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Nome scientifico Vertigo (Vertilla) angustior Jeffreys, 1830
Sinonimi: Vertigo venetzii Charpentier in Férussac, 1821
Nome comune
Nessuno
Livello di protezione
La specie è considerata “Lower Risk”
(LR) da Bailie & Groombridge (1996) e
“Vulnerable” da Wells & Chatfield
(1992); è inserita nell’Allegato II della
Direttiva
Habitat
(Direttiva
92/43/CEE). In Italia risulta “Not
Threatened” (Manganelli et al., 1995,
2000).
Identificazione
Vertigo angustior è una specie di dimensioni ridotte (1,8 mm di altezza
per 0,9 mm di larghezza); la conchiglia
è sinistrorsa, costituita da 5 giri moderatamente convessi, l’ultimo dei
quali compresso lateralmente e ristretto alla base, dando alla conchiglia un
aspetto fusiforme. L’armatura aperturale è costituita da 5-6 denti. La conchiglia è di
colore giallastro bruno pallido con numerose strie d’accrescimento strette e regolari (Kerney et al., 1999); V. pusilla, l’unica altra specie sinistrorsa presente in Italia,
ma assente in Liguria, si distingue da V. angustior per le caratteristiche dell’armatura aperturale.
Distribuzione
La specie è diffusa in gran parte dell’Europa, dal Portogallo al Mar Caspio e nell’Iran
settentrionale (Zilch & Jaeckel, 1962; Pokryszko, 1990). Si trova in gran parte dell’Italia, ad eccezione delle regioni nordoccidentali, delle isole e di qualche regione centromeridionale (Alzona, 1971; Manganelli et al., 1995). In Liguria è conosciuta esclusivamente per due stazioni in provincia di La Spezia (posature del fiume Magra nei comuni di Ameglia e Sarzana) (dati inediti M. Bodon).
Notizie utili per la conservazione della specie
V. angustior vive nella lettiera e sui detriti vegetali in ambienti umidi permanenti come prati umidi, sorgenti, sponde dei corsi d’acqua e boschi umidi, di preferenza su
substrati calcarei. I dati sul comportamento riproduttivo sono scarsi: la specie è ermafrodita (gli accoppiamenti sono reciproci), ma esistono individui afallici che potrebbero comportarsi da femmine oppure riprodursi per autofecondazione o per partenogenesi; sono invece del tutto sconosciuti lo sviluppo, le abitudini alimentari e le
eventuali interazioni con altre specie (Manganelli et al., 2000).
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Possibili minacce e
fattori di rischio
La specie, sebbene
estremamente rara in
Liguria, è ancora frequente e localmente
abbondante in numerose località italiane, risultando globalmente
non minacciata. È comunque possibile che
la distruzione dei suoi
ambienti elettivi causata da attività antropiche come gli interventi di canalizzazione dei corsi d’acqua, l’eccessiva captazione idrica a scopo agricolo e il prosciugamento delle aree umide, possa ripercuotersi negativamente sulle popolazioni di V. angustior.
Interventi gestionali
Le due stazioni di raccolta di V. angustior in Liguria (entrambe costituite da ritrovamenti di nicchi vuoti in posature che quindi non possono fornire informazioni precise sulla reale localizzazione delle popolazioni viventi) ricadono all’interno del SIC
“Parco del Magra - Vara” (IT1343502) (Mariotti et al., 2002), il che sulla carta potrebbe garantire un buon grado di tutela per la specie, anche se finora, a causa dei frequenti interventi in alveo, non è stato così; considerando che la specie è attualmente ancora molto diffusa in Italia non risulta necessario proporre o adottare specifiche misure gestionali di conservazione, pur precisando che qualunque intervento finalizzato alla conservazione e alla valorizzazione delle aree umide presenti nel sito non
può che giovare al mantenimento delle popolazioni presenti.
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
In mancanza di dati precisi sulla consistenza e sulla reale distribuzione delle popolazioni locali di V. angustior, è impossibile proporre interventi specifici; risulta pertanto indispensabile raccogliere ulteriori informazioni.
Metodi di monitoraggio
Non esistono metodologie specifiche di monitoraggio; considerate le piccole dimensioni la raccolta a vista di esemplari vivi di questa specie risulta infatti difficoltosa. Più
agevole ed efficace può rivelarsi la raccolta e la successiva vagliatura della lettiera o
delle posature dei corsi d’acqua; in quest’ultimo caso è possibile rinvenire anche un
numero consistente di conchiglie vuote, che forniscono informazioni utili sulla consistenza delle popolazioni, ma non sulla loro provenienza precisa. Questo tipo di raccolta può essere effettuato anche da personale non specializzato, seppur opportunamente istruito, mentre il riconoscimento e la determinazione specifica degli esemplari deve essere necessariamente affidata ad uno specialista.
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Bibliografia
ALZONA C., 1971. Malacofauna Italica. Catalogo e bibliografia dei molluschi viventi, terrestri e d’acqua dolce. - Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, 111: 1-433.
BAILIE J. & GROOMBRIDGE B. [a cura di], 1996. 1996 IUCN Red List of threatened animals. - World Conservation Monitoring Centre, IUCN Species Survival Commission
and BirdLife International, Gland, 368 pp.
KERNEY M. P., CAMERON R.A.D. & BERTRAND A., 1999. Guide des Escargots et Limaces
d’Europe. - Les guides du naturaliste, Delachaux et Niestlé S. A., Lausanne (Suisse), Paris, 370 pp.
MANGANELLI G., BODON M., FAVILLI L. & GIUSTI F., 1995. Gastropoda Pulmonata. - In:
Minelli A., Ruffo S. & La Posta S. [a cura di], Checklist delle specie della fauna d’Italia, 16, 60 pp.
MANGANELLI G., BODON M., CIANFANELLI L., FAVILLI L. & GIUSTI F., 2000. Conoscenza e conservazione dei molluschi non marini italiani: lo stato delle ricerche. - Bollettino Malacologico, Roma, 36 (1-4): 5-42.
MARIOTTI M., ARILLO A., PARISI V., NICOSIA E. & DIVIACCO G., 2002. Biodiversità in Liguria. La rete Natura 2000. - Regione Liguria, Assessorato Ambiente e Territorio, 299
pp., 1 CD.
POKRYSZKO B. M., 1990. The Vertiginidae of Poland (Gastropoda: Pulmonata: Pupilloidea) - a systematic monograph. - Annales Zoologici (Warsaw), 43: 133-257.
WELLS S. M. & CHATFIELD J. E. 1992. Threatened non-marine molluscs of Europe. - Nature and environment, 64: 163 pp.
ZILCH A. & JAECKEL S. G. A., 1962 Die Weichtiere (Mollusca) Mitteleuropas. - In: Brohmer P., Ehrmann P. & Ulmer G. [a cura di], Die Tierwelt Mitteleuropas, 2 (1), 294 pp.
Autore Stefano Birindelli
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Nome scientifico Helix (s. str.) pomatia Linnaeus, 1758
Sinonimi: nessuno
Nome comune
Chiocciola comune, Vignaiola
Livello di protezione
La specie è considerata “Not Evaluated” (NE) da Bailie & Groombridge
(1996) e “Of special Concern” da
Wells & Chatfield (1992); è inserita
nell’Allegato III della Convenzione di
Berna (1979) e nell’Allegato V della
Direttiva
Habitat
(Direttiva
92/43/CEE). In Italia risulta “Not
Threatened” (Manganelli et al., 1995,
2000); in Liguria è espressamente tutelata dalla L.R. 4/92 (art. 4).
