Bollettino n. 24 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della

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Bollettino n. 24 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della
Rivista di informazione medica n. 24 aprile 2013
Quadrimestrale - Anno VIII - n° 24 - aprile 2013 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO”
Ordine Provinciale
dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri
della Provincia di Pistoia
La voce dell’ordine di Pistoia
COMUNICAZIONI
CONSULENZA LEGALE
Sul sito dell’Ordine www.omceopistoia.it, nei Links Utili alla voce
Avvocati – Proposta agli iscritti
è stata pubblicata la proposta, riservata a tutti gli iscritti all’Ordine, presentata dallo
Studio Legale ALIANI SODERI.
Inoltre a partire dal prossimo maggio ogni giovedì, dalle ore 12 alle ore 13,
previo appuntamento, sarà a disposizione degli iscritti
un Legale dello studio ALIANI SODERI.
IMPORTANTE
Si ricorda agli iscritti di comunicare tempestivamente alla segreteria ogni variazione
di residenza, numeri telefonici ecc. e il conseguimento dei titoli di specializzazione,
master, dottorati di ricerca ecc.
Si ricorda che in ottemperanza alla legge n. 2/2009 i professionisti iscritti ad albi ed elenchi
istituiti con legge dello stato, comunichino ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo
di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica entro un anno dalla
data di entrata in vigore della legge stessa. Le eventuali inadempienze o negligenze derivanti dall’aver trascurato tale obbligo espongono l’interessato, oltre alle sanzioni previste
dalla legge, anche al rischio di non essere adeguatamente informato di adempienze che lo
riguardano direttamente.
Si comunica agli iscritti che gli uffici
della Segreteria dell’Ordine
resteranno chiusi per la pausa estiva
dal 5 al 24 agosto 2013 compresi
APERTURA ESTIVA DEGLI STUDI ODONTOIATRICI
I professionisti il cui studio rimane aperto almeno 10 giorni nel mese di agosto contattino,
se interessati, la Segreteria dell’Ordine (tel. 0573/22245 – fax 0573/23341 – e-mail: [email protected]) fornendo le date di apertura (senza specificare gli orari) entro e non oltre il 5
luglio p.v.
Sommario
1
•
editoriale
I giovani e la partecipazione al dialogo con le istituzioni
3
•
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Sindrome delle apnee del sonno e obesità
5
•
livello minimo n. 17
Nota antropologica sul linguaggio
8
•
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Dalla cute al DNA: il progresso della ricerca scientifica nella comprensione della sclerosi tuberosa
13 med-news dalla letteratura internazionale
• La nuova sanità toscana
19 LA MEDICINA DEGLI ALTRI
• E allora facciamo qualcosa
21 L’OPINIONE DEL PRESIDENTE
• L’Ordine e la certificazione dei crediti formativi (E.C.M.)
22 ATTUALITÀ
• Tubercolosi a scuola
23
•
•
LETTERE
È mancato un controllo locale della situazione.
Considerazioni sulla sanità toscana
I medici di Bottegone rispettano l’art. 5
del codice deontologico
27 PASSATO E PRESENTE
• La città immaginata. Piazza San Francesco (prima parte)
Copertina: Autore ignoto, Il prato di San Francesco, sec. XIII, Pistoia, Museo Civico
Quarta di copertina: Pistoia, chiesa di San Francesco
La voce dell’ordine di Pistoia
Bollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi
e Odontoiatri di Pistoia; anno VIII n. 24 – aprile 2013
Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni,
Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione Niccolai
Reg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti
EDITORIALE
Egisto Bagnoni
Presidente dell’Ordine di Pistoia
I GIOVANI E LA PARTECIPAZIONE
AL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI
Come mai i giovani non partecipano?
Le associazioni professionali, le società
scientifiche, gli Ordini stessi sono gestiti
quasi esclusivamente da persone con età
compresa fra i 55 e 65 anni senza una presenza significativa dei giovani. Non esiste
praticamente dialogo fra le generazioni di
professionisti per la mancata partecipazione
dei giovani che comporta la mancata acquisizione della necessaria conoscenza dei problemi. Il disagio aleggia su tutti i medici ma
sicuramente con caratteristiche diverse e per
ragioni diverse. I problemi dei professionisti strutturati negli Ospedali o nel territorio
sono ben diversi da quelli dei giovani che
vivono la mancanza di tutele e di sicurezze. Senza il dialogo non si realizza nessuna
collaborazione e trasmissione di esperienze. Il loro rifiuto ad ogni partecipazione è
comprensibile ma non certo utile a programmare il loro futuro professionale. Credo sia
compito nostro, cioè di coloro che hanno responsabilità negli Ordini, di cercare di avvicinare i giovani iscritti per capire prima
di tutto il loro stato d’animo, la loro opinione su quello che percepiscono del mondo professionale, una realtà caratterizzata
da precariato, criticità, mancanza di tutele
in campo lavorativo, sia giuridico che previdenziale. Ad oggi manca un osservatorio
adeguato che permetta di conoscere in ogni
aspetto la condizione professionale giovanile e che permetta di condividere strategie
atte a dare prospettive a chi si affaccia nel
mondo della professione. Non conosciamo
le loro valutazioni, le aspirazioni e le loro
richieste per potersi integrare nella gestione
delle istituzioni. Sembra quasi che i giovani
siano interessati prevalentemente alla preparazione tecnico scientifica per acquisire le
migliori competenze trascurando il campo
della deontologia. Sarebbe utile individuare
EDITORIALE
coloro che mostrano un certo interesse al dialogo ed indurli ad avvicinarsi alle istituzioni
per prendere gradualmente le redini della loro
professione e per diventare veri professionisti.
Esistono alcune esperienze preziose in seno
alla componente femminile della professione
per avere gestito con successo le commissioni delle pari opportunità. Oggi la componente femminile è prevalente nella professione e
quindi dovrebbe risultare facile trasferire le
esperienze maturate nella medicina di genere
nella gestione della professione in generale.
Proviamo ad iniziare un percorso di incontri,
anche a piccoli gruppi, con giovani volenterosi per conoscere le loro esigenze e condividere
strategie per renderli protagonisti nella gestio-
ne del loro destino. Dal canto nostro dovremmo chiedere e proporre e prendere in considerazione le loro esigenze e le loro aspettative.
Se davvero vorranno aprirsi al confronto assumendo responsabilità, con i relativi sacrifici, potranno diventare i protagonisti di un
cambiamento importante che riguarderà tutti
gli aspetti della professione. La formazione
universitaria potrà diventare più aderente
ai bisogni della società attuale ed anche la
formazione post laurea potrà abbandonare
il ruolo di parcheggio per i giovani in attesa
di una sistemazione lavorativa e diventare la
migliore opportunità per riqualificare il ruolo
del medico.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Sindrome delle apnee del sonno
e obesità
Ione Niccolai
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Il diaframma diminuisce la sua contrattilità,
ma particolarmente in posizione supina è
spinto verso l’alto con netta diminuzione dei
volumi polmonari.
Secondo alcuni autori, il grasso viscerale
causa anche aumentata attività dei muscoli
respiratori, con produzione di pressione negativa e collasso delle vie aeree superiori durante la fase inspiratoria.
Molto importante per predisporre alla sindrome è anche la circonferenza del collo.
C’è comunque un aumento grande del lavoro
respiratorio con ovvia fatica che porta inevitabilmente a ipoventilazione, ipossiemia e
ipercapnia cronica.
Questo ha evidentemente importanti e gravi
ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio
con patologie multiple, ipertensione, ischemia cardiaca cronica, ma anche su tutta la
funzione metabolica dell’organismo.
È noto d’altronde che l’obesità, di per sé,
causa cronicamente ipoventilazione alveolare e ipercapnia (PCO2 sup a 45mmHg) anche
durante lo stato di veglia indipendentemente
da altre condizioni di ipoventilazione.
L’obesità, poi, associata a sindrome delle
apnee ostruttive del sonno causa un enorme
aumento del lavoro respiratorio, insufficienza dei muscoli respiratori e grande aumento
di tensione arteriosa di CO2 durante ogni apnea o ipopnea, fino a livelli perennemente
elevati con acidosi cronica e aumento dei bicarbonati.
Va inoltre segnalato che la PaCO2 aumenta
progressivamente durante la notte con la ovvia diminuzione del PH. In questa situazione
il rene diminuisce la sua escrezione per tamponare la caduta del PH.
Se poi il bicarbonato accumulato durante la
notte non è eliminato durante il giorno, si
crea un circolo vizioso fino ad avere un bicarbonato tanto alto da deprimere la ventilazione, causando ipoventilazione ed ipercap-
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno
(OSAS) è una patologia caratterizzata da Apnee Ostruttive e Ipopnee dovute all’improvviso collasso delle vie aeree durante il sonno.
È una patologia discretamente frequente, non
sempre correttamente diagnosticata, spesso
sottovalutata e fonte di complicanze anche
gravi come aumento del rischio di patologie
cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e
mortalità.
Quindi importantissimo, è non solo precisarne la diagnosi ma anche la gravità, una diagnosi che è prevalentemente strumentale.
Se c’è, infatti, un sospetto è determinante lo
studio polisonnografico del paziente durante
il sonno che registra, oltre agli atti respiratori, anche i livelli di ossigeno nel sangue e la
frequenza cardiaca.
La diagnosi di OSAS è confermata quando si
verificano più di cinque episodi l’ora o comunque più di trenta durante la notte.
È tipicamente una forma ostruttiva ed è caratterizzata dal blocco del passaggio dell’aria
nonostante la persistenza di movimenti della
parete toracica.
Importantissimo è spiegare al paziente tutti
i fattori di rischio della sua condizione e le
motivazioni della terapia indicata, sia farmacologica che strumentale e comportamentale.
Va chiarito bene, infatti, che questa patologia è un fattore di rischio anche grave ma
modificabile.
La terapia strumentale con apparecchi a pressione positiva continua o con altri presidi e
i farmaci prescritti non possono prescindere
da una decisa modifica dello stile di vita del
paziente.
Quasi tutti i portatori di questa sindrome, infatti, sono sovrappeso e spesso francamente
obesi.
L’obesità è soprattutto viscerale con effetti
devastanti sulla respirazione.
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
nia cronica continua.
Importanti anche le alterazioni metaboliche
che si determinano in questa situazione clinica: l’ipossia cronica, infatti, determina alterazioni cellulari multiple con deficit di secrezione ed efficacia dei modulatori neuro
ormonali.
Tra questi, da moltissimi autori è considerata
importante la leptina, secreta normalmente
dalle cellule del tessuto adiposo, e da molti
autori considerata implicata nella patogenesi
di questa patologia.
Questo ormone nei pazienti obesi è presente
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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in concentrazioni molto alte con resistenza
documentabile agli effetti metabolici della
leptina stessa.
