La mia vita ad un bivio

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La mia vita ad un bivio
Autrice
Giorgia D’Alessandro
Classe 2B linguistico
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Sezione narrativa: racconto
La mia vita ad un bivio
- Tesoro, io vado in ufficio, per l’una e mezzo sono a casa, mi fai trovare il pranzo pronto?
- Sì, d’accordo.
- Grazie … ah! Buon lavoro.
Alla fine di quella breve conversazione la porta d’ingresso si chiuse con un gran frastuono.
Giuseppe, dopo un lungo sospiro, si rimise dietro alla sua scrivania e riprese a scrivere sul suo
portatile di ultima generazione. Dicembre era agli sgoccioli e con esso anche il 2015 stava
terminando portandosi dietro tutte le scadenze. Giuseppe non ne aveva molte, ma ce n’era una che
valeva più di qualsiasi altra.
Il giorno 10 febbraio avrebbe dovuto inviare il suo romanzo al capo redattore, che aveva deciso di
dargli una seconda chance.
Per ben vent’anni Giuseppe aveva lavorato come impiegato in una ditta di detersivi, fino a quando
un bel giorno decise di non voler più sprecare la sua vita e di voler fare qualcosa che realmente
amava: lo scrittore. Fin da bambino teneva un diario nel quale appuntava ogni minimo dettaglio, ma
non avendo mai avuto incoraggiamenti dalla famiglia, non era mai riuscito a sviluppare questa sua
dote.
Nel momento in cui stava per appoggiare le dita sulla tastiera, fu interrotto:
-
Papà, papà mi firmi quest’autorizzazione?
-
Scusa Francesca, ma almeno fammi leggere di cosa si tratta.
-
No, dai papà che è tardi. Tra cinque minuti devo stare alla fermata dell’autobus e se non ti
muovi a firmare quest’autorizzazione finisce che mi dovrai accompagnare tu a scuola e non
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credo ne avrai piacere, dato che stai ancora in pigiama. Da grande decido anch’io di fare lo
scrittore, così me ne sto a casa, bella e beata come te.
-
Francesca, abbiamo già fatto questo discorso e molte volte. Su forza, vai!
Fu così che Giuseppe firmò l’autorizzazione della figlia minore ed evitò di mandare avanti un
discorso già affrontato fin troppe volte.
-
Ehi papà scusa se t’interrompo, ma volevo solamente salutarti poiché sto andando a scuola.
E buon lavoro.
E fu così che Emma diede un bacio affettuoso al padre e uscì.
Erano le 8.00 di un lunedì di dicembre e di regola, come ogni lunedì, alle otto in punto in quella
casa regnava il silenzio.
Come ogni mattina, una volta persa la prima concentrazione, Giuseppe si alzò e andò in cucina a
prepararsi il primo caffè della giornata.
L’odore della moka si diffuse in tutta la casa, addirittura arrivando fino ai piani superiori.
Versò il caffè nel latte parzialmente scremato, prese due fette di pane integrale in cassetta e
spalmò la marmellata di fragole, senza tralasciare un singolo angolo.
Alle 8.15 in punto Giuseppe iniziò, questa volta davvero, a scrivere.
-
Poco più di due settimane e il mio lavoro deve essere terminato. Dovrebbe già essere finito e
invece? Guarda come mi sono ridotto … pagina 54. Pagina 54. Pagina 54. Ehi Giuseppe
smettila! Concentrati! Allora, dov’ero rimasto? Ah sì, alla descrizione psicologica del
protagonista. Forse dovevo introdurla nei capitoli precedenti? Male che va, modifico tutto
alla fine. Ma se modifico l’inizio? Sì, forse è meglio. Click. Sali su, su, su. Ecco! È qui.
Pagina 21. “Da sempre il protagonista ha combattuto con sé stesso, col tentativo di portare al
di fuori di sé quelle emozioni, quei sentimenti, quei … -
-
Drin! Drin! Drin! Drin!
Dopo tre, quattro squilli, Giuseppe si rese conto di essere l’unico in casa e di dover rispondere al
telefono.
-
Pronto.
-
Casa Bianchi? Lei è il signor Giuseppe Bianchi?
-
Sì, sono io, chi è che parla?
-
Buongiorno signore, sono la professoressa Grimaldi, la coordinatrice della classe di sua
figlia Francesca. La sto chiamando per convocarla. Il comportamento di sua figlia si
dimostra ogni giorno più inopportuno ed è per questo che lei è convocato venerdì mattina
alle 10.20 in sala professori. Sua figlia ne è già al corrente.