Identificazione
Helix pomatia è una delle specie più grandi dell’Europa occidentale (30-50 mm di altezza per 32-50 mm di larghezza); la conchiglia è globosa, costituita da 5-6 giri fortemente convessi e da un piccolo ombelico parzialmente ricoperto dal peristoma; la
conchiglia è di colore bianco crema o bruno con strie d’accrescimento marcate e
strie spirali fini, e presenta spesso indistinte bande spirali scure (Kerney et al., 1999).
La specie può essere confusa per forma e dimensioni con la congenerica H. lucorum,
distinguibile per il corpo dell’animale più scuro e la conchiglia meno globosa, di colore meno uniforme e con apertura più allungata.
Distribuzione
La specie è diffusa in Europa centro-meridionale, comprendendo le Isole Britanniche,
l’estremo meridionale della Scandinavia e la Russia occidentale (Cesari, 1978; Wells &
Cathfiel, 1992; Kerney et al., 1999). In Italia è distribuita nelle regioni settentrionali (Alzona, 1971; Cesari, 1978; Manganelli et al., 1995). In Liguria è nota per numerose località nelle province di Imperia, Savona e Genova (Boato et al., 1985; Cossignani & Cossignani, 1995; Gentile & Sulliotti, s.d.; dati inediti M. Bodon).
Notizie utili per la conservazione della specie
H. pomatia è una specie calcifila che abita generalmente aree aperte o con una parziale copertura arborea come radure, margini boschivi, terreni incolti e margini di
campi coltivati; in Ligura è stata rinvenuta a quote comprese fra 250 e 1600 m s.l.m.
Durante il periodo invernale si interra o si nasconde sotto ripari chiudendo l’apertura con un epifragma carbonatico. La specie è ermafrodita: gli accoppiamenti sono reciproci, iniziano in tarda primavera e possono protrarsi fino all’autunno. Le uova ven40
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gono deposte, in ammassi di 10-90 unità,
prevalentemente nel
periodo tardo primaverile-estivo, ma la deposizione può protrarsi anche in autunno. La
schiusa avviene dopo
3-4 settimane dalla deposizione e i giovani
raggiungono la maturità sessuale in 2-5 anni
(Manganelli et al.,
2000). La specie è prevalentemente erbivora e si nutre di una grande varietà di vegetali, ma è noto il “cannibalismo” delle uova (Baur, 1990). La specie, sia allo stadio
giovanile che adulto, può essere predata da diverse specie di insettivori, roditori e insetti (carabidi, stafilinidi e lampiridi) (Pollard, 1975).
Possibili minacce e fattori di rischio
Il principale fattore di rischio per H. pomatia sembra essere l’eccessivo prelievo a scopo alimentare; secondariamente possono rappresentare possibili minacce per la sopravvivenza della specie e per il mantenimento dell’integrità genetica delle singole popolazioni la distruzione degli habitat con la messa a coltura di terreni incolti e l’introduzione di esemplari da altri paesi europei a scopo di allevamento (Manganelli et
al., 2000).
Interventi gestionali
La specie è attualmente abbastanza frequente in Liguria nelle località più fresche del
piano montano e non sembra aver subito un declino significativo; risulta comunque
necessario controllarne il prelievo in natura, peraltro già regolamentato a livello regionale (L.R. 4/92).
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Al fine di introdurre efficaci norme di protezione delle popolazioni locali è necessario intraprendere dettagliati studi ecologici e distributivi sulla specie.
Metodi di monitoraggio
Non esistono metodologie specifiche di monitoraggio; la specie, eccetto alcuni casi
di possibile confusione con H. lucorum, ha caratteristiche morfologiche tali da consentire nella maggior parte delle situazioni un agevole riconoscimento anche da parte di personale non specializzato; il conteggio degli esemplari e la stima della consistenza della popolazione è possibile attraverso la cattura e la marcatura degli individui e la loro successiva ricattura.
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Bibliografia
ALZONA C., 1971. Malacofauna Italica. Catalogo e bibliografia dei molluschi viventi, terrestri e d’acqua dolce. - Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, 111: 1-433.
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and BirdLife International, Gland, 368 pp.
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103-105.
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CESARI P., 1978. La malacofauna del territorio italiano. Note di aggiornamento e diffusione conoscitiva. 1° contributo: il genere Helix (Pulmonata, Stylommatophora). Conchiglie, 14: 35-90.
COSSIGNANI T. & COSSIGNANI V., 1995. Atlante delle conchiglie terrestri e dulciacquicole italiane. - L’Informatore Piceno, Ancona, 208 pp.
GENTILE G. & SULLIOTTI G. R., s.d. - Primo Elenco dei Molluschi terrestri e fluviatili viventi nel circondario di Porto Maurizio (Liguria Occidentale). - Porto Maurizio, 4 pp.
KERNEY M. P., CAMERON R.A.D. & BERTRAND A., 1999. Guide des Escargots et Limaces
d’Europe. - Les guides du naturaliste, Delachaux et Niestlé S. A., Lausanne (Suisse), Paris, 370 pp.
MANGANELLI G., BODON M., FAVILLI L. & GIUSTI F., 1995. Gastropoda Pulmonata. - In:
Minelli A., Ruffo S. & La Posta S. [a cura di], Checklist delle specie della fauna d’Italia, 16, 60 pp.
MANGANELLI G., BODON M., CIANFANELLI L., FAVILLI L. & GIUSTI F., 2000. Conoscenza e conservazione dei molluschi non marini italiani: lo stato delle ricerche. - Bollettino Malacologico, Roma, 36 (1-4): 5-42.
POLLARD E., 1975. Aspects of the ecology of Helix pomatia L. - Journal of Animal Ecology, 44: 305-329.
WELLS S. M. & CHATFIELD J. E. 1992. Threatened non-marine molluscs of Europe. - Nature and environment, 64: 163 pp.
ZILCH A. & JAECKEL S. G. A., 1962 Die Weichtiere (Mollusca) Mitteleuropas. - In: Brohmer P., Ehrmann P. & Ulmer G. [a cura di], Die Tierwelt Mitteleuropas, 2 (1), 294 pp.
Autore Stefano Birindelli
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Nome scientifico Unio mancus Lamark, 1819
Sinonimi: Unio elongatulus Pfeiffer, 1825
Nome comune
Nessuno
Livello di protezione
La specie è considerata “Not
Evaluated” (NE) da Bailie &
Groombridge (1996: riportata
come Unio elongatulus), e
“Vulnerable” da Wells & Chatfield (1992: riportata come
Unio elongatulus); è inserita
nell’Allegato III della Convenzione di Berna (1979: riportata
come Unio elongatulus) e nell’Allegato V della Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE: riportata come Unio elongatulus). In Italia risulta “Data Deficient” (Bedulli et al., 1995; Manganelli et al., 2000).
Identificazione
Storicamente le Unio italiane venivano suddivise in numerose specie e sottospecie, oppure considerate un’unica specie (U. elongatulus Pfeiffer, 1825) comprendente più entità (Alzona, 1971). Studi genetici recenti su alcune popolazioni italiane hanno dimostrato che la maggior parte delle forme italiane sia riconducibile ad U. mancus, specie originariamente descritta per la Francia (Badino et al., 1986; Nagel, 1995; Nagel et al., 1998).
