Isola Nera 3/53

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Isola Nera 3/53
Isola Nera 3/53
casa di poesia e letteratura
Casa aperta alla creazione letteraria degli autori italiani e di autori in lingua italiana.
Isola Nera è uno spazio di libertà e di bellezza per un mondo
di libertà e bellezza che si costruisce in una cultura di pace.
Direzione Giovanna Mulas. Coordinazione Gabriel Impaglione.
[email protected] - Febbraio 2009 - Lanusei, Sardegna
Pubblicazione Patrocinio UNESCO. Inserita nella categoria Riviste (Italia)
http://www.unesco.org/poetry/
Una persona che non abbia mai
commesso un errore
non ha mai cercato di fare qualcosa
di nuovo.
( Albert Einstein )
Vicente Aleixandre
Il poeta nasce a Siviglia ma trascorre l'infanzia a Malaga e in seguito segue la famiglia a Madrid dove studia
diritto ed economia. Conosce nell'estate del 1917 a Las Navas del Marqués, un villaggio in provincia di Avila, il
coetaneo Dámaso Alonso che lo avvia alla lettura dell'opera di Rubén Darío e alla scoperta della propria vocazione
letteraria. Al termine degli studi universitari il poeta inizia ad insegnare tecnica commerciale per poi impiegarsi in una
compagnia ferroviaria. Nel 1925 viene colpito da una nefrite tubercolare che lo distolse dalle vicende storiche del suo
paese perché costretto ad abbandonare il lavoro e a trascorrere un lungo periodo di riposo e isolamento a Miraflores de
la Sierra dove leggerà la poesia di San Juan de la Cruz e Fray Luis de León, oltre a quella di Gustavo Adolfo Bécquer e
Góngora. Nel 1926 escono le sue prime liriche sulla Revista de Occidente che segnano l'ingresso di Vicente nel gruppo
generazionale.
Nel 1927 il poeta partecipa all'omaggio per il poeta Góngora organizzato dalla rivista Verso y prosa. Ritorna a vivere a
Madrid dove risiede in una casa in "via Velintonia", la casa della poesia e dell'amicizia, che diventerà punto d'incontro
e riferimento di molti scrittori e intellettuali dell'epoca. Nel 1932 pubblica Espadas como labios (Spade come labbra)
ma, in seguito all'aggravarsi della malattia, il poeta dovrà subire un intervento chirurgico per asportare un rene. Nel
1935 gli viene assegnato il "Premio nacional de literatura".
Aleixandre, a causa della sua salute, non prende parte attiva agli eventi drammatici della guerra civile, ma collabora
alla rivista rivoluzionaria Hora de España. Nel 1949 viene chiamato a far parte dell'Accademia Española e nel 1977
riceve il Premio Nobel per la letteratura.
Si amavano
Vicente Aleixandre
Si amavano.
Pativano la luce, labbra azzurre nell'alba,
labbra ch'escono dalla notte dura,
labbra squarciate, sangue, sangue dove?
Si amavano in un letto battello, in mezzo fra notte e luce.
Si amavano come i fiori le spine profonde,
o il giallo che sboccia in amorosa gemma,
quando girano i volti malinconicamente,
diralume che brillano nel ricevere il bacio.
Si amavano di notte, quando i cani profondi
palpitavano sotterra e le valli si stirano
come arcaici dorsi a sentirsi sfiorare:
carezza, seta, mano, luna che giunge e tocca.
Si amavano d'amore là nel fare del giorno
e tra le dure pietre oscure della notte,
dure come son corpi gelati dalle ore,
dire come son baci di dente contro dente.
Si amavano di giorno, spiaggia che va crescendo,
onde che su dai piedi carezzano le cosce,
corpi che si sollevano dalla terra e fluttuando ....
Si amavano di giorno, sul mare, sotto il cielo.
Mezzogiorno perfetto, si amavano sì intimi,
mare altissimo e giovane, estesa intimitò
vivente solitudine, orizzonti remoti
avvinti come corpi che solitari cantano.
Che amano. Si amavano come la luna chiara,
come il mare che calmo aderisce a quel volto,
dolce eclisse di acqua, guancia dove fa notte
e dove rossi pesci vanno e vengono taciti.
Giorno, notte, occidenti, fare del giorno, spazi,
onde recenti, antiche, fuggitive, perpetue,
mare o terra, battello, letto, piuma, cristallo,
labbro, metallo, musica, silenzio, vegetale, mondo, quiete,
la loro forma. Perché si amavano.
IL
NOSTRO
APPELLO
La Casa di Aleixandre, sita in Madrid in via Velintonia…
… 3, già definita casa della poesia e dell'amicizia dove il poeta visse fino al 1926 e punto d'incontro e riferimento di
molti scrittori e intellettuali dell'epoca quali Pablo Neruda, Garcia Lorca, Rafael Alberti e tanti altri; è in preda all’
incuria più totale, ai furti, abbandonata. Un cartello appeso alla porta dice “in vendita”.
L’ indifferenza delle istituzioni locali è disarmante, dissacrante, scandalosa. Grandi poeti già scomparsi come Josè
Hierro, un nome tra tutti; hanno preso la causa Aleixandre a cuore, ma sono morti senza poter godere di risultati
concreti. Da vent’anni è attiva l’associazione culturale “Amici di Vicente Aleixandre”; lotta perché questa casa,
finalmente, abbia le cure che merita, venga destinata a punto d’ incontro di autori e poesia di ogni parte del mondo;
perenne omaggio al ricordo del grande poeta.
LA CONTINUITA’ DI UNA LOTTA INTELLETTUALE CHE HA PER SIMBOLO IL RISPETTO PER LA
LETTERATURA DI OGNI TEMPO E OGNI LUOGO:
mandare adesione mirata alla difesa della causa tramite un email con, ad oggetto: “per la casa di Vicente Aleixandre”,
specificando le generalità dello scrivente: nome, cognome, professione, città o paese ( se diversi dalla nazione di
provenienza pure specificarlo, grazie.).
Inviare le adesioni a : [email protected] / [email protected]
Da due settimane circa abbiamo cominciato la raccolta delle firme.
su Isla Negra (http://isla_negra.zoomblog.com ) sono già state pubblicate più di trecento adesioni.
PUBBLICHEREMO SUI PROSSIMI NUMERI DI ISOLA NERA E ISOLA NIEDDA TUTTE LE ADESIONI
PERVENUTE DALL’ ITALIA.
Ancora e sempre uniti, in difesa della dignità e la purezza dell’ Arte vera.
Giovanna Mulas
La Sposa
Leggenda Africana
C'era una volta un bellissimo topolino bianco, che diventava sempre piu' bello man mano che cresceva. I suoi genitori,
un po' preoccupati per il suo futuro, si chiedevano spesso dove avrebbero trovato una moglie degna per lui.
Quando arrivo' il momento di cercare una moglie decisero che solo nella famiglia di Dio poteva esserci una ragazza
giusta per lui. Cosi', come era solito fare nella tradizione dei topolini africani, gli anziani componenti della famiglia
andarono da Dio a chiedergli una moglie per il bel topolino. Giunti alla casa di Dio, gli anziani vecchietti entrarono e
dissero: "Signore nostro, siamo venuti per cercare la giusta sposa per nostro nipote, il bellissimo topolino bianco, solo tu
puoi aiutarci! Dio allora disse: "Grazie per essere venuti e avere avuto fiducia in me, io vi aiutero'. Dovete andare alla
casa del Vento, lui e' piu' veloce di me, ma attenti a correre forte per raggiungerlo e potergli parlare!”. Allora i vecchi
topolini si incamminarono verso la casa del Vento. Ma giunti la', il Vento disse loro: "Vi ringrazio, per essere
venuti qui ma il Mare e' piu' forte e grande di me, andate da lui e aspettate... la marea vi condurra' nella giusta
direzione. Cosi' andarono in mezzo al mare con una barchetta. Giunse l' alta marea e il mare con le sue onde
inizio' a parlare: "Topolini cari, grazie per essere venuti, purtroppo ho portato tante cose con la marea, ma non
ho la topolina che cercate; andate dalla Montagna, lei e' piu' alta e stabile rispetto a me: sapra' aiutarvi. A quel
punto i messaggeri andarono dalla Montagna, la quale li ringrazio' e disse loro: "Grazie topolini, so gia' quello che
cercate, dalla mia alta vetta riesco a vedere tutto! C' e' una creatura piu' potente, che mi sbriciola dalle fondamenta: abita
la', andate a trovarla! I topolini ormai stanchi e un po' sfiduciati, andarono nella casa che gli era stata indicata e videro
che era la casa di un Topo. Il capofamiglia disse loro: "Avete trovato la moglie per il vostro bellissimo topolino bianco!.
Che gioia! E cosi' il bellissimo topolino bianco trovo' una moglie degna di lui.
Prima di tutto vennero a prendere gli
zingari
e fui contento,
perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto,
perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato,
perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente,
perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a
protestare.
Bertolt Brecht, Berlino, 1932
SIMON KARLINSKY
Omosessualità nella letteratura e nella storia russa
dall'undicesimo al ventesimo secolo
Traduzione di Aldo Giglio e Sergio Trombetta
Questa edizione del saggio è una versione, integrata dall'autore, del testo apparso su
Gay Sunshine 1976.
Anche chi non è particolarmente interessato alla letteratura russa non può ignorare che durante le
prime tre decadi di questo secolo la Russia ha conosciuto poeti eccezionali in grande numero. Chi non è in grado di
leggere in russo ha comunque sentito parlare di alcuni di questi poeti per motivi non legati alla letteratura. Cosí
Majakovskij è molto conosciuto in occidente per il suo impegno rivoluzionario, Esenin per il suo breve matrimonio con
Isadora Duncan, Pasternak perché vincitore del premio Nobel e perché perseguitato dal governo sovietico, e, piú
recentemente,
Osip Mandelshtam poiché la vedova ha pubblicato importanti libri di memorie su come egli fu perseguitato e
annientato. Quelli che sono in grado di leggere la poesia in russo, si rendono chiaramente conto che questi nomi sono
soltanto i piú conosciuti all'estero tra parecchie dozzine di poeti dello stesso periodo la cui opera fu di uguale
qualità e importanza. Per restringere un po' il campo si potrebbe dire che Majakovskij, Esenin, Pasternak e
Mandelshtam appartengono ad una lista di 21 poeti (quattro donne, 17 uomini) che furono attivi alla vigilia della
Rivoluzione e ognuno di essi si sarebbe qualificato, in un'altra epoca o in un'altra cultura, come un grande poeta.
Questa spettacolare profusione di grandi poeti oggi non potrebbe essere messa in discussione da nessuno studioso della
poesia russa del primo '900. Quello che è molto meno compreso è che tre delle grandi poetesse del tempo (Anna
Achmatova, Marina Tsvetaeva, e Zinaida Gippius) avevano precise componenti bisessuali nel loro orientamento
personale che veniva espresso nella loro poesia; che l'opera dell'altra maggiore poetessa, Sofija Parnok è un eccellente e
possente relazione sulla situazione di un'artista lesbica in una società maschilista; che due fra i piú importanti poeti,
Michail Kuzmin, Nikolaj Kljuev, furono quello che oggi viene definito un gay e che altri due, Vjaceslav Ivanov e
Sergej Esenin, erano bisessuali e la loro esperienza gay si riflesse nella loro poesia. Indipendentemente da queste figure
maggiori, circa un'altra dozzina di poeti e scrittori di prosa gay pubblicavano in Russia alla vigilia della Rivoluzione
(molti di essi emigrarono piú tardi e andarono in occidentedove scrissero poesie di contenuto gay). Il periodo conobbe
almeno una interessante scrittrice di prosa dichiaratamente lesbica, Lydia Zinoveva- Annibal, nonché un poeta
sadomasochista o, piú esattamente piromasochista, Rjurik lvnev, col suo tema ossessivo di essere bruciato da
un'amante.
Un certo numero di pubblicazioni apparse durante l'ultima decade su Gippius, Kljuev, Kuzmin, Esenin, Ivanov e
Zinoveva-Annibal (sono apparse negli Usa, in Germania Occidentale e Belgio) non lasciano dubbi sul fatto
che vi fu una autentica liberazione gay nella letteratura e nelle altre arti in Russia all'inizio del secolo.
Questa improvvisa e aperta apparizione può essere datata dalla pubblicazione del romanzo di Tolstoj Resurrezione nel
1899. Il romanzo contiene parecchie discussioni contro l'atteggiamento estremamente tollerante verso la
omosessualità nella società di Pietroburgo (fatto che Tolstoj vede come un segno di decadenza) e tratteggia come
elemento negativo il fatto che il governo sia apertamente favorevole alla parità di diritti per gli omosessuali. Un
anno dopo vi fu la commedia femminista di Nikolaj Mínskij, Alma, in cui uno dei personaggi è una lesbica
rappresentata con tenerezza. Con la caduta della censura governativa sugli argomenti politici e sessuali dopo la fallita
rivoluzione del I905 furono
pubblicate la novella di Kuzmin Ali (In Italia è stata pubblicata nel 1981 con il titolo di Vania; Ed. E/0) e la sua
collezione di versi gay Reti (I907), la raccolta di poesia Eros di Vjaceslav Ivanov (I907), la raccolta di racconti
brevi di Zinoveva-Annibal, Il Tragico Zoo e il romanzo breve, pubblicato postumo, Trentatré Mostri (I907). Sono libri
che causarono un grande scandalo. Dopo la pubblicazione divenne una realtà della letteratura russa sia il trattare temi
omosessuali sia tenere atteggiamenti apertamente a favore dell'omosessualità.
L'accettazione di questi scrittori e dei temi che trattavano non fu affatto generale. La risposta indignata dei critici piú
conservatori del tempo fu riassunta nel libro di G. S. Novopolin, L'elemento Pornografico nella Letteratura russa
(1909), che accusò Zinoveva-Annibal e Kuzmin di essere corruttori dei giovani e propagatori di oscenità. I maggiori
scrittori piú tradizionali del periodo, sia che fossero impegnati nel movimento rivoluzionario (Gorkij), sia che non lo
fossero (Bunin), considerarono infine la nuova libertà nel trattare temi sessuali particolari come una specie di
pornografia. Ma i principali scrittori e poeti simbolisti e acmeisti che erano allora all'avanguardia della vita letteraria
russa e all'altezza della loro popolarità salutarono Kuzmin e gli altri scrittori gay come importanti talenti che avevano
cose interessanti da dire. Alexander Blok, il piú grande di tutti i simbolisti russi, considerò Ali un libro meraviglioso. In
occasione della precedente pubblicazione della raccoltadi versi di Kuzmin, Reti, Blok scrisse all'autore: «Signore, che
poeta siete e che libro avete scritto! lo sono innamorato di ogni sua riga... » Nikolaj Gumilev che insieme alla moglie
Anna Achmatova e a Osip Mandelshtam fu il fondatore e il capo del movimento acmeista, recensì la seconda
raccolta di poesie omosessuali di Kuzmin Laghi Autunnali (I9I2), sulla piú prestigiosa rivista d'arte del tempo, Apollon.
La conclusione della recensione di Gumilev mostra il tipico atteggiamento illuminato verso la letteratura gay e i suoi
scrittori da parte dei principali scrittori eterosessuali del periodo: «Michail Kuzmin occupa uno dei posti piú importanti
nella prima fila dei poeti contemporanei. Pochissimi altri riescono a combinare la meravigliosa armonia del tutto con
una cosí complessa varietà delle singole parti. Inoltre, essendo un portavoce degli atteggiamenti e delle emozioni di una
larga schiera di persone a cui egli è unito da una cultura comune e che è appena salita in tempi recenti sulla cresta
dell'onda della vita, Kuzmin è un poeta con radici organiche ».
Prima di discutere il lavoro individuale degli scrittori gay dell'inizio del ventesimo secolo vorrei gettare uno sguardo
all'omosessualità nella letteratura e cultura russa dei periodi precedenti. Quest'approccio storico può aiutare il lettore a
capire perché gli scrittori gay e i loro temi furono cosí largamente accettato durante l'ultima decade prerivoluzionaria e
perché furono cosí rapidamente rifiutati subito dopo la Rivoluzione.
IL MEDIO EVO
L'amore omosessuale maschile compare in una delle prime opere conosciute della letteratura russa, La Leggenda di
Boris e Gleb, anonima, ma quasi certamente scritta da un monaco omofilo all'inizio dell'undicesimo
secolo. Mescolando storia, agiografia e poesia La Leggenda di Boris e Gleb ebbe una considerevole circolazione nei
secoli successivi. Narra dell'assassinio nel 1015, per ragioni di dinastia, di due giovani principi di Kiev dai sicari del
loro fratellastro Svjatopolk il Maledetto. Descrivendo l'assassinio del principe Boris, l'autore si sofferma sullo
scudiero favorito di Boris «Ungherese di nascita, Georgij di nome» (Ungheria e Russia kieviana confinavano a quei
tempi). Boris aveva una magnifica collana d'oro fatta per Georgij l'ungherese che «era amato da Boris senza alcun
calcolo». Quando i quattro assassini affondarono le loro spade nel corpo di Boris, Georgij si gettò sul corpo del principe
esclamando: «lo non resterò indietro al mio prezioso signore! Prima che la bellezza del vostro corpo incominci ad
intaccarsi, concedete che anche la mia vita possa cessare». Gli assassini strappano Georgij dall'abbraccio di
Boris, lo pugnalano e lo buttano fuori dalla tenda sanguinante e morente. Dopo che Boris muore, anche il suo seguito
viene massacrato. Gli assassini non riescono a aprire il gancio della collana d'oro e, piuttosto che rovinare la collana,
tagliano la testa di Georgij, lanciandola molto lontano cosí che, aggiunge il narratore con indignazione, la testa e il
corpo non poterono essere unite in seguito per una sepoltura cristiana.
Sebbene la leggenda di Boris e Gleb sia costruita secondo il tipico schema agiografico importato da Bisanzio, la
comprensione dell'autore per il reciproco amore fra Boris e Georgij deriva chiaramente dal fatto che si rende
conto che l'assassinio gratuito di Georgij è dovuto alla sua esplicita ammissione di questo amore.
Il fratello di Georgij, Mosè, piú tardi canonizzato dalla chiesa ortodossa come San Mosè l'ungherese, fu l'unico membro
del seguito di Boris a scampare al massacro. Il suo destino successivo è descritto ne La vita di San Mosè l'ungherese,
che fa parte della raccolta delle vite dei primi santi russi conosciuta come il Paterikon di Kiev. Mosè fu catturato dalle
truppe di Svjatopolk il Maledetto e venduto come schiavo ad una nobildonna polacca che si innamorò del suo fisico
possente. Egli trascorse un intero anno resistendo alla tenacia della donna che voleva sposarlo, preferendo
la compagnia dei prigionieri russi. Alla fine, esasperata dai rifiuti e dai suoi rimproveri, la donna ordinò che a Mosè
fossero date cento frustate e che gli fosse amputato l'organo sessuale, dicendo: «Non risparmierò la sua bellezza, cosí
che non possano goderne neppure gli altri». Mosè si rifugiò quindi nel Monastero delle grotte di Kiev, dove visse come
monaco per altri dieci anni ammonendo sempre gli altri monaci contro le tentazioni della donna e del peccato.
Il monaco anonimo che scrisse la storia di Mosè parla del suo corpo possente e del viso bellissimo con una tale enfasi e
piacere da non lasciare dubbi sulle sue preferenze sessuali. La vita di San Mosè fu certamente influenzata dalla storia
biblica di Giuseppe e la moglie di Putifarre. Il testo è permeato di odio verso le donne e verso tutta la sessualità tipico
della tradizione monastica medioevale. La chiesa ortodossa russa canonizzò Mosè come martire che accettò la tortura
per conservare la propria castità. Inoltre, come sostiene Vassilij Rozanov nel suo libro scritto nel I9I3 in difesa della
omosessualità, Gente della Luce Lunare, pur essendo inserito nella formula agiografica tradizionale, la storia
di San Mosè l'ungherese è chiaramente la storia dell'omosessualità maschile punita perché incapace di affrontare il
matrimonio eterosessuale.
LA RUSSIA MOSCOVITA
Il periodo storico di Kiev, culturalmente ricco, (va dall'XI al XIII secolo) fu seguito da 250 anni di invasioni mongole e
dall'occupazione di tribù di guerrieri nomadi. Recuperata la propria indipendenza, la Russia, connuova capitale Mosca,
aveva preso molti usi e costumi dai mongoli. Le ricevevano educazione alcuna (nella Russia di Kiev le donne delle
classi piú agiate spesso conoscevano piú di una lingua, entravano in affari ed erano capaci di leggere e scrivere). I
matrimoni della Russia moscovita venivano combinati dalle famiglie e gli sposi spesso non si conoscevano e
si incontravano per la prima volta durante la cerimonia del matrimonio. Legami romantici o sentimentali fra uomini o
donne nella Russia del XVI secolo rimangono sconosciuti. Ciò che invece ogni osservatore, straniero o non, è d'accordo
ad ammettere, è che l'omosessualità maschile era sorprendentemente diffusa.
Il Gran Principe Vassilij III di Mosca che governò dal 1505 al 1533, sembra fosse gay. Per ragione di stato sposò la
principessa Elena Glinskij, ma era in grado di adempiere ai propri doveri coniugali con lei soltanto se uno tra gli
ufficiali della guardia si univa nudo a loro nel letto. La moglie fu tenacemente contraria a questa pratica, non, come si
può pensare, per motivi morali, ma perché temeva che ciò avrebbe esposto i suoi figli all'accusa di illegittimità. La vita
domestica di Vassilij ed Elena fu un inferno senza tregua. Uno dei loro figli nacque ritardato mentale, l'altro
governò la Russia come Ivan IV meglio conosciuto come Ivan il Terribile. Sovrano assetato di sangue, Ivan il Terribile
si sposò quasi tante volte quante Enrico VIII di Inghilterra, ma fu attratto anche dai ragazzi. Uno dei capi piú spietati
della polizia politica di Ivan, Feodor Basmanov («Col sorriso di una fanciulla e l'anima di un serpente» come un poeta
lo descrisse piú tardi) raggiunse la sua alta posizione compiendo danze seducenti in abbigliamento femminile alla corte
di Ivan (il film di Sergej Eisenstein Ivan il terribile mostra questo fatto, ma gli si conferisce un significato politico
piuttosto che sessuale). Ma l'omosessualità a Mosca non fu in nessun modo limitata ai circoli del potere. Sigmund von
Herberstein, che visitò la Russia durante il regno di Vassilij III quale ambasciatore del Sacro Romano Impero, ha
raccontato nei suoi Commentari delle cose moscovite che l'omosessualità maschile era prevalente fra tutte le classi
sociali. Il poeta inglese George Tuberville si recò a Mosca in missione diplomatica nel 1568. Era il tempo di una fra
le piú sanguinose purghe politiche di Ivan il Terribile. Tuberville tuttavia non fu scioccato dalla carneficina, quanto
dall'aperta omosessualità dei contadini russi. Nell'epistola in versi «A Dancie» (una descrizione degli usi russi
indirizzata all'amico Edward Dancie) Tuberville scriveva: Anche se il muzik ha un'allegra e galante moglie, Per
soddisfare bestialmente la sua lussuria tuttavia egli condurrà una vita da sodomita. Il mostro desidera di piú un ragazzo
nel suo letto Che una fanciulla, simile peccato compie una testa ubriaca. Apparentemente né leggi né usi reprimevano le
pratiche omosessuali fra uomini della Russia moscovita (non c'è notizia riguardante le donne). Gli unici atteggiamenti
contrari che si conoscano sono quelli della chiesa.
L'arciprete Avvakum, capo dei Vecchi Credenti, setta religiosa nata nel XVII secolo, considerava omosessuale ogni
uomo che si radesse la barba. Nella sua colorita autobiografia Avvakum ricorda di come fece imbestialire
un governatore di provincia rifiutando di benedire suo figlio. Poiché il giovane si era sbarbato, Avvakum pensava che
cercasse di apparire seducente. Il padre reagì al rifiuto gettando l'ecclesiastico nel fiume.
Il dodicesimo sermone del Metropolita Daniele, un predicatore popolare nella Mosca del I530, è quasi interamente
dedicato a denunciare gli omosessuali suoi contemporanei. Questi giovani, tuonava Daniele, si comportavano come
delle puttane: si radevano la barba, usavano lozioni e pomate, si imbellettavano le guance e profumavano il corpo, si
strappavano i peli con pinze, cambiavano le vesti piú volte al giorno e calzavano scarpe rosso scarlatto di una misura
molto piú piccola della loro. Daniele paragonava questi preparativi elaborati fatti dai giovanotti prima di uscire di casa
ad un cuoco che prepara un piatto molto decorato e ironicamente si chiedeva a chi dovessero essere serviti piatti così
rifiniti.
XVIII E XIX SECOLO
Pietro il Grande, che portò la vecchia Russia verso il mondo moderno (a calci e grida qualcuno potrebbe aggiungere)
all'inizio del XVIII secolo, fu uno di quegli eterosessuali che si divertono a fare i bisessuali all'occasione propizia. La
relazione di Pietro con il suo protetto Aleksandr Menshikov, il giovane panettiere che lo zar fece prima suo attendente,
poi generalissimo e infine principe, aveva questo atteggiamento sessuale. In guerra Pietro si serviva dei soldati come
compagni di letto, preferendo quelli con una grossa, molle pancia sulla quale amava posare la testa. Il compito di
scaldaletto dello zar fu molto impopolare fra le truppe di Pietro poiché i rumori prodotti accidentalmente dallo stomaco
li esponevano alle percosse.
Un altro sovrano della dinastia Romanov con caratteristiche bisessuali fu la nipote di Pietro Anna Joannovna
che fu imperatrice dal 1730 al 1740 e che secondo alcuni memorialisti ebbe relazioni con numerose gentildonne
della casa reale. Caterina II, tedesca di nascita, meglio conosciuta come Caterina la Grande, deve avere avuto un breve
rapporto con la principessa Dashkova, la nobildonna che aiutò Caterina a rovesciare il marito Pietro III e impadronirsi
del trono. Le memorie della Dashkova alludono pesantemente a questo tipo di relazione. Ma l'irresistibile passione di
Caterina per i maschi ben dotati - il termine «taglia regina» non sembra affatto inopportuno - le impedì di avere legami
sentimentali con altre donne. Sembra non esserci alcun fondamento per includere il figlio di Caterina Paolo I, il nipote
Alessandro I e il maresciallo di campo Michail Kutuzov (che comandò le truppe durante la campagna del 1812 contro
Napoleone) nella lista degli omosessuali famosi trovata in alcuni libri di recente pubblicazione. Questa affermazione
deriva da fonti polacche ed è da attribuire a una volontà di screditare i sovrani russi per il ruolo che ebbero nella
spartizione della Polonia. Una delle idee e degli atteggiamenti occidentali importati in Russia dopo le
riforme di Pietro il Grande fu l'omofobia. Nel XVIII e specialmente nel XIX secolo l’omosessualità maschile libera del
periodo moscovita diventa decisamente clandestina. Fra le classi piú povere e nelle aree remote del Nord la tolleranza
delle pratiche omosessuali sopravvisse tra le sette dissidenti dei contadini che si separarono dai Vecchi Credenti. Due di
queste sette, i Chlysty (Flagellanti) e gli Skopcv (Castrati) ebbero evidenti tendenze omosessuali, bisessuali,
sadomasochiste nella loro cultura, nel folklore e nei rituali religiosi. Gli skopcy, che si occupavano soprattutto di
commercio, avevano una pratica istituzionalizzata: il mercante anziano adottava un assistente-amante piú giovane come
figlio ed erede. Dopo la morte del vecchio questo erede avrebbe ripetuto il processo con uno piú giovane, dando cosí
vita ad una dinastia mercantile. Nikolaj Kljuev, le cui prime poesie sono una rielaborazione letteraria del folklore di
Skopcy e Chlysty, incluse parecchi sorprendenti esempi di poesia religiosa gay di queste sette nel libro Canti Fraterni
(1912). Dalla parte opposta della scala sociale troviamo una serie di scrittori gay ultraconservatori che salgono verso i
piú alti gradini della Russia zarista nel XVIII e XIX secolo. Ivan Dmitrev (1860-1837) il principale poeta del
sentimentalismo russo e autore di divertenti satire, di dolci canzoni d'amore e di favole didattiche, fu ministro della
giustizia sotto Alessandro I. Nella sua carriera governativa Dmitrev fu famoso per il suo nepotismo: si circondò di begli
assistenti, alcuni dei quali dovettero avanzamenti di carriera al fatto di essere suoi amanti. In poesia, però, indossava
una maschera eterosessuale, pretendendo di struggersi per qualche neoclassica Chloe o Phillide. Sono delle eccezioni gli
adattamenti di Dmitrev delle favole di La Fontaine I Due Piccioni che egli trasforma in inequivocabili descrizioni di
affari d'amore fra uomini. Il pubblico non russo incontra senza saperlo Dmitrev nel primo atto di Zio Vania di Cechov,
dove è citato un passaggio di una delle sue satire e nella Romanza della suite a L'attendente Kizhe di Prokofiev che è in
realtà una delle liriche piú conosciute di Dmitrev.
Uguale fu il nepotismo del conte Sergej Uvarov (1786-1855), ministro dell'educazione sotto Nicola I. Per migliorare la
sua situazione finanziaria Uvarov sposò una ricca ereditiera ed ebbe da lei parecchi figli. Il suo grande amore tuttavia
fu il bello, ma non troppo brillante, principe Michail Dondukov-Korsakov. Uvarov riuscì a fare avere all'amante la
nomina a vice-presidente dell'Accademia Imperiale delle Scienze e il posto di rettore dell'Università di Pietroburgo. La
mancanza di requisiti di Dondukov per questi due posti fu cosí evidente che un certo numero di poeti, incluso
Pushkin, scrissero terribili epigrammi sul sedere del giovane principe quale suo principale requisito per la poltrona
vicepresidenziale dell'Accademia. Politicamente reazionario, Uvarov fu il responsabile del motto «Autocrazia,
Ortodossia. Nazionalismo» che guidò i Romanov nel XIX secolo nella costante repressione di ogni dissidente e nella
sciovinistica persecuzione delle minoranze nazionali e religiose. Altri importanti conservatori gay del XIX secolo
furono Filip Vigel (1786- 1856), Konstantin Leontev (1831-1914) e il principe Vladimir Meshcherskij (i839-I9I4).