-
D’accordo, ci sarò e mi scuso molto per il suo comportamento.
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-
Arrivederci.
-
Arrivederci.
Giuseppe posò il telefono in una maniera così delicata, quasi inspiegabile data la rabbia repressa
al suo interno. I suoi problemi, le sue scadenze non bastavano, ci mancava anche una
convocazione dalla scuola. Non che fosse una sorpresa dato il comportamento di Francesca in
quell’ultimo periodo. Ma sentiva un oscuro sinistro presentimento: sua figlia era alquanto
irrispettosa e quella convocazione, oltre ad impegnargli la mattinata, lo avrebbe fatto sentire
mortificato, ma lui sentiva che poteva nascondere chissà quali altre cose.
Ormai la concentrazione era persa. Giuseppe salì al piano di sopra e si andò a fare una doccia.
Trenta minuti precisi ed era fuori dalla porta del bagno vestito e profumato.
Due ore e doveva cucinare, ma due ore potevano significare anche due capitoli del suo romanzo.
Prese il via. Le sue dita si muovevano con una velocità indescrivibile, il rumore della barra
spaziatrice predominava sul suono degli altri tasti, il suo romanzo stava procedendo.
A un certo punto, al rintocco del suo orologio a pendolo, Giuseppe si fermò e si ricordò di dover
andare a cucinare e di essere costretto quindi ad interrompere il suo racconto.
Il pranzo (se lo si può definire in questa maniera), fu molto colorato. Ci furono urla, manie di
protagonismo, punizioni e come al solito critiche a Giuseppe per il suo romanzo.
Fin da quando aveva cambiato lavoro, Giuseppe era stato criticato. Sì, il suo era un lavoro, ma
per la sua famiglia era un hobby e in particolare per la suocera, la quale a ogni festività in cui
erano costretti a vedersi non evitava battute pungenti.
Per la “gioia” di Giuseppe il Natale era alle porte e questo stava a significare rivedere i suoceri,
subire critiche e fingere sorrisi e carinerie.
Ogni angolo della casa aveva un tocco natalizio, compreso il piccolo angolo dove si trovava lo
“studio” di Giuseppe. Il rosso dominava tra le ghirlande e le decorazioni. La casa profumava di
biscotti appena sfornati; le ragazze si divertivano a cucinarli per il 25, il giorno in cui tutti i
parenti si riunivano a casa loro per il pranzo e lo scambio dei regali.
-
Francesca, Emma, è tutto pronto? Avete fatto i biscotti? E la ghirlanda sulle scale l’avete
messa? Giuseppe, hai già pensato a cosa metterti? Hai acceso il camino?
All’unisono risposero affermativamente.
Il tavolo maestoso era addobbato. Ogni tovagliolo era al suo posto, i bicchieri, le posate, i piatti
… tutto era perfettamente in ordine. I dolci erano pronti, le portate principali anche, finalmente
era giunto il momento di coricarsi.
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- Amore hai visto che bella la tavola? E le decorazioni all’ingresso? Lo sai che oggi al lavoro
mi hanno chiesto consigli su come addobbare le loro case per domani? Sono così orgogliosa di
me stessa.
- Sono contento. Hanno capito quanto sei brava in queste cose. Lo sai che oggi sono andato
avanti di due capitoli?
- Bravo. Ma lo sai anche che la mia amica Christine mi ha regalato questo ciondolo che …
E fu con queste parole che Giuseppe cadde in un sonno profondo.
-
Sveglia! Sveglia! E’ Natale! Forza che i nonni stanno arrivando! Vi volete alzare!
Il risveglio non fu uno dei migliori, ma pur di non sentirla urlare con quella voce stridula si alzò dal
letto. Appena sveglio si mise al computer, con diverse critiche alle spalle e riuscì a scrivere una
buona parte del romanzo. Questo fino a quando non suonò il campanello.
La giornata tutto sommato andò bene, un’aria serena aleggiava nella casa. Tutto questo fino a
quando non arrivarono le domande letali:
-
Giuseppe, e tu? Ancora alle prese con il tuo “figlioccio”? Figliola, lavori ancora così tanto
in ufficio?
