definizione di un curriculum idoneo all’acquisizione delle competenze ed al conseguimento della qualifica professionale. Considerando che i Master rilasciano a valle dei Corsi i titoli professionali, è possibile che certifichino anche le competenze professionali acquisite dai partecipanti. Perché si realizzi questa prospettiva, è tuttavia necessario prevedere specifiche prove di accertamento che costituiscono il presupposto per la certificazione della competenza. In sostanza, una procedura di assessment che contenga un “test”, o altre prove situazionali di verifica, focalizzato sulle competenze necessarie a svolgere le diverse attività dei percorsi di orientamento. Il test dovrà consentire di apprezzare le competenze singolarmente o, al limite, l’insieme di quelle che consentono di svolgere specifiche fasi della procedura: ad esempio, dovrà risultare possibile valutare il possesso delle competenze necessarie a svolgere le attività di accoglienza o di bilancio, senza per questo ritenere implicite le competenze riferibile ad altre attività. La verifica positiva del possesso delle competenze relative ad una attività costituisce in definitiva una certificazione, operata dai Master, di idoneità allo svolgimento delle stesse. A partire dunque dall’A.A. 06/07, i Master che aderiscono a questa prospettiva rilasceranno una certificazione di competenza riferendosi a specifiche Unità a loro volta riferite alle attività realizzate nei percorsi di orientamento. Ciò non esclude, beninteso, che gli organismi che gestiscono iniziative formative di particolare consistenza, possano richiedere l’accreditamento, ovviamente garantendo che i rispettivi programmi didattici consentano l’acquisizione delle competenze sopra indicate e la loro verifica attraverso prove uguali o equivalenti: in questo caso saranno autorizzati al rilascio delle certificazioni. Perché il dispositivo possa andare a regime, i Master, sotto gli auspici della SIO, si costituiscono in un Comitato che stabilisce specifici criteri di accreditamento dei Corsi. 386 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI Il profilo professionale e le competenze dell’orientatore PROFESSIONISTA DELL'ORIENTAMENTO criteri di accreditamento dei Master di II° livello requisiti di accesso Corso di Studi Universitari (durata 5 anni) regolazione dell’accesso attraverso un sistema di crediti e debiti Provenienti dalla Classe 58s (Psicologia): sino a 10 CFU di credito Provenienti da altre Lauree quinquennali: sino a 5CFU di credito e 30 CFU di debito CFU di didattica frontale 60 CFU M-PSI/03 M-PSI/04 M-PSI/05 M-PSI/06 34 CFU omogenei tra tutti i Master M-PSI/07 Di cui: 14 CFU scelti dalla Sede attività di tirocinio 10 CFU procedure di accertamento Periodiche Certificazione di competenza Tutte le competenze prova finale 2 CFU 4 8 8 10 4 Si noterà che l’accesso è innanzitutto previsto per coloro che provengono dalla Classe 58s e cioè per i Laureati in Psicologia, con ciò intendendo ribadire che la professione di orientatore rientra appieno tra quelle psicologiche. Tuttavia, anche tenendo conto della riforma degli Ordinamenti Universitari prevista dal DM 270/04, che, come noto, consente l’accesso alla Laurea Magistrale indipendentemente dalla Classe di provenienza, pare opportuno consentire l’iscrizione al Master di II° Livello anche a Laureati provenienti da altre Classi, purchè in possesso del titolo Magistrale, modulando l’accesso con un sistema di crediti e debiti in termini di CFU. I Master avranno il riconoscimento della S.I.O. e dell’A.I.O.S.P. In questo modo risulta definito un titolo Universitario di II° livello omogeneo su tutto il territorio nazionale: questa soluzione di fatto rende inutili provvedimenti legislativi o normative tese a regolamentare la professione, risultando risolto il problema a livello della comunità professionale6. 6 Sono del tutto da respingere localistiche iniziative di formazione di apparenti figure professionali – talvolta addirittura post diploma – nell’ambito dell’orientamento, così come master privati non riconosciuti. In qualche caso, alcune iniziative di FP regionali rilasciano la Qualifica di orientatore. Occorre invece ribadire che la formazione post lauream compete all’Università. 387 CAPITOLO 7 Il riconoscimento e la certificazione delle competenze maturate by experience È fuor di dubbio che la maggior parte delle attività di orientamento sono assicurate da operatori privi di un titolo di studio tale da essere in grado di rappresentare specifiche competenze professionali. Senza dubbio, dunque, in una visione corretta, coerente con la disciplina Ordinistica e con le definizioni proposte dalla SIO, questi operatori andrebbero assolutamente “scoraggiati” a svolgere queste attività, che in qualche caso si configurano addirittura come esercizio abusivo della professione. Più ancora, andrebbero scoraggiati i committenti – spesso rappresentati dalle Istituzioni – dall’affidare le attività di orientamento ad operatori privi di quella qualificazione che la comunità scientifica definisce come necessaria, soprattutto in presenza di titoli accademici riferiti a questa professione. In questo “mondo” convivono operatori con le provenienze più diversificate: l’attività di orientamento è svolta infatti da parte di insegnanti, senza che la disciplina che insegnano abbia alcuna relazione con questa attività; da parte di operatori dei servizi all’impiego, talvolta diplomati, in qualche caso anche privi di diploma; da parte di laureati in pedagogia, scienze politiche, giurisprudenza...; da parte di docenti della formazione professionale, etc.. È pur vero che, nella maggioranza dei casi, l’attività svolta, al di là della denominazione che assume, si traduce in pratica in mere attività informative o in brevi e sbrigativi colloqui tesi soprattutto a proporre opportunità formative o lavorative: resta però il fatto che, senza questi operatori, le attività di orientamento finirebbero rapidamente per fermarsi. Se tuttavia consideriamo che le competenze possono essere acquisite, oltre che nei percorsi formativi formali, anche in occasioni di apprendimento non formali e informali (by doing, by experience, etc.), non può escludersi che molti di questi operatori abbiano di fatto nel tempo acquisito le competenze necessarie allo svolgimento di una o più fasi o attività presenti nel processo di orientamento. In altre parole è possibile che nei fatti sia disponibile un serbatoio di competenze professionali attualmente non certificate e quindi non riconoscibili, che tuttavia contribuiscono a sostenere i servizi presenti nel territorio. Così come, al contrario, è possibile che alcuni servizi siano erogati da operatori del tutto privi delle necessarie competenze professionali, con conseguenze sui Clienti che tutti possono immaginare come confermano molte ricerche focalizzate sulle “fasi di transizione”. La SIO è chiamata ad un grande sforzo di riconoscimento di queste competenze, offrendo agli operatori professionalmente impegnati in que388 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI sto ambito la possibilità di vedere riconosciute le specifiche competenze possedute e di veder dunque definita la propria professionalità all’interno del percorso orientativo o di una sua fase o attività. Fermo restando ovviamente che la prospettiva non può che essere che quella del curriculum specifico sopraindicato, in via transitoria appare possibile un dispositivo che consenta di accogliere “nella professione” quanti si riconoscono negli standard liberamente e consensualmente definiti dal corpus professionale della medesima. La procedura da adottare, in larga misura mutuata dalla VAE7, dovrebbe prevedere che ciascun operatore che ritiene di possedere una o più competenze tra quelle che caratterizzano la professionalità dell’orientatore possa candidarsi ad uno specifico riconoscimento. La procedura dovrebbe essere organizzata e gestita dai Master, che sono in grado di organizzare specifici Comitati di valutazione degli elementi curriculari proposti dal candidato e di definire le eventuali prove integrative necessarie per il riconoscimento della competenza e per il rilascio delle certificazioni. Questo riconoscimento si configura come un credito formativo quantificabile in CFU: in questo modo sarà possibile consentire a questi professionisti (purchè laureati) la possibilità di accedere ai Master di II° livello, di completare il loro percorso formativo e di ottenere al termine il titolo e la relativa certificazione di competenza. Agli operatori con meno di 10 anni d’esperienza potranno essere riconosciuti sino a 20 CFU; a quelli con più di 10 anni d’esperienza sino a 40 CFU: il debito dovrà essere colmato con la frequenza a specifici moduli relativi alle competenze mancanti. Con questo dispositivo, in sintesi, è possibile riconoscere e certificare, il possesso della singola competenza o di aggregati di competenze idonee a consentire lo svolgimento di una specifica fase del processo di orientamento; individuare specifici fabbisogni di apprendimento che debbono ulteriormente essere maturati; riconoscere e certificare il possesso di tutte le competenze necessarie allo svolgimento delle attività dell’orientatore e dunque il relativo profilo professionale: da questo riconoscimento deriverà inoltre la stessa possibilità di adesione alla SIO. Va da sé che i Master dovrebbero prevedere specifiche occasioni di formazione e di aggiornamento professionale esplicitamente focalizza- 7 Il dispositivo della VAE (validation des acquis de l’experience), erede della più nota VAP, da alcuni anni introdotto in Francia, consente a coloro che hanno maturato esperienze lavorative in alcuni ambiti professionali ed in relazione ad alcuni livelli, e che di conseguenza ritengono di aver maturato le relative competenze professionali, di darne dimostrazione concreta attraverso una procedura che riconosce loro il relativo titolo professionale. 389 Il riconoscimento e la certificazione delle competenze maturate by experience CAPITOLO 7 Il riconoscimento e la certificazione delle competenze maturate by experience ti sull’acquisizione delle specifiche competenze professionali dell’orientatore, in maniera tale da consentire, a coloro che ne fossero sprovvisti, opportunità di apprendimento e conseguenti certificazioni di competenze. Viene così accolta un’istanza proveniente da un rilevante numero di operatori presenti sul territorio che dichiarano di svolgere attività di orientamento. Insistere nel negare loro la qualifica di orientatori, significherebbe rassegnarsi al fatto che vi siano sul mercato del lavoro insieme a professionisti preparati e riconosciuti sulla base di standard ostensibili e comparabili, anche operatori “di fatto, di formazione incerta, autodidatti, casuali, ma soprattutto non in grado di garantire il Cliente”. Conclusione Già si è sostenuto in più occasioni che l’analisi delle competenze degli orientatori e la loro certificazione è problema ormai maturo per una sintesi che veda anche nel nostro paese il consolidarsi di una figura professionale di rilevante utilità per gli individui, per la scuola, per le imprese, per la stessa società. È oggi possibile guardare avanti, “Orientare l’Orientamento” nella direzione di un riconoscimento della professione attraverso un sistema convenzionale, pattizio, orizzontale e volontario: in altre parole, superando la concezione dei titoli di studio, attraverso un sistema che consenta alla comunità scientifica e professionale di definire i propri standard, di formare gli operatori e certificarne le competenze, di elaborare criteri e metodi di servizio minimo, di garantire ai cittadini ed alle istituzioni la qualità del servizio. Non da ultimo, è importante sottolineare che la definizione di standard di formazione e di competenza appare una condizione ormai indispensabile perché, pur nella diversità delle normative presenti sul territorio, possa consolidarsi quella “rete” per l’orientamento che da tempo è negli auspici della comunità scientifica e professionale. 390 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI 7.3 LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI DELL’ORIENTAMENTO NELLA PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO NELL’ARCO DI VITA Alida Lo Coco1 e Salvatore Intorrella2 Ai processi educativi e formativi viene oggi assegnata una molteplicità di compiti e funzioni che vanno oltre quelli che avevano caratterizzato la istituzione delle scuole pubbliche dalla fine del XVIII secolo in poi e che successivamente portarono alla scolarizzazione di massa. Il sistema scolastico ha svolto per oltre due secoli, nei paesi una volta definiti industrializzati, due funzioni fondamentali: la trasmissione delle conoscenze di base per l’integrazione sociale delle nuove generazioni e la selezione e formazione della classe dirigente. Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato l’ultimo quarto del secolo scorso, hanno avuto come fattori “scatenanti” differenti fenomeni, o come le definisce la Cresson, tre sfide, per i paesi dell’Unione europea: lo sviluppo tecnologico ed i processi di continua innovazione che questo genera sui sistemi produttivi; l’informatizzazione della società e lo sviluppo dei sistemi di comunicazione; la globalizzazione dei mercati e la mondializzazione delle economie3. Tra le conseguenze che il nuovo stato di cose determinatosi porta con sé, alcune investono direttamente il sistema scolastico e formativo, non solo per quanto concerne i contenuti dell’azione formativa, ma principalmente per quanto attiene le finalità e gli obiettivi che queste istituzioni devono perseguire e le strutture organizzative idonee a supportarne il perseguimento. In una realtà caratterizzata dalla proliferazione dei luoghi di produzione e diffusione del sapere, educazione e formazione intese nel loro significato tradizionale, rischiano di essere sempre più marginalizzate nel tessuto sociale4. Affinché queste assumino una nuova centralità nel processo di costruzione della Società della conoscenza, oltre a promuovere la trasmissione del sapere e delle competenze necessarie per l’autorealizzazione degli individui ed il loro inserimento socio-lavorativo, dovranno sempre più essere il luogo, simbolico, reale e virtuale al contem1 Professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione – Facoltà di Scienze della Formazione – Università di Palermo; delegato del Rettore per l’Orientamento. E-mail [email protected] 2 Psicologo, Dottore di ricerca in Pubbliche relazioni. E-mail [email protected] 3 Cresson, E. (1995). 4 A tal proposito ci sembra indicativo il cambiamento di status che ha riguardato le professionalità legate al mondo della scuola, che fino agli inizi degli anni ’80 godevano di un prestigio e di una riconoscibilità sociale che oggi hanno perso quasi del tutto. 391 CAPITOLO 7 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita po, di produzione e ri-produzione del sapere, dove le persone e le organizzazioni trasformano costantemente le proprie esperienze in opportunità di apprendimento. Occorre allora chiedersi quali effetti produce nei sistemi formativi la situazione venutasi a determinare, alla luce del rinnovato interesse che si può registrare sia a livello degli organi di governo comunitario che a quello degli stati nazionali. Il modello formativo che viene evocato, appare caratterizzato da due aspetti determinanti: il primo è relativo alla dimensione lifelong che il processo di apprendimento assume sia per l’individuo, conseguenza della necessità di sviluppare costantemente il proprio capitale totale5 per scongiurare la marginalità economica e sociale, che per il sistema produttivo, conseguenza della necessità di promuovere costantemente ricerca ed innovazione per reggere la competitività. Il secondo aspetto riguarda l’azione formativa, che ha spostato il suo obiettivo dalla acquisizione di un corpus definito di conoscenze formalizzate, allo sviluppo di competenze sia specifiche (legate cioè ad ambiti disciplinari ed applicativi definiti) sia trasversali, relative a come il soggetto sviluppa ed organizza conoscenze e competenze. Occorre allora spostare il fuoco delle azioni formative dall’acquisizione di singole competenze e di contenuti specifici, ai principi ed ai modelli mentali attraverso cui il soggetto organizza le proprie conoscenze, alla capacità di coordinare e raccordare le pluralità, allo sviluppo dell’abilità di apprendere ad apprendere6. In un simile contesto l’orientamento non rimanda più in modo esclusivo alla scelta di percorsi formativi precedenti all’ingresso nel mercato del lavoro o allo sviluppo di strategie idonee a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro, ma abbraccia tutta la vita formativa e professionale dei soggetti, secondo processi che non sono di natura lineare come in passato (prima la formazione e poi il lavoro) ma diventano circolari in processo di continuo sviluppo. Porsi questa come finalità strategica, implica il dover perseguire degli obiettivi intermedi che si collocano a livelli differenti, secondo un approccio in grado di dare conto delle complessità dei fenomeni considerati. Sul versante organizzativo, va promossa e favorita la costituzione di reti locali di soggetti pubblici e privati che abbia come obiettivo lo sviluppo di un’offerta formativa coerente ai bisogni del territorio. Il siste5 Per Bourdieu la professionalità di ciascuno, intesa come bagaglio dinamico e con una ben precisa configurazione organizzativa di conoscenze e competenze, dipende dalla somma del capitale economico, sociale e culturale di cui dispone, che prende il nome di capitale totale. 6 Cfr. Montedoro, C. (2000); Quaglino, G.P. (2000). 392 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI ma scolastico-formativo deve, cioè, implementare e sviluppare un sistema di comunicazione e relazione con il territorio di cui è l’espressione, al fine di rendere coerenti le competenze di cui si vuole promuovere l’acquisizione nelle nuove generazioni, con quelle idonee a soddisfare i bisogni espressi dal sistema sociale e produttivo. Va parimenti ripensato il ruolo delle competenze di matrice psicologica nei processi orientativi, intesi come azioni strutturate, finalizzate ad accompagnare e sostenere lo sviluppo dell’identità professionale e l’apprendimento lungo l’arco di vita: aldilà delle contingenze che possono spingere differenti tipologie di utenti a cercare nelle pratiche orientative risposte ai loro bisogni, queste devono comunque favorire la continuità dei processi di apprendimento del soggetto a fronte della discontinuità dei percorsi formativi e delle esperienze professionali. Da ambito professionale esclusivo degli psicologi, allora l’orientamento oggi è diventato una scena entro cui si muovono ed agiscono professionalità differenti per ruolo, percorso formativo e status. Occorre allora chiedersi quale ruolo oggi assumono le discipline di matrice psicologica nei processi che i nuovi modelli di orientamento vogliono promuovere e dare delle risposte in termini di profili professionali e percorsi formativi per la multiforme comunità professionale degli operatori del settore. Se l’orientamento non ha oggi solo come obiettivo la gestione delle transizioni, anche se ancora rappresenta un suo ambito di applicazione elettivo, ma guarda ai processi di sviluppo identitario nel contesto delle relazioni che caratterizzano l’esperienza del soggetto, allora un ruolo centrale assume l’esperienza scolastica e formativa. La scuola, attraverso un’adeguata crescita delle professionalità interne, e della funzione docente in modo particolare, deve essere capace di mettere in atto azioni formative che se da un lato garantiscono l’acquisizione dei contenuti, dall’altro mirino, attraverso questi, a favorire nel soggetto lo sviluppo delle competenze necessarie a dare continuità al proprio processo di apprendimento. L’acquisizione dei contenuti, cioè, non rappresenta più la finalità del processo educativo, ma lo strumento attraverso cui il soggetto acquisisce la competenze di apprendere ad apprendere. Questa appare essere oggi la principale, anche se non la sola, delle funzioni orientative della scuola, in ogni suo ordine e grado, che pone l’esperienza formativa del soggetto a fondamento del suo saper gestire il proprio processo di sviluppo formativo e professionale. Il profilo professionale del docente e le competenze cui rimanda devono comprendere quindi quegli ambiti transdisciplinari che portano allo sviluppo, nei discenti, della capacità di autoorientarsi lungo il corso della propria esperienza di vita. 393 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita CAPITOLO 7 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita Prendendo d’altro canto atto delle professionalità molteplici che si occupano oggi di orientamento appare prioritario adottare un modello che permetta di specificare profili, competenze e percorsi formativi dei differenti operatori al fine di rendere coerenti le finalità e gli obiettivi che si intendono perseguire con i modelli e le strategie adottate nelle pratiche quotidiane, ossia a garantire l’efficacia dei servizi erogati in materia di orientamento. La nostra riflessione su profili, competenze e saperi degli orientatori prende le mosse dalla constatazione che si è passati da una lettura dei fenomeni secondo i modelli esclusivi della psicologia della personalità cui ad esempio facevano riferimento i modelli di Super ed Holland alla fine degli anni cinquanta, ad un approccio che trova il suo spazio epistemologico nella interconnessione tra differenti ambiti disciplinari quali la Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, la Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, la Sociologia dell’educazione, la Pedagogia sperimentale e l’Antropologia culturale. Questo ampliamento degli ambiti teorici e metodologici di riferimento è reso necessario per il passaggio da una dimensione dell’orientamento strettamente connessa all’ambito scolastico-professionale, ad una lifelong, da promuovere attraverso azioni che guardano a tutti i contesti di vita del soggetto. Questa prospettiva più ampia dalla quale si guarda alle problematiche connesse allo sviluppo dell’identità professionale ed all’inserimento socio-lavorativo, implica che: sia valorizzata, resa esplicita e consapevole l’influenza del sistema delle relazioni familiari sulle scelte scolastiche e professionali; venga ottimizzata la funzione orientativa che il percorso scolastico e formativo può svolgere, percorso attraverso cui il soggetto costruisce il proprio sapere ed i modelli interpretativi attraverso cui decodifica ed interpreta la realtà; l’esperienza lavorativa e l’appartenenza ad una comunità di pratiche professionali dia forma alla struttura identitaria nel soggetto nel suo rapporto con il sociale, fornendo costantemente i feedback per rendere, nello sviluppo di carriera, sempre più coerenti il sé professionale con l’identità vocazionale7. Per dare un respiro lifelong alle azioni orientative ed andare oltre gli slogan, occorre porsi finalità ed obiettivi che, ancora una volta, si collocano su livelli operativi differenti, testimoniando la complessità dei fe7 Tra gli sviluppi più interessanti del modello di Super appare quello che vede nella esperienza professionale del soggetto un percorso evolutivo finalizzato al raggiungimento della maturità vocazionale intesa come la congruenza, nel soggetto, tra il sé professionale, rappresentazione che il soggetto si costruisce a partire dalle proprie aspirazioni, dai propri interessi e valori che originano dalla propria storia personale e l’identità professionale, ossia la rappresentazione che il soggetto si costruisce delle proprie performance a partire dai feedback che gli provengono dall’ambiente, scolastico prima e lavorativo poi. 394 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI nomeni considerati. Se vogliamo promuovere lo sviluppo nel soggetto dell’attitudine ad apprendere e ad implementare lungo l’arco di vita il suo bagaglio di conoscenze e competenze, occorre allora favorire la sua capacità di autoorientarsi e su questo versante la qualità dell’esperienza scolastica risulta essere determinante. Non va peraltro trascurato il ruolo che sullo sviluppo del soggetto gioca il sistema delle relazioni familiari e sociali8; a tal fine non solo occorre porre l’attenzione sui bisogni di natura individuale, come tradizionalmente faceva la psicologia dell’orientamento dell’era industriale, ma è fondamentale considerare le determinanti socio-economiche ed organizzative che esercitano un’influenza, diretta o indiretta, sulle scelte formative e professionali che il soggetto opera, sia in relazione ai contenuti (cosa sceglie) che alle strategie che utilizza nella presa di decisione (come sceglie). La prospettiva che si va delineando chiama in causa domini di sapere e professionalità diverse, che non solo guardano ai medesimi fenomeni da prospettive differenti, ma spesso attribuiscono significati e valori differenti alle medesime variabili. Lo stato di cose che rischia di determinarsi è una condizione di caos e sovrapposizione che può inficiare in misura rilevante l’efficienza e l’efficacia dei servizi erogati. Occorre, allora, definire parametri oggettivi attraverso cui i diversi professionisti dell’orientamento possano costruirsi una rappresentazione condivisa del soggetto nei suoi contesti di vita e condividere finalità ed obiettivi, al fine di rendere coerenti gli interventi che ciascuna figura realizza, in un’ottica multidisciplinare e multiprofessionale. Se infine spostiamo l’attenzione a livello socio-organizzativo, appare più che in passato fondamentale la costituzione di reti per l’orientamento, che mettano in partnership le agenzie formative, i governi locali, le realtà economiche, produttive e sindacali, la società civile. La realizzazione di un raccordo continuo e formalizzato in ambito del territorio locale, è condizione necessaria per lo sviluppo di politiche formative ed orientative idonee a dare risposte efficaci alla molteplicità di bisogni cui la domanda di orientamento che proviene dal sociale oggi rimanda. Alla luce di quanto premesso, porsi il problema della professionalità degli operatori nel campo dell’orientamento coincide col trovare risposta a due differenti questioni: la prima è relativa alla definizione ed alla differenziazione dei differenti professionisti, sia in termini di compe8 Si consideri a tal proposito il contributo degli studiosi che fanno riferimento all’approccio della Social cognition di matrice europea ed in particolare Tajfel e coloro che come Moscovici hanno tentato l’integrazione del modello costruttivista con quello interazionista. 