Nella sindrome delle apnee del sonno la leptina è ancora più alta con un grado di resistenza ancora maggiore, con tutti gli effetti
negativi che questa situazione può provocare.
Si ricordano gli effetti pro trombotici della
leptina, che sarebbero mediati dal recettore
piastrinico della leptina.
Suggestiva la rilevazione che la terapia con
CPAP riduce i livelli di leptina.
Pistoia, Chiesa di San Francesco
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LIVELLO MINIMO
Scheda DI livello minimo N° 17
Pierluigi Benedetti
NOTA ANTROPOLOGICA SUL LINGUAGGIO
Situazione anatomica della scimmia
Nelle scimmie più primitive la laringe è posta molto in alto, rispetto al rachide cervica-
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le (I-III vertebra cervicale) e la sua posizione non cambia dopo la nascita.
Con questa disposizione l’epiglottide, che,
quando è in condizioni di riposo, arriva a
livello della parte più bassa del palato molle, può escludere la comunicazione fra cavo
orale e rinofaringe, cioè l’epiglottide, quando il velo del palato è abbassato, funziona
come una valvola di deviazione fra rinofaringe e cavo orale.
La scimmia può, quindi, respirare ed inghiottire liquido “contemporaneamente”, o
meglio alternando i due atti fisiologici senza soluzione di continuità.
Anche in scimmie più evolute lo spazio orofaringeo è molto ridotto ed i suoni emessi
dalle corde vocali non possono essere modificati, prima di entrare nella cavità orale,
la quale, in pratica, viene ad essere l’unica
cassa di risonanza della voce.
Il solo modo, in verità molto limitato, per
modulare i suoni è affidato al grado di apertura della bocca ed alla muscolatura delle
labbra, delle guance e della lingua.
Tutti hanno visto le smorfie di una scimmia
quando emette suoni.
Queste smorfie, che come si è detto sono
il solo modo della scimmia per modulare
i suoni prodotti dall’aria passata attraverso le corde vocali, vengono utilizzate come
forma di comunicazione visiva integrante il
messaggio che l’animale vuol trasmettere
ai suoi simili o ad altri esseri viventi. Per
esempio per dimostrare rabbia, gioia ecc.
Si consideri quanto sia importante questa
forma di comunicazione non verbale, anche nell’uomo, specie in quel periodo fondamentale di formazione della psiche, che
va da zero anni, quando il bimbo non parla
(in-fanzia: in = non + fans :ϕημι: parla-
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Phillip Tobias, l’antropologo, che, forse più
di ogni altro ha studiato gli Ominidi, vide,
per primo, nell’acquisizione del linguaggio la differenza sostanziale fra scimmia e
uomo ed, oggi, questa viene accettata come
l’ipotesi scientifica più verosimile e produttiva.
Se, quindi il linguaggio definisce l’uomo,
tralasciando al momento tutti gli altri aspetti del problema, ci si può chiedere se è possibile sapere:
“Quando hanno cominciato a parlare
gli ominidi?”
Non è facile rispondere a questa domanda
con precisione, ma la moderna antropologia ha stabilito alcuni punti fermi, sulla
base dei quali si possono formulare ipotesi
interessanti.
Alcuni ricercatori hanno osservato il problema da un angolo differente.
Cioè si sono chiesti:“Perché le “scimmie”
non parlano?”
L’antropologo George Washingthon Cornel affermò, in maniera scherzosa ed provocatoria, che “l’unica ragione per cui una
scimmie non parlano, è perché non hanno
niente da dire”.
C’è una profonda verità alla base di questo.
Infatti il cervello della scimmia non ha la
possibilità di funzionare ad un livello tanto
elevato da poter usare un linguaggio verbale.
Ma oltre a questo, si deve notare che l’apparato stomatognatico, la faringe e la laringe della scimmia, come in altri mammiferi,
non sono strutturati in maniera tale da permettere un linguaggio articolato complesso.
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LIVELLO MINIMO
re), fino all’acquisizione di un linguaggio
sufficientemente articolato ed espressivo.
In quel periodo, - diceva Virgilio - “Il bimbo
conosce la madre al sorriso”.
Se consideriamo l’anatomia della regione
faringo-laringea di varie scimmie, variamente disposte nella scala evolutiva, vediamo che dalle scimmie antropomorfe
all’uomo, l’apparato “vocale” emerge, (per
usare le parole di Tobias), con la comparsa del rinofaringe, la liberazione reciproca
dell’ugola e dell’epiglottide e la “discesa”
della laringe.
Consideriamo di seguito quattro diverse situazioni corrispondenti ad altrettanti stadi
evolutivi.
A) TUPAIA (Un insettivoro considerato
un precursore dei Primati)
L’epiglottide si dirige verso l’alto fino ad en-
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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trare in stretto contatto con il palato molle;
l’aditus laringeo si protende leggermente in
avanti, mentre nell’uomo è volto all’indietro. C’è continuità fra fosse nasali e laringe.
Questo animale può respirare solo dal naso.
B) LEMURE (Una Proscimmia)
Il rapporto fra epiglottide e palato molle diviene meno stretto e l’aditus laringeo si dirige indietro. La continuità fra fosse nasali
e laringe è interrotta.
C) CERCOPITECO
L’epiglottide incontra appena il palato molle e c’è una interruzione, anche se piccola
nella via aerea fra naso e laringe.
Si può parlare di primitivo rinofaringe (DuBrul).
D) SCIMPANZÉ
Continua la relativa discesa della laringe.
La distanza fra palato molle ed epiglottide
aumenta.
Ridisegnato da: Du Brul, 1958 e Negus, 1965
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LIVELLO MINIMO
La base del cranio umano alla nascita è molto simile a quella della scimmia.
All’età di due anni raggiunge la convessità tipica dell’adulto e per l’ampliamento della
faringe è possibile la fonazione.
Ridisegnato e modificato da: A. Salsa, Ominidi, Giunti Editore, 1999
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no suoni particolari, detti schiocchi, di vari
tipi, in cui la cassa di risonanza, viene variamente utilizzata.
Nel neonato umano, la situazione è molto
simile a quella della scimmia, e tale si mantiene più o meno fino ad un anno e mezzo,
quando l’alimentazione per succhiamento
cessa e l’utilità di poter introdurre liquido e
respirare senza soluzione di continuità non
esiste più. (un neonato quando succhia il
latte, non si arresta per “riprendere fiato”).
Dopo questa età la laringe comincia a discendere.
A due anni, circa, raggiunge una posizione
simile a quella dell’adulto.
In altre parole si può dire che:
– alla nascita il bambino può, come le scimmie succhiare il latte, deglutirlo e “contemporaneamente” respirare.
– a due anni il bambino ha perso questa
capacità, che non gli è più utile, ma anzi
sarebbe di impedimento, perché ora è neurologicamene maturo per passare da una
deglutizione tipicamente infantile, ad una
deglutizione “da adulto” e per cominciare
a PARLARE.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
E) UOMO
Nell’uomo, dopo i due anni di età, la situazione è ben diversa.
La laringe è situata all’altezza della VI vertebra cervicale, e dietro alla lingua esiste
uno spazio orofaringeo relativamente ampio, che è una via comune per l’aria e per il
cibo solido o liquido che sia. È stata perduta la capacità di bere e respirare “contemporaneamente”, ma si è acquisita un’ampia
cassa di risonanza, che permette suoni articolati e complessi.
Quando poi il velo del palato si stacca dalla parete posteriore del faringe, si amplia
ancora di più questo spazio, permettendo
l’articolazione delle consonanti nasali.
Una cassa di risonanza così ampia come
quella umana ha permesso all’uomo anche
l’emissione di suoni, indipendentemente,
dall’emissione di aria, capacità condivisa
anche da altri animali, che possono utilizzarla anche se in maniera più approssimativa e meno finemente articolata.
Questi suoni non sono utilizzati nelle lingue della civiltà moderna, ma esistevano ed
esistono ancora in alcune lingue di culture
in via di estinzione.
Per esempio nelle lingue boscimane esisto-
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Dalla cute al DNA: il progresso della
ricerca scientifica nella comprensione
della sclerosi tuberosa
Dott.ssa Chiara Giannelli, Centro MAVIT Livorno, dott. Emanuele Bartolini, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Pisa,
dott. Stefano Bartolini, Unità Operativa di Neurologia, ASL3
Introduzione
La sclerosi tuberosa (TSC) è una malattia
genetica neurocutanea multisistemica, caratterizzata dalla presenza di amartomi multiorgano, più evidenti sulla cute, sistema nervoso centrale, reni, cuore ed occhi (Barron
et al., 2002). La definizione della malattia si
è evoluta a partire dal XIX secolo sulla base
della osservazione clinica diretta, di studi patologici e dello sviluppo di nuove metodiche
diagnostiche.
Osservazione della cute: come tutto è iniziato
La prima descrizione fenotipica della sclerosi tuberosa risale ad un atlante a colori allegato al “Trattato sulle Malattie Cutanee” del
Dermatologo francese Pierre Francois Olive
Rayer, pubblicato nel 1835. In una delle tavole era raffigurato il volto di un uomo punteggiato da “piccole lesioni vascolari diffuse,
apparentemente di tipo papulare, distribuite
sulla superficie del naso ed intorno alla bocca” definite “vegetation vasculaires” (Rayer,
1835/2003). Rayer non comprese però la natura sindromica e multisistemica del quadro
da lui descritto. Quindici anni dopo ancora
due Dermatologi, Gull e Addison, descrissero
un ulteriore caso al Guy’s Hospital di Londra,
definendolo vitiligoidea tuberosa (Jay, 2004).
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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Verso una definizione sindromica: il tardo
XIX secolo
La prima definizione sindromica di sclerosi
tuberosa si deve a un giovane neuropatologo
tedesco, Friedrich Daniel von Recklinghausen, assistente del grande Rudolf Virchow.
Nel 1862 egli presentò alla Società Ostetrica di Berlino il caso di un neonato decedu-
to dopo “pochi respiri” con diversi tumori
cardiaci, da lui definiti “miomata”, ed un
“gran numero di sclerosi” nel cervello (von
Recklinghausen, 1862 as cited by Curatolo,2003). Probabilmente questi rispettivamente corrispondevano a quelli che adesso
sappiamo essere rabdomiomi cardiaci e tuberi corticali.
