Benedetta Awareness

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Benedetta Awareness
Italian daily news for key players and wine lovers
di: Fabio Piccoli
Benedetta Awareness
Quanti dei nostri brand vitienologici italiani sono oggi riconosciuti negli
Usa? Come aumentare il livello di awareness (consapevolezza) di alcune
nostre denominazioni o tipologie di vino (vitigno) al fine di renderle
vincenti sul più importante mercato del vino a livello mondiale?
Lavevamo promesso che saremmo tornati sulla ricerca Wine Opinions Vinitaly Survey,
relativa alle percezioni dei consumatori americani rispetto ai vini italiani. Unindagine che ci
ha fornito numerosi spunti di riflessione e, tra questi, quelli relativi al tema della cosiddetta
awareness e cioè la consapevolezza, la conoscenza dei consumatori americani rispetto ai
nostri brand, alle nostre tipologie di vino, alle nostre denominazioni.Su questo fronte sono
due gli aspetti indagati dalla ricerca: il primo riguarda i termini, le parole che vengono
maggiormente associate ai vini italiani. In estrema sintesi al panel di 1.463 consumatori
(provenienti dai 12 più importanti Stati Usa) è stata rivolta la domanda: "Quando pensi ai
vini italiani, quale è la parola o le parole che ti vengono in mente immediatamente?; il
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secondo riguarda, invece, lawareness, appunto, cioè il grado di conoscenza di alcuni dei
nostri più famosi (o ritenuti tali) vini.Riguardo al primo aspetto, le parole associate ai nostri
vini, i risultati, espressi attraverso la classica nuvola di parole (con la parola di dimensioni
più grandi che rappresenta i termini più utilizzati, associati), hanno fatto emergere molti
motivi sui quali riflettere, alcuni appaiono più scontati, altri molto meno e taluni potrebbero
rappresentare anche vere e proprie preoccupazioni.Innanzitutto la nuvola fa emergere in
maniera nettissima Chianti come la parola più associata, in maniera immediata, al vino
italiano. Al secondo posto, con un livello di associazione praticamente uguale troviamo 5
parole: Toscana, Sangiovese, Barolo, Rosso e Dry. E di dimensione solo leggermente più
ridotta (ma si tratta di differenze realmente minime) troviamo altre 6 parole: Earthy
(terroso), Prosecco, Food, Fruity (fruttato), Robust (robusto), Diversity (diversità).Vi sono
tante altre parole ma intanto soffermiamoci su queste. Osservare come, tuttoggi, il Chianti
rappresenti il termine maggiormente associato al vino italiano, già da solo testimonia come
forse i tanti messaggi frammentati sul vino italiano, diffusi anche in questultimi anni, sono
stati poco efficaci e si sono dispersi nel nulla.E non si può non notare come allo stesso
Chianti non si associ, ad esempio, il termine classico ad ulteriore dimostrazione di come vi
sia ancora una mare di cose da fare sul fronte della promozione e formazione.Interessante
anche evidenziare come la Toscana rappresenti un altro grande termine associato al vino
italiano e se a questo aggiungiamo anche il termine Sangiovese, potremmo dire che
complessivamente nella mente dei consumatori americani la trilogia Chianti, Toscana,
Sangiovese continua a rappresentare un valore altamente evocativo.Siamo riusciti a
sfruttare al meglio anche queste associazioni made in Toscana? Guardando i
posizionamenti attuali anche del re Chianti sul mercato Usa qualche dubbio ci viene. E se
poi andiamo alle altre denominazioni toscane non è che sempre i dati siano così
incoraggianti. Lo stesso Brunello è presente nella nuvola ma ci aspettavamo dimensioni più
grandi (ma probabilmente hanno influito anche i profili del panel degli intervistati), per non
parlare di super tuscan, anchesso presente come termine ma in maniera alquanto ridotta
(almeno rispetto alle aspettative).Anche sul termine Barolo (di dimensioni comunque di un
terzo rispetto a Chianti) potremmo dire quanto già affermato per il Chianti, e cioè che anche
in questo caso siamo di fronte ad vino legato fortemente alla tradizione italiana.
Praticamente gli unici vini italiani più recenti presenti nella nuvola, sono Pinot Grigio
(circa la metà di dimensioni rispetto a Brunello) e Amarone e Barbera (parità di dimensione
pur essendo due vini con una storia e unevoluzione commerciale molto diversa).Ma
tornando ai termini più associati appare sorprendente dry (secco) che, probabilmente,
rimanda anche in questo caso ad una percezione del passato dove i vini italiani apparivano
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più secchi, acidi, robusti (non a caso anche i termini robust e acidity sono ben
evidenziati).Molto incoraggiante lassociazione al termine food, ma è presente anche il
binomio food friendly (amici a tavola), che testimonia come il vino italiano tuttoggi sia
percepito come uno straordinario prodotto da portare a tavola ed abbinarlo al cibo. Siamo
sicuri, però, di aver investito in maniera adeguata per promuovere a valorizzare al meglio
questo straordinario punto di forza?Chiudiamo questo aspetto dellindagine evidenziando il
termine diversity che senza ombra di dubbio rappresenta una chiave di straordinaria
importanza nella caratterizzazione della nostra vitienologia. La percezione però che ci viene
confermata da questa indagine è che gli americani abbiano capito che siamo diversi, che
abbiamo unincredibile varietà di vitigni e di vini, ma purtroppo continuano a conoscerne
molto pochi.E questultima osservazione ci porta inevitabilmente al tema dellawareness. Su
questo fronte lindagine appare per certi aspetti impietosa e speriamo vivamente che,
trattandosi di unindagine qualitativa e non quantitativa (cioè statisticamente attendibile), vi
siano alcuni vizi sul panel indagato. Pur facendo la tara ad alcuni dati è indubbio che la
conoscenza da parte dei consumatori americani nei confronti dei nostri vini continua ad
essere decisamente troppo bassa.Del Fiano, del Franciacorta, del Greco di Tufo, della
Falanghina, del Salice Salentino, del Vin Santo e dellAglianico che si portano a casa un
indice di non conoscenza superiore al 50% ne abbiamo già scritto nel nostro precedente
articolo.Ma poco incoraggiante è anche che il 48% dichiari di non aver mai sentito parlare
di Gavi, il 47% di Vermentino, il 45% di Verdicchio, il 44% di Orvieto e Frascati (che
coincidenza per due delle storiche denominazioni bianche italiane), il 40% di Nero
dAvola.Evitiamo di andare ad evidenziare percentuali più basse del 40% se non rilevando
un sorprendente 35% di never heard (mai sentito) al Soave, il 33% al Nobile di
Montepulciano e il 30% a Valpolicella.Ma se alcune delle denominazioni sopracitate, pur
portandosi a casa risultati bassi sul tema dellawareness, si difendono poi sul mercato (che
significa che pur non essendo conosciute appieno hanno consumatori molto fedeli e
generosi), per altre la scarsa conoscenza è fatalmente abbinata anche a vendite ridotte.Non
vogliamo andare oltre, anche se sono tanti altri gli spunti di riflessione che vorremmo
condividere con i nostri lettori. Ci limitiamo, pertanto, a concludere con due domande:
possiamo proseguire nelle nostre azioni di promozione (sia da parte di aziende private che
consortili) senza tenere conto dellattuale livello di percezione dei consumatori americani nei
confronti dei nostri vini? Continuiamo a ritenere così poco utili le azioni di sistema per far
conoscere meglio il valore delle nostre denominazioni?
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