Introduzione

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Introduzione
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Cosa avevano in comune la divisione personal computer di IBM, i brand di nicchia
Jaguar, Land Rover e Volvo, il costruttore francese di acciai specializzati Arcelor e
il leader americano della birra Budweiser-Anheuser-Busch? Erano icone dell’Occidente e sono state tutte acquistate da imprese di Paesi che fino agli anni Novanta
erano definiti «in via di sviluppo». La divisione di IBM è di proprietà della cinese
Lenovo. Jaguar e Land Rover fanno parte del gruppo indiano Tata Motors. Volvo è andata alla cinese Geely. Arcelor è stata acquistata dall’altra indiana Mittal
e Budweiser-Anheuser-Busch fa ora parte del gruppo belga-brasiliano InBev.
Questi sono soltanto alcuni dei tanti «new champions» dei Paesi emergenti. Sono
i protagonisti di un nuovo scenario dell’economia mondiale.
Le nuove multinazionali seguono lo stesso percorso delle imprese giapponesi
negli anni Ottanta e della Corea del Sud negli anni Novanta: come Toyota e Sony,
Samsung e Hyundai hanno costretto le multinazionali occidentali a rivedere le
loro strategie nei settori dell’automotive e dell’elettronica di consumo, così i new
champions sono una seria minaccia per le imprese che continuano a pensare secondo
modelli ormai datati.
Per le imprese che cercano nuovi mercati e perseguono lo sviluppo, il futuro
è nelle economie emergenti di Asia, Africa, Europa dell’Est e America Latina.
Questo libro è dedicato a loro. Non mancheranno certo nicchie e opportunità nei
mercati maturi di Europa, Stati Uniti e Giappone, ma pochi saranno i settori che
possono ignorare i mercati dei Paesi emergenti. Per molte imprese sarà difficile
sopravvivere se non parteciperanno direttamente alla crescita di tali mercati.
Le previsioni dei vari istituti di ricerca circa lo sviluppo a medio-lungo termine
dell’economia mondiale sono concordi: entro il 2020 i Paesi emergenti dovrebbero
rappresentare nel loro insieme un mercato pari a quello del Gruppo dei Sette (Stati
Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Germania, Canada e Italia). Goldman
Sachs stima che nel 2040 il PIL della Cina eguaglierà quello degli Stati Uniti.
Ma questi dati nascondono una parte della verità: in decine di categorie di prodotto,
i mercati emergenti sono già ai primi posti per le dimensioni della domanda e per
il ritmo di sviluppo. La Cina è il primo mercato mondiale per molti prodotti per la
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casa: TV, frigoriferi, condizionatori d’aria; ha superato gli Stati Uniti e il Giappone
come primo mercato mondiale per numero di auto vendute, nonostante la proprietà
dell’auto sia ancora poco diffusa: soltanto 14 veicoli per 1000 abitanti, a confronto con
i 400 per 1000 abitanti negli Stati Uniti. La tendenza di lungo termine è evidente.
Il libro è diviso in quattro parti. La prima introduce lo scenario in cui si collocano i mercati emergenti. La seconda presenta una traccia per selezionare i mercati
che offrono le migliori opportunità. Vengono proposti cinque filtri, dall’analisi
dell’ambiente a quella della gestione interna. La terza parte esamina le strategie di
ingresso nei mercati emergenti e l’ambiente competitivo che le imprese dei Paesi
sviluppati sono destinate a incontrare; le forti capacità dei concorrenti locali e le
multinazionali dei mercati emergenti che, dopo aver superato la concorrenza interna,
rappresentano ora una seria minaccia nei mercati mondiali. La quarta parte discute,
dal punto di vista delle imprese che hanno origine nelle economie sviluppate, come
raggiungere i target nei mercati emergenti, come gestire il marketing mix e come
porre le basi per il successo in queste nuove realtà così promettenti.
