Bollettino n. 24 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della
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Bollettino n. 24 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della
Rivista di informazione medica n. 24 aprile 2013 Quadrimestrale - Anno VIII - n° 24 - aprile 2013 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia La voce dell’ordine di Pistoia COMUNICAZIONI CONSULENZA LEGALE Sul sito dell’Ordine www.omceopistoia.it, nei Links Utili alla voce Avvocati – Proposta agli iscritti è stata pubblicata la proposta, riservata a tutti gli iscritti all’Ordine, presentata dallo Studio Legale ALIANI SODERI. Inoltre a partire dal prossimo maggio ogni giovedì, dalle ore 12 alle ore 13, previo appuntamento, sarà a disposizione degli iscritti un Legale dello studio ALIANI SODERI. IMPORTANTE Si ricorda agli iscritti di comunicare tempestivamente alla segreteria ogni variazione di residenza, numeri telefonici ecc. e il conseguimento dei titoli di specializzazione, master, dottorati di ricerca ecc. Si ricorda che in ottemperanza alla legge n. 2/2009 i professionisti iscritti ad albi ed elenchi istituiti con legge dello stato, comunichino ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Le eventuali inadempienze o negligenze derivanti dall’aver trascurato tale obbligo espongono l’interessato, oltre alle sanzioni previste dalla legge, anche al rischio di non essere adeguatamente informato di adempienze che lo riguardano direttamente. Si comunica agli iscritti che gli uffici della Segreteria dell’Ordine resteranno chiusi per la pausa estiva dal 5 al 24 agosto 2013 compresi APERTURA ESTIVA DEGLI STUDI ODONTOIATRICI I professionisti il cui studio rimane aperto almeno 10 giorni nel mese di agosto contattino, se interessati, la Segreteria dell’Ordine (tel. 0573/22245 – fax 0573/23341 – e-mail: [email protected]) fornendo le date di apertura (senza specificare gli orari) entro e non oltre il 5 luglio p.v. Sommario 1 • editoriale I giovani e la partecipazione al dialogo con le istituzioni 3 • AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Sindrome delle apnee del sonno e obesità 5 • livello minimo n. 17 Nota antropologica sul linguaggio 8 • AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Dalla cute al DNA: il progresso della ricerca scientifica nella comprensione della sclerosi tuberosa 13 med-news dalla letteratura internazionale • La nuova sanità toscana 19 LA MEDICINA DEGLI ALTRI • E allora facciamo qualcosa 21 L’OPINIONE DEL PRESIDENTE • L’Ordine e la certificazione dei crediti formativi (E.C.M.) 22 ATTUALITÀ • Tubercolosi a scuola 23 • • LETTERE È mancato un controllo locale della situazione. Considerazioni sulla sanità toscana I medici di Bottegone rispettano l’art. 5 del codice deontologico 27 PASSATO E PRESENTE • La città immaginata. Piazza San Francesco (prima parte) Copertina: Autore ignoto, Il prato di San Francesco, sec. XIII, Pistoia, Museo Civico Quarta di copertina: Pistoia, chiesa di San Francesco La voce dell’ordine di Pistoia Bollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno VIII n. 24 – aprile 2013 Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione Niccolai Reg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti EDITORIALE Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia I GIOVANI E LA PARTECIPAZIONE AL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI Come mai i giovani non partecipano? Le associazioni professionali, le società scientifiche, gli Ordini stessi sono gestiti quasi esclusivamente da persone con età compresa fra i 55 e 65 anni senza una presenza significativa dei giovani. Non esiste praticamente dialogo fra le generazioni di professionisti per la mancata partecipazione dei giovani che comporta la mancata acquisizione della necessaria conoscenza dei problemi. Il disagio aleggia su tutti i medici ma sicuramente con caratteristiche diverse e per ragioni diverse. I problemi dei professionisti strutturati negli Ospedali o nel territorio sono ben diversi da quelli dei giovani che vivono la mancanza di tutele e di sicurezze. Senza il dialogo non si realizza nessuna collaborazione e trasmissione di esperienze. Il loro rifiuto ad ogni partecipazione è comprensibile ma non certo utile a programmare il loro futuro professionale. Credo sia compito nostro, cioè di coloro che hanno responsabilità negli Ordini, di cercare di avvicinare i giovani iscritti per capire prima di tutto il loro stato d’animo, la loro opinione su quello che percepiscono del mondo professionale, una realtà caratterizzata da precariato, criticità, mancanza di tutele in campo lavorativo, sia giuridico che previdenziale. Ad oggi manca un osservatorio adeguato che permetta di conoscere in ogni aspetto la condizione professionale giovanile e che permetta di condividere strategie atte a dare prospettive a chi si affaccia nel mondo della professione. Non conosciamo le loro valutazioni, le aspirazioni e le loro richieste per potersi integrare nella gestione delle istituzioni. Sembra quasi che i giovani siano interessati prevalentemente alla preparazione tecnico scientifica per acquisire le migliori competenze trascurando il campo della deontologia. Sarebbe utile individuare EDITORIALE coloro che mostrano un certo interesse al dialogo ed indurli ad avvicinarsi alle istituzioni per prendere gradualmente le redini della loro professione e per diventare veri professionisti. Esistono alcune esperienze preziose in seno alla componente femminile della professione per avere gestito con successo le commissioni delle pari opportunità. Oggi la componente femminile è prevalente nella professione e quindi dovrebbe risultare facile trasferire le esperienze maturate nella medicina di genere nella gestione della professione in generale. Proviamo ad iniziare un percorso di incontri, anche a piccoli gruppi, con giovani volenterosi per conoscere le loro esigenze e condividere strategie per renderli protagonisti nella gestio- ne del loro destino. Dal canto nostro dovremmo chiedere e proporre e prendere in considerazione le loro esigenze e le loro aspettative. Se davvero vorranno aprirsi al confronto assumendo responsabilità, con i relativi sacrifici, potranno diventare i protagonisti di un cambiamento importante che riguarderà tutti gli aspetti della professione. La formazione universitaria potrà diventare più aderente ai bisogni della società attuale ed anche la formazione post laurea potrà abbandonare il ruolo di parcheggio per i giovani in attesa di una sistemazione lavorativa e diventare la migliore opportunità per riqualificare il ruolo del medico. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 2 www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Sindrome delle apnee del sonno e obesità Ione Niccolai www.omceopistoia.it Il diaframma diminuisce la sua contrattilità, ma particolarmente in posizione supina è spinto verso l’alto con netta diminuzione dei volumi polmonari. Secondo alcuni autori, il grasso viscerale causa anche aumentata attività dei muscoli respiratori, con produzione di pressione negativa e collasso delle vie aeree superiori durante la fase inspiratoria. Molto importante per predisporre alla sindrome è anche la circonferenza del collo. C’è comunque un aumento grande del lavoro respiratorio con ovvia fatica che porta inevitabilmente a ipoventilazione, ipossiemia e ipercapnia cronica. Questo ha evidentemente importanti e gravi ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio con patologie multiple, ipertensione, ischemia cardiaca cronica, ma anche su tutta la funzione metabolica dell’organismo. È noto d’altronde che l’obesità, di per sé, causa cronicamente ipoventilazione alveolare e ipercapnia (PCO2 sup a 45mmHg) anche durante lo stato di veglia indipendentemente da altre condizioni di ipoventilazione. L’obesità, poi, associata a sindrome delle apnee ostruttive del sonno causa un enorme aumento del lavoro respiratorio, insufficienza dei muscoli respiratori e grande aumento di tensione arteriosa di CO2 durante ogni apnea o ipopnea, fino a livelli perennemente elevati con acidosi cronica e aumento dei bicarbonati. Va inoltre segnalato che la PaCO2 aumenta progressivamente durante la notte con la ovvia diminuzione del PH. In questa situazione il rene diminuisce la sua escrezione per tamponare la caduta del PH. Se poi il bicarbonato accumulato durante la notte non è eliminato durante il giorno, si crea un circolo vizioso fino ad avere un bicarbonato tanto alto da deprimere la ventilazione, causando ipoventilazione ed ipercap- LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è una patologia caratterizzata da Apnee Ostruttive e Ipopnee dovute all’improvviso collasso delle vie aeree durante il sonno. È una patologia discretamente frequente, non sempre correttamente diagnosticata, spesso sottovalutata e fonte di complicanze anche gravi come aumento del rischio di patologie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e mortalità. Quindi importantissimo, è non solo precisarne la diagnosi ma anche la gravità, una diagnosi che è prevalentemente strumentale. Se c’è, infatti, un sospetto è determinante lo studio polisonnografico del paziente durante il sonno che registra, oltre agli atti respiratori, anche i livelli di ossigeno nel sangue e la frequenza cardiaca. La diagnosi di OSAS è confermata quando si verificano più di cinque episodi l’ora o comunque più di trenta durante la notte. È tipicamente una forma ostruttiva ed è caratterizzata dal blocco del passaggio dell’aria nonostante la persistenza di movimenti della parete toracica. Importantissimo è spiegare al paziente tutti i fattori di rischio della sua condizione e le motivazioni della terapia indicata, sia farmacologica che strumentale e comportamentale. Va chiarito bene, infatti, che questa patologia è un fattore di rischio anche grave ma modificabile. La terapia strumentale con apparecchi a pressione positiva continua o con altri presidi e i farmaci prescritti non possono prescindere da una decisa modifica dello stile di vita del paziente. Quasi tutti i portatori di questa sindrome, infatti, sono sovrappeso e spesso francamente obesi. L’obesità è soprattutto viscerale con effetti devastanti sulla respirazione. 