Intervista a Robin Rimbaud aka Scanner

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Intervista a Robin Rimbaud aka Scanner
09 dicembre 2002 delle ore 01:11
Intervista a Robin Rimbaud aka Scanner
L’inglese Robin Rimbaud da tempo ha assunto il nome d’arte Scanner, personaggio affascinante e
sfaccettato in grado di attraversare l’arte contemporanea e la musica elettronica con disinvoltura.
Attivo ormai da diversi anni ha gradualmente assunto una posizione centrale nella scena della
cosiddetta sound-art divenendo una vera figura mitica…
Mi parli dei tuoi inizi?
É da anni che registro ed uso registratori di
cassette e radio ad onda breve per ricevere
segnali da tutto il mondo, è così che ho scoperto
lo scanner verso la fine degli anni ’80 (è una
radio relativamente semplice), che mi ha dato
non solo la possibilità di sintonizzarmi
direttamente sulle lingue e le vite private di
individui, ma anche di darmi un nome.
La tua ricerca lambisce i confini della musica
e dell’arte visiva. Che significa per te
lavorare nel circuito musicale e quale nel
sistema dell’arte contemporanea?
È una questione interessante questa. L’arte per
me non è mai stata una “cosa”, una disciplina
orientata verso l’oggetto, piuttosto la vedo più
come un processo e come tale qualsiasi
limitazione o chiusura che la gente pone ai
lavori, produce immediatamente ulteriori
limitazioni, come tra l’altro ci ha dimostrato il
lavoro col suono. Negli ultimi 3-4 anni,
soprattutto il suono è stato finalmente
riconosciuto per il ruolo che giustamente
dovrebbe avere, alla pari con le arti visive, la
poesia, la letteratura etc. C’era una situazione
simile per molti anni con la fotografia, nel senso
che le gallerie ed i musei non la riconoscevano
come una forma d’arte valida; come anche la
video-arte che
negli ultimi 30 anni si è sviluppata a tal punto
da essere ora riconosciuta a pieno titolo
permettendo l’accesso ad un pubblico molto più
vasto.
Io sono solo una faccia delle tante che
compongono una lunga storia di artisti che si
spostano tra varie scene e processi. Dagli anni
’60 la relazione tra gli spazi delle gallerie e spazi
delle performance è cambiata e il pubblico si è
trovato davanti a possibilità nuove che non
avevano mai avuto. John Cage, Yoko Ono, The
Velvet Underground, Charlemagne Palestine,
tutti offrivano idee e lavori che trascendevano
i normali spazi “artistici” e negli anni la gente
si è lentamente aperta al punto tale che oggi in
alcuni spazi le barriere sono quasi inesistenti.
Sono contento di aver sempre l’opportunità di
offrire le mie idee ed il mio lavoro ad un
pubblico che ad esempio non frequenterebbe un
evento di musica elettronica.
Oltre la musica e l’arte contemporanea hai
lavorato nel mondo del teatro e del cinema.
M’interessa capire come ti rapporti a questi
settori.
Continuando con l’ultima risposta, io cambio
forma quando voglio, mai definendo me stesso
o il mio lavoro con una particolare etichetta.
Sono interessato a idee e temi che possono
manifestarsi in tanti modi diversi e tramite
molte strade.
Tutti i lavori che produco, sia con il suono e sia
con l’arte visiva, funzionano come metafore del
rapido processo di “mappare” i confini sfuocati
tra l’intimo (cioè la sfera individuale) e il
pubblico (la sfera accessibile a tutti).
Indipendentemente dal fatto che mi esprimo nei
club, o con installazioni e
colonne sonore; i miei progetti interrogano non
solo gli interventi nascosti quotidianamente
esercitati dal paesaggio sonoro immateriale sul
nostro ambiente fisico, ma anche la nostra
consapevolezza che questo fenomeno è sempre
presente, con le sue leggi e le possibilità di
manipolarlo.
Spesso, per i motivi di cui parlavi prima,
lavorare con il suono può non essere
comprensibile tanto per gli addetti ai lavori
quanto e soprattutto per il grande pubblico.
Ti sei mai chiesto se i tuoi lavori richiedono
di codici di decodificazione precisi?
Non puoi fare lavori che piacciono a tutti, è
prima di tutto importante fare lavori che
smuovono te stesso il creatore e poi sperare che
nel processo un pubblico possa rispondere in
maniera positiva. È un rischio costante che si
corre, cioè quello che il proprio lavoro venga
interpretato male, capito male, ridicolizzato.