Uno scenario senza precedenti è il titolo della Parte prima: ci ricorda che la forza dei
Paesi emergenti non risiede nel basso costo del lavoro o nel sostegno degli Stati
alle imprese, come molti pensano. Sta piuttosto nella capacità di reinventare modi
di produrre e distribuire, nella capacità di innovare i business model e i modi di
competere. Questi Paesi sono ora rivali dell’Occidente nell’innovazione di prodotto,
ma soprattutto nell’innovazione del processo produttivo. Mentre la maggior parte
delle imprese occidentali ha concentrato l’attenzione e le risorse sulla parte alta
della piramide dei redditi, nei mercati emergenti un grande segmento è cresciuto
largamente inesplorato. È il Next Billion, il prossimo miliardo di consumatori che
si sta affacciando ai consumi in Africa, America Latina, Asia, Europa Centroorientale. La maggior parte è rappresentata da consumatori giovani, che hanno di
fronte a sé decenni di consumi. Per cogliere queste opportunità occorrono business
model adatti alle loro esigenze, ai loro modi di comprare e consumare.
Capitolo 1. La necessitˆ di essere presenti nei mercati emergenti. Sono vari i motivi che
devono indurre le imprese delle economie sviluppate a prendere in seria considerazione
l’ingresso nei mercati emergenti. Alcuni non possono essere assolutamente ignorati:
1) Lo sviluppo economico del futuro è nei mercati emergenti: Europa Occidentale,
Giappone e Stati Uniti sono stati i motori della crescita dell’economia dalla Seconda
guerra mondiale in poi, ma questo trend non è destinato a ripetersi. Nei prossimi
10-15 anni la maggior parte della crescita dell’economia mondiale e dei consumi
sarà concentrata nei Paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo. 2) I due terzi
della popolazione mondiale partecipano a questa crescita: non era mai avvenuto in
precedenza. 3) Le imprese dei Paesi emergenti escogitano nuovi modi di competere
nei mercati mondiali: vendono prodotti e servizi a prezzi straordinariamente bassi;
reinventano modi di produrre, di gestire supply chain e di distribuire; in poche
parole, inventano nuovi business model. Conoscerli significa prepararsi ad affrontarli
e apprendere i nuovi modi di competere. 4) Infine, nei prossimi anni la crescita
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economica nei mercati maturi sarà certamente lenta: la concorrenza all’interno sarà
sempre più intensa, feroce quella da parte delle imprese dei Paesi emergenti. La
popolazione invecchia, la «sindrome Giappone» desta preoccupazione: entrato in
recessione nei primi anni Novanta, non è più riuscito a ripetere i successi degli anni
Settanta e Ottanta. Impianti obsoleti, economia stagnante e un campione un tempo
celebrato per la qualità come Toyota in crisi, temporanea ma inaspettata.
Capitolo 2. Il successo non è facile: protezionismo in agguato, forte variabilità e temibili
imprese locali. Un primo ostacolo è rappresentato dalla tendenza di molti manager
ad adottare nei mercati emergenti le stesse strategie che hanno avuto successo nei
mercati sviluppati. È ormai passato il tempo in cui bastava trasferire nei Paesi in via
di sviluppo, ora emergenti, i business model e i prodotti che avevano avuto successo
altrove: oggi occorrono prodotti specifici. Mentre le multinazionali occidentali
sono soltanto agli inizi di un processo che mira a sfruttare le doti di innovazione
low-cost dei Paesi emergenti, le multinazionali cinesi e brasiliane e i conglomerati
indiani, per citare solo alcuni tra i casi più noti, progrediscono nello sviluppo di
prodotti ideati e progettati specificamente per i mercati emergenti.
Un secondo ostacolo risiede nel fatto che i Paesi emergenti sotto la spinta dello
sviluppo stanno cambiando rapidamente e non in modo convergente: seguono
strade diverse. Molte imprese occidentali hanno fatto esperienze in passato in questi
Paesi, quindi ne conoscono i mercati. Ma il cambiamento dell’economia e della
società è stato ed è tuttora molto forte: ogni anno milioni di persone emergono
dalla povertà e vengono a contatto con prodotti, brand, metodi di distribuzione
che non conoscono.
