Bilancio, vigilanza e controlli, 2009, 2, 43 ss.

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Bilancio, vigilanza e controlli, 2009, 2, 43 ss.
Guida all’attività di vigilanza del Collegio sindacale
di Alfredo Frangini*
I poteri di impugnazione del Collegio
Sindacale
Questo articolo si propone di fornire un breve quadro delle principali azioni avanti al
tribunale, anche in sede di volontaria giurisdizione, all’esperimento delle quali è
legittimato, direttamente o soltanto in via suppletiva, il collegio sindacale, organo di
controllo, sia nelle società per azioni, sia, ove presente, nelle società a responsabilità
limitata.
Società per azioni
Art.2357, co.4 c.c.: acquisto delle azioni proprie
L’articolo in commento pone dei limiti all’acquisto di azioni proprie al fine, tra l’altro, di
tutelare l’integrità del capitale sociale, l’affidamento dei creditori, nonché evitare che i
soci, restituendo surrettiziamente il capitale, eludano le norme espressamente dettate
in tema di riduzione del capitale.
Il Legislatore ha previsto che l’acquisto di azioni proprie possa avvenire nei limiti degli
utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente
approvato. L’articolo prosegue statuendo che l’acquisto deve essere autorizzato
dall’assemblea la quale ne fissa le modalità ed in particolare:
il numero massimo di azioni da acquistare;
la durata accordata per l’operazione (non maggiore a 18 mesi);
il corrispettivo minimo e massimo.
Le azioni acquistate in violazione dei predetti parametri devono essere alienate
secondo le modalità da determinarsi dall’assemblea entro un anno dal loro acquisto.
In caso contrario, è necessario procedere senza indugio al loro annullamento e alla
corrispondente riduzione del capitale.
Qualora l’assemblea non provveda, gli amministratori ed i sindaci devono chiedere
che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento di cui all’art.2446
co.2, c.c. (riduzione del capitale per perdite), al commento del quale si rimanda.
Art.2357-bis, co.2, c.c.: casi speciali di acquisto delle azioni proprie
L’art.2357-bis c.c., al pari della precedente, prevede un’ulteriore attribuzione di
carattere suppletivo riservata ai sindaci.
Questo articolo, infatti, elenca i casi nei quali le limitazioni all’acquisto di azioni proprie
di cui al precedente art.2357 c.c. non trovano, in tutto o in parte, applicazione.
Nel caso in cui si verifichi il superamento della soglia fissata dal Legislatore per
l’acquisto di azioni proprie, individuata nel limite della decima parte del capitale del
loro valore nominale, l’assemblea provvederà alla alienazione di dette azioni, secondo
le modalità da determinarsi nell’adunanza dello stesso organo.
*
Avvocato
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La disciplina è identica a quella prevista dall’art.2357 c.c., al quale è fatto
espressamente rinvio.
Qualora le azioni non vengano alienate, si procederà senza indugio al loro
annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. L’unica differenza dettata
dal precedente articolo è il termine entro il quale il Legislatore ha previsto che
l’alienazione debba avvenire: non più un anno ma tre.
Qualora l’assemblea entro tale maggior termine, comunque, non provveda, gli
amministratori ed i sindaci dovranno chiedere al tribunale che disponga la riduzione
del capitale, secondo il procedimento di cui all’art. 2446 secondo comma c.c.
(riduzione del capitale per perdite) al commento del quale si rimanda.
Art.2359-ter, co.2, c.c.: acquisto di azioni o quote da parte di società controllate
In tema di acquisto di azioni o quote della società controllante, il Legislatore prevede
una disciplina che ricalca quella dettata in tema di acquisto di azioni proprie.
Pertanto, se vengono superati i limiti di cui all’art.2359-bis c.c., le azioni acquistate
dovranno essere alienate secondo le modalità da determinare in sede assembleare,
entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, qualora la società controllante non
proceda al loro annullamento o alla riduzione di capitale, gli amministratori ed i sindaci
saranno legittimati a chiedere che la riduzione venga disposta dal tribunale secondo il
procedimento dell’art.2446, co.2, c.c..
Art.2359-quater, co.3, c.c.: casi speciali di acquisto o di possesso di azioni o
quote della società controllante
Questa norma pone delle eccezioni all’operatività dei limiti statuiti dal precedente
art.2359-bis c.c.. In caso di superamento dei limiti, entro tre anni la società
controllante dovrà procedere all’alienazione.
Anche in questo caso il Legislatore attribuisce ai sindaci il potere di adire il tribunale
per far disporre la riduzione del capitale sociale soltanto qualora l’assemblea non
provveda all’alienazione delle azioni, ovvero, alternativamente, al loro annullamento e
alla conseguente riduzione del capitale sociale.
Art.2377, co.2, c.c.: impugnazione delle deliberazioni assembleari
Il collegio sindacale è altresì legittimato ad impugnare le deliberazioni assembleari
non adottate in conformità della legge e dello statuto. Anche tale attribuzione deve
considerarsi ad appannaggio dell’organo inteso in senso collegiale e non in persona
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dei singoli membri , con una sostanziale conferma, quindi, dell’unanime orientamento
ante riforma. Tuttavia, analogamente a quanto previsto per i soci, sembra ancora
condivisibile l’orientamento della dottrina e giurisprudenza formatosi prima dell’entrata
in vigore della riforma secondo il quale il singolo sindaco possa impugnare la delibera
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qualora risulti direttamente lesiva di un proprio interesse personale .