U. mancus ha una grande conchiglia di forma variabile, generalmente ovale e allungata, spessa e piuttosto pesante; la superficie esterna presenta strie di accrescimento
concentriche, mentre quella interna è madreperlacea. Il cardine presenta apofisi cardinali abbastanza robuste. La specie può raggiungere i 114 mm di lunghezza e i 53 mm
di altezza (Castagnolo, 1980).
Distribuzione
La specie è diffusa in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo. È presente nelle acque
dolci di tutta la Penisola Italiana, comprese la Sicilia e la Sardegna, tranne il bacino del
fiume Isonzo, nel quale risulterebbe presente U. pictorum (Alzona, 1971; Manganelli et
al., 2000). In Liguria è conosciuta per alcune stazioni in provincia di La Spezia (tutte
lungo il corso del fiume Magra) e per un paio di siti in provincia di Savona (Lago di
Osiglia, dove è stata verosimilmente introdotta, e fiume Bormida di Spigno) (Tapparone-Canefri, 1869; Santamaria, 2000; Bodon & Cianfanelli, 2002; Bodon et al., 2004).
Notizie utili per la conservazione della specie
U. mancus vive infossata nei sedimenti sabbiosi o fangosi dei corsi d’acqua a debole
corrente, dei canali e dei laghi, nutrendosi di particelle in sospensione nell’acqua che fil43
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tra attraverso le branchie; soltanto la parte
posteriore della conchiglia, che ospita i sifoni
inalante ed esalante, resta scoperta all’esterno.
È una specie che tollera
bene variazioni anche
ampie dei parametri
ambientali (Nardi, 1972,
1978). I sessi sono separati (senza uno statisticamente significativo
dimorfismo sessuale) e la fecondazione è esterna: le femmine possiedono sulle branchie
apposite “tasche incubatrici” in cui le uova fecondate si sviluppano dando origine alle
larve glochidium, che vengono espulse all’esterno; i glochidi trascorrono dalle 3 alle 6
settimane come parassiti sulle branchie o sulle pinne di pesci (soprattutto ciprinidi), che
sono quindi indispensabili per il completamento del ciclo biologico della specie (Nagel
& Castagnolo, 1991); dopo questo periodo le larve, ormai divenute giovani, si lasciano
cadere sul fondo (Nagel & Bonardo, 1991; Nagel & Castagnolo, 1991). La maturità sessuale viene raggiunta non oltre il terzo anno di età (Nardi & Barbieri, 1977).
Possibili minacce e fattori di rischio
Uno dei principali fattori di rischio per questa specie è senza dubbio rappresentato
dagli interventi antropici di alterazione degli ambienti acquatici marginali (lanche) come l’escavazione in alveo e l’eccessiva captazione idrica a scopo irriguo, oltre che da
fenomeni naturali come piene o alluvioni che possono stravolgerne l’ambiente di vita. La specie, essendo un organismo filtratore, tende inoltre ad accumulare nei propri
tessuti sostanze tossiche e può quindi risentire dell’inquinamento chimico delle acque, che può influire anche indirettamente sul ciclo biologico di U. mancus, provocando la diminuzione dei pesci che consentono lo sviluppo dei glochidi (Nagel &
Bonardo, 1991). Nei periodi di magra dei corsi d’acqua gli esemplari rimasti all’asciutto possono essere predati dai ratti (Rattus spp.) (Gandolfi & Parisi, 1972). Un altro
fattore di minaccia è il frequente ripopolamento ittico dei fiumi con pesci provenienti da altri bacini italiani ed europei e potenzialmente portatori di glochidi che possono compromettere l’integrità genetica delle singole popolazioni (Badino et al., 1986).
Interventi gestionali
La maggior parte delle stazioni di ritrovamento di U. mancus in Liguria ricadono all’interno del SIC “Parco del Magra - Vara” (IT1343502) (Mariotti et al., 2002), il che
sulla carta potrebbe garantire un buon grado di tutela per la specie, anche se finora,
a causa dei frequenti interventi in alveo, non è stato così; in generale qualunque intervento finalizzato alla conservazione e al mantenimento delle condizioni di naturalità
dell’alveo e delle sponde del tratto inferiore del fiume Magra dove è presente il maggior numero di popolazioni di questa specie, non può che produrre effetti positivi.
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Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Gli interventi più efficaci per migliorare le condizioni delle popolazioni locali di U.
mancus sono tutti quelli mirati ad impedire o limitare significative alterazioni dell’habitat acquatico, consistenti nell’escavazione in alveo, nell’immissione di inquinanti nei
corsi d’acqua, nei massicci ripopolamenti di fauna ittica alloctona e nell’eccessivo prelievo idrico a scopi irrigui. Anche l’attuazione di interventi finalizzati al contenimento della popolazione di ratti potrebbero avere un effetto positivo sull’incremento delle popolazioni di questa specie.
Metodi di monitoraggio
Non esistono metodologie specifiche di monitoraggio; la specie ha caratteristiche
morfologiche e dimensioni tali da consentire un agevole riconoscimento anche da
parte di personale non specializzato; questa considerazione, unitamente al fatto che
la specie è spesso presente su bassi fondali e non si infossa del tutto nel sedimento,
rende possibile conteggiare anche periodicamente gli individui ed effettuare una stima delle dimensioni e dell’andamento della popolazione.
Bibliografia
ALZONA C., 1971. Malacofauna Italica. Catalogo e bibliografia dei molluschi viventi, terrestri e d’acqua dolce. - Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, 111: 1-433.
BADINO G., SELLA G. & CELEBRANO G., 1986. Sistemi gene-enzima nello studio della
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22: 241-258.
BAILIE J. & GROOMBRIDGE B. [a cura di], 1996. 1996 IUCN Red List of threatened animals. - World Conservation Monitoring Centre, IUCN Species Survival Commission
and BirdLife International, Gland, 368 pp.
BEDULLI D., CASTAGNOLO L., GHISOTTI F. & SPADA G., 1995. Bivalvia, Scaphopoda - In: Minelli A., Ruffo S. & La Posta S. (eds.), Checklist delle specie della fauna italiana, 17, 21 pp.
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distribuzione della fauna italiana, Gastropoda Bivalvia d’acqua dolce. - in stampa.
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GANDOLFI G. & PARISI V., 1972. Predazione su Unio pictorum L. da parte del ratto,
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MANGANELLI G., BODON M., CIANFANELLI L., FAVILLI L. & GIUSTI F., 2000. Conoscenza e conservazione dei molluschi non marini italiani: lo stato delle ricerche. - Bollettino Malacologico, Roma, 36 (1-4): 5-42.
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pp., 1 CD.
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NAGEL K. O., BADINO G. & CELEBRANO G., 1998. Systematics of European naiades (Bivalvia: Margaritiferidae and Unionidae): a review and some new aspects. - Malacological Review, suppl. vol. 7: 83-104.
NAGEL K. O. & BONARDO L., 1991. Cozze... ma di fiume. - Piemonte Parchi, 9(44): 28-29.
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- Rivista di Idrobiologia, 30: 339-346.
NARDI P. A., 1972. Ricerche su un ecosistema ad Unio del preappennino pavese, II.
Aspetti ecologici. - Bollettino di Pesca Piscicoltura e Idrobiologia (Nuova Serie), 27:
317-359.