Un altro personaggio di fondamentale importanza nella storia della sclerosi tuberosa
fu Desire-Magloire Bourneville. Personalità
poliedrica, nacque in Normandia nel 1840
ed ebbe una formazione medica prestigiosa come allievo di Delasiauve e Jean Martin
Pistoia, piazza San Francesco, monumento ai caduti (particolare)
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Charcot a Parigi (Gomez, 1995). Bourneville
era un giovane medico impegnato nel miglioramento della sanità pubblica e fondatore
della rivista “Le Progres Medical”. Nel 1879
descrisse il decesso di Marie, una ragazza di
15 anni con ritardo mentale, stati epilettici
ricorrenti ed “una eruzione vascolare-papulosa a livello del naso, delle guance, della
fronte”. All’esame autoptico Bourneville descrisse tumori nodulari biancastri, della consistenza simile a patate, che protrudevano
nei ventricoli cerebrali, definendoli “Sclérose tubéreuse des circonvolutions cérébrales”
(Bourneville, 1880/2003). Negli anni successivi ebbe modo di descrivere ulteriori casi
analoghi, riportando anche la presenza di
angiomiolipomi renali, tanto che la sclerosi
tuberosa verrà successivamente definita anche “Sindrome di Bourneville”.
Il parallelismo tra approccio neurologico e
dermatologico alla definizione sindromica
proseguì con l’ ulteriore definizione delle caratteristiche fenotipiche del rash faciale. Nel
1885 i Dermatologi francesi Felix Balzer e
Pierre Eugene Menetrier suggerirono per la
prima volta che tale rash fosse associato ad
un disturbo cognitivo (Balzer & Menetrier,
1885/2003). Nello stesso anno Halloppeau
e Leredde associarono il rash con la presenza di epilessia (Hallopeau & Leredde, 1885).
Poco dopo John James Pringle, Dermatologo
scozzese formatosi tra Edimburgo, Vienna e
Parigi, direttore della sezione dermatologica
della Royal Society of Medicine e editore del
British Journal of Dermatology, fornì un’ulteriore contributo alla definizione sindromica.
Egli interpretò il rash faciale come tumore
benigno delle ghiandole sebacee (nonostante la lesione sia invece di natura angiofibromatosa). La sua importanza nella comunità
scientifica contemporanea fu tale da conferire alla lesione l’eponimo di adenoma sebaceo
di Pringle (Pringle, 1890/1995).
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Il riconoscimento della sindrome
All’inizio del ventesimo secolo fu per primo
Alfred Walter Campbell ad ipotizzare che le
sopracitate manifestazioni facessero parte di
un’unica sindrome (Campbell, 1906/2003).
In seguito, il neurologo tedesco Heinrich Vogt
dette la definizione di “sclerosi tuberosa” e
formulò una triade di criteri diagnostici- epilessia, ritardo mentale e adenoma sebaceo
(“triade di Vogt”)- che, con largo consenso,
avrebbe contraddistinto la sindrome nei decenni successivi (Vogt, 1906/2003). La stretta associazione con questa triade diagnostica
fece tuttavia attribuire alla sindrome una gravità tale che i pazienti venivano considerati
inevitabilmente minorati mentali con severe
disabilità; fu inoltre coniato il termine di epinoia- epilessia e anoia (assenza di pensiero)(Jay, 2004), nonostante fossero stati descritti anche pazienti con intelligenza normale
(“forme fruste”) (Schuster, 1914/2003).
Un nuovo concetto: la facomatosi
All’inizio del ventesimo secolo, nonostante
varie documentazioni della presenza della patologia in tessuti diversi da cuore e cervello,
la sclerosi tuberosa veniva ancora classificata come malattia strettamente neurocutanea.
Fino a quando non prese piede il concetto di
“facomatosi”. Renè Lutembacher fu il primo
a descrivere un caso di coinvolgimento polmonare (la linfoangioleiomiomatosi, complicanza rara che colpisce esclusivamente il
sesso femminile) (Lutembacher, 1918/2003).
Fu inoltre suggerito che la sclerosi tuberosa,
la neurofibromatosi e la Von Hippel-Lindau
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Inizia il ventesimo secolo: approfondimenti
della patologia cerebrale
Nel 1901 il neuropsichiatra italiano Giovanni Battista Pellizzi dette un importantissimo
contributo alla comprensione della neuropatologia della sclerosi tuberosa, intuendo
la natura displasica dei tuberi corticali, che
distinse in tipo 1 (a superficie liscia) e tipo
2 (con depressioni centrali) e segnalando
la presenza di dismorfismi della sostanza
bianca e di eterotopie neuronali (Pellizzi,
1901/2003). Egli pubblicò i risultati delle sue
ricerche in un saggio sulla “idiozia” (ritardo
mentale), conquistandosi così il titolo di Direttore della Clinica Neuropsichiatrica di Pisa
e Preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa. Alcuni anni dopo Gaetano Perusini, già allievo di Alois Alzheimer, riportò
la compresenza di lesioni cerebrali, renali e
cardiache con l’angiofibroma del volto (Perusini, 1905/1995). In dermatologia venivano contemporaneamente segnalati anche fibromi periungueali (Kothe, 1903).
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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potessero essere classificate appunto come
facomatosi, avendo tutte in comune la predisposizione a generare tumori multiorgano
con potenziale trasformazione maligna (Van
der Hoeve, 1932/2003).
Sclerosis Complex)”, basato sul concetto che
la lesione fondamentale è di tipo “hamartial”, con tendenza all’evoluzione simil-neoplastica (amartoma) o francamente tumorale
(amartoblastoma)” (Molteen, 1942/2003).”
Il Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous
Sclerosis Complex: TSC)
Fino agli anni Trenta i principali studi clinici coinvolsero pazienti psichiatrici ricoverati
in istituti. Se da un lato ciò inficiò il riconoscimento delle “forme fruste” della malattia, dall’altro fu tuttavia possibile valutare accuratamente tutta una serie di sintomi
importanti. Nel 1932 MacDonald Critchley
e Charles J.C. Earl descrissero sistematicamente una coorte di pazienti internati in un
istituto psichiatrico con macule ipomelanotiche della cute ed autismo (Chrichley & Earl,
1932/1995). Nello stesso periodo nacquero
le prime tecniche di neuroimaging. I raggi X permisero la visualizzazione di noduli
intracranici calcificati (Marcus, 1924/2003),
mentre la preumoencefalografia rivelò la presenza di noduli subependimali non calcificati (Berkwitz, 1934/2003). Si giunse così, nel
1942, ad opera di E. Molteen, alla descrizione
del “Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous
La contestazione della triade di Vogt
Dopo la definizione del Tuberous Sclerosis
Complex, si dovettero attendere ancora venticinque anni prima che venissero rivoluzionati i concetti della triade di Vogt, che inchiodava le persone con TSC all’inevitabile
destino di sfortunate marionette. Nel 1967
J.C. Lagos e Manuel Rodriguez Gomez pubblicarono un cospicuo numero di casi clinici,
in cui si rilevava una percentuale del 38% di
soggetti con normale intelligenza; inoltre essi
osservarono che il ritardo mentale si manifestava in stretta associazione con l’epilessia
(Lagos & Gomez, 1967). Intanto Perot e Weir
eseguirono i primi interventi neurochirurgici
di resezione di tuberi corticali (Perot & Weir,
1966), mentre con studi più specifici si giunse ad una miglior definizione della epilessia
in sclerosi tuberosa. Nel 1975 Pampaglione e Pugh notarono che il 69% dei pazienti
soffrivano di spasmi infantili (Pampaglione
& Pugh, 1975). Fu però ancora il lavoro di
Pistoia, il “Parterre”
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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
Manuel Rodriguez Gomez a segnare un grande passo avanti nella definizione finale della
sindrome. Divenuto Professore di Neurologia Pediatrica presso la Mayo Clinic di Rochester, egli gettò le basi per la fondazione
del Dipartimento di Neurologia del Bambino
e dell’Adolescente. Nel 1979 pubblicò la monografia “Sclerosi Tuberosa”, che rimase per
più di 20 anni il testo di riferimento in questo
ambito (Gomez & Manuel, 1979). La Tuberous Sclerosis Alliance nel 1995 ha istituito
in suo onore il Manuel R. Gomez Recognition Award.
La nuova era diagnostica
Negli anni Ottanta il progresso in campo
dermatologico migliorò il trattamento e la
qualità di vita dei pazienti con sclerosi tuberosa. L’angiofibroma faciale fu corretto con
successo nel 1982 con il laser ad argon (Ar-
ndt, 1982), mentre gli spasmi infantili avevano assunto ruolo fondamentale (Dulac &
Lemaitre & Plouin, 1984) e le possibilità diagnostiche delle lesioni intracerebrali si erano perfezionate con il recente sviluppo della
tecnica della Risonanza Magnetica (McMurdo et al., 1987). Inoltre, al numero dei tuberi corticali fu attribuito il ruolo di fattore
predittivo della gravità dell’epilessia e del disturbo cognitivo (Roach & Williams & Laster,
1987). Infine venne descritto accuratamente
lo spettro fenotipico della malattia, tenendo
conto della variabilità del coinvolgimento
multiorgano. Fu confutata la triade di Vogt,
con la dimostrazione che epilessia e disturbi
mentali non fossero sintomi necessariamente
presenti; grazie all’evoluzione delle tecniche
diagnostiche la diagnosi divenne precoce ed
affidabile.
Tabella 1
Criteri diagnositici per Tuberous Sclerosis Complex (TSC)
Criteri maggiori
• Angiofibroma faciale o placche della fronte
• Fibromi periungueali o ungueali non traumatici
• Macule ipomelanotiche (almeno tre)
• Placche a zigrino (nevi tessuto connettivo)
• Amartomi multipli nodulari retinici
• Tubero/i corticali
• Noduli subependimali
• Astrocitoma subependimale a cellule giganti (SEGA)
• Rabdomioma/i cardiaci
• Linfangioleiomiomatosi
• Angiomiolipoma renale
Modificata da Roach & Gómez & Northrup, 1998:
TSC definita: Due criteri maggiori oppure uno maggiore e due minori.
TSC probabile: Un criterio maggiore ed uno minore.
TSC possibile: Un criterio maggiore o due criteri minori.
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Minor features
• Punteggiature multiple variamente distribuite dello smalto dentale
• Polipi rettali amartomatosi
• Cisti ossee
• Disordini di migrazione nella sostanza bianca cerebrale
• Fibromi gengivali
• Amartoma/i non renali
• Macchie acromiche retiniche
• Lesioni cutanee a ‘‘confetto’’
• Cisti renali multiple
11
AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
12
I progressi della genetica: dalla fine del XX
secolo verso il futuro
Negli anni ’80 e ’90 del ventesimo secolo gli
studi su gruppi di famiglie misero in rilievo
due sospetti markers genetici, localizzati sul
cromosoma 9- TSC1 (9q34)- (Fryer et al.,
1987) e sul cromosoma 16- TSC2 (16p13.3)
(Kandt et al., 1992). Il gene TSC2 codifica
per tuberina e fu isolato per primo, nel 1993,
mentre il TSC1, codificante per amartina, soltanto nel 1997 (van Slegtenhorst et al., 1997)
(European Chromosome 16 Tuberous Sclerosis Consortium, 1993). La sclerosi tuberosa
fu allora riconosciuta come sindrome autosomica dominante ad elevata penetranza e variabilità; circa due terzi dei casi inoltre furono identificati come sporadici, cioè risultanti
da mutazioni de novo. Le mutazioni di TSC1
e TSC2 vennero interpretate con l’ipotesi del
“second hit”, secondo la quale una mutazione somatica (second hit) di TSC1 o di TSC2
potrebbe sommarsi alla mutazione sistemica
(first hit) dello stesso gene, causando la perdita totale della funzione genica; il “second
hit” potrebbe verificarsi in qualsiasi tessuto,
determinando così i diversi fenotipi clinici.