Vigel, amico intimo del grande poeta Pushkin, che conobbe e approvò le relazioni gay di Vigel, fu il sindaco della città
di Kersh, piú tardi governatore della Bessarabia. Le sue aperte e inequivocabili memorie (pubblicate integralmente nel
XIX secolo e in forma censurata durante il periodo sovietico) sono un notevole documento storico con una speciale
apertura sulla sensibilità gay del tempo. Leontev, diplomatico di carriera che trascorse molto tempo della sua vita
nei Balcani e successivamente divenne monaco, fu anche un buon romanziere e critico letterario (il romanzo La
colomba Egiziana, pubblicato in una traduzione inglese monca da George Reavy nel 1969, fu il tema di un saggio
critico di W H. Auden). Il libro di Leontev sui romanzi di Tolstoj fu il massimo punto di riferimento critico e resta una
dei libri piú belli del suo genere sino ai giorni nostri.
La novella Khamid e Manoli, pubblicata, nel 1869, è il resoconto di una relazione d'amore tra due uomini, un
turco e un cretese, che termina in una tragedia di sangue a causa dei pregiudizi anti-omosessuali della famiglia
cristiana del cretese. La storia è l'unica opera della letteratura russa della metà del XIX secolo che conosco che ponga
in cattiva luce
l'omofobia. Leontev non è abbastanza conosciuto come merita di essere sia come prosatore sia come critico perché i
suoi punti di vista cosí fortemente reazionari («piú a destra dello Zar» come recentemente un critico li ha definiti) gli
hanno alienato la simpatia di molti contemporanei ed anche perché la posterità ha provato disagio per la rapsodica
glorificazione della bellezza maschile e del corpo maschile che occupò gran parte della sua opera. Il contemporaneo di
Leontev Meshcherskij, anch'egli molto reazionario, fu un prolifico giornalista e un mediocre romanziere.
Meshcherskij fu amico intimo del figlio maggiore di Alessandro II, lo zarevic Nicola, erede al trono. Alla vigilia delle
nozze con la principessa danese Dagmar, Nicola morì a Nizza di una imprecisata malattia. Si sussurrò, con
insistenza, al tempo, che la causa della sua morte fu il suicidio causato dalla sua riluttanza a sposare una donna e ad
abbandonare la sua amicizia con Meshcherskij che i suoi genitori esigevano. Dagmar sposò il fratello piú giovane di
Nicola, Alessandro, che regnò come Alessandro III. Dopo l'incoronazione Dagmar prese il nome di Maria Fedorovna.
Sopravvisse alla Rivoluzione e fu successivamente impersonata da Helen Hayes nel film Anastasia.
Non tutti i gay della Russia prerivoluzionaria furono reazionari e conservatori. Ci fu per esempio la meravigliosa figura
anarchica di Nadezhda Durova (1783-1866), una donna che oggi probabilmente sarebbe classificata come un
transessuale. Forzata dai genitori a sposare un ufficiale dell'esercito, la Durova abbandonò marito e figlio dopo tre anni
e, indossata l'uniforme cosacca, si unì all'esercito per prendere parte alle guerre napoleoniche. Lo Zar Alessandro I,
venuto a conoscenza del suo vero sesso, diede alla Durova una sorta di dispensa di indossare indumenti maschili e di
continuare la carriera militare. Aleksandr Pushkin curò piú tardi la pubblicazione delle memorie della Durova e la
incoraggiò a intraprendere la carriera letteraria negli anni '30. La vita della Durova fu il tema di un certo numero di
romanzi russi, commedie, film e anche di un'opera. Tutte queste opere immaginano un suo fittizio interesse
all'amore maschile; nella vita reale non c'è nessuna notizia che si sia innamorata di altri uomini dopo il forzato
matrimonio. Nella seconda metà del XIX secolo visse Anna Evrenjova, la prima donna russa ad ottenere una laurea.
Dovette recarsi a Lipsia per guadagnarsi la laurea in legge poiché le università russe in quei tempi non ammettevano
le donne. In aggiunta alla carriera in legge la Evrejnova fondò e pubblicò uno dei piú bei giornali letterari degli anni '80
Il Messaggero del Nord di cui curò l'edizione insieme alla sua compagna e amante Maria Fedorovna.
Il giornale della Evrenjova fu la prima importante pubblicazione a concedere spazio ad Anton Cechov i cui piú
importanti racconti comparvero sulle sue pagine. Largamente liberale nella politica editoriale Il Messaggero del Nord
incoraggiò anche molti dei nuovi scrittori del nascente simbolismo.
Tra le figure di omosessuale della Russia di fine secolo si annovera il musicista Petr Ilic Ciajkovskij e il suo compagno
di scuola e piú tardi compagno di stanza e amante, il poeta Aleksej Apuchtin, parimenti conosciuto per la popolarità dei
suoi versi e per la sua straordinaria corpulenza: siccome almeno un altro dei suoi amanti era piuttosto grasso,
Ciajkovskij doveva preferire gli uomini in carne. Le poesie di Apuchtin furono musicate da un certo numero di
compositori, compreso Ciajkovskij, ma nonostante la loro larga popolarità alla fine del secolo, appaiono oggi
stucchevoli e datate. Nella sua vita Apuchtin sembra essersi adattato alla propria omosessualità meglio di Ciajkovskij, la
cui vita fu un continuo alternarsi di dolore, paura di esporsi e sporadici disperati tentativi di cambiare la sua natura
interiore.
I GIGANTI DELLA LETTERATURA E L'OMOSESSUALITA’
La letteratura russa del XIX secolo ricca e varia fu dominata dalle figure di cinque giganti letterari: Pushkin, Gogol,
Tolstoj, Dostoevskij e Cechov. Tracciare i rispettivi punti di vista sull'omosessualità di questi cinque scrittori significa
capire come l'intero fenomeno viene ad essere sempre meno evidente davanti all'avanzare del nascente vittorianesimo.
Aleksandr Pushkin (1799-1837) visse nel XIX secolo soltanto per un anno, ma il suo atteggiamento nei confronti di
tutte le forme di sessualità fu tipico del XVIII secolo e cioè di illuminata accettazione. Felicemente eterosessuale e con
una ricca e ricompensata vita sessuale, Pushkin guardava il sesso fra uomini come una alternativa sessuale che alcuni
fra i suoi amici preferivano, anche se egli personalmente no. Nelle poesie che imitavano l'antologia greca e i poeti arabi
Pushkin ogni tanto assumeva l'aspetto dell'uomo attratto dagli adolescenti, uno stratagemma che non aveva correlazione
alcuna con la vita propria del poeta. Scrivendo a Filip Vigel durante l'esilio di quest'ultimo nel sud della Russia,
Pushkin lo consigliava su quale delle loro comuni conoscenze maschili poteva accogliere favorevolmente le sue
avances. Egli unì a questa lettera una bella e spiritosa epistola in versi che non venne pubblicata interamente sino al
centenario della morte di Pushkin. In questa epistola il poeta commisera Vigel di dover risiedere a Kishinev piuttosto
che nella civilizzata città di Sodoma «quella Parigi del Vecchio Testamento», gli augura buona fortuna per le sue
conquiste fra i ragazzi di Kishinev e promette di fargli visita, ma ad una condizione: lo sarò felicissimo di servirti
Con tutta la mia anima, i miei versi, la mia prosa, Ma Vigel tu dovrai risparmiare il mio posteriore! Nikolaj Gogol
(1809-1852), piú giovane di Pushkin soltanto di dieci anni, è uno dei casi piú tormentati di autorepressione sessuale
riscontrati negli annuali della letteratura. Gogol trascorse tutta la vita nascondendo a se stesso e agli altri di essere gay
principalmente per motivi religiosi. I racconti e le commedie sono permeate della paura del matrimonio e da altre forme
di contatto sessuale con le donne, ma Gogol sviluppò questo tema caricandolo di simboli e fantasie surreali tali che i
lettori suoi contemporanei non lo capirono. La vita personale di Gogol consistette prevalentemente di innamoramenti
con uomini incapaci di corrispondere.
Scrittore brillante e spiritoso si suicidò lasciandosi morire di fame all'età di 43 anni dopo avere confessato la sua vera
sessualità a un prete ignorante e bigotto che gli ordinò di digiunare e di pregare giorno e notte se voleva evitare le
fiamme dell'inferno. Le due piú grandi figure del secolo Tolstoj e Dostoevskij, consideravano entrambi ogni forma di
sessualità come impura, disgustosa e pericolosa. Il tema dell'omosessualità nella vita di Leone Tolstoj (1828-1910)
merita uno studio approfondito che sicuramente un giorno sarà scritto. Nella sua fanciulezza Tolstoj si innamorò sia di
ragazzi sia di ragazze, scrivendo queste esperienze nella sua prima trilogia di romanzi autobiografici Infanzia,
Adolescenza e Giovinezza. Quando era militare nel Caucaso, nei primi del 1850, Tolstoj fu fortemente attratto da molti
commilitoni. Annotò nei suoi diari di rifiutare l'amore omosessuale perché la sua attrazione per gli uomini era
puramente fisica (egli era attratto soltanto da uomini molto belli, senza badare a intelligenza e personalità) mentre
l'amore per le donne era basato anche sulla loro personalità e non solamente sull'aspetto esteriore.
Negli ultimi scritti di Tolstoj l'omosessualità maschile è vista negativamente, nei pochi esempi che ho potuto trovare.
Anna Karenina contiene una breve scenetta di due ufficiali evitati dai loro compagni perché sospettati di avere una
relazione. Resurrezione è la grande accusa dell'anziano Tolstoj alle iniquità e alla corruzione della Russia zarista. La
tolleranza verso gli omosessuali e di coloro che pretendono per loro uguaglianza di diritti è considerata nel romanzo
come uno dei tanti sintomi della decadenza morale del paese.
Fedor Dostoevskij (1821-1881), uno fra i piú grandi esploratori della psiche mana che la letteratura abbia
conosciuto, non sembra avere avuto la consapevolezza dell'esistenza dell'omosessualità. Nelle Memorie da una
Casa di Morti, un resoconto in parte immaginario delle esperienze di Dostoevskij in una colonia penale siberiana, c'è
l'episodio curioso di una inesplicabile affettuosità di un carcerato verso il narratore. Il carcerato, un criminale violento e
insensibile, di nome Petrov, cerca sempre di scoprire il narratore, lo importuna con domande insignificanti per stare con
lui, gli fa dei favori e prova un grande piacere quando lo spoglia nei bagni comuni e insapona e lava il suo corpo mentre
se ne sta seduto ai
suoi piedi. Dostoevskij fornisce molti tentativi di spiegazioni psicologiche al comportamento di Petrov, ma li trova tutti
insoddisfacenti. La spiegazione piú ovvia di tutto ciò, vale a dire che Petrov trovava il narratore attraente e desiderab
ile, non venne in mente a Dostoevskij (ci sono in ogni caso alcuni elementi lesbici nella novella di Dostoevskij Netocka
Nezvanova). I racconti e le commedie di Anton Cechov (1860-1904) offrono notevoli e spregiudicate descrizioni di
sessualità, specialmente la sessualità femminile ed aiutarono a rimuovere i tabù dell'era vittoriana e le proibizioni
alle quali i suoi predecessori aderivano. Ma Cechov crebbe in un'epoca in cui le forme meno comuni di sessualità erano
diventate quasi del tutto invisibili. Non c'è riferimento alcuno alla omosessualità in tutto il vasto corpo degli scritti e
delle lettere di Cechov. Deve essere comunque stato a conoscenza delle relazioni che intercorrevano fra Anna
Evrejnova e la sua amante Maria Fedorovna, poiché le sue lettere alla Evrejnova si concludevano di solito con i saluti
alla Fedorova. Ma Cechov è conosciuto per avere espresso enorme imbarazzo per come Aleksej Apuchtin che
ammetteva di non avere mai provato il sesso con una donna, potesse scrivere convincentemente di amore e di passione
nelle sue poesie.
RIVOLUZIONARI E SIMBOLISTI
Si possono trovare omosessuali russi, nei 50 anni che precedono la Rivoluzione, nel ceto contadino, fra i mercanti,
nell'esercito, nelle arti e anche nei circoli vicini alla corte dello zar. A causa dei costumi che prevalsero prima del I905,
queste persone dovevano tenere abbastanza nascosta la loro natura, ma possono essere individuati se li si studia con
attenzione. Il settore sociale dove i gay - se mai ce ne furono non sono assolutamente riconoscibili è il movimento
rivoluzionario. Aspetto enormemente importante della realtà russa a partire dal 1860, il movimento rivoluzionario fu
prevalentemente populista nel xix secolo, ma si sviluppò in socialista, anarchico, e dal 1890 ebbe ramificazioni
marxiste. Nonostante i loro programmi politici derivassero da Proudhon, Marx o da Bakunin, i rivoluzionari russi del
xix secolo e dell'inizio del xx aderirono tutti ad una etica puritana e patriarcale elaborata nel 1860, al culmine dell'era
vittoriana, da un gruppo di critici letterari radicali utilitaristici i cui punti di vista hanno influenzato il radicalismo russo
da allora, ponendo le basi per l'atteggiamento verso la sessualità tipico dell'Unione Sovietica oggi. Questi uomini, del
tutto sconosciuti in Occidente, erano per la maggior parte figli di preti di villaggio che subirono una radicalizzazione
durante le riforme di Alessandro II e che portarono dall'ambiente clericale la convinzione che la rivoluzione richiede
una repressione ascetica di tutte le sfere della vita umana, fatta eccezione per quella politica e che l'interesse nella
sessualità e la ricerca di questo interesse sono peccaminosi, decadenti e controrivoluzionari.
Una importante fonte sul tipico atteggiamento verso la sessualità in generale e verso l'omosessualità in particolare di un
rivoluzionario russo all'inizio del secolo sono le Memorie di Prigione di un Anarchico di Aleksandr Berkman; scritte
per il pubblico americano, riguardano il tempo passato in una prigione americana per un atto di terrorismo
rivoluzionario. Berkman vi spiega in modo eloquente l'ideale ascetico rivoluzionario che egli aveva portato con sé dalla
Russia: un rivoluzionario è qualcuno «che si è emancipato dall'essere puramente umano e che si è innalzato al di sopra
fino a raggiungere la convinzione che esclude ogni dubbio, ogni rimpianto, in breve che nel piú profondo dell'anima si
sente rivoluzionario prima d'ogni cosa, e soltanto dopo umano». Partendo da questo ideale, la letteratura e tutte le altre
arti, a meno che non abbiano fini di propaganda o di parte, sono soltanto sospette e dannose. L'amore il contatto
sessuale sono permessi soltanto con una donna che abbia dedicato se stessa alla rivoluzione. Tutti ali altri
coinvolgimenti emozionali e ogni forma diversa di sessualità sono viste come decadenti e nemiche della causa
rivoluzionaria. La scoperta, che Berkman fece in prigione, che gli uomini della classe operaia sono capaci di avere
desideri omosessuali, gli giunse come un ribaltamento sconvolgente di ogni teoria che la tradizione rivoluzionaria
russa gli aveva insegnato. Berkman comunicò questa sua scoperta alla sua amica e amante di un tempo, il capo
anarchico Emma Goldman, stimolando il suo interesse al movimento di liberazione gay. Il risultato fu che gli anarchici
furono uno dei due partiti politici russi, durante il periodo parlamentare tra il 1905 e il 1917, a sostenere i diritti degli
omosessuali russi. L'altro fu il partito moderato-riformista dei democratici costituzionali, conosciuto anche come
dei Cadetti, uno dei capi del quale, Vladimir Nabokov, padre del famoso romanziere preparò un progetto per
liberalizzare le leggi sulle pratiche omosessuali che pubblicò nel 1914 coll'intenzione di sottoporlo alla Duma, il
parlamento russo. Altri capi rivoluzionari russi, piú importante dei quali il fondatore dello Stato Sovietico, Vladimir
Lenin, non ebbe i vantaggi delle esperienze educative che Aleksandr Berkman fece nella prigione americana. A leggere
i numerosi volumi delle lettere di Lenin è come esplorare la mente di un rigido autoritario con il genio per le lotte
politiche. Ascetico e puritano come lo era Berkman appena arrivato in America ma senza la sua calda umanità, Lenin
poteva scrivere con possente eloquenza sull'oppressione e sullo sfruttamento. Ma la nozione della libertà personale può
esser compresa leggendo la corrispondenza con Inessa Armand, dove egli insiste che la liberazione delle donne non
comporta il loro diritto a rifiutare la maternità, di abbandonarsi ad abbracci amorosi senza alcun serio impegno
sentimentale. L'odio di Lenin per la sessualità, la sua misoginia, il suo amore per la violenza gratuita sono tutte riassunte
nell'ordine al suo delegato a Nizhnyj Novgorod il 9 ottobre 1918 in cui, per prevenire il risorgere delle guardie bianche
comanda che tutte le donne dedite alla prostituzione siano fucilate o deportate senza processo (Raccolta completa
delle Opere odi Lenin, Mosca 1965, vol- 40, pag. 142). L'unica testimonianza che mi è stato possibile trovare sulla
consapevolezza di Lenin dell'esistenza dell'omosessualità è l'insinuazione che il capo socialista svizzero Robert Grimm
poteva essere screditato nei confronti degli altri socialisti se fosse stato accusato di pederastia.
Verso la metà degli anni '90 nella vita intellettuale della Russia acquistò importanza una nuova forma di coscienza che
respingeva sia la religiosità tradizionalista del regime zarista, sia il rigido autoritarismo e puritanesimo che caratterizzò
molto il movimento rivoluzionario. Questa nuova coscienza emerse negli scritti dei creatori del movimento simbolista
russo: Nikolaj Minskij (1855-1937), poeta e drammaturgo molto interessato allacultura lesbica, la cui commedia del
1900 Alma resta sino ai giorni nostri un sorprendente e aperto esame della repressione della sessualità femminile in un
mondo maschilista; il romanziere e poeta Fedor Sologub (1863-1927) ed il romanziere e critico Dmitrij Merezhkovskij
(1665-1941), entrambi scrissero sulle forme alternative di sessualità senza peraltro condannarle nei loro romanzi; e la
piú brillante fra i primi simbolisti Zinaida Gippius (1869-1945), poetessa e commediografa, il cui strano «mènage»
familiare a tre era composto da un uomo (.Merezhkovskij) e da un omosessuale (Filosofov) e che fu tra le prime una
aperta sostenitrice dell'androginia.
Le storie della letteratura sovietica descrivono i primi simbolisti o come mistici reazionari o come esteti apolitici. Ma in
realtà, molti di loro possedevano una notevole coscienza sociale ed erano grandemente impegnati per il cambiamento
rivoluzionario. Minskij, fra l'altro, curava l'edizione di un giornale bolscevico sul quale comparirono alcuni dei piú
importanti saggi di Lènin; Merezhkovskij e Gippius scrissero un opuscolo antimonarchico, Lo Zar e la Rivoluzione, che
fu proibito in Russia; e la trilogia di racconti utopici di Sologub, La leggenda che si va creando, è permeata di
presentimenti di una rivoluzione che avrebbe liberato tutti gli aspetti della vita e del pensiero umano. Quello che rende
questi scrittori invisi all'istituzione letteraria sovietica è che la nozione che essi avevano della rivoluzione comprendeva
non soltanto gli aspetti sociali e politici, ma anche una totale libertà nelle sfere sessuali, artistiche, mistiche e religiose.
La tradizione secondo cui l'omosessualità era difesa da politici conservatori, di cui è un esempio nel xix secolo
Konstantin Leontiev, fu continuata nei primi del xx secolo da Vasílij Rozanov (1856-1919), un saggista reazionario ed
antisemita che considerò l'omosessualità uno stile di vita alternativo valido ed onorabile.
Decisamente eterosessuale nella vita privata, Rozanov non sembra avere conosciuto alcun omosessuale personalmente o
avere studiato da vicino l'argomento. Nel sagggio del 1909 sull'omosessualità pubblicato sulla rivista La Bilancia e il
libro Gli uomini della Luce lunare, Rozanov sviluppa la teoria che tutti i veri omosessuali sono celibi e pertanto tutti
coloro che vivono nel celibato sono omosessuali. Alle pratiche orali ed anali con persone del proprio sesso ricorrono,
secondo Rozanov, soltanto gli eterosessuali privati degli sfoghi abituali. I veri gay e le lesbiche restringono
le loro pratiche sessuali solo al bacio e al contatto fisico, dice Rozanov, citando Platone come massima autorità. Oltre
ad avere alcune valide intuizioni (per esempio nella sezione su San Mosè l'ungherese), il libro di Rozanov stupisce sia
per il giudizio positivo della omosessualità sia per la assoluta ignoranza di chi o che cosa essi in realtà sono.
La rivoluzione del 1905 costrinse Nicola II a legalizzare tutti i partiti politici, a consentire un sistema parlamentare e ad
eliminare molte restrizioni alla libertà di parola e di stampa. Nonostante gli inutili e ripetuti tentativi di Nicola e di
Aleksandra di revocare o quantomeno di sabotare queste libertà, gli anni 1905-1917 furono un periodo senza precedenti
di libertà di espressione, unico nella storia russa. E’ in questo clima liberale che gli scrittori omosessuali russi escono
all'aperto. Esamineremo ora cronologicamente il loro contributo all'arricchimento della letteratura russa.
VJACESLAV IVANOV E LIDJA ZINOVEVA-ANNIBAL
Vjaceslav Ivanov (1866-1945) descrisse i suoi genitori e la prima infanzia in un grande poema narrativo, Infanzia
(ultimato nel 1918). Il padre del poeta era un radicale materialista tipico degli anni '60, mentre la madre, molto piú
giovane del marito, proveniva da una famiglia di preti ortodossi. Il conflitto fra i suoi interessi religiosi e la simpatia per
il movimento socialista e rivoluzionario furono dominanti nella prima giovinezza di Ivanov e culminarono nel tentativo
di avvelenamento all'età di 17 anni. A scuola, si innamorò del suo compagno Aleksej Dmitrevskij, il quale
condivdeva l'amore di Ivanov per la letteratura classica. I due giovani divennero inseparabili e spesso si trovavano in
compagnia della sorella di Aleksej Darija. Le rispettive famiglie considerarono l'intimità dei tre giovani
compromettente per Darija. Ivanov fu costretto a sposarla al fine di mettere le cose in regola. Come confessò piú tardi
ad un biografo, la sposò perché era «pazzamente innamorato» del fratello di lei e non sapeva in quale altro modo
esprimere questo amore.
In Germania, Ivanov studiò storia con il famoso Theodor Mommsen e scoprí il libro di Nietzsche La nascita della
Tragedia greca. Nietzsche gli rivelò la dicotomia dei principi apollineo e dionisiaco, fondamentali per la
poesia successiva di Ivanov e lo convinse che l'interesse per l'antichità classica e religiosa non era poi cosí
incompatibile con la passione politica libertaria come egli era stato portato a credere. Nel 1893, a Roma, Ivanov
conobbe Lidija Zinoveva-Annibal. L'incontro, Ivanov scrisse piú tardi fu «come un temporale primaverile dionisiaco,
dopo il quale tutto in me si era rinnovato ed era rifiorito». Figlia di un'agiata ed aristocratica famiglia di
Pietroburgo, Lidija era una ribelle nata. Testarda e sregolata, fu mandata dai genitori in un collegio femminile in
Germania dove scoprí le sue tendenze lesbiche. Quando una ragazza che sedusse fu espulsa dalla scuola, mentre a lei, la
seduttrice, fu consentito di rimanere grazie alla ricchezza dei suoi genitori, un forte senso di ingiustizia sociale si fece
strada nella sua coscienza. Per sottrarsi alla tutela dei genitori, sposò un insegnante privato che essi avevano assunto per
lei. Il matrimonio le diede una certa indipendenza economica e le permise di impegnarsi nel lavoro rivoluzionario,
unendosi al partito socialista-rivoluzionario del quale il marito faceva parte.
Dopo tre figli e parecchi anni di lavoro di cospirazione, la Zinoveva-Annibal giunse alla conclusione che l'ideale
rivoluzionario del marito era un inganno, che lui l'aveva sposata per i suoi soldi e che inoltre manteneva delle amanti.
Lo ricambiò lasciandolo, portandosi i bambini in Italia e intrattenendo contemporaneamente parecchie relazioni
lesbiche.
L'incontro con Ivanov in Italia sembrò un’ unione predestinata di due menti affini. Si liberarono l'un l'altro dei residui di
dogmatismo e di puritanesimo, incoraggiarono la propria omosessualità e ognuno aiutò l'altro a diventare
letterato. Ivanov scriveva versi sin dalla fanciullezza, ma fu dopo l'incontro con Zinoveva-Annibal che diventò poeta
vero. Da parte sua ella scoprí dentro sé una grande quantità di capacità nuove, incluso il talento letterario. Ci vollero
quasi sei anni perché riuscissero a procurarsi i rispettivi divorzi. Si sposarono nel 1899. La prima raccolta di versi di
Ivanov, Le Stelle pilota (1903), su cui aveva lavorato per un certo numero di anni, fu accolta con grande entusiasmo e
gliprocurò un posto permanente nel triumvirato della «seconda generazione di simbolisti» formato, oltre a Ivanov da
Aleksandr Blok e dal poeta e scrittore Andrei Belyj. Zinoveva-Annibal fece il suo debutto in letteratura nel 1904 con
una commedia intitolata Anelli che causò una grande sensazione (non sono stato tuttavia in grado di trovare una copia di
questa commedia). Nei primi anni del secolo i due scrittori si stabilirono a Pietroburgo in una casa conosciuta come La
Torre. Il loro appartamento diventò un autorevole salotto letterario. Un piano della stessa casa era occupato da Michaíl
Kuzmin, non ancora poeta in quel tempo (studiava musica, sperando di diventare compositore).
Zínoveva-Annibal e Ivanov erano affascinati dall'aperta omosessualità di Kuzmin. Come Ivanov scrisse nel diario nel
1906 egli vide in Kuzmin «un pioniere dell'età futura» nell'epoca in cui il riconoscimento universale del valore e della
bellezza dell'arriore omosessuale avrebbe reso capace l'umanità di raggiungere un nuovo livello di umanitarismo e di
ridurre la ferocia e la brutalità che aveva caratterizzato tanta storia dell'umanità. Zínoveva-Annibal ebbe relazioni
omosessuali durante il suo matrimonio con Ivanov. Sotto l'influenza di Kuzmin, e con l'incoraggiamento della
moglie, Ivanov si innamorò del giovane poeta Sergej Gorodetskij (piú tardi uno dei fondatori del movimento acmeista).
Gorodetskij era sostanzialmente eterosessuale, sebbene dieci anni dopo pare abbia avuto una breve storia con Sergej
Esenin. Questi comunque ricambiò l'infatuazione di Ivanov per un periodo piuttosto breve.
La fugace e insignificante relazione venne immortalata nella piú riuscita e personale raccolta di poesia di Ivanov: Eros.
Il libro piú facile e immediato di Ivanov, Eros è il resoconto di un corteggiamento gay, di seduzione, e infine di rífiuto,
scritto in parte in versi sciolti, espressi in un ritmo ipnotico, dalle brillanti sonorità e vivide immagini. Due delle poesie
maggiormente ammirate e spesso incluse in antologie appartengono a questa raccolta: «Il Giardino delle Rose» e
«L'Incantesimo di Bacco». L'amato appare in essi ora come il dio dell'ebrezza, ora come un circospetto fauno del bosco,
e ora come un uccello rapace pericoloso che il poeta spera di addomesticare prima che questo lo uccida. Nel 1907,
aiutando un contadino a curare un bimbo malato, la Zinoveva-Annibal prese la scarlattina e morí di lí a pochi
giorni. La sua morte fu per Ivanov una perdita immensa. Egli fece un culto della sua memoria e si dedicò alla
pubblicazione dei suoi scritti postumi. La pubblicazione di Trentatrè Mostri e dei due volumi di racconti brevi
significò per le lesbiche russe quello che per gli omosessuali era stato un anno prima la pubblicazione di Ali di Kuzmin
(pubblicato in italiano da E/O col titolo di Vania): mostrò al pubblico dei lettori che l'amore omosessuale
può essere serio, profondo, commovente. Trentatrè Mostri fu ristampato piú volte sino alla rivoluzione d'Ottobre, dopo
di che non fu piú pubblicato. Il lungo romanzo incompiuto della Zínoveva-Annibal Fiaccole, resta inedito
a tutt'oggi.
Ivanov cercò di trovarsi un ruolo dopo la Rivoluzione, ma la sua poesia e la sua personalità non erano in sintonia col
nuovo regime. Gli fu concesso di andare all'estero nel 1924 con la sua terza moglie che era la figlia del
primo matrimonio della Zínoveva-Annibal. Ivanov scrisse alcune fra le sue piú belle poesie in Italia negli anni 30 e 40,
dove visse tranquillamente insegnando letteratura russa e scrivendo il ben noto studio su Dostoevskij.
Ma non riprese i temi gay in nessuna delle poesie scritte dopo la morte della Zínoveva-Annibal. Gli ultimi mesi della
vita di Ivanov furono animati dalla relazione con lo scrittore americano Thornton Wilder che arrivò in
Italia con le forze statunitensi alla fine della seconda guerra mondiale.
MICHAIL KUZMIN
Il piú coerente, franco ed influente esponente della liberazione gay nella Russia prerivoluzionaria fu Michaíl Kuzmin
(1872-1936). La prima biografia completa di Kuzmin è stata scritta dallo studioso americano Malmstad ed è stata
pubblicata dalla W. Fink Verlag nella Germania Occidentale.