395 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita CAPITOLO 7 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita tenze e conoscenze possedute che di compiti e funzioni assegnati, mentre la seconda che discende direttamente dalla prima, rimanda ai percorsi formativi professionalizzanti da predisporre per formare le professionalità richieste. La scelta di metodo che qui si propone per dare risposta alla prima questione è quella di ribaltare i termini in cui solitamente la questione viene posta ed analizzata. Parlare di profili degli orientatori tocca gli interessi legittimi e le vite professionali dei gruppi di operatori del settore. Questo ha portato all’affermazione della tendenza ad affrontare tale questione a partire dalla salvaguardia e tutela di lavoratori e professionisti, col rischio di giungere a conclusioni e determinazioni che risultano dalla mediazione di interessi particolari, a scapito della coerenza del sistema e dell’efficacia dei servizi erogati. Se di contro la riflessione sui profili professionali degli orientatori (chi fa cosa) prende le mosse dall’analisi dei bisogni cui si vuole dare risposta (perché fare qualcosa) e attraverso quali azioni (cosa fare), si può allora pervenire a modelli che, nel rispetto della tutela degli interessi particolari, garantiscano allo stesso tempo una maggiore coerenza all’azione orientativa. Guardando, in termini generali, ai bisogni cui dare risposta attraverso le azioni orientative l’obiettivo primario risulta essere lo sviluppo delle competenze orientative (Pombeni, 2002) del soggetto. Tali competenze vanno considerate nelle tre accezioni di: competenze propedeutiche, necessarie per fare fronte alle transizioni sia scolastico-formative che professionali; quelle di monitoraggio utili al soggetto per governare le proprie esperienze formative e professionali; le competenze orientative di sviluppo funzionali alla realizzazione di progetti di crescita formativa e professionale. Le azioni e gli interventi attraverso cui queste vanno sviluppate, come per altro già ricordato, fanno riferimento a professionalità e profili differenti. A tal proposito, nella storia delle pratiche orientative, si è adottata per lungo tempo una classificazione basata su tre tipologie: azioni finalizzate a fornire informazioni sui percorsi formativi e sugli sbocchi occupazionali; attività formative che vogliono favorire l’acquisizione di competenze in relazione al processo di scelta; servizi di consulenza per il supporto del soggetto nella gestione delle transizioni. Questo modello di classificazione, indicato sinteticamente Informazione Formazione e Consulenza, se da un lato non appare più in grado di dare conto appieno né della diversificazione delle azioni cui si è pervenuti nell’ultimo decennio né delle professionalità chiamate in causa, dall’altro appare poco congruente con la realtà così come si va configurando, soprattutto per 396 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI quanto riguarda la gestione delle informazioni necessarie al soggetto per operare una scelta consapevole. Come altrove evidenziato (Intorella e Sprini, 2004) in una società caratterizzata da una molteplicità di fonti e flussi di informazioni, appare determinante non tanto fornire al soggetto hic et nunc le notizie di cui necessita per la gestione di un momento particolare, ma favorire l’acquisizione di quelle competenze che, lungo l’arco di vita, gli consentiranno di ricercare, trovare, selezionare ed usare le informazioni via via necessarie. Questo riporta allora il problema delle informazioni per l’orientamento nell’alveo delle azioni formative: bisogna cioè, attraverso specifici percorsi, favorire nel soggetto l’acquisizione di un corpus di competenze, che appaiono sempre più determinanti nella realtà attuale, relative alla gestione delle informazioni e dei processi comunicativi attraverso cui queste vengono veicolate. Ma la natura delle azioni orientative può, d’altronde, essere distinta, come propone Pombeni (2001), in base alla natura degli obiettivi perseguiti. Da questa prospettiva vengono differenziate due tipologie di azioni: a bassa specificità destinate allo sviluppo di competenze orientative propedeutiche e di monitoraggio; ad alta specificità destinate allo sviluppo di competenze orientative di sviluppo. La classificazione delle azioni che consegue alla implementazione9, in una tabella a doppia entrata, della differenziazione delle azioni in Formazione e Consulenza da un lato e Azioni a bassa specificità ed Azioni ad alta specificità dall’altro, porta alla diversificazione di quattro tipologie di azioni: 1. Formazione orientativa a bassa specificità: comprende tutti quegli interventi che sono finalizzati all’acquisizione delle competenze di base indispensabili al soggetto per gestire le transizioni formative e/o professionali cui deve fare fronte nella sua esperienza di vita. Il sistema scolastico e formativo per sua stessa natura rappresenta il luogo dove queste azioni vengono realizzate sia attraverso l’attività curricolare che grazie a specifici percorsi extracurriculari. 2. Consulenza orientativa a bassa specificità: rimanda a tutti quei servizi offerti finalizzati a mettere il soggetto nelle condizioni di governare consapevolmente le proprie esperienze formative e professionali. Lo sviluppo, sia nei contesti formativi che nell’attività professionale, di servizi di tutorato e di attività di sportello, è indicativo di come le azioni cui questa tipologia fa riferimento, possono svolgere un ruolo determinante nel consentire al soggetto di svi9 Intorrella e Sprini, Op.cit. 397 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita CAPITOLO 7 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita luppare delle strategie adattive adeguate. 3. Formazione orientativa ad alta specificità: è relativa a tutte quelle azioni finalizzate alla crescita formativa e professionale e che fanno riferimento più o meno esplicito ai modelli proposti dalla Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, soprattutto per quanto attiene la formazione manageriale. 4. Consulenza orientativa ad alta specificità: rimanda alla consulenza individualizzata di matrice psicologica, destinata a fornire un supporto specialistico nello sviluppo di carriera. Dalla valutazione psicodiagnostica e dai colloqui di orientamento per la definizione di un progetto formativo e/o professionale, agli interventi di career counselling e developmental counselling, questa categoria fa riferimento a modelli differenti, ma tutti che presuppongono una professionalità di matrice psicologica. La funzionalità del modello proposto sta in due sue caratteristiche: l’essere esaustivo rendendo possibile la categorizzazione di tutte le differenti professionalità che operano nell’ambito dell’orientamento, trasversalmente agli ambiti di applicazione (esperienza formativa ed esperienza professionale); il rimandare a diversi domini e campi professionali, con i relativi background formativi, consentendo di pensare a specifici percorsi formativi. Se prendiamo, ad esempio, in considerazione le azioni formative a bassa specificità emerge una doppia necessità: da un lato, occorre predisporre dei percorsi professionalizzanti destinati agli insegnanti dei differenti ordini e gradi del sistema scolastico e formativo finalizzati all’acquisizione di conoscenze e competenze nell’area della didattica per valorizzare la funzione orientativa delle discipline; dall’altro, formare personale educativo di supporto all’attività curricolare per la realizzazione di specifici percorsi sia per lo sviluppo di adeguate strategie di presa di decisioni, sia per l’acquisizione di competenze per la gestione delle informazioni. Per quanto attiene le azioni di consulenza a bassa specificità i profili cui si fa riferimento sono diversi: dagli operatori di sportelli informativi, ai tutor sia in ambito formativo che professionale, ai consulenti dei centri per l’impiego o delle società di ricerca e selezione del personale e di lavoro interinale. Questi professionisti, nelle loro diversità, sembrano accomunati dal possedere, oltre ad un corpus di conoscenze relativo allo specifico campo di applicazione ed alla tipologia di utenza, un ambito comune di competenze nell’area della gestione della relazione d’aiuto e della comunicazione. È allora possibile pensare a percorsi professionalizzanti (Master di I livello) che integrino le competenze tecniche di settore, con quelle di matrice psicologica e psicopedagogica. 398 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI La realizzazione di azioni formative ad alta specificità è solitamente affidata a professionisti che operano nel campo della formazione con alle spalle percorsi universitari che, pur se di matrice umanistica, sono spesso molto diversificati. D’altro canto, le potenzialità applicative dei modelli formativi sviluppati nelle realtà produttive, soprattutto per quanto attiene la comunicazione, la gestione delle relazioni interne ed esterne e la negoziazione dei conflitti, rappresentano una opportunità di sviluppo di metodi dell’orientamento, inteso come sintesi tra strategie personali e modelli interpretativi ed operativi di matrice sociale. La predisposizione, allora, di una offerta formativa di alta specializzazione (Master di II livello) può essere una risposta efficace nel promuovere la formazione di professionisti che, in possesso di una Laurea specialistica nell’area psicologica, dell’educazione o della comunicazione, acquisiscano competenze relative alla gestione dei gruppi formativi, alla lettura delle relative dinamiche che li caratterizzano, finalizzata al potenziamento della capacità del singolo di autoorientarsi nel proprio contesto sociale di riferimento. Le azioni di consulenza ad alta specificità ricadono nel dominio della psicologia, facendo riferimento sia alla valutazione psicodiagnostica che alle attività di supporto alle scelta con l’utilizzo delle differenti metodologie sviluppate nell’ambito del colloquio.10 L’offerta formativa professionalizzante destinata agli psicologi deve da un lato favorire lo sviluppo di entrambe le tipologie di competenze richieste, oltre a quelle relative alla progettazione e valutazione delle azioni orientative. Coerentemente con il modello adottato, le iniziative che l’Ateneo di Palermo ha promosso nell’ultimo quinquennio si sono articolate su piani differenti. La costituzione del Centro di Orientamento e Tutorato d’Ateneo ha corrisposto alla messa in campo di una molteplicità di azioni che rispondono ad un disegno di sistema. Richiamiamo solo quelle che cercano di dare risposta alle problematiche finora prese in esame. La realizzazione del progetto Iniziative di Orientamento e Tutorato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca attraverso il Piano Operativo Nazionale, ha consentito la realizzazione di alcuni obiettivi strategici tra cui: • La formalizzazione e la valorizzazione di una fitta rete di rapporti interistituzionali ed interprofessionali per la definizione di politiche e strategie comuni attraverso la realizzazione di specifiche azioni. Queste hanno riguardato sia i rapporti con le altre agenzie formative che il mercato del lavoro. 10 Si veda a tal proposito Guichard e Huteau (2001), cap. 11. 