Si discute se sussista in capo ai sindaci, per quanto qui ci occupa, un vero e proprio
obbligo di impugnare la delibera assembleare viziata o una mera facoltà.
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21
In giurisprudenza cfr. Cass., sent. n.3422/77, in Mass., 1977; in dottrina, tra gli altri, Bonelli, “I poteri individuali del sindaco” in Giur.
comm., 1988, I, 521.
In giurisprudenza Cass., sent. n.8992/03, in Mass., 2003; Trib. Verona, 20 giugno 1995, in Foro.it, 1996, I, 303; in dottrina
Cagnasso, “L’amministrazione collegiale e la delega”, in trattato delle società per azioni.
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Secondo un primo orientamento la ratio della norma sarebbe quella di fornire un
mezzo di tutela dell’interesse individuale degli amministratori e dei sindaci; per un
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secondo orientamento , peraltro condiviso in giurisprudenza, l’impugnazione sarebbe
comunque sottesa a tutelare il solo interesse della società.
Il successivo co.6 individua il termine di 90 giorni per l’impugnazione che decorre:
per le delibere non soggette ad iscrizione: dalla data di deliberazione (e non da
quella di verbalizzazione che potrebbe risultare successiva);
per le delibere soggette ad iscrizione: dal giorno della effettiva iscrizione;
per le delibere soggette al solo deposito presso il registro delle imprese:
dall’adempimento dello stesso.
Tale termine è perentorio e non soggetto a sospensione. La giurisprudenza
prevalente, tuttavia, ritiene che la decadenza, alla stregua dei termini processuali,
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rimanga sospesa durante il periodo feriale .
Art.2379, co.1, c.c.: nullità delle deliberazioni
Il presente articolo contempla un’ulteriore ipotesi di invalidità delle deliberazioni,
sebbene più grave di quella precedente, ovvero la nullità delle stesse qualora:
• non sia stata convocata l’assemblea;
• non sia stato redatto il verbale;
• sia impossibile o illecito l’oggetto della deliberazione.
Nelle suddette fattispecie, chiunque vi abbia interesse può impugnare la predetta
deliberazione entro tre anni dalla sua iscrizione o dal deposito nel registro delle
imprese, ovvero, se non soggetta né a iscrizione né a deposito, dalla trascrizione nel
libro delle adunanze dell’assemblea.
Art.2373, co.1, c.c.: conflitto d’interessi del socio
Sotto il profilo strettamente processuale, indubbia risulta l’applicazione del rito
societario. Quanto, invece, alla possibilità di deferimento della pronuncia de quo ad
arbitri, sul punto emergono interpretazioni contrastanti.
Da un lato, difatti, si continuano a ritenere assoggettabili ad arbitrato soltanto i giudizi
25
relativi ad deliberazioni che hanno ad oggetto diritti indisponibili ; dall’altro, c’è chi
ritiene che con l’introduzione della riforma societaria sia stato sancito il potere degli
arbitri di decidere su ogni invalidità delle delibere ed in particolare su quelle in cui si
26
deduce la nullità .
Quanto ai soggetti legittimati a proporre questa azione, la norma individua chiunque vi
abbia interesse.
Per quel che ci occupa in questa sede, esulando dal ricostruire il dibattito dottrinale
sorto in ordine alla posizione del socio e alle condizioni al sussistere delle quali questo
possa proporre tale impugnazione, si ritiene che la legittimazione degli amministratori
e dell’organo di controllo ai sensi di questo articolo segua le stesse regole previste per
l’azione di annullamento, ovvero gli artt.2377 e 2378 c.c., ai commenti dei quali si
rimanda.
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Minervini, “Sulla legittimazione degli amministratori all’impugnativa delle deliberazioni assembleari di società per azioni”, in Riv. Dir.
Comm., 1955, I, 207.
Oppo, “Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari invalide”.
Corte Cost., sent. n.40/85,; Cass., sent. n.3351/97; contra Cass., sent. n.4494/85.
Chiarloni, “Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo”, in Riv., trim., dir., proc. civ., 2004,
pag.123 ess; Ferri, “Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, pag.67.
Ricci, “Il nuovo arbitrato societario”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, pag.519.
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Per quanto attiene al termine entro il quale l’azione deve essere esperita, si osserva
che la riforma ha previsto un nuovo termine di tre anni rispetto alla previgente
disciplina e, comunque, rispetto alla generale regola di imprescrittibilità dell’azione di
nullità negoziale. Infatti, nel caso di mancata convocazione dell’assemblea, di
mancanza del verbale o di impossibilità o illiceità dell’oggetto l’azione dovrà essere
esperita entro i tre anni che decorrono dall’iscrizione, ovvero, ove mancante, dalla
trascrizione della decisione nel libro soci.
Il duplice fine è quello:
di
garantire,
con
l’individuazione del termine,
una maggiore certezza e
garanzia delle situazione
delle aspettative sorte in
capo ai terzi
Si discute se tale termine sia applicabile a tutti i tipi di impugnazioni o, come sembra
emergere dall’interpretazione letterale del dettato normativo, alle sole deliberazioni
che modifichino l’oggetto sociale prevedendo la realizzazione di attività illecite o
impossibili.
di avvicinare i profili di
questa azione a quelli
dell’azione
di
annullamento
Art.2434-bis, co.1, c.c.: invalidità deliberazione approvazione del bilancio
L’articolo in questione detta la disciplina in caso di impugnazione della deliberazione
di approvazione del bilancio, individuandone qualche peculiarità anche in virtù della
sua natura. L’azione di annullamento della deliberazione può essere esperita entro
l’anno, ovvero antecedentemente all’approvazione del successivo progetto di bilancio
(in tale caso, difatti, verrebbe impugnata l’ultima deliberazione, se ancora viziata) da
tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale, salvo diversa
disposizione statutaria.
