UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL`AQUILA Corso di laurea triennale

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL`AQUILA Corso di laurea triennale
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA
DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA, SANITÀ
PUBBLICA, SCIENZE DELLA VITA E DELL’AMBIENTE
Corso di laurea triennale in Scienze Biologiche
Tesi di laurea triennale
“Uso di microfasci di radiazioni nello studio
degli effetti radiobiologici”
Candidato
Relatore
Giulio Ticli
Prof. Libero Palladino
Anno Accademico 2014 - 2015
Indice
Introduzione………………………………………………………………………….3
Capitolo 1
Le radiazioni ionizzanti e la loro interazione con la materia
1.1 Concetti generali sulle radiazioni…………………………………………….. 6
1.2 Meccanismo di interazione dei fotoni con la materia……………………….8
1.3 Interazione tra materia e particelle cariche………………………………...11
1.4 Definizione di dose, LET e RBE……………………………………………..14
1.5 Interazione delle radiazioni ionizzanti con i sistemi biologici……………. 17
Capitolo 2
Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti in condizione di basse dosi e
la loro analisi
2.1 Fenomeni biologici osservabili……………………………………………… 24
2.2 Effetto bystander……………………………………………………………... 29
2.3 Radioresistenza indotta (IRR)/Iperadiosensibilità (HRS)…………………35
2.4 Instabilità genomica………………………………………………………….. 37
2.5 Analisi delle curve di rischio associate alle basse dosi di radiazioni…… 40
1
Capitolo 3
Meccanismi molecolari delle principali risposte a basse dosi
3.1 Meccanismo molecolare del bystander effect…………………………….. 44
3.1.1 Giunzioni gap – ROS e/o RNS………………………………………. 46
3.1.2 COX-2 e MAPK (ERK1/2)………………………………………........ 49
3.1.3 Mitocondri……………………………………………………………….50
3.1.4 Protein-chinasi………………………………………………………….51
3.1.5 Fattori di crescita e citochine……………………………………........53
3.1.6 p53 - NO………………………………………………………………...54
3.2 Meccanismo alla base della radioresistenza indotta (IRR)…………….... 56
Capitolo 4
Attività svolta presso il laboratorio PLASMA-X
4.1 Descrizione dell‟apparato sperimentale…………………………………….61
4.2 Scopo e uso dell‟apparato sperimentale…………………………………... 67
4.3 Tests preliminari per lo studio degli end-points biologici………………… 68
Conclusioni………………………………………………………………………. 70
Bibliografia……………………………………………………………………….. 73
2
Introduzione
L‟interazione tra le radiazioni ionizzanti e la materia vivente ha avuto un ruolo
fondamentale fin dalla comparsa dei primi esseri viventi.
La pressione selettiva generata da tale interazione ha accompagnato sia gli
organismi a vita autonoma (batteri, piante, funghi, animali) che non autonoma
(virus) nel corso dell‟evoluzione, contribuendo, in maniera più o meno evidente,
a determinare la grande biodiversità che caratterizza la Terra.
Le principali sorgenti naturali di radiazione ionizzante, che determinano il fondo
di radioattività naturale in grado di rilasciare basse dosi di energia a livello della
materia vivente, sono:

Radiazioni generate dall‟ambiente terrestre

Raggi cosmici
Partendo da considerazioni di questo tipo, la comunità scientifica si interessò
sempre più all‟argomento, conducendo studi sempre più approfonditi riguardo
l‟interazione tra le radiazioni ionizzanti e gli effetti biologici radio-indotti.
Tutta la radiobiologia classica, sviluppata dall‟inizio del secolo scorso sino agli
anni ‟80-„90, è stata caratterizzata dalla convinzione in un modello “quasideterministico” secondo il quale era possibile rappresentare, in modo
direttamente proporzionale, il legame tra gli effetti biologici e la dose di
radiazione assorbita. Secondo questo modello si ha che maggiore è la dose
assorbita più grande sarà il danno biologico, e questo comportamento sarà
valido per ogni valore della dose. (modelli lineari senza soglia - LNT, Linear
Non-Threshold model).
3
La validità dei modelli lineari LNT, utilizzati per quantificare il rischio biologico in
relazione alla dose, sono stati ultimamente messi in discussione, poiché nella
regione delle basse dosi (< 1 Gy) sono stati evidenziati due effetti tutt‟altro che
lineari:

Bystander effect

Radioresistenza indotta (IRR)/Iperadiosensibilità (HRS)
L‟effetto bystander consiste nella manifestazione dei danni radio-indotti a basse
dosi anche da parte di cellule non direttamente irraggiate. L‟estensione del
danno alle cellule non colpite dalla radiazione ionizzante determina un
andamento “sopra-lineare” della curva dose-rischio, rispetto al modello LNT.
Al contrario, l‟acquisizione della radioresistenza, in seguito a irraggiamento a
bassi livelli di dose da parte delle cellule, comporterebbe una riduzione del
rischio biologico e quindi, a parità di dose, si osserverebbe andamento “sublineare” della curva di rischio.
La scoperta di questi effetti biologici, unici nel loro genere e caratteristici della
regione delle basse dosi, ha determinato la nascita di un nuovo filone di ricerca
nel campo della radiobiologia, il cui fine ultimo è quello di individuare i
meccanismi alla base della risposta cellullare, in vitro e in vivo, e di
modellizzare quest‟ultimi.
Per questi studi in vitro, effettuati usando sia radiazioni elettromagnetiche che
radiazioni corpuscolari a basse dosi, è stata necessaria la realizzazione di
apparati sperimentali in grado di generare un microfascio a particelle cariche o
a raggi-X. Un microfascio consta di un sistema ottico in grado di selezionare
una radiazione monoenergetica e di focalizzarla con una dimensione della spot
4
focale dell‟ordine dei micron (10 - 70 μm). Considerando il diametro del fascio
nel punto di impatto con il campione cellulare, risulta evidente il motivo per cui è
stato necessario sviluppare sistemi di questo genere, infatti, grazie al pieno
controllo della dose somministrata e della superficie di incidenza del
microfascio, è stato possibile ipotizzare, e in parte verificare, quelli che sono i
processi
biochimici
e
fisici
alla
base
dell‟effetto
bystander
e
della
radioresistenza indotta osservati a livello delle cellule non direttamente
irraggiate (cellule bystander).
Gli studi degli effetti biologici indotti dalle basse dosi sono molto importanti
anche nel campo dell‟adroterapia (uso di fasci di ioni pesanti nella cura di
patologie tumorali). Infatti ci permettono di comprendere i meccanismi alla base
dell‟azione, sulle cellule sane, delle particelle cariche usate in questo tipo di
radioterapia oncologica, al fine di ridurre gli effetti nocivi e non desiderati per la
salute del paziente.
In questa tesi, nel primo capitolo analizzeremo l‟interazione delle radiazioni
ionizzanti sia corpuscolari che elettromagnetiche con la materia con particolare
riguardo alle interazione con i sistemi biologici.
Nel capitolo secondo, verranno affrontati gli effetti biologici delle radiazioni
ionizzanti in condizione di basse dosi e nel terzo capitolo illustreremo i diversi
meccanismi molecolari che sono implicati nei diversi effetti biologici.
Nell‟ultimo capitolo è descritto l‟apparato sperimentale su cui verrà collocato un
porta-campione biologico, realizzato ad hoc, che ha le caratteristiche di sterilità,
di tenuta stagna, trasparente alla luce ed ai raggi-X. Inoltre si sono definiti gli
end-points da analizzare per la valutazione degli effetti biologici e le relative
procedure.
5
Capitolo 1
Le radiazioni ionizzanti e la loro interazione con la
materia
1.1 Concetti generali sulle radiazioni
Le radiazioni ionizzanti vengono classificate come:

Radiazioni elettromagnetiche

Radiazioni particellari
Tra le radiazioni elettromagnetiche, i raggi-X e raggi-γ sono quelli di maggiore
interesse dal punto di vista radiobiologico. Questi possono essere considerati
come onde di energia elettrica e magnetica oppure come un “fiume” di fotoni o
“pacchetti di energia, ognuno dei quali contiene una quantità di energia pari al
prodotto tra la constante di Plank (h = 4,13566 x 1015 eV • s) e la frequenza (v).
Il concetto secondo cui i raggi-X sono composti da fotoni è molto importante,
perché significa che quando le strutture cellulari o più in generale la materia
vivente assorbe i raggi-X, vengono depositati in maniera irregolare pacchetti
discreti di energia, rendendo così possibile quantificare l‟energia rilasciata dalla
radiazione e metterla in relazione con gli effetti biologici da essa generata.
Le radiazioni particellari sono radiazioni associate a particelle come: elettroni,
protoni, neutroni e ioni pesanti carichi. In particolare questi ultimi sono nuclei di
elementi ,come il carbonio, neon, argon, ferro, carichi positivamente in quanto
vengono privati di alcuni o di tutti gli elettroni.
Le radiazioni ionizzanti di natura elettromagnetica più comunemente utilizzate in
campo radiobiologico sono i raggi-X e i raggi-γ, mentre per quanto riguarda
quelle di natura particellare vengono molto usati i protoni e le particelle-α.
6
I protoni sono atomi di idrogeno (H) privati dell‟elettrone, mentre le particelle-α
sono atomi di elio (He) privati dei due elettroni.
Le radiazioni ionizzanti, nel cedere la propria energia alla materia, possono
provocare l‟espulsione dall‟atomo degli elettroni o la loro l‟eccitazione, mentre
quelle non ionizzanti sono in grado di determinare solo l‟eccitazione degli
elettroni, senza però provocarne l‟espulsione. Dalle proprietà delle radiazioni
ionizzanti deriva il fatto che quest‟ultime siano in grado di determinare effetti
biologici nei sistemi viventi, infatti l‟energia trasportata dalla radiazione si
presenta sotto forma di pacchetti di energia quantizzati ed è singolarmente in
grado di dare inizio alla catena di eventi che determinano la rottura di legami
chimici e la formazione di radicali liberi.
L‟assorbimento da parte del materiale biologico di energia proveniente dalle
radiazioni può portare principalmente a due effetti a livello atomico: l‟eccitazione
e la ionizzazione
Il processo di eccitazione di un elettrone si verifica nel momento in cui l‟energia
deposta dalla radiazione nella materia, è sufficiente a determinare un passaggio
di un elettrone da uno stato fondamentale, a minore energia, ad uno stato
eccitato, a maggiore energia.
Invece, il fenomeno di ionizzazione, si verifica quando l‟energia deposta dalla
radiazione è sufficiente per provocare l‟espulsione di uno o più elettroni
dall‟atomo.
Tra i due processi, la ionizzazione svolge il ruolo più importante nella
produzione di alterazioni strutturali delle molecole.
7
1.2 Meccanismo di interazione dei fotoni con la materia
I meccanismi con cui le radiazioni elettromagnetiche ionizzanti interagiscono
con la materia coinvolgono tre fondamentali processi:
1. Effetto fotoelettrico
2. Effetto Compton
3. Produzione di coppie
I fattori che determinano il peso di ognuno di questi tre meccanismi sul
complessivo rilascio di energia sono:

Spessore del mezzo attraversato dalla radiazione

Energia del fotone

Numero atomico del mezzo
Effetto fotoelettrico
Per effetto fotoelettrico si intende la cessione di energia da parte di un fotone
incidente ad un elettrone appartenente a livelli energetici più interni di un atomo,
subito seguito dall‟espulsione dell‟elettrone in questione (foto-elettrone) con
un‟energia cinetica (Ee-) pari alla differenza tra l‟energia del fotone incidente
(E0) e l‟energia associata al legame dell‟elettrone (B) (come mostrato in Fig.
1.1). Questo meccanismo è prevalente in situazioni in cui il fotone incidente ha
un energia inferiore ai 100 KeV.
8
Fig. 1.1 Illustrazione schematica dell‟effetto fotoelettrico, cioè dell‟interazione tra un fotone e un elettrone di un
orbitale interno di un atomo che culmina con l‟espulsione di un fotoelettrone.
E0 è l‟energia del fotone incidente, B è l‟energia di legame dell‟elettrone ed Ee- è l‟energia cinetica del foto-elettrone
espulso. [http://images.slideplayer.it/1/553597/slides/slide_9.jpg].
Effetto Compton
L‟altro meccanismo di interazione è l‟effetto Compton, che consiste nella
cessione di parte dell‟energia di un fotone incidente ad un elettrone che può
essere considerato “non-legato” all‟atomo, in quanto la sua energia di legame è
molto piccola rispetto a quella del fotone. Questo processo (Fig. 1.2) si
conclude con l‟espulsione dell‟elettrone (con un angolo φ) e la diffusione di un
fotone a più bassa energia (con un angolo θ), in modo da rispettare la
conservazione della quantità di moto e dell‟energia. Questo processo è
predominante in caso di fotoni con energia compresa tra i 100 KeV e i 10 MeV
e la probabilità che esso avvenga è strettamente correlata al numero di elettroni
presenti nel mezzo, quindi dipenderà dal numero atomico del mezzo (Z) e dalla
sua densità.
9
Fig. 1.2 Illustrazione schematica dell‟effetto Compton [http://www.lucevirtuale.net/percorsi/b3/img/compton_2.gif]
Produzione di coppie
L‟ultimo meccanismo, la produzione di coppie (Fig. 1.3), è un‟interazione che si
verifica in situazioni in cui l‟energia associata alla radiazione elettromagnetica è
molto elevata, cioè circa pari a 1.02 MeV. In questo caso il fotone, essendo
fortemente influenzato dal campo elettrico generato dai nuclei atomici del
mezzo, si trasformerà in una coppia elettrone (e-) - positrone (β+). Le particelle
secondarie generate da questo processo subiranno destini diversi, infatti
l‟elettrone, una volta esaurita l‟energia cinetica, si fermerà e verrà catturato da
un atomo del mezzo, mentre il positrone andrà ad interagire con un elettrone
libero generando due fotoni di annichilazione di 0.511 MeV aventi stessa
direzione, ma verso opposto (Fig. 1.3).
10
Fig 1.3 Illustrazione del processo di produzione di coppie [http://dctf.uniroma1.it/galenotech/fisicaimaging.htm]
I
tre
processi
di
assorbimento
dell‟energia
associata
alle
radiazioni
elettromagnetiche ionizzanti coesistono, però in base all‟intervallo di energia
preso in considerazione uno di questi sarà predominante.
11
1.3 Interazione tra materia e particelle cariche
Le particelle cariche (protoni, elettroni e ioni) rilasciano energia nel mezzo che
attraversano principalmente mediante due processi:
1. Collisioni anelastiche con gli elettroni atomici del materiale
2. Diffusione (scattering) elastico con i nuclei
Il primo meccanismo è basato principalmente su interazioni coulombiane delle
particelle incidenti con gli elettroni del mezzo attraversato, che determina una
cessione di energia all‟interno di esso. Questa perdita di energia della particella
carica appare principalmente sotto forma di ionizzazione ed eccitazione del
mezzo attraversato. Inoltre, l‟energia ceduta dalle particelle nel mezzo è
distribuita lungo una traccia in cui avvengono processi di ionizzazione che
danno origine alla formazione di elettroni secondari (chiamati raggi-δ), che
vengono emessi quasi perpendicolarmente alla direzione della particella in un
range inferiore ai 100μm.
Nella diffusione elastica non c‟è alcun scambio di energia sotto forma di
ionizzazione o eccitazione, ma siamo in presenza solo di una interazione
basata sugli urti elastici.
Una caratteristica importante delle particelle cariche adroniche (protoni e ioni) è
data dal modo con cui esse rilasciano la loro energia lungo la traccia.
Inizialmente il rilascio di energia per unità di lunghezza è molto basso, in quanto
il tempo di interazione della particella con gli elettroni del mezzo è molto breve,
determinando solo piccoli scambi di energia. Questo comportamento viene
mantenuto fin quando la velocità della particella è così piccola da determinare
un aumento del tempo di interazione con gli elettroni circostanti del mezzo,
12
producendo localmente un aumento dell‟ energia ceduta per unità di lunghezza
(picco di Bragg, Fig. 1.4).
Figura 1.4 Distribuzione del rilascio
dell‟energia lungo il percorso compiuto
attraverso un generico tessuto da parte
di: raggi-X, protoni e ioni carbonio. Si noti
che mentre i raggi-X non hanno un picco
definito, i protoni e gli ioni carbonio hanno
un picco ben definito a una data
profondità del tessuto che dipende
dall‟energia delle particelle.
[http://spectrum.ieee.org/img/BraggPeak1376072788772.jpg]
Per maggiori dettagli su questa fenomenologia, si fa riferimento alla legge di
Bethe [E. Segrè, 1966]
13
1.4 Definizione di dose, LET e RBE
In radiobiologia, per definire l‟energia depositata dalla radiazione nelle strutture
biologiche, è stato introdotto il concetto di dose (D). Essa è definita come
l‟energia
assorbita
(dEab) per unità di massa
(dm), come mostrato
nell‟equazione 1.1:
D (Gy) = dEab (J) / dm (Kg)
(Eq. 1.1)
L‟unità di misura usata dal SI per esprimere la dose è il Gray (Gy), pari 1
Joule/Kg. A partire dalla dose è stata definita anche la dose-rate (dD/dt), che
definisce la quantità di energia assorbita per unità di tempo e viene misurata in
Gy/sec o Gy/min.
Per misurare la quantità di energia rilasciata dalla radiazione per unità di
lunghezza del percorso, è stato introdotto il LET (Linear Energy Transfer).
In particolare possiamo identificare questo parametro osservando la “traccia”
lasciata nel mezzo dalla radiazione ionizzante, elettromagnetica o particellare,
ed è quindi definito dal rapporto tra l‟energia media depositata (dE) e la
distanza percorsa nel mezzo (dL), come mostrato nell‟equazione 1.2:
LET (KeV/μm) = dE / dL
(Eq. 1.2)
Il LET di una radiazione viene generalmente indicato in riferimento all‟acqua e
vieni espresso in KeV per μm di acqua attraversata (KeV/μm)
14
Sfruttando il concetto di LET, le radiazioni ionizzanti vengono classificate in:
1. Sparsamente ionizzanti (Low-LET): caratterizzate da eventi di ionizzazione
con una distribuzione sparsa lungo il mezzo (LET = 50-100 KeV/μm)
2. Densamente ionizzante (High-LET): caratterizzate da eventi di ionizzazione
molto ravvicinati tra loro (LET = 0.3-2,5 KeV/μm)
Uno degli scopi della radiobiologia è quello di mettere in relazione l‟effetto
biologico indotto e la “qualità” del campo di radiazione, cioè la distribuzione
delle cessioni d‟energia (LET). Quindi per rendere più quantitativo possibile lo
studio di questa corrispondenza, si introduce il concetto di “efficacia biologica
relativa” (RBE) [U. Amaldi, 1978]. L‟uso di questo parametro consente ai
radiobiologi di tenere conto del fatto che due radiazioni caratterizzate da LET
diverso, producono lo stesso effetto biologico a livelli di dose differenti. Per
definire il parametro RBE (Relative Biological Effect) si rapporta la dose di
raggi-X (per convenzione) con la dose della radiazione corpuscolare necessaria
ad ottenere gli stessi effetti biologici, come mostrato nella seguente equazione:
RBE = D(raggi-X)/D(ione)
(Eq. 1.3)
Oltre l‟efficacia biologica relativa, sono state introdotte altre due grandezze: la
“dose equivalente” (DE) e il “fattore qualità” (QF).
Mentre l‟RBE viene utilizzato in radiobiologia, il QF viene utilizzato in
protezionistica e rappresenta il fattore per cui va moltiplicata la dose assorbita
(D) per ottenere la DE (Eq. 1.4), cioè la dose di radiazione ionizzante presa in
esame necessaria per ottenere il medesimo effetto biologico indotto da una
radiazione ionizzante usata come riferimento ad un certa dose.
15
Quindi la DE si ricava dalla seguente equazione:
DE = QF • D
(Eq. 1.4)
Radiazione e range di energia (E)
QF
Fotoni
1
Elettroni
1
Neutroni (E < 10 KeV)
5
Neutroni (10 KeV < E < 100 KeV)
10
Neutroni (100 KeV < E < 2 MeV)
20
Neutroni (2 MeV < E < 20 MeV)
10
Neutroni (E > 20 MeV)
5
Protoni (E > 2 MeV)
5
Particelle-α
20
Tab. 1.1 Illustrazione tabellare dei fattori di qualità associati alle rispettive radiazioni ionizzanti
e agli intervalli di energia entro cui sono validi [U. Amaldi, 1978].
16
1.5 Interazione delle radiazioni ionizzanti con i sistemi biologici
Riguardo
le
radiazioni
ionizzanti
è
possibile
introdurre
un‟ulteriore
classificazione (Fig. 1.5) in base alla modalità con cui interagisce con il materia
vivente: indirettamente ionizzanti ed direttamente ionizzanti.
Le radiazioni prive di carica (fotoni e neutroni) fanno parte della prima categoria,
infatti non interagiscono direttamente tramite una cessione di energia che
ionizzi il mezzo, ma vengono assorbite attraverso urti (neutroni con i protoni e/o
nuclei del mezzo) oppure, nel caso dei fotoni, vengono assorbiti dalle strutture
atomiche del mezzo tramite i meccanismi sopra descritti (effetto fotoelettrico,
effetto Compton e produzione di coppie). I prodotti di queste interazioni sono
altamente ionizzanti e potenzialmente pericolose per le strutture cellulari.
Le radiazioni composte da particelle cariche (protoni, elettroni, ioni pesanti)
fanno parte delle radiazioni direttamente ionizzanti, poiché le particelle sono
caratterizzate da sufficiente energia da perturbare la struttura atomica o
molecolare, determinando la diretta rimozioni di elettroni che comporterà una
serie di danni a livello delle strutture cellulari.
17
Fig. 1.5 Rappresentazione del danno provocato in maniera diretta o indiretta da parte delle
radiazioni ionizzanti. La prima modalità di interazione comporta un danno biologico causato
dall‟azione diretta della radiazione sulle macromolecole a livello cellulare. La seconda modalità
invece prevede l‟azione radiolitica sull‟acqua da parte della radiazione ionizzante [Morgan et al,
2005]
I molteplici danni indotti a campioni biologici dalle radiazioni ionizzanti sono
influenzati da fattori fisici, biologici e chimici.
I fattori fisici sono:

Modalità di esposizione ad una determinata dose (singola o frazionata)

Low- o High-LET
Tra i fattori biologici che posso determinare una maggiore sensibilità o
resistenza agli effetti nocivi delle radiazioni abbiamo:

Fase del ciclo cellulare in cui si trova la cellula nel momento
dell‟esposizione

Fattori genetici
18
Per quanto riguarda i fattori chimici, questi vengono suddivisi in due categorie:
 Sensibilizzatori: in loro presenza, a parità di dose, si osserva
un‟amplificazione del danno biologico
 Protettori: riducono il danno indotto da una determinata dose di
radiazione ionizzante
Il sensibilizzatore di maggiore rilevanza risulta essere l‟ossigeno molecolare
(O2), infatti in sua presenza i sistemi biologici risultano essere più sensibili ad
insulti da parte dei raggi-X e raggi-γ e questo fenomeno è noto come “effetto
ossigeno” (OER, Oxygen Enhancement Ratio). Riguardo il ruolo dell‟O2,
nell‟incrementare il danno indotto, possono essere fatte due osservazione:
1. L‟ossigeno influenza il danno dal punto di vista quantitativo, ma non
qualitativo
2. riduce la dose necessaria per determinare un dato effetto biologico
Come vediamo in Fig. 1.6, la radiosensibilità biologica viene incrementata di un
fattore pari a 2-4 volte rispetto a una condizione di anossia. Per esempio per
alte dosi (Fig. 1.6-A) una sopravvivenza del 10% è ottenuta con una dose di 5
Gy in presenza di ossigeno , mentre la stessa sopravvivenza è ottenuta con
una dose di circa 22 Gy in assenza di ossigeno, pari a un rapporto di 4. Tale
fenomeno è osservabile anche a basse dosi (Fig. 1.6-B), infatti per una
sopravvivenza dell‟90% è necessaria una dose di 1.8 Gy in assenza di
ossigeno, mentre in presenza di ossigeno la dose richiesta è pari a 0.7 Gy, con
un rapporto di 2.6.
19
Fig. 1.6 Curva di sopravvivenza cellulare ottenute in seguito ad esposizione a singola dose di
radiazione ionizzante in presenza e in assenza di O2 a basse ed alte dosi [E. J. Hall, 2000].
Questo incremento dell‟effetto indotto dalla radiazione è dovuto a un processo
definito “fissazione”, in cui i radicali liberi, prodotti dall‟interazione tra la
radiazione ionizzante e l‟ ossigeno molecolare, determinano danni alle molecole
che costituiscono le strutture cellulari.
La fissazione avviene nei primi 10-2 - 10-3 μs dall‟irradiazione e determina un
effetto di sensibilizzazione bifasico, quindi caratterizzato da due componenti:

Componente Rapida: danno indotta dall‟ O2 alle membrane cellulari
(perossidazione lipidica)

Componente Lenta: danno a livello di siti caratteristici come il DNA e le
proteine
20
Invece per quanto riguarda i radioprotettori, questi sono in grado di determinare
una riduzione dell‟efficacia della radiazione di un fattore pari a 1.5 – 2. Affinché
queste molecole producano quest‟effetto radioprotettivo, devono essere
rispettate alcune condizioni:

Devono essere presenti in prossimità della sede critica del danno radioindotto

Le molecole devono contenere un numero discreto di atomi di zolfo
L‟assorbimento di energia associata alla radiazione ionizzante si verifica nella
materia vivente così come in quella non vivente e in tempi che variano da 10 -24
s a 10-14 s, determinando una cascata di eventi che è possibile riassumere in
base all‟intervallo di tempo entro cui si manifestano (Tab. 1.2)
Limiti
Temporali
Successione cronologica degli effetti radio-indotti
-24
-14
1. Interazioni iniziali
• Radiazioni indirettamente ionizzanti
• Radiazioni direttamente ionizzanti
• 10 - 10 s
-16
-14
• 10 - 10 s
2. Stadio fisico-chimico
Deposito di energia (ionizzazione delle
strutture)
10
3. Danno chimico
Radicali liberi, molecole
reazioni intermolecolari
10 s - ore
4. Danno biomolecolare
Proteine, acidi nucleici, membrane
ms - ore
5. Effetti biologici precoci
Morte cellulare, morte animale
ore - settimane
6. Effetti biologici tardivi
Induzione di neoplasie, effetti genetici
mesi - anni
eccitate
e
-12
-8
- 10 s
-7
Tab. 1.2 Schema riassuntivo della catena di eventi che succedono l‟irraggiamento di un campione
biologico e la rispettiva scala temporale.
Il DNA è la macromolecola di maggiore interesse radiobiologico per quanto
riguarda i danni radio-indotti, poiché le lesioni a livello strutturale, generate dalla
radiazione ionizzante, rappresentano la causa prima della trasformazione
21
neoplasica, oltre che della morte cellulare per necrosi (in caso di danni
particolarmente ingenti) o mediata dai fattori apoptotici.
I principali effetti (Fig. 1.7) sul DNA sono [Sassi et al, 2014]:

Distruzione e sostituzione di basi (base deletion and substitution)

Distruzione di legami idrogeno tra filamenti

Rotture a singolo filamento (SSB, Single Strand Break)