L’aria si rabbrividì, il freddo invernale piombò in un baleno nel soggiorno. Un silenzio tombale
invase la stanza fino alla risposta di Giuseppe:
-
Sì, solito scrittore, solito romanzo e solito genero che non avete mai sopportato. Riuscirò a
finire questo romanzo e poi vedrete chi l’avrà vinta. Ho sempre finto e sopportato le vostre
osservazioni, ma ora sono stufo. E sapete cosa? Me ne vado proprio! Preferisco andare a
badare al mio”figlioccio”.
Quelle parole furono la conclusione di quella giornata. I giorni seguenti nessuno osò toccare
quell’argomento e Giuseppe passò la maggior parte delle ore delle giornate dietro la scrivania. Il
suo romanzo era a buon punto.
Assorto nello scrivere, fu interrotto da un messaggio inaspettato:
Carissimo amico mio,
Ti scrivo per invitarti a passare il capodanno da me a Parigi con tutta la tua famiglia. Sono solo e
mi farebbe davvero molto piacere averti ospite a casa mia. Spero che non mancherete.
Aspetto una tua risposta.
Moammed
Erano ben dieci anni che i due non si sentivano e ricevere quel messaggio lo riempì di gioia. Aveva
voglia di passare il capodanno in maniera diversa ma ancor di più aveva voglia di rivedere l’amico
di vecchia data.
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Fu così che corse in cucina dove si trovavano i restanti membri della famiglia e annunciò:
-
Andremo a Parigi!
-
Che bello!
-
Amore… ma… sul serio?
-
Papà che bello! Ma quando?
-
Partiamo martedì. Mi ha scritto Moammed, un mio vecchio amico. Eravamo così uniti un
tempo, ci sentivamo parte della stessa anima. Risentirlo è per me come ritrovare me stesso…
-
Ma papà io ho una festa a capodanno! Questa mattina io e mamma siamo pure andate a
comprare il vestito!
-
Senti Francesca, se preferisci andare a una squallida festa anziché venire con noi a Parigi,
rimani qui con i nonni.
-
Giuseppe!
-
Tesoro, dai che ci divertiremo. Andremo a fare shopping sugli Champs Élysée e papà ci
porterà in un locale così chic, dove potrai indossare comunque il vestito.
-
D’accordo mamma...
E fu così che Francesca uscì dalla cucina col broncio. Emma corse ad abbracciare il padre e non
fece altro che ringraziarlo. Nel momento in cui uscì anche lei dalla cucina, la moglie lo baciò sulle
labbra e con un tono alquanto distaccato lo ringraziò.
Una volta a Parigi ognuno si organizzò per conto suo: Francesca e la madre andarono per negozi e
boutique, Emma visitò tutti i musei e le gallerie d’arte, mentre Giuseppe e Moammed passarono
molto tempo a casa o nei bar di Parigi discutendo del romanzo.
Moammed era un uomo sui cinquant’anni, portava la barba folta nonostante non avesse più i
capelli. Aveva gli occhi sul celeste tendente al ghiaccio e in quel periodo erano molto spenti.
Giuseppe nel guardarlo, vedeva una certa malinconia in lui; non era più il Moammed di una volta.
Se lo ricordava sempre vivace e con quegli occhi sempre attenti, pronti a notare ogni dettaglio
intorno a lui. Nonostante ciò, si vedeva che era contento di rivedere il vecchio amico.
Per Giuseppe quello fu forse uno dei capodanni più belli della sua vita. Non aveva mai avuto la
possibilità di visitare Parigi e adesso che ne aveva avuta l’occasione era rimasto alquanto stupefatto
per la bellezza della città e per l’aria magica che vi si respirava. Moammed e Giuseppe passarono
moltissimo tempo insieme e per Giuseppe questo significò molto, fu come il ricongiungersi di due
anime un tempo legate da un affetto grandissimo.
Inoltre l’amico lo aiutò con diverse parti del manoscritto:
-
Moammed, allora che ne pensi del romanzo?
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-
Devo ammetterlo, l’ho trovato davvero molto interessante e profondo, solo che secondo me
dovresti soffermarti di più sulla caratterizzazione ideologica dei personaggi, in particolare
del protagonista.
-
Non ci avevo pensato, grazie!
-
Ah … e quando parli dell’interiorità umana, soffermati sul dolore dell’essere umano, il
dolore individuale.
-
Hai proprio ragione, appena ci rimetto mano, aggiungo tutto ciò e poi te lo faccio leggere,
così capisco se ho captato i tuoi consigli fino in fondo.