Diversi gruppi di ricerca hanno investigato le
funzioni di amartina e tuberina, scoprendo
che modulano la cascata mTOR che regola la
proliferazione cellulare e quindi la degenerazione tumorale (Tee et al., 2005).
Conclusioni
Attualmente la sclerosi tuberosa è considerata un disordine neurocutaneo autosomico
dominante caratterizzato dalla compresenza
di amartomi a livello di vari organi. I criteri diagnostici della malattia sono stati aggiornati sulla base della variabilità delle sue
manifestazioni cliniche (Roach & Gomez &
Northup, 1998) (Tabella 1). Ad oggi il trattamento della sclerosi tuberosa è sintomatico
ma, grazie al progresso in campo genetico,
sono in studio nuove possibilità terapeutiche, in particolare quelle inerenti farmaci
che interferiscono con l’ mTOR pathway (es.
rapamicina, everolimus). A 178 anni dai disegni di Rayer sono stati compiuti molti passi
in avanti nella storia della sclerosi tuberosa
che, tuttavia, rimane ancora parzialmente incompresa.
Per i riferimenti bibliografici rivolgersi alla
sede dell’Ordine
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mednews
dalla letteratura internazionale
a cura di Gianna Mannori
La nuova sanità toscana
Come sarà strutturato il nuovo ospedale? Quali saranno i compiti dei medici del territorio? E dove
e come saranno curati i malati?
Il servizio sanitario toscano sta fronteggiando una cesura importante, un evento di riforma che
non ha eguali nella storia recente. Gli ospedali cresciuti negli edifici del Trecento, dalle forme
morbide e rassicuranti centrati nelle piazze e nel cuore delle città, il ‘dottore’ con cappello e borsina che si inerpica a sera per strade impossibili: questa è un’era ormai finita o che sta sfumando,
è un mondo in transizione verso un modello nuovo, in buona parte ancora sconosciuto.
La sanità di domani sarà rivoluzionata nelle sue strutture fisiche, nelle sedi e nei nomi dei reparti e nell’indirizzo degli ambulatori. Ma non sarà solo questo. Sarà diverso il concetto stesso di
offerta sanitaria, il ruolo del medico e perfino l’idea di cosa significhi cura e assistenza.
Le storie raccontate nelle formelle robbiane del nostro ospedale, così capaci di carpire un frammento di sguardo in chi sale, in ansia o nel dubbio, gli scalini del loggiato e, in quell’attimo, così
capaci di rassicurare e tranquillizzare, si riferiscono a concetti di malato e medicina sprofondati
nel passato. La nuova sanità sarà diversa, assumerà una struttura che dovrà confrontarsi con
aspettative di salute e cura cambiate negli anni in modo clamoroso ma anche con profili di risorse umane ed economiche altrettanto nuove.
Il risultato di questo cambiamento è un Leviatano i cui contorni appaiono indefiniti e preoccupanti. Ma è quello che ci toccherà in tempi molto brevi e a cui, ormai, dobbiamo guardare.
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Pablo Picasso, Scienza e carità, 1897, Barcellona, Museu Picasso
13
dalla letteratura internazionale
notizie flash
Il caso Stamina e la
letteratura internazionale
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
14
Una storia italiana che ha
coinvolto gli scienziati di
tutto il mondo. Per due volte in meno di un mese la vicenda Stamina ha occupato le pagine di Nature, una
delle riviste più rinomate
nell’ambito della comunità
scientifica internazionale. I
toni usati in questa circostanza sono stati piuttosto
insoliti per l’asciuttezza
britannica che caratterizza
le sue pagine: toni che non
si erano più sentiti dai lontani anni novanta, quando
la rivista decise di inviare
una commissione speciale
a verificare la correttezza
scientifica di uno dei più
rinomati laboratori di ricerca di Francia. Chi allora
seguì il dibattito sulle basi
scientifiche dell’omeopatia ricorderà che la commissione voluta da Nature
includeva un mago e un
esperto di frodi scientifiche e rammenterà anche
che l’ispezione al centro di
ricerca si concluse con la
sua chiusura. In quel caso,
si volle accertare la veridicità di affermazioni senz’altro
discutibili da un punto di
vista scientifico ma, se non
altro, non dannose. Oggi è
l’Italia a trovarsi sotto esame e i riflettori sono puntati
su trattamenti che gli scienziati ritengono non etici e
pericolosi.
La vicenda ruota intorno
all’uso terapeutico di cellule staminali prodotte dalla Fondazione Stamina. Si
tratta di preparazioni di cellule adulte di tipo mesenchimale, in uso da anni per
trattare pazienti terminali
affetti da malattie degene-
L’idea di una ristrutturazione del
sistema sanitario è nata in Toscana agli inizi degli anni duemila. Le
prime linee guida in merito risalgono al 2003; da allora, i servizi
sono stati oggetto di un dibattito
intenso svoltosi sia a livello regionale che all’interno delle comunità scientifiche e professionali.
Da questo susseguirsi di analisi e
discussioni è emersa una serie di
documenti che, confluiti nel Piano Sanitario Regionale 2008-2010,
hanno delineato la ristrutturazione dei sistemi di cura ospedalieri
e territoriali.
La riforma si prefigge lo scopo di
ottenere un’importante riduzione
di spesa operando un miglioramento di efficienza del sistema sanitario: il risultato finale non dovrebbe essere un impoverimento
dei servizi erogati ma, al contrario, una maggior qualità ed equità. Si tratta di un progetto molto
ambizioso, che riconosce essenzialmente due principi ispiratori.
Il primo ruota intorno alla consapevolezza che i bisogni di cura
sono cambiati profondamente e
l’offerta di sanità deve adeguarsi
a una tipologia di malato molto
diversa rispetto al passato. Il pro-
mednews
gressivo invecchiamento della popolazione comporta l’esigenza di
fornire un’assistenza sempre più
integrata, in grado di far fronte
a quadri di malattia multipli che
coesistono per lunghi periodi di
tempo: le patologie croniche sono
sempre più attuali e l’anziano, colui che ne costituisce il portatore
tipico, è persona bisognosa di assistenza multispecialistica.
Per di più, il raggiungimento di
un livello culturale più elevato ha
aumentato le aspettative di salute
della popolazione e i nuovi servizi
devono essere in grado di offrire
risposte adeguate. Da tutto questo
è nata l’idea di fornire un’offerta
sanitaria che risulti più centrata
sulla persona e sulla complessità
dei suoi bisogni rispetto a quanto
avveniva in passato. Così, il medico non dovrà più lavorare da
solo ma sarà parte di gruppi multidisciplinari in cui si muoveranno professionisti diversi, dotati di
competenze e capacità specifiche.
Da qui si apre il nuovissimo tema
del rapporto fra le professioni sanitarie. In forza di una formazione
universitaria sempre più differenziata e aperta alle figure ausiliarie,
si propone uno schema di lavoro
Pistoia, Ospedale del Ceppo
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mednews
dalla letteratura internazionale
Pistoia, rendering del nuovo ospedale di Pistoia “San Jacopo”
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tica medica. Esisteranno quindi
aree funzionalmente omologhe,
in cui si avvicenderanno figure sanitarie dotate di formazione
specialistica diversa ma accomunate dall’obiettivo di fornire livelli
di cura della stessa intensità. In
tal modo si prevede di ottenere
un miglioramento di efficienza
del servizio ospedaliero, con un
utilizzo più razionale di strutture
fisiche e mezzi tecnologici e un
notevole risparmio di risorse.
Questi due criteri animatori si
esprimono in un sistema di sanità fondato sul cosiddetto ambito
di Area Vasta. In tale tipologia,
le prestazioni sanitarie vengono
erogate non più dalle singole ASL
ma da associazioni di più aziende
che lavorano in comune, appunto
le Aree Vaste. Una volta a regime,
le Aree Vaste in Toscana saranno
tre: Centro (area metropolitana),
Sud-Est, Nord-Ovest.
Ogni Area Vasta sarà caratterizzata da un accorpamento sostanziale
dei servizi, con centri organizzati
secondo il criterio dell’intensità di
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
in cui il medico dovrà rapportarsi quotidianamente con profili ed
esperienze professionali molto
diverse dalla sua. Se, da un lato,
questa proposta implica l’esigenza
di creare strutture fisiche e organizzative completamente nuove,
essa comporta anche la necessità
di produrre un cambiamento culturale importante nella mentalità
di tutte le professioni sanitarie.
L’altro elemento che ha ispirato
la ristrutturazione della sanità è
la ricerca di un maggior livello di
efficienza dell’assistenza ospedaliera.
In linea con quanto è già avvenuto e sta ancora avvenendo
nei sistemi sanitari dei paesi più
avanzati è prevalso il principio di
organizzare i nuovi ospedali non
più per reparti specialistici ma per
aree funzionali. Secondo questo
schema, il malato non accederà
più a settori dell’ospedale dedicati
al trattamento della sua specifica
patologia, bensì ad aree devolute
a fornire l’intensità di cura che è
più adeguata alla sua problema-
rative e da alcune patologie
da accumulo. La maggior
parte di questi pazienti,
gravissimi, sono bambini
piccoli. Fin dall’inizio della
sua attività, la Fondazione
Stamina è stata oggetto di
critiche importanti in merito ai protocolli con cui
procedeva all’isolamento
e alla produzione delle sue
cellule. Si ricorderà, per chi
non ne fosse a conoscenza, che nel nostro paese
l’isolamento delle staminali per scopi terapeutici
è riservato esclusivamente
a laboratori speciali denominati ‘cell factories’.