3 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO nia cronica continua. Importanti anche le alterazioni metaboliche che si determinano in questa situazione clinica: l’ipossia cronica, infatti, determina alterazioni cellulari multiple con deficit di secrezione ed efficacia dei modulatori neuro ormonali. Tra questi, da moltissimi autori è considerata importante la leptina, secreta normalmente dalle cellule del tessuto adiposo, e da molti autori considerata implicata nella patogenesi di questa patologia. Questo ormone nei pazienti obesi è presente LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 4 in concentrazioni molto alte con resistenza documentabile agli effetti metabolici della leptina stessa. Nella sindrome delle apnee del sonno la leptina è ancora più alta con un grado di resistenza ancora maggiore, con tutti gli effetti negativi che questa situazione può provocare. Si ricordano gli effetti pro trombotici della leptina, che sarebbero mediati dal recettore piastrinico della leptina. Suggestiva la rilevazione che la terapia con CPAP riduce i livelli di leptina. Pistoia, Chiesa di San Francesco www.omceopistoia.it LIVELLO MINIMO Scheda DI livello minimo N° 17 Pierluigi Benedetti NOTA ANTROPOLOGICA SUL LINGUAGGIO Situazione anatomica della scimmia Nelle scimmie più primitive la laringe è posta molto in alto, rispetto al rachide cervica- www.omceopistoia.it le (I-III vertebra cervicale) e la sua posizione non cambia dopo la nascita. Con questa disposizione l’epiglottide, che, quando è in condizioni di riposo, arriva a livello della parte più bassa del palato molle, può escludere la comunicazione fra cavo orale e rinofaringe, cioè l’epiglottide, quando il velo del palato è abbassato, funziona come una valvola di deviazione fra rinofaringe e cavo orale. La scimmia può, quindi, respirare ed inghiottire liquido “contemporaneamente”, o meglio alternando i due atti fisiologici senza soluzione di continuità. Anche in scimmie più evolute lo spazio orofaringeo è molto ridotto ed i suoni emessi dalle corde vocali non possono essere modificati, prima di entrare nella cavità orale, la quale, in pratica, viene ad essere l’unica cassa di risonanza della voce. Il solo modo, in verità molto limitato, per modulare i suoni è affidato al grado di apertura della bocca ed alla muscolatura delle labbra, delle guance e della lingua. Tutti hanno visto le smorfie di una scimmia quando emette suoni. Queste smorfie, che come si è detto sono il solo modo della scimmia per modulare i suoni prodotti dall’aria passata attraverso le corde vocali, vengono utilizzate come forma di comunicazione visiva integrante il messaggio che l’animale vuol trasmettere ai suoi simili o ad altri esseri viventi. Per esempio per dimostrare rabbia, gioia ecc. Si consideri quanto sia importante questa forma di comunicazione non verbale, anche nell’uomo, specie in quel periodo fondamentale di formazione della psiche, che va da zero anni, quando il bimbo non parla (in-fanzia: in = non + fans :ϕημι: parla- LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Phillip Tobias, l’antropologo, che, forse più di ogni altro ha studiato gli Ominidi, vide, per primo, nell’acquisizione del linguaggio la differenza sostanziale fra scimmia e uomo ed, oggi, questa viene accettata come l’ipotesi scientifica più verosimile e produttiva. Se, quindi il linguaggio definisce l’uomo, tralasciando al momento tutti gli altri aspetti del problema, ci si può chiedere se è possibile sapere: “Quando hanno cominciato a parlare gli ominidi?” Non è facile rispondere a questa domanda con precisione, ma la moderna antropologia ha stabilito alcuni punti fermi, sulla base dei quali si possono formulare ipotesi interessanti. Alcuni ricercatori hanno osservato il problema da un angolo differente. Cioè si sono chiesti:“Perché le “scimmie” non parlano?” L’antropologo George Washingthon Cornel affermò, in maniera scherzosa ed provocatoria, che “l’unica ragione per cui una scimmie non parlano, è perché non hanno niente da dire”. C’è una profonda verità alla base di questo. Infatti il cervello della scimmia non ha la possibilità di funzionare ad un livello tanto elevato da poter usare un linguaggio verbale. Ma oltre a questo, si deve notare che l’apparato stomatognatico, la faringe e la laringe della scimmia, come in altri mammiferi, non sono strutturati in maniera tale da permettere un linguaggio articolato complesso. 5 LIVELLO MINIMO re), fino all’acquisizione di un linguaggio sufficientemente articolato ed espressivo. In quel periodo, - diceva Virgilio - “Il bimbo conosce la madre al sorriso”. Se consideriamo l’anatomia della regione faringo-laringea di varie scimmie, variamente disposte nella scala evolutiva, vediamo che dalle scimmie antropomorfe all’uomo, l’apparato “vocale” emerge, (per usare le parole di Tobias), con la comparsa del rinofaringe, la liberazione reciproca dell’ugola e dell’epiglottide e la “discesa” della laringe. Consideriamo di seguito quattro diverse situazioni corrispondenti ad altrettanti stadi evolutivi. A) TUPAIA (Un insettivoro considerato un precursore dei Primati) L’epiglottide si dirige verso l’alto fino ad en- LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 6 trare in stretto contatto con il palato molle; l’aditus laringeo si protende leggermente in avanti, mentre nell’uomo è volto all’indietro. C’è continuità fra fosse nasali e laringe. Questo animale può respirare solo dal naso. B) LEMURE (Una Proscimmia) Il rapporto fra epiglottide e palato molle diviene meno stretto e l’aditus laringeo si dirige indietro. La continuità fra fosse nasali e laringe è interrotta. C) CERCOPITECO L’epiglottide incontra appena il palato molle e c’è una interruzione, anche se piccola nella via aerea fra naso e laringe. Si può parlare di primitivo rinofaringe (DuBrul). D) SCIMPANZÉ Continua la relativa discesa della laringe. La distanza fra palato molle ed epiglottide aumenta. Ridisegnato da: Du Brul, 1958 e Negus, 1965 www.omceopistoia.it LIVELLO MINIMO La base del cranio umano alla nascita è molto simile a quella della scimmia. All’età di due anni raggiunge la convessità tipica dell’adulto e per l’ampliamento della faringe è possibile la fonazione. Ridisegnato e modificato da: A. Salsa, Ominidi, Giunti Editore, 1999 www.omceopistoia.it no suoni particolari, detti schiocchi, di vari tipi, in cui la cassa di risonanza, viene variamente utilizzata. Nel neonato umano, la situazione è molto simile a quella della scimmia, e tale si mantiene più o meno fino ad un anno e mezzo, quando l’alimentazione per succhiamento cessa e l’utilità di poter introdurre liquido e respirare senza soluzione di continuità non esiste più. (un neonato quando succhia il latte, non si arresta per “riprendere fiato”). Dopo questa età la laringe comincia a discendere. A due anni, circa, raggiunge una posizione simile a quella dell’adulto. In altre parole si può dire che: – alla nascita il bambino può, come le scimmie succhiare il latte, deglutirlo e “contemporaneamente” respirare. – a due anni il bambino ha perso questa capacità, che non gli è più utile, ma anzi sarebbe di impedimento, perché ora è neurologicamene maturo per passare da una deglutizione tipicamente infantile, ad una deglutizione “da adulto” e per cominciare a PARLARE. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA E) UOMO Nell’uomo, dopo i due anni di età, la situazione è ben diversa. La laringe è situata all’altezza della VI vertebra cervicale, e dietro alla lingua esiste uno spazio orofaringeo relativamente ampio, che è una via comune per l’aria e per il cibo solido o liquido che sia. È stata perduta la capacità di bere e respirare “contemporaneamente”, ma si è acquisita un’ampia cassa di risonanza, che permette suoni articolati e complessi. Quando poi il velo del palato si stacca dalla parete posteriore del faringe, si amplia ancora di più questo spazio, permettendo l’articolazione delle consonanti nasali. Una cassa di risonanza così ampia come quella umana ha permesso all’uomo anche l’emissione di suoni, indipendentemente, dall’emissione di aria, capacità condivisa anche da altri animali, che possono utilizzarla anche se in maniera più approssimativa e meno finemente articolata. Questi suoni non sono utilizzati nelle lingue della civiltà moderna, ma esistevano ed esistono ancora in alcune lingue di culture in via di estinzione. Per esempio nelle lingue boscimane esisto- 7 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Dalla cute al DNA: il progresso della ricerca scientifica nella comprensione della sclerosi tuberosa Dott.ssa Chiara Giannelli, Centro MAVIT Livorno, dott. Emanuele Bartolini, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Pisa, dott. Stefano Bartolini, Unità Operativa di Neurologia, ASL3 Introduzione La sclerosi tuberosa (TSC) è una malattia genetica neurocutanea multisistemica, caratterizzata dalla presenza di amartomi multiorgano, più evidenti sulla cute, sistema nervoso centrale, reni, cuore ed occhi (Barron et al., 2002). La definizione della malattia si è evoluta a partire dal XIX secolo sulla base della osservazione clinica diretta, di studi patologici e dello sviluppo di nuove metodiche diagnostiche. Osservazione della cute: come tutto è iniziato La prima descrizione fenotipica della sclerosi tuberosa risale ad un atlante a colori allegato al “Trattato sulle Malattie Cutanee” del Dermatologo francese Pierre Francois Olive Rayer, pubblicato nel 1835. In una delle tavole era raffigurato il volto di un uomo punteggiato da “piccole lesioni vascolari diffuse, apparentemente di tipo papulare, distribuite sulla superficie del naso ed intorno alla bocca” definite “vegetation vasculaires” (Rayer, 1835/2003). Rayer non comprese però la natura sindromica e multisistemica del quadro da lui descritto. Quindici anni dopo ancora due Dermatologi, Gull