NARDI P. A., 1978. Dati sperimentali sulla produttività di Unio (Lamellibranchiata). - Bollettino Museo Veneto, 29, suppl.: 201-222.
NARDI A. & BARBIERI F., 1977. Osservazioni sul presunto dimorfismo sessuale dei nicchi di Unio. - Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, 118: 315-319.
SANTAMARIA, 2000. La collezione di “conchiglie terrestri e d’acqua dolce” di Arturo Issel
nel Museo di Storia Naturale di Pavia. - Tesi di Laurea Università degli Studi di Pavia.
TAPPARONE-CANEFRI C., 1869. Indice sistematico dei molluschi testacei dei dintorni di
Spezia e del suo golfo. - Atti Soc. It. Sc. Nat., 12: 261-406.
WELLS S. M. & CHATFIELD J. E. 1992. Threatened non-marine molluscs of Europe. - Nature and environment, 64: 163 pp.
Autore Stefano Birindelli
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Crostacei
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Nome scientifico Austropotamobius pallipes (Lereboullet, 1858)
Sinonimi: Astacus pallipes (Lereboullet, 1858);
Atlantoastacus pallipes (Lereboullet, 1858);
Austropotamobius pallipes fulcisianus;
Austropotamobius italicus italicus
Nome comune
Gambero di fiume, gambero di rio
Livello di protezione
La specie è inserita negli
allegati II e V della Direttiva comunitaria 92/43
“Habitat” ed è particolarmente protetta dalla L.R.
4/92.
Identificazione
Crostaceo acquatico di
medie dimensioni (lunghezza totale 15 cm) con
aspetto di “gambero”. Il
dorso è bruno-verdastro,
mentre il ventre ha un
colore più chiaro di solito bianco o giallo, una
sola spina post-orbitale e chele tozze poco spinose. L’identificazione da parte di
personale non esperto non è agevole e il gambero di fiume autoctono può essere confuso con altri gamberi introdotti nelle acque interne italiane: Astacus leptodactylus (chele molto allungate, due spine post-orbitali, grossa spina sul segmento
che precede la chela), Orconectes limosus (grossa spina sul segmento che precede
la chela, punta delle chele bicolore giallo-nera) e Procambarus clarkii (colore rosso scuro o bluastro, chele molto spinose, grossa spina sul segmento che precede
la chela).
Distribuzione
Austropotamobius pallipes è presente in gran parte d’Europa (Irlanda, Gran Bretagna, penisola Iberica, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Slovenia, Croazia e Italia). In
Italia sarebbero presenti due specie diverse di gambero di fiume (considerate sottospecie fino a pochi anni fa): Austropotamobius (pallipes) pallipes e Austropotamobius (pallipes) italicus (secondo alcuni questa ultima specie dovrebbe essere citata come Austropotamobius (pallipes) fulcisianus).
Austropotamobius (pallipes) pallipes è presente nella Liguria e nel Piemonte occidentale, mentre Austropotamobius (pallipes) italicus è una forma che occupa il resto della penisola. In alcuni bacini della pianura padana e dell’Appennino settentrionale (al
confine tra Piemonte e Liguria) entrambe le specie sono presenti.
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In Liguria le popolazioni di gamberi di fiume
sono ancora relativamente abbondanti in
provincia di Imperia,
Savona e Genova, mentre in provincia di La
Spezia diventano estremamente localizzate a
causa di una probabile
competizione con i
Granchi di fiume Potamon fluviatile.
Notizie utili per la conservazione della specie
Il gambero di fiume si riproduce prevalentemente in torrenti di medie e piccole dimensioni con flusso permanente. In alcuni casi sopravvive anche in corsi d’acqua temporanea ed è stato introdotto in invasi artificiali o naturali (es. Lago delle Lame, S. Stefano d’Aveto). Predilige acque con buona qualità biologica (classe IBE I) ma alcune popolazioni sono state campionate in corsi d’acqua leggermente alterati (classe IBE II).
Possibili minacce e fattori di rischio
Le principali minacce sono: inquinamento, alterazione meccanica dell’alveo e delle
sponde, bracconaggio, immissione di gamberi alloctoni (competitori e portatori sani
di varie malattie epidemiche), immissione di pesci e venti naturali catastrofici (alluvioni e prolungati periodi di siccità).
Interventi gestionali
Mancano dati recenti sull’attuale presenza nei siti storici (e in particolare nei pSIC).
Studi preliminari mostrano che alcune popolazioni liguri sono recentemente scomparse (es. in Val Bormida e in Val d’Aveto) e che la distribuzione a livello di singoli
bacini è in continuo cambiamento. Prima di qualunque intervento gestionale un censimento dei siti di presenza attuale è fondamentale. Nei pSIC con presenza accertata,
la periodica valutazione della qualità biologica delle acque è consigliata. In tutti i casi, l’introduzione di gamberi alloctoni deve essere impedita.
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Dopo aver accertato la presenza/assenza delle popolazioni astacicole, sono possibili
vari interventi a seconda delle problematiche dei singoli bacini. Dopo aver rimosso le
eventuali cause di estinzione locale interventi di ripopolamento a partire dalle popolazioni limitrofe più abbondanti possono essere effettuati e vanno ripetuti in più anni successivi. Recentemente interventi del genere sono stati condotti con apparente
successo in Piemonte. Nei corsi d’acqua del versante padano, prima di effettuare ripopolamenti o reintroduzioni sono necessarie analisi genetiche al fine di verificare
l’effettivo genotipo da utilizzare.
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Metodi di monitoraggio
Il principale periodo di attività va da aprile a novembre. Il periodo più indicato per i
monitoraggi è quello estivo (giugno-settembre) quando le femmine non hanno ancora le uova ed è possibile catturare anche i neonati (valutando l’effettivo reclutamento annuale).
I monitoraggi possono essere condotti di giorno con ricerche dirette (verifica presenza), con nasse (stime di abbondanza degli adulti) o con particolari campionatori a
superficie nota (stime di abbondanza dei piccoli) a seconda della finalità. In tutti i casi, gli operatori (agenti provinciali, CFS, GEV) dovranno avere ricevuto una formazione specifica ed essere autorizzati dalla provincia competente.
Bibliografia
GHERADI F., HOLDICH D.M. (1999). Crayfish in Europe as alien species. How to make
the best of a bad situation? Balkema, Rotterdam, 299 pp.
DELMASTRO G.B. (1999). Annotazioni sulla storia naturale del gambero della Louisiana
NARDI P.A., BERNINI F., BO T., BONARDI A., FEA G., FERRARI S., GHIA D., NEGRI A., RAZZETTI E., ROSSI S. ((2004). Il gambero di fiume in provincia di Alessandria. PI-ME Editrice, Pavia, 111 pp.
SALVIDIO S., MORI M., LATTES A., GALLI L., ARILLO A. (2002). The freshwater crayfish
Austropotamobius pallipes (Lereboullet, 1858) in Liguria, NW Italy: implications for
management at the regional level. Bulletin Français de la Pêche et de la Pisciculture,
367: 663-670
ZACCARA S., STEFANI F., GALLI P., NARDI P.A., CROSA G. (2004). Taxonomic implications
in conservation management in white-clawed crayfish (Austropotamobius pallipes)
(Decapoda, Astacidae) in Northern Italy, Biological Conservation, 120 : 1-10.