Alla fine della giornata però in fondo almeno si
prova a far accadere qualcosa, cercando di
scavare a fondo e tirare fuori qualcosa di
passionale e che riesca a motivare. Non si può
mai incolpare il pubblico.
Insieme a te sono molti gli artisti dediti ad
una ricerca multidisciplinare che lega arte e
musica (Noto, Rjoji Ikeda, Brandon Labelle,
Steve Roden etc) che negli anni ’90 grazie al
veloce progredire e la democratizzazione
delle tecnologie di registrazione e di editing
ne hanno sviluppato diversi aspetti...
Credo che finalmente è arrivata l’ora che il
suono e la sound art si
apriranno ad un pubblico molto più vasto di
prima. È facilmente traducible in molte culture,
non si limita a questioni di lingua, non hai
spesso bisogno di punti di riferimento per
iniziare ad apprezzare il lavoro. Negli ultimi 3
anni ho fatto parte di un numero di spettacoli
per gallerie che hanno chiaramente a che fare
con la sound art - Sonic Boom alla Hayward
Gallery a Londra, 010101 al SFMOMA, Sonic
Process al Macba Barcelona e al Pompidou
Centre Parigi – quindi finalmente sembra chiaro
che gli organizzatori stanno espandendo I loro
orizzonti. È un momento molto buono. Nel
creare questi lavori ho ovviamente condiviso
tempo e belle cene con tutti gli artisti che hai
citato e credo che essi stiano creando alcuni del
lavori più freschi e dinamici di oggi.
E come ti sembra la risposta del mercato nei
confronti della sound art? Chi sovvenziona
quei lavori che richiedono molte volte un alto
costo di produzione? C’è più interesse da
parte delle gallerie private o dalle istituzioni
pubbliche?
Il Mercato? Non sono mai sicuro di cosa sia il
mercato al giorno d’oggi. Non penso mai alle
vendite dei dischi ed alle possibili vendite in
questo settore di CD, etc. Alcuni progetti sono
finanziati pubblicamente, altri sostenuti dal
British Council (come per me), altri sono
finanziati privatamente, altri ancora personalmente
come la pubblicazione dei dischi. Gallerie
private non mi hanno mai contattato per il mio
lavoro. Chi può dire, col tempo tutto può
cambiare.
In che modo hai iniziato a lavorare attorno
all’idea di trasformare immagini in suono?
Quando ero un adolescente mi divertivo a
giocare coi suoni sul mio registratore a nastro
4 tracce Teac e cercavo di costruire forme coi
suoni. Cercavo di immaginare di poter costruire
un certo tipo di forma: ad esempio un diamante
tramite il suono. Non avevo mai successo ma
era un’avventura intrigante per me. Recentemente
gli sviluppi tecnologici del software mi hanno
permesso di processare immagini, di mappare
suoni e leggere l’informazione binaria del
colore e dell’ombra come suono. Ancora oggi
penso alla forma ed al colore nei lavori che
faccio, soprattutto nelle collaborazioni, quando
considero come lo spazio pubblico funzionerà
nel contesto.
Ultimamente hai presentato all’Accademia
Britannica di Roma una nuova installazione/
performance intitolata ‘52 spaces’: il
rifacimento sonoro del noto film “L’eclisse”
di Michelangelo Antonioni. Come mai questo
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Exibart.com
interesse per il cinema d’epoca? Cosa ti ha
attratto del regista italiano?
Questo progetto esplora le risonanze ed i
significati nascosti del suono all’interno delle
immagini cinematografiche. Prendendo L’Eclisse
di M. Antonioni come il punto focale di
ispirazione questo lavoro cerca di riassemblare
il film attraverso la memoria del suono nel film
stesso e le location dove è stato girato e
attraverso le mie esperienze personali
all’interno della città di Roma. I miei ricordi
personali della città evocano smarrimento,
avendo esplorato la città per la prima volta
insieme ad una persona cui ero molto legato al
tempo. Ora con questi ricordi nella mente le mie
esperienze di Roma si sono colorate
costantemente di questi momenti, la scomparsa
di qualcuno con cui una volta ero in rapporti
così intimi e con ciò il mio tentativo di fuga da
questi ricordi.