Per quanto, invece, attiene l’esperimento dell’azione di nullità, colui che richiede al
giudice la pronuncia di nullità deve dimostrare di avere interesse.
Pertanto, nulla osta a che il sindaco promuova tale azione, dovendo tuttavia
dimostrare la sua esigenza di rimuovere una situazione allo stesso pregiudizievole,
non quindi sulla base della sola presenza dell’irregolarità. Al fine, inoltre, della
sussistenza dell’interesse ad agire, è sufficiente la possibilità di un danno per effetto
della deliberazione impugnata, non occorrendo che tale danno si sia verificato o si
verifichi effettivamente, o sia di natura patrimoniale.
Art.2388, co.4, c.c.: impugnazione delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione
La legge prevede la legittimazione all’impugnazione delle delibere del consiglio di
amministrazione, oltre che dei soci assenti o dissenzienti e di tutti i soci
indistintamente - qualora lesive dei loro diritti - anche del collegio sindacale.
Secondo l’orientamento prevalente, il riferimento della norma al collegio sindacale va
interpretato in senso letterale; ne consegue che il solo collegio nel suo plenum, e
quindi previa deliberazione, è legittimato all’impugnazione e non i singoli sindaci
individualmente.
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Tale posizione si fonda:
da un lato, sulla considerazione che
l’utilizzo
dell’espressione
“collegio
sindacale”, successiva all’originaria
formulazione della norma che invece
faceva riferimento ai sindaci, insinui
maggiori dubbi sulla legittimazione
individuale di questi ultimi, ed indichi, al
contrario, una precisa volontà del
Legislatore
di
intendere
tale
attribuzione quale ulteriore strumento
appannaggio dell’intero organo di
controllo
dall’altro, in un’ottica di armonizzazione
dell’intera disciplina normativa, sul fatto
che anche l’esercizio degli ulteriori cc.dd.
poteri reattivi dei sindaci quali, ad esempio,
la convocazione dell’assemblea in caso di
ritardo ingiustificato o omissione degli
amministratori, possano essere esercitati
solo collegialmente.
Il Legislatore disciplina questa azione con
un espresso rinvio, per il caso che ci
occupa, al solo art. 2377 c.c..
Il termine per l’impugnazione è di 90 giorni che decorre dalla data di deliberazione.
Art.2391, co.3, c.c.: impugnazione delle delibere del consiglio
amministrazione votate dall’amministratore in conflitto di interessi
di
La norma in esame prevede la legittimazione in capo agli amministratori di impugnare
le delibere consiliari idonee a recare danno alla società, qualora siano assunte con il
voto di amministratori che non abbiano osservato l’obbligo di disclosure in ordine alla
sussistenza di un proprio interesse - anche non in conflitto con quello oggetto della
decisione - ovvero nel caso in cui la deliberazione non sia adeguatamente motivata.
Tale facoltà è riconosciuta al terzo comma anche al collegio sindacale e la dottrina
ritiene che debba interpretarsi come una legittimazione dell’intero organo e non uti
singuli ,in considerazione del tenore letterale della norma. Il collegio sindacale, quindi,
procederà all’impugnazione solo previa delibera collegiale.
Tale orientamento, quindi, analogamente alla legittimazione dei sindaci
all’impugnazione delle delibere assembleari, esclude che il sindaco disponga
27
individualmente di un potere in tal senso .
Il Legislatore ha statuito che le delibere debbano essere impugnate entro 90 giorni
“dalla loro data”. La dottrina, pertanto, discute se il predetto termine, qualora la
deliberazione sia soggetta ad iscrizione al registro delle imprese, decorra da tale
adempimento. In tal senso, deporrebbe la norma generale in tema di impugnazioni
delle delibere assembleari (art.2378 c.c.). Tuttavia, l’art.2388 c.c., che disciplina in
generale l’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, richiama
l’applicabilità dell’art.2378 c.c. nel quale, invece, il termine per l’impugnazione decorre
dalla data di iscrizione nel registro delle imprese soltanto nel caso di impugnazione da
parte del socio e non da parte degli amministratori o sindaci.
Il mancato dilazionamento da parte del Legislatore del termine per gli amministratori e
per i sindaci sino all’iscrizione della delibera viziata si giustificherebbe in quanto gli
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Patroni Griffi, “Interessi degli amministratori”, Commento sub art.2391 c.c., in “La riforma delle società”, a cura di Sandulli- Santoro,
2, Torino, 2003, 465; Ventoruzzo, Commento sub art.2391, in “Commentario alla riforma delle società”, diretto da Marchetti, Bianchi,
Notari, Ghezzi, Milano, 2003, 480; Santosuosso, “La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme imperative nei D..Lgs.
17 gennaio 2003”, nn.5 e 6, Milano, 2003, pag.142; Mosco, “Validità delle deliberazioni del consiglio”, in Commentario Niccolinid’Alcontres, II, Napoli, 2004, pag.632.
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stessi, a differenza dei soci, avrebbero sempre contezza delle date e del contenuto
delle adunanze consiliari e per tale motivo non necessiterebbero di ulteriore tempo
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per venirne a conoscenza .
Art.2393, co.3, c.c.: azione sociale di responsabilità
L’attribuzione al collegio sindacale della facoltà di promuovere l’azione sociale di
responsabilità è stata introdotta con il D.Lgs. n.310/04, successivamente all’entrata in
vigore della riforma.