e Addison, descrissero un ulteriore caso al Guy’s Hospital di Londra, definendolo vitiligoidea tuberosa (Jay, 2004). LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 8 Verso una definizione sindromica: il tardo XIX secolo La prima definizione sindromica di sclerosi tuberosa si deve a un giovane neuropatologo tedesco, Friedrich Daniel von Recklinghausen, assistente del grande Rudolf Virchow. Nel 1862 egli presentò alla Società Ostetrica di Berlino il caso di un neonato decedu- to dopo “pochi respiri” con diversi tumori cardiaci, da lui definiti “miomata”, ed un “gran numero di sclerosi” nel cervello (von Recklinghausen, 1862 as cited by Curatolo,2003). Probabilmente questi rispettivamente corrispondevano a quelli che adesso sappiamo essere rabdomiomi cardiaci e tuberi corticali. Un altro personaggio di fondamentale importanza nella storia della sclerosi tuberosa fu Desire-Magloire Bourneville. Personalità poliedrica, nacque in Normandia nel 1840 ed ebbe una formazione medica prestigiosa come allievo di Delasiauve e Jean Martin Pistoia, piazza San Francesco, monumento ai caduti (particolare) www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Charcot a Parigi (Gomez, 1995). Bourneville era un giovane medico impegnato nel miglioramento della sanità pubblica e fondatore della rivista “Le Progres Medical”. Nel 1879 descrisse il decesso di Marie, una ragazza di 15 anni con ritardo mentale, stati epilettici ricorrenti ed “una eruzione vascolare-papulosa a livello del naso, delle guance, della fronte”. All’esame autoptico Bourneville descrisse tumori nodulari biancastri, della consistenza simile a patate, che protrudevano nei ventricoli cerebrali, definendoli “Sclérose tubéreuse des circonvolutions cérébrales” (Bourneville, 1880/2003). Negli anni successivi ebbe modo di descrivere ulteriori casi analoghi, riportando anche la presenza di angiomiolipomi renali, tanto che la sclerosi tuberosa verrà successivamente definita anche “Sindrome di Bourneville”. Il parallelismo tra approccio neurologico e dermatologico alla definizione sindromica proseguì con l’ ulteriore definizione delle caratteristiche fenotipiche del rash faciale. Nel 1885 i Dermatologi francesi Felix Balzer e Pierre Eugene Menetrier suggerirono per la prima volta che tale rash fosse associato ad un disturbo cognitivo (Balzer & Menetrier, 1885/2003). Nello stesso anno Halloppeau e Leredde associarono il rash con la presenza di epilessia (Hallopeau & Leredde, 1885). Poco dopo John James Pringle, Dermatologo scozzese formatosi tra Edimburgo, Vienna e Parigi, direttore della sezione dermatologica della Royal Society of Medicine e editore del British Journal of Dermatology, fornì un’ulteriore contributo alla definizione sindromica. Egli interpretò il rash faciale come tumore benigno delle ghiandole sebacee (nonostante la lesione sia invece di natura angiofibromatosa). La sua importanza nella comunità scientifica contemporanea fu tale da conferire alla lesione l’eponimo di adenoma sebaceo di Pringle (Pringle, 1890/1995). www.omceopistoia.it Il riconoscimento della sindrome All’inizio del ventesimo secolo fu per primo Alfred Walter Campbell ad ipotizzare che le sopracitate manifestazioni facessero parte di un’unica sindrome (Campbell, 1906/2003). In seguito, il neurologo tedesco Heinrich Vogt dette la definizione di “sclerosi tuberosa” e formulò una triade di criteri diagnostici- epilessia, ritardo mentale e adenoma sebaceo (“triade di Vogt”)- che, con largo consenso, avrebbe contraddistinto la sindrome nei decenni successivi (Vogt, 1906/2003). La stretta associazione con questa triade diagnostica fece tuttavia attribuire alla sindrome una gravità tale che i pazienti venivano considerati inevitabilmente minorati mentali con severe disabilità; fu inoltre coniato il termine di epinoia- epilessia e anoia (assenza di pensiero)(Jay, 2004), nonostante fossero stati descritti anche pazienti con intelligenza normale (“forme fruste”) (Schuster, 1914/2003). Un nuovo concetto: la facomatosi All’inizio del ventesimo secolo, nonostante varie documentazioni della presenza della patologia in tessuti diversi da cuore e cervello, la sclerosi tuberosa veniva ancora classificata come malattia strettamente neurocutanea. Fino a quando non prese piede il concetto di “facomatosi”. Renè Lutembacher fu il primo a descrivere un caso di coinvolgimento polmonare (la linfoangioleiomiomatosi, complicanza rara che colpisce esclusivamente il sesso femminile) (Lutembacher, 1918/2003). Fu inoltre suggerito che la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi e la Von Hippel-Lindau LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Inizia il ventesimo secolo: approfondimenti della patologia cerebrale Nel 1901 il neuropsichiatra italiano Giovanni Battista Pellizzi dette un importantissimo contributo alla comprensione della neuropatologia della sclerosi tuberosa, intuendo la natura displasica dei tuberi corticali, che distinse in tipo 1 (a superficie liscia) e tipo 2 (con depressioni centrali) e segnalando la presenza di dismorfismi della sostanza bianca e di eterotopie neuronali (Pellizzi, 1901/2003). Egli pubblicò i risultati delle sue ricerche in un saggio sulla “idiozia” (ritardo mentale), conquistandosi così il titolo di Direttore della Clinica Neuropsichiatrica di Pisa e Preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa. Alcuni anni dopo Gaetano Perusini, già allievo di Alois Alzheimer, riportò la compresenza di lesioni cerebrali, renali e cardiache con l’angiofibroma del volto (Perusini, 1905/1995). In dermatologia venivano contemporaneamente segnalati anche fibromi periungueali (Kothe, 1903). 9 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 10 potessero essere classificate appunto come facomatosi, avendo tutte in comune la predisposizione a generare tumori multiorgano con potenziale trasformazione maligna (Van der Hoeve, 1932/2003). Sclerosis Complex)”, basato sul concetto che la lesione fondamentale è di tipo “hamartial”, con tendenza all’evoluzione simil-neoplastica (amartoma) o francamente tumorale (amartoblastoma)” (Molteen, 1942/2003).” Il Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous Sclerosis Complex: TSC) Fino agli anni Trenta i principali studi clinici coinvolsero pazienti psichiatrici ricoverati in istituti. Se da un lato ciò inficiò il riconoscimento delle “forme fruste” della malattia, dall’altro fu tuttavia possibile valutare accuratamente tutta una serie di sintomi importanti. Nel 1932 MacDonald Critchley e Charles J.C. Earl descrissero sistematicamente una coorte di pazienti internati in un istituto psichiatrico con macule ipomelanotiche della cute ed autismo (Chrichley & Earl, 1932/1995). Nello stesso periodo nacquero le prime tecniche di neuroimaging. I raggi X permisero la visualizzazione di noduli intracranici calcificati (Marcus, 1924/2003), mentre la preumoencefalografia rivelò la presenza di noduli subependimali non calcificati (Berkwitz, 1934/2003). Si giunse così, nel 1942, ad opera di E. Molteen, alla descrizione del “Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous La contestazione della triade di Vogt Dopo la definizione del Tuberous Sclerosis Complex, si dovettero attendere ancora venticinque anni prima che venissero rivoluzionati i concetti della triade di Vogt, che inchiodava le persone con TSC all’inevitabile destino di sfortunate marionette. Nel 1967 J.C. Lagos e Manuel Rodriguez Gomez pubblicarono un cospicuo numero di casi clinici, in cui si rilevava una percentuale del 38% di soggetti con normale intelligenza; inoltre essi osservarono che il ritardo mentale si manifestava in stretta associazione con l’epilessia (Lagos & Gomez, 1967). Intanto Perot e Weir eseguirono i primi interventi neurochirurgici di resezione di tuberi corticali (Perot & Weir, 1966), mentre con studi più specifici si giunse ad una miglior definizione della epilessia in sclerosi tuberosa. Nel 1975 Pampaglione e Pugh notarono che il 69% dei pazienti soffrivano di spasmi infantili (Pampaglione & Pugh, 1975). Fu però ancora il lavoro di Pistoia, il “Parterre” www.omceopistoia.it AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Manuel Rodriguez Gomez a segnare un grande passo avanti nella definizione finale della sindrome. Divenuto Professore di Neurologia Pediatrica presso la Mayo Clinic di Rochester, egli gettò le basi per la fondazione del Dipartimento di Neurologia del Bambino e dell’Adolescente. Nel 1979 pubblicò la monografia “Sclerosi Tuberosa”, che rimase per più di 20 anni il testo di riferimento in questo ambito (Gomez & Manuel, 1979). La Tuberous Sclerosis Alliance nel 1995 ha istituito in suo onore il Manuel R. Gomez Recognition Award. La nuova era diagnostica Negli anni Ottanta il progresso in campo dermatologico migliorò il trattamento e la qualità di vita dei pazienti con sclerosi tuberosa. L’angiofibroma faciale fu corretto con successo nel 1982 con il laser ad argon (Ar- ndt, 1982), mentre gli spasmi infantili avevano assunto ruolo fondamentale (Dulac & Lemaitre & Plouin, 1984) e le possibilità diagnostiche delle lesioni intracerebrali si erano perfezionate con il recente sviluppo della tecnica della Risonanza Magnetica (McMurdo et al., 1987). Inoltre, al numero dei tuberi corticali fu attribuito il ruolo di fattore predittivo della gravità dell’epilessia e del disturbo cognitivo (Roach & Williams & Laster, 1987). Infine venne descritto accuratamente lo spettro fenotipico della malattia, tenendo conto della variabilità del coinvolgimento multiorgano. Fu confutata la triade di Vogt, con la dimostrazione che epilessia e disturbi mentali non fossero sintomi necessariamente presenti; grazie all’evoluzione delle tecniche diagnostiche la diagnosi divenne precoce ed affidabile. Tabella 1 Criteri diagnositici per Tuberous Sclerosis Complex (TSC) Criteri maggiori • Angiofibroma faciale o placche della fronte • Fibromi periungueali o ungueali non traumatici • Macule ipomelanotiche (almeno tre) • Placche a zigrino (nevi tessuto connettivo) • Amartomi