Kuzmin discendeva da una famiglia di nobili di provincia, Vecchi Credenti. L'episodio piú importante dei suoi anni di
scuola fu la presa di coscienza e l'accettazione di essere omosessuale. In questo processo fu aiutato da un
compagno di classe, l'alto, biondo e bellissimo Georgij Cicerin, piú tardi autore di un libro su Mozart e, dopo la
rivoluzione, diplomatico sovietico. Cicerin, che píú tardi negò e nascose la sua omosessualità, fu
manifestamente omosessuale in gioventú. Kuzmin era piú piccolo di statura, di carnagione scura, e con una faccia
dominata dagli enormi occhi scuri.
La poetessa Maria Tsvetaeva, che scrisse una bellissima memoria su Kuzmin, descrisse la sua prima impressione su di
lui cosí: «I suoi occhi e nient'altro. I suoi occhi e il resto di lui. C'era molto poco del resto di lui: quasi niente ». Gli anni
giovanili di Kuzmin furono impegnati in una ricerca complessa di esprimere se stesso (studiò musica con Ljadov e
Rimskij- Korsakov) e la propria identità.
Trovò insufficiente l'impegno politico del suo tempo e si rivolse all'estetica, all'arte e alla religione nel tentativo di
realizzare se stesso. Kuzmin trovò la sua vocazione come scrittore e poeta nel momento in cui le leggi sulla censura
erano state liberalizzate. Descrisse la propria ricerca di una identità omosessuale nelle sue due prime opere
pubblicate: in maniera metaforica e poetica nella commedia in versi La Storia del Cavaliere d'Alessio e, in termini
píú espliciti nel romanzo Ali (pubblicato a puntate su una rivista nel 1906 e in edizione a parte nel 1907).
Commedia e romanzo tracciano il progresso del rispettivo protagonista maschile verso la presa di coscienza e
l'autoaccettazione
attraverso il riconoscimento del valore della condizione gay. Ali diventò una «cause celèbre» e il catechismo di un'intera
generazione di omosessuali russi. Ebbe parecchie edizioni fino al I923, dopo di che non potè piú essere pubblicato.
Come dichiarazione di orgoglio gay e come fenomeno sociale la pubblicazione di Ali fu un evento che fece epoca. La
qualità letteraria, sfortunatamente, non eguaglia la sua importanza storica. Gli altri romanzi di Kuzmin sono anche piú
deboli, nonostante le interessanti riflessioni su esperienze gay. Le commedie, molte delle quali furono messe in scena
con successo da compagnie dilettanti e professionali sono interessanti per la loro descrizione positiva e assolutamente
naturale di relazioni omosessuali. Come Míchael Green rivelò nel saggio illuminante sulle commedie di Kuzmin c'è in
esse il tema ricorrente di un'intrusa, una donna eterosessuale che cerca di rompere una relazione di amore tra due
uomini. Il tema è particolarmente signifìcativo nei Folli Veneziani, l'unica commedia di Kuzmin ad essere stata subito
tradotta in inglese.
Ciò che conferisce a Kuzmin un posto indiscutibile nella letteratura russa del xx secolo è la sua poesia. Dalla prima
raccolta di versi Reti (1908) all'ultimo e forse piú grande libro di poesie, La Trota rompe il ghiaccio (I929), Kuzmin
risulta essere uno dei piú grandi maestri della poesia russa moderna, un poeta di eccezionale portata e profondità.
Molte delle sue poesie piú brevi sono unite in cicli dalla trama facilmente intuibile e trattano tutta una immaginabile
varietà di rapporti gav, dall'incontro casuale alle lunghe relazioni, sia carnali. sia platoniche.
Kuzmin colloca i suoi drammi lirici e le sue commedie in ambienti che conosce bene: nel mondo del teatro e delle arti;
nelle case di campagna, in posti di villggiatura stranieri e, piú sorprendentemente, nei parchi dove si batte e nelle saune.
L'amore e il sesso gay è un dato di fatto in tutta la poesia di Kuzmin; è per questo che scandalizzò i suoi diffamatori e
portò alcuni di loro ad accusarlo di pornografia.
Gli ammiratori però - e fra questi c'erano alcune fra le piú importanti figure letterarie del tempo - furono colpiti
non per il contenuto sessuale, bensí dalla precisione senza precedenti attraverso la quale la poesia di Kuzmin
rifletteva la vita.
Dopo la dominazione dispotica degli scrittori politici utilitaristi degli anni '60 e del misticismo metafisico dei simbolisti,
la prima poesia di Reti, che parlava di chablis ghiacciato, di corpi che si tuffano nel mare, la gloria della musica di
Mozart e lo sguardo astuto e seducente dell'amante del poeta, giunse come un ricordo meraviglioso della gioia terrena,
della bellezza reale di questo mondo che i poeti russi avevano molto spesso dimenticato e trascurato. Di tutti gli autori
russi che trattavano temi omosessuali, Kuzmin fu l'unico interessato alla politica. Approvò la Rivoluzione di febbraio e
salutò la Rivoluzione di ottobre sperando in una maggiore libertà e nella giustizia sociale. Mantenne la sua posizione
sulla scena letteraria durante i primi anni successivi alla Rivoluzione pubblicando alcune poesie fra le piú interessanti e
scrivendo articoli di critica per i periodici sovietici. Ma la sua iniziale «chiarezza» scompare nelle opere postrivoluzionarie e la poesia scritta negli anni '20 diventa sempre piú ermetica e surrealista. Dal 1925 in poi incontrò molte
difficoltà a pubblicare le sue cose. Si scatenò contro di lui una campagna di stampa. La solita spiegazione era
che la sensibilità omosessuale di Kuzmin era un retaggio del passato borghese e non apparteneva alla società sovietica.
L'ultima pubblica lettura della poesia di Kuzmin ebbe luogo nel 1928. Le autorità non permisero che fosse reso noto
pubblicamente l'incontro, ma la notizia si diffuse lo stesso e la sala della riunione si riempí all'inverosimile.
Quelli che erano presenti ricordarono la circostanza come l'ultima dimostrazione degli omosessuali di Leningrado.
Questi a centinaia si strinsero intorno a Kuzmin vestito poveramente offrendogli fiori e acclamandolo quale loro
portavoce.
Non si sa bene per quale miracolo Kuzmin riuscí a pubblicare il suo ultimo libro di poesie, La Trota rompe il ghiaccio,
nel I929.Il libro, il capolavoro di Kuzmin, è una delle massime vette della poesia russa del 900, uscí in una edizione
insignificante e venne ignorata oppure attaccata dai critici sovietici. Dopo questo non fu piú permesso a Kuzmin di
pubblicare altri lavori originali e dovette adattarsi a tradurre letteratura, per la maggior parte Shakespeare. Morí alla
vigilia di una fra le peggiori purghe di Stalin. Subito dopo la sua morte Jurij jurkun, suo amante da tempo e un certo
numero di altri omosessuali che gli erano amici furono arrestati e fucilati oppure mandati ai lavori forzati. Kuzmin
diventò una non-persona dopo la morte. Nessuna delle sue opere fu ristampata in Unione Sovietica a partire dal 1920.
E’ grazie agli studiosi americani Vladimir Markov, john Malmstad e Michael Green, che si incomincia a capire quale
eccellente e importante poeta egli fu.
III. NIKOLAJ KLJUEV E SERGEJ ESENIN
Se Ivanov, Zinoveva-Annibal e Kuzmin rispecchiavano l'esperienza gay dell'intelligentsija urbana, la poesia di Nikolaj
Kljuev (1887-1937) e, in grado minore, quella di Sergej Esenin (1895-1925), esprimono la sensibilità omosessuale fra i
contadini e le aree rurali remote. Kljuev proveniva da una famiglia di Vecchi Credenti appartenenti alla setta
dei Chlystv (il nome di questa setta è tradotto normalmente con Flagellanti, ma etimologicamente deriva dalla forma
plurale di Cristo). Trascorse l'infanzia nella regione di Olonets nel lontano Nord. L'amore per il paesaggio natio e le arti
della gente del posto come la scultura in legno, la pittura di icone, e la poesia religiosa dei Chlysty (che incominciò a
comporre in giovane età) permeò ogni scritto di Kljuev. La poesia libresca e molto «Ietteraria» degli inizi di Kljuev si
inseriva nel caratteristico filone della protesta civile, tipico della pubblicazioni russe provinciali del tempo.
Dal I9I2, Kljuev imparò a combinare la cultura letteraria del movimento simbolista con il suo folklore nativo. I due libri
che pubblicò quell'anno L'Eco dei Pini e Canzoni Fraterne (il secondo contiene temi apertamente gav) crearono
scalpore e fecero di lui una celebrità. Molte poesie scritte quando aveva 17 anni fanno supporre che il primo amore di
Kljuev sia stato un marinaio che perse la vita nel conflitto russo-giapponese 1904- 1906. Kljuev divenne il piú
importante del gruppo di poeti contadini, due dei quali Aleksandr Shijavets e Sergej Esenin, furono in momenti
differenti suoi amanti.
Questi poeti contadini si opposero all'introduzione delle istituzioni politiche occidentali nella Russia e della
cultura intellettuale urbana in generale, sostenendo piuttosto un separatismo di tipo contadino e la conservazione
delle forme tradizionali della vita di campagna russa. Le denunce frequenti di Kljuev dell'oppressione economica e
religiosa nei confronti dei contadini lo fecero apparire a molti come un autentico portavoce della campagna russa.
Fecero parte dei suoi ammiratori figure letterarie e politiche molto diverse come Aleksandr Blok, l'imperatrice
Aleksandra, il romanziere greco Nikos Kazantsakis e, con delle riserve, Leone Trotskij. Gli affari di cuore di Kljuev di
cui si è a conoscenza furono tutti con uomini di origine contadina, compresi i due amanti devoti del periodo
postrivoluzionario, il romanziere Nikolaj Arkhipov e il pittore Anatolij Jar- Kravcenko. Il grande amore di Kljuev però
fu senza dubbio Sergej Esenin.
Bello, affascinante e grande opportunista, Esenin arrivò a Pietroburgo nel 18I5 all'età di venti anni fermamente convinto
di diventare un poeta famoso. Per ottenere questo scopo Esenin si serví del suo fascino, dell'origine contadina (molto di
moda in quel periodo) e, quando necessario, dell'attrattiva che esercitava sugli omosssuali. Le brevi relazioni con Sergej
Gorodetskíj e con Rjurik Ivnev gli aprirono molte strade letterarie. Nell'aprile del 1915 Esenin scrisse a Kljuev una
lettera piena di ammirazione esprimendo il desiderio di incontrarlo. Come le memorie di Gorodetskij rivelano, Kljuev
venne a Pietroburgo e «si impadroní di Esenin diventandone l'esclusivo possessore». Nei due anni seguenti i due poeti
lavorarono in coppia, ostentando simili e sgargianti costumi folkloristici, dando insieme letture di poesie e passando
insieme molto del loro tempo. Le Raccolte di poesie di Esenin solitamente includono tre poesie d'amore per Kljuev del
1916, ma non specificano a chi queste poesie sono rivolte. Sergej Esenin fu bisessuale e per tutta la vita non seppe
decidersi fra uomini e donne. Alla fine si staccò da Kljuev e si orientò verso i matrimoni molto pubblicizzati con
l'attrice Zinaida Raich, con Isadora Duncan e con la nipote di Leone Tolstoj, per non parlare degli affari di cuore con
signore e dei clandestini coinvolgimenti con uomini. Quello piú duraturo di questi ultimi fu la relazione durata quattro
anni con il poeta Anatolij Maríenhof, al quale Esenin rivolse la bellissima poesia «Addio a Marienhof». Kljuev non
riuscí mai a rassegnarsi della perdita di Esenin, cantando nelle sue poesie la speranza che Esenin sarebbe tornato
da lui e affermando che essi sarebbero rimasti coniugi negli annali della poesia.
Come molti dei contadini russi, Kljuev ed Esenin diffidarono dei riformisti e dei partiti socialisti della Russia prerivoluzionaria, considerandoli come nobili che tramavano per imporre forme politiche straniere in Russia. Nel
ruolo autocratico di Lenin dopo la Rivoluzione di Ottobre, comunque, videro la restaurazione di una monarchia
contadina. Tra il 1917 e il 1919, Kljuev cantò le lodi di Lenin e celebrò la fine dei proprietari terrierí e della
piccola nobiltà, sperando che la legge bolscevica ripristinasse le strutture tradizionale della campagna russa e
proteggesse le sette dissidenti dalla persecuzione religiosa. Esenin salutò la Rivoluzione d'Ottobre in una serie
di poesie estatiche che mescolavano le figure bibliche con ciò che rimaneva di antichi culti della fertilità e
paravonavano il futuro mondo rivoluzionario ad una mucca che dava alla luce un vitello e alla vergine
Maria che dava alla luce Cristo. A partire dal 1922 i due poeti furono profondamente disillusi dal nuovo regime. Kljuev
si allarmò per l'ateismo militante del governo e per la persecuzione delle sette che sperava sarebbero state protette.
Temette anche che la nuova spinta del programma di industrializzazione potesse contaminare la campagna e
distruggere la vita nelle zone selvagge. Piú di tutto fu turbato per la disapprovazione ufficiale del suo atteggiamento
sessuale. L'amore omosessuale era esplicito nella prima poesia di Kljuev, ma non era né esclusivo, né centrale. Nelle
due splendide poesie del 1922, «La quarta Roma» e «Madre Sabbath», Kljuev dichiarava il proprio orgoglio
omosessuale con un fervore che non conosceva precedenti e accusava il governo sovietico e Sergej Esenin di tradimento
delle loro prime posizioni e dei loro piú nobili istinti. Per avere espresso questi sentimenti nelle sue pubblicazioni,
Kljuev fu bollato presto come «kulak» reazionario dalla stampa sovietica, un contadino ignorante che non capiva il
significato di industrializzazione e di comunismo. Dopo il I925, trovò sempre piú difficile pubblicare. Nel tardo
1920, scrisse un grandioso poema epico sulla vita nelle campagne sotto la guida sovietica intitolata Pogorelshchina.
L'opera sopravvisse perché Kljuev ne consegnò una copia ad uno studioso di letteratura italiano che lo portò fuori dal
paese. Una violenta diatriba, degna di Giovenale, in cui Kljuev denunciava la stupida e crudele persecuzione della
grande poetessa Anna Achmatova e che egli lesse soltanto a pochi amici intimi, portò al suo arresto nel 1933. Fu
condannato a quattro anni di lavori forzati. Sopravvisse a questi anni, ma la pena giunse a termine al culmine
delle purghe di Stalin.
Le autorità del campo, non essendo sicuri di dover rilasciare Kljuev, lo trattennero portandolo avanti e indietro
attraverso la Siberia nei treni del GULAG fino al momento in cui egli risolse il problema per loro morendo di
un attacco di cuore nell'agosto del 1937. Le poesie non pubblicate di Kljuev e la corrispondenza, che furono
conservate dal suo ex amante Nikolaj Arkhipov, scomparvero senza lasciare traccia alcuna quando Arkhipov venne, a
sua volta, arrestato e mandato in un campo di lavoro, dove morí. Sergej Esenin si impiccò in una camera d'albergo a
Leningrado
nel dicembre del I925, due anni dopo essere tornato in Unione Sovietica dall'America e avere divorziato da Isadora
Duncan. I versi che scrisse negli ultimi anni sono di disperazione: Esenin non riusciva a trovare posto
nella nuova società e le uniche persone nelle quali si poteva identificare erano gli alcolizzati e i derelitti di Mosca. Andò
a trovare Kljuev pochi giorni prima del suo suicidio, ma la breve lettera del suicida è indirizzata a un giovane poeta
ebreo con cui aveva trascorso una notte pochi giorni prima.
SOFIJA PARNOK
Dimenticata fino a poco tempo fa anche dagli specialisti di letteratura russa Sofija Parnok (1885-1933) sta per essere
riscoperta come un'importante poetessa del xx secolo. La pubblicazione di una raccolta di sue poesie e una sua biografia
a cura di Sofija Poljakova è stata pubblicata dalla casa editrice Ardis, la stessa che ha pubblicato l'edizione inglese di Ali
di Kuzmin. Questa edizione comprenderà i versi inediti degli ultimi cinque anni di vita della Parnok, un indimenticabile
documento del dolore sopportato da un'artista lesbica in una società che diventa sempre piú conformista e puritana.
Parnok nasce da una famiglia agiata nel sud della Russia. Per avere una parte dell'eredità della famiglia, fu costretta a un
matrimonio di interesse con un omosessule, ma non ebbe mai alcun dubbio circa la propria identità omosessuale. Fra i
numerosi amori, uno dei maggiori, fu la breve storia d'amore nel I9I3-I4, con la celebre Marina Tsvetaeva, subito dopo
che la Tsvetaeva si era sposata e aveva avuto una figlia. Tsvetaeva descrisse il proprio coinvolgimento con la Parnok in
un ciclo di poesie, «L'amico donna», non pubblicato in teramente sino agli anni '70 a causa del contenuto esplicitamente
lesbico. Parnok maturò molto lentamente come poetessa, e le ci volle parecchio tempo per trovare il proprio mondo
espressivo. Le prime poesie sono banali. La sua grandezza come poetessa diventa evidente soltanto nella quarta e quinta
raccolta di vrsi, Musica (1926) e In una Voce nascosta (1928). A differenza di Kuzmin, del quale lei è talvolta
considerata il corrispondente femminile, Parnok non ebbe il tempo di diventare famosa prima della Rivoluzione.
Raggiunse la completa maturità quando la stampa e la critica letteraria erano già controllate del tutto dal governo.
Come l'ultima raccolta di Kuzmin, In una Voce nascosta di Parnok, che è chiaramente l'opera maggiore di una grande
poetessa, non venne rilevata dalla stampa sovietica. Dopo questo libro, non fu piú permesso alla Parnok di pubblicare
versi. Come Kuzmin, fu costretta a tradurre testi letterari. Fu a questo punto, a quarant'anni, che Sofija Parnok incontrò
il grande amore della sua vita e si accinse alla realizzazione della sua operapiú pregevole. L'altra donna, era un famoso
fisico di 50 anni, che fino ad allora non era mai stata coinvolta in una relazione lesbica. Le ultime poesie della Parnok
riflettono questo disperato amore fra due donne non piú giovani, lei e la sua «musa dai capelli grigi». Le poesie vibrano
di disperazione perché tutto questo è arrivato cosí tardi. In un altro periodo o in un altro paese le due donne avrebbero
potuto trovare la privacy per realizzare la loro passione. Nell'Unione Sovietica dei primi anni '30 il loro amore fu una
totale catastrofe, che avrebbe condotto all'ostracismo, alla fine della carriera ed alla perdita del lavoro per la donna
amata. Le ultime poesie della Parnok analizzano questa situazione con uno stupefacente virtuosismo verbale. Questa
situazione angosciosa spezzò la forza della Parnok e ne causò la morte all'età di 48 anni.
LA SITUAZIONE POST-RIVOLUZIONARIA
Il libro di John Lauritsen e David Thorstad Il Primo Movimento per i Diritti Omosessuali, 1864-1935 (Edizione Times
Change, I974) è uno studio prezioso sui primi movimenti per i diritti omosessuali in Germania e in Inghilterra. Ma nella
sezione sulla situazione in Russia (pp. 62-70) Lauritsen e Thorstad datano l'inizio,della liberazione omosessuale a
partire dalla presa del potere da parte dei Bolscevichi nell'Ottobre del I9I7, attribuiscono ai Bolscevichi una grande
simpatia per la liberazione sessuale, attribuiscono loro l'abolizione delle leggi contro gli atti omosessuali e citano la
pubblicazione del libro di Kuzmin del I920 Immagini sotto il Velo come un esempio di una nuova era di libertà
sessuale che la Rivoluzione di Ottobre annunciava. Queste dichiarazioni possono essere solamente il risultato
dell'ignoranza oppure dell'ostinazione degli autori incuranti dei fatti storici.
Durante il periodo di relativa libertà di parola e di pensiero (1905-1917), molti membri dei vari partiti rivoluzionari ed
anche occasionalmente qualche bolscevico, come l'amante di Lenin Inessa Armand, arrivarono ad accettare la idea di
liberazione sessuale. I partiti che portarono a compimento la Rivoluzione del 1905 fecero cadere la monarchia nel
febbraio del 1917 e formarono il governo provvisorio, - i socialisti rivoluzionari, i Marxisti non leninisti (Menscevichi),
i democraticicostituzionali - si impegnarono tutti almeno in parte a favore della libertà di parola e di stampa e dei diritti
dell'individuo. Il concetto leninista di dittatura del proletariato, che era, secondo le stesse parole di Lenin, «null'altro che
un potere pieno, senza limiti, non represso dalla legge o da regola alcuna e che confidava pienamente nella violenza» e
amministrato preferibilmente dalla «legge e dittatura di una unica persona», significò, una volta raggiunto, l'abolizione
dei diritti e delle libertà civili che i russi avevano conquistato con le riforme degli anni '60 e dopo con le rivoluzioni
precedenti. Partendo da un punto di vista cosí borghese e puritano sul sesso che le figure chiave come Lenin, Trotskij e
Stalín avevano ereditato dalla tradizione rivoluzionaria degli anni '60 (e che imposero insieme al trionfo dell'ideologia
marxista-leninísta a società precedentemente tolleranti e disinvolte nei confronti del sesso come Jugoslavia, Cina e
Cuba), la Rivoluzione di Ottobre potè soltanto significare una era di repressione sessuale piuttosto che la liberazione. E
non è neanche vero che il governo di Lenin fece abolire la specifica legislazione contro le pratiche omosessuali; ciò che
fece abrogare nel dicembre del 1917 fu l'intero codice delle leggi dell'impero russo di cui quella legislazione non era
che una piccola sezione.
Il motivo dell'abrogazione fu quello di permettere al regime di dare sfogo all'ondata di «terrore rivoluzionario»
(diretto prima di tutto contro i rivoluzionari di altre fedi) e di dichiarare colpevole senza alcun impedimento
legale chiunque il governo indicasse (chi fosse interessato a questo particolare processo può dare uno sguardo al
capitolo «La legge come un bambino» e «La legge matura nel primo volume dell'Arcipelago Gulag di
Solzhenvtsvn).
Dieci mesi dopo la Rivoluzione di Ottobre scoppiò il caso Kannegiser. Leonid Kannegiser era un giovane poeta
omosessuale ebreo-russo, amico di Kuzmin, Mandelshtam, Tsvetaeva e di un certo numero di altri letterati. Il
ricordo su Kuzmin di Marina Tsvetaeva descrive una brillante riunione letteraria in casa dei genitori di Kannegiser alla
quale lei prese parte nel 1916. Il ricordo afferma con certezza che c'era un legame amoroso tra Kannegiser e Sergej
Esenin in quel tempo. Dopola caduta dello zar, Kannegiser si uní a un gruppo socialista. Durante l'indiscriminato terrore
di massa ordinato da Lenin nel 1919, quando centinaia di ostaggi vennero sequestrati a casaccio e giustiziati,
l'amante di Kannegiser, che non era affatto coinvolto in attività politiche, fu ucciso dalla Ceka (la polizia politica di
Lenin). Per rappresaglia Kannegiser uccise il capo della Ceka Mosè Uritskij. Una raccolta di articoli sul caso di
Kannegiser pubblicata a Parigi nel I928 spiega che l'assassinio fu l'atto impulsivo e disperato di un singolo. Ma la
Ceka, pensando di farla passare per una congiura dei Socialisti- Rivoluzionari, arrestò i genitori di Kannegiser e buona
parte dei suoi amici omosessuali, alcuni dei quali furono torturati perché confessassero (la Grande Enciclopedia
Sovietica sostiene che Uritskij venne «assassinato dai Socialisti-Rivoluzionari»). Negli anni successivi il caso
Kannegiser procurò alle autorità sovietiche un facile pretesto per intervenire contro tutti gli omosessuali che potevano
aver conosciuto Kannegiser prima della Rivoluzione. Secondo il libro di John Malmstad, questa fu una delle accuse
mosse contro l'amante di Kuzmin Jurij Jurkun al tempo del suo arresto del 1936.
Per eliminare ogni illusione sulla tolleranza dei diritti degli omosessuali, basta soltanto citare il caso di un omosessuale
che ricoprí un'alta posizione nella gerarchia del governo sovietico. Si tratta di Georgij Cicerin (1872- 1936), compagno
di scuola di Kuzmin che in gioventú lo aveva aiutato a venire a patti con la sua omosessualità. Prima della Rivoluzione,
Cicerin, accettò senza problemi la sua condizione di omosessuale. Unitosi al partito Bolscevico nel 1918, ricoprendo
un'importante carica diplomatica nel governo di Lenin, Cicerin si affrettò a nascondere la sua omosessualità e troncò i
rapporti con Kuzmin e con gli altri amici omosessuali. Cicerin riportò alcune fra le piú importanti vittorie per l'Unione
Sovietica che rappresentò nelle conferenze diplomatiche fra il 1918 e il 1925. Nel 1925, Cicerin fu esonerato dai suoi
doveri per ragioni di salute e acconsenti di andare all'estero per curarsi. Le memorie di un suo cugino, pubblicate in
occidente, rilevarono che la malattia in questione altro non era che omosessualità.
Dal 1925 al 1930 Cicerin si aflìdò ad una serie di cliniche in Germania alla ricerca di una «cura» del suo orientamento
sessuale. Nessuna «cura» ebbe successo, Cicerin fu allontanato dal corpo diplomatico al suo rientro in Unione
Sovietica, sempre «per ragioni di salute». Cicerin è una figura onorata nella storiografia sovietica, ma nessuna fra le
pubblicazioni su di lui fa riferimento alla sua omosessualità.
Nei primi cinque anni di governo, il regime sovietico fu un po' tollerante verso i diritti omosessuali (confronta
l'opuscolo del I923 di Grigorij Batkis, che Lauritsen e Thorstad considerato riflettere la posizione ufficialebolscevica),
proprio come tollerò i saggi e i romanzi femministi di Aleksandra Kollontaj e gli studi freudiani di Ivan Ermakov soltanto perché il governo era troppo preso a Garantirsi il pieno controllo e a eliminare ogni dissenso. Ancora, mentre il
laccio era poco stretto al collo degli omosessuali russi in patria (come la poesia di Kljuev, Kuzmin e della Parnok scritte
negli anni '20 riflette in modo cosí preciso), il governo inviava delegazioni ai congressi internazionali sulla libertà
sessuale per esaltare le virtú del proprio modello di legislazione nelle questioni sessuali. Dalla fine degli armi '20 il
nuovo senso del pudore sovietico e aveva raggiunto il livello che nei tempi piú recenti hanno raggiunto la Cina e
Cuba: un totale recesso ai costumi sessuali borghesi della età vittoriana, che vengono rappresentati come rivoluzionari.
«L'illuminata legislazione sovietica sull'omosessualità», di cui in occidente occasionalmente si legge e si parla è qualche
cosa che semplicemente non è mai esistita. Come ogni altra cosa nella società marzista-leninista, il destino degli
omosessuali russi tra il 1917 e il 1923 dipese dai pregiudizi e dai capricci personali dell'oligarchia governante. Questi
pregiudizi furono infine codificati nell'incriminazione ufficiale delle pratiche omosessuali con le leggi approvate nel
1933, leggi che vennero salutate da Maksim Gorkij sulle pagine della Pravda come un trionfo dell'«umanesimo
proletario».
Queste leggi furono molto piú feroci rispetto a quelle esistenti sotto gli Zar. Il vecchio articolo 995 del codice
penale, entrato in vigore negli anni '30 dell'800 ed abrogato con tutti gli altri codici nel I9I7, puniva soltanto i rapporti
anali fra uomini. L'avvenuta penetrazione doveva essere provata da testimoni e la pena era il confino coatto in Siberia,
senza carcere o lavori forzati. Secondo l'Enciclopedia Brockhaus-Efron, XX volume, Pietroburgo 1897, tentativi di
accusare persone di pratiche omosessuali in base all'articolo 995 non furono riconosciuti dai tribunali russi.
Resurrezione di Tolstoj fa un resoconto di quanto sarebbe successo a un uomo giudicato colpevole di aver violato
l'articolo 995. Il condannato ottiene un lavoro accettabile in una delle maggiori città della Siberia e, per la sua cultura e
per il talento musicale, presto diventa ospite desiderato nelle migliori dimore della città e prende parte a una serie di
pranzi e di feste. L'attuale legge sovietica non fa distinzione fra le varie pratiche omosessuali che punisce. Come si
legge nella Grande Enciclopedia Sovietica, nell'edizione del I952 e del 1975, la stessa omosessualità è considerata un
reato punibile (il regista Sergej Paradjanov fu dichiarato colpevole pochi anni fa per una cosa chiamata «parziale
omosessualità»). I lavori forzati dai tre agli otto anni sono la pena prevista. L'edizione del 1952 dell'Enciclopedia
afferma che l'omosessualità nei paesi capitalisti è un sintomo di «decadenza morale delle classi governanti» che
«scompare una volta che la persona viene a trovarsi in condizioni favorevoli» (presumibilmente in un campo di lavoro
stalinista). Il destino degli omosessuali russi durante lo stalínismo, quando a migliaia perirono nei campi del GULAG,
l'omofobia virulenta attuale della società sovietica (anche i dissidenti interessati ai diritti umani solitamente considerano
gli omosessuali dei criminali che non meritano alcun diritto), i problemi particolari che gli omosessuali sovietici
affrontano (per esempio i regolamenti sulla casa che vietano a due donne o uomini che non hanno alcun vincolo di
parentela di dividere un alloggio, i trattamenti coatti nelle cliniche psichiatriche segrete, il ricatto continuo del KGB pe
rcostringere gli omosessuali sospetti a spiare gli altri) e il trasferimento dei modi di pensare e delle pratiche sovietiche
da questa area in altri paesi che si rifanno al modello sovietico: ecco tutto ciò che noi in occidente vorremmo
davvero conoscere. Ad alcuni giovani omosessuali è stato permesso di partire con l'ondata generale di emigrazione. Può
essere una speranza che essi possano illuminare la nostra ignoranza una volta che si stabiliranno in occidente.