Detto semplicemnte “L’eclisse” è l’inizio della
fine, suggerendo un senso di smarrimento, di
come la moderna società industriale può
annullare le emozioni tra l’uomo e la donna.
Nonostante sia essenzialmente sulla relazione
tra l’uomo e la donna, la vuotezza dei loro affetti
si rispecchia negli edifici e nel paesaggio. È
tramite piccolissimi dettagli che incominciamo
a capire i personaggi, come si rapportano con
il loro ambiente fisico ed in tutto questo il suono
è cruciale per la nostra comprensione del film.
lavori di Antonioni di questo periodo mi hanno
sempre intrigato, perché esprimono una
intimità sensuale con la città e le sue persone in
maniera distaccata e interessante.
Che tipo di progetti hai prossimamente?
Questa è una domanda facile da fare ma difficile
da rispondere. Recentemente ho presentato
un’installazione permamente al Raymond
Poincare Hospital a Garches in Francia nella
Salles Des Departs, praticamente la stanza dove
ci si saluta con i propri cari. Va d’accordo con
il bellissimo design di Ettore Spalletti. Ho
appena aperto Bette, una nuova etichetta
fondata per far uscire lavori che altrimenti non
troverebbero spazio al di fuori del loro contesto
originale. 52 spaces è una uscita di questa
etichetta e l’altra è la colonna sonora di
Nemesis, il lavoro di danza contemporanea di
Random Dance - resident company of
Sadler’s Wells London – che ha appena
celebrato il decimo anniversario.Ho numerose
uscite in arrivo ed è un periodo estremamente
prolifico per me. Ho registrato troppi dischi per
le vostre liste natalizie! C’è una collaborazione
con l’icona digitale americana Kim Cascone
che uscirà per Sub Rosa, un live con Stephen
Vitiello sempre su Sub Rosa, un nuovo EP sulla
Underscan di Berlino e uno per l’americana
Zerogsounds, poi ci sono dei remix per Tennis,
Meat Beat Manifesto e due belle collaborazioni
su Bip Hop in Francia con Tonne, il CD delle
Sound Polaroids, ed il CD Sound Toys.Adesso
poi vado a Milano per continuare a scrivere e
collaborare con il meraviglioso compositore
Salvatore Sciarrino, poi a Montreal per
ricreare la colonna sonora di Alphaville di
Godard (1965), poi finisco le colonne sonore
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09 dicembre 2002
per le produzioni radio BBC.
E poi tante altre cose!
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Il suono va in accademia
Scanner – 52 spaces
link correlati
posteverything.com/bette
underscan.de
zer0gsounds.com
bip-hop.com
subrosa.net
marco altavilla
Bio
Scanner - nome d’arte del soundartista inglese
Robin Rimbaud – crea paesaggi sonori
stratificati incrociando diverse tecnologie in
maniera insolita. Nei suoi primi e controversi
lavori adoperava lo scanner (una specie di
telefono/radio mobile) in grado di registrare
delle conversazioni telefoniche che inseriva e
manipolava successivamente nelle sue composizioni
musicali, e più di recente si è concentrato
sull’idea di scovare i rumori nascosti della
moderna metropoli intesa come simbolo del
luogo dove i significati e i contatti perduti
emergono. Dopo aver ricevuto l’ammirazione
di Bjork e Stockhausen, Scanner ha iniziato a
lavorare con altri musicisti dediti alla tecnica
del cut-up e ha collaborato con musicisti come
Bryan Ferry e Laurie Anderson, Rambert
Dance and Random Dance Company, scrittori
come David Toop e Simon Armitage artisti come
Mike Kelley, e molti altri. Come compositore
musicale la sua produzione include colonne
sonore per film, performance, radio ed
installazioni site-specific dove adotta diversi
media. Ha esposto e creato lavori nei più
prestigiosi spazi dell’arte contemporanea tra
cui il SFMOMA negli Stati Uniti, l’Hayward
Gallery di Londra, il Centre Pompidou di
Parigi, la Tate Modern di Londra e il Modern
Museum di Stoccolma.
indice dei nomi: Michelangelo Antonioni,
Charlemagne Palestine, Salvatore Sciarrino,
Velvet Underground, Ettore Spalletti, Stephen
Vitiello, Laurie Anderson, Brandon LaBelle,
Marco Altavilla, Robin Rimbaud, Michelangelo,
Mike Kelley, Steve Roden, Bryan Ferry, John
Cage, Yoko Ono, Rossi, Bjork, Dem