Autore Sebastiano Salvidio
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Coleotteri, Ortotteri
e Odonati
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Nome scientifico Cerambyx cerdo Linné, 1758
Nome comune
Cerambice della quercia
Livello di protezione
La specie, a causa della
continua e progressiva distruzione dei suoi biotopi
originari è divenuta sempre più rara (Zahradník &
Severa, 1998). È inserita in
allegato II della Direttiva
Habitat 92/43/CEE.
Identificazione
Il Cerambice della quercia
è uno dei più grandi cerambicidi europei (24-60
mm). La taglia grande e la
colorazione bruno-rossastra dell’apice delle elitre lo rendono a prima vista difficilmente distinguibile da Cerambyx miles e C. velutinus.
C. miles Bonelli, 1823 si distingue per l’assenza di spine nell’angolo suturale dell’apice delle elitre e per la brevità dei primi antennomeri.
C. velutinus Brullé, 1832, presenta una robustissima spina suturale all’apice delle elitre che, soprattutto nelle femmine, hanno una colorazione bruno-rossastra meno
marcata dell’apice elitrale; inoltre presenta una pubescenza addominale densa e
spessa.
C. cerdo, Linné, 1758, possiede una spina suturale debole all’apice delle elitre (difficile da osservare in certi esemplari) e la pubescenza addominale è fine e inuguale; è
l’unica specie a possedere una linea luccicante, priva di pubescenza, sul secondo articolo dei tarsi posteriori, e presenta il dente laterale del protorace prolungato in una
spina acuta (Pesarini & Sabbadini, 1994). Nelle altre due specie citate il dente laterale
del protorace è ottuso.
Il dimorfismo sessuale è discretamente accentuato: il maschio ha le antenne molto
più lunghe ed elitre fortemente ristrette verso l’estremità posteriore rispetto a quelle della femmina.
Distribuzione
Il Cerambice della quercia, con la sua sottospecie tipica, è ampiamente diffusa in gran
parte dell’Europa, ma presenta una sottospecie (ssp. pfisteri) in Grecia e Sicilia (Pesarini & Sabbadini, 1994).
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Notizie utili per la conservazione della specie
La durata dello sviluppo dura dai tre ai cinque anni (Zahradník & Severa, 1998) e la
larva (xilofaga) si sviluppa scavando gallerie
nel tronco delle vecchie querce (Quercus
robur, Q. petraea, Q.
pubescens, Q. ilex e Q.
suber.); gli adulti (che
si nutrono per lo più
di frutti marcescenti)
compaiono nella tarda
primavera, si incontrano spesso sui rami o
sul tronco della pianta
ospite e sono attivi sia
di giorno che nelle prime ore della notte.
Possibili minacce e fattori di rischio
Nel nord dell’Europa la regressione delle popolazioni sembra legata alla scomparsa
progressiva degli ambienti forestali sub-naturali (Luce., 1997).
Interventi gestionali
Al fine di preservare le popolazioni di Cerambyx cerdo occorre:
– limitare l’abbattimento nelle aree boschive delle piante arboree mature, soprattutto quelle deperienti (utilizzate dalle larve per il proprio sviluppo)
– gestire i querceti in modo da favorire il mantenimento ed il ricambio dei vecchi alberi
– regolamentare la raccolta degli individui adulti.
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Vedi punto precedente.
Metodi di monitoraggio
Il monitoraggio si effettua attraverso osservazioni dirette ispezionando tronco e rami degli alberi; personalmente ho raccolto parecchi esemplari al crespuscolo nei frutteti (gli adulti si nutrono dei frutti maturi e marci).
Da non sottovalutare le richerche notturne con l’ausilio di lampade al neon e a vapori di mercurio (lampada di Wood).
Un tipo di trappolaggio semplice ma efficace consiste nell’utilizzo di trappole cilindriche (tipo bottiglie senza collo) innescate con marmellata, succo di frutta o pezzi
di frutta marcescenti, poste sui rami degli alberi.
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Bibliografia
LUCE J. M., 1997. Cerambyx cerdo Linneaus, 1758, pp: 22-26. In: Background information on invertebrates of the Habitats Directive and the Bern Convention. Part I - Crustacea, Coleoptera and Lepidoptera. HELDSINGEN P.J., WILLEMSE L. & SPEIGHT M.C.D. ed.,
Série: Nature et Environnement, N° 79, Conseil de l’Europe, Strasbourg, 217 pp.
PESARINI C. & SABBADINI A., 1994. Insetti della fauna europea. Coleotteri Cerambicidi.
Guide di sistematica del Museo di Storia naturale di Milano, 132 pp.
ZARADNÍK J. & SEVERA F., 1998. Insetti. De Agostini, 320 pp.
Autore Alessio Trotta
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Nome scientifico Rosalia alpina Linné, 1758
Nome comune
Livello di protezione
Rosalia alpina è una specie
rara e vulnerabile per la
esiguità delle popolazioni,
per lo più localizzate, e
per la continua riduzione
e distruzione dei particolari habitat in cui vive.
In Italia è rarissima al
Nord, mentre risulta localmente abbondante nell’Appennino centrale (Pesarini & Sabbadini, 1994).
La Direttiva 92/43 “Habitat” segnala R. alpina come specie “prioritaria” nell’Allegato II (“specie la cui salvaguardia richiede la designazione di zone speciali di
conservazione”) e nell’Allegato IV (“specie la cui salvaguardia richiede una protezione rigorosa”).
È compresa anche nell’elenco delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992). Viene elencata, infine, fra le specie da proteggere nella “Lista rossa” dell’Alto Adige (AA.VV., 1994) e nel recente “Libro rosso”
della Toscana (Sforzi e Bartolozzi, 2001).
Identificazione
Per la particolare livrea, gli adulti della R. alpina si differenziano nettamente dagli altri Cerambicidi presenti in Europa. Il corpo è lungo da 15-38 mm. Il colore di fondo
va dal blu grigio al blu chiaro con macchie e fasce nere contornate da una sottile linea bianca. Gli antennomeri presentano la parte prossimale blu e quella apicale scura per la presenza di evidenti setole nere. Viene considerato uno dei coleotteri più
belli della fauna europea.
Distribuzione
R. alpina presenta un’ampia distribuzione in aree montane dell’Europa centro meridionale, risalendo a nord fino alla Svezia meridionale; dai Balcani l’areale si estende a
Turchia, Siria, Caucaso e Transcaucasia (Sama, 1988; Bense, 1995).
In Italia è presente con popolazioni localizzate lungo tutta la penisola e in Sicilia; i
dati relativi ad alcune regioni si riferiscono, tuttavia, a reperti dell’Ottocento (Sama, 1988).
In Friuli-Venezia Giulia, per quanto noto da non recenti riferimenti della letteratura
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scientifica, la specie risulta rara e localizzata
in poche stazioni delle
Alpi Carniche (es. Forni Avoltri), Prealpi Carniche (es. M.te Rest) e
Alpi Giulie (es. dintorni di Sella Nevea)
(Gortani, 1906; Müller,
1949-53; Sama, 1988).
Recentemente (1999) è
stato possibile reperire
indicazioni certe della
presenza di R. alpina in Val Resia (Friuli Venezia Giulia).
In Liguria è probabilmente presente nelle faggete mature dell’imperiese. Al Museo di
Storia naturale di Genova è conservato un esemplare raccolto da Lucio Cortesogno
al Colle della Melosa nel 1983.
Notizie utili per la conservazione della specie
Vive nei boschi montani di latifoglie, in particolare nelle faggete con presenza di piante mature.