multipli nodulari retinici • Tubero/i corticali • Noduli subependimali • Astrocitoma subependimale a cellule giganti (SEGA) • Rabdomioma/i cardiaci • Linfangioleiomiomatosi • Angiomiolipoma renale Modificata da Roach & Gómez & Northrup, 1998: TSC definita: Due criteri maggiori oppure uno maggiore e due minori. TSC probabile: Un criterio maggiore ed uno minore. TSC possibile: Un criterio maggiore o due criteri minori. www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Minor features • Punteggiature multiple variamente distribuite dello smalto dentale • Polipi rettali amartomatosi • Cisti ossee • Disordini di migrazione nella sostanza bianca cerebrale • Fibromi gengivali • Amartoma/i non renali • Macchie acromiche retiniche • Lesioni cutanee a ‘‘confetto’’ • Cisti renali multiple 11 AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 12 I progressi della genetica: dalla fine del XX secolo verso il futuro Negli anni ’80 e ’90 del ventesimo secolo gli studi su gruppi di famiglie misero in rilievo due sospetti markers genetici, localizzati sul cromosoma 9- TSC1 (9q34)- (Fryer et al., 1987) e sul cromosoma 16- TSC2 (16p13.3) (Kandt et al., 1992). Il gene TSC2 codifica per tuberina e fu isolato per primo, nel 1993, mentre il TSC1, codificante per amartina, soltanto nel 1997 (van Slegtenhorst et al., 1997) (European Chromosome 16 Tuberous Sclerosis Consortium, 1993). La sclerosi tuberosa fu allora riconosciuta come sindrome autosomica dominante ad elevata penetranza e variabilità; circa due terzi dei casi inoltre furono identificati come sporadici, cioè risultanti da mutazioni de novo. Le mutazioni di TSC1 e TSC2 vennero interpretate con l’ipotesi del “second hit”, secondo la quale una mutazione somatica (second hit) di TSC1 o di TSC2 potrebbe sommarsi alla mutazione sistemica (first hit) dello stesso gene, causando la perdita totale della funzione genica; il “second hit” potrebbe verificarsi in qualsiasi tessuto, determinando così i diversi fenotipi clinici. Diversi gruppi di ricerca hanno investigato le funzioni di amartina e tuberina, scoprendo che modulano la cascata mTOR che regola la proliferazione cellulare e quindi la degenerazione tumorale (Tee et al., 2005). Conclusioni Attualmente la sclerosi tuberosa è considerata un disordine neurocutaneo autosomico dominante caratterizzato dalla compresenza di amartomi a livello di vari organi. I criteri diagnostici della malattia sono stati aggiornati sulla base della variabilità delle sue manifestazioni cliniche (Roach & Gomez & Northup, 1998) (Tabella 1). Ad oggi il trattamento della sclerosi tuberosa è sintomatico ma, grazie al progresso in campo genetico, sono in studio nuove possibilità terapeutiche, in particolare quelle inerenti farmaci che interferiscono con l’ mTOR pathway (es. rapamicina, everolimus). A 178 anni dai disegni di Rayer sono stati compiuti molti passi in avanti nella storia della sclerosi tuberosa che, tuttavia, rimane ancora parzialmente incompresa. Per i riferimenti bibliografici rivolgersi alla sede dell’Ordine www.omceopistoia.it mednews dalla letteratura internazionale a cura di Gianna Mannori La nuova sanità toscana Come sarà strutturato il nuovo ospedale? Quali saranno i compiti dei medici del territorio? E dove e come saranno curati i malati? Il servizio sanitario toscano sta fronteggiando una cesura importante, un evento di riforma che non ha eguali nella storia recente. Gli ospedali cresciuti negli edifici del Trecento, dalle forme morbide e rassicuranti centrati nelle piazze e nel cuore delle città, il ‘dottore’ con cappello e borsina che si inerpica a sera per strade impossibili: questa è un’era ormai finita o che sta sfumando, è un mondo in transizione verso un modello nuovo, in buona parte ancora sconosciuto. La sanità di domani sarà rivoluzionata nelle sue strutture fisiche, nelle sedi e nei nomi dei reparti e nell’indirizzo degli ambulatori. Ma non sarà solo questo. Sarà diverso il concetto stesso di offerta sanitaria, il ruolo del medico e perfino l’idea di cosa significhi cura e assistenza. Le storie raccontate nelle formelle robbiane del nostro ospedale, così capaci di carpire un frammento di sguardo in chi sale, in ansia o nel dubbio, gli scalini del loggiato e, in quell’attimo, così capaci di rassicurare e tranquillizzare, si riferiscono a concetti di malato e medicina sprofondati nel passato. La nuova sanità sarà diversa, assumerà una struttura che dovrà confrontarsi con aspettative di salute e cura cambiate negli anni in modo clamoroso ma anche con profili di risorse umane ed economiche altrettanto nuove. Il risultato di questo cambiamento è un Leviatano i cui contorni appaiono indefiniti e preoccupanti. Ma è quello che ci toccherà in tempi molto brevi e a cui, ormai, dobbiamo guardare. www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Pablo Picasso, Scienza e carità, 1897, Barcellona, Museu Picasso 13 dalla letteratura internazionale notizie flash Il caso Stamina e la letteratura internazionale LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 14 Una storia italiana che ha coinvolto gli scienziati di tutto il mondo. Per due volte in meno di un mese la vicenda Stamina ha occupato le pagine di Nature, una delle riviste più rinomate nell’ambito della comunità scientifica internazionale. I toni usati in questa circostanza sono stati piuttosto insoliti per l’asciuttezza britannica che caratterizza le sue pagine: toni che non si erano più sentiti dai lontani anni novanta, quando la rivista decise di inviare una commissione speciale a verificare la correttezza scientifica di uno dei più rinomati laboratori di ricerca di Francia. Chi allora seguì il dibattito sulle basi scientifiche dell’omeopatia ricorderà che la commissione voluta da Nature includeva un mago e un esperto di frodi scientifiche e rammenterà anche che l’ispezione al centro di ricerca si concluse con la sua chiusura. In quel caso, si volle accertare la veridicità di affermazioni senz’altro discutibili da un punto di vista scientifico ma, se non altro, non dannose. Oggi è l’Italia a trovarsi sotto esame e i riflettori sono puntati su trattamenti che gli scienziati ritengono non etici e pericolosi. La vicenda ruota intorno all’uso terapeutico di cellule staminali prodotte dalla Fondazione Stamina. Si tratta di preparazioni di cellule adulte di tipo mesenchimale, in uso da anni per trattare pazienti terminali affetti da malattie degene- L’idea di una ristrutturazione del sistema sanitario è nata in Toscana agli inizi degli anni duemila. Le prime linee guida in merito risalgono al 2003; da allora, i servizi sono stati oggetto di un dibattito intenso svoltosi sia a livello regionale che all’interno delle comunità scientifiche e professionali. Da questo susseguirsi di analisi e discussioni è emersa una serie di documenti che, confluiti nel Piano Sanitario Regionale 2008-2010, hanno delineato la ristrutturazione dei sistemi di cura ospedalieri e territoriali. La riforma si prefigge lo scopo di ottenere un’importante riduzione di spesa operando un miglioramento di efficienza del sistema sanitario: il risultato finale non dovrebbe essere un impoverimento dei servizi erogati ma, al contrario, una maggior qualità ed equità. Si tratta di un progetto molto ambizioso, che riconosce essenzialmente due principi ispiratori. Il primo ruota intorno alla consapevolezza che i bisogni di cura sono cambiati profondamente e l’offerta di sanità deve adeguarsi a una tipologia di malato molto diversa rispetto al passato. Il pro- mednews gressivo invecchiamento della popolazione comporta l’esigenza di fornire un’assistenza sempre più integrata, in grado di far fronte a quadri di malattia multipli che coesistono per lunghi periodi di tempo: le patologie croniche sono sempre più attuali e l’anziano, colui che ne costituisce il portatore tipico, è persona bisognosa di assistenza multispecialistica. Per di più, il raggiungimento di un livello culturale più elevato ha aumentato le aspettative di salute della popolazione e i nuovi servizi devono essere in grado di offrire risposte adeguate. Da tutto questo è nata l’idea di fornire un’offerta sanitaria che risulti più centrata sulla persona e sulla complessità dei suoi bisogni rispetto a quanto avveniva in passato. Così, il medico non dovrà più lavorare da solo ma sarà parte di gruppi multidisciplinari in cui si muoveranno professionisti diversi, dotati di competenze e capacità specifiche. Da qui si apre il nuovissimo tema del rapporto fra le professioni sanitarie. In forza di una formazione universitaria sempre più differenziata e aperta alle figure ausiliarie, si propone uno schema di lavoro Pistoia, Ospedale del Ceppo www.omceopistoia.it mednews dalla letteratura internazionale Pistoia, rendering del nuovo ospedale di Pistoia “San Jacopo” www.omceopistoia.it tica medica. Esisteranno quindi aree funzionalmente omologhe, in cui si avvicenderanno figure sanitarie dotate di formazione specialistica diversa ma accomunate dall’obiettivo di fornire livelli di cura della stessa intensità. In tal modo si prevede di ottenere un miglioramento di efficienza del servizio ospedaliero, con un utilizzo più razionale di strutture fisiche e mezzi tecnologici e un notevole risparmio di risorse. Questi due criteri animatori si esprimono in un sistema di sanità fondato sul cosiddetto ambito di Area Vasta. In tale tipologia, le prestazioni sanitarie vengono erogate non più dalle singole ASL ma da associazioni di più aziende che lavorano in comune, appunto le Aree Vaste. Una volta a regime, le Aree Vaste in Toscana saranno tre: Centro (area metropolitana), Sud-Est, Nord-Ovest. Ogni Area Vasta sarà caratterizzata da un accorpamento sostanziale dei servizi, con centri organizzati secondo il criterio dell’intensità di LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA in cui il medico dovrà rapportarsi quotidianamente con profili ed esperienze professionali molto diverse dalla sua. Se, da un lato, questa proposta implica l’esigenza di creare strutture fisiche e organizzative