Si tratta di ambienti molto
particolari, sia per caratteristiche strutturali che per la
tipologia e la professionalità
del personale che vi viene
impiegato; per questo, la
qualifica di cell factory a un
centro di ricerca viene conferita esclusivamente dagli
enti regionali, a garanzia
di provata sicurezza delle
procedure che conducono
a preparazioni di cellule
staminali libere da contaminazioni. Ad oggi, niente
di tutto questo è stato applicato alle Stamina. Preparate non certo in centri accreditati ma da un gruppo
di professionisti itineranti in
vari laboratori distribuiti sul
territorio nazionale – anche a San Marino, dove le
regole sono più liberali che
su suolo italiano – ed inseguite da un procedimento
giudiziario dopo l’altro che
15
dalla letteratura internazionale
invariabilmente provvedeva alla sospensiva della
produzione, queste cellule
derivano da un processo di
isolamento non codificato e
mai reso noto alla comunità
scientifica: costituiscono il
prodotto finale del cosiddetto “metodo Stamina”,
un rituale operativo che non
è stato pubblicato perché,
sostengono i responsabili
della Fondazione, coperto da diritti di brevetto. Gli
stessi obiettivi terapeutici di
queste cellule staminali non
hanno riscontro in protocolli consolidati, perché non
esistono dati in letteratura
che ne supportino l’uso in
clinica. La voce degli scien-
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
16
ziati di tutto il mondo si leva
sconcertata sulle pagine
della stampa: ‘è alchimia’,
è l’uso di pazienti (bambini!) come se fossero cavie
di laboratorio. Come giustamente rileva Nature con tagliente giudizio britannico,
è comprensibile il motivo
per cui il Vaticano ha sostenuto pubblicamente l’uso di
un prodotto tanto indecoroso: l’etica è salva, perché
le cellule Stamina vengono
isolate da soggetti adulti e,
come tali, non comportano
la morte di embrioni. Però,
si fa sperimentazione su
bambini in fin di vita...
Abbott A. 2013. Stem-cell
ruling riles researchers. Nature 495, 28 March: 418.
Smoke and mirrors. 2013.
Nature Editorial 496, 18
April: 269.
cure. Dal punto di vista degli ambienti fisici i servizi, sia ospedalieri che di territorio, non verranno
più erogati rispondendo alla richiesta spontanea di bisogni locali - come è avvenuto fin ora negli
ospedali di Pistoia o di San Marcello - ma attraverso “percorsi”
all’interno di Area Vasta. Non più
ospedalini dappertutto che fanno tutto ma strutture organizzate
secondo complessità e intensità
delle cure. I centri devoluti alla
risoluzione di quesiti diagnostici
o all’effettuazione di specifiche
pratiche terapeutiche lavoreranno “in rete” fra loro e il cittadino,
per risolvere il proprio problema
medico, dovrà fisicamente muoversi in questa rete seguendo un
iter rigidamente codificato. Quando il malato entra in uno di questi
percorsi, è ovviamente necessaria
un’opera di integrazione del lavoro svolto nelle varie tappe del
percorso, nella quale dovrà avere
un ruolo centrale l’infrastruttura
informatica.
I servizi che vengono rivisti più in
profondità sono:
Ospedale e territorio.
I servizi ospedalieri vengono stratificati in Area Vasta su tre livelli
di complessità:
centri d’eccellenza. Sono costituiti dalle aziende ospedaliere
universitarie e gestiscono problematiche mediche e chirurgiche
di alta complessità e alto costo.
Per esempio, la chirurgia ritenuta
“difficile” perché meno frequente
oppure quella che si svolge in ambito molto specialistico.
‘Focussed hospitals’. Sono devoluti alla risoluzione di problematiche a bassa e media complessità.
Possono avere un’organizzazione
ambulatoriale o tipo Day Hospital e avranno una distribuzione
aziendale o interaziendale. Si è
ipotizzato che possano essere so-
mednews
stenute da èquipe mediche itineranti, che si muoveranno a calendario fra i vari centri.
Sedi ospedaliere ASL. Agli attuali ospedali aziendali (ad esempio,
l’ospedale di Pistoia) verranno affidati i casi di base che necessitano di ricovero e che, quindi, non
possono essere trattati in regime
di Day Hospital. Si tratterà, in ampia parte, di casi acuti (le emergenze mediche e chirurgiche, la
traumatologia, ecc.).
Il punto centrale della nuova
strutturazione dell’ospedale è
che la degenza, sia in regime di
ricovero o di Day Hospital, sarà
limitata alla risoluzione della sola
parte acuta della malattia. Tutte le
fasi successive all’intervento medico urgente, come il decorso postoperatorio, l’assegnazione delle
cure domiciliari o la riabilitazione, non saranno più di pertinenza
dell’ospedale (come è tradizionalmente accaduto fin ora) ma
verranno delegate a strutture presenti sul territorio. Queste stesse
strutture saranno anche responsabili di tutte le fasi di accertamen-
New York, Bellevue Hospital Center
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mednews
dalla letteratura internazionale
Tokio, Kosei Nenkin Hospital
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gestire pazienti appena dimessi dal ricovero ospedaliero: dal decorso postoperatorio
all’impostazione della terapia domiciliare e
della riabilitazione.
Di Cure Intermedie: saranno centri dotati di
posti letto per la riabilitazione, le cure palliative, la cosiddetta continuità assistenziale
intraospedaliera per pazienti per i quali non
è possibile una dimissione tempestiva per
motivi sociali o familiari.
Servizio di Emergenza Urgenza
La riforma della sanità prevede un enorme
accentramento del servizio di emergenza in
tre centrali operative uniche, una per Area
Vasta, che gestiranno in via telematica tutta
la rete territoriale di intervento. La struttura
dovrà subire una riduzione di presenze del
medico a favore di un potenziamento del
personale infermieristico e di volontariato.
In particolare, la figura del medico presente
sull’automedica o sull’ambulanza sarà sostituita, dove possibile, da quella di volontari addestrati.
Laboratori (compresi la Genetica, l’Anatomia Patologica e il Servizio Trasfusionale).
Tutte le prestazioni non di routine saranno
centralizzate nelle sedi di Area Vasta. A carico degli ospedali e dei laboratori di azienda
rimarrà solo l’esecuzione degli esami di base.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
to diagnostico, sia clinico che strumentale,
che precedono il ricovero.
Il territorio, quindi, dovrà necessariamente
andare incontro a un’imponente opera di
ristrutturazione.
Anch’esso sarà organizzato per centri:
di Cure Primarie: poliambulatori in cui lavoreranno figure specialistiche mediche e
ausiliarie (principalmente infermieri, farmacisti e fisioterapisti). Il medico di medicina generale dovrà avere il ruolo di coordinatore del lavoro interdisciplinare e, grazie alla “fusione” con il servizio di Guardia
Medica, offrirà una presenza sul territorio
in orario 8.00 – 24.00. Questi centri prenderanno in carico il malato in modo globale, svolgendo opera sia di ambulatorio
che di organizzazione ed esecuzione delle
terapie domiciliari; dovranno anche coordinarsi con i laboratori analisi e con le farmacie per la gestione e la distribuzione dei
farmaci. Saranno responsabili di tutto quello che avviene prima o invece rispetto al
ricovero ospedaliero: dalla diagnosi, anche
strumentale (si prevede di dotare i centri
di una strumentazione diagnostica essenziale, almeno un ecografo), all’esecuzione
di piccole pratiche terapeutiche ambulatoriali. Ma, soprattutto, si occuperanno di
17
dalla letteratura internazionale
Farmaci, ausilii e servizi di prevenzione.
Ci sarà un’ulteriore contrazione della spesa
devoluta a questi settori, con maggior coinvolgimento del medico di medicina generale.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
18
Considerazioni conclusive
Su un tema così importante per complessità e implicazioni ci riserviamo appena due
spunti di riflessione, meritevoli di approfondimenti senza limiti.
Il primo argomento riguarda il concetto di
rete in cui si dovranno integrare ospedali,
territorio e centrali di Area Vasta. Questo richiede la creazione di importanti infrastrutture di sostegno dotate di grande complessità realizzativa. Ad oggi tali infrastrutture
non esistono ed è temibile che la riforma
prenda avvio facendo assegnamento su
mezzi non sufficienti a garantire lo svolgimento dei servizi sanitari essenziali. Un
esempio importante di questo argomento è
costituito dal rapporto fra ospedale e territorio. La riorganizzazione delle sedi ospedaliere prevede che nei nuovi ospedali di
Area Vasta ci sia una riduzione consistente
del numero di posti letto: questi dovranno
passare dall’attuale rapporto di 3.7 per mille
abitanti a un valore di 3.15, con un tasso di
occupazione dei letti superiore all’85%. Si
propone che questa differenza assistenziale
debba essere colmata dalle strutture territoriali, vale a dire dai centri di Cure Primarie
e da quelli per le Cure Intermedie. Queste
strutture attualmente non esistono, saranno sicuramente complesse da realizzare e i
dettagli del loro funzionamento sono ancora da definire.
Una seconda considerazione va riservata al
tema del rapporti fra professioni. Nella nuova ristrutturazione si verificherà un progressivo cambiamento nella figura del medico pubblico, che da unico artefice della
gestione del paziente diventerà membro di
un team di professionisti coinvolti nell’offerta di un servizio integrato. La creazione
di gruppi di lavoro multidisciplinare è cosa
molto complicata e non solo per motivi di
cortile: in particolare, si pone il tema di quale sarà il profilo medico legale del professionista. Fino ad oggi, il medico è sempre
mednews
stato caricato di tutta la responsabilità della
cura del paziente e non è chiaro cosa succederà al momento in cui l’atto diagnostico
o terapeutico verrà suddiviso fra più professionisti. Basti citare, a questo proposito,
l’argomento della responsabilità in pronto
soccorso: in quest’area la fase, delicatissima, di Triage è a oggi affidata a personale
non medico, il cui profilo di responsabilità
è ancora poco definito.
Stesso problema si può porre per quanto
riguarda il servizio diurno e notturno di
emergenza, la cui gestione territoriale dipenderà quasi integralmente da personale
non medico.
Un’ultima considerazione, infine, è da riservarsi al disegno dei nuovi percorsi assistenziali. A fronte di una revisione così radicale dell’erogazione dei servizi, è auspicabile che le procedure cliniche della nuova
struttura sanitaria abbiamo come rigoroso
riferimento le indicazioni fornite dalla ‘evidence-based medicine’, perché è solo in tale
contesto che il medico può trovare la certezza delle proprie possibilità e impostare correttamente il rapporto con il paziente. Nella
rete assistenziale sarà importante definire
linee guida condivise e concordate in base
all’evidenza scientifica, che arrivino a coprire il più ampio spettro possibile di specialità
terapeutiche. Ci si chiede, su questo tema,
quale sarà la linea adottata nei confronti
della medicina complementare, una pratica
medica ad oggi assai diffusa e ben accettadai malati ma non sostenuta dall’evidenza.
Su questi e altri temi sarà opportuno proseguire nella riflessione prima di andare al
varo di una riforma tanto promettente ma
complessa: e incerta negli esiti.
M. Mauri et al. 2003. Principi guida tecnici,
organizzativi e gestionali per la realizzazione
e gestione di ospedali ad alta tecnologia e assistenza. Rapporto conclusivo, supplemento al
n.6 di ‘Monitor’, AGENAS.