Le larve, xilofaghe, si sviluppano (nel giro di tre anni) di norma nel legno morto di
grossi faggi deperienti; eccezionalmente si ritrovano in altre latifoglie, quali olmo, tiglio, frassino, castagno, quercia e salice (Bense, 1995). Lo sviluppo larvale richiede duetre anni. Gli adulti, fitofagi, emergono in estate (giugno-agosto) e sono attivi durante il giorno. Essi frequentano i tronchi di piante deperienti o stroncate e i tronchi di
piante abbattute di recente; al contrario di molte altre specie di Cerambicidi, non si
rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o arboree.
Possibili minacce e fattori di rischio
I tipici fattori di rischio per la specie, oltre l’eccessiva antropizzazione e gli incendi,
sono l’abbattimento delle piante arboree mature, la mancanza di ceppaie marcescenti e la raccolta di individui adulti.
Interventi gestionali
Per la salvaguardia delle popolazioni di R. alpina i piani di gestione naturalistica del
territorio devono prendere in considerazione, per lo meno relativamente alle aree di
maggiore valenza naturalistica, diverse tipologie di interventi. In particolare, è opportuno: preservare da interventi antropici pesanti i boschi naturali di faggio, soprattutto quelli ove sono presenti piante mature; ridurre o evitare l’abbattimento di piante
mature di faggio, in particolare quelle deperienti; ridurre o evitare la rimozione dal
bosco di piante adulte di faggio stroncate di recente, compatibilmente con le esigenze di ordine fitopatologico; regolamentare il prelievo di individui adulti da parte dei
collezionisti.
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Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Vedi punto precedente.
Metodi di monitoraggio
Vedi scheda Cerambyx cerdo.
Bibliografia
BENSE U., 1995. Longhorn beetles. Illustrated Key to the Cerambycidae and Vesperidae of Europe. Margraf Verlag, Weikersheim: 512 pp.
GORTANI M., 1906. Saggio sulla distribuzione geografica dei Coleotteri in Friuli. In Alto, Udine, 17 (2): 15-23.
MÜLLER G., 1949-53. I Coleotteri della Venezia Giulia. 2. Phytophaga. Ed. Libraria, Trieste: 224 pp.
PAVAN M., 1992. Contributo per un “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate
in Italia. Ed. Istituto di Entomologia dell’Università di Pavia: 719 pp.
PESARINI C. & SABBADINI A., 1994. Insetti della fauna europea. Coleotteri Cerambicidi.
Guide di sistematica del Museo di Storia naturale di Milano, 132 pp.
SAMA G., 1988. Coleoptera Cerambycidae. Catalogo topografico sinonimico. Fauna
d’Italia, Vol. XXVI. Calderini, Bologna: xxxvi + 216 pp.
SFORZI A. & BARTOLOZZI L., 2001. Libro Rosso degli insetti della Toscana. ARSIA, Regione Toscana: 375 pp.
Autore Alessio Trotta
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Nome scientifico. Lucanus cervus Linné, 1758
Nome comune.
Cervo volante
Livello di protezione
La specie, nonostante non
sia molto rara, si deve considerare potenzialmente
minacciata per la riduzione
o la distruzione del suo
habitat; per questi motivi
è inserita nell’Allegato II
della Direttiva comunitaria 92/43 “Habitat” come
specie la cui salvaguardia
richiede da designazione
di zone speciali di conservazione”. È compresa, inoltre, nella “Lista rossa” delle
specie minacciate in Alto
Adige (AA.VV., 1994) e
nel recente “Libro rosso” degli insetti della Toscana (Sforzi e Bartolozzi, 2001).
Identificazione
Il Cervo volante è uno tra i più grossi coleotteri europei: la sua lunghezza può variare da 25 a 90-100 mm. Il corpo è di colore marrone scuro tendente al nero. La specie è caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale. Il maschio (sempre di maggiori dimensioni) può presentare mandibole straodinariamente sviluppate, tuttavia gli
esemplari con queste caratteristiche (maschi maggiori) risultano piuttosto rari; nettamente più frequenti sono le forme con dimensioni delle mandibole più contenute
(maschi medi e maschi minori: Franciscolo, 1997). Le femmine hanno mandibole molto più piccole e acuminate.
Una specie simile è L. tetraodon Thunberg che si differenzia da L. cervus soprattutto
per la presenza nelle mandibole del maschio di un dente mediano molto più ravvicinato alla base rispetto a quanto si osserva nel secondo (Cogoi & Bernardinelli, 2002).
Distribuzione
Il Cervo volante è diffuso in Europa, Asia Minore e Medio Oriente (Franciscolo,
1997). In Italia è presente nelle regioni settentrionali e centrali, fino all’Umbria e alla
Campania; sembra mancare nelle regioni più meridionali. Nell’Italia centrale convive
con la specie vicariante L. tetraodon, mentre nell’Italia meridionale viene completamente sostituita da quest’ultima (Sforzi e Bartolozzi, 2001). In Friuli-Venezia Giulia la
specie si rinviene dalla bassa pianura, per lo più nei boschi relitti (querco-carpineti),
all’area Prealpina. Lazzarini (1895) la considerava comune nei querceti e Gortani (1905)
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ne indicava la presenza
della forma tipica (o
maggiore) nella regione padana e submontana fino a 350 metri e
di quella denominata
capreolus (o minore)
nella regione montana
fino a 1000 metri.
È recente il rilevamento di esemplari di questa specie nell’area della Palude Moretto,
proposta quale “Sito di Interesse Comunitario” (IT3320027) nel comune di Castions
di Strada (UD) (Zandigiacomo et al., 2001).
Notizie utili per la conservazione della specie
La specie è polifaga; le larve si sviluppano nel legno delle ceppaie parzialmente decomposte di vecchi alberi (per lo più latifoglie) quali quercie, faggi, salici, pioppi, tigli, ma anche su gelso, ippocastano, olmi e ciliegi (Franciscolo, 1997).
Per raggiungere lo stadio adulto le larve impegano da tre anni (per le forme minori)
a otto anni (per le forme maggiori). In autunno, a maturità, esse abbandonano il legno e si impupano nel terreno, all’interno di un caratteristico astuccio pupale. Lo stadio di pupa dura circa un mese (da settembre a ottobre).
Gli adulti svernano nel bozzolo pupale per poi sfarfallare nell’anno successivo fra giugno e luglio (Della Beffa, 1949; Franciscolo, 1997). Essi durante il giorno restano generalmente nascosti fra le foglie o alla base degli alberi, mentre dal tardo pomeriggio
fino al crepuscolo iniziano a muoversi camminando sui tronchi o sui rami oppure si
spostano con un volo “pesante” e rettilineo da un albero all’altro. Si nutrono di sostanze di origine vegetale ricche di zuccheri, quali frutta di vario tipo, oppure di linfa che fuoriesce da ferite degli alberi (Sforzi e Bartolozzi, 2001).
Il Cervo volante si rinviene per lo più nei boschi maturi di latifoglie, preferibilmente
quercete, castagneti e faggete, dalla pianura alla media montagna; solo eccezionalmente si osservano esemplari oltre gli 800 m di altitudine. Talora L. cervus si può rinvenire anche nei parchi cittadini (Franciscolo, 1997).