399 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita CAPITOLO 7 La formazione degli operatori dell’orientamento nella prospettiva dell’apprendimen to nell’arco di vita • La promozione di azioni volte a favorire la continuità didattica e formativa tra scuola media superiore ed università attraverso la costituzione di gruppi misti di lavoro con la partecipazione di docenti di scuola superiore ed universitari finalizzati a rendere congrui gli apprendimenti promossi nella scuola con i saperi ritenuti essenziali per l’accesso ai diversi corsi di studio universitari. • La strutturazione di un servizio di tutorato che se da un lato è incardinato in ciascuna facoltà e corso di studio, risponde all’altro a criteri organizzativi e gestionali che ne valorizzano gli ambiti trasversali, interdisciplinari e relazionali. • La realizzazione di un percorso formativo che ha visto partecipi oltre cento docenti di scuola media superiore, per la maggior parte referenti per l’orientamento nei rispettivi istituti, che oltre alla diffusione di conoscenze e competenze ha reso possibile la programmazione e progettazione di specifiche azioni destinate alla diffusone di buone pratiche orientative. Oltre a quanto realizzato attraverso il PON vanno ricordate altre iniziative promosse dall’ateneo di Palermo quali: • l’attivazione di un Master in Psicologia dell’Orientamento che quest’anno è alla sua seconda edizione; • la valorizzazione del rapporti con il mondo produttivo attraverso la realizzazione del progetto C@mpus One; • la promozione di una progettualità diffusa nel territorio attraverso la realizzazione del Progetto Unità di Progettazione Locale finanziato tramite il Piano Operativo Regionale. Riferimenti bibliografici Bourdieu, P., Passeron, J.C. (1970). La reproduction, éléments pour un système d’enseignement. Editions de Minuit, Paris (tr. it.: La riproduzione: elementi di una teoria del sistema scolastico. Guaraldi, Rimini, 1972). Commissione Europea (1995). Libro bianco su istruzione e formazione: Insegnare ed apprendere. Verso la Società Cognitiva, Bruxelles. Guichard, J., Huteau, M. (2001). Psychologie de l’orientation, Paris (tr. it.: La psicologia dell’orientamento professionale, s.l., Raffaello Cortina, 2003). Intorrella, S. e Sprini, G. (2004). Ripensare il futuro: l’orientamento nella prospettiva del lifelong learning. Università degli studi di Palermo – Dipartimento di Psicologia, Palermo. Montedoro, C. (a cura di) (2000). Dalla pratica alla teoria per la forma400 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI zione: un percorso di ricerca epistemologico. FrancoAngeli, Milano. Moscovici, S. (1976). La psychologie des répresentations sociales, in Chaires Vilfredo Pareto, 14, 409-416. Pombeni, M.L. (2001). Criticità e indicazioni strategiche per lo sviluppo di un sistema territoriale di orientamento. Relazione introduttiva del I Forum nazionale dell’Orientamento, Genova. Pombeni, M.L. (2002). Finalizzare le azioni e differenziare le professionalità in A. Grimaldi, (a cura di), Orientamento: modelli, strumenti ed esperienze a confronto. FrancoAngeli, Milano. Quaglino, G.P. (2000). Uno scenario dell’apprendere, in Montedoro, C. (a cura di). op. cit. s.l.. Super, D. (1963). Self-concept in vocational development in D. Super, R. Srarishevsky, N. Maltlin, J.P Jordan, Career development: self-concept theory. College Entrance Examination Board, New York, 1963. Tajfel, A.A. (1981). Human groups and social categories.Studie. In social psychology. Cambrige University Press, Cambridge (tr. it.: Gruppi umani e categorie sociali. Il Mulino, Bologna, 1985). 401 CAPITOLO 7 7.4 DAI PROFILI PROFESSIONALI ALLE CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE: QUATTRO ANNI DI RICERCHE ISFOL di Andrea Laudadio1 Premessa All’interno del dibattito sui temi dell’orientamento è ampia l’attenzione dedicata a coloro che, a vario titolo, si occupano dell’erogazione di servizi orientativi (Pombeni,1990; Sarchielli, 2000; Messeri, 2002; Castelli, Venini, 2002). Inoltre, sono proprio gli operatori di orientamento che, maggiormente, sollecitano la comunità scientifica su questi temi. In una ricerca Isfol (Grimaldi, 2003a), svolta su un campione di professionisti dell’orientamento, è emerso che una significativa percentuale di operatori individua, accanto alla frammentazione del sistema-orientamento italiano e alla mancanza di metodologie e strumenti condivisi e verificati, proprio la mancanza di definizione delle funzioni di tale figura professionale, termine che induce alcuni autori (Sarchielli, 2000; Trapani, Sprini e Miragliotta, 2003) ad utilizzare, più propriamente, quello di configurazione professionale. Problemi attuali* Frammentazione e sovrapposizione degli Enti che svolgono attività di orientamento Mancanza di metodologie e strumenti condivisi e verificati Mancanza di una definizione del profilo di orientatore Mancanza di monitoraggio strutturato dei risultati Mancanza di percorsi formativi specifici per la figura dell’orientatore Scarsa valorizzazione del lavoro fatto dai singoli operatori Difficoltà nei rapporti con le strutture del territorio Mancanza di riflessione teorica rispetto all’agire quotidiano Scarsità di informazioni preventive sui corsi che verranno attivati dai vari enti N.** 94 % 13,62 81 77 67 66 57 53 50 48 11,74 11,16 9,71 9,57 8,26 7,68 7,25 6,96 *da “I professionisti dell’Orientamento” Grimaldi (2003a) **Campione: 156 soggetti. Età media 41 anni Il dibattito in questione è trasversale anche rispetto alle altre realtà nazionali ed estendibile al tema della formazione, qualifica e competenze, degli operatori di orientamento (Heibert, McCarthy e Repetto, 2001; McCarthy, 2002). 1 402 Isfol. PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI Rispetto al tentativo di sistematizzazione dei profili professionali, nel nostro Paese, le posizioni sono riconducibili a due: da una parte, i sostenitori di una figura unica; dall’altra, coloro che sottolineano la necessità di differenziare più funzioni e/o profili all’interno dello stesso ambito di intervento. La prima posizione è sostanzialmente il prodotto della convinzione che l’orientamento coincida con “l’attività di aiuto finalizzata alla presa di decisione attraverso la valorizzazione delle risorse complessive del cliente” (Sangiorgi, 2005) e che le altre attività di orientamento (informazione orientativa, tutorato, accompagnamento al lavoro, placement…) – pur non rientrando nello stesso – “costituiscono talvolta un’utile integrazione” al processo orientativo. Nella seconda posizione è individuabile – di contro – una maggiore attenzione alla dimensione organizzativa dell’orientamento. Rispetto alle due distinte posizioni, l’Isfol ha recentemente offerto il suo contributo, ipotizzando un meta-modello organizzativo e di professionalità che operi nell’ambito dell’orientamento. In questo contributo si vuole integrare il modello dell’Isfol, cioè l’articolazione in funzioni e/o profili suddetta, con alcune considerazioni che scaturiscono da alcune ricerche successive, in modo da operare un confronto tra i principi che lo hanno ispirato e le conclusioni a cui è possibile pervenire in una prospettiva di sviluppo e implementazione del sistema orientamento nel nostro Paese. La proposta Isfol: utenza e contesto Alla base del modello dell’Isfol è evidente l’importanza che ricopre il contesto all’interno del quale l’organizzazione orientativa viene chiamata ad operare. I contesti in grado di caratterizzare – e declinare – in maniera distintiva le attività di orientamento fanno riferimento all’area dell’apprendimento-formazione e del mercato del lavoro. Apparentemente, questa suddivisione in ambiti potrebbe sembrare non ancorata alle attuali tendenze del mercato del lavoro e della formazione che sembrano tendere – sempre di più – ad una fusione e sovrapposizione: tirocini, stage, learning on the job, e via dicendo. Inoltre la suddivisione in ambiti – che nel documento definitivo erano scuola, università, formazione professionale e lavoro – sembrerebbe ancora troppo associata alla superata dicotomia tra orientamento scolastico e orientamento professionale. In realtà, la suddivisione in contesti ha origine dalla volontà di porre al centro del processo orientativo l’individuo e la distinzione in contesti costituisce semplicemente una estensione di questa volontà. I contesti identificati sono infatti gli ambiti in cui sembra attualmente concen403 Premessa CAPITOLO 7 La proposta Isfol: utenza e contesto trarsi la domanda di orientamento. Una recente ricerca Isfol (Grimaldi, 2003b), finalizzata a fornire un primo tentativo di fotografare lo stato dell’arte del sistema-orientamento in Italia, ha esplorato la composizione dell’utenza dei servizi di orientamento. Tabella 2 – Suddivisione dell’utenza dei servizi Tipologia Studenti scuola superiore Adulti disoccupati di lungo periodo Adulti disoccupati in cerca di prima occupazione Studenti scuola media Universitari Adulti occupati precari Donne in cerca di un reinserimento lavorativo Adulti disoccupati neo laureati Immigrati Disabili Adulti occupati in mobilità Adulti occupati in transizione Studenti scuola elementare Drop out che hanno già abbandonato Drop out a rischio di abbandono Detenuti Tossicodipendenti % 22,56% 14,77% 11,37% 9,84% 8,07% 5,57% 5,56% 4,93% 4,77% 4,25% 2,86% 2,64% 0,93% 0,89% 0,74% 0,14% 0,11% La lettura della tabella fornisce immediatamente una informazione circa il peso dell’istruzione: oltre il 45% degli utenti. A questo punto, però, è legittimo interrogarsi su un punto: in che misura l’utenza determina/caratterizza il servizio? In altri termini, porre al centro del servizio la persona, produce anche organizzazioni che si caratterizzano per porre al centro del proprio servizio l’utenza di riferimento? Per rispondere a questa domanda, attraverso delle tecniche di analisi statistica2 è stata sintetizzata l’informazione dell’utenza e ridotta a dimensioni – cartesiane – di sintesi. Così come era legittimo attendersi, le dimensioni principali fanno riferimento al mondo dell’istruzione e a quello del lavoro-formazione al lavoro. Se si collocano sugli assi tutte le strutture che hanno partecipato all’indagine, si osserva come il processo di specializzazione – a questo punto definibile anche come processo 2 Per brevità non vengono riportate in dettaglio le analisi statistiche eseguite. Si rinvia alla pubblicazione definitiva dei risultati. 404 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI di contestualizzazione – sia, in realtà, in atto: mentre alcune – anche se poche in riferimento ai numeri presentati – sembrano avere una vocazione principalmente scolastica, altre – in particolare i CPI – sembrano dedicarsi essenzialmente ad una utenza legata fortemente al lavoro. La proposta Isfol identificava inoltre 4 funzioni principali legate al processo orientativo: trasmissione di informazioni, consulenza alla persona, tutorato/monitoraggio, coordinamento. Mentre le prime tre si riferiscono all’erogazione vera e propria del servizio, la quarta funzione è più propriamente gestionale. Possiamo ricorrere alla stessa ricerca utilizzata in precedenza per verificare (anche se solo in termini esplorativi) la congruenza di questa suddivisione con la realtà nazionale. La percentuale indica la quantità di utenti che usufruisce del servizio. Tabella 3 – Utenti per ciascun servizio offerto dalla struttura Servizio svolto Attività di carattere informativo sulle opportunità formative e di accesso al lavoro Gestione di colloqui orientativi di primo livello Progettazione e conduzione di incontri formativi finalizzati ad obiettivi specifici Attività di counseling orientativo Interventi formativi in casi di abbandono scolastico o cambi di indirizzo di studio Conduzione di incontri e colloqui di gruppo Attività di sostegno all’inserimento lavorativo Realizzazione di interventi specifici per diverse tipologie di utenza Realizzazione attività di tirocinio in percorsi formativi Promozione di allestimenti di eventi, iniziative ed incontri Consulenza ai progetti professionali Percorsi di bilancio di competenze Attività di prevenzione dell’insuccesso scolastico Attività di accoglienza nei nuovi cicli di studio e verifica in itinere dei risultati scolastici Attività di accompagnamento in esperienze di alternanza scuola-lavoro Progetti di socializzazione al lavoro Attività di counseling di carriera % 22,83% 17,00% 9,51% 7,89% 5,22% 5,09% 4,50% 4,45% 4,30% 3,57% 3,53% 2,99% 2,74% 2,52% 1,85% 1,03% 0,97% La suddivisione informazione/consulenza/accompagnamento sembra – a nostro avviso – coerente con i dati raccolti. Anche se la consulenza – o, meglio, le attività di secondo livello – sembrano far riferimento ad un utenza ancora troppo ristretta. 405 La proposta Isfol: utenza e contesto CAPITOLO 7 La proposta Isfol: i professionisti Il meta-modello Isfol proponeva quattro aree di competenza distintive: comunicativo-relazionale, analisi dei problemi e di progettualità individuale, lettura del contesto e progettazione di attività di orientamento, giuridiche, amministrative ed informatiche3. La declinazione di questi ambiti di competenza portava all’identificazione di 4 profili professionali: – Operatore dell’informazione – Tecnico dell’orientamento – Consulente di orientamento – Analista di politiche e servizi di orientamento. Mantenendo la volontà di analizzare criticamente questa suddivisione è stata condotta una ricerca specifica finalizzata ad identificare il livello di coerenza-congruenza tra questo modello e la realtà del nostro Paese o, in altri termini, verificare la rintracciabilità di prototipi professionali simili o affini a quelli identificati dal modello. La ricerca ha riguardato un campione di 243 operatori di orientamento stratificati per area geografica e tipologia di ente di appartenenza. A ciascun soggetto è stato chiesto di indicare su una scala da 1 (mai) a 4 (sempre) quanto spesso svolgessero alcune funzioni, tratte dal modello ISFOL4. Le attività sono congruenti con le aree di sintesi della ricerca IAEVG Qualification Standard Project – Valutazione, Orientamento Scolastico, Sviluppo professionale, Counselling, Gestione dell’informazione, Ricerca e valutazione, Placement, Gestione di programmi e servizi5. Le analisi statistiche hanno evidenziato 4 gruppi omogenei di soggetti. (a) Gli operatori appartenenti al primo sostengono di svolgere (spes3 Per un approfondimento circa la relazione tra competenze informatiche e orientamento si rimanda al volume ISFOL (a cura di Grimaldi, A. e Laudadio, A.) (2004). Orient@mento. Una ricerca nazionale sulla relazione tra orientamento e informatica. FrancoAngeli, Milano. 