Rotture a doppio filamento (DSB, Double Strand Break)
Fig. 1.7 Rappresentazione schematica dei danni indotti da radiazioni ionizzanti a livello del DNA
[http://images.slideplayer.it/1/552427/slides/slide_9.jpg]
Il processo di induzione del danno biologico delle radiazioni ionizzanti è
intrinsecamente casuale e i meccanismi di riparazione possono essere più o
meno efficienti in funzione di diversi parametri difficilmente determinabili,
pertanto anche l‟effetto di un singolo evento di ionizzazione può essere la causa
di un determinato effetto biologico.
22
Partendo da questa considerazione, risulta evidente il motivo per cui diversi
gruppi di ricerca abbiano rivolto la loro attenzione all‟ambito radiobiologico, con
il fine ultimo di definire il rapporto tra la dose di radiazioni ionizzanti e il danno
radio-indotto dal punto di vista quantitativo e qualitativo. I risultati di questi studi
dimostrarono che, se la dose ricevuta da un organismo vivente è molto elevata,
allora è possibile individuare una correlazione deterministica tra dose
somministrata e danno atteso, determinando così il dogma centrale della
radiobiologia che affermava la proporzionalità diretta dell‟effetto biologico con la
dose somministrata [UNSCEAR, 1993] . In tale contesto, nella regione delle
bassi dosi, si ipotizzò una relazione lineare, senza soglia, degli effetti biologici
con la dose somministrata.
Crisi del dogma LNT
Questo dogma venne meno quando, in condizione di basse dosi, vennero
osservati comportamenti anomali non solo da parte delle cellule irradiate, ma
anche a livello delle cellule non interessate direttamente dalla radiazione
stessa. In particolare venne osservato un andamento non lineare della curva di
sopravvivenza nell‟intervallo di dose compreso tra 0 - 1 Gy, a differenza di ciò
che era stato teorizzato fino a quel momento.
Proprio per questa ragione gli apparati sperimentali in grado di generare
microfasci di radiazioni ionizzanti sono di cruciale importanza. Quest‟ultimi
consentono di esporre all‟irraggiamento solo una cellula o piccoli gruppi di
cellule all‟interno di un intera coltura cellulare, rendendo quindi possibile lo
studio delle connessioni esistenti tra le molteplici vie di trasduzione attivate in
seguito ad un rilascio di dose controllato.
23
Capitolo 2
Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti in condizione
di basse dosi e la loro analisi
2.1 Fenomeni biologici osservabili
Per quanto riguarda la regione delle basse dosi, fino ai primi anni „80, i danni al
DNA, e ciò che questi comportano (mutazioni e trasformazioni maligne), erano
considerati gli effetti di maggiore rilevanza e riassumibili in una curva doseeffetto con andamento lineare privo di soglia (LNT) [Arthur C. Upton, 1982].
Negli studi di radiobiologia classica si afferma che tutti gli effetti delle radiazioni
su cellule, tessuti e organi sono causati dall‟interazione diretta della radiazione
ionizzante con la materia vivente e, usando questo modello, è stato quantificato
il rischio associato alle basse dosi a partire però da risultati ottenuti in seguito
ad esposizione a dosi più elevate.
Riassumendo quanto detto, possiamo dire che la curva dose-rischio in
questione presenta due fondamentali caratteristiche:
1. Non c‟è una soglia
2. Ha un andamento, inizialmente, che si scosta di poco dalla retta, ma poi
ha un tratto rettilineo
24
Fig. 2.1 Curve di sopravvivenza per cellule di mammifero (Chinese Hamster V79) esposte a radiazioni
di basso (protoni) e alto (raggi-X) LET [Ann. Ist. Super. Sanità Vol. 23. N. 2, 1987].
Queste curve di sopravvivenza cellulare sono state ottenute a partire dalle
teorie dell'urto e del bersaglio ("hit-theory" e "target theory"), nate nel 1946-47
ed fanno riferimento a concetti base, come "urto" per intendere un evento di
assorbimento di energia biologicamente rilevante, e "bersaglio" per identificare
una struttura biologica sensibile a livello cellulare [H. Dertinger, 1970].
Le ipotesi di base per questo modello sono:
1. Le radiazioni trasferiscono energia per quantità discrete
2. Ogni urto o hit (n) è indipendente dall‟altro, ed essi seguono una
distribuzione di Poisson
3. L‟effetto (ad esempio la morte cellulare) si ha solo se un determinato
bersaglio o volume sensibile (v) della cellula ha ricevuto n-colpi
25
Tracciando un grafico su scala semi-logaritmica (come mostrato in Fig. 2.2), per
n=1, l‟andamento è lineare. In condizioni in cui sono necessari più hit (n>1), per
determinare un dato effetto biologico, si denota la progressiva comparsa di una
“spalla” nella curva all‟aumentare di n, che quindi definirà la pendenza della
curva.
Figura 2.2 Rappresentazione grafica in scala semi-logaritmica del rapporto tra il numero di cellule
sopravvissute e la dose somministrata (espressa come D/D 1/2), in cui N/N0 è il rapporto tra le
cellule sopravvissute e le cellule prima dell‟ irraggiamento. Dal grafico si evince che l‟andamento
lineare ottenuto per n = 1, viene perso progressivamente all‟aumentare degli hit (n) necessari per
determinare il medesimo effetto biologico, arrivando così a definire la “spalla” della curva di
sopravvivenza cellulare [H. Dertinger, 1970].
26
Negli ultimi anni sono stati raccolti dati che hanno messo in discussione la
validità di questo modello (LNT) dose-risposta nella regione delle basse dosi.
Da questi studi si evidenzia che le risposte da parte degli organismi viventi,
compreso l‟uomo, a tali dosi sono diverse rispetto a quelle osservate in seguito
ad esposizione a dosi maggiori (> 1Gy) [Matsumoto et al, 2009].
A partire da queste osservazioni le ricerche nel campo radiobiologico hanno
rivolto maggiore attenzione allo studio degli effetti biologici correlati ad
irraggiamenti a bassi livelli di dose, con l‟intento di comprendere i meccanismi
subcellulari, unici nel loro genere, responsabili di tali risposte. Ovviamente la
ricerca in questo campo non è solo finalizzata ad identificare e quantificare
l‟effetto, ma ha anche come obbiettivo quello di definire a livello spaziale e
temporale il danno dovuto all‟esposizione a questi livelli di dose che presentano
molteplici implicazioni nel campo biologico, clinico ed evolutivo [Schettino et al,
2010].
L‟inizio di questo filone di ricerca nel campo radiobiologico ebbe inizio grazie ad
alcuni scienziati (tra cui Sheldon Wolff, 1984), che ipotizzarono, per la prima
volta, l‟esistenza di due meccanismi biologici in grado di ridefinire il rapporto tra
la dose e il rischio biologico nella regione delle basse dosi (< 1Gy): il bystander
effect e la “radioresistenza indotta (IRR)/iperadiosensibilità (HRS)”.
Fino a prima dell‟introduzione di queste due nuove modalità di risposta, la morte
cellulare, dovuta all‟esposizione a radiazioni ionizzanti, era principalmente
associata a fenomeni di instabilità genomica causati dall‟azione diretta o
indiretta della radiazione stessa con il campione biologico usato come target.
Attualmente gli studi riguardanti questa tematica prendono principalmente in
27
considerazione i seguenti fenomeni che avvengono a livello intracellullare e
intercellulare:
1. Bystander effect
2. Radioresistenza indotta (IRR)/Iperadiosensibilità (HRS)
3. Instabilità genomica
28
2.2 Effetto bystander
Questo
fenomeno
biologico,
insieme
alla
radioresistenza
indotta
(IRR)/iperadiosensibilità (HRS), fa parte della radiation-induced adaptive
response osservata in colture cellulari esposte a basse dosi di radiazione
ionizzante.
Il motivo del forte interesse da parte dell‟intera comunità scientifica per l‟effetto
bystander deriva dal fatto che è un risposta indotta nelle cellule non interessate
direttamente dalla deposizione dell‟energia della radiazione associata alla dose
(non-targeted cells).
Il termine “radiation-induced adaptive response” fu coniato per la prima volta
nel 1984 da Sheldon Wolff, uno scienziato impegnato nello studio della
aberrazioni cromosomiche, indotte da radiazioni ionizzanti in una popolazione di
linfociti umani. I dati da lui ottenuti risultarono essere contrastanti per due
ragioni:
1. L‟effetto a livello della popolazione cellulare in seguito ad esposizione a
basse dosi risultò essere maggiore rispetto a quello atteso.
2. Le conseguenze di una dose massiccia (challenging radiation dose) su
un campione cellulare, precedentemente esposto a dosi minori (prior low
radiation dose), furono di minore entità paragonate a quelle previste.
A partire dalla prima osservazione, vennero condotti numerosi studi che
portarono a descrivere per la prima volta l‟effetto bystander come un fenomeno
in grado di propagare il danno indotto dalle radiazioni all‟interno dell‟intera
coltura cellulare determinando un amplificazione del danno complessivo
[Nagasawa & Little, 1992].
29
Successivamente vennero condotti ulteriori esperimenti partendo dai risultati da
loro ottenuti e l‟evidenza sperimentale della propagazione del danno venne
fornita da Prise. Tramite l‟utilizzo di un microfascio di particelle-α, in grado di
irradiare un‟area molto piccola, egli riuscì a colpire solo quattro cellule di una
popolazione di fibroblasti primari umani. Successivamente Prise osservò un
numero di cellule, apoptotiche e/o presentanti micronuclei, superiore al numero
di cellule direttamente colpite dalla radiazione ionizzante [Prise et al, 1998].
In generale il meccanismo dell‟effetto bystander
può essere analizzato
secondo una procedura, schematicamente illustrata in Fig. 2.3.
Innanzitutto vengono irraggiate in modo ordinato solo alcune delle cellule
presenti in coltura (indicate in grigio). Dopo una notte di incubazione vengono
valutate le conseguenze dell‟effetto bystander analizzando solo le cellule
sopravvissute non direttamente irraggiate (indicate in nero). Poi su quest‟ultime
vengono effettuati dei test al fine di stimare il tasso di mortalità e la frequenza
dell‟insorgenza di mutazioni e danni a livello cromosomico.
Figura 2.3 Rappresentazione schematica dell‟analisi dell‟effetto bystander [Hei et al, 2009]
30
La domanda che poi sorse spontanea riguardava il meccanismo tramite cui le
cellule hit e non-hit potessero interagire tra loro a livello della medesima coltura,
dando vita alla risposta bystander. A tal proposito vennero condotti numerosi
studi al fine di stabilire se l‟interazione fosse imputabile a:
1. diretto contatto intercellulare (es. giunzioni gap)
2. fattori rilasciati nel mezzo di coltura da parte delle cellule irradiate.
I risultati sperimentali poi ottenuti portarono alla conclusione che entrambi i
meccanismi partecipano attivamente nel determinare l‟effetto complessivo di
questo fenomeno e che quindi uno non escludeva l‟altro.
Particolare attenzione fu rivolta verso la seconda possibilità, in quanto aperta a
diverse ipotesi riguardo ai mediatori cellulari responsabili dell‟induzione del
bystander effect.
Gli esperimenti condotti infatti evidenziarono un aumento sostanziale
dell‟espressione di specifici geni nelle cellule irradiate codificanti fattori
extracellulari (come ad esempio citochine e fattori di crescita) in grado di
diffondere all‟interno del mezzo di coltura e raggiungere le cellule non
interessate dalla radiazione, determinando così effetti citotossici osservabili
tramite test in laboratorio [Azzam et al, 1998 e 2001].
Questa teoria fu ulteriormente avvalorata da altri esperimenti in cui il mezzo di
una coltura cellulare esposta a Low-LET venne trasferito in un‟altra coltura non
interessata da tale radiazione. I risultati ottenuti evidenziarono un aumento
tangibile del numero di cellule in apoptosi (indotta) e dell‟espressione genica
nella popolazione non irradiata, a causa dell‟accumulo nel mezzo irradiato di
fattori extracellulari, tra cui risultavano fortemente implicati anche le specie
reattive dell‟ossigeno (ROS) [Narayanan et al, 1997 e 1999].
31
Una volta accertata l‟esistenza di questo fenomeno biologico la comunità
scientifica rivolse la proprio attenzione verso la ricerca di una correlazione tra la
dose e l‟effetto bystander, al fine di individuare un valore soglia sotto il quale
non fosse stato più possibile osservare tale fenomeno.
A tal proposito i risultati ottenuti da Brian Ponnaiya e i suoi colleghi, nel 2004,
furono di grande rilevanza, in quanto cercarono di individuare il rapporto tra il
numero di particelle-α del microfascio e un end-point, cioè il numero di cellule,
non irradiate, presentanti micronuclei.
Per i loro studi utilizzarono una coltura cellulare di fibroblasti umani e solo
quattro cellule venivano colpite dal microfascio.
Inizialmente procedettero con l‟irradiazione del campione con cinque particelleα e solo il 2,5%, delle 3000 cellule in coltura, presentavano micronuclei.
Successivamente aumentarono gradualmente la dose (fino a 15 particelle-α), e,
in accordo con gli studi fatti in precedenza sull‟argomento, la frazione di cellule
che esprimevano i micronuclei era rimasta relativamente identica.
Da questi dati emerse forse la più importante caratteristica dell‟effetto bystander
e cioè che la sua manifestazione (formazione dei micronuclei nelle cellule non
irradiate) non dipende dai danni provocati alle cellule direttamente colpite dal
microfascio, ma semplicemente dall‟irraggiamento.
Inoltre, vennero condotti ulteriori studi utilizzando lo stesso approccio per
quanto riguarda la dose (da 1-25 particelle-α, con una LET pari a 90 KeV/μm),
ma utilizzando come end-point il ritardo nel passaggio da una fase del ciclo
cellulare all‟altra a 24 e 48 ore dall‟irraggiamento.
Per monitorare l‟avanzamento nelle varie tappe del ciclo cellulare utilizzarono
un sistema basato sull‟internalizzazione di BrdU (bromodeossiuridina), che,
32
essendo un analogo della timina, si incorpora all‟interno del DNA durante la
fase S.
Fig. 2.4 Percentuale di cellule in popolazioni irradiate (■) e bystander (○) positive al BrdU dopo 24 ore (grafico A)
e 48 ore (grafico B) dall‟ultima esposizione [Ponnaiya et al, 2004].
Come mostrato nel grafico A (relativo ad un intervallo di tempo di 24h) della Fig.
2.4, è sufficiente irradiare le cellule con una particella-α per indurre un
significativo ritardo, con meno del 28% delle cellule irradiate che mostrano
l‟acquisizione di BrdU, e questo andamento procede fino ad un irraggiamento
con 25 particelle-α dove la percentuale scende fino al 12%.
Inoltre si osserva il medesimo comportamento, in relazione alla dose, anche
nella frazione di cellule non esposte alla radiazione, con solo il 42% delle cellule
presentanti il marcatore BrdU nel proprio DNA, percentuale che decresce di
poco all‟aumentare del numero delle particelle-α.
Nel grafico B (relativo ad un intervallo di tempo di 48h) nella Fig. 4 si denota il
medesimo comportamento nelle cellule irradiate con una percentuale che varia
dal 66% al 56% all‟aumentare della dose.
33
A differenza del primo caso (A), nelle cellule non irraggiate, il ritardo nella
progressione del ciclo cellulare non si estende alle 48h (caso B), infatti non si
osserva una discreta differenza tra la frequenza di incorporazione del BdrU
della popolazione controllo (86%) e quella della popolazione cellulare
interessata dall‟effetto bystander (79-85%) [Ponnaiya et al, 2004].
Da questi risultati si evince che, se pur in piccola parte e limitata in un intervallo
di tempo di 24h, la dose (facendo comunque sempre riferimento a valori
all‟interno della regione delle basse dosi) influisce sull‟entità dell‟effetto
bystander, determinando una riduzione della frazione di cellule con BdrU
incorporato nel proprio DNA. Nonostante questo, la dose non influisce
sull‟espressione di tale fenomeno, né tantomeno sulla sua durata.
Considerati questi esperimenti e i loro risultati è ormai chiaro come la linearità
della curva dose-effetto venga persa nella regione delle basse dosi come
descritto anche da un recentissimo studio condotto da Omar Desouky [Omar et
al, 2015].
34
2.3 Radioresistenza indotta (IRR)/Iperadiosensibilità (HRS)
L‟iperadiosensibilità (HRS) è un fenomeno che consiste in un‟elevata
frequenza di mortalità in una popolazione cellulare esposta a basse dosi di
radiazione ionizzante. Questo però, è poi seguito dallo sviluppo di una
discreta radioresistenza (IRR), osservabile nel caso in cui dovessero essere
nuovamente esposte a una dose di radiazioni ionizzanti uguale o maggiore
rispetto alla prima [Marples et al, 1993].
Figura 2.5 Curva di sopravvivenza di cellule di V79 esposte a radiazioni ionizzanti. La curva tratteggiata
rappresenta i dati estrapolati in seguito ad irraggiamento con ioni carbonio ad alte dosi. Dalla curva non
tratteggiata si evince che, dopo una prima dose, compresa tra 0,05 - 0,12 Gy, la sopravvivenza cellulare
aumenta fino a circa 0,3 Gy, nonostante l‟incremento della dose, per poi procedere con una
proporzionalità inversa tra la dose e la frazione cellulare sopravvissuta. Nella prima regione di dose
(evidenziata in verde), compresa tra 0,05 - 0,12 Gy, è dominante il fenomeno di iperadiosensibilità (HRS),
mentre nella seconda regione (evidenziata in blu), compresa tra 0,12 - 0,3 Gy, è dominante il fenomeno di
radioresistenza indotta (IRR) [Borhnsen et al, 2002; Tsoulou et al, 2002]
35
Wolff e i suoi colleghi dimostrarono nel 1984 che in una popolazione
cellulare, esposta preventivamente a basse dosi di radiazioni, era possibile
osservare una riduzione discreta della frequenza con cui si manifestavano
aberrazioni cromosomiche.
Questi risultati vennero ulteriormente avvalorati dallo studio di tale fenomeno
su dei topi, quindi in vivo.
Dopo una prima dose di 50 mGy di raggi-X, somministrata due mesi prima,
l‟esposizione ad un secondo irraggiamento, nel range intermedio della dose
letale, venne osservato un significativo aumento della percentuale di topi
sopravvissuti in entrambi i sessi [Yonezawa et al, 1996].
Questo fenomeno di notevole rilevanza, anche noto come “effetto
Yonezawa”, venne chiamato: radioresistenza indotta (IRR).
Studi successivi permisero anche di individuare un range di dose entro cui è
possibile indurre in una coltura cellulare tale risposta adattativa e venne
definito l‟intervallo di dose, tra 200 e 500 mGy, al di fuori del quale non si
osserva più tale fenomeno [Feinendege et al,1999].
36
2.4 Instabilità genomica
Con instabilità genomica intendiamo quella condizione in cui la cellula è
maggiormente
predisposta
ad
accumulare
mutazioni
puntiformi
e
cromosomiche.
La comparsa di danni al DNA non è una situazione aliena alla cellula, infatti
anche durante la replicazione e trascrizione c‟è una minima probabilità che i
sistemi enzimatici responsabili commettano errori nella sintesi del DNA.
Se i sistemi di riparazione cellulare non dovessero essere in grado di sanare i
danni, esogeni o endogeni, a livello del DNA, nella cellula si manifesteranno
con maggiore frequenza alterazioni genetiche e soprattutto genomiche,
delineando così una condizione di forte instabilità genomica.
E‟ ormai noto che le radiazioni ionizzanti sono in grado di determinare lo
sviluppo di neoplasie a livello di diversi tipi di tessuti e organi nell‟uomo, ma il
preciso meccanismo a livello cellulare e molecolare che sta alla base della
trasformazione cellulare ancora non è del tutto stato chiarito [Hei et al, 2009].
Una delle ipotesi più accreditate riguarda proprio l‟induzione dell‟ ”instabilità
genomica” in un tessuto o in una popolazione cellulare da parte delle radiazioni
ionizzanti, infatti possono dar luogo a eventi mutazionali multipli, determinando
quindi la condizione di base necessaria alla trasformazione. Questa teoria si
basa sull‟esistenza di un gene responsabile della stabilità genomica e della
precisione del sistema replicativo, quindi una singola mutazione sarebbe
seguita da una cascata di mutazioni che poterebbero alla trasformazione o alla
morte cellullare [Hei et al, 2009].
Inoltre, questa ipotesi è stata ulteriormente avvalorata da studi condotti
sull‟uomo riguardo molte tipologie di cancro, che hanno riscontrato un certo
37
grado instabilità nei microssatelliti ( o short tandem repeats, STR) nelle cellule
tumorali analizzate [Loeb et al, 2003; Grady et al, 2008]
Per quantificare l‟instabilità genomica sono disponibili diversi metodi biologici
utilizzabili sia in vitro che in vivo, tra cui:

Amplificazione genica

Instabilità cromosomica

Instabilità dei microsatelliti

Mutazioni ritardate (Delayed mutation)