Infine quelli emergenti sono mercati molto diversi gli uni dagli altri e ogni
mercato va affrontato in modo particolare. Dato che, soprattutto nelle fasi iniziali,
la penetrazione nei mercati è bassa, sorge la necessità di valutare con attenzione
costi, investimenti e rischi.
Capitolo 3. Economie emergenti: varietà di definizioni. La riscossa del «Terzo Mondo». L’espressione «economie emergenti» è stata coniata da International Finance
Corporation nel 1981 per lanciare un nuovo fondo di investimento nei Paesi in
via di sviluppo. Da allora è stata usata con vari significati, ma in sostanza descrive
un’economia (o un Paese) avente redditi pro capite bassi o modesti, ma in forte
crescita. Molte di queste economie escono da lunghi periodi di regimi autoritari
e di forte intervento dello Stato nel sistema produttivo.
Nel tentativo di approfondire questo concetto sono stati elaborati altri criteri.
Tra i tanti proposti quello che risulta di maggiore utilità per le imprese considera il grado di presenza di infrastrutture nel mercato, siano esse infrastrutture
«hard» (reti di trasporto, porti, aeroporti) o infrastrutture «soft» (informazioni
sui mercati, mercati dei capitali, funzionamento della giustizia). Secondo questo
criterio, un’economia emerge veramente quando supera una certa soglia di qualità
di infrastrutture. Tanto più solide sono le infrastrutture, tanto più agevole e meno
rischiosa è l’entrata in questi mercati.
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Tre carenze si riscontrano più frequentemente di altre nelle infrastrutture dei Paesi
emergenti: mancanza di informazioni attendibili sulle tendenze della domanda;
scelte guidate dalla politica e non dall’economia (per esempio difesa a oltranza
dell’occupazione); sistema giudiziario non efficiente (ossia incapace di dare forza
esecutiva ai contratti).
La Parte seconda è La fase di esplorazione. Adotta il punto di vista di un’impresa che
intenda entrare in uno o più mercati emergenti: dato un certo prodotto o servizio e
date certe risorse da mettere in campo, come selezionare i mercati? In quali mercati
entrare? Quali analisi condurre? Quali risultati attendersi? L’analisi e la selezione dei
mercati muovono per approssimazioni successive attraverso una serie di «filtri».
Capitolo 4. Quali mercati tra i tanti? Cos“ diversi nelle dimensioni, nello sviluppo e
nelle strutture. Mentre per un’impresa che intenda entrare nei mercati dei Paesi
economicamente più avanzati ha un senso analizzare un numero ampio di possibili
target, raramente questa procedura conviene per i Paesi emergenti: in genere occorre
limitare l’osservazione a pochi mercati da scegliere con criteri semplici.
Quando si parla di mercati emergenti, il pensiero corre alle sigle: BRIC (Brasile,
Russia, India, Cina), STIM (Sudafrica, Turchia, Indonesia, Messico) e altre sigle
meno note come BRICI, ottenuta aggiungendo Indonesia ai quattro mercati più
importanti. Queste realtà non sono assimilabili a un mercato comune come Asean
o Nafta: sono mercati molto diversi per dimensioni e per stadi di sviluppo. Alcuni
sono molto popolosi, altri meno: Cina e India hanno oltre un miliardo di abitanti,
Brasile e Russia meno di 200 milioni. Cina e India sono due continenti, non due
Paesi. Ogni mercato ha una propria identità, i potenziali clienti sono diversi per
etnie e background culturali.
Una prima selezione può essere operata partendo dal prodotto o dal servizio
che si intende vendere e cercando informazioni utili per scremare i tanti mercati
esistenti. Produciamo robot per l’industria automobilistica? Popolazione e redditi
pro capite possono fornire una prima indicazione, ma quello che conta di più è
se esiste nel Paese un costruttore di auto o di componenti per auto. Vendiamo un
prodotto di largo consumo? Popolazione e redditi sono utili per una prima scrematura. Quanto più numerosa è la popolazione e quanto più cresce il reddito pro
capite, tanto più alto è il potenziale di domanda.