AA.VV. 30 tesi sull’ospedale per intensità di
cura. 2007. Toscana Medica.
AA.VV. 2008. Ospedalizzazione per intensità
di cure. Toscana Medica.
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LA MEDICINA DEGLI ALTRI
E allora facciamo qualcosa
Dott. Guido Benedetti, odontoiatra
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in un paese povero” non è altro che “esercizio abusivo della professione”; lo stesso
abusivismo contro cui – giustamente – ci si
indigna qui. Ogni paese ha le proprie regole e
così come un medico straniero non può automaticamente lavorare in Italia, lo stesso vale
anche per noi all’estero. Che si tratti di paesi
poveri o meno non importa. L’ho capito leggendo “Illegal oral care: more than a legal
issue” (Int Dent J 2010).
Oggi mi capita spesso di ricevere messaggi di
questo tipo: “Buongiorno, sono XXX, collega
di YYY. Ho saputo che ti occupi di volontariato all’estero, mi puoi dire qualcosa di più?
A quali associazioni posso rivolgermi? Grazie”. Oppure qualche studente viene a cercarmi dopo le lezioni per lo stesso motivo.
Mi permetto sempre di consigliare un articolo (che facilmente si trova su internet): “Volunteering: beyond an act of charity” (JCDA,
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Nel 2004 avevo conosciuto un’associazione
il cui slogan era “Facciamo qualcosa”… in
Africa.
Partii con loro; e per una decina di giorni stetti a estrarre denti nella clinica di una grande
città equatoriale, assieme ad altri colleghi,
alcuni amici carissimi. Le persone venivano
numerose ogni mattina – con il mal di denti – e noi cercavamo di fare qualcosa, gratis
ovviamente, mettendoci al servizio dei loro
bisogni per il tempo che avevamo deciso di
dedicargli.
Un giorno venne a cercarci un militare: il
figlio di non so quale graduato aveva un
ascesso. Ce lo portarono, saltando tutta la
fila di persone in attesa, e il più esperto tra
noi risolse il problema del ragazzo. Per riconoscenza, quella sera ci invitarono a una
cena di gala per il fidanzamento ufficiale della figlia di un uomo ricchissimo.
Ci andammo e fu una serata che non dimenticherò facilmente per quanto la festa era
sfarzosa. Ma la cosa più interessante fu di
certo quello che vidi fuori dalla villa: mentre
in sud America e in altri luoghi ho sempre
trovato una netta separazione tra i quartieri
dei “ricchi” e gli slum, le baraccopoli, lì era
diverso. Attorno a quella villa si ammassavano catapecchie e ripari di fortuna, a cingerla
come fosse stata un castello medievale con le
sue borgate di contadini disperati e poverissimi tutt’attorno.
Parlandone, qualcuno mi disse: “Ma tu hai
un’idea di quante persone aiuti e faccia lavorare il proprietario di questa villa? E poi,
guarda, se lui è stato capace di fare i soldi,
di guadagnare e di arricchirsi, buon per lui.
Semmai è un modello da ammirare, non da
odiare”.
Oggi non mi capita più di andare a “togliere
denti” a giro per il mondo. Non lo faccio per
molte ragioni; una tra tutte – forse l’ultima a
cui avrei pensato anni fa – è che nove volte
su dieci andare a fare il “dentista volontario
19
LA MEDICINA DEGLI ALTRI
2005). Per me fu illuminante e, nel settore
odontoiatrico, anticipò di molto quello che
soltanto adesso e non senza difficoltà si comincia a capire, a volte: la buona volontà
non basta; saper fare qui non vuol dire saper
fare là; se la nostra odontoiatria qui per prima non riesce a rispondere ai bisogni degli
ultimi non si capisce perché dovrebbe funzionare altrove; e altro.
Al mondo sono più di 4 miliardi le persone
che non hanno accesso ai servizi odontoiatrici; difficile che la soluzione sia quella di
salire su un aeroplano e stivare un container pieno di riuniti (la poltrona del dentista). Non a caso l’Africa è piena di poltrone
lasciate a marcire (e le persone continuano
a confrontarsi con i propri problemi come
possono).
Allora, in genere, sento dire: “Sì, ma intanto
abbiamo acceso una piccola luce nel buio,
una persona in meno avrà mal di denti, abbiamo fatto qualcosa”. Appunto, qualcosa.
Che cosa penseremmo se un dentista svedese venisse a Ferragosto e a Natale in una
periferia romana o in un paese della Brianza
a curare i denti di quelle decine di milioni di
persone che in Italia non accedono ai servizi
odontoiatrici? Che cosa accadrebbe quando
se ne fosse andato via con la sua “astronave”
di attrezzature? Che cosa sarebbe cambiato?
E allora? È tutto sbagliato? No! Al contrario.
Ma di certo possiamo fare qualcosa di più:
possiamo affiancare alla buona volontà le
competenze; possiamo imparare che quando si tratta di mettere in piedi un servizio
odontoiatrico, se vogliamo che sia pertinente, efficiente, efficace, sostenibile, equo, non
bastano attrezzature moderne e clinici esperti, non basta saper raggiungere, per fare un
esempio tra i tanti, il “successo endodontico”. Se bastasse solo questo, allora da molto
tempo saremmo riusciti a risolvere i problemi della bocca e dei denti qui in Italia, primo
tra tutti il mancato accesso ai servizi.
Post scriptum: ho avuto la fortuna di viaggiare e lavorare in 14 paesi con molti amici e
colleghi meravigliosi da cui ho imparato tantissimo. Questo breve scritto non è contro di
loro; semmai per loro. Perché tutti, in qualche modo, mi hanno lasciato “qualcosa”.
www.hearthemsay.com
www.gengiverosse.comunita.unita.it
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L’opinione del presidente
L’Ordine e la certificazione
dei crediti formativi (E.C.M.)
Egisto Bagnoni
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erenza dei crediti conseguiti rispetto al piano
formativo individuale. Tutto questo comporterà la necessità di istituire una Commissione ad hoc per una valutazione che presenta
difficoltà e grossa responsabilità.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Il sistema ECM ha superato il periodo di sperimentazione ed ha assunto l’organizzazione
definitiva che si stabilizzerà nel tempo.Siamo arrivati all’accreditamento dei provider
che hanno conseguito i requisiti richiesti dalla Commissione Nazionale ECM.Sono’ stati
anche istituiti un Osservatorio Nazionale ed
Osservatori Regionali che dovranno vigilare
anche attraverso “site visit”la qualità degli
eventi formativi accreditati.Esiste già un Comitato di garanzia che vigilerà sui possibili conflitti di interesse sulla trasparenza dei
finanziamenti.Il futuro è rappresentato dalla
formazione a distanza che garantirà circa il
70% o l’80% del monte crediti.Anche i crediti
conseguiti all’estero potranno contribuire per
il 50% per l’azzeramento del debito formativo.Attualmente la FNOMCEO ha in programma per il 2013-14 la preparazione di ulteriori
tre corsi FAD sulle cure palliative,sulla terapia del dolore e sulla contenzione.I piccoli
Ordini Provinciali che non hanno le potenzialità di diventare provider potranno fornire
agli iscritti corsi fad blended messi a disposizione gratuitamente dalla FNOMCEO per gli
Ordini che abbiano la possibilità di organizzarli nelle loro sedi.Esiste anche la possibilità
che gli Ordini Provinciali aderiscano al paternariato con la FNOMCEO per l’accreditamento di eventi formativi progettati direttamente
dagli stessi ordini.I piccoli Ordini Provinciali avranno l’accreditamento gratuito per tre
eventi all’anno.A fare data dal primo gennaio 2014 saranno chiamati obbligatoriamente
alla certificazione per gli iscritti dei crediti
formativi conseguiti nel triennio 2011-2013.
Questo comporterà un notevole aggravio burocratico perché non sarà un mero atto notarile di certificazione di crediti registrati sul
portale COGEAPS o sui server Regionali ma
trattasi invece di certificazione che a norma
di legge dovrà garantire la congruità e la co-
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ATTUALITÀ
Tubercolosi a scuola
È ancora fresco il ricordo dell’episodio verificatosi qualche settimana fa alle ‘Civinini Arrighi’
a seguito della notizia di due casi di tubercolosi fra i bambini della scuola. La circostanza, pur
essendo priva di pericolo significativo per la popolazione scolastica, creò preoccupazione nelle
famiglie e il dott. Rino Agostiniani, responsabile del dipartimento materno infantile della
nostra ASL, rese subito noto un comunicato chiarificatore sui rischi che la situazione poteva
comportare. Ne riportiamo, di seguito, i punti salienti.
«Il contatto col germe della tubercolosi non dicano la recente diffusione del germe nella
necessariamente determina la malattia tu- comunità frequentata dal piccolo, la famiglia,
bercolare. Il bambino è poco contagioso, la scuola o altro, perchè la fonte di contagio,
mentre chi infetta
in genere, non
è l’adulto o l’adosono i bambini,
lescente. Il test
poco o per niente
per la ricerca delcontagiosi, ma gli
la malattia deve
adulti e gli adoleessere praticato
scenti.
solo a chi ha avuI bambini con
to stretto contatto
meno di 12 anni,
col malato. Se il
infatti, raramente
test è positivo non
contagiano persignifica necessachè le lesioni pririamente malattia
marie sono piced eventualmente
cole, l’eliminaverranno praticati
zione dei bacilli è
ulteriori accertascarsa e la tosse,
menti.
se presente, è di
A scuola il bammodesta entità.
bino malato può
Questo significa
tornare appena ha
che più che dare
iniziato la terapia
la caccia ai cone/o sono scomtatti col bambiparsi i sintomi clino malato (vedi
nici della malattia.
scuola), bisogneL’infezione tuberrà cercare sopratcolare o la malattutto i contatti
tia tubercolare in
con l’adulto maun bambino inlato».
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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La voce della medicina, dunque, fu forte e chiara: i bambini affetti da tubercolosi non rappresentano un pericolo per amici e compagni, quindi nessuna caccia all’untore. Ma le parole
della scienza non furono abbastanza potenti da arginare l’irrazionalità e la violenza di chi
non sa – e non vuol sapere. Pochi giorni dopo, al mattino, bimbi e maestre lessero attoniti
gli estremi di una scritta razzista e infamante che nella notte qualcuno aveva impresso sui
muri della loro scuola. Di quello stesso edificio che dovrebbe trasmettere messaggi di cultura
e tolleranza…
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LETTERE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera della collega Carla Breschi
È mancato un controllo locale
della situazione
Considerazioni sulla sanità toscana
Dott.ssa Carla Breschi
Medico ospedaliero, consigliere comunale
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Ciò che è accaduto a Massa, forse anche a Pistoia e forse in altre ASL oggetto di indagini, non è del tutto da ascriversi ai singoli protagonisti di queste vicende poco chiare; nel
caso della nostra ASL in causa è Scarafuggi che personalmente non gode né della mia
simpatia né della mia stima.È da ascriversi ad un sistema che è nato male, un sistema
sbagliato.