4 Un’obiezione che si potrebbe avanzare a questo tipo di procedura è relativa al fatto che queste inferenze siano tautologiche; tuttavia alcune procedure messe in atto durante le varie fasi di ricerca offrono una possibile risposta a tale obiezione. Nel questionario infatti, al termine della sezione riferita alle attività in cui sono state inserite le caratteristiche individuate per la descrizione dei profili, è stato riservato uno spazio aperto nel quale gli operatori potevano inserire ulteriori caratteristiche della propria professione. Inoltre, in una fase di pretest, è stato chiesto a tutti coloro che hanno compilato lo strumento di indicare quanto le caratteristiche presenti nel questionario descrivessero correttamente il proprio profilo professionale. Entrambe le tecniche di controllo hanno dato risultati soddisfacenti. In particolare è da registrare che, ad una attenta analisi, il contenuto delle domande aperte nel 79% dei casi è ampiamente riconducibile agli item (descrittori del profilo) del questionario e che gli operatori avevano ripetuto queste dimensioni soltanto per caratterizzare in maniera più forte il proprio profilo; una parte delle risposte aperte (circa l’11%) facevano riferimento a compiti amministrativi, comunque equidistribuiti tra i soggetti; il restante 10% ha declinato in maniera più puntuale le proprie pratiche professionali (per esempio “bilancio di competenze”, oppure “sostegno a soggetti deboli”). 5 Aree sintetizzate in Trapani et al. (2003). 406 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI so o sempre) tutte le funzioni prese in esame; sembra quindi che i soggetti ritengano di svolgere tutto il repertorio di attività previsto per le attività di orientamento e riportato nel questionario. Sulla base di tali caratteristiche il cluster è stato denominato Factotum. L’operatore Factotum sostiene, infatti, di svolgere una varietà di compiti e azioni orientative indipendentemente dal contesto organizzativo in cui si colloca. Si dedica ad attività di accompagnamento, tutoraggio, counseling, coordinamento, reperimento e costruzione dell’informazione, pianificazione e monitoraggio, senza alcuna sorta di differenziazione6. (b) Il secondo gruppo, pur mostrando i valori più bassi dell’intero campione, presenta valori medi molto differenziati tra le diverse variabili considerate. In particolare si evince l’attribuzione di valori considerevolmente più alti in corrispondenza delle attività di Monitoraggio e verifica degli interventi, Tutorato di tirocini, Monitoraggio di percorsi formativi, Monitoraggio di percorsi scolastici, Accoglienza7. Tale andamento sembra caratteristico della specifica funzione dedicata alle attività di monitoraggio/tutorato dei processi orientativi e in ragione di tale evidenza il cluster è stato denominato Tutor. Più specializzato in azioni quali il monitoraggio e il tutoraggio dei percorsi formativi, questo profilo si autodefinisce spesso formatore8. È molto probabile, pertanto, che tale figura professionale svolga anche attività di formazione, come del resto molti soggetti dichiarano in risposta alla domanda “svolge altre attività”. (c) Nel terzo gruppo si collocano i soggetti che mostrano valori medi elevati in corrispondenza delle attività di Counseling di carriera, Counseling orientativo, Sostegno alla definizione e maturazione di un progetto professionale, Utilizzo di strumenti specialistici per l’orientamento. I soggetti appartenenti a tale raggruppamento possono essere considerati pertanto come Counselor9. 6 Si presenta generalmente come un professionista di lunga esperienza – il 46.90% dei soggetti si occupa di orientamento da più di 10 anni – con un’età media di oltre 40 anni – età media di 42 anni e 2 mesi – e dal profilo formativo alto. Il 28.12% dei soggetti, infatti, possiede un diploma, il 3.12% ha una laurea breve, il 37.50 ha una laurea, il 12.50 ha conseguito – inoltre – un master, il 15.62% ha una specializzazione post-laurea e, infine, il 3.12% ha sia una specializzazione che un master. Rispetto alla tipologia di laurea emerge una maggiore presenza di lauree in discipline umanistiche (il 18,18% è laureato in pedagogia, il 13,63% in psicologia o in lettere). 7 Di contro i valori medi molto bassi sono attribuiti a tutte le altre variabili. 8 Se complessivamente le parole che afferiscono al gruppo formazione sono state indicate nel 3.33% dei casi, nel 84.27% sono state indicate proprio dai soggetti di questo cluster. Rispetto al titolo di studio, il 5.00% dei soggetti non è diplomato, il 50.00% è diplomato, il 40.00% ha una laurea e il 5.00% ha conseguito un master. Tra le lauree, il 33.33% fa riferimento all’indirizzo letterario. Appartengono a tale cluster il 14.71% dei soggetti. Anche se non emergono particolari differenze relativamente alla collocazione geografica o legate alla tipologia dell’ente, va segnalata però una frequenza maggiore di tale profilo nelle strutture pubbliche del Sud. 9 Il 41,18% dei soggetti del nostro campione dichiara di svolgere funzioni di aiuto e supporto alla scelta e alla messa a punto di un progetto professionale, collocandosi così in un profilo pro- 407 La proposta Isfol: i professionisti CAPITOLO 7 La proposta Isfol: i professionisti (d) Il quarto gruppo, infine, mostra valori medi maggiori in corrispondenza delle seguenti variabili: Gestione di Banche Dati, Reperimento di informazioni, Erogazione di informazioni, Accoglienza, Progettazione e conduzione di incontri formativi finalizzati ad obiettivi specifici, Messa a punto di materiali informativi, Lettura e analisi dei bisogni. Anche in questo caso sembra emergere una spiccata corrispondenza con la funzione informativa per l’orientamento. Da qui scaturisce l’appellativo Informatore10. È stata identificata – attraverso procedure più squisitamente qualitative – anche un’altra figura oltre queste descritte – il coordinatore – ma la bassa consistenza numerica di questa figura (solo 4 profili chiaramente identificati) non ha consentito che questa figura emergesse chiaramente con le tecniche quantitative. La successiva ricerca svolta sul territorio nazionale – di cui in precedenza sono stati offerti alcuni dati circa l’utenza e i servizi – ha consentito di identificare 669611 professionisti12. Rispetto ai profili professionali identificati in precedenza: esistono (o meglio, si considerano tali) 1565 informatori (25,03%), 1173 counselor (18,76)%, 1066 tutor (17,05), 945 (15,12%) personale amministrativo e 467 (7,47%) coordinatori di strutture. Se escludiamo il personale amministrativo la suddivisione tra i profili è la seguente: fessionale assimilabile al Counselor. Tale profilo, che presenta una età media di 39 anni e 2 mesi, è caratterizzato da un livello formativo piuttosto elevato: il 30.35% dei soggetti ha un diploma, il 3.57% una laurea breve, il 35.71% una laurea, il 5.35% un master post-laurea, il 23.21% una specializzazione post-laurea e l’1.78% ha conseguito, a seguito della laurea, sia un master che una specializzazione. Quanto alla tipologia di laurea, quella più diffusa è la laurea in psicologia (29.72%), ma la percentuale di laureati in Filosofia (24.32%) e Lettere (13.51%) non è irrilevante. In linea con gli altri dati discussi fino a questo momento, anche per questo profilo si evidenzia una percentuale più alta di laureati al Nord (77,40%), rispetto al Centro (57,4%) e al Sud (63,6%). Lo troviamo, senza differenze di rilievo, sia nelle strutture del Nord che in quelle del Sud, sebbene sia decisamente il profilo professionale più frequente nel Pubblico del Centro (80.00%) e nel privato del Sud (66.67%). 10 Il 20.59% dei soggetti del nostro campione si colloca in un raggruppamento che abbiamo definito Informatore per la specifica attività di informazione orientativa che dichiarano di svolgere. Ha una età media sensibilmente più bassa rispetto agli altri cluster (33 Anni e 2 mesi) e, in particolare, nell’85.19% dei casi è un under 40. In linea con questo dato anagrafico, anche l’anzianità professionale è piuttosto bassa: nell’85.71% dei casi, infatti, lavora nell’orientamento da meno di 6 anni (42.85% meno di due anni, 42.85% da 3 a 5 anni). In riferimento al titolo di studio l’informatore ha il rango medio più basso degli altri soggetti. Il 42.00% dei soggetti in questo cluster è diplomato e altrettanti sono i laureati. Il restante 16.00% ha conseguito dopo la laurea una specializzazione o un master. La laurea più diffusa è in Lingue (37.50%), seguita da quelle in Giurisprudenza (18.75%) e Storia (18.75%). 11 Questa stima è sicuramente in difetto rispetto la reale consistenza di questa categoria professionale. Infatti non è stato possibile rintracciare tutte le strutture che operano nell’orientamento, né tutte quelle rintracciate hanno poi deciso di partecipare alla ricerca. 12 Con una media di 11,58 operatori (d.s. 24,19) per struttura. Dagli enti pubblici provengono 5545 operatori (media 10,95 d.s. 24,06), dai privati 1151 (media 15,98 d.s. 24,82). 408 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI La proposta Isfol: i professionisti Tabella 4 – Operatori dei servizi Area Italia Nord – Ovest Nord – Est Centro Sud Enti Privati 1151 665 337 58 91 Enti Pubblici 5545 1938 1124 921 1562 Totale 6696 2603 1461 979 1653 Factotum 20% Informatori 29% Coordinatore della struttura 9% Tutor 20% Counselor 22% La lettura di questo dato – nelle intenzioni di chi scrive – doveva condurre all’individuazione delle relazioni organizzative che sussistono – o dovrebbero sussistere – tra questi soggetti. Nell’intenzione del meta-modello Isfol, infatti, la natura relazionale tra i vari profili doveva offrire – in termini olistici – il vero valore aggiunto. Se l’orientamento si configura come una risposta complessa ad un problema complesso, è ragionevole che tale risposta non possa risiedere nella proposta di una unica figura – che sia il factotum o il counselor – ma da un sistema organizzato che, al suo interno, contempli tutte le competenze necessarie e le risorse funzionali a poter mettere in azione una strategia organica e organizzata. L’interrogativo quindi è il seguente: quale relazione esiste tra i professionisti che operano nel campo dell’orientamento all’interno della stessa struttura? In che modo – e quanto – le persone di una stessa struttura operano in maniera sinergica. Ancora meglio: quale “organizzazione” esiste tra le figure di una stessa struttura? Queste domande, inoltre, portano con sè una domanda metodologica, ovvero: come esplorare questa relazione? In prima battuta ci si è soffermati sugli aspetti quantitativi. In particolare l’obiettivo era quello di verificare se e quanto le strutture rispondessero al modello organizzativo proposto dall’Isfol. È difficile fornire una risposta univoca per più di una ragione. In pri409 CAPITOLO 7 La proposta Isfol: i professionisti mo luogo perché l’analisi ha evidenziato l’esistenza di una grande percentuale di strutture all’interno delle quali la dimensione organizzativa non è rintracciabile poiché la struttura è composta da un solo soggetto – nella maggior parte dei casi factotum oppure informatore (è il caso degli informagiovani). In secondo luogo perché è difficile comparare strutture con dimensioni – anche organizzative – molto diverse tra loro. Da una sintetica lettura dei primi risultati si rintraccia però una vocazione delle strutture ad adattarsi – anche in termini organizzativi – alle dimensioni e tipologie dell’utenza. Appare infatti molto forte la relazione tra servizi erogati e professionalità coinvolte. A questo punto è doveroso chiedersi se sono i servizi che si adattano – per professionalità ed offerta – alle caratteristiche dell’utenza o se piuttosto l’utenza non si autoselezioni sulla base dei servizi offerti dalla struttura. Conclusioni È difficile fornire una fotografia del sistema-orientamento. Sostanzialmente perché l’alta variabilità – che è propria di un sistema in sviluppo e propulsione – rende difficile individuare i confini e, soprattutto, le dimensioni del fenomeno. Se si accetta per buona questa affermazione, è ancora più chiara l’importanza che riveste dedicare ancora maggiori risorse ed interesse alle questioni legate alla professionalità di chi vi opera. Probabilmente la velocità con cui il sistema si è sviluppato (circa il 75% delle strutture sono sorte solo negli ultimi 10 anni) non ha consentito di dedicare la necessaria attenzione alle professionalità coinvolte. Ma possiamo realmente parlare di sistema quando pensiamo all’orientamento? In conclusione si vuole provare a rispondere a questo interrogativo prendendo le mosse da studi, di più ampia portata, sui sistemi in generale. Kenneth Boulding, uno dei sostenitori più convinti della teoria generale dei sistemi, concettualizzò il mondo come una gerarchia ordinata di sistemi. Livello Caratteristiche Contesto Etichette e terminologia. Anatomie, geografie, liste, inSistemi di classificazione dirizzi, cataloghi Meccanismi Eventi ciclici. Semplici con mo- Sistema solare, macchine semti regolari o regolati. plici (orologio o carrucola) 410 Esempio PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI Livello Sistemi di controllo Sistemi aperti Sistemi genetici Conclusioni Caratteristiche Esempio Auto-controllo Termostato Feedback Omeostasi Trasmissione delle Pilota automatico informazioni Autoconservazione Scorrimento ed eliminazione Cellula di materiale Fiume Riproduzione Divisione del lavoro Pianta (cellule) Animali Mobilità, consapevolezza di Cane, Gatto, Elefante sé, Struttura di conoscenza Esseri umani Auto-coscienza Capacità di produrre, assimila- Io, tu re, interpretare i simboli Organizzazioni sociali Sistema dei valori, significati Imprese, governi Sistemi trascendentali La realtà inesorabilmente scoMetafisica, estetica nosciute Il sistema orientamento – per quanto ironicamente saremmo portati a crederlo più vicino ai Sistemi trascendentali – dovrebbe appartenere all’ordine delle organizzazioni sociali. Il sistema-orientamento appare però, sulla base di quanto emerge dalle ricerche e/o ricognizioni presenti in letteratura, privo di coscienza e capacità di autosservazione, prendendo in prestito la distinzione di Von Foerster (1981) tra sistemi di primo e di secondo ordine. Accettare questa posizione significa condividere l’urgenza di dotare il sistema di “coscienza” attraverso il sostegno a strutture – anche di feedback – deputate a questo scopo. Inoltre, condividere questa impostazione impone la necessità di centrare il focus della ricerca (che assume anch’essa la funzione di feedback sistemico) sui meccanismi di costruzione di significato e comportamento del sistema: questo significa interessarsi alla relazione tra gli operatori, tra gli operatori e le organizzazioni e tra le organizzazioni stesse. Riferimenti bibliografici Castelli, C., Venini, L. (2002). Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (2003a). I professionisti dell’orientamento. Informazione, produzione di conoscenza e modelli culturali. FrancoAngeli, Milano. Grimaldi, A. (2003b). Profili professionali per l’orientamento: la propo411 CAPITOLO 7 sta Isfol. FrancoAngeli, Milano. Heirbert, B., McCarthy, J. e Repetto, E. (2001). Professional training, qualification, and skills. Sintesi del contributo presentato al II Simposio internazionale “Connecting Career Development with Public policy”, CCDF, Vancouver. Messeri, A.(2002). Due mondi per l’orientamento?, s.l., Magellano, 12. McCarthy, J. (2002). Competenze, formazione e qualifiche degli operatori di orientamento. s.l., Magellano, 11. Pombeni, M.L. (1990). Orientamento scolastico e professionale. Il Mulino, Bologna. Sangiorgi, G. (2005). L’orientamento. Teorie, strumenti, pratiche professionali, Carocci, Roma. Sarchielli, G. (2000). Orientatore: una professione emergente. Rappresentazioni, esigenze del compito e sistemi di competenze. In S.Soresi (a cura di), Orientamenti per l’orientamento. Ricerche ed applicazioni dell’orientamento scolastico-professionale. ITER – Institute for Training Education and Research, Firenze. Trapani, R., Sprini, G., e Miragliotta, A. (2003). Competenze e caratteristiche dell’orientatore nei centri per l’impiego, s.l.. Magellano, 16. von Foerster, H. (1981), Observing systems. Intersystems Publications, Seaside, CA (tr. it. M. Ceruti e U. Telfener (a cura di), Siste-mi che osservano, Astrolabio, Roma, 1987). 412 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI 7.5 PERCORSI DI FORMAZIONE PER I PROFESSIONISTI DELL’ORIENTAMENTO di Giovanni Sprini1 e Alessandro Lo Presti2 Premessa Negli ultimi anni le comunità degli operatori e degli studiosi che si occupano di orientamento hanno sentito sempre più la necessità di omogeneizzare le prassi d’intervento, motivati soprattutto dal bisogno di valutarne obiettivamente l’efficacia e promuoverne così i risultati più interessanti. Non pare, tuttavia, percorribile una strada siffatta se a monte non si interviene con processi di standardizzazione e omologazione degli “agiti” di coloro i quali devono garantire l’erogazione di tali servizi: gli orientatori. Questi processi tuttavia non devono muoversi in un’ottica riduzionista o di impoverimento dei tentativi più creativi, per evitare di cadere nell’eclettismo più sfrenato e nella perdita di confini metodologici e teorici è necessario quindi introdurre norme e costruire punti di riferimento. Il problema non riguarda solo la categoria degli orientatori, ma investe coloro i quali istituzionalmente sono chiamati, oggi, a curarne la formazione, indipendentemente dagli strumenti didattici approntati: corsi di perfezionamento o master. La nostra trattazione non ha certo la pretesa di fornire risposte definitive, ci pare tuttavia utile aggiungere alcune considerazioni che in qualche modo potrebbero favorire la riflessione di tutte le categorie interessate: il problema della formazione degli orientatori non è soltanto un problema “formativo” è anche politico-organizzativo (chi o che cosa deve garantire la gestione del processo?), culturale (chi dice che un approccio sia migliore di un altro?), sociale (come adeguare la formazione di operatori le cui pratiche di intervento potrebbero apparire vetuste?), economico (con quali fondi garantire il funzionamento di eventuali organi di controllo e salvaguardia professionale?). Nelle pagine daremo ragione dello sviluppo delle pratiche orientative dagli inizi del secolo ai giorni nostri, richiamando l’attenzione su come i contributi scientifici e professionali che sono maturati nel corso degli anni hanno fatto sì che mutassero non solo le modellizzazioni teoriche e le pratiche operative, ma anche i profili professionali degli operatori del settore. 1 Professore ordinario di Psicologia Generale – Dipartimento di Psicologia – Università di Palermo. 2 Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Bologna. 413 CAPITOLO 7 Lo sviluppo delle pratiche orientative È noto a tutti che di orientamento scolastico e professionale si parla, si scrive e si dibatte praticamente da un secolo: dal momento in cui si affermano le idee portate avanti dalla teoria conosciuta come “organizzazione scientifica del lavoro” e dal momento in cui la famosa frase di Taylor “l’uomo adatto al posto adatto” diventa una sorta di manifesto programmatico con il quale si rivendica la necessità di analizzare le abilità del singolo e, per la prima volta, si riconosce all’individuo un ruolo attivo nella formulazione delle scelte professionali. Dapprima timidamente, in seguito con crescente consapevolezza, si fa strada l’esigenza di affiancare alle pratiche selettive e alle forme di testing pianificato vere proprie procedure di orientamento che tengano conto di tutte le istanze ovviamente ignorate nelle procedure di selezione. Anche se non è possibile definire questi interventi strategie di orientamento in senso stretto bisogna riconoscere che assistiamo all’emergere dell’esigenza di introdurre procedure orientative. Svolgono la funzione di orientatore operatori in possesso di formazioni alquanto differenti: non era strano quindi trovare tra questi pionieri, ingegneri o religiosi (si pensi al lavoro svolto dai Padri Salesiani che nelle loro scuole di Arti e Mestieri, poi Centri di Addestramento Professionale, si preoccuparono da subito di guidare le scelte dei formandi tenendo conto delle loro inclinazioni). Tali prime forme di intervento tutte centrate sulle componenti intellettive e attitudinali, sebbene promosse nel segno della buona volontà, risultavano spesso carenti per uno o più aspetti, ad esempio trascuravano l’influenza delle componenti emozionali e ignoravano nei fatti il contesto sociale e ambientale nel quale l’individuo doveva svolgere la sua attività. Queste prime strategie di orientamento, che potremmo chiamare organicistiche, collocano in una posizione di centralità attitudini, abilità, interessi e motivazioni. In questa ottica l’intervento di orientamento è considerato concluso con l’acquisizione di informazioni circa il livello che contraddistingue le capacità espresse e/o possedute dall’individuo rispetto a questi parametri. In Europa, tra la fine del primo conflitto mondiale e la crisi economica del ‘29 sembra che si affermino due diverse strategie circa l’Orientamento: la prima guarda ai lavoratori manuali, l’altra, elitaria, fa dell’orientamento una pratica riservata ai giovani delle classi abbienti ai quali viene riconosciuta la possibilità di scelte più articolate, forse dovremmo dire più funzionali, al successo e al reddito. Una strategia di orientamento immaginata sostanzialmente come fi414 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI nalizzata all’ottimizzazione del rapporto individuo-posto di lavoro, non è ovviamente capace di rispondere alle esigenze di una società, come la nostra, nella quale è enormemente cresciuto il numero degli individui ad alta scolarità che provengono ora da tutte le classi sociali, anche da quelle che in passato davano un contributo percentuale davvero irrilevante. Sul mercato del lavoro cresce, e di molto, il numero di aspiranti alla condizione di colletto bianco. Le antiche distribuzioni percentuali che caratterizzavano la manodopera ancora negli anni sessanta e settanta risultano profondamente modificate. Accade nelle attività produttive legate all’industria quello che era accaduto quarant’anni prima nel comparto delle attività agricole: i colletti blu riducono progressivamente il loro peso mentre crescono contestualmente i lavoratori del terziario. A svolgere la funzione di orientatore in questo contesto non può che essere lo psicologo, dal momento che le competenze chiamate in causa rientrano tutte nell’ambito della psicologia o, per essere più precisi, nell’alveo dei processi cognitivi. Restano in questa ottica sostanzialmente estranei, e in qualche modo ininfluenti, le componenti emozionali e quelle riferibili al contesto socio-ambientale. L’orientamento così inteso è, nei fatti, una strategia elitaria che riguarda, nella sostanza, quella ristretta fascia di individui che si avviano a percorsi di istruzione superiore o universitaria, se non addirittura iper-specialistica. Queste strategie di orientamento cioè, ignorano consistenti gruppi di individui che mai beneficeranno di una consulenza sulle scelte da effettuare. Se fossimo negli Stati Uniti potremmo, senza rischio di essere smentiti, sostenere che questo tipo di Orientamento è pertinenza esclusiva dei WASP (White American Anglo-Saxon Protestant). Una strategia di orientamento immaginata per gruppi di élite non può interessare una società nella quale è enormemente cresciuto il numero di individui scolarizzati. La nuova situazione postula una più attenta disamina delle dinamiche che sovrintendono alle scelte: gli utenti dei servizi di orientamento non sono più soltanto i figli della borghesia (in senso stretto) ma provengono ora da tutte le classi sociali. Inoltre per quanto riguarda le recenti riforme legislative dell’istruzione, in uno schema che, a buon diritto può essere definito “labirintico”, i molteplici momenti di passaggio (“passerelle”) di cui è possibile avvalersi tra un tipo di istruzione e l’altra, sono altrettanti punti “cruciali” nei quali l’Orientamento può aiutare gli studenti a superare difficoltà degne di novelli “Teseo”. 415 Lo sviluppo delle pratiche orientative CAPITOLO 7 L’orientamento oggi Le considerazioni che abbiamo svolto mostrano come l’Orientamento non è, e non può essere, una procedura destinata soltanto a fornire consulenze per le scelte dei percorsi dell’istruzione superiore o di quella universitaria, ma deve diventare una strategia più flessibile e articolata, capace di contemperare le istanze più varie, i contesti più diversificati, con particolare attenzione alle scelte lavorative. I momenti nei quali si necessita di un intervento di orientamento si moltiplicano e l’orientamento diventa ora una pratica che interessa tutto l’arco di vita dell’individuo. Questo stato di cose è conseguenza della messa in discussione della stabilità del posto di lavoro e dell’incremento delle transizioni di carriera nelle quali è possibile incorrere, ciò determina la necessità di interventi destinati non soltanto a supporto delle scelte iniziali ma anche, ad esempio, per assistere quei lavoratori che, espulsi dal processo produttivo, devono trovare una riallocazione. L’orientamento smette perciò di essere un servizio rivolto esclusivamente ai giovani sia che debbano scegliere un percorso formativo sia che si affaccino al mercato del lavoro per individuare e/o avviare il proprio progetto di carriera. I mutamenti appena descritti non possono non influenzare le modalità agite da chi pensa e fa orientamento: il ventaglio di competenze che deve possedere l’orientatore si amplia, ora gli vengono chiesti interventi complessi per la cui realizzazione diventa, in quest’ottica, indispensabile il concorso di altri professionisti che integrino e arricchiscano la prestazione offerta dallo psicologo: esperti del mercato del lavoro e della formazione, counsellor, ecc. L’Orientamento si trova “ora” nella necessità di tenere conto di una serie di variabili in precedenza poco o nulla considerate; proprio perché deve contemperare istanze provenienti da contesti diversi, nel momento in cui ci si prefigge di fornire all’operatore competenze adeguate diventa importante dotarlo di strumenti di intervento per quanto riguarda: l’area della valutazione, dell’assessment, del potenziale individuale e delle competenze; l’area del counseling psicologico, individuale e di gruppo, finalizzato a fornire supporti facilitatori allo sviluppo delle capacità autovalutative e dell’attivazione delle strategie e competenze decisionali dell’individuo; l’area della gestione dei progetti di orientamento e di ri-orientamento nei quali sia prevalente, a seguito di riconversioni organizzative, la componente di cambiamento e di riqualificazione professionale dei singoli; l’area della formazione degli operatori che si occupano di orientamento per quanto concerne le competenze psicologiche. 