Capitolo 5. Quali prodotti per quali mercati? Il primo filtro discusso nel Capitolo 4
ha selezionato un gruppo ristretto di economie che in una prima approssimazione
offrono buone opportunità.
Il secondo filtro consiste nell’approfondire l’analisi di queste economie esplorando i fattori caratteristici del loro ambiente politico, economico, sociale e
tecnologico. Quali sono gli obiettivi della politica economica? Quali strumenti e
quali istituzioni (per esempio imprese pubbliche) mette in campo il governo? In
che modo tali strumenti e istituzioni agiscono sui settori di interesse dell’impresa
che intende entrare?
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Il terzo filtro riguarda l’analisi della competizione: in sostanza si tratta di individuare
le barriere all’entrata nel mercato. Se ne identificano tre di particolare importanza:
1) attitudine dei governi nei confronti delle imprese straniere che intendano entrare
nel mercato; 2) verosimile risposta dei concorrenti locali all’entrata di nuove imprese
straniere; 3) capacità di competere delle imprese già presenti nel mercato, siano
esse imprese locali o imprese multinazionali.
L’analisi della domanda è il quarto filtro. Consumatori difficili da capire e da
raggiungere, mercati che nascono dalla povertà, l’emergere di una nuova middle
class: cosa significano per le imprese che entrano nei mercati emergenti? In una
prima fase esse devono concentrare le risorse sugli agglomerati urbani piuttosto
che pensare a interi Paesi come se fossero un unico mercato. Solo in un secondo
momento è utile pensare a vendere fuori dalle grandi città.
Il quinto filtro riguarda l’analisi interna dell’impresa: per evitare la tentazione
di replicare quanto è stato fatto nei mercati sviluppati, le imprese devono definire
le capacità chiave, le «core capabilities» sulle quali possono fare leva e che possono
gestire in più mercati per costruire una strategia vincente.
Avendo deciso in quale mercato o in quali mercati entrare, la Parte terza risponde ad
alcune domande: lo scopo è Capire la dinamica della nuova arena competitiva. Quali
sono le possibili strategie per entrare nei mercati emergenti? Quali sono i vantaggi
e gli svantaggi delle varie strategie? Quale concorrenza esercitano le imprese locali?
In che modo le multinazionali dei Paesi emergenti modificano l’arena competitiva?
Quale concorrenza proviene dalle altre MNC dei Paesi sviluppati?
Capitolo 6. Le strategie di entrata nei mercati emergenti. Esportazioni e trasferimenti su
base contrattuale. La scelta della strategia di entrata in un mercato emergente richiede molta attenzione: anche le strategie più semplici richiedono infatti un grande
impegno e grandi capacità da parte del management. Dopo che la strategia è stata
scelta e finanziata, non è mai facile cambiare o ritirarsi dal mercato. La scelta delle
strategie di entrata dovrebbe essere operata adottando una prospettiva di lungo termine, non di breve termine. Possono essere seguite tre principali strategie: 1) entrare
nei mercati emergenti attraverso le esportazioni: è la strategia più semplice e la più
usata; 2) entrare attraverso il licensing, il franchising e altre forme contrattuali; 3)
entrare attraverso investimenti nella produzione, nella distribuzione e nella R&D,
con controllo diretto sulla gestione oppure in alleanza con imprese locali.
Le prime due strategie sono trattate in questo capitolo, mentre la terza è trattata
nel capitolo successivo.
Capitolo 7. Le strategie di entrata nei mercati emergenti (segue). Investimenti in produzione, reti di distribuzione, centri di R & D. Invece di esportare prodotti o cedere know
how attraverso il licensing, il franchising e il contract manufacturing, l’impresa
può decidere di essere presente in un mercato emergente con propri stabilimenti
di produzione, proprie reti di distribuzione o propri centri di ricerca. La presenza
è realizzata con investimenti diretti: un investimento si dice diretto quando dà
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all’impresa il controllo della gestione sull’unità operativa. Le imprese investono
nella produzione all’estero per varie ragioni, che possono essere principalmente
ricondotte alle seguenti: estrarre materie prime, produrre a costi bassi e servire
il mercato locale. La gestione diretta di reti di distribuzione al dettaglio mira a
evitare il ricorso agli intermediari, quindi a non assottigliare i margini di utile, ma
soprattutto mira a creare un rapporto diretto con i clienti. Conoscere direttamente
cosa chiedono i consumatori e gestire direttamente i servizi accessori alla vendita
è un grosso vantaggio competitivo. La gestione diretta di centri di ricerca ha in
genere tre scopi principali: capire meglio cosa vuole il mercato, accelerare il timeto-market e sfruttare le capacità di tecnici e ricercatori locali a un costo in genere
assai inferiore a quelli dei mercati sviluppati.