Possibili minacce e fattori di rischio
I tipici fattori di rischio per la specie, oltre l’eccessiva antropizzazione e gli incendi,
sono l’abbattimento delle piante arboree mature, la mancanza di ceppaie marcescenti e la raccolta di individui adulti.
Interventi gestionali
Al fine di preservare le popolazioni di L. cervus si possono prevedere interventi atti
a (Cogoi & Bernardinelli, 2002):
– limitare l’abbattimento nelle aree boschive delle piante arboree mature, soprattut61
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to quelle deperienti (utilizzate dalle larve per il proprio sviluppo) o quelle che presentano ferite da cui fuoriesce linfa (alimento per gli adulti);
– ampliare gli ambienti boschivi di pianura, preservando le aree più naturali da interventi antropici pesanti;
– mantenere in loco gli alberi stroncati per cause naturali e preservare le ceppaie
marcescenti ove possono svilupparsi le larve;
– regolamentare la raccolta degli individui adulti, soprattutto maschi, molto ricercati dai collezionisti.
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Vedi punto precedente.
Metodi di monitoraggio
Il monitoraggio si effettua attraverso osservazioni dirette ispezionando foglie, base,
tronco e rami degli alberi; di notte, lungo le strade poco illuminate di campagna, è
possibile incontrare maschi e femmine che camminano ai lati della strada.
Bibliografia
AA.VV., 1994. Lista Rossa delle specie animali minacciate in Alto Adige. Provincia autonoma di Bolzano / Alto Adige, Ripartizione del paesaggio e della natura. Laives
(BZ): 410 pp.
COGOI P. & BERNARDINELLI I., 2002. Note sul coleottero lucanide Lucanus cervus L.
online at http:// www.uniud.it/entomoinfo/Biodiversity/lucanus.htm
DELLA BEFFA G., 1949. Gli insetti dannosi all’agricoltura e i moderni metodi e mezzi
di lotta. U. Hoepli Ed., Milano: 978 pp.
GORTANI M., 1905. Saggio sulla distribuzione geografica dei Coleotteri in Friuli. In Alto, Udine, 16 (6): 68-75.
LAZZARINI A., 1895. Catalogo di Coleotteri friulani. In Alto, Udine, 6 (2): 23-25.
FRANCISCOLO M. E., 1997. Coleoptera Lucanidae. Fauna d’Italia, Vol. XXXV. Calderini,
Bologna: 228 pp.
ZANDIGIACOMO P., BERNARDINELLI I. & BUIAN F. M., 2001. Note sull’entomofauna della
Palude Moretto (Pianura friulana). Numero unico a cura della Pro Loco di Pantianicco, 11: 31-33.
SFORZI A. & BARTOLOZZI L., 2001. Libro rosso degli insetti della Toscana. ARSIA, Regione Toscana: 375 pp.
Autore Alessio Trotta
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Nome scientifico Saga pedo (Pallas, 1771)
Sinonimi: (Orthoptera Tettigoniidae)
Nome comune
Livello di protezione
La specie è indicata come “minacciata”
nella checklist della fauna italiana; classificata come vulnerabile nella lista rossa IUCN (Orthopteroid Specialist
Group, 1996), rientra nell’allegato II
della Convenzione di Berna e nell’allegato IV della Direttiva “Habitat”
(92/43/CEE).
Identificazione
È il più grande Ortottero della fauna
europea; partenogenetica, la femmina è
lunga 60-70 mm con ovopositore di
31-41 mm. Estremamente mimetica, generalmente di colore verde (alcuni individui appaiono brunastri) presenta
una linea longitudinale bianca o giallastra che corre dal margine inferiore dei
lobi laterali del pronoto, sui fianchi, fino alla lamina sub-genitale. Le prime
due paia di zampe sono raptatorie (provviste di una doppia fila di dentelli lungo i
margini inferiori di femori e tibie), mentre quelle posteriori, molto lunghe, sono utilizzate per aggrapparsi a rami ed altri supporti.
Distribuzione
Specie a geonemia eurosibirica è presente in Europa centro-meridionale e sud-orientale ed in Siberia occidentale (limite settentrionale 54°30’ N): Portogallo, Spagna,
Francia meridionale, Corsica, Italia, Svizzera, Austria, Slovacchia, ex Yugoslavia, Ungheria, Romania, Bulgaria, ex Unione Sovietica e Xinjiang (Cina Nord-occidentale). Introdotta negli USA. In Italia è segnalata in tutte le regioni ad eccezione di Val d’Aosta
ed Emilia e Romagna (ma è presente a San Marino).
Più volte rilevata nel basso Alessandrino ai confini con la provincia di Genova (Voltaggio,Varinella, Parco delle Capanne di Marcarolo), in Liguria sono noti solo i tre siti di presenza seguenti: Peagna (Ceriale, SV) - alle pendici del Monte Acuto (leg. P.
Fontana e L. Mazzon), Forte St. Elena (Bergeggi – SV) ai margini del SIC “Rocca dei
Corvi – Mao – Mortou” (leg. L. Galli & G. Rocca) e lungo il “sentiero delle farfalle”,
nel Parco del Peralto, a Genova Righi (leg. F. Tomasinelli).
Notizie utili per la conservazione della specie
Saga pedo (Pallas, 1771) è specie partenogenetica (trattasi di p. geografica), termofila
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legata a oasi xerotermiche (praterie xeriche, garighe, macchia
mediterranea rada);
esclusivamente carnivora, si ciba, prevalentemente all’agguato, di
altri Insetti (soprattutto Ortotteri). Precoce
(gli adulti si possono
trovare già a fine giugno), ha abitudini di
vita
spiccatamente
notturne. Le uova vengono deposte nel terreno ed impiegano da tre a cinque anni
per la schiusa. Lo sviluppo post-natale prevede 8-9 mute.
Possibili minacce e fattori di rischio
Specie stenoecia a biologia particolare è minacciata soprattutto dalla scomparsa di habitat idonei, dall’uso di pesticidi in agricoltura (con effetti diretti ed indiretti, in termini di rarefazione delle prede) e, seppur in misura minore, dal collezionismo.
Interventi utili per migliorare lo status delle popolazioni locali
Appare evidente la necessità di preservare gli ambienti a maggior vocazionalità e di
limitare l’uso di pesticidi nelle limitrofe zone agricole, soprattutto laddove la specie
risulta presente; è auspicabile altresì un rigoroso controllo sull’eventuale prelievo di
esemplari in natura.
Metodi di monitoraggio
Specie estremamente rara e difficilmente rilevabile in relazione al notevole mimetismo
criptico ed alle abitudini di vita prevalentemente notturne, non è suscettibile di forme neppure semi-quantitative di censimento: è da ritenersi utile il semplice rinvenimento di esemplari vivi, delle loro spoglie o, eventualità piuttosto rara, dell’exuvia.
Bibliografia
FONTANA P., BUZZETTI F.M, COGO A & ODÉ B., 2002 – Guida al riconoscimento e allo studio di cavallette, grilli, mantidi e insetti affini del Veneto. Blattaria, Mantodea,
Isoptera, Orthoptera, Phasmatodea, Dermaptera, Embiidina. Guide Natura/ 1. Museo
Naturalistico Archeologico di Vicenza, 592 pp.
FONTANA P. & CUSSIGH F., 1996 – Saga pedo (Pallas) ed Empusa fasciata Brullé in Italia, specie rare da proteggere (Insecta Orthoptera e Mantodea). Atti Acc. Rov. Agiati, a. 246, ser. VII, vol. VI (B): 47-64.