completamente nuove, essa comporta anche la necessità di produrre un cambiamento culturale importante nella mentalità di tutte le professioni sanitarie. L’altro elemento che ha ispirato la ristrutturazione della sanità è la ricerca di un maggior livello di efficienza dell’assistenza ospedaliera. In linea con quanto è già avvenuto e sta ancora avvenendo nei sistemi sanitari dei paesi più avanzati è prevalso il principio di organizzare i nuovi ospedali non più per reparti specialistici ma per aree funzionali. Secondo questo schema, il malato non accederà più a settori dell’ospedale dedicati al trattamento della sua specifica patologia, bensì ad aree devolute a fornire l’intensità di cura che è più adeguata alla sua problema- rative e da alcune patologie da accumulo. La maggior parte di questi pazienti, gravissimi, sono bambini piccoli. Fin dall’inizio della sua attività, la Fondazione Stamina è stata oggetto di critiche importanti in merito ai protocolli con cui procedeva all’isolamento e alla produzione delle sue cellule. Si ricorderà, per chi non ne fosse a conoscenza, che nel nostro paese l’isolamento delle staminali per scopi terapeutici è riservato esclusivamente a laboratori speciali denominati ‘cell factories’. Si tratta di ambienti molto particolari, sia per caratteristiche strutturali che per la tipologia e la professionalità del personale che vi viene impiegato; per questo, la qualifica di cell factory a un centro di ricerca viene conferita esclusivamente dagli enti regionali, a garanzia di provata sicurezza delle procedure che conducono a preparazioni di cellule staminali libere da contaminazioni. Ad oggi, niente di tutto questo è stato applicato alle Stamina. Preparate non certo in centri accreditati ma da un gruppo di professionisti itineranti in vari laboratori distribuiti sul territorio nazionale – anche a San Marino, dove le regole sono più liberali che su suolo italiano – ed inseguite da un procedimento giudiziario dopo l’altro che 15 dalla letteratura internazionale invariabilmente provvedeva alla sospensiva della produzione, queste cellule derivano da un processo di isolamento non codificato e mai reso noto alla comunità scientifica: costituiscono il prodotto finale del cosiddetto “metodo Stamina”, un rituale operativo che non è stato pubblicato perché, sostengono i responsabili della Fondazione, coperto da diritti di brevetto. Gli stessi obiettivi terapeutici di queste cellule staminali non hanno riscontro in protocolli consolidati, perché non esistono dati in letteratura che ne supportino l’uso in clinica. La voce degli scien- LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 16 ziati di tutto il mondo si leva sconcertata sulle pagine della stampa: ‘è alchimia’, è l’uso di pazienti (bambini!) come se fossero cavie di laboratorio. Come giustamente rileva Nature con tagliente giudizio britannico, è comprensibile il motivo per cui il Vaticano ha sostenuto pubblicamente l’uso di un prodotto tanto indecoroso: l’etica è salva, perché le cellule Stamina vengono isolate da soggetti adulti e, come tali, non comportano la morte di embrioni. Però, si fa sperimentazione su bambini in fin di vita... Abbott A. 2013. Stem-cell ruling riles researchers. Nature 495, 28 March: 418. Smoke and mirrors. 2013. Nature Editorial 496, 18 April: 269. cure. Dal punto di vista degli ambienti fisici i servizi, sia ospedalieri che di territorio, non verranno più erogati rispondendo alla richiesta spontanea di bisogni locali - come è avvenuto fin ora negli ospedali di Pistoia o di San Marcello - ma attraverso “percorsi” all’interno di Area Vasta. Non più ospedalini dappertutto che fanno tutto ma strutture organizzate secondo complessità e intensità delle cure. I centri devoluti alla risoluzione di quesiti diagnostici o all’effettuazione di specifiche pratiche terapeutiche lavoreranno “in rete” fra loro e il cittadino, per risolvere il proprio problema medico, dovrà fisicamente muoversi in questa rete seguendo un iter rigidamente codificato. Quando il malato entra in uno di questi percorsi, è ovviamente necessaria un’opera di integrazione del lavoro svolto nelle varie tappe del percorso, nella quale dovrà avere un ruolo centrale l’infrastruttura informatica. I servizi che vengono rivisti più in profondità sono: Ospedale e territorio. I servizi ospedalieri vengono stratificati in Area Vasta su tre livelli di complessità: centri d’eccellenza. Sono costituiti dalle aziende ospedaliere universitarie e gestiscono problematiche mediche e chirurgiche di alta complessità e alto costo. Per esempio, la chirurgia ritenuta “difficile” perché meno frequente oppure quella che si svolge in ambito molto specialistico. ‘Focussed hospitals’. Sono devoluti alla risoluzione di problematiche a bassa e media complessità. Possono avere un’organizzazione ambulatoriale o tipo Day Hospital e avranno una distribuzione aziendale o interaziendale. Si è ipotizzato che possano essere so- mednews stenute da èquipe mediche itineranti, che si muoveranno a calendario fra i vari centri. Sedi ospedaliere ASL. Agli attuali ospedali aziendali (ad esempio, l’ospedale di Pistoia) verranno affidati i casi di base che necessitano di ricovero e che, quindi, non possono essere trattati in regime di Day Hospital. Si tratterà, in ampia parte, di casi acuti (le emergenze mediche e chirurgiche, la traumatologia, ecc.). Il punto centrale della nuova strutturazione dell’ospedale è che la degenza, sia in regime di ricovero o di Day Hospital, sarà limitata alla risoluzione della sola parte acuta della malattia. Tutte le fasi successive all’intervento medico urgente, come il decorso postoperatorio, l’assegnazione delle cure domiciliari o la riabilitazione, non saranno più di pertinenza dell’ospedale (come è tradizionalmente accaduto fin ora) ma verranno delegate a strutture presenti sul territorio. Queste stesse strutture saranno anche responsabili di tutte le fasi di accertamen- New York, Bellevue Hospital Center www.omceopistoia.it mednews dalla letteratura internazionale Tokio, Kosei Nenkin Hospital www.omceopistoia.it gestire pazienti appena dimessi dal ricovero ospedaliero: dal decorso postoperatorio all’impostazione della terapia domiciliare e della riabilitazione. Di Cure Intermedie: saranno centri dotati di posti letto per la riabilitazione, le cure palliative, la cosiddetta continuità assistenziale intraospedaliera per pazienti per i quali non è possibile una dimissione tempestiva per motivi sociali o familiari. Servizio di Emergenza Urgenza La riforma della sanità prevede un enorme accentramento del servizio di emergenza in tre centrali operative uniche, una per Area Vasta, che gestiranno in via telematica tutta la rete territoriale di intervento. La struttura dovrà subire una riduzione di presenze del medico a favore di un potenziamento del personale infermieristico e di volontariato. In particolare, la figura del medico presente sull’automedica o sull’ambulanza sarà sostituita, dove possibile, da quella di volontari addestrati. Laboratori (compresi la Genetica, l’Anatomia Patologica e il Servizio Trasfusionale). Tutte le prestazioni non di routine saranno centralizzate nelle sedi di Area Vasta. A carico degli ospedali e dei laboratori di azienda rimarrà solo l’esecuzione degli esami di base. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA to diagnostico, sia clinico che strumentale, che precedono il ricovero. Il territorio, quindi, dovrà necessariamente andare incontro a un’imponente opera di ristrutturazione. Anch’esso sarà organizzato per centri: di Cure Primarie: poliambulatori in cui lavoreranno figure specialistiche mediche e ausiliarie (principalmente infermieri, farmacisti e fisioterapisti). Il medico di medicina generale dovrà avere il ruolo di coordinatore del lavoro interdisciplinare e, grazie alla “fusione” con il servizio di Guardia Medica, offrirà una presenza sul territorio in orario 8.00 – 24.00. Questi centri prenderanno in carico il malato in modo globale, svolgendo opera sia di ambulatorio che di organizzazione ed esecuzione delle terapie domiciliari; dovranno anche coordinarsi con i laboratori analisi e con le farmacie per la gestione e la distribuzione dei farmaci. Saranno responsabili di tutto quello che avviene prima o invece rispetto al ricovero ospedaliero: dalla diagnosi, anche strumentale (si prevede di dotare i centri di una strumentazione diagnostica essenziale, almeno un ecografo), all’esecuzione di piccole pratiche terapeutiche ambulatoriali. Ma, soprattutto, si occuperanno di 17 dalla letteratura internazionale Farmaci, ausilii e servizi di prevenzione. Ci sarà un’ulteriore contrazione della spesa devoluta a questi settori, con maggior coinvolgimento del medico di medicina generale. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 18 Considerazioni conclusive Su un tema così importante per complessità e implicazioni ci riserviamo appena due spunti di riflessione, meritevoli di approfondimenti senza limiti. Il primo argomento riguarda il concetto di rete in cui si dovranno integrare ospedali, territorio e centrali di Area Vasta. Questo richiede la creazione di importanti infrastrutture di sostegno dotate di grande complessità realizzativa. Ad oggi tali infrastrutture non esistono ed è temibile che la riforma prenda avvio facendo assegnamento su mezzi non sufficienti a garantire lo svolgimento dei servizi sanitari essenziali. Un esempio importante di questo argomento è costituito dal rapporto fra ospedale e territorio. La riorganizzazione delle sedi ospedaliere prevede che nei nuovi ospedali di Area Vasta ci sia una riduzione consistente del numero di posti letto: questi dovranno passare dall’attuale rapporto di 3.7 per mille abitanti a un valore di 3.15, con un tasso di occupazione dei letti superiore all’85%. Si propone che questa differenza assistenziale debba essere colmata dalle strutture territoriali, vale a dire dai centri di Cure Primarie e da quelli per le Cure Intermedie. Queste strutture attualmente non esistono, saranno sicuramente complesse da realizzare e i dettagli del loro funzionamento sono ancora da definire. Una seconda considerazione va riservata al tema del rapporti fra professioni. Nella nuova ristrutturazione si verificherà un progressivo cambiamento nella figura del medico pubblico, che da unico artefice della gestione del paziente diventerà membro di un team di professionisti coinvolti nell’offerta di un servizio integrato. La creazione di gruppi di lavoro multidisciplinare è cosa molto complicata e non solo per motivi di cortile: in particolare, si pone il tema di quale sarà il profilo medico legale del professionista. Fino ad oggi, il medico è sempre mednews stato caricato di tutta la responsabilità della cura del paziente e non è chiaro cosa succederà al momento in cui l’atto diagnostico o terapeutico verrà suddiviso fra più professionisti. Basti citare, a questo proposito, l’argomento della responsabilità in pronto soccorso: in quest’area la fase, delicatissima, di Triage è a oggi affidata a personale non medico, il cui profilo di responsabilità è ancora poco definito. Stesso problema si può porre per quanto riguarda il servizio diurno e notturno di emergenza, la cui gestione territoriale dipenderà quasi integralmente da personale non medico. Un’ultima considerazione, infine, è da riservarsi al disegno dei nuovi percorsi assistenziali. A fronte di una revisione così radicale dell’erogazione dei servizi, è auspicabile che le procedure cliniche della nuova struttura sanitaria abbiamo come rigoroso riferimento le indicazioni fornite dalla ‘evidence-based medicine’, perché è solo in tale contesto che il medico può trovare la certezza delle proprie possibilità e impostare correttamente il rapporto con il paziente. Nella rete assistenziale sarà importante definire linee guida condivise e concordate in base all’evidenza scientifica, che arrivino a coprire il più ampio spettro possibile di specialità terapeutiche. Ci si chiede, su questo tema, quale sarà la linea adottata nei confronti della medicina complementare, una pratica medica ad oggi assai diffusa e ben accettadai malati ma non sostenuta dall’evidenza. Su questi e altri temi sarà opportuno proseguire nella riflessione prima di andare al varo di una riforma tanto promettente ma complessa: e incerta negli esiti. M. Mauri et al. 2003. Principi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la realizzazione e gestione di ospedali ad alta tecnologia e assistenza. Rapporto conclusivo, supplemento al n.6 di ‘Monitor’, AGENAS. AA.VV. 30 tesi sull’ospedale per intensità di cura. 2007. Toscana Medica. AA.VV. 2008. Ospedalizzazione per intensità di cure. Toscana Medica. www.omceopistoia.it LA MEDICINA DEGLI ALTRI E allora facciamo qualcosa Dott. Guido Benedetti, odontoiatra www.omceopistoia.it in un paese povero” non è altro che “esercizio abusivo della professione”; lo stesso abusivismo contro cui – giustamente – ci si indigna qui. Ogni paese ha le proprie regole e così come un medico straniero non può automaticamente lavorare in Italia, lo stesso vale anche per noi all’estero. Che si tratti di paesi poveri o meno non importa. L’ho capito leggendo “Illegal oral care: more than a legal issue” (Int Dent J 2010). Oggi mi capita spesso di ricevere messaggi di questo tipo: “Buongiorno, sono XXX, collega di YYY. Ho saputo che ti occupi di volontariato all’estero, mi puoi dire qualcosa di più? A quali associazioni posso rivolgermi? Grazie”. Oppure qualche studente viene a cercarmi dopo le lezioni per lo stesso motivo. Mi permetto sempre di consigliare un articolo (che facilmente si trova su internet): “Volunteering: beyond an act of charity” (JCDA, LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Nel 2004 avevo conosciuto un’associazione il cui slogan era “Facciamo qualcosa”… in Africa. Partii con loro; e per una decina di giorni stetti a estrarre denti nella clinica di una grande città equatoriale, assieme ad altri colleghi, alcuni amici carissimi. Le persone venivano numerose ogni mattina – con il mal di denti – e noi cercavamo di fare qualcosa, gratis ovviamente, mettendoci al servizio dei loro bisogni per il tempo che avevamo deciso di dedicargli. Un giorno venne a cercarci un militare: il figlio di non so quale graduato aveva un ascesso. Ce lo portarono, saltando tutta la fila di persone in attesa, e il più esperto tra noi risolse il problema del ragazzo. Per riconoscenza, quella sera ci invitarono a una cena di gala per il fidanzamento ufficiale della figlia di un uomo ricchissimo. Ci andammo e fu una serata che non dimenticherò facilmente per quanto la festa era sfarzosa. Ma la cosa più interessante fu di certo quello che vidi fuori dalla villa: mentre in sud America e in altri luoghi ho sempre trovato una netta separazione tra i quartieri dei “ricchi” e gli slum, le baraccopoli, lì era diverso. Attorno a quella villa si ammassavano catapecchie e ripari di fortuna, a cingerla come fosse stata un castello medievale con le sue borgate di contadini disperati e poverissimi tutt’attorno. Parlandone, qualcuno mi disse: “Ma tu hai un’idea di quante persone aiuti e faccia lavorare il proprietario di questa villa? E poi, guarda, se lui è stato capace di fare i soldi, di guadagnare e di arricchirsi, buon per lui. Semmai è un modello da ammirare, non da odiare”. Oggi non mi capita più di andare a “togliere denti” a giro per il mondo. Non lo faccio per molte ragioni; una tra tutte – forse l’ultima a cui avrei pensato anni fa – è che nove volte su dieci andare a fare il “dentista volontario 19 LA MEDICINA DEGLI ALTRI 2005). Per me fu illuminante e, nel settore odontoiatrico, anticipò di molto quello che soltanto adesso e non senza difficoltà si comincia a capire, a volte: la buona volontà non basta; saper fare qui non vuol dire saper fare là; se la nostra odontoiatria qui per prima non riesce a rispondere ai bisogni degli ultimi non si capisce perché dovrebbe funzionare altrove; e altro. Al mondo sono più di 4 miliardi le persone che non hanno accesso ai servizi odontoiatrici; difficile che la soluzione sia quella di salire su un aeroplano e stivare un container pieno di riuniti (la poltrona del dentista). Non a caso l’Africa è piena di poltrone lasciate a marcire (e le persone continuano a confrontarsi con i propri problemi come possono). Allora, in genere, sento dire: “Sì, ma intanto abbiamo acceso una piccola luce nel buio, una persona in meno avrà mal di denti, abbiamo fatto qualcosa”. Appunto, qualcosa. Che cosa penseremmo se un dentista svedese venisse a Ferragosto e a Natale in una periferia romana o in un paese della Brianza a curare i denti di quelle decine di milioni di persone che in Italia non accedono ai servizi odontoiatrici? Che cosa accadrebbe quando se ne fosse andato via con la sua “astronave” di attrezzature? Che cosa sarebbe cambiato? E allora? È tutto sbagliato? No! Al contrario. Ma di certo possiamo fare qualcosa di più: possiamo affiancare alla buona volontà le competenze; possiamo imparare che quando si tratta di mettere in piedi un servizio odontoiatrico, se vogliamo che sia pertinente, efficiente, efficace, sostenibile, equo, non bastano attrezzature moderne e clinici esperti, non basta saper raggiungere, per fare un esempio tra i tanti, il “successo endodontico”. Se bastasse solo questo, allora da molto tempo saremmo riusciti a risolvere i problemi della bocca e dei denti qui in Italia, primo tra tutti il mancato accesso ai servizi. Post scriptum: ho avuto la fortuna di viaggiare e lavorare in 14 paesi con molti amici e colleghi meravigliosi da cui ho imparato tantissimo. Questo breve scritto non è contro di loro; semmai per loro. Perché tutti, in qualche modo, mi hanno lasciato “qualcosa”. www.hearthemsay.com www.gengiverosse.comunita.unita.it www.mammachedenti.com LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 20 www.omceopistoia.it L’opinione del presidente L’Ordine e la certificazione dei crediti formativi (E.C.M.) Egisto Bagnoni www.omceopistoia.it erenza dei crediti conseguiti rispetto al piano formativo individuale. Tutto questo comporterà la necessità di istituire una Commissione ad hoc per una valutazione che presenta difficoltà e grossa responsabilità. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Il sistema ECM ha superato il periodo di sperimentazione ed ha assunto l’organizzazione definitiva che si stabilizzerà nel tempo.Siamo arrivati all’accreditamento dei provider che hanno conseguito i requisiti richiesti dalla Commissione Nazionale ECM.Sono’ stati anche istituiti un Osservatorio Nazionale ed Osservatori Regionali che dovranno vigilare anche attraverso “site visit”la qualità degli eventi formativi accreditati.Esiste già un Comitato di garanzia che vigilerà sui possibili conflitti di interesse sulla trasparenza dei finanziamenti.Il futuro è rappresentato dalla formazione a distanza che garantirà circa il 70% o l’80% del monte crediti.Anche i crediti conseguiti all’estero potranno contribuire per il 50% per l’azzeramento del debito formativo.Attualmente la FNOMCEO ha in programma per il 2013-14 la preparazione di ulteriori tre corsi FAD sulle cure palliative,sulla terapia del dolore e sulla contenzione.I piccoli Ordini Provinciali che non hanno le potenzialità di diventare provider potranno fornire agli iscritti corsi fad blended messi a disposizione gratuitamente dalla FNOMCEO per gli Ordini che abbiano la possibilità di organizzarli nelle loro sedi.Esiste anche la possibilità che gli Ordini Provinciali aderiscano al paternariato con la FNOMCEO per l’accreditamento di eventi formativi progettati direttamente dagli stessi ordini.I piccoli Ordini Provinciali avranno l’accreditamento gratuito per tre eventi all’anno.A fare data dal primo gennaio 2014 saranno chiamati obbligatoriamente alla certificazione per gli iscritti dei crediti formativi conseguiti nel triennio 2011-2013. Questo comporterà un notevole aggravio burocratico perché non sarà un mero atto notarile di certificazione di crediti registrati sul portale COGEAPS o sui server Regionali ma trattasi invece di