Permettetemi di fare un salto nel passato; io sono entrata in ospedale nel lontano 85 e
quindi ho potuto vedere dall’interno cosa è accaduto, le modificazioni che si sono succedute.Mi accuserete senz’altro di fare dietrologia ma questo è il mio pensiero, il pensiero
di una “parvenue” della politica, un’ingenua che vi chiedo di perdonare.
In quegli anni era attivo il cosiddetto “comitato di gestione” che, bene o male, rappresentava proporzionalmente le forze politiche in campo. La sensazione era che tutto sommato le cose funzionassero, che si cercasse di salvaguardare Pistoia, anche perché i componenti erano pistoiesi e poteva sussistere un rapporto diretto con i cittadini. L’avvento
della aziendalizzazione delle unità sanitarie locali è stata veramente una “Caporetto”
per la sanità in generale. L’eccessivo verticismo ha creato figure inavvicinabili chiamate
a rendere conto soltanto ai capi regionali.
È mancato quindi un controllo locale della situazione; non sono stati previsti, forse volutamente, enti preposti a questo compito. E da qui è stato possibile tutto; megaincarichi
a figure esterne od istituti esterni perfettamente inutili, creazioni di strutture come cattedrali nel deserto, vedi i magazzini Estav che hanno amplificato la spesa farmaceutica,
peggiorando la distribuzione dei farmaci (l’obiettivo sarebbe stato il miglioramento!);
compravendite assurde, per esempio al tempo di Scarafuggi l’acquisto della ex-lavanderia delle Terme di Montecatini, che non penso rientri nei bisogni logistici della ASL, ma
in giochi più ampi ed oscuri. E l’elenco sarebbe molto lungo.
Si è inoltre creato un sistema di potere locale dentro la ASL a protezione di tutto ciò,
sistema difficilmente scardinabile ed autoreferenziale. E forse anche falsificazioni dei
bilanci, e forse anche ladrocinio? Vogliamo essere fiduciosi e garantisti fino al 3° grado
di giudizio!
Certo non si è pensato molto al bene di Pistoia; e purtroppo devo constatare che anche
adesso Pistoia rimane il fanalino di coda della sanità toscana, mi riferisco in particolare
all’azzeramento attuale della scuola infermieri, perché di azzeramento si tratta checché
se ne dica.
E noi medici succubi del sistema, anche perché il dirigente che assume funzioni primariali deve essere confermato dal potere politico, e ben pochi si avventurano contro. Non
parlo per i politici che secondo me ben conoscono tutto ciò; parlo per il popolo, per i cittadini che è giusto che sappiano la visione dei fatti di chi si trova tutti i giorni in prima
linea e vive con umiliazione lo scempio delle risorse pubbliche.
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letterE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dei colleghi di Bottegone
I Medici di Medicina Generale di Bottegone rispettano l’art.5 del
Codice Deontologico. Le loro determinazioni sulla Centrale Repower.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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Un Gruppo di Medici di Medicina Generale ed un Pediatra di libera scelta di Bottegone
chiariscono la loro richiesta, rivolta al Sindaco di Pistoia, espressa in una Assemblea
pubblica, a proposito della prossima costruzione, nel loro territorio, di una Centrale termoelettrica cogenerativa a gas naturale e del possibile impatto sullo stato di salute dei
propri assistiti. Nei loro ambulatori affluiscono circa novemila assistiti di tutte le età,
tutti residenti nelle immediate vicinanze del sito (ex Radicifil) in cui dovrebbe insediarsi
la nuova Centrale a metano della Repower. Sottolineano che, adiacente a questa, insiste
un sistema di depurazione per rifiuti liquidi speciali (Biodepur).
Sono tutti medici che lavorano sul territorio e che, sia per il numero che per la distribuizione dei pazienti, sono in grado e, soprattutto, sentono il dovere di poter valutare e salvaguardare lo stato di salute attuale di coloro che saranno chiamati, in maggior misura,
ad affrontare gli eventuali ulteriori effetti di inquinanti ambientali e del cambiamento
del microclima: tutto ciò potrebbe manifestarsi in seguito all’insediamento della nuova
centrale. Premettono che non hanno elaborato statistiche o numeri e dati documentati
da fornire dei loro pazienti, ma sono in grado di avere preoccupazioni e perplessità,
derivate dall’analisi dei dati esistenti sulle loro cartelle informatiche e dal confronto professionale con i dati di colleghi di altre zone della provincia e della Toscana. Temono che
l’INCIDENZA di alcune patologie (neoplasie, malattie a carico dell’apparato respiratorio,
asma e BPCO, e malattie endocrine, specie a carico della tiroide) risulti assolutamente
maggiore nel territorio di Bottegone rispetto a quelle dei colleghi di confronto.
A queste preoccupazioni si aggiungono quelle derivanti dalla Relazione sanitaria dell’ASL
3, per l’anno 2011, che ha evidenziato l’aumento di alcuni tumori nel loro territorio.
Le ricerche li portano a dare particolare importanza alle emissioni di biossido di azoto,
che la centrale produrrà: 180 tonnellate di NO2 all’anno, che possono trasformarsi in
polveri fini ed ultrafini(PM10, PM2.5 ed inferiori), che andrebbero ad aggiungersi a
quelle ora prodotte nella città di Pistoia, che rappresentano, queste ultime, 1/6 all’anno,
rispetto a quelle che verrebbero prodotte a Bottegone dalla Repower.
Per l’ossido di azoto, le PM10, PM2.5 e le nano particelle, emesse da una Centrale cogenerativa a gas naturale (metano), non è mai stata dimostrata la “non nocività” per la
salute, né si trovano conferme nella letteratura scientifica.
Pure la fragilità del territorio contiguo, Agliana e Montale, dove opera un inceneritore,
del quale verranno studiate le ricadute sulla salute con un’indagine epidemiologica sui
residenti e zone confronto, nonché i dati della centralina, posta in località Stazione di
Montale, a pochi chilometri in linea d’aria da Bottegone, che ha già evidenziato 25 sforamenti per le PM10, da inizio anno 2013, destano preoccupazione.
Infine un recente lavoro scientifico, pubblicato su European Journal of Internal Medicine,
ha evidenziato che gli ossidi di azoto e le PM10, emesse da una Centrale a gas naturale,
rappresentano una potenziale minaccia per la salute delle persone che vivono vicino alla
Centrale. Si è evidenziato che le concentrazioni medie di PM10 e NO2, dopo solo tre mesi
di funzionamento di una Centrale a gas naturale, localizzata in Italia (Modugno, BA),
sono risultate superiori a quelle antecedenti alla sua entrata in funzione.
Per tutte le considerazioni precedenti, i Medici di famiglia di Bottegone si sono rivolti
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LETTERE
al Sindaco di Pistoia, Samuele Bertinelli, che indicano, per mandato istituzionale, di
doversi far carico della salute dei cittadini, con responsabilità maggiori di quelle del Direttore Generale di ASL3, del Direttore di ARPAT, e di qualsiasi altra Autorità in campo
sanitario.
Hanno chiesto:
a: che si possa attuare un serio studio epidemiologico sullo stato di salute dei cittadini
di Bottegone.
b: che siano installate centraline fisse per la rilevazione del livello di inquinanti nell’aria
(in particolare le polveri sottili), almeno una nella zona di Bottegone ed una in Città.
Sentono il dovere, proprio in qualità di Medici, di chiedere che tale studio e tali rilevazioni “siano effettuate prima di ogni decisione definitiva in merito alla Centrale Repower”, in modo di poter valutare compiutamente l’impatto, positivo e negativo, sul loro
territorio.
Concludono affermando che la salute dei loro assistiti non è un bene negoziabile.
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passato e presente
LA CITTÁ IMMAGINATA
Piazza San Francesco (prima parte)
Pierluigi Benedetti
D’abitudine, camminando per le mie strade, cerco di immaginare su che cosa sto posando i piedi in quel momento.
Per Via Curtatone e Montanara galleggio
sull’acqua del primo fossato della città e
toccando con le dita le pietre delle Mura,
sfioro le mani ruvide di chi cavò quei sassi
dall’Ombrone e li mise in opera.
Negli spazi moderni, con fantasia audace
e presuntuosa, vedo i luoghi antichi e ricostruisco con la mente la vita dei miei avi.
Ricordandoli vivi, mi pare di rendere loro
giusto onore di figlio.
C’era una volta un gran prato nel luogo, in
cui oggi si apre Piazza San Francesco; e di
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L’ETÀ ANTICA
Era un prato immenso, aperto, in leggera salita verso i monti; e, a primavera nei giorni
di sole, doveva essere un posto meraviglioso,
verdissimo per l’erba nuova e pieno di fiori.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Pistoia, PIazza San Francesco
quel prato, in queste righe, seguirò le immaginate vicende da prima che vi fossero gli
uomini, ed i soli abitatori del prato erano gli
uccelli del cielo e gli animali del bosco, fino
a quando “la fortuna volse in basso l’altezza”
dei Romani ed iniziò per le nostre terre l’età
del ferro e del fuoco.
Nel prossimo numero del Bollettino proseguirà l’immaginata storia, che sia detto un’altra
volta, è di pura fantasia, o quasi.
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passato e presente
Pistoia, la fontana dello Specchio
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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Esisteva da tempo immemorabile, molto prima che gli uomini abitassero le nostre contrade; perché gli alberi del bosco di cerri e
di pini, rigogliosi e fitti sulle rive dell’antico
lago, non potevano allignare in quel luogo
per la troppa umidità del suolo; e lasciavano aperta una vasta conca erbosa fra l’ultima
propaggine dei colli e un poggio affacciato
sul lago.
Il poggio era limitato ad est da un fiumicello,
che i futuri abitatori di quei luoghi avrebbero
chiamato Brana.
Per vasto tratto il prato digradava da occidente ad oriente con leggera pendenza, divewww.omceopistoia.it
passato e presente
nendo un ripido ciglione erboso sul fiume; e
l’acqua, che affiorava fra l’erba da tanti pollatrini, piccole risorgive, particolarmente ricche nella stagione delle piogge, si raccoglieva
in pozze e ruscelli.
Nel prato vivevano molti animali e numerosi
erano i nidi degli uccelli del lago fra le canne
ed i ciuffi di giunchi.