416 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI L’articolazione di un percorso di orientamento prevede una serie di tappe che, a seconda dell’approccio dell’orientatore, possono configurarsi come più o meno strutturate. Innanzitutto il pre-orientamento che si configura come momento preliminare di informazione necessario dal momento che il contesto di riferimento non sempre è chiaro al soggetto che necessita di un intervento. Le modificazioni strutturali intervenute nelle organizzazioni e conseguentemente nel mercato del lavoro hanno messo in crisi la concezione esplicitata dalla locuzione “posto fisso”, progressivamente sostituita, non sempre in modo esplicito e condiviso, da una rappresentazione “aleatoria” delle occupazioni. Viene introdotto ora il concetto di lavoro flessibile, termine che in realtà troppo spesso nasconde il lavoro precario del quale diventa una definizione ingentilita. Tali mutamenti sono stati favoriti anche dall’introduzione delle nuove tecnologie che hanno esercitato una notevole influenza sui contenuti professionali di molte mansioni, determinando una serie di modificazioni che non sempre è possibile ascrivere all’interno della tradizionale dicotomia bisogni reali vs. bisogni indotti, rispetto alla nascita e sviluppo delle nuove professioni. Le trasformazioni cui abbiamo appena accennato necessitano di un approfondimento maggiore dal momento che influenzano le scelte di carriera: le organizzazioni richiedono sempre più lavoratori con profili professionali altamente specializzati in possesso di competenze trasversali che potremmo inscrivere nella macrocategoria “flessibilità”. I bisogni esplicitati dalle organizzazioni e le richieste poste ai candidati lavoratori vengono poi inoltrati al sistema formativo che ha il compito di formare i professionisti del domani. La flessibilità tra l’altro si esplica anche nelle richieste di mobilità, intesa come disponibilità a spostarsi stabilmente in sedi diverse dal proprio luogo di residenza per trovare un nuovo lavoro o per proseguire l’attuale in una nuova sede o in un nuovo contesto. L’articolazione del processo orientativo L’orientamento si declina nelle seguenti fasi: 1. informazione: si tratta di fornire elementi utili ad una decisione più responsabile, di chiarire i problemi del mondo del lavoro, delle forme di mobilità che lo caratterizzano, di offrire dati sulla sua natura: lavoro a tempo indeterminato, lavoro flessibile e lavoro precario. Richiamare l’attenzione sul passaggio da una strategia nella quale la centralità era del lavoratore a una anomizzata nella quale la 417 L’orientamento oggi CAPITOLO 7 L’articolazione del processo orientativo centralità è del lavoro; competitività, flessibilità, ecc. di fatto servono soltanto a nascondere la mancata assunzione di responsabilità; 2. scelta, si caratterizza come: a) aiuto alla scelta (guidance) b) verifica delle scelte già effettuate in autonomia, capace di fornire quando è utile strategie di sostegno e di supporto, prendendo in carico e guidando a nuove scelte gli individui espulsi dal processo produttivo; 3. formazione, ha l’obiettivo di svolgere un’azione efficace per: a) la genesi e lo sviluppo della personalità; b) l’acquisizione di metodologie di analisi eliminando la propensione a risposte preconfezionate; c) favorire la crescita del livello di autonomia individuale e la capacità di gestire la dipendenza; d) rinforzare la capacità di affrontare il rischio della decisione; e) fornire gli strumenti che consentono di superare situazioni cristallizzate che determinano scelte inappropriate; f) aiutare lo sviluppo di strategie originali che consentano all’individuo di individuare alternative valide; g) sviluppare la capacità di auto-valutazione. 4. counseling, ossia interventi di supporto per chiarire e superare i problemi personali che potrebbero influire negativamente sulla integrazione dell’individuo nel contesto cui fa riferimento (formativo e lavorativo). L’orientamento si configura perciò come: a) educazione alla scelta; b) processo evolutivo graduale e continuo; c) formazione; d) strategia mirata alla prevenzione primaria, secondaria, terziaria; e) attività che aiuta a scegliere (o a decidere) sulla base delle caratteristiche della propria personalità e delle opportunità/costrizioni ambientali; f) attività che educhi a guardare in maniera fantasiosa e creativa il proprio futuro. La conclusione del processo di orientamento deve consentire di “SCEGLIERE”. La realizzazione di questo obiettivo comporta l’acquisizione di adeguate conoscenze su se stessi e sulle proprie risorse: attitudini, interessi, motivazioni, valori, livello di aspirazione, capacità di problemsolving, competenze tecniche e trasversali; bisognerà contestualmente prendere in considerazione, procedendo ad un accurato esame di realtà le opportunità e barriere/impedimenti, del supporto di familiari e conoscenti, i punti di forza e di debolezza personali, ecc. Lo schema che abbiamo ipotizzato riguarda ovviamente una strate418 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI gia riferibile all’“alto di gamma” ed è immaginata per una popolazione che probabilmente esiste oggi soltanto nella fantasia degli orientatori di estrazione accademica, la realtà impone modelli sensibilmente distanti per i quali le ipotesi che abbiamo formulato hanno scarsissimo senso, non dobbiamo dimenticare che dell’orientamento devono poter fruire una platea assai più variegata di quella che veniva ipotizzata in passato, costituita da individui che si affacciano ad un mercato del lavoro profondamente modificato. L’orientamento deve poter offrire soluzioni concrete a tutti coloro che, espulsi dal processo produttivo, devono trovare un reinserimento lavorativo; in questo quadro completamente mutato può diventare importante dotare di competenze professionali tutti quegli operatori divenuti orientatori per decreto; senza volere immaginare opzioni folli risulta tuttavia importante ed economico offrire a tutte queste persone opportunità formative e che certamente potrebbero essere individuate tra quei moduli che abbiamo descritto, che potrebbero diventare momenti di arricchimento delle competenze di queste persone. In questo nuovo contesto “le competenze psicologiche” diventano necessarie ma non sufficienti. Una strategia di formazione degli orientatori deve presupporre l’acquisizione di competenze nelle seguenti aree: • valutazione e assessment del potenziale individuale; • capacità di gestione del counseling individuale e di gruppo finalizzato a fornire supporti facilitatori allo sviluppo delle capacità autovalutative e delle competenze decisionali dell’individuo; • capacità di gestire i processi di orientamento e ri-orientamento nei quali sia prevalente la componente “cambiamento e riqualificazione professionale”. La formazione degli operatori che si occupano di orientamento non può essere legata soltanto all’acquisizione di competenze psicologiche ma deve articolarsi e contemperare accanto a quest’ultime, conoscenze sui processi economici e del lavoro, su quelli legati alla formazione continua, alla legislazione del lavoro, e alla progettualità degli interventi sociali. La formazione degli orientatori oggi Lo scenario che si va configurando per quanto attiene alla formazione di coloro che si occupano di Orientamento si è perciò profondamente modificato nell’ultimo decennio. Se da un lato, il processo di arricchimento dei contenuti professionali delle singole mansioni, la diversa dinamica che caratterizza il mercato del lavoro, l’accresciuta sensibilità nei 419 L’articolazione del processo orientativo CAPITOLO 7 La formazione degli orientatori oggi confronti di aspetti connessi alla relazione, hanno modificato radicalmente l’intervento orientativo e consequenzialmente le competenze di chi all’orientamento è preposto, dall’altro ad occuparsi di orientamento, di consulenza alle scelte da effettuare alla fine di un percorso formativo o di strategie per rimodulare nuovi obiettivi professionali in conseguenza di cambiamenti (imposti o volontari) nelle traiettorie di carriera, sono chiamati ora anche una serie di operatori che hanno in precedenza svolto funzioni relative alle scelte a conclusione di un percorso formativo o per rimodulare nuovi obiettivi professionali in funzione di cambiamenti imposti o volontari nelle traiettorie di carriera sono ora chiamati operatori che non possedevano, né possiedono, specifiche competenze per interventi di orientamento consapevoli. Si tratta di operatori che molto spesso hanno imparato “a proprie spese” e che comunque oggi sono tra coloro che si occupano di orientamento. Pensiamo specificatamente a coloro che per tutta una serie di ragioni (spostamento a funzione di orientatore di unità di personale prima impegnato nei servizi gestiti dal Ministero del Lavoro e dedicati all’inserimento degli individui nel tessuto lavorativo) sono stati riallocati nel mondo dell’orientamento per effetto dell’eliminazione di ruoli, funzioni e strutture (Uffici di Collocamento, Uffici Provinciali del Lavoro, Uffici Regionali del Lavoro) che nella precedente architettura avevano compiti relativi all’inserimento degli individui nel mercato del lavoro, e quindi all’orientamento, alla formazione professionale, al collocamento e al ricollocamento; coloro che svolgevano queste funzioni senza alcun particolare processo di riqualificazione, sono stati riconvertiti alla funzione di orientatore. A tutti costoro si tratta di garantire perciò adeguate conoscenze e competenze di base, da integrare alla loro professionalità acquisita “sul campo” che possano aiutarli a svolgere realmente quelle attività di orientatori alle quali sono ora chiamati. Sulla base delle considerazioni che abbiamo appena formulato, il problema della formazione degli operatori dell’Orientamento può essere risolto immaginando due percorsi diversi: da un lato è indispensabile progettare e realizzare un percorso per la formazione di operatori le cui competenze psicologiche devono essere integrate da saperi “altri” che riguardano: l’economia, la politica economica, il diritto del lavoro, le strategie di management, la dinamica delle scelte. L’altro percorso che proponiamo, mira a dotare di adeguate competenze tutte quegli operatori appena ricordati che, provenienti da contesti diversi, si sono ritrovati ad affrontare professionalmente tematiche connesse all’Orientamento. Anche per costoro bisogna riuscire ad immaginare un progetto formativo capace di arricchire la loro professionalità e dare efficacia al loro intervento. Il quadro che si delinea presenta una serie di nuovi dati: la richiesta 420 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI di orientamento viene da un’utenza che in passato era poco o nulla coinvolta nella dinamica delle scelte; il ventaglio dei potenziali utenti dell’orientamento si allarga in misura notevole. Chiedono di essere assistiti e guidati, e di ricevere le competenze necessarie per elaborare decisioni autonome nuovi gruppi di utenti ai quali è necessario offrire proposte più articolate e ricche che non possono certamente esaurirsi nella valutazione delle abilità, degli interessi o della motivazione. L’orientatore deve in questo contesto diventare capace di leggere il quadro offerto dal mercato del lavoro, di tenere conto delle dinamiche occupazionali, e soprattutto deve diventare capace di offrire supporti che possano attenuare il disagio psicologico delle difficoltà di inserimento e integrazione, o che aiutino a superare l’inevitabile frustrazione derivante dall’espulsione dal processo produttivo. L’altro aspetto importante dinanzi al quale non è possibile chiudere gli occhi è rappresentato dall’arrivo sullo scenario di una serie di figure professionali alle quali a diverso titolo sono stati demandati compiti di orientamento. Quello della formazione dei professionisti dell’orientamento è ormai una tematica che ha superato i confini nazionali per assurgere ad oggetto di discussione transnazionale; esemplificativi a questo riguardo, sono gli undici punti emersi nel corso dell’assemblea generale IAEVG (International Association of Educational and Vocational Guidance) nel 2003, che riportiamo a piè di pagina3, e che hanno sintetizzato schematicamente riflessioni che da più parti sono state prodotte sull’argomento. Per quanto ci riguarda noi riteniamo che, oggi, nel nostro paese, il problema che si pone perciò è, da un lato quello di immaginare un percorso di formazione per i laureati quinquennali (master di secondo livello), e dall’altro lato moduli formativi che integrino le competenze di quegli operatori che lavoravano già precedentemente sul campo. 3 1. Assumere un comportamento eticamente corretto e professionale nell’adempimento dei doveri e delle responsabilità connesse alla professione. 