Tale potere è attribuito non solo alle società quotate in mercati regolamentati, bensì a
tutte le società azionarie ovvero alle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio. Il nuovo co.3 dell'art.2393 c.c. prevede, infatti, che, in tutte le società per
azioni e in accomandita per azioni, l'azione sociale di responsabilità possa essere
promossa "a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la
maggioranza dei due terzi dei suoi componenti".
Art.2409, ultimo comma, c.c.: denunzia al tribunale
L’art.2409, co.6, c.c. prevede che, nel caso in cui vi sia il sospetto di gravi irregolarità
nella gestione che possano arrecare danno alla società o a una o più società
controllate, i soci che rappresentino il decimo del capitale sociale o il ventiseiesimo
dello stesso - nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio possano denunziare i fatti al tribunale con ricorso.
Tale facoltà è stata estesa al collegio sindacale, anche condividendo una precedente
opinione dottrinale che segnalava la mancata attribuzione all’organo di controllo di un
potere interdittivo nei confronti degli amministratori quale una delle cause di inefficacia
del controllo interno.
Tale attribuzione è diretta e autonoma, ossia non subordinata al mancato esperimento
dell’azione da parte dei soci.
La procedura è diretta al ripristino di condizioni di normalità nella gestione dell’impresa
e non all’accertamento di diritti soggettivi in capo alla società; la stessa difatti, assume
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piuttosto carattere deterrente che propriamente risarcitorio . Per tale motivo, non è
ammesso l’intervento di terzi indipendentemente dall’interesse oggetto di tutela.
Il procedimento è connotato dalla volontaria giurisdizione; l’attività del tribunale,
quindi, si configura come un’attività di vera e propria amministrazione societaria
tuttavia esercitata con le forme della giurisdizione.
30
La dottrina appare altrettanto cauta e non assume una posizione netta sulla
connotazione del procedimento, anche in considerazione della presenza di elementi
che accostano lo stesso alla giurisdizione contenziosa quali, ad esempio, la rimozione
degli amministratori e dei sindaci; in giurisprudenza (di merito e di legittimità), invece,
31
la tesi di volontaria giurisdizione sembra prevalente .
Anche il D.Lgs. n.58/98, (c.d. TUF) recante la disciplina applicabile alle società che
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, sancisce, all’art.152, coordinandosi
con quanto previsto alla norma codicistica in esame, la legittimazione del collegio
sindacale a denunziare le gravi irregolarità poste in essere dagli amministratori.
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In tal senso Ventoruzzo, “Commento sub art.2391”, op. cit., pag.482.
Bonelli, “La responsabilità degli amministratori”, in Trattato Colombo Portale, IV, Torino, 1991, pag.393.
Tedeschi, “Il controllo giudiziario nell’amministrazione delle società di capitali”, Cedam, pag.274.
Cass., sent. n.60/85, in Giur. Comm., 1985, II, pag.751.
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Art.2416, co.1, c.c.: impugnazioni delle deliberazioni dell’assemblea degli
obbligazionisti
L’articolo in commento, concernente l’impugnativa delle deliberazioni assunte
dall’assemblea degli obbligazionisti, è stato significativamente modificato dalla riforma.
Quanto alle più significative novità, si segnala che con riferimento all’impugnazione di
delibere annullabili non è più legittimato ciascun obbligazionista, bensì:
tanti obbligazionisti che detengano almeno l’uno
per mille delle obbligazioni emesse e non estinte
qualora si tratti di obbligazioni
quotate
5% delle obbligazioni emesse e non estinte
qualora si tratti di obbligazioni
non quotate, in virtù del
richiamo del presente articolo
al disposto dell’art. 2377 c.c..
Si ritiene, comunque, che la legittimazione ad impugnare queste delibere nei casi di
annullabilità non spetti ad amministratori e sindaci della società emittente in quanto
32
terzi rispetto all’assemblea degli obbligazionisti . Se ne deduce, comunque, che nel
silenzio della legge tale legittimazione non spetti neanche al rappresentante comune
degli obbligazionisti, anche se tale esclusione non sarebbe giustificata. Tuttavia,
alcuni autori, facendo leva sul disposto dell’art.2377 c.c. secondo il quale gli
amministratori e i sindaci, pur se portatori di interessi estranei al gruppo degli azionisti,
possono impugnare le delibere dell’assemblea dei soci, vorrebbero recuperare la
legittimazione ad impugnare le delibere de quo del rappresentante comune. Quanto,
invece, al caso dell’azione di nullità di queste delibere, la legittimazione è riconosciuta
a qualunque interessato, e comunque, il vizio di nullità può essere rilevato d’ufficio.
Art.2485, co.2, c.c.: cause di scioglimento
L’art.2484 c.c. indica le cause di scioglimento di Spa, Srl e società in accomandita per
azioni. Il successivo art.2485 c.c. prevede, al co.1, l’obbligo per gli amministratori di
accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento per poi procedere,
come statuito al co.3 del medesimo articolo, a richiedere al tribunale competente, con
decreto soggetto ad iscrizione presso il registro delle imprese a norma del co.3
dell’art.2384 c.c., il verificarsi della causa di scioglimento.
Il co.2 dell’articolo prevede espressamente una competenza suppletiva dei sindaci nel
caso di inerzia degli amministratori, in concorrenza con quella degli stessi soci.
Il tenore letterale della norma, tuttavia, lascia spazio a dubbi interpretativi.