Lo studio dei poeti omosessuali russi e la libertà di espressione che un tempo essi avevano, fa nascere una domanda
ovvia: come poteva ottenersi quella libertà in un paese governato dallo Zar? Ma del resto non furono alcune fra le
vittorie piú importanti del processo di liberazione omosessuale in America ottenute sotto Richard Nixon? La risposta è
che, nonostante tutte le differenze esistenti fra i due paesi e di loro sistemi, ci furono in ogni caso alcuni sviluppi politici
che il governo non potè controllare. Né Nicola II né Nixon ebbero il potere di annullare l'opinione pubblica e la libertà
di insegnare e scrivere. La libertà di espressione nella Russia nel 1905-1917 era ben lontana dall'optimum. Eppure
lasciò sufficiente libertà di azione agli scrittori omosessuali russi di affermare la loro identità e di reclamare i propri
diritti. La Rivoluzione di ottobre pose fine a tutto ciò. Oggi molti giovani omosessuali in occidente sono innamorati dei
sistemi politici che parlano di liberazione mentre soffocano ogni forma di libertà di espressione e tutto ciò che riguarda i
desideri della gente che governano. Vjaceslav Ivanov, Michail Kuzmin, Nikolaj Kljuev e Sergej Esenin tutti sostennero
il colpo di stato di Lenin e Trotskij. Finirono esiliati, condannati, mandati nei campi di lavoro e costretti al suicidio. Non
c'è una morale in tutto ciò?
Ci sono due modi di vivere la tua vita. Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è
un miracolo.
( Friederich Nietzsche)
www.onematch.it
di Gio Sorrentino
César Cantoni
La Plata, Argentina -1951
(nunca pude recordar el nombre)
Nunca pude recordar el nombre de los coleópteros
De los montes volcánicos, de los ciclones.
Últimamente, he olvidado el nombre de algunas mujeres,
de muchos libros, de ciertas disciplinas.
De a poco, me voy quedando con las palabras justas,
las que aún son capaces de nombrar
la tragedia o los sueños,
mientras la realidad se adueña de lenguajes
cada vez más inútiles.
poema de “Diario de Paso”, 2008). - Tomado de: Diagonalconverso Nº 7 (Poesía La Plata )
Mai ho potuto ricordare il nome
Mai ho potuto ricordare il nome dei coleotteri
Dei vulcani, dei cicloni.
Ultimamente, ho dimenticato il nome di alcune donne,
di tanti libri, di certe discipline.
Lentamente resto con le parole giuste,
quelle che ancora sono capaci di nominare
la tragedia o i sogni.
Mentre la realtà s’ appropria di linguaggi
Ogni volta più inutili.
Trad: Giovanna Mulas/ Gabriel Impaglione.
Daniela Manzini Kuschnig
FETALE
risento frangersi l’ onda
in voci d’ acqua
riecheggiare il grido dei sassi
impietriti occhi aperti fissi
mi tagliano e scuciono in
ogni mia minima parte,
fettucce di tendini aspri e
giunture divelte dalla volta
del cielo
mi avvolgono come le fasce il neonato
e sorreggono fino alla riva
ricadendo in guizzi di dimenticate fonti
dove il buio annega irrespirato in fremito
d’ ombra.
Fetale.
Ed è allora che respiro.
Classe 1945, Daniela Manzini Kuschnig ha lavorato nella scuola come insegnante di letteratura inglese. Ha collaborato alla rivista Il
Club degli autori (Melegnano, Milano) per la quale ha scritto articoli per la sezione “Antologia dei poeti del ‘900″ e su autori di
lingua inglese. E’ stata redattrice - capo dell’ omonimo sito internet e responsabile di www.clubpoeti.it. Collabora a siti web di
carattere letterario con racconti, poesie e sintesi critiche. Sue poesie, racconti, articoli sono comparse in diverse riviste, Il Club degli
autori, Poesia (Crocetti Ed.), Laboratorio di Parole, Private, ed altre.Ha pubblicato:- Colours of women (poesie) Spiragli 30, Ed.
Nuovi Autori 1995- Incontri (racconti) Ed. Montedit, ottobre 1997- Con ali raccolte (poesie) Ed. Montedit, aprile 2000- Il monte
(romanzo) Ed. Di Salvo, luglio 2000E’ co- autrice di : “ 50 racconti brevi brevi “, Ed. Ellin Selae, aprile 1998″ Edizioni Internet”,
Artecom 1999, Roma / “Cesare perduto nella pioggia” Ed. Di Salvo, 2000. Dal 2008 ha un suo Blog con forum letterario:
www.dmksite.net
www.progettobabele.it
MARISA SACCON
NELLE NOTTI DI PIETRA
Ascolta bimbo mio
la nenia della pioggia stanca
e come sa rigare i vetri, le facce, la terra.
Senti questo fruscio di ali
sono le stelle che cadono nelle tue mani
che fanno un bisbiglio di seta.
Senti come il vento tamburella sui vetri di cartapesta
cadono suoni di bolle nella stanza.
Ascolta – la senti anche tu? - questa eco che singhiozza
ruote aguzze cigolano nel vento della sera
Fa’ piano, non fare rumore
Fa’ piano ché quell’uomo è già stanco
Nella notti di pietra come questa
è solo questo silenzio a tenergli compagnia.
(E tu fai piano che non gli piovano echi…)
…e MARISA SACCON si racconta…
“Mi chiamo Marisa Saccon e sono nata in provincia di Venezia il 7 luglio 1964. Seconda di sette figli, ho trascorso un’infanzia e
un’adolescenza serena nella campagna padovana sognando di diventare medico e di fare la scrittrice. Diplomata perito aziendale col
massimo dei voti, per motivi familiari, ho rinunciato all’università e ho iniziato subito a lavorare nello studio di un procuratore. Nel
1986 ho aperto un’ agenzia di pratiche amministrative a Padova. Nel 1992 ho iniziato la collaborazione con alcune riviste femminili
che è subito decollata. Per tre anni ho scritto e pubblicato a ritmo serrato numerosi racconti e romanzi. Nel 1996 nasce la mia
primogenita Sara e subito dopo, per motivi di salute, smetto di scrivere. Chiudo l’agenzia e apro uno studio di consulenza legale e
amministrativa per notai, avvocati e commercialisti. Nel 2003 riprendono le collaborazioni con le riviste periodiche femminili.
Nel 2004 nasce la secondogenita Alessia. Oltre a scrivere e a occuparmi di tantissime altre cose, attualmente sono moderatrice in
mailing list di mamme che sostengono l’allattamento al seno, svolgo attività divulgativa nel web e sostengo e partecipo, assieme ad
altri genitori e agli addetti ai lavori, a varie iniziative a favore dei bambini e dei genitori. “
ANNA BAITON
Vive ai margini del branco
quel vecchio leone che non mi ha mai avuta.
Grandi ruggiti lo cambiavano
passi pesanti e corpo stanco lo schiacciavano
Un quarto di vita insieme
tra lacrime e l'incubo di non voler riconoscere.
Tante volte ho sanguinato
e tante volte ho tamponato senza mai cercare.
Il suo corpo prima mostrato senza pudore
ora rosso in viso si lascia fare
Tante volte sono caduta
ripercorrendo come una fotocopia i suoi inciampi
Ora solo sangue gentile ed occhi calmi
che gurdano scorrere il suo denso liquido nei figli dei figli .
Deposte le armi
la sua anima ha cominciato a parlare aspettando l'eternità.
Gocce non più pesanti rigano il mo viso
solo adesso capisco di essere sempre stata sua.
I suoi ruggiti sono diventati i miei
e guardandomi allo specchio sono entrata nella vita.
Piango pensando ad un suo prossimo saluto
piango...per il tempo perduto.
LA RAGAZZA CON LA
TESTA DI CAVALLO
LEGGENDA CINESE
Una volta,tanto tempo fa,c'era un vecchio che parti' per un viaggio.
A casa non era rimasto nessuno se non la sua unica figlia u uno stallone bianco.
Ogni giorno la ragazza dava da mangiare al cavallo.
Nella sua solitudine,aveva una grande nostalgiadi suo padre.
Cosi' un giorno disse per scherzo al suo cavallo:"Se mi riporti mio padre,ti sposo".
Il cavallo,non appena ebbe udite queste parole,dette uno strattone alle redini e corse via.
Corse senza mai fermarsi finche' non giunse nel luogo dove si trovava il padre della ragazza.
Quando scorse il cavallo,il vecchio ne fu piacevolmente sorpreso, lo afferro' per le briglie e gli monto' in sella.
Il cavallo scalpitava per riprendere la via di casa,nitrendo senza sosta.
"Questo cavallo non mi convince"penso' il padre."A casa deve essere successo qualcosa".
Mollo' dunque le redini e cavalco' verso casa.
Il cavallo era stato tanto bravo che gli dette da mangiare in abbondanza.
Ma lo stallone non tocco' cibo e,quando vide la ragazza,le si avvento' contro provando a morderla.
Il padre,meravigliato,chiese spiegazioni alla figlia,che gli disse tutta la verita'.
"Non devi parlarne ad anima viva"disse il padre,"altrimenti chissa' cosa direbbero di noi".
Poi prese la sua balestra e sparo' al cavallo.La sua pelle,tuttavia,la mise a seccare nel cortile,poi riparti'.
Un giorno la figlia ando' a passeggio con una vicina.
Quando furono nel cortile inciampo' nella pelle del cavallo e disse:"Una bestia irragionevole come te...e volevi sposare
una fanciulla!Ti sta proprio bene essere morto".
Ma prima che avese finito di parlare la pelle del cavallo si mosse e si alzo'.Avviluppo' la fanciulla e corse via.
Sconvolta,la vicina corse dal padre della ragazza e gli riferi' l'accaduto.
La cercarono ovunque,ma era scomparsa.
Finalmente dopo qualche giorno,la ragazza nella pelle di cavallo fu vista tra i rami di un albero.
Pian piano si trasformo'in un baco da seta e divenne una crisalide.
I fili in cui si avvolgeva erano forti e spessi.
La vicina prese la crisalide e aspetto' che si aprisse;poi tesse' la seta,traendone buon profitto.
I parenti della ragazza pero' ne sentivano la mancanza.Un giorno ella apparve tra le nubi in sella al suo cavallo,e
disse:"Mi e' stato affidato un incarico in cielo,quello di presiedere alla coltura dei bachi da seta.Non dovete sentire la
mia mancanza".
Allora in patria le costruirono un tempio e ogni anno,nel tempo dei bachi da seta,le offrono sacrifici in cambio della sua
protezione.
E' detta la dea con la testa di cavallo.
SILVANA GAMBERI
Fermata a richiesta
Quelle che, da bambine, recitano sulla sedia - in piena digestione degli adulti - un'insulsa poesia di Natale.
Quelle che, appena più grandi, studiano danza, oppure pianoforte; oppure entrambi. E non gli serve a niente.
Quelle che non gli va mai bene nulla, neppure il sedile della macchina: troppo avanti, troppo indietro, ho inciampato,
sono scomoda.
Quelle lì: sfornate da uno stilista della Barbie, ma che hanno imparato a vendersi bene, e rompono le scatole a
quelle <vere>. Come lei.
<Lei>, ora, non la reggeva più: un'imbucata da quattro soldi, che vampirizzava gli altri, che non dava nulla.
Solo le arie, che spargeva attorno.
<Lei> aveva provato ad essere gentile, a fare l'amica a tutto tondo. No. Non c'era verso. Due pianeti distanti: l'irreale ed
il concreto.
<Lei> portò la resistenza oltre ogni limite. Fino a quella sera. Quella con la conferenza. Quella in cui si sentì descrivere
con frasi allusive, un sorrisetto sprezzante sulle labbra.
<Lei> decise che avrebbe fatto un favore. L'ultimo.
L'accompagnò in stazione, attese con lei lo sferragliare del treno in arrivo.
Diede appena una piccola spinta, giusto davanti al locomotore.
Sparì silenziosa, in mezzo a tutta quella gente che gridava.
Un vero artista, non firma l'opera per intero.
Marlene Pasini
Toluca, México -1970
Roulotte
Impuro diálogo
de un tiempo circular,
en alarido de lobas
nos ata a la hora muerta,
a su escritura devanada
en las entrañas de la niebla.
Aquí la luz se consume,
su perpetua sustancia
es de otro reino.
Roulotte
Dialogo impuro
di un tempo circolare,
nell’ urlo delle lupe
ci lega all’ora morta,
alla sua scrittura sfilata
nel ventre della nebbia.
Qui la luce si consuma,
la perpetua sostanza
è di altro regno.
Trad: Giovanna Mulas/ Gabriel Impaglione.
ALESSANDRO VETTORATO
La lirica silenziosa del tempo che scorre
A ben cercare non volevo
Farti il torto di ubriacarmi
Dando le spalle al muro,
così da cancellare la vite;
il traliccio e la finestra
che hai addormentato
sulla parete, così che ti guardi
svestirti i passi per raggiungere
l’osceno prenderti tempo,
però c’è poca di quella menzogna
anche nelle verità che collasso
la vista; così vera, la macchia
è architettonica da cinema muto,
teatro delle marionette calendule,
così artefatto il gesto del bacio,
così innaturale lo slancio dell’addio
che ho rovesciato al muro del vino
rosso –
e l’ho fatto, perché non restasse
macchia più pura delle mattonelle
friabili sui dorsi delle mani,
così, poi, la notte, da sonnambulo
ho colato tuorli d’uovo secchi
nelle secche del mio cantarti siccità
e poi sfama la carestia del momento
stesso in cui ho nascosto ai miei occhi
l’odore della vergogna, porpora
Una cornice soltanto una cornice
Sopra un muro bianco
Repellente l’ossigeno,
succo gastrico il vangelo
e la macchia è forse l’estensione
più pura del mio averti abbandonata,
senza dirti nemmeno hai freddo?
Ma da quella volta sono passati anni
E nemmeno più il pazzo del paese
Ne ricorda veramente l’importanza
Peter e la morte
Una volta da bambino sognai che mi rapivano gli alieni
per vivisezionarmi il cuore,
dato che il cervello me lo avevano rubato le pecore
da brucare coi quadrifogli in fiamme
lì dove il prato s'inceppa e diventa bosco,
lì dove gli alberi cadono a frotte
con ghiande grufolanti maiali
incattivati dalla retroguardia ascesa d'un sermone privatista,
dove dune di fragole aravano le pozze
gonfie di girini ancora da addomesticare,
lì è morto Peter
Nessuno sa il perchè di quella morta imprevista
che neanche i cani l'avevano predetta
mentre si accoppiavano senza tregua
sotto il pergolato sedotto dal glicine
Sottovento, dal paese
rumori di galline starnazzanti,
pigolii di pulcini di vari colori, gusci oleosi come casa madre;
il miagolio dei miei gatti si mischiava ai pavoni corteggiatori;
le loro ruote panoramiche si scorgevano a miglia di distanza;
le loro piume riflettevano i raggi del sole
così tante volte da risvegliare silenzi
Mia madre sbatteva i panni,
poi li lasciava marcire in attesa del vento
Nonostante ciò Peter era morto
Mio padre sfrebbrava gli zoccoli dei cavalli,
le risate equine brillavano controvoglia chiaroveggenza divina
Noi bambini recitavamo salmi,
allontanandoci dai luoghi di preghiera
il tempo per scroccare un bicchierino agli anziani
Eravamo bambini,
anche Peter lo era;
mangiava marmellata con noi,
immergendo le dita,
sporcandosi la faccia,
facendo le linguacce alle suore silenziose
che tagliavano a metà la strada acciottolata
di fronte all'unico bar
Era bello nascondersi sotto i tavoli,
abbracciandosi le ginocchia,
un pò ubriachi dal bicchierino a medioalta gradazione alcolica
Sognavamo l'età adulta,
i viaggi,
diventare calciatori,
non c'era posto per le ragazze e andava bene così,
c'era posto per le sbronze che nessuno aveva mai avuto
e per le bugie
Peter aveva le lentiggini e un grosso neo sul braccio;
quando c'era la pioggia lo si sentiva ansimare per l'asma,
ma la volta che morì non fece rumore
I dolori più grandi spesso non s'annegano di lacrime
Forse chi lo ha ucciso tessé la morte sul suo corpo
prima che s'accorgesse di essere nome su una lapide,
forse ebbe quella dignità che da adulto sarebbe svaporata,
ma che in quel momento non mancò
Friniscono i grilli nella notte,
ognuno una propria melodia,
una canzone diversa suonata
per spettatori indifferenti;
le stelle
Il corpo riverso fra l'erba,
ma lui avrebbe scelto bagnarsi i gomiti al fiume,
vicino alle palle sgonfie
perse negli anni, nel fango
Le piogge creano maschere bestemmianti,
urla scoscese dalle bocche,
minuscola riproduzione d'una Pompei agreste;
facce sbarrate,
quasi dolorose d'essere parto del Tutto;
giacciono con le rane attorno agli stagni,
fra le alghe palustri affioranti a pelo d'acqua
Mentre Peter moriva gli aironi volavano
con goffaggine attorno al paese;
voli comici, tutt'altro che pindarici
Mio padre schiacciava coi piedi duri
le facce di fango disfatte e ricreate
nell'esercizio totale d'una spiritualità puttana;
adorava sbriciolare sotto i piedi quei personaggi
in cerca, forse, più d'amore che d'autore
Noi bambini ridacchiavamo dei tic del mio vicino di casa,
la sua balbuzie colata dalla bocca
come bava di lumaca epilettica
che gira sempre intorno senza perdere il filo del discorso
e solo troppo tardi accorgersi d'aver barattato il guscio
con un ceppo di lattuga non di marca;
ridevamo del suo alfabeto strano
fatto di singhiozzi e frasi allungate a dismisura,
ma nessuno fiatava quando mio padre
rompeva le maschere sotto i piedi
Nonostante ciò Peter era morto
Nella mano stretta a pugno l'ultimo disegno,
una serie di case,
bambini, forse noi, forse lui, forse folletti,
più alti delle case e si davano la mano
e forse anche lui l'ha data a chi l'ha privato
di una parte di vita,
scordandosi che facendo questo partivano i ricordi
Noi bambini giocavamo a pallone sulle strade strerrate,
raggomitolate nell'esatta dismisura del labirinto di Cnosso,
finchè non usciva qualcuno a cacciarci
e allora noi giù a ridere,
a raffigurare con dita protese verso l'alto il nostro disprezzo,
tanto ci avrebbero trovati,
il nostro paese è piccolo,
la mentalità ancora di più,
eppure il giorno che Peter lasciò le sue cose
ripiegate a gomito sul tavolino
divenne immenso nella sua omertà di sguardi;
nessuno lo vide allontanarsi,
a piedi scalzi,
schiacciando le cicale o i gusci di lumaca
che sfrigolavano al contatto;
nessuno aprì la finestra,
nessuno lo chiamò;
nessuno gli chiese dove andasse da solo o in compagnia
Fumavamo sigarette leggere,
senza ingoiarne il fumo,
lo lasciavamo arrostire sulla lingua,
col palato sbriciolato e punti di sutura ai denti;
chi tirava giù il fumo era un eroe,
ma paonazzava il volto, stramazzava
Età strana, la nostra,
abituati ai miasmi di mucca,
stecchiti per un pò di tabacco a colonizzarci i polmoni;
Peter si dava sempre un'aria trucemente matura,
che poi lo faceva assomigliare a un Pierrout stanco,
indeciso su quale pianto rivelarsi quella notte
Di nascosto dai genitori, in cerchio,
danzando senza rifletterci su poi molto
e prima di tornare a casa ingozzarci
di mentine,
di aria potabile,
di fughe in camera
e alla finestra lanciarci impliciti sguardi di complice noia
Peter indossava solo la canottiera,
turchese,
rotta in due punti per risse preistoriche,
nell'attimo vitali;
il resto dei vestiti evaporato
e se li avessero trovati un pò disordinati a segnare confini
ci si poteva illudere che non fosse passata ancora sua madre
a ricordargli i doveri di figlio,
che se li avessero trovati in fila indiana sulle sue nudità
si poteva accusarlo di essere negligente,
aver perduto in quel modo gli abiti,
giustificarne in parte la morte
Suo padre beveva quel tanto da picchiarlo ogni sera;
gli diceva
"Non devi pregare, basta che ti fai picchiare",
gli diceva
"Non devi urlare",
gli diceva
"So che fumi"
e Peter lo sfidava coi suoi occhi al sapor di nebbia e cloro,
ma questo solo verso la fine,
non prima,
solo gli ultimi giorni ci raccontava che gli rispondeva
"TU bevi!!!"
e giù cinghiate supplementari
sulla schiena,
sul culo,
sulle spalle
e Peter gli piangeva
"Dovunque, ma non sull'ombelico"
e quando suo padre finiva
gli orli della cintura sanguinavano
e da un certo punto di vista ne era contento;
ricreare un presepe vivente per alcuni,
a lui bastava il gruppo sanguigno del genitore
Nonostante ciò Peter era morto
Un occhio coperto di venuzze,
ciclope campestre che urla, strepita,
si mangia le parole per risultare più chiaro,
l'occhio con cui spiava gli anziani bestemmiare
giocando a carte
e un paio di volte sua cugina grande spogliarsi,
ma non gli era piaciuto molto,
l'occhio con cui murava chiunque gli scartavetrasse
le lunghe cicatrici contorte addosso
e aveva quel modo strano di guardarti,
come sapone liquido arrostito a un barbecue domenicale;
ti guardava per capirti,
lo faceva con un occhio solo,
così che l'altro potesse raccogliere particolari del mondo
Nonostante ciò Peter era morto
Fu trovato spogliato di vestiti
ed osservatori oculari
e un coltellino era bastato a privarlo di ciò
Chiunque lo avesse assassinato
aveva avuto la cortesia d'intessergli in viso
un paio di occhiali da sole a coprire lo scempio
o a ritardarne la scoperta;
che non sarebbe stata l'unica
Noi bambini, pettinati come santi iconastici
la domenica ci preparavamo per la messa;
il prete del paese era rubicondo e rassicurante,
soprattutto dopo due immersioni nel vino
da lui stesso imbottigliato,
di prima mattina
Peter faceva il chirichetto;
non era l'unico,
ma certamente quello che ci credeva maggiormente;
sbadigliava poco e solo se, la sera prima,
era rimasto alzato a guardare in televisione i film probiti;
forse l'attenzione alla funzione domenicale
era il modo più rapido e indolore
di chiedere scusa al "Signore" per i suoi peccati visivi;
eppure, nonostante ridesse poco durante l'omelia
fu ucciso,
lasciato nudo con solo una maglietta
che sembrava dovesse coprirgli soltanto il pudore
L'altra mano era rilassata,
quasi menefreghista nell'orgasmo mortuario;
la mano con cui Peter mangiava,
era mancino,
o allungava fin allo spasimo la fionda
ingravidata del sasso che avrebbe
polverizzato vetri
e ucciso gatti;
se avesse avuto più mira;
se fosse stato più cattivo;
la mano con cui rilanciava la palla
dopo aver parato un calcio di rigore,
ma più presumibilmente subito l'ennesimo goal;
la mano con cui coglieva fiori per la madre,
lasciandoglieli in ghirlanda un pò sparsi
sulle ceneri del letto;
la mano che, forse, aveva lottato
contro chi gli stava sopra,
magari stringendo i muscoli del suo FuturoImmediato Assassino
Che alla fine si era detto,
chi se ne importa,
lasciamo divertire anche la morte
che poi si sa, è capricciosa,
sia mai che se la prenda
e ritorni, la prossima volta
con razione triplicata di dolore
Noi bambini aspettavamo sempre il momento della comunione
per inghiottire le ostie,
posarle come dischi volanti candidi sulla lingua
e lasciarle sciogliere,
senza fretta
Il venerdì, alla confessione,
c'era chi ometteva certi peccati,
soprattutto linguistici
per evitare razioni supplementari
di padre nostro,
ma c'era chi, tra noi,
che se li aumentava per sentirsi più grande
Peter aveva il dono dell'omertà;
non parlava mai delle cinghiate
e di come nella mente i pensieri
assumessero un'aria tetra da bestemmia accorata
Il prete s'indignava a sentirci schiavi della parolaccia,
degli scontri fisici a scopo di lucro,
figurine,
postazioni da combattimento indiani vs cow - boy,
eterna lotta fra il bene e il male
e poi devozione riflessa
o convessa
o ricercata
nel pullulare di messaggi subliminali
d'eterno sconfitto;
il prete si adirava,
quasi che la parolaccia in sé
fosse il primo tassello per lo sgretolamento della chiesa
e poi, con fare ossequioso,
ci elencava la lista della spesa di preghiere,
ego te absolvo,
lo faceva sentire importante,
inserito nel mondo distratto della contemporaneità
E suo padre, quando lo vide stecchito al suolo,
pieno di formiche a zampettargli il naso,
pensò scherzasse e cercò di rianimarlo a bastonate,
sua madre non andò a vedere,
convinta fosse un manichino gettato lì
dove la mota ricuce lacrime al cielo;
si era chiusa nella stanza che da troppo tempo
divideva con un marito che non la capiva,
che beveva birra assaggiandone col naso la schiuma,
schifando le dita ansiose di dolcezza della moglie schiava;
lui le gridava
schiava,
puttana,
pulisci quello che ho sporcato,
donna quindi serva dei miei bisogni
con Peter a guardare,
fissare,
mutare espressione
ogni qualvolta il padre
architettava sulla sua epidermide facciale
cristalli e fango
Nonostante ciò Peter era morto
Una gamba gonfia,
puntura d'ape vicino al continente ginocchio,
l'altra in declino d'essai
E quando gli tolsero l'unico indumento
e quando glielo levarono
e quando gli toccarono i polsi
accertandone la decadenza vital natural in corso
scoprirono sul petto decine di coleottori
di varie forme, colori, dimensioni;
a masticargli i capezzoli;
a levargli la pelle dal davanti,
forse per portarsela a casa;
forse per districarne la complessità d'esistere;
sulla schiena decine di mantidi religiose,
schiacciate dal peso della preghiera assassina,
dai fumi del sesso inebrianti,
nel peccato dell'accoppiamento brutale,
selvaggio,
animale,
concepito per una riproduzione ostile
Il corpo di Peter chiuso,
sbarrato,
in una bara di legno di dubbio pregio,
gettata alla bellemeglio nella buca di terra e catrame
ricostruita da architetti dell'Aldilà
Qualcuno,
forse io,
forse un altro dei nostri amici in comune
una notte gli mise un suo ritratto sulla lapide,
fra i fiori di campo già un pò appassiti;
il giorno dopo già non c'era più,
sconveniente regalare un tocco d'originalità
a un morto anchilosato nella polvere
e uno dei tanti grandi del paese
lo aveva stracciato,
fatto in mille pezzi e gettato nel vento caldo e umido
che ci sferzava le ciglia;
arazzo abbandonato
ora e per sempre
Nonostante ciò Peter era morto.
E adesso… Libri
Giornalista Si Diventa
è un viaggio dentro ed intorno al magico mondo della carta stampata. Sia quotidiana che settimanale o
mensile. Nessuno si faccia fuorviare, non si è di fronte ad un semplice, seppure sempre utilissimo, manuale. In questo volume a
grandi linee si trova infatti anche la storia della nostra Repubblica e di ogni sua istituzione. Non mancano le leggi più importanti e
le convenzioni ma espone pure la struttura di un quotidiano e spiega i termini tecnici del redigere un giornale.
Un metodo godibile ed accattivante, tecnicamente ineccepibile, di prepararsi all’esame per diventare giornalista-professionista. Che
scioglie anche i dubbi più diffusi su tale professione, che permette di potersi confrontare per testare la propria competenza al
riguardo. I curiosi potranno invece scoprire ciò che sta dietro la notizia che si legge magari al bar tra un caffé e una
chiacchiera...Insomma, è sì un manuale con domande e risposte che prepara all’esame da giornalista ma anche un libro che racconta
il passato ed il presente del nostro Paese. - IRIS4 Edizioni - pp. 144 , €17,50
Noa Bonetti
, milanese trapiantata a Roma, fonda, presiede e dirige la IRIS 4 EDIZIONI. La vita di Noa Bonetti è
tutta una specie di viaggio d’avvicinamento alla scrittura. A quindici anni per desiderio d’indipendenza, ma soprattutto poichè
desidera ardentemente fare la giornalista, ambizione alimentata anche dai film americani in cui per tale mestiere serve scrivere
veloce, raddoppia fintamente le lezioni di tedesco per frequentare il magistero stenografico e lavora per vari ingegneri, più che altro
per allenarsi, per acquisire velocità nella scrittura. Si classifica infatti al campionato nazionale poi mondiale di stenodattilografia (140
parole - 400 battute - al minuto) e i genitori scoprono la cosa dai giornali. Noa va a studiare prima a Parigi poi a Londra, dove
collabora alla BBC e al Foreign Office per il Commonwealth. Rientrata in Italia dopo la laurea in letteratura e in lingue straniere è
responsabile della Biblioteca e Segreteria Scientifica ma anche degli Scambi Culturali Tecno-Scientifici alle Ricerche Atomiche
Nucleari del Sincrotrone di Frascati. Nel frattempo il suo sogno nel cassetto prende a realizzarsi. Inizia infatti a collaborare con
Settimana TV, allora concorrente del RADIOCORRIERE, poi lascia le Ricerche Nucleari per dedicarsi a tempo pieno al giornalismo.