2. Sostenere e guidare il progredire delle conoscenze e lo sviluppo professionale del cliente, ponendo attenzione ai suoi problemi personali. 3. Essere consapevoli e sensibili verso le differenze culturali in modo da interagire efficacemente con diverse etnie. 4. Saper integrare la teoria e la ricerca nella pratica dell’orientamento, nello sviluppo professionale e nel counseling. 5. Possedere le abilità per progettare, implementare e valutare i programmi e gli interventi di orientamento e di counseling. 6. Essere consapevoli delle proprie capacità e dei propri limiti. 7. Saper comunicare efficacemente con i colleghi e con i clienti usando il registro linguistico più opportuno. 8. Possedere informazioni aggiornate sulle tendenze scolastiche, sulla formazione, sui trend occupazionali, sul mercato del lavoro e sulle questioni sociali. 9. Dimostrare una sensibilità sociale e transculturale. 10. Possedere le abilità per collaborare in modo efficace in un team di professionisti. 11. Conoscere l’intero processo di sviluppo professionale lungo tutto l’arco della vita. 421 La formazione degli orientatori oggi CAPITOLO 7 La formazione degli orientatori oggi Sulla base delle considerazioni svolte, ci sembrano indispensabili due percorsi formativi diversi. Il primo, destinato ai laureati del ciclo quinquennale che guardano al mondo dell’orientamento come loro campo professionale e per i quali è da immaginare un percorso formativo che integri e approfondisca le conoscenze e le competenze acquisite. In questo percorso accanto ad alcuni moduli che mirano ad un approfondimento delle conoscenze nell’ambito della psicologia delle scelte in senso lato (psicologia dell’orientamento, strumenti utilizzabili nell’orientamento, psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ecc.) altri devono essere finalizzati all’acquisizione di competenze per quanto attiene alle metodologie specifiche (colloquio, counseling, trattamento dei dati, ecc.). In questo percorso formativo assume un ruolo di centralità “l’imparare a fare” cioè i laboratori che devono permettere di acquisire consapevolezza sulle strategie di intervento da adottare nelle diverse situazioni nonché il lavoro sul campo supervisionato. Una ipotesi che ovviamente è suscettibile di discussione e approfondimento è quella che presentiamo nella tabella che segue. Tabella 1: Proposta di un master di secondo livello per la formazione di Psicologi dell’Orientamento MODULI crediti Lezioni frontali esercitazioni studio stage individuale DIDATTICA FRONTALE Psicologia dell’orientamento: teoria Psicologia dell’orientamento: strumenti e progettazione Psicologia del lavoro e delle organizzazioni 6 40 24 86 3 20 12 43 3 20 12 43 Sociologia dei processi economici e del lavoro Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione Pedagogia del lavoro e della formazione continua Elementi di legislazione del lavoro e progettazione di interventi (Italia e EU) SUBTOTALI 3 20 12 43 3 20 12 43 3 20 12 43 3 20 12 43 24 160 96 344 Teoria e tecniche del colloquio psicologico 3 20 12 43 Teoria e tecniche del counseling 3 20 12 43 Teoria e tecniche dei test 3 20 12 43 SUBTOTALI 9 60 36 129 3 20 12 43 3 20 12 43 APPLICAZIONI LABORATORI Metodologie orientative nel contesto scolastico e della formazione Metodologie orientative nei contesti di placement e replacement professionale 422 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI segue: Tabella 1: Proposta di un master di secondo livello per la formazione di Psicologi dell’Orientamento MODULI crediti Lezioni frontali esercitazioni studio stage individuale Metodologia dei processi di comunicazione Supporti multimediali per le attività di orientamento Laboratorio di Bilancio di Competenze 3 20 12 43 3 20 12 43 3 20 12 43 SUBTOTALI 15 100 60 215 Project work 6 20 12 43 Stage 6 ATTIVITA’ SUL CAMPO 105 120 SUBTOTALI 12 20 12 43 TOTALI PARZIALI PER AREA 60 340 204 731 TOTALE ORE 225 1500 Il secondo modello è centrato sulle competenze possedute dai singoli operatori, e in questo senso deve tenerne accuratamente conto nella definizione del progetto formativo. Fermo restando che è necessario immaginare moduli, pressoché generalizzabili, destinati all’acquisizione di conoscenze relative alla psicologia delle scelte, del lavoro, alle strategie legate alla formazione continua, al colloquio e alla comunicazione; resta un’area della quale si vogliono dare qui, a titolo puramente esemplificativo, una serie di moduli che possono essere assemblati diversamente a seconda della tradizione delle aree regionali di riferimento e alle esperienze vissute dai soggetti interessati. Tabella 2: Proposta di alcuni moduli integrativi per i curricula di Operatori dell’Orientamento (con esperienze professionali pregresse) Elementi di legislazione del lavoro (Italia e EU) Sociologia dei processi economici e del lavoro Metodologia dei processi di comunicazione Supporti multimediali per le attività di orientamento Metodologie orientative nei contesti di placement e replacement professionale Psicologia dell’orientamento Psicologia del lavoro Teoria e tecniche del colloquio psicologico Ecc. 423 La formazione degli orientatori oggi CAPITOLO 7 La formazione degli orientatori oggi Un ragionamento siffatto è naturalmente inapplicabile se non c’è alla base un accordo il più ampio possibile: in primo luogo tra le istituzioni dedicate alla formazione, le università, e in secondo luogo con tutti quegli altri soggetti istituzionali che a vario titolo danno legittimità alla figura dell’orientatore: Sindacati, Sportelli per l’Impiego, Ministero del Lavoro, Centri di Formazione, Agenzie per la fornitura di Lavoro Temporaneo, ecc. 424 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI 7.6 I PROFESSIONISTI DELL’ORIENTAMENTO NELLA REGIONE LAZIO di Antonella Tarantino1 Il presente contributo, prende spunto dai dati emersi dal monitoraggio realizzato dall’Agenzia Lazio Lavoro – Ente strumentale della Regione Lazio – sulle strutture di orientamento della regione (i C.I.L.O., centri di iniziativa locale per l’occupazione e i C.O.L., centri di orientamento al lavoro); si tratta di un’azione finanziata dal P.O.R. Ob.3 F.S.E – Asse A1 – Annualità 2003, i cui risultati presentati a giugno 2005, si trovano sul nostro sito (http://agenzialavoro.sirio.regione.lazio.it). Se nelle altre Regioni, le Province hanno avuto la delega delle funzioni sia dell’orientamento che del collocamento, lo scenario normativo nel Lazio rispetto alle strutture di orientamento è il seguente: la Legge Regionale n. 38/98 (recante l’organizzazione delle funzioni regionali e locali in materia di politiche attive per il lavoro) ha assegnato le funzioni amministrative relative al sistema integrato dei servizi per il collocamento alle Province che hanno istituito i Centri per l’Impiego e in considerazione delle scelte adottate con la Legge n. 28/91 (istitutiva degli sportelli C.I.L.O), ha confermato le funzioni amministrative per l’orientamento al lavoro ai Comuni che hanno istituito i C.O.L.. Il Comune di Roma, accanto ai dieci sportelli C.I.L.O già esistenti, ha avviato tredici C.O.L. mentre gli altri quattro Comuni capoluoghi di provincia, in sostituzione dei C.I.L.O. hanno realizzato progetti per l’avvio delle attività dei C.O.L. Nella regione Lazio le strutture di orientamento, gestite dai Comuni e attualmente operanti sono 43 (23 su Roma e 20 sul restante territorio regionale). In particolare, i servizi offerti dai C.O.L. sono stati organizzati tenendo conto delle due fasi previste dal Masterplan Nazionale: tutti i servizi di base dovevano essere e sono stati erogati nel primo anno vale a dire il 2002 e quelli specialistici entro il 2006. Attualmente i servizi offerti al cittadino dalle strutture di orientamento si dividono tra servizi di informazione e servizi di formazione: i primi sono quelli di accoglienza e consulenza informativa, gli altri comprendono quelli di formazione sulle tecniche di ricerca di lavoro, counseling, stage, animazione territoriale, orientamento per fasce deboli, Eures (european employment services). I servizi erogati si rivolgono sia ai disoccupati, inoccupati, occupati, giovani e fasce deboli, sia agli Enti di formazione, Scuole, Imprese, Associazioni 1 Responsabile Unità Orientamento – Agenzia Lazio Lavoro – Regione Lazio. 425 CAPITOLO 7 I professionisti dell’orientamento nella Regione Lazio Imprenditoriali e Sindacali, Università, Informagiovani, C.I., Enti privati e del privato sociale. Lo sviluppo dell’intera azione orientativa si realizza nell’ottica dell’autonomia decisionale del soggetto/utente che viene accompagnato in questo percorso di assunzione di responsabilità nei confronti delle proprie scelte dal lavoro svolto in équipe dalle diverse figure professionali intese come dei facilitatori o mediatori di questo processo di orientamento. Il Masterplan Regionale dei Servizi per l’Impiego seguendo le linee del Masterplan Nazionale ha dato indicazioni sulle quattro figure professionali che devono lavorare in équipe all’interno delle strutture: • un documentarista che gestisce l’informazione ed accoglie gli utenti precisandone la domanda orientativa; • un orientatore senior che concorda i percorsi orientativi con gli utenti e ne definisce i progetti; • un animatore territoriale area politiche del lavoro che è tenuto ad attivare collaborazioni sul territorio con i municipi, i centri per l’impiego, i centri di formazione professionale, le scuole, i servizi sociali, le cooperative che si occupano di specifiche fasce di disagio economico e sociale, il terzo settore, ecc..; • un animatore territoriale area impresa che dovrebbe creare contatti privilegiati con i settori economici predominanti sul territorio (associazioni di categoria e singole imprese di dimensioni significative), offrire consulenze per l’attivazione di tirocini, erogare informazioni alle piccole e medie imprese sull’opportunità di assunzione di alcune fasce d’utenza, favorire le iniziative locali di creazione di aziende o cooperative, ecc. Queste sono solo delle indicazioni date dal Masterplan certamente non sufficienti per comprendere fino in fondo l’operato dei professionisti di cui si parla. E comunque, si tratta di una descrizione di profili professionali che potrebbe essere confrontata e integrata con quella dell’ISFOL che ipotizza dei profili professionali (operatore dell’informazione orientativa, tecnico di orientamento, consulente di orientamento, analista di politiche e servizi di orientamento) intesi come figure dedicate e presenti in diversi contesti organizzativi che, a titolo diverso, si occupano di orientamento. L’obiettivo è di creare un unico sistema territoriale di orientamento. Ma al di là delle definizioni, è interessante vedere come gli stessi professionisti dell’orientamento, si descrivono. Con il monitoraggio dell’Agenzia Lazio Lavoro sono state raccolte informazioni dai responsabili o referenti delle strutture, su tutti i 43 centri, tra C.I.L.O. e C.O.L., sui servizi erogati e in particolare sulle competenze degli operatori e sul loro ruolo professionale con specifica attenzione alla figura dell’animatore territoriale. L’indagine è stata svolta attraverso la som426 PROFESSIONE ORIENTAMENTO. RUOLI, FUNZIONI E ORGANIZZAZIONI ministrazione di un questionario relativo alle competenze a tutti i 150 professionisti operanti sul territorio regionale (hanno risposto in 128). Si possono sintetizzare i risultati in un profilo del “professionista tipo” delle strutture di orientamento dei Comuni della regione Lazio: 37 anni, con un’età che va dai 24 ai 55 anni; di sesso femminile (66%); con contratto co.co.co. (57%) (questo dato è cambiato rispetto al periodo di rilevazione perché il comune di Roma ha poi assunto il personale delle strutture formalizzando l’albo degli operatori dell’orientamento al lavoro, definendo il profilo professionale di funzionario dei servizi di orientamento al lavoro e di istruttore dei servizi di orientamento al lavoro quindi inserendo per la prima volta nella dotazione organica del Comune il profilo professionale di orientatore a tempo determinato e non più co.co.co). Gli orientatori e gli animatori sono confluiti nel profilo professionale di funzionario dei servizi di orientamento e gli operatori dell’accoglienza nel profilo professionale di istruttori del servizio di orientamento; con laurea o laurea breve (il 90%) in particolare laurea in economia, sociologia, lettere e psicologia; tempo di lavoro dedicato in media di 24 ore settimanali (quando il contratto è a tempo indeterminato il tempo è maggiore, quasi 33 ore settimanali); anzianità professionale all’interno della stessa struttura non superiore ai due anni (oltre il 60%); formazione ricevuta soddisfacente e organizzata in giornate singole o seminari di più giornate; l’operatore tipo si giudica competente esclusivamente nelle capacità relazionali (il 70%) mentre è perplesso rispetto alle competenze informatiche, alla capacità di progettazione, di lavorare in gruppo, di costruzione di reti e comunque, è l’esperienza sul campo che determina la pratica professionale (come riferisce oltre la metà del campione); l’intervistato sostiene che le competenze pi