L’utilizzo dell’espressione “sindaci”, difatti, non chiarisce se sussista la legittimazione
attiva del singolo sindaco a proporre la predetta istanza. Inoltre, la circostanza che
l’espressione “singoli” sia riferita soltanto ai soci ed agli amministratori sembra
rafforzare tale interpretazione.
I primi commentatori, anche sulla scia dell’interpretazione precedente alla riforma, si
sono unanimemente espressi per la legittimazione collegiale a proporre l’istanza ex
33
art.2458, co.2, c.c., facendo leva soprattutto sul tenore letterale della norma .
32
33
Clarizia, Assemblea degli obbligazionisti e rappresentante comune, in Soc., 1991, 322
Vaira, Commento sub art.2484 e sub artt.2485-2486, in “Le riforme del diritto italiano”, II, pag.3, “Il nuovo diritto societario”,
commentario diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004, pag.2057; Dimundo, “Commento sub
art.2484 e sub art. 2485”, “Gruppi, trasformazione, fusione, scioglimento e liquidazione, società estere (artt.2484-2510)”, in “La
riforma del diritto societario”, a cura di Lo Cascio, 9, Milano, 2003, pag.61; Paciello, “Commento sub art.2484 e sub art.2485”, in “La
riforma del diritto societario”, III, a cura di Sandulli-Santoro, Torino, Giappichelli, 2003, pag.244; Spaltro, ”L'accertamento delle cause
di scioglimento delle società di capitali: profili civilistici e processuali, in corso di pubblicazione su Società”, reperibile sul sito
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L’apposizione della precisazione “singoli”, secondo tali autori, è quindi riconducibile ai
soli amministratori e soci e di tal guisa ne consegue la volontà di legittimazione del
collegio sindacale quale organo collegiale.
A ciò si aggiunga che la nuova formulazione del co.1 dell'art.2403-bis, c.c., ritenuto
34
dalla giurisprudenza di diverso orientamento esempio emblematico del cambiamento
di prospettiva sui poteri individuali dei sindaci a seguito della riforma, non è stato
oggetto di particolari attenzioni da parte dei primi commentatori della riforma, i quali
hanno sottolineato come tale disposizione non sia altro che la ripetizione verbatim del
principio già espresso nel co.3 dell'art.2304 c.c., vecchio testo.
Dai giudici di merito, difatti, è stato individuato un forte argomento a supporto della
possibilità di esperire l’azione da parte anche del singolo sindaco nell’utilizzo da parte
del Legislatore della dicitura “collegio sindacale” qualora abbia inteso attribuire poteri
di iniziativa processuale all’intero organo.
A supporto di tale interpretazione, dal punto di vista sistematico, si è poi rilevato che
anche la facoltà di convocazione dell’assemblea affinché provveda agli adempimenti
di cui all’art.2447 c.c. al fine di evitare lo scioglimento della società (2406 co.1 c.c.), è
attribuita dal Legislatore all’intero organo. Ne consegue che attribuire al solo organo
collegiale la legittimazione attiva a proporre l’istanza de quo comporterebbe un’inutile
duplicazione di poteri in capo allo stesso organo.
Tuttavia, la questione se il singolo sindaco possa proporre istanza di scioglimento al
tribunale rimane controversa sia in dottrina che in giurisprudenza, anche in
considerazione dei pochi anni di effettiva applicazione della riforma.
Da un lato, difatti, nelle nuove disposizioni societarie è possibile rinvenire argomenti
letterali e sistematici:
 sia a favore della legittimazione anche individuale;
 sia a favore della legittimazione solo collegiale.
I punti controversi sono molti: in primis, il dato letterale della norma può risultare
ambiguo in quanto l'aggettivo "singoli", come ha sottolineato la già citata dottrina,
sembra riferito solamente agli amministratori e ai soci; inoltre, interpretare una
disposizione codicistica alla luce di una disposizione transitoria di coordinamento
(art.223-septies disp. att. c.c.) risulta quantomeno criticabile; infine anche dal punto di
vista sistematico non è così agevole ricavare esplicitamente il principio di attribuzione
di maggiori poteri anche individuali ai singoli componenti del collegio sindacale.
35
In secondo luogo, l'art.2485 c.c., a parere di alcuni commentatori , risulta
scarsamente coordinato con le nuove disposizioni sui modelli di amministrazione e
controllo alternativi, in quanto si riferisce solamente ai sindaci. Se è vero che tale
problema può essere risolto seguendo le disposizioni dell'art.223-septies disp. att.
c.c., resta pur sempre il fatto che, nel modello monistico, i componenti del comitato
per il controllo sulla gestione sono comunque amministratori e come tali sicuramente
legittimati individualmente a proporre l'istanza al Tribunale.
In considerazione di quanto sopra, quindi, è stato affermato che legittimare anche il
singolo sindaco a proporre l’istanza al tribunale avrebbe il:
34
35
www.ipsoa.it/societaonline; De Marchi - Santus, “Scioglimento e liquidazione delle società di capitali”, in Consiglio notarile di Milano,
Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, pag.224; Niccolini, “La nuova disciplina
dello scioglimento, della liquidazione e dell'estinzione delle società di capitali”, in Riv. dir. impr., 2003, pag.2229; Di Sabato, “Diritto
delle società”, Milano, Giuffrè, 2003, pag.493.
Trib. Biella, 26 maggio 2004, in Giur. Comm., 2005, II, 355.
Vaira, “Commento sub art.2484 e sub artt.2485-2486”, in “Le riforme del diritto italiano”, II, 3, “Il nuovo diritto societario”,
commentario diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004, pag.2057; Paciello, “Commento sub
art.2484 e sub art.2485”, in “La riforma del diritto societario”, III, a cura di Sandulli-Santoro, Torino, Giappichelli, 2003, pag.245.