Viene richiesta in RAI, quando dà il via alla seconda rete televisiva, per ORE TREDICI. Trasmissione di costume, colore e attualità,
in onda cinque giorni la settimana condotta in studio da Bruno Modugno e Dina Luce. Rubrica di successo tanto da essere spostata in
prima serata ribattezzata ORE VENTI. Tra le molteplici trasmissioni televisive dell’eclettica giornalista-regista, va assolutamente
ricordata GIOVANI E LAVORO per RAI-TV-UNO. In cui non solo ai giovani viene consigliato come trovare un impiego ma anche
quale specializzazione scegliere per ottenerlo più facilmente. Nel frattempo scrive per OGGI, BELLA, LEADER, BOY MUSIC… e
quotidiani come PAESE SERA, IL MESSAGGERO, LA REPUBBLICA… Cura anche rubriche legate al lavoro, argomento che la
porta a ricevere dalle quattrocento alle settecento lettere al giorno. Per la TERZA RETE RAI-TV si occupa invece di SCAMPOLI DI
RICORDI, una rubrica che chiude la trasmissione giornaliera GENITORI UN MESTIERE DIFFICILE... di Giuseppe Fina condotta
in studio da Ilaria Guerrini, in cui Noa Bonetti mette a nudo personaggi della cultura, politica, sport e spettacolo. Ma per tornare al
giornalismo, eterno e immutato grande amore della Bonetti, ottiene successo a IL MESSAGGERO quando dà il via a LA CITTA’, una
curiosa pagina di costume, colore, avvenimenti mondani… Spazio seguitissimo per cui viene soprannominata la Elsa Maxwel
italiana ma anche la Flaiano in gonnella. A un certo punto Noa lascia il giornalismo perché ritiene che stia perdendo colpi, che si stia
sfaldando, trasformando. Poche inchieste, niente rischio, tutto appiattito dall’ANSA o, peggio, dalle notizie tv. Lei che ama le grandi
battaglie, gli approfondimenti, i faccia a faccia, le inchieste di un tempo, quando per il buon risultato ci si doveva magari travestire…
Lascia di conseguenza la carta stampata, anche se l’amore per la scrittura non l’abbandona, e scrive a tempo pieno libri. Vince premi,
e non si può non citare quello Internazionale Città di Anghiari per un Libro Politico-Storico in cui viene premiata per Donne al
Governo. Un riconoscimento serio, non comprato dagli editori. Eh, sì… purtroppo i premi vengono quasi tutti già decisi dagli editori.
È solo questione di potenza economica… Come lo sono le classifiche dei libri che spesso, solo in teoria risultano i più venduti. E lo
dice da editrice e da scrittrice. Se l’editoria ha tanti, tanti, tanti, soldi per acquistare tale bluf d’illusione vende anche, diversamente
niente. Comunque Noa Bonetti pubblica svariati libri, da Volti Pettegoli (1985) a Veleno al Femminile (1986), Spuntino di
Mezzanotte (1989), Angeli in Polvere (1990), Un’Amica di Nome Moana (1995), Io, Donna Kamikaze (2005), Giù la Maschera
(2007), sino al recente Il Veleno è Donna (2008). Stranamente il libro che ha avuto maggiore successo di vendita è stato Un’Amica di
Nome Moana, edito dalle Sperling & Kupfer nel 1995, che racconta una Moana Pozzi intima e autentica. Esaurito in un paio di lune e
mai più ristampato nonostante le molteplici e costanti richieste. Decisa a mettersi in gioco, come fa sempre nella vita, negli anni
Cinquanta Noa Bonetti è tra le prime donne a praticare il paracadutismo oltre ad essere la prima donna-pilota di auto da corsa. Mai
scorderà il Rajd-Polski, coi suoi 1500 km ininterrotti di gara in una Polonia anni Settanta dove, con Fabrizio Poggi, fa parte della
squadra ufficiale italiana per i campionati europei. Coi primi giri a velocità libera in un aereoporto in disuso di Varsavia, anziché in
autodromo, perché quel Paese non lo possiede. E neppure vi sono strade asfaltate, solo sterrate zeppe d’acqua e fango. Ora, divenuta
editrice in proprio fondando la IRIS 4 EDIZIONI, ecco che il suo amore per il giornalismo si ripresenta. La IRIS 4 EDIZIONI ha
infatti un’attenzione particolare per i libri di tale stampo e Io, Donna Kamikaze ne è l’esempio.
LUIGI RISPO
Il Maestro, la Lucania, l'Aglianico e il
cavallo napoletano...
1592
Il cavallo gira la testa altera e quadrata in direzione del fischio. Nitrisce, aprendo le narici e rivolgendole verso il cielo,
solleva il labbro superiore emettendo un rumore particolare e dondola la testa da una parte all’altra. I grandi occhi sono
socchiusi, le piccole orecchie si muovono in continuazione. Ha uno stupendo mantello morello, nero brillante.
Si muove con la lunga e folta criniera che ondeggia nel vento e raggiunge al trotto il suo padrone.
Il purosangue appartiene alla razza napoletana. Il cavallo napoletano gode della più alta fama di cavallo da guerra e da
viaggio e mostra un’obbedienza incredibile nei riguardi di chi lo addestra. Viene adottato dalle corti europee anche per
le esibizioni d’alta scuola e per la produzione e il miglioramento di altre razze.
E’ un animale di superba bellezza. Deriva da un incrocio fra cavalli turchi, importati con l’avvento della Repubblica
marinara di Amalfi, e campani. Questa razza ha trovato nella Campania felix, territorio che si estende dal fiume
Volturno al fiume Sarno, caratteristiche climatiche ideali per l’adattamento.
E fu proprio quest’area che, in tempi precedenti, gli Etruschi avevano scelto per impiantare i loro allevamenti di
cavalli e dove, successivamente, i Romani avevano allevato i loro migliori destrieri per la corte imperiale.
Ha un collo lungo e muscoloso, elegantemente arcuato. Garrese grosso e elevato, incluso nell’ampia base del
collo. Groppa raccolta, larga e arrotondata, petto ampio, arti proporzionati e con muscoli forti.
Il soldato sale in groppa al destriero, costeggia il castello “Sperone” che difende l’approdo partenopeo, e s’inerpica sulla
collina. Dopo un'ora arriva alla villa “Due Porte” mentre il sole cala alla sua destra dietro la maestosa fortezza
“Belforte” che domina la città dall’alto della collina di Sant’Erasmo: il forte costruito nel 1275 durante il regno di Carlo
I d’Angiò completamenteristrutturato nel 1547 dal vicerè don Pedro de Toledo per volere di Carlo V, fulcro del sistema
difensivo cittadino, con la sua pianta a stella è una delle roccaforti più moderne.
Il cavaliere varca il cancello, con il purosangue infangato e percorre il viale d’accesso ammirando il panorama: la selva
di cupole, campanili e case nobili o fatiscenti, sembra bagnata da un lago delimitato a destra dalla grande fortezza, di
fronte dai monti Lattari, Vico Equense e Sorrento e a sinistra dal Vesuvio e dai lontani monti dell’Irpinia…
In quella villa c’è la sede dell’Accademia dei Segreti, un circolo di intellettuali fondato dallo scienziato Giovanni
Battista Della Porta dove alcuni studiosi si riuniscono segretamente per discutere problemi di natura scientifica,
esoterica e filosofica e dove effettuano esperimenti sulla natura.
Lo stalliere lo accoglie, prendendosi cura del cavallo da guerra, poi dalla villa esce il maggiordomo avvicinandosi al
guerriero:
"Buona sera, signore!", s'inchina.
"Il maestro mi attende, ho notizie da riferire!", il tono è scortese.
"E' nella stanza dei segreti... vi prega di aspettarlo nel salotto"
Il soldato s'avvicina al camino allargando le braccia per raccogliere il calore, poi, il suo sguardo è attratto da alcune
pergamene deposte sul divano.
S'avvicina ai documenti, volge per un attimo la testa verso la porta d'ingresso del salotto, poi inizia a leggere il titolo,
incuriosito: "Villae"... la calligrafia è quella del Maestro Giovan Battista Della Porta...
Uno scricchiolio lo distrae e lascia cadere le pergamene sul divano... si rende conto che nella stanza è solo... poi guarda
il camino sorridendo e riprende i fogli.
"Dodicesimo libro... Insignes iam colore inter purpureas nigrasque helvolae saepius variantes et ob id varianae a
quibusdam appellatae. Praefertur in iis nigrior; utraque alternis annis fertilis, sed melior vino cum parcior"... traduce
nella mente... " Famose ormai per il colore che varia assai spesso fra il rosso ed il nero le elvole, chiamate perciò da
alcuni variane. Di esse è preferita la varietà più scura; ambedue abbondanti ad anni alterni, ma migliori per il vino
quando il raccolto è più scarso"...
I colto guerriero capisce che il Maestro ipotizzava una relazione fra il vitigno dell'uva cosiddetta "elvola", della quale
parlava Plinio il Vecchio, ed una non meglio identificata uva "ellenica" in cui si dovrebbe riconoscere l'uva
"aglianica"...
Poi al soldato viene in mente l'antica città di Elea, sulla costa tirrenica della Lucania, dove aveva saputo che i greci
avevano piantato i loro vitigni...
La porta s'apre ed entra il maggiordomo, annunciando l'arrivo del Maestro.
Il guerriero si volta di scatto con le pergamene ancora fra le mani...
ANTONIO GRAMSCI
“Discorso agli anarchici”, L’Ordine Nuovo, 3-10 Aprile 1920
Gli anarchici italiani sono molto permalosi perché sono molto presuntuosi: sono stati sempre persuasi di essere i
depositari della verità rivoluzionaria rivelata; questa persuasione è diventata mostruosa da quando il Partito socialista,
per influsso della rivoluzione russa e della propaganda bolscevica, si è impadronito di alcuni punti fondamentali della
dottrina marxista e li divulga elementarmente e pittorescamente in mezzo alle masse operaie e contadine (…). È
possibile giungere a una composizione nel dissidio polemico tra comunisti e anarchici? È pos¬sibile per i gruppi
anarchici formati di operai coscienti di classe; non è possibile per i gruppi anarchici di intel¬lettuali, professionisti
dell’ideologia. Per gli intellettuali l’anarchismo è un idolo; è una ragion d’essere della loro particolare attività presente e
futura : lo stato operaio sarà effettivamente per gli agitatori anarchici uno “Stato”, una limitazione di libertà, una
costrizione, così come per i borghesi. Per gli operai libertari l’anarchismo è un’arma di lotta contro la borghesia (…) .
Per gli operai anarchici l’avvento dello Stato operaio sarà l’avvento della libertà della classe e quindi anche della loro
personale libertà, sarà la via aperta per ogni esperienza e per ogni tentativo di attuazione positiva degli ideali proletari; il
lavoro di creazione rivoluzionaria li assorbirà e ne farà un’avenguardia di militanti devoti e disciplinati. [...].
Gli anarchici italiani sono permalosi perché sono presuntuosi. Si inalberano facilmente dinnanzi alla critica proletaria:
preferiscono essere adulati e lusingati come campioni di rivoluzionarismo e di coerenza teorica asso¬luta. Noi siamo
persuasi che per la rivoluzione è in Italia necessaria la collaborazione tra socialisti e anarchici, collaborazione franca e
leale di due forze politiche, basata su problemi concreti proletari; crediamo necessario però che anche gli anarchici
sottopongano i loro criteri tattici tradizionali a una revisione, come ha fatto il Partito Socialista, e giustifichino con
motivazioni attuali, determinate nel tempo e nello spazio, le loro affermazioni po¬litiche. Gli anarchici dovrebbero
essere più liberi spiritualmente: è una pretesa che non deve sembrare eccessiva a chi pretende di volere libertà e
nient’altro che libertà.
Biblioteca Gramsciana, via Turati 30- 09090 - Gonnosnò (OR)
GIUSEPPE SAVAZZI
Noi siamo gli artefici del nostro Avvenire
Per conoscere il proprio avvenire, molti consultano dei chiaroveggenti. Ebbene, vi dirò che, a tal fine, non serve
rivolgersi ai chiaroveggenti, in quanto è molto facile conoscere il proprio avvenire! Forse non riuscirà a prevedere quali
saranno gli incontri, la professione, i guadagni o le perdite di denaro, le malattie, gli incidenti, i successi, ma tutto ciò
non ha grande importanza. L’essenziale, vale a dire se si progredirà sul cammino dell’evoluzione, se si conquisterà la
libertà nella luce e nella pace, è molto facile saperlo in anticipo. Infatti, se amate tutto ciò che è grande, nobile, giusto e
bello, se lavorate con tutto il vostro cuore, con tutto il vostro intelletto e con tutta la vostra volontà per raggiungerlo e
realizzarlo, il vostro avvenire è già tracciato: vivrete un giorno nelle condizioni che corrispondono alle vostre
aspirazioni. Ecco l’essenziale da sapere sul proprio avvenire. Tutto il resto, come i beni, la gloria, i rapporti con un certo
uomo o una certa donna o persino la salute è secondario. E’ secondario perché è passeggero, vi può essere dato e tolto.
Quando lascerete la terra vi resterà soltanto ciò che corrisponde alle aspirazioni della vostra anima e del vostro spirito.
Il nostro presente è il risultato del nostro passato. Ecco perché non abbiamo quasi alcun potere di cambiarlo, perché
è la conseguenza, il seguito logico del passato. I pensieri, i sentimenti, i desideri che abbiamo avuto
precedentemente, hanno fatto scattare nell’universo alcune forze e alcune potenze della stessa natura che hanno
determinato le nostre qualità, le nostre debolezze e gli eventi della nostra esistenza. Ecco perché è quasi
impossibile, durante la vita, cambiare ciò che è stato determinato sulla base del nostro passato. L’unica cosa che è
in nostro potere è preparare il nostro avvenire; infatti, per la maggior parte degli esseri umani, questo punto non è
ancora chiaro ed essi fanno discussioni interminabili per decidere se l’uomo è libero o non lo è. Gli uni affermano che
lo è, gli altri che non lo è, ma in realtà impostano male il problema. La libertà non è una condizione data o meno
all’essere umano una volta per tutte. Per ciò che concerne il presente, la sua libertà è molto limitata, perché il presente è
la conseguenza di un passato sul quale è impossibile ritornare per modificarlo; il passato va subito digerito. Siamo liberi
solo nei confronti dell’avvenire, perché abbiamo la possibilità di crearlo proprio come lo desideriamo. Ecco qual’ è la
verità più importante che dobbiamo conoscere, proprio per sapere in che direzione lavorare. Il profeta Osea, al capitolo
tre dice: “Per mancanza di conoscenza l’uomo perisce”. Non parlava di conoscenza umana poiché essa è peritura, ma
parlava di quella divina, cioè quella conoscenza che dirige tutto!!! Altrimenti che cosa succederà? Non sapendo che è
possibile migliorare la situazione per il futuro, si subisce il presente e ci si lascia andare a un comportamento sempre più
deplorevole. Il risultato di tutto ciò è che andando in là nel tempo si sarà ancora più limitati, ancora più schiavi. A
partire da oggi potete preparare il vostro avvenire. Con il desiderio, con il pensiero, con la preghiera e l’immaginazione,
scegliete il miglior orientamento, al fine di potervi manifestare un giorno come esseri di pace, di bontà e di luce. Ma
soprattutto, una volta scelto l’orientamento, sforzatevi di mantenerlo invariato. Imparate a canalizzare tutte le vostre
energie e ad orientarle verso il mondo luminoso dell’armonia e dell’amore. Anche se, di tanto in tanto, appariranno
alcune ombre, non dureranno. Secondo la vostra capacità di mantenere dentro di voi un buon orientamento, verrà il
momento in cui non devierete più. Ecco l’essenziale. Io mi occupo solo dell’essenziale.
Io mi occupo solo dell’essenziale: per il resto, andate pure a consultare tutti i chiaroveggenti che volete, ma
sappiate che non vi diranno mai l’essenziale.
Qualunque cosa accada, continuate a costruire il vostro avvenire, non scoraggiatevi; le vostre sofferenze, le vostre
prove, vi appariranno ben presto come onde di una tempesta sopra la quale navigare. Se vi succede di sentirvi oppressi
dalle difficoltà, ciò è dovuto al fatto che non avete saputo conservare un’apertura sul vostro avvenire luminoso. Il vostro
orizzonte è offuscato, ma lo è perché voi stessi lo avete offuscato; ora sta soltanto a voi aprire una finestra per scorgere
il sole.
IL PROGETTO Dove Volano i Gabbiani
“DOVE VOLANO I GABBIANI“ è un progetto degli alunni dell’Istituto Statale d’Arte di Isernia la cui iniziativa s’inquadra nel
"DESS –Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2005-2014", campagna mondiale proclamata dall’ONU, e coordinata
dall’UNESCO, allo scopo di diffondere valori, conoscenze e stili di vita orientati al rispetto per il prossimo e per il pianeta e
sviluppare, nei giovani come negli adulti, negli individui come nelle collettività, capacità operative e di azione responsabile
finalizzate alla riduzione e al riuso dei rifiuti. La straordinaria attualità di tale tematica ha raccolto l’interesse del corso di
Progettazione della sezione “Architettura e Arredo” del Progetto Michelangelo ed è stata esplorata, in particolare, dagli
studenti della classe IVB attraverso attività didattiche collocabili tra arte e design, tra abilità tecnica e creatività, con
l’obiettivo di ideare e realizzare prototipi di elementi di arredo come momento di ricerca sull'uso e il riuso degli oggetti, sui
materiali e la loro valenza estetica e funzionale. Il disordine ambientale provoca il disordine sociale e viceversa. Il concetto di
“spazzatura” si estende al nostro rapporto con le altre persone, al nostro modo d’essere e di pensare. Il tessuto sociale è sempre più
inquinato dal malcostume, dalla corruzione, dalla prepotenza, dall’egoismo, dall’indifferenza. Tali comportamenti catalizzano
fenomeni legati all’emarginazione e alla produzione di rifiuti umani in un processo di sempre maggiore degrado sociale che pare
ormai sfuggire ad ogni tipo di controllo.
“Dove volano i gabbiani” non vuole trascurare questo aspetto e intende intessere una “rete”, intesa come architettura di relazioni,
fornendo uno spazio aperto ai contributi di personalità del mondo della cultura e dell’impegno sociale e di tutti coloro che desiderano
esprimere riflessioni, scrivere storie e opinioni sul tema.
Per ulteriori informazioni sul progetto:
[email protected]
Rubén García Cebollero
España
[ de entrada ]
Quizá la poesía debiera ser anónima.
Ajena a toda fama perdurable y sin fecha.
Sin olvidar
que es un poder fundado
en la revelación de la verdad.
En el desvelo de la visión verbal
que nos transfiere puntos
de intensidad.
En la caída de la desnudez
y en el ascenso de la desnudez.
Con el sudor del aguijón del ímpetu
y el júbilo.
De: Máscaras de Florencia- publicados en 2006, por el Ayuntamiento de Zaragoza
D’ entrata
Forse la poesia dovrebbe essere anonima.
Aliena a ogni tipo di fama senza fine e senza data.
Senza dimenticare
Che un potere fondato
Nella rivelazione della verità.
Nell’ insonnia della visione verbale
Che ci trasferisce punti
D’ intensità.
Nella caduta della nudità
E nell’ascensione della nudità.
Con il sudore dell’ aculeo dell’ impeto
E del giubilo.
Trad.: Giovanna Mulas / Gabriel Impaglione
Mauro Tolu
L’asino e il falco
Volo radente.
Ti vedo curvo sulla terra arida.
Sotto il sole.
Solo le tue orecchie ti fanno ombra.
Fai ciò che ti viene comandato,
anche se sbagliato.
Da te voglio rubare la caparbietà.
Ma non voglio diventare come te,
che trasporti carichi su un lastricato convesso.
Manco io voglio essere come te.
Vola largo, falco predatore.
Con il tuo becco fai paura,
ma sei un vigliacco.
Ti appropri delle cose altrui
usando, se necessario, la violenza.
Il tuo inganno non avrà fortuna con me.
Dicono di me che non sono intelligente.
Ma si confondono.
Come quando mi mettono gli occhiali verdi,
per farmi credere che ciò che mangio non è paglia,
ma erba fresca.
Forse è così.
Ci sono difficoltà che non si possono superare.
Volo radente.
Mi fiondo sul tuo cesto luccicante.
Ormai è tardi per arrestare la mia avidità.
Vieni pure , falco rapace.
Nella mia terra,
tra muretti di pietra
e l’euforbia secca,
sono considerato astuto e scaltro.
L’asino sardo si inganna una volta sola.
VITO MALTESE
Ci sono Angeli fermi al metrò,
in attesa di una corsa che vegli sul desiderio,
e pensi che il mondo sia follia...
vestiti di piacere che imbracano cavalli,
ed io in attesa del tuo risveglio ammirato dal fisico estasiante,
piango felice come se vedessi una donna in bilico su di una corda da circo,
e penso che sparirò...
dopo aver regalato emozioni.
di un tempo che parli del cielo,
cancellando ipocrisie in fremiti partorenze.
Storie
di donne Nella
Letteratura Mondiale
di ieri e di oggi
a cura di Francesca Canovi
Aleramo, Sibilla, Una donna, Milano, Feltrinelli, 2002
Questo romanzo di Sibilla Aleramo è del 1906. La sua immediata fortuna in Italia e nei paesi in cui fu tradotto segnalò
una nuova scrittrice, che in seguito avrebbe fornito altre prove di valore, segnatamente nella poesia. Ma soprattutto esso
richiamò l'attenzione per il suo tema: si tratta infatti di uno dei primi libri 'femministi' apparsi in Italia.
Austen, Jane, Emma, Milano, Oscar Mondadori, 2002
Un delicato e profondo ritratto di una giovane donna che desidera regolare le vite di chi la circonda in base ai suoi
desideri e alla sua buona fede, viziata, però, da un'inconfessata presunzione. Emma si vedrà sconfitta quando si
accorgerà che è di fatto impossibile manipolare secondo piani prestabiliti le logiche del cuore, anche del suo, e si
troverà coinvolta in una serie di incomprensioni e fallimenti che avranno fine quando si deciderà ad ascoltare la voce di
chi la ama, George Knightley, che la sposerà salvandola finalmente dalla sua ‘buona volontà’,supponente e presuntuosa.
Bachmann, Ingeborg, Tre sentieri per il lago e altri racconti, Milano, Adelphi, 1987
Al centro delle cinque storie che compongono la raccolta vi sono Elisabeth, Beatrix, Miranda, Nadja, Franza e sua
suocera, sei donne giunte alla resa dei conti, ad un appuntamento con la verità che può essere ancora eluso, forse anche
rimandato, ma solo negando ancora una volta la sofferenza. Elisabeth, la fotografa professionista protagonista del
racconto che dà il titolo alla raccolta, afferma ‘non mi deve succedere nulla’ anche di fronte all’aprirsi dell’ennesima
voragine, un vuoto che immediatamente risolve con un’ulteriore partenza, questa volta in Vietnam come
corrispondente di guerra. Ma prima di fuggire di nuovo, Elisabeth torna a casa a trovare il padre perché ha nostalgia
della sua terra, come se il luogo dove è iniziata la sua vita e da dove è partita la prima volta potesse restituirla a quella
storia che Elisabeth non riesce a centrare, la sua storia. Nel racconto "Occhi felici", Miranda è miope e preferisce non
portare gli occhiali, dimenticarli, perderli, perché la realtà è meschina e crudele, meglio la sua visione soggettiva, il
coltivare una bugia che la metta al riparo dal mondo e da quel mettersi in gioco necessario per entrare nella propria
storia. Miranda immagina la realtà a suo piacimento se non fosse che “la realtà di tanto in tanto organizza spedizioni
punitive contro di lei” nel tentativo di sottrarla a questa alienazione che la porterà fino al punto di spingere il suo uomo
nelle braccia di un’altra donna e a convincersi di non essere mai stata attratta da lui. Tutto pur di non soffrire.
Bronte, Charlotte, Jane Eyre, Milano, Garzanti, 1989
Molte delle esperienze dell'autrice ricorrono nei romanzi che scrisse, dei quali "Jane Eyre" è il più celebre. Jane,
esplicito alter ego della scrittrice, dopo anni di stenti e di solitudine, diventa istitutrice presso la famiglia Rochester. Il
padrone di casa, cinico, è conquistato dalla personalità della ragazza. Ma quando scopre che la moglie di Rochester,
creduta morta, è ancora in vita, prigioniera della pazzia, Jane fugge abbandonando l'uomo che le aveva chiesto di
sposarlo. Sarà un enigmatico presentimento a farla tornare indietro e a preparare lo sviluppo finale del romanzo. "Jane
Eyre" rappresenta per la Bronte l'appagamento artistico di un desiderio, quello dell'incontro con l'esistenza autentica e i
sentimenti reali, non solo temuti e sognati.
Bronte, Charlotte, Villette, Roma, Fazi, 2003
Pubblicato nel 1853, è l'ultimo romanzo di Ch. Brönte, l'unico che non si concluda con il matrimonio della protagonista,
l'unico che abbia come titolo un luogo. Villette (immaginaria città del Continente in cui si adombra Bruxelles)
rappresenta infatti un luogo fisico e una regione dell'anima: luogo della vita e della morte, della perdita e della speranza,
ultima terra dove può realizzarsi l'amore. "Come sopportare la vita?", aveva chiesto Charlotte all'amato professor Héger:
"Villette" è, in un certo senso, la risposta a questa domanda; (…)
Cowell, Stephanie, Il matrimonio delle sorelle Weber, Vicenza, Neri Pozza, 2004
Mannheim 1777. Mozart è appena arrivato in città con sua madre e subito viene accolto nel salotto di Fridolin Weber,
copista che organizza serate musicali. Weber e la sua moglie hanno quattro figlie per le quali sognano un matrimonio
con qualche facoltoso nobile in grado di dar lustro e onore alla famiglia. Ma il destino ha riservato alle sorelle Weber
qualcosa di radicalmente diverso dai sogni aristocratici dei genitori. Tutte seguiranno una strada diversa e solo
Constance unirà la sua vita a uno dei grandi geni della storia della musica. Un romanzo che scava nell'animo femminile
e offre il ritratto di un'epoca di grande civiltà e creatività.
Euripides, Medea. In: 2: Le Tragedie, Bologna, Zanichelli, 1928
Medea ordisce una vendetta tremenda contro il marito che l'ha abbandonata, uccidendo i propri figli e negandogli così
l'autorità paterna istituzionalmente riconosciuta. Il genio di Euripide ci presenta un'eroina tragica totalmente nuova per
la cultura greca del tempo, donna appassionata in cui l'impulso emotivo si unisce a un estremo controllo intellettuale.
Fowles, John, La donna del tenente francese, Milano, A. Mondadori, 1970
Charles Smithson, giovin signore, colto, annoiato. La pallada Ernestina, sua promessa. E lei, Sarah, la donna del tenente
francese. Sullo sfondo, la costa solitaria del Dorset, lunghe passeggiate e conversazioni. E d'improvviso lei, immobile,
inspiegabile: la donna del tenente francese. E qualcosa di mai visto negli occhi nella donna del tenente francese. Storia
romantica, classico triangolo; filosofia e ritratto di un'epoca.
Flaubert, Gustave, Madame Bovary, Torino, Einaudi, 1976
La storia della signora Bovary, una povera adultera malata di sogni impossibili, che scende la scala della sua
degradazione fino al suicidio, è, scriveva Garboli, solo in apparenza la storia di una vita mancata: dominata dalla
fatalità, dotata di una cieca e meccanica articolazione, Emma Bovary è piuttosto il ritratto statico, marmoreo, della
mancanza della vita. L'introduzione di questa edizione è a cura dello psicanalista Roberto Speziale Bagliacca che
concentra la sua attenzione sulla figura di Charles Bovary, che appare un "masochista morale di alto lignaggio che, con
un sadismo perfettamente camuffato, contribuisce in maniera determinante al suicidio di Emma".
Fontane, Theodor, Effi Briest, Milano, Garzanti, 1989
Effi Briest, più ancora di Emma Bovary, tradisce non per passione, ma per noia, per rompere la monotonia della vita
coniugale. La sua vicenda è narrata con grande penetrazione psicologica da Fontane ed è stata anche ripresa in un
bellissimo film del regista tedesco Rainer Fassbinder.
Goldoni, Carlo, La Locandiera, Torino, Einaudi, 1998
La bella locandiera Mirandolina è corteggiata, senza speranza, dal conte di Albafiorita e dallo spiantato marchese di
Forlinpopoli, ma non dal cavaliere di Ripafratta che mostra disprezzo per le donne. Mirandolina usa tutte le sue armi di
seduzione e lo riduce in breve ai suoi piedi. Quando il cavaliere le confessa il suo amore, la bella locandiera lo umilia
davanti a tutti e annuncia le sue nozze con Fabrizio, cameriere della locanda.
Goldoni, Carlo, Pamela nubile, Milano, Signorelli, 1953
Prima commedia goldoniana senza maschere e senza dialetto, "Pamela", rivela, nella stagione 1750-51, la volontà del
commediografo di misurarsi col grande romanzo europeo, in questo caso con l'esempio celeberrimo e omonimo di
Samuel Richardson. Proiettando la scena veneziana nel contesto del grande quadro narrativo continentale, Goldoni
presenta la vicenda di una classica servetta che, conscia della propria dignità popolare, resiste alle impetuose proposte
del nobile Bonfil, e giunge a ottenere il matrimonio.
James, Henry, Ritratto di Signora, Torino, Einaudi, 1976
Un'avventura psicologica, morale ed estetica: il viaggio da Albany, piccolo paese del New England, a Firenze, città
dell'arte e della bellezza, alla ricerca di un'esistenza felice, di una vita perfetta da ricamare sulla rozza tela del tempo e
della storia. Dal paradiso del nuovo e ancora troppo ingenuo continente americano verso un'Europa matura e seducente,
in cui l'incantevole protagonista Isabel Archer rischia di perdersi, vittima di un'ossessione che la rende docile, passiva e
soffocata nelle oscure trame del desiderio e dell'inganno.
Lessing, Gotthold, Ephraim, Minna von Barnhelm, Venezia, Marsilio, 2004
La “Minna von Barnhelm” affronta questioni delicate del dopoguerra, irridendo gli atteggiamenti estremi di un
maggiore tanto irreprensibile quanto cieco assertore dell'onore. Gli porge una mano una signorina sassone innamorata,
volitiva, generosa e ottimista, che in nome della ragione e di valori altri da quelli del codice militare mette in opera un
piano di riconquista lucido e insieme rischioso, fonte di effetti comici frammisti a momenti seri e di autentica passione.
Marai, Sandor, La donna giusta, Milano, Adelphi, 2004
È solo quando suona alla porta della suocera, alla quale intende confidare la sua pena e i suoi sospetti - sospetti che
nella vita di suo marito ci sia un'altra donna, pena per il poco amore che quel marito le dimostra arrivando al punto di
chiederle di "amarlo di meno" - che Ilonka capisce. Judit, la domestica che la accoglie in casa, indossa un nastro
identico a quello che ha trovato nel portafoglio di suo marito e al nastro è appeso un suo ritratto. Judit è la donna che
Péter aveva amato molti anni prima, ora le chiede ancora di diventare sua moglie. Ma il secondo matrimonio gli
rivelerà, sui veri sentimenti di Judit, qualcosa che non aveva mai sospettato. Un intreccio di passioni e menzogne, di
tradimenti e di crudeltà.