Moammed accettò i ringraziamenti con molta modestia, fino a perdersi di nuovo con lo sguardo
nel vuoto.
Al ritorno da Parigi c’era una grande soddisfazione comune. Giuseppe in poche settimane finì il
romanzo grazie all’aiuto di Moammed.
Tutto ciò che gli restava da fare era inviare il manoscritto. Aveva aspettato con ansia quel momento,
col timore di non riuscire a finirlo e invece si trovava lì davanti al suo computer, pronto a premere
invio.
Prese un gran respiro e inviò.
Ora doveva solo rimanere seduto, immobile e svuotato dentro, per un numero di giorni
indeterminato e aspettare una chiamata o un’e-mail.
Passarono due mesi. La primavera era ormai inoltrata e le giornate miglioravano l’umore della
famiglia, ad eccezione di Giuseppe, il quale stava cominciando a perdere le speranze rassegnandosi.
I giorni passavano, la scuola si avvicinava al termine e la gioia delle ragazze aumentava insieme
all’ansia delle interrogazioni finali. Le giacche invernali erano riposte in fondo agli armadi. Le
giornate cominciavano ad allungarsi.
Era un giovedì come un altro quando Giuseppe e la moglie si trovavano riuniti nel salotto: ognuno
dei due leggeva un libro. Nessuno dei due diceva una parola, nella casa regnava il silenzio.
Emma si trovava in biblioteca a studiare, mentre Francesca era andata al centro commerciale con
una delle sue tante amiche.
Verso l’ora di cena entrambe rientrarono a casa; fu così che né Emma carica di libri, né Francesca
di buste, né nessun altro si accorse che era stata lasciata la posta sul ripiano della cucina.
Al termine di una cena piacevole Giuseppe andò in cucina a prendersi un bicchiere di vino rosso,
per concluderla al meglio.
Soprappensiero, mentre sorseggiava un buon vino, si fermò a fissare le lettere sul davanzale.
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In un primo momento non realizzò, ma soffermandosi a capire di cosa si trattassero, notò un logo
sulla prima lettera. Si avvicinò con grande curiosità e lesse l’intestazione: “ Casa Editrice Einaudi”.
Colto da una gioia inaspettata, prese in maniera molto frenetica la lettera e la aprì immediatamente.
Nel frattempo le altre lettere scivolarono sotto il tavolo.
-
Venite qui, venite! Emma, Francesca…
-
Che c’è? Papà che succede? Arriviamo!
Tutte e tre entrarono in cucina e videro Giuseppe preso da una gioia immensa. In un primo
momento avevano creduto che si trattasse di qualcosa di cui preoccuparsi, ma nel vedere quel
sorriso gigantesco capirono che il momento era arrivato.
-
La casa editrice Einaudi ha… ha accettato il mio ROMANZO!
-
Complimenti papà!
-
Allora… “Egregio Signor. Bianchi la aspettiamo lunedì 23 aprile alle ore 11.00. Richiesta
cortesemente la massima puntualità.”
-
Ma è tra due giorni!
-
Sì, lo so!
La moglie poco interessata si diresse verso il lavello per prepararsi una tisana.
Prese il bollitore, lo riempì, quando ad un tratto stette quasi per cadere.
-
Cosa diavolo è questa lettera a terra? Perché nessuno raccoglie mai niente! Potevo rompermi
il collo!
Giuseppe sentendosi quasi mortificato si sbrigò a raccogliere la lettera che si trovava sul
pavimento. Con poco interesse lesse per curiosità il mittente: si trattava di Moammed.
La busta era parecchio rovinata, il colore giallastro e i bordi sporchi, come se quella busta fosse
stata per molto tempo in un angolo impolverato di una casa.
Tralasciando ciò Giuseppe la aprì con molta perplessità, mentre le figlie erano ormai tornate nel
salotto.
Caro Giuseppe,
Sono qui, in camera mia: nel mio appartamento di Parigi. Fuori è buio, ormai tutti dormono,
ma io no. Sono pronto a lasciare questo mondo infame, è arrivato il mio momento. Ho deciso di
scriverti perché pensavo fosse giusto che lo sapessi, altrimenti non avresti mai più avuto notizie
di me. Mi sento un uomo vuoto, senza origini, senza un paese d’identità. Sono arrivato al punto
in cui ho perso tutto me stesso. È giunto il momento che io me ne vada.
Ti ho voluto bene.