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“pregio di evitare che si crei una differenza nei poteri dell'organo di controllo dei
differenti modelli di amministrazione e controllo, attenuando così in via
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interpretativa un aspetto di "concorrenza ineguale" tra i diversi modelli” .
La dichiarazione di avveramento di una causa di scioglimento da parte degli
amministratori, ovvero, in sostituzione, il decreto del tribunale, non produce effetti
irreversibili. A fronte del procedimento sommario conclusosi con decreto, infatti, ai sensi
dell’art.32 del D.Lgs. n.5/03, può seguire un giudizio ordinario, per esempio su iniziativa di
chi contesti l’avveramento della causa di scioglimento che si concluderà con sentenza.
Qualora tale azione fosse già estinta residuerebbe, tuttavia, il rimedio dell’azione di danni
nei confronti di chi abbia promosso l’accertamento dell’avvenuto scioglimento.
Si discute se il tribunale adito per gli adempimenti di cui all’art.2485, co.2 possa/debba
altresì convocare l’assemblea e adottare gli opportuni provvedimenti ai sensi dell’art.2487,
co.2, c.c.. Sembra prevalere la tesi secondo la quale, in tale sede, il tribunale possa
unicamente nominare i liquidatori, senza dettare alcuna disposizione in merito ai loro
poteri e alle modalità di gestione della fase liquidatoria, in considerazione della natura
residuale ed eccezionale del decreto giudiziale, nonché del carattere dispositivo
37
dell’art.2487 e della natura dei poteri dei liquidatori di cui all’art.2489 c.c. .
Art.2487: nomina e revoca dei liquidatori
La norma, applicabile
sia alle Spa (opportunamente
coordinata con l’art.2365 c.c.)
sia alle Srl (coordinata con l’artt.2479-bis,
da un lato, ed il 2479 n.5 c.c., dall’altro)
prevede che,
salvo il caso in cui la società si
sciolga per le ragioni di cui ai nn.2,
4 e 6 dell’art.2484 c.c.
e che l’assemblea non abbia già
provveduto,
gli amministratori
qualora lo statuto o l’atto costitutivo
non dispongano diversamente
contestualmente all’accertamento
della causa di scioglimento
debbono convocare l’assemblea dei
soci per la deliberazione in ordine:
Â
Â
Â
Â
36
37
alla nomina e scelta del numero dei liquidatori;
alle regole di funzionamento del collegio in caso di pluralità di liquidatori;
ai criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione;
agli atti necessari e/o opportuni per la conservazione e l’esercizio provvisorio dell’impresa.
Balzola, “Sulla legittimazione del singolo sindaco a proporre istanza di accertamento della causa di scioglimento”, in Giur. Comm.,
2003, II, pag.357.
Vaira, “Commento sub art. 2485”, in “Scioglimento e liquidazione delle società di capitali”, in Il nuovo diritto societario, commentario
diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004,
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La competenza del Collegio sindacale, anche in questo caso, assume natura
suppletiva. Infatti, il presupposto necessario e sufficiente per la legittimazione
dell’organo di controllo a proporre istanza al tribunale, affinché provveda alla
convocazione dell’assemblea e (qualora quest’ultima non si costituisca o deliberi)
adotti con decreto i provvedimenti sopra menzionati, è l’inerzia dell’organo
amministrativo nel convocare l’assemblea contemporaneamente alla decisione
consiliare che accerta l’avveramento della causa di scioglimento, senza attendere la
eventuale omissione dei sindaci obbligati alla convocazione ex art.2406 c.c.
Sono, altresì, legittimati ad adire il tribunale, i singoli soci o i singoli amministratori,
sicché taluni autori hanno ritenuto la legittimazione di questi soggetti concorrente con
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l’obbligo dei sindaci di cui all’art.2406 c.c. .
Da segnalare, tuttavia, un orientamento secondo il quale la competenza degli
amministratori e dei sindaci sarebbe concorrente, indipendentemente dall’inerzia dei
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primi .
Sebbene il tenore letterale della norma sembra deporre in favore di una legittimazione
da parte del legislatore (anche in questo caso) ad un’azione dell’organo di controllo di
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tipo collegiale, si ritiene che legittimati ad adire il tribunale siano i singoli sindaci .
Competente alla convocazione dell’assemblea è il tribunale in composizione collegiale
(ex art.33 D.Lgs. n.5/03,) in sede di volontaria giurisdizione.
La nomina dei liquidatori e la deliberazione dei provvedimenti connessi di cui al
presente articolo avviene in camera di consiglio (nella versione ante-riforma era
competente il solo presidente) in composizione collegiale.
Art.2446: riduzione del capitale per perdite
Con questo articolo la norma intende tutelare la trasparenza delle società (soprattutto
nei confronti dei terzi) affinché venga assicurata una corrispondenza tra il capitale
sociale ed il patrimonio della società, imponendo quindi la riduzione del primo al fine
di adeguarlo al secondo, al superamento di determinati parametri.
Ai sindaci il Legislatore riconosce una competenza suppletiva; nel caso in cui gli
amministratori - o il consiglio di gestione nel caso di adozione del modello di
governance dualistico - non provvedano senza indugio a convocare l’assemblea per
adottare gli opportuni provvedimenti, tale dovere è posto in capo all’organo di
controllo, sia esso il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza nel sistema
dualistico.