Merimée, Prosper, Carmen, Venezia, Marsilio, 2004
Sullo sfondo di una Spagna assolata e selvaggia, Mérimée per primo racconta la storia essenziale di don José e di
Carmen: storia che contiene alcune verità sull'amore, scabrose e tutt'altro che esotiche. Ognuno dei due protagonisti
appare chiuso in un proprio sistema di valori alternativo a quello dell'altro e in questa guerra tra i sessi, che viene
condotta in nome della passione e della libertà, la ragione e il torto non si dislocano mai con nettezza. Il buon
innamorato uccide; la criminale traditrice è pronta al martirio pur di non rinunciare alla propria indipendenza.
Richardson, Samuel, Pamela o la virtù ricompensata, Milano, Frassinelli, 1995
Inghilterra, XVIII secolo: la bella Pamela Andrews, che ha dovuto abbandonare la campagna e gli genitori per entrare al
servizio di una famiglia aristocratica, subisce nella sua nuova casa le morbose attenzioni del giovane padrone, il conte
di Belfort, il quale tenta ripetutamente e brutalmente di sedurla. Fermamente decisa a conservare la sua virtù, Pamela,
riesce infine a guadagnarsi l'amore sincero del suo spasimante e, soprattutto, l'onore di un matrimonio socialmente
rispettabile. "Pamela" è il romanzo cui si ispirano le vicende e i personaggi del serial TV Elisa di Rivombrosa.
Schnitzler, Arthur, La Signorina Else, Milano, A. Mondadori, 1994
Pubblicato per la prima volta nel 1924, "La signorina Else" è considerato uno dei capolavori di Arthur Schnitzler.
Scritto con la tecnica del monologo interiore, capace di evocare con immediatezza stati d'animo ed emozioni dei
personaggi, il romanzo racconta la vicenda della giovane Else, figlia di una famiglia dell'alta borghesia austriaca, alla
quale, mentre sta trascorrendo una vacanza in montagna insieme con la zia, piomba addosso la richiesta di salvare il
padre avvocato dall'imminente bancarotta. È la madre stessa, in una lettera dai toni disperati, a chiederle in pratica di
vendersi per trovare il denaro necessario.
Shakespeare, William, La bisbetica domata, Milano, Bur, 1996
La giovane Catina ha un carattere ribelle e indipendente, caparbio e assolutista, bisbetico e perciò sconcertante, che si
manifesta in ogni occasione e tanto più di fronte al matrimonio che le si vuol imporre con un amico d'infanzia, reduce
dall'America. Catina infatti vi si oppone con tutta la forza del suo indomito carattere, ma nel giovane troverà il reagente
ideale per ridurla alla ragione cambiandola in una moglie esemplare, docile e sottomessa.
Smith, Lee, Le ultime ragazze, Vicenza, Neri Pozza, 2003
È una meravigliosa giornata di giugno del 1965 e un gruppo di allegre ragazze del college femminile di Blue Ridge,
ispirate dalla lettura delle "Avventure di Huckleberry Finn", si appresta a ridiscendere il Mississipi a bordo di una
fragile zattera. Trentacinque anni dopo, quattro di quelle 'ragazze' si ritrovano a ripetere l'impresa. Questa volta, però, su
un lussuoso battello a vapore, il 'Bell of Natchez', e portando con loro un triste bagaglio: le ceneri della bella Baby
Ballou che, una volta raggiunta New Orleans, restituiranno al fiume.
Tassoni Mirella, Due madri al collo, Sassuolo, Libreria Incontri, 2004
Un piccolo portaritratti che contiene i volti di due donne; una bambina con un vestitino blu, le bretelle, le scarpe di
vernice lucida. Elementi di un microcosmo famigliare, generoso e autentico.
Tolstoj, Lev, Nikolaevic, Anna Karenina, Torino, Einaudi, 1993
Centro della vicenda è la tragica passione di Anna, sposata senza amore a un alto funzionario, per il brillante ma
superficiale Vronskij. Parallelo a questo amore infelice è quello felice di Kitty per Levin, un personaggio scontroso e
tormentato al quale Tolstoj ha fornito i propri tratti. "In Anna Karenina è rappresentata - scrive Natalia Ginzburg - la
colpa come ostacolo, anzi come barriera invalicabile al raggiungimento della felicità". Tra i primi lettori il libro ebbe
Dostoevskij che così ne scrisse: "Anna Karenina è un'opera d'arte assolutamente perfetta. Vi è in questo romanzo una
parola umana non ancora intesa in Europa... e che pure sarebbe necessaria ai popoli d'Occidente".
Vanderbeke, Birgit, Alberta riceve un amante, Venezia, Marsilio, 1999
Alberta ama Nadan, l'astrofisico, i cui principi esistenziali sembrano essere precisi e ordinati così come i suoi pigiami
sono bene stirati. Il risultato della loro storia è deludente. Quando Alberta e Nadan si innamorano di nuovo è passato
molto tempo. Decidono di fuggire insieme ma si ritrovano a confrontarsi con il disincanto della quotidianità. E l'amore
si perde per strada. Al loro terzo incontro Alberta ha la sua vita, Nadan la sua famiglia. Ancora una volta si baciano, ma
questa volta Alberta riceve soltanto un'amante. I tre capitoli di questa breve antologia sono apparentemente distinti, in
realtà si sovrappongono e tendono un raffinato tranello al lettore che viene trascinato in un gioco di prospettive diverse.
Woolf, Virginia, Una stanza tutta per sé, Roma, TEN, 1993
Illustre capostipite dei manifesti femminili del Novecento e primo brillante intervento della Woolf
sul tema 'donne e scrittura', questo scritto è un piccolo trattato ironicamente immaginifico,
personalissimo nella misura tesa di toni e motivi: il 'conversational', le proiezioni letterarie, l'analisi
sociale, la satira. Il leitmotiv della stanza, grembo e prigione dell'anima femminile, si allarga fino a
comprendere tutti i luoghi della dimora umana: la natura, la cultura, la storia e la "realtà" stessa
nella sua inquietante ed esaltante molteplicità.
Fonte: www.comune.formigine.mo.it
PAOLA MUSA
I Morti
Smettiamo di pensare ai morti
distratti dai latrati
entro i nostri steccati
strizzando gli occhi
su orizzonti più morbidi
sul calendario in cucina
con scadenze e ricorrenze
su brevi corridoi
tempestati di quadri
sui nostri piedi
dentro le scarpe nuove.
Loro rovesciano la testa
incavando le orbite
in pietre di nebbia
piegando in controluce
le sagome dormienti
Le loro palpebre non vibrano
negli argini e in cornici
le loro mani non arrivano
nel nostro covo di attimi
ma ci voltiamo di scatto
sorpresi di vivere
per essere guardati.
CLAUDIA RAMPONI
L’ incontro
Inutile fingere.
Con me stessa è impossibile.
Non posso essere
quello che non sono.
Non ho ghiaccio a sufficienza
per evitare le scosse
Della Vicinanza.
Per non sentire
l' Incontro.
Anzi,
ogni volta,
qualcosa dentro
Grida
Che ci sono
Che il mondo è
Che Accade
E che non ne ho abbastanza.
"La letteratura non è nata il giorno in cui
un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì
di corsa dalla valle di Neanderthal con un
gran lupo grigio alle calcagna: è nata il
giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al
lupo al lupo, e non c'erano lupi dietro di
lui."
(Vladimir Nabokov)
Jorge Montealegre
Chile
Banquete
Nunca estuve en la lista
de invitados al banquete de los dioses
Pero la puerta de servicio estaba entreabierta
y entré
mirando hacia atrás, como retrocediendo
Estuve en el banquete con los dioses
Comí las sobras
que dejaron los perros debajo de la mesa.
Tomado De La Siega , la enciclopedia libre. Poesía del fin del mundo: 97 poetas chilenos con vida.
Banchetto
Mai sono stato nella lista
Di invitati al banchetto degli dei
Però la porta di servizio era semi aperta
E entrai
Guardando indietro. Come retrocedendo
Stavo nel banchetto con gli dei
Mangiai i resti
Che lasciarono i cani sotto il tavolo.
Trad.: Giovanna Mulas / Gabriel Impaglione
GIUSEPPE RENATO DE STASIO
Italia
resta la cenere come sagoma oscura
la limitazione visiva di un corpo
violato
fiammme infernali
sull'asfato bitumoso
una pece calda liquefatta sulla povera pelle
mescolata a sangue e albumine
quattro cinque uomini dell'ombra
riversano benzina
solvente purificatorio
sull'uomo
su loro stessi
supplizio di una vita stanca
cecita' dei loro colori
linguaggi muti non comprensibili
nelle loro mani
sopra le unghie tagliate
forse
tracce di vita.
ALESSANDRO D’ANGELO
ROMA, LARGO ARGENTINA
Ho girato l'angolo della strada,
un povero tremante ....
senza piatto a terra
oscilla sul marciapiede.
Sono arrivato alla piazza,
povera donna col bastone …
attende elemosina,
attende qualche cosa...
Verso la fermata dell'autobus:
passa un giovane alto biondo...
“Mi prestate dei spicci per mangiare?
Qui a Roma siamo molti così" .
Brividi di freddo,
Brividi di realtà non apparenti,
realtà da cambiare.
... Da cambiare molto presto.
Le donne del Boccaccio
La donna in nome è ancora un'angioletta, ma che angelo! Ella non sta raccolta e modesta nella sua ingenuità infantile,
come Beatrice; o nella sua casta dignità, come Laura; ma "all'ombra di mille arbori fronzuti, in abito leggiadro e
gentilesco tende lacci con gli occhi vaghi e col cianciar donnesco." Si ha la donna vezzosa e civettuola della vita
comune, ed un amante distratto, che ora esala sospiri profani in forme platoniche e tradizionali, ora pianta lì la sua
angioletta e si sfoga contro i suoi avversari, e ragiona della morte e della fortuna, o inveisce contro le donne:
Elle donne non son, ma doglia altrui,
senza pietà, senza fè, senz'amore
liete del mal di chi più lor credette.
Perché meglio si comprenda questa disarmonia tra forme convenzionali e un contenuto nuovo, si guardi questo sonetto:
Sulla poppa sedea d'una barchetta,
che 'l mar segando presta era tirata,
la donna mia con altre accompagnata,
cantando or una, or l'altra canzonetta.
Or questo lito ed or quell'isoletta.
Ed ora questa ed or quell'altra brigata
Di donne visitando, era mirata
Qual discesa dal ciel nuova angioletta.
Io che seguendo lei vedeva
farsi da tutte parti incontro a rimirarla
Gente, vedea come miracol novo:
ogni spirito mio in me destarsi
sentiva, e con Amor di commendarla
vago non vedea mai il ben ch'io provo.
Il sonetto comincia bene, in forma fresca e disinvolta. In quelle giovanette, che cantano a mare e vanno a visitare le
amiche e sono ammirate dalla gente, si vede una scena tutta napolitana. Ma questa bella scena alla fine si guasta, col
solito Spirito e col solito Amore vago di commendare, e riesce in una freddura. Si trova disparità tra le firme e il
contenuto nella "Fiammetta" e nel "Corbaccio". La Fiammetta è un romanzo intimo e psicologico, dove una giovane
amata e abbandonata narra lei stessa la sua storia, rivelando con la più fine analisi le sue impressioni. Il Corbaccio è la
satira del sesso femminile fatta dal vendicativo scrittore, canzonato da una donna.
Nel Corbaccio si ha una satira delle donne, com'è la donna in chiesa "incomincia una dolente filza di peternostri,
dall'una mano nell'altra e dall'altra nell'una trasmutandogli senza mai dirne niuno, " o la donna che con le sue
gelosie non dà tregua al marito, e "di ciarlare mai non resta, mai non molla, mai non fina: dàlle, dàlle, dàlle,
dalla mttina fino alla sera, e la notte ancora non sa restare.". Fra' tanti peccati che vengono attribuiti alla donna c'è
pur questo, che " le sue orazioni e i suoi paternostri sono i romanzi franceschi," e " tutta si stritola quando legge
Lancillotto o Tristano nelle camere segretamente." E anche " legge la canzone dell'indovinello, e quella di Florio e di
Biancefiore, e simili altre cose assai." Insomma il Boccaccio descrive le donne nella realtà criticandole anche
ingiustamente.
Figlio illegittimo di un mercante di Certaldo, Boccaccio è condotto a Napoli dove per sei anni deve imparare
mercatura, per altri sei studiare diritto canonico. Ma là, ventitreenne incontra Fiammetta (cioè Maria contessa
d'Aquino, figlia naturale del re Roberto d'Angiò), che egli ama riamato e che diventa l'ispiratrice diretta e indiretta di
molte opere. Richiamato a Firenze dal padre travolto in disastro bancario, fissa in questa la sua dimora,
allontanandosene solo per viaggi diplomateci come ambasciatore del comune. Negli ultimi si ritira a Certaldo dove
muore il 21 dicembre 1375.
Fonte: www.comune.bologna.it
FRANCO SANTAMARIA
Non gode la morte
Passiamo tra giorni che non hanno
valore, ma solo l’odore
accecante della putredine,
la percussione violenta
della caduta.
Non gode la morte, non gode
che non per sua scelta
(com’era nel patto iniziale)
tant’altre montagne di morti lei conti
ad ogni alba
sporche di bava e di sangue,
del liquido blasfemo della fame.
Sono d’irriconoscibili fossili,
di briciole esplose in scotimenti violenti di terra.
Dov’erano
palpiti di alberi verdi, ora sono fiumi di frane,
di muti deserti di scorie.
Dov’erano
traguardi di sogni in avvio, ora sono vortici
di polvere in fiamme di fuochi fungosi,
di crateri abissali.
Dov’era
luce di acqua fremente,
urna d’incanto, ora è pantano
di ali e di guizzi invischiati in nera marea.
Non amo il dio
che viola della morte le radici
né le sue schiere di mascherati rapaci.
Perché tutto d’essi è sangue.
È sangue dei bambini,
prigionieri dell’argilla e dei telai
gonfi d’aria e di antica peste bubbonica.
È sangue dei minatori,
che scavano il cuore
della terra come vermi e masticano coca
prima d’essere fossili di roccia e di carbone.
È sangue dei muratori,
che nuove piramidi alzano
e cadono.
È sangue dei giovani
nella nebbia d’una falsa primavera
e degli ubriachi dementi,
che solo trovano fossi
nel loro sconnesso andare.
È sangue dei poeti e degli artisti,
privati
della forza fantasiosa del creato.
È sangue dei preganti e degli infermi,
degli accampati in baracche sulle fogne.
È sangue della foglia infetta,
della goccia opaca.
È sangue dei ghiacciai orfani, vaganti.
È sangue dei cuccioli, che nessuna
speranza hanno di difesa.
È sangue della luna,
senza più il canto degli innamorati.
Non amo il dio che annera la luce
e arma schiere di rapaci
con artigli di vento radente e pioggia di fuoco,
a scavare le viscere della terra.
Nemmeno la morte gode di tutte
queste stragi.
da "A radici perdute"
COSTANTINO LIQUORI
L’uomo delle anguille
La pace si può trovare anche al di sotto della città. Lì dove confluiscono le scolature, lì dove scorrono inesorabili e lenti
gli avanzi, in un’atmosfera che varia dal marrone al grigio, e talvolta rasenta il pezzato. La pace , per alcuni, soprattutto
lì sotto.
Diverso è il ritmo, non va con il cuore, ma con la noia della corrente, con della sorte il trascinio. Quello che dall’alto del
ponte sembra fermo, è già imprendibile, è già ad un passo dal mare. Camminare contro corrente in certi giorni appare
come l’unica accettabile rivalsa.
Sotto il ponte sta l’uomo con il berretto, subito sotto la confusione. Lì immerge la sua bava ed attende i regali del
flusso, alza e riabbassa il braccio, si uniforma perfino al colore che gli scorre accanto ai piedi. Sono erbacce
oppure si tratta di veramente piedi?
Gli osservo gli occhi e vedo passarci di riflesso l’avanguardia di un grumo di detersivo. Ma non ci giurerei che di
detersivo si tratta, potrebbe anche trattarsi dell’anima dispiaciuta e disfatta di un cane, o un vestito da sposa, o lenzuolo
che dir si voglia, o tappeto, o straccio, o pane inzuppato.
L’uomo con il berretto aspetta le anguille, ma controlla qualsiasi oblunga cosa, e qualunque di lei parente. Vuole godere
della sorpresa, mantenendo così alto il nome della pesca.
Lui però non è il solo frequentatore delle scolature al disotto della città, c’è un altro adoratore del flusso. Codesto è il
topo.
Nella cruenta cittadina mitologia, il topo ha denti due volte più affilati dello squalo. Ha pelo da peste. Ha un alito che
uccide. E’ uno sbranabambini. Dicono che il topo è anche il signore dei sogni.
Inoltre costringe alla fuga chiunque osi allargare le gambe nel suo spazio vitale. Il topo è atroce, quindi che nasca e
muoia nella putrida schifezza.
Insieme a lui ci sono anche tracce ben visibili di romantici sdolcinati che nel fiume amano constatare il loro
concretizzarsi.
Le parole dolci, in un posto simile, credono di poter mitigare l’aspetto da battaglia perduta, da c’era una volta, da
viaggio nell’immediato orrore.
Sogno Sobiria, desidero Sobiria, adoro Sobiria, vivo per Sobiria e le taglierò quindi la gola. In cambio di
Sobiria voglio un miliardo –
Chi ha scritto così, sotto il ponte più decrepito, Sobiria l’ha già sbudellata, se l’è scopata da morta ed è risalito di
corsa e pieno di buone intenzioni, a livello città. Ed ora si sgranocchia una pizza al taglio e al fiume non c’è mai
stato. La scritta è di un nero corvino, salta agli occhi.
L’uomo con il berretto si volta di poco, ma non capisco se il suo è un sorriso oppure una bestemmia. E mi dice.
Nel quarantaquattro ho preso due anguille in un giorno solo. Da allora niente ancoraNel flusso limaccioso la città riflessa, una città intravista nell’olio usato. Cioè un cattivo scherzo dell’occhio, un delirio
da vino scadente. Un surrealismo che non riesce ad essere venduto.
Da lassù qualcuno lancia qualcos’altro. I topi si disilludono, non si tratta di un dono commestibile. E’ un portafoglio
vuoto.
La morte tira l’amo e l’uomo col berretto tira su la morte.
Questa donna è di Monte Sacro. Lei non ha mai potuto soffrire i pesci, e soprattutto quelli disegnati.
Comunque dicevano ch’era perbene, comunque una perbene queste fissazioni non ce l’ha. E il figlio glieli metteva
persino nel gabinetto. Da un momento all’altro doveva arrivare –
Alza la madre impazzita e la ributta verso il mare. Si rimette a desiderare rigido.
Emerge una testa mozza e ci sorride.
Glielo dicevo tutti i giorni. Ma perché non t’ammazzi? E l’ha fatto sul serio. Ciao Italo, ciao bello, bravo che
m’hai dato retta –
L’uomo con il berretto è capace d’individuare immediatamente il fatto e il tipo. C’ha fatto la mano quaggiù.
Quest’altro la tuta rosa ce l’ha solo lui. E’ un ladro e un rompiballe –
E quello cos’è? Macchè anguilla è il topo. E il topo non si tocca, è pescatore come lo sono io –
Sento ribollire, il fiume cambia aspetto, come se volesse scrollarsi di dosso una schifezza veramente troppo
esagerata. Il topo non sa da che parte filare. L’uomo con il berretto straparla, si agita e suppone.
E’ la mia anguilla, è lei, per forza Sotto, una grande ombra con tante braccia che la seguono e la scortano e la circondano. Scorre via rapida sollevando
bollori e nuovo fetore insopportabile.
Resto paralizzato a guardare.
L’amo non può niente, l’uomo con il berretto è felice ed ha paura, è eccitato ma anche furibondo. L’amo non vuole.
Perdere non si può e allora l’uomo e il suo berretto sono dentro l’acqua, sotto. Più non si vedono.
Resto lì.
Alejandro Seta
A. Korn, Buenos Aires, Argentina
Siervo
Siervo tuyo soy de tu
risa.
Reíte, amor, que de tus labios
yo crezco.
De: La rosa invisible
Servo
Servo tuo appartengo alla tua
Risata.
Ridi, amore, che dalle tue labbra
Io cresco.
Trad. Giovanna Mulas / Gabriel Impaglione
QUEI LAMENTI FANTASMA DAL QUARTIERE CASTELLO
il Gruppo Speleo-Archeologico Cavità
Cagliaritane
“ (…) Sopra, alla luce del sole, appare come d'incanto - per chi arriva dal mare - un gioiello luminoso, con le case
arroccate sul turrito quartiere medievale di Castello. Poco sotto, si notano i quartieri - anch'essi medievali - di Marina,
stampace ed un tratto di Villanova. poi, i portici di via Roma, con le facciate dei palazzotti colorati e vivaci. Le strade di
Cagliari, specialmente le viuzze del quartiere Marina, sono invase da un mix di profumi che tentano di alleviare
l'aggressione dello smog. E' una città lambita dal mare, con le spiagge e le sue colline di candida roccia, che sovrasta
quel che pochi conoscono, e hanno avuto la fortuna di visitare: un mondo buio eppure intrigante, quello della città
sotterranea che il nostro gruppo, tra studi ed esplorazioni, cerca di riportare alla luce: una città scavata nella roccia,
fatta di cunicoli e gallerie infinite, laghi sotterranei, ipogei e cisterne. Posti unici, inimmaginabili per la storia ed un
intrinseco fascino. A pensare che questi tesori riposano sotto i nostri piedi; sono celati dall'asfalto e dai marciapiedi che
utilizziamo tutti i giorni. Sono migliaia gli ambienti che riposano sotto Cagliari. molteplici le civiltà che li hanno
utilizzati e riutilizzati un'infinità di volte!
Il centro storico, come anticipato, è composto dai quartieri di Castello, Marina, Villanova e Stampace:
custodiscono importanti segni dell'urbanizzazione della Karalis romana. L'Anfiteatro ad esempio, oppure il
complesso residenziale di Villa Tigellio. Ancora: il sepolcro di Attilia Pomptilla denominato Grotta della Vipera,
la Fullonica di via XX Settembre, l'Area archeologica di Sant'Eulalia, sono i pochi siti resi fruibili (peraltro in
occasioni limitate) all'ampio pubblico. Poi ci sono complessi termali e acquedotti, stanze immense e ricche di reperti
storici che riposano sotto banche e edifici ultra-sorvegliati, quasi inaccessibili ai più! Tanti altri monumenti (cisterne,
acquedotti romani, le necropoli di Tuvixeddu, i pozzi e le fontane monumentali create da Pisani, Aragonesi, Spagnoli e
Piemontesi) riposano sotto alcune colline urbene, sotto strade e palazzi che costantemente monitoriamo, per aggiornare i
nostri archivi. Nelle aree militari, ad esempio, abbiamo potuto osservare e documentare "stanziamenti preistorici" che
da millenni attendono un'opera di valorizzazione. E nel frattempo, mentre alcune istituzioni si organizzano, il nostro
gruppo ama documentare queste antiche preesistenze e comunque farle conoscere: per non dimenticare il nostro
passato, per preservare la nostra memoria storica.” “Qualche vecchio abitante del quartiere Castello, racconta che
nelle notti di tempesta si sentono i lamenti, forse degli incatenati e torturati, che inspiegabilmente rievocano questa
ormai tramontata funzione del sottosuolo locale.”
Il fondatore del GCC
MARCELLO POLASTRI
Presidente e socio fondatore del Gruppo Speleo-Archeologico Cavità Cagliaritane (GCC).
Classe 1978, lavora come libero professionista in Sardegna. Autore di libri e saggi specialistici su argomenti culturali e
di cronaca. Già consulente RAI (Radio televisione Italiana), collabora con testate giornalistiche nazionali e in passato
ha scritto per i quotidiani regionali L’Unione Sarda (1998 - 2001) e La Nuova Sardegna (2001 - 2004).
Premio letterario nazionale L'Intruso, vinto nell'estate 2007, per la sezione "Storia", con il libro "Cagliari, città di
sotto" che ha realizzato trasformando in letteraratura specialistica i testi di una precedente trasmissione televisiva.
Ideatore dei programmi tv: Dedalo, viaggio nella città sotterranea; Dedalo, Sardegna sotterranea e Viaggio nell’isola
del mistero, in onda su Tele Costa Smeralda dal 2003 al 2006 e replicati su altri canali televisivi. I primi due programmi
tv, per decisione dell'autore, sono stati condotti in abiti speleologici (come nella foto a lato).
Suoi i libri: Tuvixeddu Vive (con R. Copparoni e A. Pili; Ediz. Artigianarte 2006); Cagliari (Artigianarte 1997);
Cagliari: la città sotterranea (ediz. Sole 2003) introdotto da Donatella Salvi, direttore archeologo della
Soprintendenza di Cagliari-Oristano. Nel 2005 ha pubblicato Lettere di un cattolico (Ediz. Grafica del
Parteolla). Nello stesso anno Nero Profondo-inchiesta (Ediz. Grafica del Parteolla). Nel 2006 sarà la volta di
Cagliari, città di sotto (Ediz. Prestampa) introdotto dall'archeologo Mauro Dadea; poi Il tempo dei Giganti
(2008), introdotto dal Senatore della Repubblica Saverio D'Amelio e dalla giornalista Anita Madaluni.
Fin da piccolo, Marcello Polastri, ha subito il fascino delle caverne che spalancavano i loro oscuri ingressi sulla roccia
della collina di Tuvixeddu. Tra i sepolcri della locale necropoli punico-romana, che domina l'incantevole Laguna di
Santa Gilla, il passo è stato breve: "entrò in una antica tomba che lo rapì, spingendolo a indagare in archivi polverosi,
tra testi storico-archeologici, la fotografia documentaristica e il rilievo delle grotte, scoprendo e maturando una
passione piena di soddisfazioni...". Come raccontò la giornalista Angela Natale, in un articolo del 1994 (su L'Unione
Sarda), "Marcello Polastri - 15 anni - disturbava sistematicamente, in compagnia del cuginetto Stefano, i tombaroli che
depredavano le tombe della necropoli di Tuvixeddu, sottraendo ai predatori dell'arte perduta preziosi reperti, che
neppure la Soprindendenza sapeva dove mettere...". Da allora, numerosi cronisti si sono occupati dell'attività di studio
portata avanti da questo giornalista-speleologo.
Ha curato rubriche culturali per le riviste: Quark, No limits world, Opera Ipogea della Erga edizioni. Altre
collaborazioni: Almanacco di Cagliari, NuovOrientamenti, Sardegna magazine news. Le copie di quest'ultimo giornale
edite dal 1992 al 1999, contengono centinaia di suoi interventi che illustrano le esperienze dirette nelle cavità
sotterranee sia naturali, che artificiali.
Dopo aver collaborato con diverse associazioni turistico-culturali quali, ad esempio, l'Associazione di volontariato
turistico Amici di Sardegna, il CSI - Centro Studi Ipogei ed il Circolo speleo Sesamo 2000, ha fondato, nel 1993, il
Gruppo speleo-archeologico Cavità Cagliaritane (riconosciuto dalla Giunta regionale della Sardegna e preposto per
l’esplorazione, la tutela e la divulgazione del patrimonio sotterraneo), per poi realizzare il primo censimento dei
sotterranei presenti nel sottosuolo del capoluogo sardo.
Ha organizzato numerose manifestazioni culturali che hanno visto la partecipazione di tantissime persone: numerosi i
convegni, le conferenze, le mostre itineranti che realizzate in modo professionale, auspicano da sempre la salvaguardia
e la divulgazione dei beni storico-archeologici della Sardegna, di cui è profondo cultore.
Per contattare il presidente del GCC scrivete a: [email protected]
Qualche info in più: Costituito nel 1993, il Gruppo Speleo-Archeologico
Cavità Cagliaritane si occupa di Speleologia Urbana, divulgando di questa disciplina al di fuori della Città di
Cagliari. Per hobby e per passione, i giovani componenti del G.C.C. studiano le innumerevoli cavità sotterranee
naturali e artificiali, quindi scavate per tante necessità (approvvigionamento idrico, estrazione della roccia,
seppellimento dei defunti ecc.) fin da 2800 anni or sono, nella roccia calcarea che sorregge il trafficato centro abitato
di Cagliari. Il Gruppo, dal 1996 ha organizzato - anche in collaborazione con la Circoscrizione del Comune di
Cagliari n.2 (di Sant'Avendrace) - numerose escursioni nella chilometrica Miniera Sant'Arennera che, la stessa
organizzazione ha battezzato in questo modo. Per il coinvolgimento dell'ampio pubblico nelle tematiche di divulgazione
e sensibilizzazione del patrimonio speleologico-urbano, l'organizzazione ha riscosso grandi successi. Il G.C.C., fin
dalla sua costituzione, non ha avuto - some si suol dire - peli sulla lingua: ha denunciato lo stato di abbandono di
parecchi sotterranei di eccezionale valore storico- archeologico e culturale battendosi, soprattutto, per il recupero
delle grandi aree speleo-archeologiche della Sardegna. Ad esempio il quartiere Sant'Arennera e l'adiacente necropoli
fenicio-punica e romana situata nel colle Tuvixeddu. Altre iniziative del G.C.C., come ad esempio le campagne
esplorative, sono state seguite dalle TV locali, in particolare dal giornalista Antonello Lai che insieme a Marcello
Polastri (socio fondatore del gruppo e autore del libro "Cagliari: viaggio nella città sotterranea" in cui sono state
documentate oltre 700 cavità censite), hanno portato le telecamere di TCS (allora chiamata ITALIA 7), in tanti pozzi,
cunicoli, gallerie e cisterne per mostrare immagini di rara bellezza. Vocazione, quella televisiva, che è stata seguita in
prima linea, dal 2004,dallo stesso Presidente del GCC che ha realizzato altre trasmissioni telvisive su Cagliari
sotterranea e le grotte della Sardegna. Diverse volte, la stampa nazionale e più frequentemente tv e giornali regionali,
hanno seguito il GCC nel recupero di reperti archeologici e nell'esplorazione di siti sotterranei, divulgando gli
interventi esplorativi anche nell'ambito di crolli e voragini legati alla presenza di caverne dimenticate da secoli.