Morte riproduttiva ritardata (Delayed reproductive death)
Questa fenomenologia è stata osservata in diverse linee cellulari (cellule umane
normali, linfociti umani, cellule murine), sia per radiazioni Low- che High-LET.
Il forte interesse da parte della radiobiologia per tale condizione cellulare deriva
dal fatto che presenta una caratteristica in comune con l‟effetto bystander, cioè
che entrambi possono manifestarsi in cellule non direttamente irradiate dal
fascio di radiazioni ionizzanti.
Le cellule, sopravvissute in seguito ad esposizione a basse dosi di radiazione
ionizzante, possono mostrare danni come alterazioni genetiche e genomiche
immediatamente
dopo
l‟irraggiamento.
Inoltre
questi
danni
possono
manifestarsi anche nella progenie sia di cellule sopravvissute direttamente
irraggiate che di cellule sopravvissute non direttamente irraggiate [Moore et al,
2005], e per questo vengono definiti “effetti tardivi”.
Il legame diretto tra questi due fenomeni radio-indotti non è stato ancora del
tutto dimostrato, però la sua esistenza è fortemente probabile, infatti gli studiosi
38
sono arrivati a questa conclusione partendo da due osservazioni di notevole
importanza:
1. Molti geni checkpoint del ciclo cellulare, come la ciclina B1 e la RAD51,
risultano essere over-espressi nelle cellule bystander [Azzam et al,
1998].
2. Le cellule bystander con deficit per la riparazione del DNA presentano
con maggiore frequenza aberrazioni cromosomiche e riposte mutagene
[Nagasawa et al, 2003].
Anche alcuni studiosi della Columbia University hanno rivolto la loro attenzione
verso questa problematica di fondamentale importanza, infatti, utilizzando delle
cellule bystander
ottenute in seguito a irraggiamento con 30 particelle-α,
-
hanno riscontrato mutazioni su CD59 e rotture cromatidiche, causate da una
condensazione cromosomica prematura, nell‟arco di 20-30 generazioni cellulari
[Tom K. Hei et al, 2009].
Tutti questi risultati hanno avvalorato la teoria secondo cui anche l‟instabilità
genomica nelle cellule bystander è riconducibile all‟effetto bystander stesso,
quindi parte integrante del processo di propagazione del danno nelle cellule
non direttamente irradiate.
39
2.5 Analisi delle curve di rischio associate alle basse dosi di
radiazioni
Analizzate le cause e le conseguenze determinate dalla risposta adattativa, è
possibile ricavare un grafico in cui vengono messa in relazione la dose con il
rischio di incorrere in patologie tumorali.
Fig. 2.6 Rappresentazione grafica delle possibili curve di sopravvivenza (a, b, c, d, e) cellulare
ottenute inseguito ad irraggiamento di una coltura cellullare. Per il commento di queste curve
si fa riferimento al testo sottostante [Brenner et al, 2003].
Questo grafico è una rappresentazione schematica dei possibili risultati di
misurazioni del rischio biologico a dosi molto basse, ognuno dei quali, in linea di
principio, potrebbe essere coerente con dati epidemiologici ottenuti in
condizione di alte dosi.
Le situazioni possibili sono le seguenti (come mostrato in Fig. 2.6):
a) Andamento lineare del rischio all‟aumentare della dose
b) Andamento sopra-lineare della curva
40
c) Andamento sub-lineare della curva
d) Esistenza di una soglia
e) Una iniziale azione radioprotettiva entro un certo valore di dose, sopra il
quale il rischio aumenta con un andamento della curva sopra-lineare,
quindi si denota una curva definita “ormetica”
L‟andamento sopra-lineare della curva (b) è spiegabile facendo riferimento
all‟effetto bystander, in particolare possiamo ipotizzare che, causando la
propagazione del danno radio-indotto anche alle cellule non irraggiate,
determina un aumento dell‟effetto complessivo e quindi del rischio di sviluppare
neoplasie.
Per quanto riguardo invece la curva con andamento sub-lineare (c) bisogna
tenere conto della radioresistenza indotta (IRR) in condizioni di basse dosi,
infatti in questa situazione avremo un azione dannosa da parte delle radiazioni
che ,a parità di dose, risulterà inferiore rispetto alla curva lineare (a).
La curva con comportamento “ormetico” (e) risulta essere ad oggi una delle
questioni più controverse nell‟ambito della radiobiologia. In particolare per
“ormesi” si intende una relazione dose-risposta caratterizzata una marcata
bifasicità, infatti, come mostrato in figura, possiamo osservare una sostanziale
riduzione del rischio nella fase iniziale (basse dosi) in opposizione al maggiore
valore di rischio riscontrato a dosi poco più alte.
Tale comportamento cellulare rispetto ai diversi livelli di dose di radiazione
ionizzante, può essere compreso tenendo conto della risposta adattativa radioindotta e quindi degli effetti che la definiscono. L‟effetto bystander, come detto
nei paragrafi precedenti, comporta l‟attivazione di una serie di vie che portano
all‟amplificazione del danno complessivo all‟interno di una coltura cellulare, però
41
questi pathways di trasduzione del segnale hanno spesso punti di intersezione
con quelli che determinano la radioresistenza indotta (IRR), che invece
rappresenta una risposta potenzialmente favorevole. Tenendo conto di questa
osservazione, risulta evidente il motivo per cui, fino ad oggi, è stato impossibile
determinare con certezza gli effetti ed i meccanismi alla base di ogni singolo
effetto biologico coinvolto nella risposta adattativa e il perché delle discordanti
ipotesi della comunità scientifica a riguardo.
Nella tabella che segue, rappresentiamo sinteticamente le molecole che
sovraintendono ai diversi effetti biologici (Tab. 2.1), i cui meccanismi saranno
più dettagliatamente illustrati nel capitolo 3.
42
Conseguenze
Effetti biologici indotti
Molecole implicate
a livello cellulare
• Alterazione dell‟espressione
genica
Bystander effect
•
•
• ROS ( O2 , H2O2 e OH) e RNS
-
(NO e ONOO )
• Mutazioni
• GIJCs
• Frammentazione cromosomica
• Ormoni (estrogeni)
• Apoptosi
• Fattori di crescita
• Danni a strutture ed organelli
• Citochine (IL-6, IL-1β)
cellulari
• TRAIL
• p53
• COX-2 indotta da NF-kB
• Protein-chinasi (ATM, ATR,
DNA-PK)
Radioresistenza indotta
(IRR)
Up- e Down-regulation di geni
• PARPs
che codificano per proteine
• DNA-PK
implicate nella:
• AP-Endonucleasi
• Proliferazione cellulare
• Induzione dell‟ apoptosi
• Riparazione di DSB e SSB
• BER
• Regolazione ciclo cellulare
• Trasduzione del segnale
• Up- e Down-regulation genica
alterata
Instabilità genomica
• Instabilità cromosomica
• Instabilità dei microsatelliti
• Mutazioni ritardate
• Morte riproduttiva ritardata
• fosfoproteine della fase M
• p53
• ATM
• ERCC5 (XPG)
• p125
• PKC
•p38MAPK
Mutazioni su geni che codificano
per:
• Ciclina B1
• RAD51
• CD59
Tab. 2.1 Schema degli effetti biologici evidenziati in condizioni sperimentali di irraggiamento a basse dosi
di una piccola frazione di cellule all‟interno di una coltura cellulare. I relativi meccanismi saranno illustrati in
maniera più dettagliata nel capitolo 3.
43
Capitolo 3
Meccanismi molecolari delle principali risposte a basse
dosi
3.1 Meccanismo molecolare del bystander effect
Nella Fig. 3.1 sono schematizzati i diversi meccanismi molecolari implicati
nell‟effetto bystander, in parte coinvolti anche nei meccanismi alla base della
radio resistenza indotta, che verranno descritti in questo e nel successivo
paragrafo.
Figura 3.1 Rappresentazione schematica delle principali molecole e delle rispettive vie di trasduzione, tra
loro interconnesse, che portano all‟insorgenza della risposta adattativa in una cellula bystander
[Matsumoto et al, 2009].
Basandosi sui risultati sperimentali ottenuti nei numerosi studi riguardo le basse
dosi di radiazione, sono stati individuati quattro principali meccanismi da cui
44
dipende il bystander effect [Little et al, 2006; Ballarini et al, 2002; Matsumoto et
al, 2004 e 2007]:
1. Diretta connessione fisica tra le cellule, come le GJICs (Gap Junctional
Intercellular Communication)
2. Interazione tra ligandi prodotti dalle cellule irradiate e specifici recettori
nelle cellule bystander
3. Specifiche interazioni tra citochine o fattori di crescita rilasciati dalle
cellule colpite e i rispettivi recettori nelle cellule bystander
4. Rilascio di molecole segnale in grado di diffondere
Fino ad ora viene però attribuita maggiore rilevanza alla comunicazione tra le
targeted cells e le non-targeted or bystander cells, infatti proprio per questa
ragione il primo problema è stato individuare le molecole prodotte dalle cellule
direttamente irradiate in grado di determinare l‟effetto bystander nelle cellule
adiacenti.
La natura delle molecole segnale è stata fino ad ora considerata come “la
domanda da un milione di dollari”, poiché, durante i molteplici studi compiuti nel
corso degli anni da parte di biologi e radiobiologi, è emersa una grande varietà
di molecole e quindi di pathways coinvolti nell‟effetto bystander.
45
3.1.1 Giunzioni gap – ROS e/o RNS
La relazione tra l‟attività delle GJICs e l‟insorgenza di mutazioni, causate
dell‟effetto bystander radio-indotto, è stata studiata usando due approcci:
1. Usando sostanze chimiche in grado di inibire la comunicazione
intercellulare mediata dalle GJICs, come l‟ottanolo e il lindano
2. Usando cellule geneticamente ingegnerizzate completamente prive di
giunzioni gap
Il primo approccio consiste nel trattamento delle cellule con dosi di ottanolo (1
mM) non citotossiche o in grado di determinare mutazioni e di lindano nelle 2
ore precedenti e nei 3 giorni successivi all‟esposizione alle particelle-α.
-
I risultati mostrano un discreto calo della frazione di mutanti per il gene CD59 ,
da 90 ± 40 a 16 ± 3 per 105 cellule sopravvissute.
Successivamente venne trattato un altro campione cellulare con la medesima
metodica, ma usando solo l‟ottanolo, e ottennero una frazione di mutanti
inferiore (~10 ± 4), ma comunque rilevabile [Zhou et al, 2000].
Questo esperimento ha confermato il ruolo, di fondamentale importanza, delle
giunzioni gap nella risposta bystander mutagenica cellulare.
L‟ottanolo e il lindano però non sono specifici inibitori delle GJICs, infatti
presentano un ampio range di effetti riguardo le strutture e funzioni cellulari,
compresa la fluidità di membrana, determinando quindi un certo grado di
incertezza riguardo i risultati ottenuti.
Per questa ragione venne introdotto il secondo approccio sopracitato che,
essendo basato sull‟ingegnerizzazione genetica delle cellule in esame,
consente di stabilire come maggiore precisione quanto influisce la presenza
delle giunzioni gap in relazione all‟effetto complessivo.
46
Le cellule ingegnerizzate, utilizzate per questo esperimento, vennero ottenute
usando un vettore contenente il gene negativo dominante che codifica per una
connessina 43 in grado, non solo di sopprimere il normale gene presente nella
cellula, ma anche di codificare per una connessina alterata che impedisce
l‟assemblaggio del connessone e quindi della giunzione gap stessa.
I risultati ottenuti confermarono l‟iniziale ipotesi riguardo le GJICs, infatti le
cellule, presentanti il vettore per la connessina 43, mostrarono una scarsa o
addirittura assente mutagenesi correlata all‟effetto bystander.
Questi dati dimostrano che il vettore funzionava perfettamente e che le
giunzioni gap hanno, senza ombra di dubbio, un ruolo critico nel mediare la
risposta mutagenica indotta dal bystander effect [Zhou et al, 2001; Azzam et al,
2001].
Basandosi su queste osservazioni è probabile che le GJIC siano implicate nel
trasferimento, dalle cellule irraggiate a quelle non interessate direttamente dal
microbeam, di fattori bystander che quindi dovranno essere molecole solubili
con un peso molecolare inferiore ai 2 KDa affinché possano passare
agevolmente attraverso la giunzione gap. Tra i possibili candidati abbiamo ROS
e RNS e in particolare NO.
In recenti studi effettuati su normali fibroblasti umani (cellule AG1522), irradiati
con un microbeam di argon carico, si è osservato che l‟utilizzo di lindano e di
DMSO (dimetilsolfossido), un composto con funzione di scavenger nei confronti
delle specie reattive dell‟ossigeno, determina una forte soppressione della
risposta bystander nelle cellule limitrofe a quelle direttamente irraggiate [H.
Matsumoto et al, 2000]. Per individuare e quantificare l‟effetto bystander venne
usata come marker la formazione di foci nucleari, che identificano una DSB
47
indotta dalla radiazione ionizzante, correlate alla presenza dell‟istone γ-H2AX