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GALLI L. & ROCCA G., in stampa - Reperti liguri di Saga pedo e note sull’allevamento di una ninfa (Orthoptera Tettigoniidae). Res Ligusticae, CCXLVII.
KALTENBACH A., 1967 – Unterlafen für eine Monographie der Saginae I. Superrevision
der Gattung Saga Charpentier (Saltatoria: Tettigoniidae). Beitr. Ent., Berlin, 17: 3-107.
MATTHEY R., 1941 – Etude biologique et cytologique de Saga pedo Pallas (Orthoptères – Tettigoniidae). Rev. Suisse Zool., Genève, 48: 91-142.
MATTHEY R., 1946 – Démonstration du caractère géographique de la parthénogénèse de Saga pedo Pallas et de sa polyploidie, en comparison avec les espèces bisexuées S. ephippigera Fisch. Et S. gracilipes Uvar. Experientia, Basel, 2/7: 1-3.
Autore Loris Galli & Giuliano Rocca
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Nome scientifico Oxygastra curtisi (Dale, 1834)
(Odonata Cordulidae)
Livello di protezione
La specie è inserita negli allegati II e IV della Direttiva
“Habitat” (92/43/CEE).
IUCN: prossima alla minaccia (NT).
Identificazione
La larva presenta corpo
peloso lungo 20-22 mm,
con capo subpentagonale.
Gli occhi sono piccoli,
quasi sferici e molto sporgenti latero-anteriormente. Antenne di 7 articoli
con i primi due corti e
tozzi, i successivi tre lunghi e sottili, e gli ultimi due più lunghi degli altri. L’occipite ha margini laterali lunghi e quello posteriore leggermente concavo. Il premento è molto concavo e provvisto di 22-24 (fino a 26) setole, riunite in due serie lungo una linea arcuata. Ogni
serie è costituita lateralmente da 7-8 setole lunghe e, verso il centro, da 4-5 più brevi. Il margine distale del premento è provvisto di setole piliformi, mentre agli angoli
laterali, ove articola con i palpi, vi sono tre setole spiniformi. I palpi labiali presentano un primo articolo molto grande, concavo, subtriangolare e fornito di 7 setole. Il
margine distale è seghettato. Sul torace, le pteroteche arrivano a coprire parte del tergite del 4° segmento addominale, essendo lunghe circa 6 mm. L’articolazione femore-tibiale delle zampe metatoraciche tese, si trova a livello del margine caudale del 6°
segmento addominale. L’addome presenta piccole spine dorsali dal 5° al 7° (talvolta
8°) segmento, mentre sul 4°, 8° (sovente) e 9° urotergo sono presenti piccoli ciuffi
di peli. Le spine laterali, invece, presenti sull’8° e 9° urite, sono sottili e lunghe 1/3
della lunghezza del segmento. Piramide caudale lunga quasi quanto 9° e 10° urite insieme. Cerci lunghi quanto la lamina sopra-anale, mentre le lamine sottoanali superano di 1/3 la lunghezza dei cerci.
L’adulto è una libellula dal corpo verde metallico, con macchie giallastre su capo e
torace e gialle sull’addome (in genere sul dorso degli uriti dal 1° al 7° e sul 10°). Questo è molto stretto alla base e si allarga leggermente fino all’estremità distale. Nel maschio i cerci hanno un dente basale molto lungo ed appuntito sulla faccia interna,
mentre il paracerco è largo, quadrangolare e diviso all’apice. La femmina presenta la
lamina vulvare breve e di forma arrotondata. Le ali sono ialine, talvolta soffuse di giallo alla base (maschio) o più o meno infuscate (nel giovane maschio e nella femmina).
Il maschio ha addome lungo 36-39 mm e ali posteriori di 32-34 mm, mentre nella
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femmina l’addome è
34-35 mm e le ali posteriori 33-34 mm.
Distribuzione
Europa sud-occidentale e Nord-Africa. In
Italia è segnalata – generalmente in poche
stazioni isolate - in Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio e
Campania. Per quel che
riguarda la Liguria, in particolare, si ricordano i soli tre siti di presenza noti in letteratura: Torrente Egoli, presso Genova (luglio 1942 – CONCI & GALVAGNI, 1944), Baracche del Righi (GE – luglio 1939 – CAPRA, 1945) e Torrente Erro, alla confluenza
col Rio Ciua (Sassello, SV – ISOLA et al., 1991). Quest’ultima stazione è stata recentemente confermata con la cattura di alcune immagini (l’ultima avvenuta nel giugno
2006 – L. Galli & G. Troiano, ined.). Si ricorda inoltre, ad ulteriore supporto dell’idoneità del T. Erro per la specie, la presenza di una stazione nota anche a Cartosio (AL).
Viene menzionata infine una cattura con generica indicazione dintorni di Genova
(giugno 1906 - CAPRA, 1945).
Cenni sulla biologia della specie
La larva vive normalmente in acque correnti, sepolta nel limo o nella sabbia (preda
all’agguato); tuttavia la si può rinvenire anche in canali a corrente lenta e stagni, purché ombreggiati dalla vegetazione. Lo sviluppo larvale dura 2-3 anni e gli adulti volano da fine maggio a fine agosto. Spesso, durante la maturazione sessuale si allontanano dall’ambiente di origine. A maturità raggiunta le immagini tornano presso l’acqua ove i maschi ispezionano il territorio con frequenti voli veloci. Verso sera si posano su alberi ed arbusti per trascorrervi la notte. Nel corso della deposizione, la femmina libera le proprie uova sorvolando l’acqua e sfiorandone la superficie con l’estremità dell’addome.
Possibili minacce e fattori di rischio
Inquinamento delle acque correnti; captazioni idriche; cementificazione/canalizzazione dei corsi d’acqua; siccità con conseguente prosciugamento dei torrenti.
Interventi gestionali utili per conservare o migliorare lo status delle popolazioni locali
Conservazione e, laddove possibile, ripristino di habitat idonei, particolarmente nei siti nei quali la specie è stata segnalata. Limitazione, nelle aree afferenti ai bacini in questione, di attività antropiche potenzialmente impattanti, soprattutto in termini d’inquinamento delle acque (scarichi, irrorazione con pesticidi).
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Metodi di monitoraggio
Specie poco diffusa, anche se laddove è presente può risultare abbondante, non risulta monitorabile attraverso metodi quantitativi. E’ comunque opportuna la segnalazione dei siti di rilevamento di individui sia allo stadio immaginale, sia a quello larvale.
Indicatori di presenza
Presenza di habitat idonei alla specie. Rinvenimento di individui.
Bibliografia
CAPRA F., 1945 – Odonati di Liguria. Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova, 62: 253-275.
CONCI C. & GALVAGNI O., 1944 – Alcune interessanti catture di Odonati in Liguria
e Venezia Tridentina. Mem. Soc. entomol. ital., 23: 71-73.
CONCI C. & NIELSEN C., 1956 – Odonata. Fauna d’Italia 1. Calderini, Bologna.
D’AGUILAR J., DOMMANGET J.L. & PRÉCHAC R., 1990 – Guida delle libellule d’Europa e
del Nordafrica. Franco Muzzio Editore, Padova.
ISOLA G., BARABINO A., POLLERO G. & SCIUTTO G., 1991 - Carta ittica della provincia di
Savona. CE.R.S.A.L., Savona.
Autore Loris Galli
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