CONTATTI: Gruppo Cavità Cagliaritane - Via Maglias 66, 09121 – Cagliari / www.sardegnasotterranea.org
DANIELA MICHELI
De mortuis nihil nisi bonum
Sceglierò accuratamente, con estrema calma, senza impazienza,
Perché sarà una di quelle occasioni nelle quali la fretta potrebbe rivelarsi davvero una cattiva consigliera.
Ho tempo per scegliere, tutto il tempo che voglio e ancora di più; nulla mi aspetta domani, non una voce a scalfire il
silenzio perenne, il vuoto assoluto.
Ma che bei colori che ha il vuoto! Non lo avrei mai creduto, pensavo ad una piattezza monocromatica ed invece ho
punti luci dalle mille tonalità e gradazioni che mi costringono a strizzare gli occhi, evidenziando le rughe sottili del
contorno occhi.
Il lato positivo sta tutto qui: non necessiterò di iniezioni di botulino perché non ci sarà il tempo necessario a farle
diventare rughe profonde.
Davanti ai miei occhi tanti campioni di 15x15, difficile la scelta.
Il bianco carrara lo immagino illuminato da un raggio obliquo di sole al primo mattino, lo renderà accecante e
splendido, in mezzo a tutta la distesa di anonima calacata beige con le croci stilizzate in acciaio brunito temperato.
Troppo scontato, senza verve, senza quel tocco di classe che io desidero.
Un bel verde alpi, con alcune venature più chiare sarebbe l’ideale per l’associazione del colore alla simbologia: la
speranza, di restare a liquefarmi piano piano, ad essere nuovamente terra, dopo il processo di lenta scarnificazione dei
vermi, che ingrasseranno di pari passo con il mio scioglimento in poltiglia puzzolente che non trapasserà lo zinco della
mia ultima dimora.
Rosa perlino: no, troppo pallido e anonimo perché lo scelga.
Ho necessità di colore anche da morta: il rosso alicante o il rosso verona.
A Verona sono andata qualche volta, ad Alicante mai; obbligatoria la scelta: se deve essere rosso, che sia rosso di
flamenco, di capelli neri raccolti, di gonne svolazzanti su polpacci torniti a battere il tempo coi tacchi chiodati.
Che sia rosso di nacchere a scandire, a ritmare, a far ansimare i seni nello sforzo.
Ad accompagnarmi nell’eterno riposo.
Avanti, recitate con me la formula di rito, fatene un coro, una nenia, smorzate i toni accesi e sussurrate piano,
una due dieci cento voci… De mortuis nihil nisi bonum: dei morti non si può dire niente se non bene.
Perché, avete forse avuto qualche cosa di male da dire quando ero viva?
Mi conosco molto bene: non sono cattiva, non ho mai agito con cattivi intenti e se l’ho fatto, è stato del tutto
involontario, senza volontà alcuna di ferire, una sorta di auto-difesa, di auto-sostegno per me, una terapia non a
due ma a una sola me stessa.
Risultati alcuni, ma non ho avuto il tempo per lavorarci ancora.
Vi chiedo scusa, se in qualche modo vi siete sentiti colpiti o toccati da mie parole.
Rispetto, pietas dunque per me e per la di me memoria.
Apprezzerei molto il gesto di vedervi varcare il cancello a mani vuote e raccogliere per me un giallo mazzo di fiori di
tarassaco, lì, di fianco all’ossario ce n’è una distesa incredibile.
Romantico gesto, il pensiero di regalarmi fiori appena raccolti e non premeditatamente acquistati.
Il giallo sta benissimo con il marmo rosso alicante, un mixer di toni caldi che oltre a scaldare me, là sotto, scalderà chi
poserà lo sguardo, scostando l’edera che crescerà per sbirciare una foto che non ci sarà.
Non si ricordano le anime con le foto, ma con quello che hanno seminato e coltivato, nel bene e nel male.
La mia, sarà la più bella pietra tombale della zona e qualcuno la candiderà al primo premio del concorso la cui
premiazione è prevista per il prossimo due di novembre.
Ci sarete?
Sì, ci sarete.
Perché ogni maldicenza da voi detta o pensata ora, per me, non ha più importanza.
Buona vita, amici miei, che il tempo sia generoso con voi come non lo è stato con me.
E ditelo a chi vi sta vicino che li amate: domani potrebbe essere troppo tardi.
Parola di morta.
Incontestabile.
Eugenio Montale
Italia
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Xenia II. In ‘Tutte le poesie’, Milano, Mondadori, 1991
Ingrid Wickström
Estocolmo, Suecia
a Las Madres Universales
Jamás te escuché llorar
jamás te escuché respirar
vi el vapor
la máscara de oxígeno
el calambre
tu mano tan tierna tierna
tu pelo tan rubio rubio
Alle madri universali
Mai ti ascoltai piangere
Mai ti ascoltai respirare
Vidi il vapore
La maschera di ossigeno
L’ intorpidimento
La tua mano tanto tenera tenera
Il tuo pelo tanto biondo biondo
Trad.: Giovanna Mulas / Gabriel Impaglione
Olimpia Marino
Italia
Una Donna Qualunque
Non sapeva parlar d’amore
Perché aveva la bocca cucita dal dolore
Non sapeva dar’ ascolto al cuore
Perché era chiuso dal troppo dolore
Non sapeva guardare il cielo
Perché i suoi occhi eran nascosti da un velo
Volle un tempo donare se stessa ad un uomo
Ma le procurò soltanto frastuono
Volle un tempo guardare al di là del velo
Ma si dissolse in un umile pensiero
Ma quando piombò su di lei l’ombra di un guerriero
Col suo incedere forte, fiero
D’aver incontrato l’unica stella del firmamento
Nulla potè lei, così nacque un sentimento
Parlò d’amore, senza dolore
Aprì il suo cuore, senza rossore
Guardò alla vita, non più in disparte
Perché ora, si, sapeva di farne parte.
La leggenda dell'aurora
Aquila Grigia
Leggende degli indiani d’ America (COLLANA Fiabe dell’ aurora) EDITRICE Demetra
Molto tempo fa in questo paese era buio fitto. Gli abitanti, tennero un'assemblea e decisero che occorreva una persona
che fosse veloce a correre.: Scelsero Ghiandaia Azzurra.
Esso, si mise subito in moto in direzione di levante e finalmente giunse in una capanna di terra in un villaggio molto
abitato a giudicare dalla quantità di capanne, ma nessuno in realtà era li, perché se ne erano andati ad una festa non
molto distante. Entrato nella capanna trovò un bambino.. Ghiandaia Azzurra chiese al bambino:
"Dove sono andati?'".
Il ragazzo rispose:
"Sono andati via":
Nella capanna c'erano delle ceste di provviste contro la parete: Ghiandaia Azzurra indicò la prima cesta che vide
li vicino e chiese:
"Che c'è in quella cesta?".
Il bambino rispose:
"Prima sera".
Poi indicò la cesta accanto dicendo:
"Che c'è in quella cesta?".
E il ragazzo rispose:
"Appena buio".
Le domande alternate dalle risposte si susseguirono, fino all’ ultima::
"Che c'è in quella cesta?".
Il fanciullo rispose:
"Aurora".
Allora Ghiandaia Azzurra afferrò lesto la cesta e se ne scappò di corsa!
Il bambino cominciò a gridare:
"Ci hanno rubato l'Aurora!".
La gente non fece caso alle urla del bambino poco distante, e continuarono a danzare.. Finalmente l’ attenzione di un
abitante cadde sulle urla e disse:
"Il ragazzo grida che hanno rubato l'Aurora".
Tutti accorsero allora alla capanna e, spiegato l’ accaduto si misero presto ad inseguire Ghiandaia Azzurra verso
ponente.
Egli andava verso ponente, sempre verso ponente.
Vicino alla Grande Valle lo raggiunsero.
Stavano per prenderlo; eran proprio sul punto di farcela, quando egli aprì la cesta e la luce volò fuori.
DANIELE GENNARO
GIROTONDO
aiutami a spezzare le ali
al rapace di turno,
prega con me che dimore non
periscano nel nulla del finoache
mortenoncosepari,
nel vuoto del supponente
disastro mi immolo con testa
e con idiomi lunari nel nuvolato
indeciso tesoro di donna che sei.
spara e dormi protesa sul freddo
alabastro mille e una notte,
apriti alla mia anima assiderata
di menta e verbena.
allontana i ricordi che dischiudono lenti
le cerniere del forse.
mi ami con levantina arguzia,
mi penzoli addosso
come campanella di natale,
e natale è il tuo nome.
da sempre mi orli e continui a
pensare ai miei vizi,
mi vizi e mi attacchi, mi vedi
cinese e lappone insieme,
mi senti duro e ferrato e
limpido e tatuato di molle desiderio.
le coppe del tuo seno, le labbra
del mio arso misfatto,
bianche di sonno,
salivano e scendono adesso,
solcano spazi e confini da qui a
francofoni idiomi,
a costellazioni dimezzo alla terra
del nulla,
ad orfani diafani clown,
a dromedari su piste di sabbia del niger,
scheletri di mosse abili,
territori del nord con lupe e volpine
bianche che confondono gli occhi,
maschere nere, atlantide e aerea
visione di globi e meteore.
e ancora spinose canzoni cosacche
e mare e mare e mare.
conchiglie allineate sul fiacco pontile,
risacca alle ginocchia,
occhi chiusi sul prezioso lembo di notte,
parlato di incanto, di brezza e
chiuse bracciate nel verde.
acqua attorno e nulla e silenzio:
conosci il mio limite azzurro?
CAFFE' STORICO LETTERARIO
Luogo di incontro virtuale dove poter discutere di cultura sorseggiando un te' seduti in un antico caffè
parigino.
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Inediti –
Ritrovata all'Archivio di Stato nelle carte di Renzo De Felice
Ordine da Milano: eliminate il Duce
Esecuzione di Dongo, un rapporto Usa smentisce Cadorna
«Dopo poche parole scambiate al telefono, Valerio diventò molto eccitato e, senza cerimonie, ordinò che ognuno
partisse. Il repentino cambio di atteggiamento di Valerio potrebbe deporre nel senso che la telefonata da Milano aveva
alterato la sua originaria missione. È solo una ipotesi ma è molto probabile che Valerio avesse ricevuto, poi, l'ordine di
uccidere Mussolini e un certo numero di gerarchi fascisti catturati a Dongo. D'altro canto è difficile spiegare la sua
precedente acquiescenza ai piani del Comitato di Como di condurre vivo Mussolini a Milano».
Siamo nel cuore di un racconto sulla fine di Benito Mussolini e della Repubblica sociale italiana sinora sostanzialmente
inedito, a parte qualche sporadica citazione. Autore di questa inchiesta lunga cinquecento pagine, scritta quasi in presa
diretta per conto dei servizi segreti statunitensi (Oss, Office of Strategic Services, antesignano della Cia) è il colonnello
Lada Mocarski, vice presidente della G. Henry Shroder Banking Corporation a New York, che a partire dal 1941 fu
inviato come agente segreto in Italia, Medio Oriente e Francia. Al momento della cattura di Mussolini Mocarski si
trovava in Svizzera.
Nel giorno di piazzale Loreto (29 aprile 1945) si trasferì nel Nord Italia, dove cominciò un lavoro di
investigazione durato sei mesi: intervistò l'arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster, che aveva promosso
l'incontro del 25 aprile tra Mussolini e i rappresentanti della Resistenza, il generale Raffaele Cadorna,
comandante del Corpo volontari della libertà, l'azionista Leo Valiani, il partigiano "Pedro", a capo del gruppo
che fermò la colonna in cui si nascondeva Mussolini travestito da tedesco, il prefetto di Como e tanti altri
testimoni. Gli unici che Mocarski non riuscì a intervistare furono i quattro direttamente coinvolti nell'esecuzione il
pomeriggio del 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra: Giuseppe Frangi, detto "Lino", coinvolto pochi giorni dopo in un
fatale «accidente»; Luigi Canali, detto "Neri", scomparso misteriosamente; gli altri due, Walter Audisio ("Valerio") e
Aldo Lampredi ("Guido") si rifiutarono di collaborare. Qualcuno potrebbe obiettare che ci troviamo di fronte
all'ennesima versione sulla morte del Duce (se ne contano sinora almeno 22), invece non è così. Quel documento è
interessante perché non indulge sugli ultimi istanti della vita di Mussolini e di Claretta Petacci, ma ricostruisce i
movimenti del Duce, un uomo che aveva perso la bussola, incapace di giudicare con lucidità i consigli che gli venivano
dati, e cerca di capire come si giunse alla decisione dell'esecuzione. Il rapporto di Mocarski è tanto più interessante
perché è stato ritrovato nel fondo Renzo De Felice dell'Archivio di Stato. Quelle cinquecento pagine sarebbero servite al
maggiore studioso del fascismo come una delle fonti per il volume conclusivo della biografia mussoliniana, che
purtroppo uscì incompiuto a causa della prematura scomparsa dello storico, il 25 maggio 1996.
Al testo di Mocarski, recuperato dagli archivi della Yale University, De Felice fece riferimento nel 1995 in un
passaggio del libro-intervista con Pasquale Chessa, Rosso e Nero (Baldini&Castoldi): «La vera storia della Repubblica
di Salò è, in gran parte, ancora ignota — sostenne De Felice —, perché è anche la storia dei servizi segreti che
operarono in Italia durante la guerra... C'erano persino gli svizzeri, oltre agli inglesi, ai tedeschi, agli americani... Questi
ultimi un po' più pasticcioni degli altri, di gruppi di agenti segreti, intorno a Mussolini, ne avevano due. Dopo la guerra
fu stilata, da uno dei due, una relazione segreta di 500 pagine, che contiene molte nuove verità». «Verità» di cui è
possibile avere un assaggio nel prossimo numero di Nuova Storia Contemporanea: la rivista diretta da Francesco
Perfetti, in uscita il 20 febbraio, pubblica ampi estratti del documento con l'introduzione di Michaela Sapio, ricercatrice
dell'università del Molise che ha individuato e studiato le carte Mocarski. È lo stesso agente segreto a indicare «due
importanti aspetti» della sua lunga inchiesta: «Quali fossero i piani di Mussolini nel suo viaggio verso Como e
Menaggio nonché nel suo successivo tentativo di raggiungere la sponda orientale del lago di Como»; la «legittimità
dell'ordine su cui fu fondata la decisa azione del Colonnello Valerio culminata con l'esecuzione di Mussolini e dei suoi
ministri ».
Quanto al primo, continua Mocarski, «nessuna prova circa le intenzioni e i piani di Mussolini è stata raggiunta durante
l'indagine e forse non esisteva alcun piano definito. È infatti ovvio che i movimenti del Duce fossero il risultato di
improvvisazioni non appena le condizioni di fatto cambiavano». Sulla «legittimità dell'ordine di esecuzione » l'agente
americano scrive: «Il Clnai decise che Mussolini, se catturato, avrebbe dovuto essere immediatamente ucciso. Questa
decisione era in qualche modo informale e la stessa seduta in cui fu deliberata non fu rivestita di alcuna formalità, forse
perché l'eventualità del suo arresto sembrava remota... A giudicare dal comportamento di Valerio, non appena costui
venne a Como sulla strada per Dongo, sembrerebbe certo che i suoi originari ordini non includevano... di procedere a
una immediata esecuzione. Fu solo dopo aver ricevuto una telefonata da Milano... che la sua missione si tramutò in
un'esecuzione di morte. La questione ruota intorno a chi fosse dietro al nuovo ordine di Valerio. È ragionevole
ipotizzare che il generale Cadorna fosse almeno una delle persone coinvolte». Una ricostruzione che contraddice la
versione ufficiale del generale Cadorna, secondo il quale "Valerio" era partito con ordini precisi. Per capire l'importanza
del rapporto Mocarski bisogna considerare le divisioni degli Alleati sulla sorte del Duce: il presidente Franklin D.
Roosevelt era per un processo pubblico, mentre il britannico Winston Churchill era più favorevole all'eliminazione
immediata, imbarazzato probabilmente dai suoi passati rapporti con il dittatore.
Dino Messina
Ringraziamo le Fonti: http://www.corriere.it/cultura/09_febbraio_09/ordine_milano_duce_messina_aa69c4c2-f684-11dd-9c7e00144f02aabc.shtml
www.inpuntadipenna.org
MITI
E
LEGGENDE
AFRICANE
Sono tantissime le credenze misteriose, le superstizioni che si tramandano di padre in figlio nei
polverosi villaggi africani. Credenze e superstizioni in cui la realtà e l'invenzione, il mistero e il certo, il magico e il
reale, il sacro e il profano si confondono.
La magia e lo spiritismo sono presenti nella vita quotidiana, accanto alla religione "ufficiale", cattolica, protestante,
luterana, riformista, sempre vissuta con colore ed allegria..
Tuttora la gente comune, e non solo negli sperduti villaggi del Nord, ma anche in città, a Windhoek, tra negozi
luccicanti e grattacieli, sostiene di convivere con esseri sovrannaturali, alcuni buoni altri malvagi.... Anche questa è
l'Africa.. e anche questa è una delle tante sue contraddizioni..
Diffusa in Africa Australe è la credenza nel tokolosh.
"tokoloshe" : questo nome si pensa abbia origine Xhosa, ma è usato da tutta la gente dell'Africa del Sud. Anche altri
nomi come “hili„ e “gilikango„ a volte sono usati per riferirsi alla stessa creatura. Occasionalmente, gli antropologi
includono altre entità paranormali sotto l'intestazione generica “tokoloshes". Il tokoloshe si riferisce ad una specie di
“zombie” nano. Secondo la credenza, si trasforma o meglio si “genera” un tokoloshe quando qualcuno muore in
circostanze drammatiche e violente o comunque non naturali.
Originalmente uno spirito dell'acqua, il tokoloshe è al giorno d'oggi una sorta di spirito domestico, della stessa
famiglia delle streghe e dei folletti. Descritto solitamente come di colore marrone, nano e peloso, è virtualmente
identico, nelle abitudini e nell'apparenza, al brownie di folclore europeo. Il tokolosh si dice parli balbettando. È
solitamente nudo, ma a volte porta un mantello. Il tokolosh è solitamente invisibile agli adulti, ma può essere visto dai
bambini: fortunatamente è amichevole verso di loro (i compagni invisibili sono comuni dappertutto! ). E’ considerato
una creatura malvagia, quasi diabolica.
Il tokolosh è ghiotto di latte, per questo spesso si aggira nei pressi dei recinti del bestiame per rubare il latte delle
mucche. Secondo le credenze popolari, il tokolosh può essere combattuto ed annientato da un medico esperto in
medicina tradizionale. Gli "shamani" producono, secondo la tradizione, una sostanza magica "estratta dal corpo di un
tokoloshe ormai privo di vita". Spruzzando la sostanza all'entrata del recinto del bestiame, lo stregone può intrappolare
e paralizzare il tokolosh. Esso diventa visibile e può essere quindi ucciso.
La credenza nel tokolosh è comune a tutte le popolazioni e culture in Africa del Sud.Molte testimonianze si susseguono
nel tempo, dalla fine dell’800 ai giorni nostri, di persone che affermano di aver incontrato una di queste creature.
Addirittura il Sunday Times, ha segnalato il 30 gennaio 2000 una strage di cui è stata vittima una intera famiglia del
villaggio di Motlonyane, vicino a Mafikeng, che sarebbe stata operata da tokolosh.
In giugno 2002, cinque costruzioni sono bruciate alla scuola secondaria della Comunità di Tihalogang, 25 miglia (40
chilometri) da Francistown, Botswana. Anche qui, le ragazze della scuola, accusano un tokoloshe.
In Sudafrica, in molte famiglie c’è tuttora l’uso di alzare la base del letto, disponendo i piedi sui mattoni. Era una
credenza quasi universale, anni addietro, che questo fosse il modo di mantenere l'occupante del letto lontano dalle
aggressioni del tokolosh.
Mbombo crea l'universo
Al principio Mbombo regnava su un mondo fatto solo di acqua e oscurità. Un giorno il dio ebbe un terribile mal di
pancia e vomitò il sole, le luna e le stelle. Così ci fu luce ovunque e i raggi del sole fecero evaporare l'acqua fino a
formare le nuvole. Il livello dell'acqua si abbassò e comparvero le colline. Il mal di pancia di Mbombo continuò ancora
per molti giorni e vomito ancora e uscirono dalla sua bocca alberi, animali, un uomo, una donna e molte altre cose: le
stelle cadenti, l'incudine, la scimmia Fumu, il firmamento, le medicine e il lampo. L'unico che per il cattivo carattere
faceva danni era il lampo, e alla fine Mbombo lo ricacciò nel cielo. Ma l'umanità intanto, aveva però il fuoco; ci aveva
pensato il lampo e Mbombo mostrò agli uomini come fare il fuoco con gli alberi.
(mito dal Congo)
Pier Paolo Dettori
Alba
(carezze di vento)
E poi
Quella parola
Timida paura
Più che lacrima
Incontenibile
Per te si scioglie
Piccola, dolce madre
Fiero
Il cuore parla e canta
Intorno a te
Profumate note
Di un silenzio
Che ti chiama
Sorellina
Sconosciuta, in quel profondo
Tuo
Rispetto mio
Come raggio umile
E sei poesia
Tu
E sono grazie
Vive
E non potrai ferire
Questa libertà
Mia
Che s’inchina là
Dove splendono i tuoi sogni
E sei gioia
E non lo sai
Vita, vita
Coma goccia di rugiada
in un alba
posata sul tuo fiore
uno sguardo
ed è una sete mia
che le labbra non toccano
e ti osservo mentre il sole ti richiama
tuo
solo tuo
dolce guardarti dormire, piccola
e sei ristoro
richiamo immenso
e volo via
per te
in una libertà che si scioglie
mia
in quei sorrisi
tuoi
e si fa giorno bambina
mentre chiudo gli occhi
una carezza di vento
per te
libera,
libero.
Il cielo in una donna
Tu donna, forte nel tuo cielo, sembri chiedere perdono
Immaginando
Forse io non volo, eppure porto dentro il ritmo del suono
Mille note e troppe sensazioni
Padre
Continuano a bruciare le giuste mie illusioni
Tu, che giochi per i buoni aiutami ti prego
Orchestra tu i miei suoni
sei fantastica, rispose con un fiato
Giochi arguti stanno intorno a te
io ti sento, e adesso senti me
Le parole son qualcosa, comunicano a te
Come il ritmo fa splendere l’eterno intorno a me
Alti e bassi son di più ma sempre troppo poco per volar fino a quassù
Rifiuta ciò che stona nel tuo voler danzar
Perché ricorda bene ci son tante sirene che sanno anche cantar
Ma vedi immenso fiore
Non è con le parole che riescono ad amar
Limiti d’intesa, messaggi primitivi
Saran la tua discesa se presto non li schivi
Orgasmo per capire
Per voi è come dire un corpo sopra un altro
Per vivere l’amore
Ma bada è per finire
Non puoi trattar l’amore
Scendendo a compromessi con chi conosce i sessi
Ma non l’eternità
Sei una donna che vola nel suo cielo
Non chiedere di più
Si arriva ad aver meno ed a spezzare il volo.
Arthur Miller
N
ato a New York il 17 ottobre 1915 (è morto il 10 febbraio 2005 nella sua
fattoria di Roxbury in Connecticut), appartenente all'intellighentzia borghese ebraica di Manhattan, ha scritto soprattutto
per il teatro (oltre che per il cinema). Dopo la grande crisi del 1929 deve affrontare le difficoltà e lavorare per
mantenersi e frequentare la scuola di giornalismo dell'Università del Michigan. Non tarda a scoprire la sua vera
vocazione, quella del teatro, nel quale esordisce a soli 21 anni. Dopo la laurea conseguita nel 1938, frequenta un corso
di drammaturgia grazie ad una borsa di studio e viene ammesso al seminario del Theatre Guild. Scrive copioni per la
radio e debutta a Broadway con L'uomo che ebbe tutte le fortune nel 1944, un'opera che, pur ottenendo il parere
lusinghiero dei critici, viene replicata solo quattro volte. Si cimenta anche nell'ambito della narrazione con Situazione
normale.
Politicamente impegnato, ha maturato una visione tragica del rapporto tra privato e sociale, tra moralità individuale e
legge, tra colpa e innocenza. Sul tema dell'antisemitismo è il romanzo Focus (1945) con cui si impose all'attenzione
critica. Nel 1947 Tutti i miei figli (All my sons; in italiano: Erano tutti miei figli), suo primo lavoro teatrale di successo,
dramma sul conflitto padre/figlio che, come in un ricorrente "processo" alla famiglia, caratterizza la prima fase del
teatro di Miller. Del 1949 è il successo internazionale di Morte di un venditore (Death of a salesman; sottotitolo
"Alcune conversazioni private in due atti e un requiem"; in italiano è stato tradotto con: Morte di un commesso
viaggiatore): protagonista è Willy Loman, commesso viaggiatore, che sigilla con la propria morte l'ambiguità del
"sogno americano". Scritto in sole sei settimane - venne messa in scena nel 1949 e guadagnò al suo autore il premio
Pulitzer: cinquant'anni dopo, vinse il premio per il miglior revival sul circuito di Broadway e a Miller, ormai 83enne,
andò un premio alla carriera.
Il 22 gennaio 1953 è la prima de Il crogiolo (The crucible; conosciuto anche con il titolo di Le streghe di Salem), che,
nella rievocazione dei processi alle streghe del 1692, trasferisce sul palcoscenico l'isterico clima dei sospetti, delle
denunce e menzogne che la "caccia" anticomunista scatenata da McCarthy aveva creato negli USA del dopoguerra (e
non solo). Per questa pièce Miller vinse un Tony (equivalente degli oscar del cinema). Culmine di questa fase sociale
del teatro di Miller, dominata da modelli naturalistici e espressionistici (da Ibsen a O'Neill), è Uno sguardo dal ponte (A
view from the bridge; prima teatrale: 29 settembre 1955): protagonista sempre l'uomo incapace di esprimersi
compiutamente nella parola, il cui destino si illumina in un gesto estremo: qui uno scaricatore italoamericano di
Brooklyn che la legge tribale del gruppo condanna a morte. "Uno sguardo dal ponte" è una tragedia con risvolti
incestuosi in un ambiente di emigranti italiani in America. Contemporanea a essa è Memorie di due Lunedì, un
testo autobiografico, una sorta di "metafora" dell'incomunicabilità e della solitudine di un intellettuale. E' per
Miller un periodo poco creativo: dal 1956 al 1960 sta con Marilyn Monroe, la seconda delle sue quattro mogli.
Nel 1958 acquista la fattoria di di Roxbury in Connecticut. Nel 1956 è la sceneggiatura del film Gli spostati (The
misfits), diretto da John Huston, e interpretato da Marilyn Monroe, che era allora sua moglie. In Dopo la caduta (After
the fall, 1964) si volle vedere il suo senso di colpa per il divorzio e il suicidio della moglie-attrice. Miller si è sempre
accanito a negare qualsiasi nesso con la sua vicenda personale. Riflessione sul tema della complicità e della
responsabilità è in Incidente a Vichy (Incident at Vichy, 1964) che parla di ebrei arrestati in Francia dai nazisti, ne Il
prezzo (The price, 1968) e, in chiave biblica, ne La creazione del mondo e altri affari (The creation of the world and
other business, 1973), scavo alle radici della violenza umana. Affresco della vita americana durante la grande
depressione è L'orologio americano (The american clock, 1980). Nel teledramma Suonando per [guadagnare] tempo
(Playing for time, 1981), derivato dalle memorie dell'ex cantante Fania Fénelon, deportata a Auschwitz, l'arte diventa
uno strumento di sopravvivenza, insieme felice e colpevole. Nel 1982 due atti unici Una specie di storia d'amore e
Elegia per una signora. Nel 1986 Pericolo: Memoria. Appartiene alla vecchiaia, sempre lucida, La discesa da Mount
Morgan, rappresentato al Wyndham Theatre di London il 31 ottobre 1991: la storia di Lyman Felt che si sveglia in un
letto d'ospedale tutto ingessato: ha avuto un incidente d'auto precipitando da un burrone sulla strada di Mount Morgan:
al capezzale, accanto all'infermiere e all'avvocato, accorrono due mogli che scoprono così di aver vissuto finora con un
bigamo. Il dramma termina sospeso tra il tentativo dell'uomo di rompere il disprezzo delle donne, la rievocazione delle
passate felicità, il senso di colpa per la menzogna e la vigliaccheria di una non-scelta. L'ultimo yankee (The last yankee,
1993) è ambientato in un cupo ricovero per malati di mente nel Connecticut: due uomini, un carpentiere e un
commerciante razzista, visitano le loro mogli esaurite. Dice Patricia, la moglie del carpentiere: «in questo paese
chiunque abbia un po' di sensibilità dovrebbe sentirsi depresso»; e il marito: «Forse sono un fallito, ma non più di
quanto lo sia questo paese». Miller inscena una indagine sui segreti e i guasti del matrimonio borghese americano,
dando uno spaccato di parte della crisi interna al modello reaganiano di quegli anni. Nel 1994 Vetri rotti, dove ancora
una volta si intrecciano psicanalisi, drammi storici sociali e personali, con una sottile denuncia nei confronti della
responsabilità individuale. A 88 anni è tornato sulla tormentata relazione con Monroe, con un nuovo dramma, intitolato
Finishing the Picture (che può esser tradotto come "Finire il film" o "Finire il quadro"), la cui anteprima mondiale è
andata in scena al Goodman Theater di Chicago per la regia di Robert Falls. Miller è sempre stato fedele al
melodramma familiare o sociale, di derivazione realistica. Ma rispecchiando anche la vicenda psicologica dell'uomo
contemporanea, con i suoi scarti tra sociale e privato. "Molta parte del mio lavoro va diritta al centro delle nostre radici
- se la vita ha delle radici - perché oggi la famiglia non esiste più e le persone non vivono a lungo nello stesso posto: la
mancanza di radici è forse parte del nostro malessere, semina il dubbio che nulla sia veramente permanente", aveva
spiegato Miller in un'intervista del 1988.