Capitolo 8. Le imprese dei mercati emergenti, rivali temibili non solo nel Çgood enoughÈ.
Quali strategie hanno consentito a imprese dei Paesi emergenti di resistere alle
imprese straniere e ad alcune di esse di superare i tanti ostacoli e acquisire posizioni
fortemente competitive nei mercati mondiali?
Il capitolo offre tre risposte: 1) la struttura dei mercati emergenti aiuta le imprese
locali ad affrontare le multinazionali straniere; 2) le imprese dei Paesi emergenti
sfruttano la conoscenza del consumatore locale, dell’ambiente competitivo, delle
risorse naturali, del lavoro e dei capitali in particolare; 3) le imprese dei Paesi
emergenti sfruttano le carenze esistenti nelle infrastrutture economiche e spesso
riescono a tradurle in opportunità.
Le imprese dei mercati emergenti hanno imparato molto dalle MNC occidentali:
ora tocca alle MNC imparare da loro. Sono le nuove regole del gioco.
Capitolo 9. Le multinazionali dei Paesi emergenti, Çthe new championsÈ: una seria
minaccia. Con quali vantaggi competitivi le MNC emergenti sono entrate con
successo nell’arena mondiale? Quali strategie hanno adottato? Quale impatto
hanno avuto sulla struttura e sulla dinamica dei settori in cui operano?
Settanta imprese tra le 500 della classifica di Fortune hanno il loro quartier generale in Paesi emergenti: molte vantano una redditività superiore a quella dei rivali
americani ed europei. Hanno in comune più di un fattore: sono leader mondiali
nel loro settore su base globale, non soltanto nazionale o regionale; hanno una vera
presenza globale nelle esportazioni e, spesso, nella produzione; detengono quote
di mercato nelle prime tre posizioni in abbastanza Paesi per essere considerate
«global player»; sono competitive nei mercati mondiali non soltanto per il prezzo,
ma per la qualità, la tecnologia, il design e il management.
Capitolo 10. Il contributo della teoria per capire come e perchŽ. Chi vuole risposte pratiche ai problemi di marketing nei mercati emergenti può saltare questo capitolo:
se invece ricerca uno schema di riferimento, una teoria per interpretare le ragioni
del successo delle imprese dei Paesi emergenti potrà trovarlo interessante.
Il Capitolo 9 ha descritto cosa sta avvenendo nella realtà ricorrendo alla storia
recente. Alcune teorie offrono spiegazioni dei motivi e delle modalità con cui le
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imprese originarie dei mercati emergenti e operanti in differenti settori hanno
costruito la loro presenza globale nell’economia contemporanea. Capire perché e
come ciò è avvenuto può aiutarci a prevedere i futuri sviluppi.
La teoria distingue due fonti di vantaggi competitivi: quelli derivanti da capacità
specifiche dell’impresa e quelli derivanti dalla dotazione di fattori produttivi del
Paese in cui l’impresa è nata e opera.
Russia, Sudafrica e Brasile hanno tratto vantaggi dalla dotazione di risorse
naturali. Cina e India hanno i vantaggi di un grande mercato interno e della
disponibilità di lavoro low-cost sia qualificato sia non qualificato. In Israele le
imprese hanno approfittato della rilevante disponibilità di ingegneri e scienziati
con forte qualificazione, molti dei quali sono emigrati dall’Europa e hanno portato
in patria le loro capacità professionali. Su questi vantaggi le imprese multinazionali
emergenti hanno poi costruito capacità e vantaggi specifici.