Moammed
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Una volta finito di leggere la lettera, Giuseppe si sedette sulla sedia più vicina a lui.
Si sentiva instabile, le lacrime cominciarono a rigargli il volto e i suoi occhi sembravano essersi
spenti.
Un minuto dopo ripiegò la lettera, se la mise per qualche secondo sul cuore e la ripose nella
busta. In quel momento notò che c’era un secondo biglietto più piccolo ed era stato scritto con
una grafia differente.
Lo lesse:
Salve,
Ho saputo che lei era l’unico amico di Moammed, mi aveva parlato di lei. Questa mattina l’ ho
trovato morto in camera sua… accanto al suo corpo ho trovato il biglietto che le ho messo nella
busta. Pensavo che dovesse averlo.
Inoltre volevo dirle che lunedì 23 aprile, alle 11, verrà celebrato il funerale di Moammed .
Non credo ci sarà qualcuno, ma penso che la sua presenza gli avrebbe fatto piacere. Venga al
numero 5 della rue de Carmes, dietro al palazzo si trova il cimitero dove sarà sepolto.
Lily
A questo punto l’angoscia, la perplessità, la rabbia, il dolore divamparono nel cuore di
Giuseppe.
Il suo caro amico si era tolto la vita: come aveva potuto? E perché lui stesso, Giuseppe, nei
giorni trascorsi a Parigi non aveva avuto il minimo presentimento di quanto sarebbe accaduto?
E ora quello scherzo del destino:23 aprile, ore 11……
Non poteva non presentarsi per la pubblicazione del libro, aveva aspettato tanto quel momento e
se avesse buttato tutto all’aria sarebbe rimasto il solito fallito.
Doveva dimostrare a tutti di cosa fosse capace, finalmente era sul punto di raggiungere un
traguardo.
Lunedì 23 aprile, ore 7: la casa era invasa da voci squillanti. Le ragazze ancora in pigiama erano
andate ad aprire la porta, per far entrare i nonni; la mamma già era pronta a preparare la
colazione per tutti.
Ma mancava qualcuno…
-
Papà su sveglia! Altrimenti farai tardi!
-
Amore, il caffè è pronto, dai che ci sono anche i miei.
-
Ciao Giuseppe, abbiamo saputo del tuo libro e siamo venuti il prima possibile.
Voci e richiami da tutte le parti ma non c’era traccia di Giuseppe.
Ad un tratto videro un foglio sul tavolo.
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Si trattava di una ricevuta di un biglietto aereo: un volo per Parigi alle 5 del mattino di quello stesso
giorno.
Accanto alla ricevuta del biglietto aereo c’era un foglietto, dove Giuseppe spiegava per quale
motivo non fosse in casa: il suo cuore, la sua anima e tutto se stesso dovevano salutare Moammed
per l’ultima volta.
26 aprile 2016:Giuseppe stava tornando a casa, senza avere notizie del suo romanzo. Probabilmente
aveva perso tutto, ma si sentiva comunque in pace con se stesso.
Alle ore 17,30 entrò in casa: sembrava non ci fosse nessuno, l’unica risposta al suo saluto fu il
silenzio.
Stanco dal volo, dall’aria tesa ed estenuante, si diresse in cucina per farsi un caffè. In quel preciso
istante si trovò tutta la famiglia davanti, nessuno parlò, ad eccezione di Emma la quale disse:
-
Papà vieni qua e leggi la prima pagina del giornale!
26 aprile 2016
Giuseppe Bianchi, scrittore agli esordi, scrive un romanzo che ha lasciato tutti senza parole. A
breve saranno stampate centinaia di copie e sarà possibile acquistarlo in ogni libreria. Una storia
tutto sommato semplice, ma con una profondità indescrivibile. E’ riuscito a trattare il tema della
scoperta dell’interiorità e all’interno del romanzo ha parlato di un viaggio alla ricerca di
quell’infinito, presente in noi stessi. Si è soffermato sul dolore individuale e collettivo che segna il
cammino umano. Ha trattato in maniera davvero approfondita il tema dell’amicizia: definendola
come qualcosa che va oltre ogni limite umano. In particolare ha deciso di non soffermarsi solo ed
esclusivamente sull’aspetto positivo che ha l’amicizia, bensì ha deciso di trattare le tortuosità che
anch’essa può presentare.
Un romanzo ben scritto e che vale la pena leggere.
Redattore Einaudi:Federico Bassi
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