fosforilato e dall‟ NBS1 anch‟esso fosforilato.
I medesimi risultati vennero ottenuti da [Zhou et al, 2000]. In particolare, Zhou e
il suo team di ricerca analizzarono l‟effetto bystander in una coltura cellulare
pretrattata con lindano e irradiata con 20 particelle-α, osservando una forte
riduzione della frequenza di insorgenza di mutazioni. Successivamente
replicarono il medesimo esperimento pretrattando però le cellule con DMSO e
non notarono una significante riduzione della frequenza mutazionale nelle
cellule adiacenti a quelle irradiate [Zhou et al,2000]. Da questo inaspettato
risultato i ricercatori dedussero che probabilmente erano presenti anche altre
molecole segnale per l‟effetto bystander, oltre i ROS, considerando il fatto che
l‟azione di quest‟ultimi era stata inibita dal DMSO.
Inoltre, degli studi antecedenti a gli ultimi citati, hanno dimostrato che queste
specie reattive possono avere un effetto inibitorio nei confronti delle giunzioni
gap o addirittura determinare un aumento del loro numero:
1. Il perossido di idrogeno (H2O2) inibisce le GJICs nelle cellule di fegato di
ratto del tipo WB-F344 [Upham et al, 1997]
2. Il NO inibisce le GJICs negli astrociti di ratto Wister [Bolaňs et al, 1996]
3. Molti agenti ossidanti, tra cui il H2O2, aumentano il livello di GJICs nella
linea cellulare embrionale di criceto Siriano (BPNi) [Mikalsen et al, 1994]
Considerati questi risultati, a volte contrastanti, l‟effettivo ruolo delle giunzioni
gap, nel determinare l‟effetto bystander, rimane ancora in parte sconosciuto e
quindi sarà necessario ancora del tempo e nuove sperimentazioni per chiarire
in maniera inequivocabile il rapporto tra i ROS e/o NO e le GJICs.
48
3.1.2 COX-2 e MAPK (ERK1/2)
Uno studio più recente riguardante la natura molecolare di questo fenomeno
biologico radio-indotto, venne condotto da [Zhou et al, 2005] utilizzando
fibroblasti di polmone umano (NHLF), con lo scopo di individuare i diversi geni
espressi nelle cellule direttamente irraggiate e nelle cellule bystander.
In seguito a irraggiamento con un microbeam a particelle, tra i 96 geni presi in
esame, venne notata la forte espressione di uno di essi, cioè quello che codifica
per la ciclossigenasi-2 (COX-2, anche nota come prostaglandine endoperossido
sintasi-2) nelle cellule bystander. Osservarono che la quantità di enzima
presente era più di tre volte maggiore rispetto al normale e quindi i ricercatori
ipotizzarono che la COX-2 fosse uno degli fattori chiave nel determinare il
bystander effect.
Questa ipotesi venne poi confermata tramite l‟utilizzo di un inibitore NS-398
della ciclossigenasi-2, infatti nei fibroblasti umani (NHLF) pretrattati con tale
molecola, alla concentrazione di 50 μM, risultava soppressa l‟attività della COX2 e contemporaneamente anche la mutagenesi indotta dall‟effetto bystander
[Zhou et al, 2005].
Un altro aspetto di particolare interesse consiste nel fatto che la COX-2 è
strettamente correlata all‟attivazione delle MAPK, in particolare della ERK1/2 e
della p38MAPK, attribuendo a questa via di trasduzione del segnale un ruolo di
rilevante importanza. Inoltre l‟attività delle ERK1/2 chinasi è intensificata
quando la cNOS (NO sintasi costitutiva) è attivata dalla radiazione ionizzante ed
è quindi stata ipotizzata l‟esistenza di un nesso tra l‟effetto bystander NOmediato e la trasduzione del segnale mediata dalle MAPK, via a sua volta
attivata dalla COX-2 [Han et al, 2006; Leach et al, 2002].
49
3.1.3 Mitocondri
Oltre questi meccanismi, è stata recentemente presa in considerazione anche
la possibilità che anche i mitocondri possano avere un ruolo attivo nella
regolazione dell‟effetto bystander radio-indotto tramite le vie mitocondriodipendenti NF-κB/iNOS/NO e NF-κB/COX-2/PGE [Zhou et al, 2008].
In questo articolo, Zhou e il suo team hanno osservato che i fibroblasti della
pelle di origine umana contenenti mitocondri privati del DNA (cellule ρ0)
presentano, in seguito a irraggiamento con dose letale di una frazione della
stessa popolazione cellulare, una maggiore frequenza mutazionale mediata
dall‟effetto bystander, rispetto alle rispettive cellule parentali con funzioni
mitocondriali intatte (cellule ρ+).
In contrasto con questi risultati, alcuni studi hanno dimostrato che, affinché si
manifesti l‟effetto bystander, è necessario che le funzioni mitocondriali siano
intatte [Tartier et al, 2007]. Tartier e i suoi collaboratori pubblicarono uno studio
in cui cellule pseudo- ρ0, aventi mitocondri impoveriti di gran parte del proprio
DNA, non erano in grado di produrre il segnale bystander, ma di rispondere ai
segnali prodotti dalle normali cellule ρ+.
In un altro studio riguardo al nesso tra mitocondri e l‟effetto bystander, basato
sull‟irraggiamento di una coltura cellulare con basse dosi di particelle-α, è
emerso che il microbeam può stimolare la produzione cellulare di NO e •O2
nelle cellule ρ+ AL, ma ciò non avviene nelle cellule ρ0 AL [Chen et al, 2008].
La relazione tra l‟induzione dell‟effetto bystander e le funzioni mitocondriali sono
ancora irrisolte e controverse, quindi, anche in questo caso, sarebbe necessario
approfondire ulteriormente il meccanismo che vede coinvolta, in maniera diretta
e/o indiretta, l‟attività trasduzionale e metabolica dei mitocondri.
50
3.1.4 Protein-chinasi
Negli ultimi dieci anni molti gruppi di ricerca hanno condotto studi riguardanti
enzimi con attività chinasica implicati nella risposta al danno al DNA indotto da
radiazioni ionizzanti in maniera diretta o mediante le vie che costituiscono
l‟effetto bystander nel suo complesso.
Gli enzimi oggetto di studio sono: l‟ATM, la DNA-PK e l‟ATR, tutti e tre implicati
nel sistema di riparazione del DNA chiamato NHEJ (Non-Homologous EndJoining). Più precisamente, questi ultimi sono coinvolti nella fosforilazione
dell‟istone γ-H2AX, che risulta essere indispensabile per la formazione di foci
53BP1, utilizzate dai ricercatori come marker per localizzare rotture a doppio
filamento a livello del DNA.
Da esperimenti, svolti su astrociti corticali primari e cellule di glioma, è emerso
che l‟inibizione dell‟ATM e della DNA-PK (anche nota come DNA-PKcs) non
impedisce la formazione di foci γ-H2AX mediato dal bystander effect, mentre
una mutazione sul gene che codifica per ATR blocca l‟induzione di foci nelle
cellule adiacenti a quelle irraggiate, però limitando tale inibizione alle cellule in
fase-S [Burdak-Rothkamm et al, 2007 e 2008].
L‟esistenza di questa limitazione, riguardo all‟attività della chinasi ATR, è
confermata dal fatto che ATR partecipa alla fosforilazione dell‟istone γ-H2AX
solo in situazioni di stress replicativo, cioè in seguito al rilevamento di danni al
DNA durante la fase S del ciclo [Ward et al, 2001].
Inoltre i ricercatori hanno osservato che le chinasi, ATM e DNA-PK, partecipano
alla fosforilazione dell‟istone γ-H2AX in caso di esposizione diretta a radiazioni
ionizzanti [Stiff et al, 2004].
51
Considerati questi risultati è stato ipotizzato che, diversamente dall‟enzima
ATR, le protein-chinasi ATM e DNA-PK non abbiano un ruolo determinante
nella formazione di foci γ-H2AX nelle cellule bystander e che quindi la
formazione di quest‟ultime sia dovuta a pathways diversi a seconda se si
considerino cellule direttamente irraggiate oppure soggette all‟effetto bystander
[Burdak-Rothkamm et al, 2007].
Hagelstrom e i suoi collaboratori, usando un sistema a raggi-γ, hanno
dimostrato che le chinasi ATM e DNA-PKcs sono necessarie per generare un
segnale bystander, ma non per la sua ricezione e per l‟elaborazione della
risposta cellulare [Hagelstrom et al, 2008].
In più è stato dimostrato che l‟attivazione di ATM nelle cellule bystander
dipende dalla funzionalità di ATR e che in esse è possibile osservare
l‟induzione e la colocalizzazione di ATR, 53BP1, della ATM-fosforilata (S1981),
della p21, e di BRCA1 a livello delle foci. In questo modo è stata confermata
l‟esistenza di un forte nesso tra loro e i segnali prodotti inseguito a lesioni a
livello del DNA, suggerendo inoltre altri potenziali target per la modulazione di
tali segnali [Burdak-Rothkamm et al, 2008].
52
3.1.5 Fattori di crescita e citochine
Uno dei meccanismi proposti per spiegare l‟effetto bystander, mediato dal
mezzo di coltura, è basato sull‟azione di citochine, fattori di crescita e ormoni,
tra cui i più probabili candidati sono: TGF-β1, TNF-α, IL-1β ed estrogeno [Zhou
et al, 2008; Burdak-Rothkamm et al, 2007] . In altre ricerche, basate sull‟utilizzo
di raggi-X, raggi-γ e particelle-α, sono stati proposti come fattori bystander, oltre
TGF-β1, TNF-α e IL-1β, anche TRAIL (TNF-related apoptosis inducing ligand) e
IL-6 [Lehnert et al, 1997; Mothersill et al, 1998; Barcellos-Hoff et al, 2001].
Un altro studio riguardo il nesso tra i fattori di crescita e le radiazioni ionizzanti
riporta che nelle cellule bystander, in una coltura di
fibroblasti di polmone
umano, l‟attività trascrizionale relativa al gene che codifica per IGFBP3 (InsulinLike Growth Factor Binding Protein-3) è più di sette volte inferiore rispetto al
normale. Questa osservazione risulta avere una notevole importanza poiché
questa proteina ha un‟azione anti-proliferativa IGF1-indipendente e, proprio per
questa ragione, in altre ricerche è stata usata come fattore in grado di bloccare
o ridurre l‟espansione e la metastatizzazione di neoplasie, come il melanoma, in
maniera dose-dipendente.
Riguardo questi ultimi fattori bystander, bisogna però tenere conto del fatto che
solo un numero limitato di cellule risponderà uno stimolo di questo tipo, poiché
è necessaria la presenza di recettori ligando-specifici sulle membrane delle
potenziali cellule bystander affinché vengano attivate le vie di trasduzione del
segnale, quindi in sostanza risulta importante considerare la relativa sensibilità
cellulare a tali molecole.
53
3.1.6 p53 - NO
Di recente è stato proposto anche un modello in cui la p53 svolge un ruolo di
down-regulator nei confronti del fattore nucleare k-B (NF-kB), indispensabile per
l‟espressione della iNOS. Più precisamente, la p53 interagisce con la TBP
(TATA-binding protein) e/o con NF-kB determinando un attenuazione della
sintesi, a partire dalla L-arginina mediata da iNOS, di NO [Forrester et al, 1996;
Ambs et al, 1998], considerato uno dei fattori in grado di dare inizio a una delle
molteplici vie che portano alla radioadaptive response [Matsumoto et al, 2004;
Shankar et al, 2006], oltre che elemento di partenza per la formazione di
pericolose specie reattive dell‟azoto (RNS), come il perossinitrito (ONOO ).
Inoltre, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, la p53 sembra essere
anche in grado di regolare, sia in vitro che in vivo, la secrezione di alcuni
inibitori dei fattori di crescita, che svolgono un importante compito nel
sopprimere comportamenti cellulari potenzialmente cancerogeni [Komarova et
al, 1998].
Un altro aspetto riguardo la p53 è stato osservato durante esperimenti riguardo
l‟apoptosi radio-indotta mediante una via p53-dipendente in seguito a
esposizioni acute o croniche a radiazioni ionizzanti, in cui sono state impiegate
colture di cellule di carcinoma squamoso [Takahashi et al, 2001].
I ricercatori hanno notato che l‟accumulo della p53, solitamente osservato dopo
un‟alta dose di radiazioni (challenging irradiation), veniva fortemente soppresso
dal pretrattamento del campione cellulare con una dose molto bassa di
radiazioni (priming irradiation).
Per quanto riguarda invece NO, è stato dimostrato che, esponendo campioni
cellulari a concentrazioni molto basse di NO esogeno, è in grado di determinare
54
lo sviluppo della radioresistenza come osservato nella risposta adattativa radioindotta causata dall‟accumulo di NO endogeno in seguito a irraggiamento.
Quindi, tenendo conto del forte nesso esistente tra la p53 e la sintesi di NO
emerso nel corso di molti studi a riguardo, NO è stato proposto, con relativa
certezza, come uno degli iniziatori della risposta adattativa radio-indotta
[Matsumoto e Takahashi et al, 2007].
55
3.2 Meccanismo alla base della radioresistenza indotta (IRR)
I meccanismi alla base della radioresistenza indotta (IRR) sono ancora in parte
sconosciuti, però è stato scoperto che, affinché si manifesti, è necessaria la
sintesi de novo di fattori coinvolti nella riparazione del DNA e nella regolazione
del ciclo cellulare.
Effettori della riparazione del DNA:

PARP (poli-ADP-ribosio-polimerasi)

(AP)-endonucleasi

Protein-chinasi DNA-dipendenti (DNA-PK)

ERCC5 (XPG)
Effettori per la regolazione del ciclo cellulare:

Fosfoproteine della fase-M

p125
Come trasduttori di entrambi i processi, quindi indispensabili perché si verifichi
la risposta adattativa, sono stati proposte queste due molecole:

p53

ATM
In altri studi, oltre la via di trasduzione del segnale mediato da ATM-p53, è stata
osservata l‟attivazione delle protein-chinasi C (PKC). In particolare le ricerche di
Sasaki hanno evidenziato che in corrispondenza della risposta adattativa si
assiste anche alla rapida
attivazione di PKCα e p38MAPK ( p38 Mitogen-
Activated Protein Kinase), probabilmente regolata tramite
feedback basato
sull‟associazione di p38MAPK con la fosfolipasi-δ1 (PLCδ1) [Sasaki et al,
2002].
56
Un altro derivato di membrana responsabile della cascata del segnale è STAT1
(Signal Transducer and Activator of Transcription 1), infatti è uno dei
componenti della via di trasduzione della citochina interferone (IFN) [Lee, Y. J.
et al, 2002].
Anche le chaperonine, in quanto molecole in grado di riparare proteine ripiegate
scorrettamente, aggregate o danneggiate, sembrano essere implicate nel
processo di acquisizione della radioresistenza.
Anche le specie reattive dell‟ossigeno e dell‟azoto (RNS) sembrerebbe abbiano
un ruolo cruciale nel definire qualitativamente e quantitativamente la risposta
adattativa.
Sono ormai ben noti i molteplici meccanismi con cui i ROS, in particolare •O2 ,
H2O2 e •OH, interagisco con il DNA.
L‟anione superossido (•O2–) può danneggiare il DNA interagendo direttamente
con esso, ma la sua azione citotossica è soprattutto correlata alla formazione di
perossido di idrogeno (H2O2) (spontaneamente o tramite reazione enzimatica) e
alla liberazione di Fe3+ (dalla ferritina) e di Fe2+ (dai centri ferro-zolfo), che
posso dar luogo alla reazione di Fenton con la produzione di altre specie
reattive sull‟ossigeno.
Il radicale ossidrile (•OH) invece interagisce spesso con le basi del DNA,
producendo diversi prodotti ossidati. Questo radicale interagisce con la guanina
e l‟adenina in maniera simile, ma preferenzialmente reagisce con la prima,
dando come prodotti di reazione:

8-oxo-dG (8-oxo-7,8-dihydro-20-deoxyguanosine)

FAPy-G (2,6-diamino-5-formamido-4-hydroxy-pyrimidine)
57
Anche le specie reattive dell‟azoto (RNS), come NO, N2O3, ONOO, posso
interagire con il DNA in svariate maniere, causando la deaminazione nitrosativa
delle basi guanina e citosina.
La formazione di N2O3 può portare a un danno diretto o indiretto.
Per quanto riguarda il danno diretto (nitrosazione di un‟ammina primaria,
seguita da deaminazione) avremo questi possibili prodotti di reazione:

Adenina  Ipoxantina

Citosina  Uracile

5-metilcitosina  Timina

Guanina  Xantina
I danni indotti da ROS e RNS posso indurre l‟espressione di specifici geni
coinvolti nell‟acquisizione di proprietà radio-protettive oppure nella promozione
della risposta radio-adattativa. In particolare si assiste all‟attivazione di geni
regolatori con funzione up-regulate e down-regulate nei confronti di altri geni
[Coleman et al, 2005].
I Geni down-regulated sono implicati nella:

Proliferazione cellulare

Induzione del processo apoptotico

Degradazione di proteine ubiquitina-dipendente

Modificazione di proteine

Riparazione di rotture a doppio filamento nel DNA (DSB)
Invece i geni up-regualated sono coinvolti nella:

Riparazione per escissione di base (BER)

Regolazione del ciclo cellulare

Trasduzione del segnale
58
Questi risultati suggeriscono che gran parte dei danni provocati a livello del
DNA, nelle cellule che hanno acquisito la radio-resistenza, potrebbero essere
rappresentati da rotture a singolo filamento (SSB) o da alterazioni della struttura
della basi puriniche e pirimidiniche, piuttosto che rottura a doppio filamento
[Matsumoto et al, 2009].
Questa tesi è inoltre avvalorata dalla intensa attività delle PARPs (PARP-1 e
PARP-2) e BER osservata nelle cellule esposte a basse dosi di radiazione in
risposta alla formazione di ROS e RNS.
Considerata la grande varietà di meccanismi attivati in seguito ad esposizione a
low- o high-LET a basse dosi, è ancora difficile stabile quale sia la natura del
primo fenomeno fisico o biochimico che innesca la cascata di eventi che porta
all‟acquisizione della radioresistenza indotta (IRR).
Inoltre, negli ultimi anni è anche stata evidenziata, come detto nel primo
paragrafo, una forte correlazione tra questo fenomeno e l‟effetto bystander,
mettendo ulteriormente in evidenza la necessità di individuare i numerosi
tasselli
mancanti
che
costituiscono
questo
complicato
meccanismo
responsabile della risposta adattativa.
Da questi risultati ottenuti in circa venti anni di studi compiuti da diversi gruppi di
ricerca, si evince che i processi biochimici e di trasduzione del segnale, che
regolano la risposta cellulare alle basse dosi di radiazione ionizzante, sono a tal
punto complessi e interconnessi tra loro (come mostrato in Fig. 3.2), da non
consentire, almeno per ora, di stabilire con certezza il peso di ogni singolo
evento, rispetto al fenomeno biologico nel suo complesso.
Certo è che una aggiornata visione d'insieme dei diversi meccanismi biologici
coinvolti può essere di aiuto per una migliore definizione dei criteri di scelta e
59
delle modalità di attuazione dei vari tests per lo studio dei diversi end-points
biologici.
60
Capitolo 4
Attività svolta presso il laboratorio PLASMA-X
4.1 Descrizione dell’apparato sperimentale
Presso il laboratorio PLASMA-X del Dipartimento MESVA dell‟Università
dell‟Aquila, al fine di studiare gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti in
condizione di basse dosi, è stato sviluppato un sistema per ottenere un
microfascio di raggi-X molli a 500 eV con l‟uso di una sorgente di raggi-X,
generati da un plasma, ottenuto dalla focalizzazione di un fascio laser su un
bersaglio opportuno. In tale sistema, dal fascio di raggi-X emesso dalla
sorgente, selezioniamo la componente a 500 eV mediante un sistema ottico
basato su specchi sferici riflettenti all‟energia desiderata, così da ottenere un
fascio focalizzato di raggi-X monocromatici con dimensioni della spot di
focalizzazione di alcune decine di micron (Fig. 4.1a e Fig. 4.1b) [Palladino et al,
2013]. Una descrizione sintetica delle caratteristiche della sorgente è riportata
nella didascalia della Fig. 4.1a, e nella Fig. 4.1b è mostrata la finestra di uscita
del microfascio.
61
Figura 4.1a - La sorgente di raggi X consiste di un laser NdYAG/Glass e di una camera di interazione
(vedi foto) nella quale viene inviato il fascio laser (linea verde nella foto). Il meccanismo di produzione
X è basato sulla generazione di un plasma ottenuto dalla focalizzazione di un fascio laser Nd-YAG (5J
per impulso, durata 6 nsec, 0.3 mrad di divergenza, 532 nm di lunghezza d‟onda) su un target di
metallo e non. Nella foto è mostrata la camera di interazione dove i raggi X sono prodotti direttamente
dal plasma nel suo processo di espansione idrodinamico emettendo raggi X molli con energia
compresa tra 50 eV e 1 - 1.5 KeV. Il plasma è ottenuto irraggiando il bersaglio a nastro (nella foto
rame) con una intensità di potenza I ~ 1011 - 1013 (W/cm2) mediante l‟uso di una lente asferica di
lunghezza focale 132 mm (f# 3). L‟intensità della radiazione viene misurata tramite un rivelatore a
stato solido (125PIN100 della Quantrad system) filtrato con micro fogli di alluminio di spessore
calibrato compreso tra 0.8 µm e 7 µm.
-3
Figura 4.1b Finestra di uscita della camera da vuoto (10 mmHg), di fronte alla quale è stato posto un
filtro di vanadio (V) utilizzato per separare la componente visibile della luce laser dal fascio di raggi-X
di nostro interesse (500 eV), la cui intensità sarà misurata con un rivelatore di raggi-X (fotodiodo).
62
Per utilizzare questo tipo di microfascio, e per poter quindi esporre le cellule ai
raggi-X molli, è stato necessario sviluppare portacampioni ad hoc insieme ad
un sistema di movimentazioni che permettano l‟allineamento delle singole
cellule con il microfascio. Nell‟ambito di queste due problematiche, durante il
mio lavoro di tesi sono stato coinvolto nella calibrazione del sistema sopracitato
e nella messa appunto di un porta-campione biologico in grado di sostenere
membrane di mylar dello spessore di 0.5 μm. La scelta di questo spessore tiene
conto del fatto che, in questa regione di energia (500 eV), i materiali sono
fortemente assorbenti e poco riflettenti, quindi, per avere il rilascio di dose
desiderato, è necessario ottimizzare al meglio lo spessore di questi supporti per
la coltura cellulare. In questo contesto è stato anche necessario mettere
appunto tecniche per assemblare il supporto meccanico
e la membrana di
mylar da 0.5 μm, cercando di evitare problemi correlati alle forze elettrostatiche
del polimero e al contempo di garantire una tenuta stagna nella zona di contatto
tra l‟anellino d‟acciaio inossidabile e il mylar stesso (Fig. 4.2). Inoltre è stato
realizzato un altro anellino d‟acciaio inossidabile con una membrana di mylar di
spessore maggiore montata su di esso, che andrà a battuta sul primo, in modo
tale da realizzare un ambiente ottimale per la vitalità (sterilità, idratazione e
ossigenazione) delle cellule durante il breve tempo in cui verranno esposte al
microfascio. Quindi il portacampione biologico è composto da due anellini
d‟acciaio inossidabile su cui sono fissate due membrane di mylar di spessore
differente ed in particolare le cellule da irraggiare saranno adese sulla
membrana di minore spessore (0.5 μm).
63
Fig. 4.2 Gli anellini su cui viene posta una
pellicola di Mylar di 0.5 μm su cui far crescere le
cellule e la ghiera con cui verranno posizionati.
Tutto il sistema precedentemente descritto viene inserito in una ghiera portaanello che, grazie alla filettatura, può essere facilmente inserito all‟interno del
supporto per l‟alloggiamento del campione biologico (Fig. 4.3, come indicato
nell‟immagine dalla freccia bianca).
In Fig. 4.3 è mostrato il sistema complessivo del portacampione ed è
costituito da: un sistema di tiltaggio per l‟allineamento della telecameramicroscopio con il campione biologico e il microfascio. Questa parte è vincolata
a un sistema di movimentazione (con riproducibilità micrometrica) sia manuale
che controllata via remoto da un computer (9 assi motorizzati e 2 manuali).
Tutto il sistema è possibile controllarlo via software, mediante programmi
appositamente realizzati con particolare attenzione alle interfacce grafiche per
un facile uso dell‟apparato. Grazie a questo sistema hardware e software è
possibile controllare e gestire la posizione e l‟allineamento del campione e del
sistema telecamera-microscopio rispetto alla posizione del microfascio di raggiX. Quindi i motori permettono di muovere sia le singole componenti che l‟intero
sistema, così da poter modulare la dose di raggi-X da rilasciare nel campione.
64
Fig. 4.3 Il sistema complessivo del portacampione con le sue componenti
Per le nostre indagini radiobiologiche, sono state selezionate due energie dei
raggi-X: 276 eV (λ = 4.5 nm) e 500 eV (λ = 2.48 nm). In Fig. 4.4 sono
rappresentate le trasmissioni, in funzione dell‟energia e per 1 μm di spessore,
nell‟intervallo tra i 200 eV e 700 eV, delle principali componenti cellulari.
La scelta delle due lunghezze d‟onda è legata all‟interazione dei fotoni con le
strutture biologiche che avviene principalmente mediante l‟assorbimento per
effetto fotoelettrico. I fotoni di lunghezza d‟onda di 4.5 nm (276 eV) hanno una
energia che li colloca nel pre-edge della soglia K del carbonio (C) (Fig. 4.4) ed
è fortemente assorbita dall‟ossigeno (O), mentre la lunghezza d‟onda a 2.48 nm
(500 eV) si trova nel pre-edge della soglia K dell‟ossigeno ed è fortemente
assorbita dal carbonio (Fig. 4.4). Questo differente comportamento della
radiazione ci permette di studiare l‟effetto biologico quando sono implicati,
nell‟assorbimento della radiazione, gli atomi di carbonio (costituente principale
delle strutture biologiche) o gli atomi di ossigeno (principalmente presente
nell‟acqua di background).
65
Figura 4.4 Trasparenza alla radiazione-X per differenti componenti biologiche dello spessore di 1
µm. Sono indicate le posizioni dell‟energia delle due radiazioni a 276 eV e a 500 eV.
L‟impiego di queste due energie consentiranno di indagare riguardo al
contributo apportato all‟effetto biologico complessivo dai danni indotti nelle
strutture ricche di carbonio (lipidi, proteine, etc) o in quelle con alta percentuale
di ossigeno (citoplasma e volume d‟acqua all‟interno dei diversi organelli).
Infine, la bassa energia di fotoni (276 eV, 500 eV) è una proprietà importante
della radiazione impiegata, che si affianca alla condizione di bassa dose, in
quanto possiamo studiare i “principi primi” nell‟azione che intercorre tra il
meccanismo fisico di assorbimento della radiazione e l‟effetto biologico (la
successione temporale degli eventi illustrati in Tab. 1.2).
66
4.2 Scopo e uso dell’apparato sperimentale
La regione delle basse dosi è stata e sarà ancora per diversi anni, una delle
tematiche di maggiore interesse per i fisici, biologici e medici radiobiologi.
A questo proposito, il sistema creato per generare raggi-X molli, consente di
studiare gli effetti biologici indotti, in seguito ad irraggiamento di un campione
biologico, in condizione di basse dosi.
Negli ultimi mesi, ci siamo concentrati sulla calibrazione della strumentazione e
sul miglioramento della spot focale del microbeam, al fine di ottenere una
situazione in cui solo una piccola frazione di cellule della coltura venga
interessata dal microbeam di raggi-X molli. Questa ottimizzazione rappresenta
uno degli step più importanti per la definizione qualitativa e quantitativa dei
danni indotti dall‟effetto bystander nelle cellule non-hit con l‟ausilio di tests la cui
affidabilità è universalmente riconosciuta nell'ambito della radiobiologia e della
mutagenesi.
67
4.3 Tests preliminari per lo studio degli end-points biologici
Uno dei primi tests è stato di verificare se le cellule V79, scelte come standard
nella radiobiologia, sono compatibili con i materiali usati nella realizzazione dei
nostri portacampione appositamente progettati (in particolare la nostra
attenzione è stata rivolta alle colle). Dai test effettuati, come si nota in Fig. 4.5,
si può affermare che lo stato delle cellule è complessivamente buono.
Figura 4.5 Campione di cellule V79, messe in coltura sul supporto di mylar di 0,5 μm di spessore,
osservate al microscopio a fluorescenza. I nuclei sono stati evidenziati tramite l‟utilizzo di Hoechst
33342 (blu), mentre per il citoplasma è stata usata della falloidina marcata (verde) (barra = 10 μm).
In ambito biologico esiste una grande varietà di tests utili per l‟analisi dei diversi
end-points biologici. I più utilizzati in radiobiologia sono quelli che consentono di
valutare i danni al DNA e la vitalità cellulare.
68
Per il momento i tests preliminari da noi condotti ci consentono di valutare lo
stato delle cellule prima e dopo irraggiamento e sono:

Colorazioni vitali (Live/dead test e Trypan blue)

Annessina

Hoechst 33342
Ovviamente questi tests sono prodomi ad altri tests più complessi e puntuali
nell‟analisi degli effetti biologici previsti per i prossimi mesi. In particolare
saranno presi in considerazione:

Test della cometa

Test dei micronuclei (MN)

Efficienza di piastramento
Le primi due tecniche consentono di individuare e quantificare l‟entità dei danni
indotti al DNA nelle cellule irraggiate con i raggi-X molli e le cellule non
interessate dal microfascio, usando come end-point la frammentazione della
struttura del nucleo e del DNA stesso. Invece per quanto riguarda la terza, è
molto utilizzata nel campo radiobiologico, perché consente di stimare il numero
di cellule sopravvissute in seguito all‟esposizione a radiazioni ionizzanti e di
valutare in che misura quest‟ultime siano in grado di determinare morte
riproduttiva.
69
Conclusioni
I numerosi studi condotti riguardo gli effetti biologici radio-indotti nella regione
delle basse dosi, hanno permesso di comprendere, almeno in parte, i
meccanismi cellulari alla base dei fenomeni che compongono nel loro insieme
la risposta adattativa. Le problematiche affrontate in questa tesi dimostrano
come le vie di trasduzione del segnale, implicate nella risposta al danno,
possano essere tra loro strettamente correlate e influenzabili da molti fattori
(GJICs, ROS, RNS, etc). Inoltre, gli stessi ricercatori hanno ottenuto risultati
che, in certi frangenti, risultano essere discordanti tra loro, facendo sorgere
ulteriori perplessità riguardo il ruolo nel determinare l‟effetto bystander dei
singoli fattori presi in esame e un possibile esempio di quanto detto è il rapporto
esistente tra le specie reattive (ROS e RNS) e le giunzioni gap (GJICs). Infatti,
ancora oggi, non è chiaro se le molecole implicate nell‟effetto bystander, in
grado di passare attraverso le GJICs, siano solo molecole come i ROS e i RNS,
oppure se quest‟ultime si comportino da regolatori dell‟attività di queste
giunzioni intercellulari.
Un'altra questione di grande interesse riguarda i pathways usati dalle cellule
irraggiate per generare segnali bystander e quelli attivati in risposta a
quest‟ultimi. A questo proposito, i risultati ottenuti dagli studi, effettuati usando
cellule aventi mitocondri privati del proprio DNA (cellule ρ0), hanno evidenziato
che le vie trasduzionali implicate nella produzione del segnale e nella risposta a
quest‟ultimo possono anche essere distinte tra loro e quindi l‟inibizione di una
potrebbe non compromette il corretto funzionamento dell‟altra.
Alla luce di tali considerazioni è evidente il motivo per cui, ancora oggi, non è
stato possibile dare una risposta chiara a molti dei quesiti riguardo i meccanismi
70
alla base del bystander effect e della radioresistenza indotta (IRR). Però,
considerando che la loro complessità è dovuta ai numerosi processi cellulari in
cui risultano essere implicati, gli studi sull‟argomento consentiranno non solo di
chiarire i meccanismi alla base di questa fenomenologia, ma anche di
approfondire le conoscenze riguardo questi pathways, a volte già in parte noti,
analizzandoli da un diverso punto di vista.
La ricerca sugli effetti biologici indotti dai raggi-X molli, a cui ho partecipato nei
ultimi otto mesi presso il Laboratorio PLASMA-X, prevede una serie steps mirati
a migliorare il protocollo di irraggiamento e di studio dei campioni biologici
irradiati:

Realizzazione di un sistema di flussaggio controllato dell‟elio sul
campione biologico, al fine di ridurre l‟assorbimento dei fotoni da parte
dell‟aria

Integrazione di un sistema hardware e software per l‟acquisizione
automatica delle coordinate della cellula bersaglio

Caratterizzazione del fascio di raggi-X all‟energia di 276 eV

Utilizzo di test standard in ambito radiobiologico (test dei micronuclei,
test della cometa, efficienza di piastramento cellulare, etc) così da poter
confrontare, in un secondo momento, i risultati da noi ottenuti con quelli
presentati dalla comunità scientifica che si interessa dell‟argomento in
questione
Uno degli aspetti più interessanti del progetto, che al contempo rappresenta
una delle maggiori sfide dal punto di vista sperimentale, deriva dal fatto che
la letteratura scientifica internazionale riguardo gli effetti biologici indotti dai
raggi-X molli, è scarsa quindi, sarà necessario valutare in maniera
71
minuziosa e trasversale ogni possibile implicazione fisica, biologica e
medica che vedrà coinvolti diversi tipi cellulari e i loro comparti subcellulari
quali membrana plasmatica, citoplasma ed altro.
72
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81
Ringraziamenti
Ringrazio per lo svolgimento e per il supporto avuto nel lavoro di tesi:
- Prof. Libero Palladino che, oltre essere stato il relatore della mia tesi ed
avermi seguito durante tutti questi mesi in laboratorio, mi ha
accompagnato in un percorso di crescita non solo professionale, ma
anche personale, cercando di trasmettermi ciò che contraddistingue un
ricercatore, cioè la curiosità, il piacere della scoperta, l‟impegno e il
sacrificio.
- Ing. Maurizio Di Paolo Emilio per avermi pazientemente spiegato il
funzionamento delle componenti dell‟apparato sperimentale e per avermi
dato opportuni consigli sia dal punto di vista tecnico che personale.
- Dott.ssa Tania Limongi per avermi supportato, con pazienza e
professionalità, nella revisione del presente lavoro.
- Prof.ssa Mara Massimi per il contributo dato nella preparazione e
nell‟analisi dei campioni biologici e per la disponibilità dimostrata
nell‟illustrarmi i protocolli usati durante queste procedure.
- Sig. Francesco Del Grande responsabile tecnico dell‟officina meccanica
dell‟Università degli Studi dell‟Aquila per la realizzazione di importanti
componenti dell‟apparato sperimentale.
- Il responsabile Ercolino Tatananni e i suoi collaboratori dell‟officina
meccanica dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell‟ INFN per la
realizzazione del sistema portacampione biologico, composto da:
telecamera, sistema di tiltaggio, microscopio appositamente costruito,
l‟alloggiamento del campione biologico e sistema di movimentazione.
82
- Dott. Lorenzo Arrizza per i preziosi consigli riguardo l‟utilizzo della
strumentazione utilizzata per l‟osservazione dei campioni biologici.
- Prof.ssa Maria Grazia Cifone, direttrice del dipartimento MESVA
dell‟Università degli Studi dell‟Aquila.
- Prof. Stefano Ragazzi, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso
dell‟INFN.
83