Di tutta l’acqua di quel mondo incontaminato e primevo, rimane oggi un miserevole
segno: una fontana, il cui nome ricorda l’infanzia ai più anziani fra i lettori: la Fonte dello Specchio, che forniva alla città la migliore
di tutte le acque da bere ed era meta ogni
giorno di numerosi Pistoiesi, che andavano
a quella fonte per approvvigionarsene. Fino
a non molti decenni fa quell’acqua, dalla sua
nicchia di pietra, appartata e nascosta, quasi una piccola grotta nel poggio coltivato a
ulivi sopra la Brana, sgorgava abbondante e
perenne, freschissima d’estate; oggi è ridotta
ad un debole rivolo e la sua vista, per chi la
ricorda com’era, fa stringere il cuore: sepolta
fra le moderne costruzioni, sfregiata da un
cartello rugginoso quasi illeggibile, che ne
indica la non potabilità per il grave inqui-
namento della falda, stravolta dai moderni
sbancamenti edilizi.
Genti venute forse dalla parte del mare, stabilirono la loro dimora su quel poggio e alcuni secoli prima della nostra era, nel luogo,
che corrisponde oggi a Piazzetta Romana e
a Piazza dello Spirito Santo, crebbe un villaggio.
Il posto si prestava bene per un insediamento umano: l’altura poteva essere facilmente
difesa, il lago e il bosco permettevano un
buon approvvigionamento di cibo; e in riva
all’acqua, che nel tempo lentamente andava
riducendo la sua estensione, c’era ottima terra coltivabile.
Nel III secolo avanti Cristo, il villaggio era divenuto una piccola città, difesa da un fossato
e da un muro, che a settentrione si affacciava
sul prato.
La strada, che usciva da quella porta delle
mura e andava verso i monti, iniziava nel
luogo oggi corrispondente più o meno all’inizio di Via Curtatone e Montanara e di Via
Abbi Pazienza. Tagliava diritta attraverso
l’erba ed era accompagnata per un bel tratto
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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passato e presente
Battaaglia di Canne, Roma, Musei Capitolini
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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dalla grande gora d’acqua dell’Ombrone, che
alimentava il fossato delle mura.
Dal prato un viottolo scendeva alla riva della
Brana, una quindicina di metri più in basso,
dove il fiume diveniva una piccola palude,
che si poteva attraversare con una barca, arrivando ai prati e ai campi dell’altra sponda,
aperti fino ai colli.
Dall’alto ciglio del prato, facendo correre lo
sguardo verso est lungo le mura, che seguivano il dislivello della riva, si poteva scorgere una lingua di terra fra la piccola palude
della Brana e un grande lago esteso fin dove
giungeva lo sguardo; e, sull’argine fra le due
acque, una strada, si dirigeva a oriente, costeggiando il lago.
Era stato il Rio Diecine, un torrente, affluente
nella Brana più o meno nel luogo dove oggi
si apre Piazza San Bartolomeo, a formare
quella striscia di terra con i detriti portati dai
monti.
Ad occidente del prato, oltre i campi e la vegetazione selvatica, il profilo dei colli segnava l’orizzonte; il passo di Serravalle era una
semplice sella delle alture: il castello e le torri
erano di là da venire.
Erano tempi da noi tanto lontani ... o forse
no ? Si tratta soltanto di una ottantina di generazioni: basta pensare al nonno del nonno,
del nonno, ecc…, per una trentina di volte, e
ci si ritrova in famiglia.
In quegli anni, quando un viaggiatore proveniente dalle terre del nord si affacciava al crinale dei monti e guardava a meridione, se la
stagione era buona e l’aria chiara, vedeva nel
verde del piano una piccola città, sulla riva
di una luccicante distesa d’acqua fra campi
variegati per le diverse colture e macchie di
boschi. Disceso al prato, già ammaliato dalla
bellezza dei luoghi, arrivava alla porta ed entrava in città per il ponte sul fossato, udendo
insieme al rumore dei suoi passi il mormorio
delle cascatelle per le quali l’acqua arrivava
alla Brana.
E chi, nato nella città, doveva andar lontano al di là dei monti, a cercar fortuna o soldato comandato in battaglia, il mormorio di
quell’acqua e il verde del prato erano gli ultimi ricordi della piccola patria, che portava
con sé.
Nel corso dei secoli parecchi eserciti scelsero la via della Collina per scendere a sud e
più che al paesaggio si interessarono all’importanza strategica della città, perché chiaramente il luogo era forte, da prendere e tener
con le armi, a difesa della via dei monti e della strada, che da Fiesole andava verso il mare
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passato e presente
È probabile che, nel maggio del 217 a.C., i
soldati di Annibale la descrivessero come sopra si è detto, al loro generale, impedito nella
vista da una grave congiuntivite, che lo rese
cieco da un occhio, quando, venendo dalla
Valle del Po, giunsero al crinale, stremati da
una marcia faticosa attraverso le valli appenniniche.
Discesi al piano, non si fermarono. Annibale
sapeva che il tempo giocava a favore dei nemici in agguato lungo la via di Fiesole; e, per
non rischiare l’esercito, ordinò che si passasse attraverso terreni allagati: era piovuto
molto in quella primavera e il lago aveva più
acqua del solito. Fu una durissima marcia,
nella quale perirono molti uomini e morì
l’unico sopravissuto degli elefanti, che avevano valicato le Alpi: Surus, il migliore fra
tutti gli elefanti da combattimento, come ci
tramandano gli antichi scrittori.
Dopo la fine dell’avventura di Annibale,
che cambiò il destino di Roma e dell’Italia,
e quindi del mondo, Pistoia fu rifondata dai
Romani, e nel giorno dell’equinozio di primavera, di un anno intorno al 189 a.C., un
Augure tracciò in terra il segno del corso del
sole da oriente a occidente e su quel segno,
che corrisponde alla moderna Via degli Orafi, la città fu definita nei confini urbani e nel
reticolato delle antiche vie parallele e ortogonali fra loro, di cui rimangono tracce ben
apprezzabili nella città moderna.
Di Pistoia si parla pochissimo nella storia di
Roma, segno che i Pistoiesi di quegli anni ebbero una vita oscura, tranquilla e ordinata.
Soltanto nel 62 avanti Cristo un avvenimento importante rese noto al mondo il nome di
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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
Impronta di sandalo di legionario romano tratta da N. Rauty, Il
Palazzo dei Vescovi, vol. II, 19..
Pistoia, tanto da scomodare Cicerone, Sallustio ed altri scrittori. Nel suo territorio fu distrutto l’esercito di Catilina, e, forse proprio
nel nostro prato, i superstiti della sfortunata
rivolta si raccolsero, negli anni successivi,
per ricordare ed onorare la memoria del loro
capo, caduto da eroe sul campo.
Durante gli anni del potere di Roma, infatti,
il prato fu un’estensione del territorio urbano, giardino forisportam per la città, campo
marzio, luogo di mercato e di ritrovo per i
cittadini: le mura delle città d’Italia, fino a
quando i confini dell’impero furono lontani
diverse centinaia di chilometri, ebbero più
importanza come limes amministrativo che
come baluardo militare.
Il prato, in quegli anni, conobbe anche la vita
umile degli ultimi e le inenarrabili fatiche degli schiavi, che, in quel luogo ricco di acqua
corrente, lavoravano alla concia delle pelli e
nelle tintorie, invidiosi della pur miserrima
vita degli schiavi addetti ai lavori dei campi.
Fu testimone del continuo via vai delle milizie adibite al controllo delle strade, per rendere sicuri i viandanti e i commerci.
Si trattava di numerosi soldati perché la giurisdizione di Pistoia era molto vasta, arrivando a nord al di là degli Appennini, ed a sud
oltre i colli di sotto, al di là del padule di
Fucecchio fino all’approdo di Massarella, da
dove partiva una strada verso Roma. La moderna Diocesi Vescovile, modellata sulla divisione territoriale romana, ripete molto più
fedelmente della Provincia, quei confini.
Di tutti quei soldati è rimasto ben poco: l’impronta di un sandalo chiodato da legionario
su di un mattone, conservato nei sotterranei
del Palazzo dei Vescovi.
Non credo che quel soldato abbia pestato
per caso o per gioco l’impasto fresco del laterizio: m’immagino che stesse partendo con
la sua centuria, per il confine della Scizia o
della Libia, e volesse, in quel modo, lasciare
un segno, una firma durevole su un pezzo
della sua città; e vedo, nella mia mente, il
fornaciao, che cosse e conservò il mattone in
ricordo dell’amico che quasi certamente non
avrebbe mai più incontrato.
Non è impossibile che la fornace, dove fu cotto quel mattone, fosse nel nostro prato, dove
l’acqua per impastare l’argilla non mancava
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passato e presente
nemmeno nei giorni più caldi dell’estate.
Anche, se una parte della prateria, in quei
tempi, era destinata a varie manifatture e
ad attività commerciali, vasto era lo spazio
che rimaneva aperto sul fiume; e nelle tepide serate di primavera
diveniva luogo di passeggiate e di incontri;
e per i ragazzi di allora l’erba ed i cespugli
erano terreno di giochi.
Orazio, in una delle Odi
più famose invitava, se
mai ce ne fosse stato bi-
sogno, i giovani di Roma ai giochi ed ai convegni d’amore al calar della sera, nei prati
lungo le rive del Tevere.
Non credo che, nei prati lungo le rive della
Brana, quando al tramonto le rondini radevano l’acqua e le ombre
si allungavano, le cose
andassero diversamente:
gli amori e i giochi dei
giovani, nella primavera
della vita, sono sempre
stati, e sono gli stessi, in
ogni tempo e sotto tutti
i cieli.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
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L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA
Guercino e la scuola emiliana fra Sei e Settecento
Art Defender, società finalizzata alla custodia, conservazione e restauro di beni di pregio, ha
ospitato nella sua sede di Bologna una straordinaria mostra dedicata a Guercino e alla scuola
emiliana fra Sei e Settecento, con una selezione di capolavori provenienti dalla Pinacoteca
Civica di Cento e ricoverati presso i suoi depositi a seguito del sisma dello scorso maggio.
A sostegno dell’arte, della conservazione dei valori e della storia che essa rappresenta, Art
Defender ha ideato quest’iniziativa che, oltre a permettere a collezionisti e amanti dell’arte
di ammirare tali capolavori, ha rappresentato un momento di sensibilizzazione verso uno
dei Comuni maggiormente colpiti dal terremoto e verso la sua Pinacoteca Civica, rimasta
gravemente danneggiata e attualmente inagibile.
Coloro che fossero interessati a sostenere la ricostruzione della struttura museale potranno
far pervenire una donazione mediante bonifico su conto corrente bancario intestato a:
COMUNE DI CENTO - SERVIZIO TESORERIA
CODICE IBAN: IT 02 N 06115 23415 000000003640
Causale: Restauro della Pinacoteca
Guercino, Madonna con bambino, 1629, Cento, PInacoteca Civica