Le scelte delle strategie di marketing è il titolo della Parte quarta: essa tratta la
fase operativa del marketing: 1) decidere a quali elementi del comportamento
all’acquisto rivolgersi; 2) definire in quali segmenti del mercato entrare e quale
posizionamento assumere rispetto ai rivali; 3) stabilire il marketing mix: prodotto,
prezzo, distribuzione e promozione.
Capitolo 11. Una nuova generazione di consumatori. Capire cosa guida le scelte del
consumatore individuale o delle organizzazioni nei mercati emergenti è assai
complicato, ma è fondamentale per impostare un marketing management. È il
punto di partenza per stabilire come il potenziale compratore possa rispondere agli
stimoli del marketing mix dell’impresa. Nei mercati emergenti manca la possibilità
di fare ricerche sofisticate, di conseguenza occorre tornare agli albori del marketing: la tecnica più efficace è «passare un giorno o più giorni con il consumatore»
e osservare: come usa il prodotto? Perché compra? Chi compra? Cosa compra?
Come compra? Quando compra? Dove compra?
Per offrire quello che i nuovi consumatori desiderano è necessario mettere da parte
i vecchi modi di pensare. Il problema più grosso è che le nostre imprese guardano
ai mercati emergenti con le lenti dei business model tradizionali, quindi trascurano
o hanno trascurato il Next Billion perché ha una redditività bassa o pari a zero.
La nuova middle class consiste di persone che, dopo aver provveduto alle esigenze alimentari e di abitazione, hanno ancora circa un terzo del reddito disponibile
per una spesa discrezionale. Questi consumatori non sono ricchi, dato che non
dispongono di sufficiente reddito per sottrarsi alla lotta per la sopravvivenza, ma
non sono neanche poveri: vivono di giorno in giorno, di stagione in stagione, ma
si dirigono verso un futuro migliore.
Capitolo 12. Segmentazione e posizionamento: non bastano i segmenti premium per restare
a lungo in questi mercati. Nei Paesi emergenti, sebbene le differenze siano forti, il
mercato dei beni di consumo può essere articolato in quattro distinti segmenti: 1) al
vertice della piramide del mercato sta il livello «global», che consiste di consumatori
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che desiderano offerte aventi gli stessi attributi e qualità dei prodotti venduti nei Paesi
sviluppati e sono disposti a pagare prezzi «globali», premium price, per averli. Subiscono
il fascino irresistibile del global/lusso; 2) immediatamente sotto c’è il livello «glocal»:
consiste di consumatori che chiedono prodotti di standard simili a quelli «globali», ma
sono disposti a pagare qualcosa meno dei consumatori «globali»; 3) i consumatori nel
livello «local» vogliono prodotti di qualità locale e a prezzi locali; 4) la base del mercato
consiste di persone che possono permettersi soltanto i prodotti meno costosi.
Le imprese dei Paesi sviluppati per tradizione mirano anzitutto a competere nel
livello «globale». Hanno i prodotti, hanno i brand di richiamo e possono praticare
agevolmente premium price. Ma la crescita è nei segmenti «glocal», nei quali si
gioca la partita dei grandi volumi e delle economie di scala. Qui le imprese europee, americane e anche giapponesi sono in condizioni di inferiorità: verso questi
segmenti muovono le imprese locali di successo, che hanno dominato il livello
«local», hanno costruito economie di scala e hanno creato prodotti innovativi.
Alcune di queste imprese spesso diventano temibili multinazionali.
Capitolo 13. Le strategie di prodotto. La regola è: prodotti specifici. Per un’impresa che
intenda entrare in un mercato emergente il primo passo da compiere è rivedere
l’attuale portafoglio prodotti valutando l’adeguatezza di ciascuno di essi al mercato
scelto come target. Vendere i prodotti che hanno avuto successo nei mercati maturi
significa spesso catturare soltanto una piccola parte del potenziale di mercato.