In Europa Miller è ricordato soprattutto come marito di Marilyn Monroe, oltre che per "Morte di un commesso
viaggiatore", pièce entrata presto tra i classici del repertorio occidentale.
Le cronache del febbraio 2005 registrano che al suo capezzale c'erano la sorella Joan Copeland, la figlia Rebecca
Miller, sposata con l'attore Daniel Day Luis e Agnes Bailey, la giovane pittrice di 34 anni con cui Miller stava vivendo,
seppure così anziano, una storia d'amore. Il commediografo era malato di cancro e si era aggravato per una polmonite a
cui si erano aggiunti problemi di cuore.
“ Tutte le organizzazioni sono e devono essere fondate sull'idea che l'esclusione e il proibizionismo sono due concetti
che non possono occupare lo stesso posto.”
“Arriva un momento in cui realizzi che non ti sei semplicemente specializzato in qualcosa: qualcosa si è specializzato
in te.”
Il Sito Letterario
Iván Yauri
Cusco, Perù, 1963
Modo de Producción
Devuélveme la hembra
que me esperó
hasta la náusea.
Y mi amor bajo el ácido.
Tráeme a los pescadores
perdidos
porque falta mi hermano.
Mi carcajada de mango.
Los poemas podridos
de hidrógeno y carbono.
Lo que olvidé a causa
de la propiedad
y la guerra.
Pero primero regrésame
a mis camaradas
asesino.
Devuélvenos
su siguiente lucha.
De: Reapertura del sumario- Octubre Sediciones
Metodo di produzione
Riportami la femmina
Che mi attese
Fino alla nausea.
E il mio amore sotto l’acido.
Portami ai pescatori
Perduti
Perché mi manca mio fratello.
La mia risata di mango.
I poemi putridi
Di idrogeno e carbonio.
Ciò che dimenticai a causa
Di proprietà
E la guerra.
Ma prima riportami
Ai miei camerati
Assassino.
Riportaci la loro prossima lotta.
IL PALLONCINO AZZURRO
Adriana Alarco de Zadra, Perú
─Maria Guadalupe si trova in IBERNAZZURRO.
─In IBERNAZZURRO?
─Così è.
─Questa nuova invenzione per ringiovanire?
─Esatto. “La nuova forma di star sospeso tra la vita e l’aldilà”, come spiega la televisione. Non invecchi, non ti
ammali, ti ossigeni ed assorbi fluidi che ti vanno via via rigenerando.
─Sembra meraviglioso.
─E` meraviglioso. Vuole provare?
─No, no, niente di ciò.
─Io nemmeno. Però ci sto pensando.
Antonio Luigi, in verità, lo stava pensando. Adesso che Lupe era sospesa dentro un globo azzurro per
ringiovanire, lui aveva tutta la libertà di fare ciò che gli veniva in mente senza soffrire i suoi attacchi di gelosia ed
i suoi malumori. Si sentiva indifeso quando lei si scocciava ad accompagnarlo nelle sue escursioni all’aria
aperta. Gli rimproverava che le si formavano delle rughe per causa sua. In cambio lui le precisava che la sua
pelle diventava opaca e pallida se non prendeva il sole.
Certamente! Però per lei, come per molti nella città, il sole era diventato il nemico numero uno. A Lupe avevano
assicurato che all’uscire dal globo azzurro, esporsi al sole era quasi come friggersi in padella. Anche se la pubblicità
non parlava di nessun pericolo:
IBERNAZZURRO ESSENZIALE
IL PIÙ MODERNO ED ATTUALE!
Altre ridicole piccole frasi si leggevano in vari avvisi luminosi che mostravano una bella donna sospesa dentro una
sfera, come:
VENGA AL PALLONCINO AZZURRO FLUTTUANTE
LA SUA CURA IMPATTANTE!
Anche se alcuni assicuravano che invecchiare era un male del passato, che “IBERNAZZURRO” era l’invenzione più
importante del momento, gli sembrava una spesa stravagante, la forma di ibernazione, però non aveva potuto negare
quella soddisfazione alla sua signora...
La città viveva di notte ed il traffico era intenso. Per le strade ed i marciapiedi camminava la gente affrettandosi ad
arrivare puntuali ognuno al proprio impegno. Altri passeggiavano sotto i cartelloni illuminati che s’ accendevano e
spegnevano sopra la gioventù affollata negli angoli delle strade. La gente entrava ed usciva dalle porte di vetro dei
caffè e, anche se non si vedevano bene i volti, si notava la frenetica voglia di vivere.
Antonio si trovava nel Bar Hot Pepper considerando che era libero per un mese. Chiese varie bevande di colori
incredibili, che lo fecero sentirsi euforico e senza inibizioni.
─Non importano i vizi ed eccessi ─sottolineò il cameriere indicando il calendario ─per la festa della fine del secolo
puoi ibernare anche te. Ultimamente hanno migliorato i risultati. Quasi la metà dei clienti che hanno provato il
trattamento, sono ringiovaniti.
─Non vedo che i risultati siano poi tanto magnifici, veramente... ─e si voltò ad osservare un anziano che beveva un
bicchiere di vino in un angolo.─A mia moglie hanno proibito di uscire il giorno dopo la cura perchè la luce può
produrle danni irreversibili.
─Non posso credere che tu voglia continuare ad essere un vecchio! ─Il cameriere segnaló al suo cliente l’ immagine
nello specchio, trattenendo in mano lo straccio con il quale puliva il banco.
─Dicono che bisogna ringiovanire poco a poco perchè può deteriorarsi la memoria.
─Non importa. Se divento giovane avrò nuove esperienze e nuove memorie! Osserva, lì. C’è un cliente che anche se
sembra un adolescente, è un quarantenne. Non è sorprendente?
Veramente, sembrava molto giovane ed aveva un aria sognatrice e svogliata. Probabilmente aveva un lavoro
notturno e gli mancava il sonno. Poco dopo videro che scompariva dietro la tenda dell’ingresso, rimorchiato da
una bella ragazza, della quale non si potè indovinare l’età.
Anche molta gente del suo ufficio lavorava di notte e si rinchiudeva nelle case durante il giorno, e tra di essi, il suo
capo. Dato che era uno dei pochi impiegati che lavorava di giorno, si sentì libero della presenza di lui ed anche di sua
moglie. Quella notte perse ogni ritegno e si lasciò trasportare dalla sfrenatezza. Decise di prendere pastiglie eccitanti
che però gli fecero perdere interesse e concentrazione. Il giorno dopo, si mostrò intollerante nel lavoro, non terminò
quasi nulla di ciò che aveva in sospeso e fece un putiferio nel suo quartiere.
─Non importa ─si disse ─presto uscirà Maria Guadalupe dal palloncino azzurro per riempirmi la vita di colpa e di
scene di gelosia. E pensare che è stata la donna dei miei sogni… il tempo tiene i suoi trucchi e ti fa cambiare la
prospettiva delle persone alle quali dai il tuo amore.
Trascorse il mese. La donna uscí dalla sua reclusione ed Antonio la trovò splendida. Sembrava più giovane, non
soffriva più di gelosie, e si era convertita nella più dolce e serena di tutte le femmine che conosceva.
Si, comprese che Lupe aveva perso la memoria. Non ricordava chi era lui, nemmeno i momenti felici che avevano
vissuto insieme. Fortunatamente, nemmeno reminiscenze di tutte le volte in cui litigarono a causa dei suoi maledetti ed
infondati sentimenti di invidia verso le altre donne che incontravano per strada. Questo lo sconcertò un poco, però la
moglie si vedeva tanto bella e delicata che, lei per prima, non poteva credere a ciò che era successo.
La giovane donna nella quale si era convertita Lupe non poteva raccontargli nulla della sua esperienza dentro il
“palloncino azzurro” perchè non ricordava quasi nulla.
Passarono la notte insieme ed anche se lui godette tenendola nella sue braccia ed accarezzandola, lei sorrideva felice
però non dimostrava sentimenti. Teneva vicino a sè la donna più meravigliosa che avrebbe potuto desiderare, giovane,
bella, sorridente. Ciò malgrado, la frenesia che sentiva non era corrisposta.
Lei giaceva, magnifica, senza muovere un muscolo, senza partecipare, perduta in un altro mondo. Probabilmente la
cura l ‘aveva lasciata esausta. Avrebbe ricordato poco a poco quanto felici erano vissuti insieme. Antonio pensò solo
che doveva avere pazienza e soppresse i sentimenti di frustrazione ed insoddisfazione.
La donna dei suoi sogni era tornata.
Al mattino seguente, Antonio la contemplò addormentata, con i suoi capelli rossi sparsi sul cuscino. Non aveva
nemmeno una ruga, malgrado avesse compiuto 50 anni. Lui pure li aveva compiuti e quando si guardò allo specchio, si
rese conto che sembrava molto più vecchio di lei. Era pieno di rughe, gli occhi gonfi per le bevande esotiche, gli
eccitanti e la vita sfrenata. Il suo corpo già non gli obbediva più. Aveva perso la flessibilità d’ altri tempi. Si dette la
colpa dell`indifferenza della moglie.
Non la eccitava più.
─Devo ibernare anch’io ─si promise.
Non era la prima volta che rifletteva seriamente sull’esperimento di ringiovanimento nel palloncino azzurro, tanto di
moda in quei giorni: “IBERNAZZURRO ESSENZIALE, il più moderno ed attuale”.
Il giorno dopo decise di ritornare giovane e si incamminò verso il centro della città . Aveva dato l’incarico alla
mamma di Lupe di non lasciarla uscire a prendere il sole durante il giorno. Quando arrivò all’Istituto delle
sfere blu si trovò in un ambiente vivace ed accogliente. Osservò il luogo senza gravità dove uomini e donne
ringiovanivano dentro le sfere di ossigeno sotto un avviso che segnalava: “IBERNAZZURRO ESSENZIALE”.
I pazienti galleggiavano ognuno dentro una sfera di materiale azzurro plastificato, sotto un cielo trasparente in
forma di piramide.
─Non lo fare ─gli commentò un vecchio lavoratore con tuta blu dove si leggeva “IBERNAZZURRO”. Antonio
guardò sbalordito l ‘uomo decrepito.
─Potresti farlo tu ─rispose Antonio, scherzoso ─ mi sembra che potrebbe aiutarti.
─L’ho già fatto. ─Al vecchio caddero alcune lacrime lungo le guance. ─Non potrai crederlo però io ho ibernato varie
volte.
─Se tu avessi fatto il trattamento per ringiovanire come dici, in questo momento dovresti essere un bimbo da latte
─indicò Antonio con seri dubbi sulle capacità mentali del vecchio.
─Io non te lo consiglio.
─Lo ha provato mia moglie ed ora è meravigliosa.
─Se lo dici tu...
Antonio si allontanò, pensando d’aver parlato con un demente.
Si iscrisse nell’Istituto per ritornare giovane e salutare insieme con un gruppo di affannati dirigenti di mezza
età. Il trattamento di ringiovanimento durava un mese e l’avrebbe passato in un cubicolo dove non gli sarebbe
mancato nulla. Aveva chiesto un mese di ferie e sborsò in anticipo quasi il doppio dell’importo pagato per sua
moglie, per ottenere la precedenza. Sarebbe uscito per le feste della fine del secolo.
Alla fine del ciclo avrebbe dovuto attenersi alle regole, seguire le istruzioni di non prendere sole ne ripetere la cura
prima dei sei mesi. Quando registrarono i suoi dati, lo assicurarono che sparirebbero le rughe, gli si stirerebbe la pelle,
tornerebbe più forte, più virile, più entusiasta.
Tutto questo era promettente, anche se specificarono che non si doveva preoccupare se al termine del trattamento non
ricordava dove viveva o se gli sopravveniva un amnesia temporale poichè dopo le sarebbe tornata la memoria.
I manifesti di “IBERNAZZURRO”, con luci intermittenti gli assicuravano che era l’ultima invenzione, la più attuale, la
più moderna e quello che nessuno dovrebbe tralasciare di provare. Era il trattamento rivoluzionario degli ultimi tempi.
Vista la quantità di gente che lottava per ringiovanire, non poteva essere che così.
Tranquillizzato, entrò nella sua sfera ossigenata coperto solo con un mantello di materiale spugnoso. Si reclinò e si
guardò intorno. La sfera si elevò nell’aria e scivolò in mezzo all’enorme piramide trasparente. Centinaia di globi
azzurri ondeggiavano nello spazio vicino a lui.
La felicità lo estasiava. Si rannicchiò in posizione fetale e senti che era ritornato alla protezione maternale, stabile ed
armoniosa. All’intorno galleggiavano, sospese nell’ambiente, le altre sfere azzurre, ognuna con un cliente che cercava
lo stesso risultato: la gioventù.
Da un angolo della piramide stavano entrando altri palloni mentre che dalla cupola raccoglievano quelli che
terminavano il trattamento. Ad un certo momento gli sembrò vedere visi conosciuti. Sarebbe sua suocera? Avrebbe
lasciato sola Lupita? Non può essere, si disse.... a meno che.... però allontanò questi pensieri inquietanti e si assopì tra i
vapori voluttuosi e sensuali del globo azzurro. Considerò che non doveva preoccuparsi. In questo momento era un
uomo sereno e contento che sarebbe tornato a vivere la sua gioventù.
Ad intermittenza, entravano nubi di vapore con odori differenti nel suo cubicolo sferico. Respirava ed i suoi polmoni si
riempivano di gioventù, le sue vene palpitavano strepitosamente, ed il suo sorriso diventava sempre più esilarante.
Dall’interno, lui poteva interrompere o aprire le valvole di vapore che lo avvolgevano, alimentavano e preservavano.
Decise che quanto più fluido, più gioventù avrebbe avuto. E mantenne le valvole aperte tutto il tempo che gli era
permesso di farlo, senza che il vapore si esaurisse.
Il vecchio decrepito dovette essersi sbagliato. Nessuno poteva diventare un’ uva passa raggrinzita come lui in un luogo
tanto affascinante e gradevole, un “Ibernazzurro” che ti idrata la pelle e la migliora, la ringiovanisce, la ammorbidisce.
Il cubicolo si riempì di musica, di magia, di felicità. Era una droga. Stava ibernazzurrando... rise per la parola che non
ricordava aver mai sentito. Tanto felice si sentiva che già non si ricordava nemmeno come si chiamava. Giovanni?
Matteo? Questi nomi gli erano familiari. Forse il suo nome era Giovanni Antonio, o Matteo Luigi...?
Dopo pochi giorni dimenticò che cosa stava facendo dentro la sfera azzurra. Probabilmente era nato lì e viveva come
una cellula che qualcuno aveva creato.
Ad un certo momento si toccò con le mani e cominciò a scoprire le sue forme. Aveva una bocca e pure occhi. Non
sapeva a cosa servissero, però era meraviglioso averli e non essere una superficie piatta. Ciò malgrado, a volte
recuperava la memoria ed era sicuro che questa sensazione di felicità sarebbe terminata in qualche momento .
Al mese, uscí dalla sua segregazione.
Era ancora notte però nella sala di ricevimento delle sfere azzurre, illuminata di luci artificiali, gli specchi
riflettevano un uomo giovane , roseo, sorridente, soddisfatto. Non ricordava esattamente chi era, ne il suo nome,
ne la sua traiettoria. Dovevano essersi dimenticati la data della sua uscita perchè nessuno venne a prenderlo.
Per questo, alla porta gli consegnarono un piano con indicazioni del luogo dove doveva dirigersi. Vagò per la
città cercando il “Rifugio Essenziale per Ospiti Senza Memoria” indicato per alloggiarsi.
Presto sarebbe spuntato il giorno e la città sembrava deserta. Alcune persone camminavano preoccupate per le strade
domandandosi una all’altra dei loro familiari scomparsi. Alcuni di questi ai quali si avvicinò vestivano lunghi mantelli
fino ai piedi ed avevano il viso coperto.
Si allontanarono impauriti con gesti impazienti, senza rispondergli. I loro occhi lanciavano lampi spaventati dietro i
veli con i quali coprivano i visi rugosi, ardenti, arrossati e fuggivano per i vicoli. Non era gente giovane ne sana.
In questo momento non voleva occuparsi degli ammalati ne degli anziani! Aveva tutta una vita davanti e non doveva
sprecarla!
Finalmente, assieme ad altri giovani smemoriati ai quali interpellò, arrivò al luogo indicato nel disegno che gli avevano
consegnato in “Ibernazzuro”. Si ricordò che sapeva leggere al vedere il cartello all’ entrata. “Rifugio Essenziale”:
proibito prendere sole. Il luogo era amministrato da un anziano che gli parve conosciuto.
─Ti dissi di non fare il trattamento. Eri un uomo intero. Ora, ti hanno ossidato il cervello.
─Non capisco ─rispose Antonio.
─L’ossigeno delle sfere azzurre ha ossidato le mie cellule, che stanno deteriorandosi. Le tue pure. ─
L’ anziano compilò il formulario d’ingresso col numero assegnato nella sua identificazione.
─Ti sbagli. Io sono stato in vacanza. Solo che non ricordo la direzione di casa mia. Mia madre deve stare
aspettandomi per non mancare a scuola. Mi hanno detto che qui posso alloggiarmi fino a quando ricupero la memoria e
ritrovi così casa mia.
─Tu sei un uomo sposato. Secondo quanto ho saputo, tua moglie ha fatto pure il trattamento per festeggiare l’inizio del
nuovo secolo ed è ringiovanita. Devi avere molta cura perchè alla maggioranza delle persone , come a me, il
trattamento ossida la pelle, che diventa poi indurita ed invecchiata appena riceve un poco di sole. Non c’è rimedio
alcuno.
─Non posso credere che..... ─ricordò le strane persone avvolte in lunghi mantelli che aveva incontrato nella strada
momenti prima. Effettivamente era scritto nelle instruzioni “proibito prendere sole”. Si rese conto che non ricordava
molto. Inoltre, non poteva essere che fosse sposato. Con chi? Di quale secolo nuovo gli parlava? Secolo XVIII?
Secolo XXVIII? Non poteva ricordare.
─Non ti preoccupare ─disse l’anziano ─Forse ricuperi qualcosa della tua memoria. Io feci il trattamento quando
appena era un esperimento ed io non ero un anziano. Malgrado che ho seguito le regole in modo scrupoloso all’inizio,
mi distrassi, non segui più le istruzioni ed uscìi alla luce del sole. Come vedi la pelle mi si è seccata per questa
ragione. Almeno soltanto mi sono disidratato e raggrinzito. Ad altri si ossida il cervello; spero che non sia il tuo caso.
Intanto chi maneggia i globi azzurri si riempiono d `oro e nessuno ricorda dove finì il suo denaro. A nessuno importa
degli smemorati nè dei raggrinziti. Tutti vogliono essere giovani.
Nuovamente Antonio pensò che l’anziano decrepito stava delirando. Lui invece era appena arrivato dalle vacanze
trascorse in un globo nello spazio esterno. Quale spazio? La memoria gli stava difettando. Sicuramente sua madre
sarebbe venuta presto a prenderlo perchè non mancasse ai suoi corsi. Corsi? Studi di che? Era nell’anno... non
ricordava bene però già gli sarebbe venuto in mente.
Vari giovani compartivano il dormitorio con lui. Alcuni erano arrivati lo stesso giorno, altri con anteriorità, però tutti
erano molto silenziosi e revisavano i giornali alla ricerca di lavori notturni. Nelle istruzioni si spiegava che non
dovevano esporsi al sole però non ricordava più la ragione di questo. Attraverso la finestra vide i fuochi artificiali che
illuminavano il cielo stellato con le loro esplosioni, però era troppo stanco per uscire a vedere ciò che stavano
festeggiando.
Entrò al bagno e si guardò allo specchio. Era un giovane bello. In qualche luogo del mondo c’era la ragazzza dei suoi
sogni.
─La incontrerò ─pensò, ─ se questo vecchio pazzo non mi porta cattiva sorte e mia madre viene presto a prendermi.
Mia madre?
Non la ricordava bene, ma non era importante. Era sicuro che appena lo vedesse, sua madre lo riconoscerebbe. E si
mise a dormire per riposare del lungo e pesante viaggio nello spazio che aveva fatto. Nello spazio? Viaggiava per la
prima volta? O era la seconda...? Si addormentò profondamente.
Aprí gli occhi nello svegliarsi all’improviso e, vicino a lui vide la ragazza dei suoi sogni. Camminava per il
dormitorio cercando un luogo che non trovava. Non aveva più di venti anni, rossa di capelli, adorabile. Si alzò.
─Salve. Cosa fa i qui? Dove vai?
─ Mi sono persa. Mia madre stà nel globo azzurro ed io sono uscita per celebrare la fine del secolo. Non trovo la mia
casa. Per questa ragione mi hanno portato qui, al Rifugio per Ospiti senza Memoria.
Rimase a guardarla affascinato . Questa era la ragaza che aveva sempre sognato. L’ avrebbe invitata ad uscire,
naturalmente.
─Come ti chiami?
─Lupe Maria, o Maria Guadalupe, non ne sono molto sicura. E tu?
…Credo che mio nome è Matteo o Antonio, però non ne sono certo neanche io. ─Pensò che la amnesia lo confondeva.
Cercò di trovare nelle tasche la tessere di identificazione che non t rovava. ─ Non importa, presto lo ricorderò .
─Sei solo? ─Lo guardò con occhi di approvazione. ─Non sei fidanzato?
─Per ora no. Però perchè lo domandi? Sei gelosa ?
─ Un pò sì!
─Questo non è raro. Certo, verranno a prendermi però non sò se mi riconosceranno perchè sono cambiato durante le
vacanza.
─Succede sempre. Guarda, è già giorno.─La bella giovane alzò le tende che oscuravano l’ambiente e guardò verso la
strada.
─L’avviso dice che non bisogna stare al sole, però non ricordo se è un avvertimento per tutti o solo per alcuni.
─Siamo giovani e nessuno ci può proibire nulla. Abbiamo tutta la vita davanti. ─Era contenta di aver trovato il Rifugio
e conosciuto un giovane tanto simpatico. Però così insicuro di se stesso. Aveva un viso familiare però non ricordava
dove lo aveva visto prima. Pensò che la vita non poteva negare loro niente e le regole erano fatte per non rispettarle.
Mise un nastro rosso al suo cappello di paglia.
─Potremmo uscire a passeggiare?
─Mia madre mi deve star cercando in tutta la città. Però anch’io sono perso e non ricordo dove sia la mia casa.
─Antonio dubitava se era una buona idea uscire al sole. Si ricordava le avvertenze dell’anziano portiere.
─Certo che no! Ritorneremo subito. ─La ragazza si mise un paio di occhiali oscuri con forma di cuore e lo
guardò sorridente. ─La mia anche verrà in qualche momento a portarmi di ritorno, anche se ora deve essere
ancora in “Ibernazzurro”. Qui si presentano tutti quelli che si sentono smarriti.
─E se ci fa male?
─Non gli crederai a quel vecchio matto della porta. E poi, si è addormentato.
─Non sò a chi domandare. Non conosco nessuno qui.
─Già che sei solo, andiamo a passeggiare un pò. E` un bellissimo giorno di sole ed i giardini si vedono pieni di fiori
magnifici. Io nemmeno ricordo se posso espormi al sole o nò, però non importa. ─Gli dette un paio di occhiali scuri
che prese dalla sua borsa ed un cappello ad ale larghe che era appeso ad un attaccapanni. ─Ci copriremo, ma poi
nessuno ci obbliga ad obbedire....
─Ho dimenticato se devo fare qualcosa di importante. Forse... non devo bagnarmi con la pioggia.
─Non ti preoccupare, che non pioverà. Non vedi che è una bellissima giornata? Inoltre se non ricordi qualcosa è
certamente di poca importanza. Usciamo subito. ─La ragazza scrutava la strada dalla finestra dietro i vetri oscurati.
─Non vedo molta gente. Ci sono solo anziani perchè i giovani riposano delle feste di fine secolo. Inoltre, sai bene che
la maggioranza delle persone lavora di notte .
Senza fare caso alla proibizione ne alle istruzioni si dettero la mano ed aprirono la porta. Il sole splendente entrò con
forza e gli illuminò mentre marciavano in direzione al centro città. L’astro riscaldava una città tranquilla, quasi deserta.
Poche persone camminavano semi addormentate per le passeggiate e giardini ed in mezzo alla piazza risplendevano le
cascatelle d’acqua che sgorgavano dalla fontana.
Allora non ebbero paura di perdersi, ne di dimenticare, ne di camminare sotto i raggi del sole perchè erano insieme. Si
guardarono sotto i cappelli ed attraverso gli occhiali, felici di conoscersi ed ognuno pensò che, finalmente, aveva
incontrato la coppia dei suoi sogni....
Racconti, fiabe e leggende d'Irlanda
Folletti, gnomi e leprecauni: le fiabe irlandesi sono ricche di questi personaggi magici, un po' socievoli ma anche dispettosi.
I racconti e le storie si ispirano alla magia delle fiabe irlandesi, le trame sono dense di elementi fantastici e di incredibili personaggi.
In Irlanda scoprirai un mondo fantastico diviso tra immaginario e realtà.
Gli Elfi irlandesi assomigliano ai nani e agli gnomi, indossano abiti verdi o blu e berretti rossi. Hanno un carattere bonario ma sono
piuttosto sospettosi nei confronti degli umomini. Sono creature della terra, vivono tra le radici degli alberi sacri della foresta e di
notte si danno da fare per aiutare gli animali feriti che abitano i boschi o per ricompensare qualche umano di una buona azione.
Consigliamo a chi debba andare in Irlanda, di prestare attenzione ai folletti malvagi, che si divertono a gettare incantesimi sugli
umani, a tirare loro perfidi scherzi o a spaventarli a morte. Spesso, inoltre i Goblin irlandesi, creature malevole, amano assumere le
sembianze di animali per spaventare i malcapitati.
Il bugiardo irlandese
( favola Irlandese)
Nel lontano Est viveva una volta un re che aveva una sola figlia. Quando la figlia fu cresciuta, ed era abbastanza grande per venire
maritata il re proclamò che avrebbe concesso la sua mano alla persona che fosse riuscita a fargli dire per tre volte di seguito: "E' una
menzogna, una menzogna, una menzogna!".
La notizia del proclama si sparse per il mondo, e raggiunse anche l' Irlanda dove allora vivevano una povera vedova e suo figlio che
era un celebre bugiardo. Una sera il ragazzo tornò a casa e disse:
- Sarei sorpreso se non potessi conquistarmi la figlia del re. Datemi la vostra benedizione, madre, perché domani parto.-. Il
mattino seguente il bugiardo irlandese partì per la sua avventura. Viaggiò a lungo e alla fine giunse alla reggia del re. Alle porte
venne fermato dalle guardie:
- Ehi, tu! Dove vai piccolo irlandese?
- Vado dal vostro re, per sposare sua figlia, - rispose il bugiardo.
Le guardie lo portarono subito al cospetto del re. Il re lo condusse in un enorme prato, dove i suoi greggi e armenti stavano
pascolando, e chiese:
- Cosa pensi del mio bestiame?
- Cosa penso, Vostra Maestà? Questi non sono armenti, non è bestiame, non è niente.
Dovreste vedere il bestiame di mia madre! - Esclamò il bugiardo irlandese.
- E cos'hanno di speciale ? - chiese il re dell'Est.
- Cos'hanno di speciale, Vostra Maestà? Sono così grandi che una volta, sotto una foglia di una di quei cavoli sì poté fare un
banchetto di nozze. Sapete, era venuto a piovere e gli invitati in cortile si bagnavano.
- Uhm, Uhm,- borbotto il re dell' Est, e condusse il bugiardo in un orto vastissimo, che era stato coltivato a fave.
- Ora dimmi che cosa pensi delle mie fave,- domandò.
- Cosa penso, Vostra Maestà? Perché queste sono fave? Non sono fave e non sono niente! Dovreste vedere le fave dell'orto di mia
madre! - esclamò il bugiardo irlandese.
- Cos'hanno di speciale, Vostra Altezza Reale ? Sono piante così alte che la punta della più corta raggiunge le nuvole. Una
volta, quando i boccelli erano maturi, andai con un sacco per raccogliere le fave da una pianta. Mi arrampicai di foglia in
foglia, cogliendo le fave e buttandole nel sacco. Quando questo fu pieno, lo gettai a terra e continuai a salire, finché arrivai tra
le nuvole. Lì vidi una casa e sul muro c'era una pulce. Siccome avevo bisogno di una nuova borsa, la uccisi e la spellai: ma la pelle
era sufficiente per nuove borse. Quando poi cominciai a scendere le foglie erano già secche, e si ruppero sotto i miei piedi. Subito
dopo l'intero gambo della pianta si spezzò.Io caddi, e precipitai in un gran dirupo. Siccome ero rimasto conficcato tra due rocce e non
riuscivo a liberarmi, trassi di tasca il mio coltello, mi tagliai la testa e la mandai a casa per avvisare i familiari di ciò che era successo.
Lungo la strada la mia testa incontrò una volpe e quella briccona la afferrò in bocca. Questo mi seccò moltissimo. Perciò saltai via e
gli corsi dietro, e quando la raggiunsi le tagliai un pezzo di coda col coltello. E sulla coda c'era scritto che vostro padre era stato servo
di mio padre!
Questa è una menzogna, una menzogna, una menzogna! - urlò il re arrabbiato.
- Lo so, Vostra Maestà - rispose il bugiardo irlandese.
- Ma voi stesso mi avete invitato a dirla. Ora, come punizione, dovete darmi vostra figlia in sposa.
E così fu che il povero irlandese ottenne la mano della figlia del re dell'Est.
Venne preparato uno splendido banchetto, che durò un anno intero, e l'ultimo giorno fu allegro e chiassoso quanto il primo.
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Agenzia Estera del NIF di Parigi, a cura di Giancarlo Gallani
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