Si noti come dal tenore letterale della norma l’obbligo/onere di deliberare la riduzione
del capitale spetti all’assemblea ordinaria e non a quella straordinaria secondo la
norma generale in tema di modifiche dell’atto costitutivo.
In mancanza della predetta deliberazione, quindi, gli amministratori, ovvero i sindaci,
debbono richiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in
proporzione delle perdite accertate.
Il tribunale provvede secondo le norme relative ai procedimenti in camera di consiglio,
ed in composizione collegiale, con decreto soggetto a reclamo che deve essere
iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.
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39
40
Parrella, “Commento sub art.2487”, in “La riforma delle società”, a cura di Sandulli- Santoro, 2, Torino, 2003, pag.254.
Dimundo, “Commento sub art.2487”, in “Gruppi, trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere”,
Commentario Lo Cascio, 2003, pag.82.
Parrella, op.cit., pag.255; Dimundo, op.cit., pag.82.
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Società a responsabilità limitata
Nell’ottica perseguita dal Legislatore di rafforzare nelle società a responsabilità
limitata il potere di controllo dei soci, nonché l’autonomia privata nella configurazione
ed il funzionamento dell’organo di controllo, l’art.2477 c.c. ai co.2 e 3, individua dei
criteri dimensionali al sussistere dei quali la società è tenuta a dotarsi del collegio
sindacale, ovvero alternativamente:
il capitale sociale sia pari o superiore a quello minimo stabilito per le società per
azioni;
siano superati per due esercizi consecutivi due dei limiti dimensionali fissati
dall’art.2435-bis c.c per la redazione del bilancio in forma abbreviata.
Il collegio sindacale deve essere costituito anche qualora sia richiesto da leggi speciali
per le società che svolgono attività particolari, ad esempio quelle sportive.
Ne consegue che, fermo restando il rinvio generale alle norme delle società per
azioni - senza peraltro il limite/criterio della compatibilità - nel modello societario
che ci occupa, il collegio sindacale è chiamato a svolgere principalmente attività
di controllo dei conti, come peraltro si evince dalla stessa rubrica del citato
articolo. Tale attività subisce necessariamente limitazioni e ingerenze per l’ampio
potere di controllo attribuito ai soci ai sensi dell’art.2476 c.c. nonché per la
presenza, se richiesta dal dettato codicistico, dei revisori.
L’opinione della dottrina è divisa in ordine all’inderogabilità e all’eventuale limitazione
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del diritto di controllo riconosciuto in capo ai soci. Taluni autori , difatti, propendono
per l’inderogabilità e per la conseguente impossibilità di prevedere norme statutarie
restrittive, anche in considerazione del fatto che, a differenza della disciplina dettata
per le Spa, è venuta meno con la riforma la possibilità del controllo giudiziario ex
art.2409 c.c.. In tale ottica, il controllo esercitato dai soci assumerebbe la funzione di
tutela indiretta dei terzi e del capitale sociale trascendendo l’interesse dei soci.
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Altri autori sostengono invece la derogabilità convenzionale del diritto di controllo
individuale, in forza della mancata previsione nell’art.2476 c.c. (a differenza del
previgente art.2489, co.2 c.c.) della nullità dei patti contrari e pertanto ammettono la
possibilità di inserire clausole statutarie in tal senso.
Inapplicabilità del controllo giudiziario ex art.2409 c.c. alle Srl
A differenza della formulazione ante riforma che rinviava al controllo giudiziario
previsto per le SpA, la disciplina novellata non contiene alcun rinvio.
La relazione al D.Lgs. n.6/03 chiarisce che la scelta è intenzionale e motivata
dalla considerazione che tale controllo risulterebbe sostanzialmente superfluo in
quanto assorbito dalla legittimazione alla proposizione dell’azione sociale di
responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere, in tale sede,
provvedimenti cautelari quali la revoca degli amministratori, oltre che
contraddittoria nella nuova ottica di fornire ai soci strumenti per la risoluzione
interna dei conflitti.
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Corapi, “Il controllo interno delle S.r.l.”, in Soc., 2003, pag.1573; Mainetti, “Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori
nella società a responsabilità limitata”, in Soc., 2003, pag.937; Parrella, “Commento sub art.2476”, in “La riforma delle società”, a
cura di Sandulli- Santoro, 2, Torino, 2003, pag.131.
Abriani, “Controlli e autonomia statutaria: attenuare l’ “audit” per abbassare la “voice””, in Analisi. Giur. Econ., 2003, pag.352.
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La dottrina ed alcune pronunce giurisprudenziali hanno, tuttavia, cercato di
recuperarne l’operatività in quanto i presupposti per l’applicazione risultano
parzialmente diversi. Difatti, ai fini del controllo giudiziario, è sufficiente il rischio del
verificarsi di un danno, mentre per l’esercizio da parte del socio dei poteri di controllo,
ex art.2476 c.c., è necessario l’effettivo prodursi del danno.
Paradossalmente, infatti, la mancata applicazione della norma porterebbe, ad
esempio, ad impedire al collegio sindacale di attivare i controlli e comunque sostituire
giudizialmente gli amministratori, anche qualora le gravi irregolarità siano
fraudolentemente concertate dalla totalità dei soci.