In molti mercati emergenti la grande dimensione dei segmenti low-end è
sorprendente. Per cogliere le molte opportunità valgono due regole: rispondere
alle esigenze del potenziale compratore e produrre in grandi volumi per costruire
economie di scala. È quindi necessario progettare i prodotti specificamente per
questi segmenti. Inoltre non basta mirare ai mercati dei grandi agglomerati urbani:
diventare leader di mercato anche nelle piccole città può permettere di accumulare
la scala necessaria per abbassare i costi e competere in modo più aggressivo, oltre
che nei segmenti «glocal», anche nei mercati locali premium.
Capitolo 14. Decidere i prezzi: l’arte del possibile. Quale base scegliere per fissare i
prezzi? Esistono vari criteri: prezzi basati sui costi, basati sulla domanda del mercato,
basati sulla concorrenza. La regola nei mercati emergenti è partire dalle condizioni
del mercato locale, ma il problema non è se tener conto delle condizioni del mercato
locale, bensì come tenerne conto. La formula vincente è «valore al giusto prezzo».
Molti fattori devono essere presi in considerazione nel processo di decisione.
Spesso buone opportunità nei mercati emergenti vanno perse in quanto le imprese non fissano i prezzi dei prodotti in modo appropriato. Alle normali difficoltà
che si incontrano nel fissare i prezzi, nei mercati emergenti si aggiungono altre
complessità: i mercati sono molto diversi gli uni dagli altri, diversa è la normativa,
diverso è il grado di concorrenza, diversi sono i livelli di reddito, diversi i sistemi
di remunerazione/incentivazione dei distributori, diversa la struttura dei costi.
Inoltre nei Paesi emergenti viene meno anche uno dei flussi di informazione più
efficaci: quello che parte dal cliente, scorre lungo il canale di distribuzione e va
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verso il produttore. I prezzi, i dati sulla domanda e sull’offerta e le informazioni sui
prodotti non si ottengono facilmente. I prezzi sono spesso flessibili, la contrattazione è la norma e i prezzi fissi l’eccezione. La mancanza di informazioni garantisce
posizioni di vantaggio agli intermediari locali che sono in grado di conoscere le
tendenze e mette in difficoltà gli attori che invece non ci riescono. Ciò rende la
gestione del sistema informativo di marketing straordinariamente importante.
Capitolo 15. La scelta del canale della distribuzione: le porte si stanno aprendo. Trovare
modi per costruire una distribuzione capillare nei mercati emergenti con un buon
rapporto costi/rischi/risultati è una delle sfide più complesse per le imprese che
vendono beni di consumo. Anche in questo caso il fattore principale è la tradizione: nei Paesi emergenti, salvo rare eccezioni, la distribuzione passa attraverso
molti intermediari; piccole e medie imprese devono necessariamente ricorrere
a importatori-distributori, a meno che vendano prodotti di nicchia e vogliano
investire nel canale diretto (con propria insegna).
Raramente si possono ottenere buoni risultati investendo poco. Gli intermediari locali – grossisti e rivenditori – preferiscono i prodotti che hanno una rapida
rotazione, caratteristica presente raramente in quelli offerti dalle imprese straniere.
Inoltre le alleanze con i produttori locali che possano aiutare nella distribuzione
difficilmente funzionano.
I governi hanno a lungo tenuto chiuse le porte della distribuzione alle imprese
straniere (e ancora le tengono) allo scopo di proteggere i numerosissimi «mom-andpop» che, oltre a rappresentare un serbatoio di occupazione, sono anche una forza
politica rilevante. La distribuzione organizzata (GDO) è stata a lungo penalizzata
a favore delle forme tradizionali di distribuzione locale, ma lentamente le regole
stanno cambiando.
Capitolo 16. La distribuzione al dettaglio nei mercati emergenti tra modernitˆ e tradizione.
La distribuzione al dettaglio mostra grandi differenze tra i Paesi emergenti, determinate dalle diversità nella storia, nella geografia, nella cultura e nella politica. Riflettono
anche differenti livelli di sviluppo economico. India e Cina sono tra i Paesi dell’Asia
che hanno avviato più lentamente la liberalizzazione della distribuzione al dettaglio;
in Brasile invece la grande distribuzione vanta già una buona penetrazione.