La Corte Costituzionale con pronuncia n.481 del 14 dicembre 2005 ha, tuttavia,
respinto l’eccezione di incostituzionalità anche relativamente alla mancata
applicazione dell’art.2409 c.c. alle società a responsabilità limitata. La pronunzia della
Consulta, se è chiara nell’escludere la legittimazione del socio di Srl alla proposizione
dell’ispezione giudiziale, non ha affatto eliminato tutti i dubbi relativi all’ammissibilità di un
ricorso proposto dal collegio sindacale ai sensi dell’art.2409, ultimo comma, c.c., in forza
del rinvio effettuato dall’art.2477, co.4, prima parte, c.c. (e ciò, beninteso, limitatamente
alle Srl che abbiano l’obbligo di legge di munirsi di tale organo di controllo). I dubbi lasciati
irrisolti dalla pronunzia si sono puntualmente riflessi in due recenti pronunzie rese dai
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Tribunali di Roma e di Napoli che, pur pervenendo a conclusioni finali tra loro opposte,
danno chiaramente conto, entrambe, dell'insoddisfazione dei giudicanti per la soluzione
che porta alla negazione della legittimazione del Collegio Sindacale alla proposizione
della denunzia ex art.2409 c.c. o, comunque, dell'impossibilità di ritenere che sul tema sia
stata detta, effettivamente, la parola “fine”.
Alla luce di quanto sopra, il tema rimane pertanto sia in dottrina che in giurisprudenza
tutt’altro che definito.
Art.2475-ter, co.2, c.c.: conflitto di interessi amministratori
L’art.2475-ter c.c. legittima all’impugnazione delle delibere assunte in conflitto di
interessi i soggetti previsti dall’art.2477 c.c. ove esistenti.
Qualora la società sia dotata di un collegio sindacale, questo risulta legittimato ad
impugnare le deliberazioni oggetto della previsione normativa.
Anche in tale sede, la dottrina si è interrogata sulla natura collegiale o meno
dell’impugnazione. Sembra preferibile l’interpretazione, in linea con quella adottata
per le Spa, secondo la quale il riferimento debba intendersi all’organo nella sua
collegialità, anche in virtù del richiamo all’art.2477 c.c. che fa espresso riferimento al
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collegio sindacale .
Per il termine di decadenza per l’impugnazione della deliberazione si richiamano le
considerazioni svolte sub art.2377 c.c. in tema di Spa.
Art. 2479-ter c.c. Invalidità decisioni dei soci
L’art.2479-ter prevede la possibilità di impugnare le decisioni dei soci non assunte in
conformità della legge o dell’atto costitutivo.
L’articolo è stato modificato successivamente dall’art.22 D.Lgs. n.310/04, con il quale
è stato altresì previsto che non vi sono limiti di tempo per l’impugnazione di delibere
che modifichino l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.
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Trib. Roma, 11 marzo 2008.
Trib. Napoli, 14 maggio 2008.
Ambrosini, Commento sub 2475-bis, in Commentario Niccolini- Stagno d’Alcontres, III, 2004, 1584; contra Manzo, “Commento sub
art. 2475-ter”, in Commentario Lo Cascio, 2003, pag.195.
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Oltre alla legittimazione riconosciuta ai soci assenti, dissenzienti o astenuti, i sindaci
possono quindi impugnare le decisioni assunte dai soci qualora non siano conformi
alla legge o all’atto costitutivo.
Il tenore letterale della norma non lascia spazio a dubbi interpretativi in quanto
l’espressione “collegio sindacale” contrapposta a quella di “ciascun amministratore”
sembra statuire indubbiamente che tale facoltà spetti al collegio sindacale nella sua
composizione collegiale.
Per quanto attiene invece al termine entro il quale proporre l’impugnazione, il
legislatore, verosimilmente nell’ottica di individuare con certezza il dies a quo, ha
espressamente previsto che, ove le decisioni vengano assunte secondo il metodo
extra-assembleare, l’impugnazione possa avvenire entro 90 giorni dalla trascrizione
della decisione nel libro delle decisioni dei soci.
Il procedimento è disciplinato rinviando agli artt.2377 co.1-5-7-8-9 e 2378 c.c., in tema
di Spa, in quanto compatibili.
Tale rinvio trova la propria ratio nell’intento del legislatore di conservare, seppure
adattando la disciplina ai diversi tipi sociali, un procedimento unico per l’impugnazione
delle deliberazioni dei due tipi di società. In particolare, sebbene il rinvio all’art.2377
n.7 c.c. fa sì che la decisione invalida non possa essere impugnata qualora sostituita
da una nuova decisione, si sottolinea una rilevante differenza rispetto al vigente
regime dettato in tema di Spa in ordine alle modalità di sostituzione della delibera
impugnata.
Il tribunale adito nel giudizio di impugnazione, può infatti assegnare termine non
superiore a 180 giorni per l’adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare
la causa di invalidità. L’esercizio di tale facoltà è tuttavia subordinato al fatto che
il giudice ne ravvisi l’opportunità e, comunque, ne sia fatta richiesta dalla società
o da chi ne ha proposto l’impugnativa.
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Secondo i primi commentatori della riforma il predetto potere del Tribunale non
precluderebbe che la sostituzione della decisione invalida avvenga spontaneamente.
Art.2482-bis: riduzione del capitale per perdite
La disciplina della riduzione del capitale per perdite, dettata in tema di Srl, non risulta
modificata rispetto a quella antecedente alla riforma ed a quella dettata in tema di Spa.
Si noti che tuttavia in tema di Srl la differenza significativa risulta la possibilità
riconosciuta dal Legislatore di derogare statutariamente all’obbligo di deposito della
relazione degli amministratori negli otto giorni precedenti all’assemblea chiamata per
la deliberazione della riduzione del capitale per perdite.
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Rosapepe, Commento sub. art.2479-ter, in “La riforma delle società”, a cura di Sandulli- Santoro, Torino, 2003, pag.178.
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