Nei principali centri urbani dei Paesi emergenti, i supermercati e i department
store sono molto simili a quelli che possiamo trovare nei Paesi sviluppati. Le differenze significative si riscontrano nelle città di provincia e nelle città situate nelle aree
rurali, dove il dettaglio è organizzato su una scala molto più piccola. Anche nelle
aree urbane il dettaglio fuori dai supermercati e dai department store in genere è
gestito in piccoli punti vendita, i «mom-and-pop», o in mercati all’aperto, una parte
integrante della cultura locale. Se considerati con il metro del marketing moderno,
questi punti vendita appaiono inadatti: sono piccoli, tengono poche scorte, sono
spesso poco illuminati, sembrano sporchi. Sono gestiti evadendo tasse e violando
leggi sul lavoro, il che ne compensa la scarsa efficienza. I loro clienti sembrano
poveri, privi di denaro, acquirenti non sofisticati.
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In realtà i dettaglianti tradizionali tengono bene il campo: non soltanto rispondono alle
esigenze dei «consumatori emergenti», ma servono questi consumatori meglio di quanto
faccia il dettaglio moderno. Il problema è come servirli. I «giganti» del largo consumo
come Procter&Gamble e Unilever hanno una lunga esperienza in questo campo.
Capitolo 17. La gestione della comunicazione. La televisione è il veicolo principale di
pubblicità nei Paesi emergenti, poiché raggiunge ben più persone di giornali, radio,
Internet, manifesti murali, sms. Anche questi media sono utili, ma il tasso di penetrazione è molto più basso rispetto a quello della televisione: essa «educa» all’uso del
prodotto, comunica come è fatto, suggestiona, crea nel consumatore esigenze prima
ignorate. Il problema è che il costo dei messaggi pubblicitari cresce continuamente.
In pochi mercati emergenti le imprese dei Paesi sviluppati possono contare sulla
conoscenza dei loro global brand da parte della popolazione; per questo motivo
investono risorse considerevoli in pubblicità nei mercati emergenti.
Diversamente da quanto avviene nei mercati sviluppati, la vendita mediante
personale è usata non solo per i prodotti destinati alle organizzazioni, ma anche
per i beni di consumo. Due sono i motivi: il basso costo del lavoro e la dispersione
della popolazione su grandi aree geografiche, che rende difficile raggiungere i
potenziali clienti con i media tradizionali.
Per quanto riguarda le altre forme di promozione, l’uso più efficace dipende
anche dal tipo di prodotto. Quando si tratta di prodotti di bellezza o di articoli
per la casa il passaparola è molto importante. Questo significa che il «viral marketing», che è ancora in una fase embrionale in quasi tutti i mercati emergenti, ha
un potenziale non trascurabile.
Capitolo 18. Branding nei mercati emergenti. La premessa per gestire con successo
un brand nei Paesi emergenti muove da due constatazioni: la prima è che i consumatori amano i brand, soprattutto quelli globali, ma la sensibilità al prezzo è molto
forte. È dimostrato che essi preferiscono un brand globale a uno locale soltanto se
la differenza di prezzo è minima. La seconda premessa è che la fedeltà al brand
varia molto da un prodotto all’altro, ma è mediamente bassa. Capita sovente che un
consumatore esca da un punto vendita con un brand diverso da quelli che aveva in
mente prima di entrare. Per questi motivi le azioni di marketing nel punto vendita
sono molto importanti.
I prossimi brand globali verranno da Oriente, verosimilmente emergeranno in
Asia, Medio Oriente o America del Sud piuttosto che negli Stati Uniti o in Europa. Questa tendenza è confermata dal fatto che cresce costantemente il numero
dei brand di Paesi emergenti che entrano a far parte delle classifiche mondiali dei
«top brand».
Su Facebook, «Mercati emergenti Pellicelli», sono disponibili aggiornamenti
periodici del testo.
Giorgio Pellicelli
[email protected]