certificazione che a norma di legge dovrà garantire la congruità e la co- 21 ATTUALITÀ Tubercolosi a scuola È ancora fresco il ricordo dell’episodio verificatosi qualche settimana fa alle ‘Civinini Arrighi’ a seguito della notizia di due casi di tubercolosi fra i bambini della scuola. La circostanza, pur essendo priva di pericolo significativo per la popolazione scolastica, creò preoccupazione nelle famiglie e il dott. Rino Agostiniani, responsabile del dipartimento materno infantile della nostra ASL, rese subito noto un comunicato chiarificatore sui rischi che la situazione poteva comportare. Ne riportiamo, di seguito, i punti salienti. «Il contatto col germe della tubercolosi non dicano la recente diffusione del germe nella necessariamente determina la malattia tu- comunità frequentata dal piccolo, la famiglia, bercolare. Il bambino è poco contagioso, la scuola o altro, perchè la fonte di contagio, mentre chi infetta in genere, non è l’adulto o l’adosono i bambini, lescente. Il test poco o per niente per la ricerca delcontagiosi, ma gli la malattia deve adulti e gli adoleessere praticato scenti. solo a chi ha avuI bambini con to stretto contatto meno di 12 anni, col malato. Se il infatti, raramente test è positivo non contagiano persignifica necessachè le lesioni pririamente malattia marie sono piced eventualmente cole, l’eliminaverranno praticati zione dei bacilli è ulteriori accertascarsa e la tosse, menti. se presente, è di A scuola il bammodesta entità. bino malato può Questo significa tornare appena ha che più che dare iniziato la terapia la caccia ai cone/o sono scomtatti col bambiparsi i sintomi clino malato (vedi nici della malattia. scuola), bisogneL’infezione tuberrà cercare sopratcolare o la malattutto i contatti tia tubercolare in con l’adulto maun bambino inlato». LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 22 La voce della medicina, dunque, fu forte e chiara: i bambini affetti da tubercolosi non rappresentano un pericolo per amici e compagni, quindi nessuna caccia all’untore. Ma le parole della scienza non furono abbastanza potenti da arginare l’irrazionalità e la violenza di chi non sa – e non vuol sapere. Pochi giorni dopo, al mattino, bimbi e maestre lessero attoniti gli estremi di una scritta razzista e infamante che nella notte qualcuno aveva impresso sui muri della loro scuola. Di quello stesso edificio che dovrebbe trasmettere messaggi di cultura e tolleranza… www.omceopistoia.it LETTERE Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera della collega Carla Breschi È mancato un controllo locale della situazione Considerazioni sulla sanità toscana Dott.ssa Carla Breschi Medico ospedaliero, consigliere comunale www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Ciò che è accaduto a Massa, forse anche a Pistoia e forse in altre ASL oggetto di indagini, non è del tutto da ascriversi ai singoli protagonisti di queste vicende poco chiare; nel caso della nostra ASL in causa è Scarafuggi che personalmente non gode né della mia simpatia né della mia stima.È da ascriversi ad un sistema che è nato male, un sistema sbagliato. Permettetemi di fare un salto nel passato; io sono entrata in ospedale nel lontano 85 e quindi ho potuto vedere dall’interno cosa è accaduto, le modificazioni che si sono succedute.Mi accuserete senz’altro di fare dietrologia ma questo è il mio pensiero, il pensiero di una “parvenue” della politica, un’ingenua che vi chiedo di perdonare. In quegli anni era attivo il cosiddetto “comitato di gestione” che, bene o male, rappresentava proporzionalmente le forze politiche in campo. La sensazione era che tutto sommato le cose funzionassero, che si cercasse di salvaguardare Pistoia, anche perché i componenti erano pistoiesi e poteva sussistere un rapporto diretto con i cittadini. L’avvento della aziendalizzazione delle unità sanitarie locali è stata veramente una “Caporetto” per la sanità in generale. L’eccessivo verticismo ha creato figure inavvicinabili chiamate a rendere conto soltanto ai capi regionali. È mancato quindi un controllo locale della situazione; non sono stati previsti, forse volutamente, enti preposti a questo compito. E da qui è stato possibile tutto; megaincarichi a figure esterne od istituti esterni perfettamente inutili, creazioni di strutture come cattedrali nel deserto, vedi i magazzini Estav che hanno amplificato la spesa farmaceutica, peggiorando la distribuzione dei farmaci (l’obiettivo sarebbe stato il miglioramento!); compravendite assurde, per esempio al tempo di Scarafuggi l’acquisto della ex-lavanderia delle Terme di Montecatini, che non penso rientri nei bisogni logistici della ASL, ma in giochi più ampi ed oscuri. E l’elenco sarebbe molto lungo. Si è inoltre creato un sistema di potere locale dentro la ASL a protezione di tutto ciò, sistema difficilmente scardinabile ed autoreferenziale. E forse anche falsificazioni dei bilanci, e forse anche ladrocinio? Vogliamo essere fiduciosi e garantisti fino al 3° grado di giudizio! Certo non si è pensato molto al bene di Pistoia; e purtroppo devo constatare che anche adesso Pistoia rimane il fanalino di coda della sanità toscana, mi riferisco in particolare all’azzeramento attuale della scuola infermieri, perché di azzeramento si tratta checché se ne dica. E noi medici succubi del sistema, anche perché il dirigente che assume funzioni primariali deve essere confermato dal potere politico, e ben pochi si avventurano contro. Non parlo per i politici che secondo me ben conoscono tutto ciò; parlo per il popolo, per i cittadini che è giusto che sappiano la visione dei fatti di chi si trova tutti i giorni in prima linea e vive con umiliazione lo scempio delle risorse pubbliche. 23 letterE Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dei colleghi di Bottegone I Medici di Medicina Generale di Bottegone rispettano l’art.5 del Codice Deontologico. Le loro determinazioni sulla Centrale Repower. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 24 Un Gruppo di Medici di Medicina Generale ed un Pediatra di libera scelta di Bottegone chiariscono la loro richiesta, rivolta al Sindaco di Pistoia, espressa in una Assemblea pubblica, a proposito della prossima costruzione, nel loro territorio, di una Centrale termoelettrica cogenerativa a gas naturale e del possibile impatto sullo stato di salute dei propri assistiti. Nei loro ambulatori affluiscono circa novemila assistiti di tutte le età, tutti residenti nelle immediate vicinanze del sito (ex Radicifil) in cui dovrebbe insediarsi la nuova Centrale a metano della Repower. Sottolineano che, adiacente a questa, insiste un sistema di depurazione per rifiuti liquidi speciali (Biodepur). Sono tutti medici che lavorano sul territorio e che, sia per il numero che per la distribuizione dei pazienti, sono in grado e, soprattutto, sentono il dovere di poter valutare e salvaguardare lo stato di salute attuale di coloro che saranno chiamati, in maggior misura, ad affrontare gli eventuali ulteriori effetti di inquinanti ambientali e del cambiamento del microclima: tutto ciò potrebbe manifestarsi in seguito all’insediamento della nuova centrale. Premettono che non hanno elaborato statistiche o numeri e dati documentati da fornire dei loro pazienti, ma sono in grado di avere preoccupazioni e perplessità, derivate dall’analisi dei dati esistenti sulle loro cartelle informatiche e dal confronto professionale con i dati di colleghi di altre zone della provincia e della Toscana. Temono che l’INCIDENZA di alcune patologie (neoplasie, malattie a carico dell’apparato respiratorio, asma e BPCO, e malattie endocrine, specie a carico della tiroide) risulti assolutamente maggiore nel territorio di Bottegone rispetto a quelle dei colleghi di confronto. A queste preoccupazioni si aggiungono quelle derivanti dalla Relazione sanitaria dell’ASL 3, per l’anno 2011, che ha evidenziato l’aumento di alcuni tumori nel loro territorio. Le ricerche li portano a dare particolare importanza alle emissioni di biossido di azoto, che la centrale produrrà: 180 tonnellate di NO2 all’anno, che possono trasformarsi in polveri fini ed ultrafini(PM10, PM2.5 ed inferiori), che andrebbero ad aggiungersi a quelle ora prodotte nella città di Pistoia, che rappresentano, queste ultime, 1/6 all’anno, rispetto a quelle che verrebbero prodotte a Bottegone dalla Repower. Per l’ossido di azoto, le PM10, PM2.5 e le nano particelle, emesse da una Centrale cogenerativa a gas naturale (metano), non è mai stata dimostrata la “non nocività” per la salute, né si trovano conferme nella letteratura scientifica. Pure la fragilità del territorio contiguo, Agliana e Montale, dove opera un inceneritore, del quale verranno studiate le ricadute sulla salute con un’indagine epidemiologica sui residenti e zone confronto, nonché i dati della centralina, posta in località Stazione di Montale, a pochi chilometri in linea d’aria da Bottegone, che ha già evidenziato 25 sforamenti per le PM10, da inizio anno 2013, destano preoccupazione. Infine un recente lavoro scientifico, pubblicato su European Journal of Internal Medicine, ha evidenziato che gli ossidi di azoto e le PM10, emesse da una Centrale a gas naturale, rappresentano una potenziale minaccia per la salute delle persone che vivono vicino alla Centrale. Si è evidenziato che le concentrazioni medie di PM10 e NO2, dopo solo tre mesi di funzionamento di una Centrale a gas naturale, localizzata in Italia (Modugno, BA), sono risultate superiori a quelle antecedenti alla sua entrata in funzione. Per tutte le considerazioni precedenti, i Medici di famiglia di Bottegone si sono rivolti www.omceopistoia.it LETTERE al Sindaco di Pistoia, Samuele Bertinelli, che indicano, per mandato istituzionale, di doversi far carico della salute dei cittadini, con responsabilità maggiori di quelle del Direttore Generale di ASL3, del Direttore di ARPAT, e di qualsiasi altra Autorità in campo sanitario. Hanno chiesto: a: che si possa attuare un serio studio epidemiologico sullo stato di salute dei cittadini di Bottegone. b: che siano installate centraline fisse per la rilevazione del livello di inquinanti nell’aria (in particolare le polveri sottili), almeno una nella zona di Bottegone ed una in Città. Sentono il dovere, proprio in qualità di Medici, di chiedere che tale studio e tali rilevazioni “siano effettuate prima di ogni decisione definitiva in merito alla Centrale Repower”, in modo di poter valutare compiutamente l’impatto, positivo e negativo, sul loro territorio. Concludono affermando che la salute dei loro assistiti non è un bene negoziabile. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA www.omceopistoia.it 25 LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA www.omceopistoia.it 26 passato e presente LA CITTÁ IMMAGINATA Piazza San Francesco (prima parte) Pierluigi Benedetti D’abitudine, camminando per le mie strade, cerco di immaginare su che cosa sto posando i piedi in quel momento. Per Via Curtatone e Montanara galleggio sull’acqua del primo fossato della città e toccando con le dita le pietre delle Mura, sfioro le mani ruvide di chi cavò quei sassi dall’Ombrone e li mise in opera. Negli spazi moderni, con fantasia audace e presuntuosa, vedo i luoghi antichi e ricostruisco con la mente la vita dei miei avi. Ricordandoli vivi, mi pare di rendere loro giusto onore di figlio. C’era una volta un gran prato nel luogo, in cui oggi si apre Piazza San Francesco; e di www.omceopistoia.it L’ETÀ ANTICA Era un prato immenso, aperto, in leggera salita verso i monti; e, a primavera nei giorni di sole, doveva essere un posto meraviglioso, verdissimo per l’erba nuova e pieno di fiori. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Pistoia, PIazza San Francesco quel prato, in queste righe, seguirò le immaginate vicende da prima che vi fossero gli uomini, ed i soli abitatori del prato erano gli uccelli del cielo e gli animali del bosco, fino a quando “la fortuna volse in basso l’altezza” dei Romani ed iniziò per le nostre terre l’età del ferro e del fuoco. Nel prossimo numero del Bollettino proseguirà l’immaginata storia, che sia detto un’altra volta, è di pura fantasia, o quasi. 27 passato e presente Pistoia, la fontana dello Specchio LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 28 Esisteva da tempo immemorabile, molto prima che gli uomini abitassero le nostre contrade; perché gli alberi del bosco di cerri e di pini, rigogliosi e fitti sulle rive dell’antico lago, non potevano allignare in quel luogo per la troppa umidità del suolo; e lasciavano aperta una vasta conca erbosa fra l’ultima propaggine dei colli e un poggio affacciato sul lago. Il poggio era limitato ad est da un fiumicello, che i futuri abitatori di quei luoghi avrebbero chiamato Brana. Per vasto tratto il prato digradava da occidente ad oriente con leggera pendenza, divewww.omceopistoia.it passato e presente nendo un ripido ciglione erboso sul fiume; e l’acqua, che affiorava fra l’erba da tanti pollatrini, piccole risorgive, particolarmente ricche nella stagione delle piogge, si raccoglieva in pozze e ruscelli. Nel prato vivevano molti animali e numerosi erano i nidi degli uccelli del lago fra le canne ed i ciuffi di giunchi. Di tutta l’acqua di quel mondo incontaminato e primevo, rimane oggi un miserevole segno: una fontana, il cui nome ricorda l’infanzia ai più anziani fra i lettori: la Fonte dello Specchio, che forniva alla città la migliore di tutte le acque da bere ed era meta ogni giorno di numerosi Pistoiesi, che andavano a quella fonte per approvvigionarsene. Fino a non molti decenni fa quell’acqua, dalla sua nicchia di pietra, appartata e nascosta, quasi una piccola grotta nel poggio coltivato a ulivi sopra la Brana, sgorgava abbondante e perenne, freschissima d’estate; oggi è ridotta ad un debole rivolo e la sua vista, per chi la ricorda com’era, fa stringere il cuore: sepolta fra le moderne costruzioni, sfregiata da un cartello rugginoso quasi illeggibile, che ne indica la non potabilità per il grave inqui- namento della falda, stravolta dai moderni sbancamenti edilizi. Genti venute forse dalla parte del mare, stabilirono la loro dimora su quel poggio e alcuni secoli prima della nostra era, nel luogo, che corrisponde oggi a Piazzetta Romana e a Piazza dello Spirito Santo, crebbe un villaggio. Il posto si prestava bene per un insediamento umano: l’altura poteva essere facilmente difesa, il lago e il bosco permettevano un buon approvvigionamento di cibo; e in riva all’acqua, che nel tempo lentamente andava riducendo la sua estensione, c’era ottima terra coltivabile. Nel III secolo avanti Cristo, il villaggio era divenuto una piccola città, difesa da un fossato e da un muro, che a settentrione si affacciava sul prato. La strada, che usciva da quella porta delle mura e andava verso i monti, iniziava nel luogo oggi corrispondente più o meno all’inizio di Via Curtatone e Montanara e di Via Abbi Pazienza. Tagliava diritta attraverso l’erba ed era accompagnata per un bel tratto LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA www.omceopistoia.it 29 passato e presente Battaaglia di Canne, Roma, Musei Capitolini LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 30 dalla grande gora d’acqua dell’Ombrone, che alimentava il fossato delle mura. Dal prato un viottolo scendeva alla riva della Brana, una quindicina di metri più in basso, dove il fiume diveniva una piccola palude, che si poteva attraversare con una barca, arrivando ai prati e ai campi dell’altra sponda, aperti fino ai colli. Dall’alto ciglio del prato, facendo correre lo sguardo verso est lungo le mura, che seguivano il dislivello della riva, si poteva scorgere una lingua di terra fra la piccola palude della Brana e un grande lago esteso fin dove giungeva lo sguardo; e, sull’argine fra le due acque, una strada, si dirigeva a oriente, costeggiando il lago. Era stato il Rio Diecine, un torrente, affluente nella Brana più o meno nel luogo dove oggi si apre Piazza San Bartolomeo, a formare quella striscia di terra con i detriti portati dai monti. Ad occidente del prato, oltre i campi e la vegetazione selvatica, il profilo dei colli segnava l’orizzonte; il passo di Serravalle era una semplice sella delle alture: il castello e le torri erano di là da venire. Erano tempi da noi tanto lontani ... o forse no ? Si tratta soltanto di una ottantina di generazioni: basta pensare al nonno del nonno, del nonno, ecc…, per una trentina di volte, e ci si ritrova in famiglia. In quegli anni, quando un viaggiatore proveniente dalle terre del nord si affacciava al crinale dei monti e guardava a meridione, se la stagione era buona e l’aria chiara, vedeva nel verde del piano una piccola città, sulla riva di una luccicante distesa d’acqua fra campi variegati per le diverse colture e macchie di boschi. Disceso al prato, già ammaliato dalla bellezza dei luoghi, arrivava alla porta ed entrava in città per il ponte sul fossato, udendo insieme al rumore dei suoi passi il mormorio delle cascatelle per le quali l’acqua arrivava alla Brana. E chi, nato nella città, doveva andar lontano al di là dei monti, a cercar fortuna o soldato comandato in battaglia, il mormorio di quell’acqua e il verde del prato erano gli ultimi ricordi della piccola patria, che portava con sé. Nel corso dei secoli parecchi eserciti scelsero la via della Collina per scendere a sud e più che al paesaggio si interessarono all’importanza strategica della città, perché chiaramente il luogo era forte, da prendere e tener con le armi, a difesa della via dei monti e della strada, che da Fiesole andava verso il mare www.omceopistoia.it passato e presente È probabile che, nel maggio del 217 a.C., i soldati di Annibale la descrivessero come sopra si è detto, al loro generale, impedito nella vista da una grave congiuntivite, che lo rese cieco da un occhio, quando, venendo dalla Valle del Po, giunsero al crinale, stremati da una marcia faticosa attraverso le valli appenniniche. Discesi al piano, non si fermarono. Annibale sapeva che il tempo giocava a favore dei nemici in agguato lungo la via di Fiesole; e, per non rischiare l’esercito, ordinò che si passasse attraverso terreni allagati: era piovuto molto in quella primavera e il lago aveva più acqua del solito. Fu una durissima marcia, nella quale perirono molti uomini e morì l’unico sopravissuto degli elefanti, che avevano valicato le Alpi: Surus, il migliore fra tutti gli elefanti da combattimento, come ci tramandano gli antichi scrittori. Dopo la fine dell’avventura di Annibale, che cambiò il destino di Roma e dell’Italia, e quindi del mondo, Pistoia fu rifondata dai Romani, e nel giorno dell’equinozio di primavera, di un anno intorno al 189 a.C., un Augure tracciò in terra il segno del corso del sole da oriente a occidente e su quel segno, che corrisponde alla moderna Via degli Orafi, la città fu definita nei confini urbani e nel reticolato delle antiche vie parallele e ortogonali fra loro, di cui rimangono tracce ben apprezzabili nella città moderna. Di Pistoia si parla pochissimo nella storia di Roma, segno che i Pistoiesi di quegli anni ebbero una vita oscura, tranquilla e ordinata. Soltanto nel 62 avanti Cristo un avvenimento importante rese noto al mondo il nome di www.omceopistoia.it LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA Impronta di sandalo di legionario romano tratta da N. Rauty, Il Palazzo dei Vescovi, vol. II, 19.. Pistoia, tanto da scomodare Cicerone, Sallustio ed altri scrittori. Nel suo territorio fu distrutto l’esercito di Catilina, e, forse proprio nel nostro prato, i superstiti della sfortunata rivolta si raccolsero, negli anni successivi, per ricordare ed onorare la memoria del loro capo, caduto da eroe sul campo. Durante gli anni del potere di Roma, infatti, il prato fu un’estensione del territorio urbano, giardino forisportam per la città, campo marzio, luogo di mercato e di ritrovo per i cittadini: le mura delle città d’Italia, fino a quando i confini dell’impero furono lontani diverse centinaia di chilometri, ebbero più importanza come limes amministrativo che come baluardo militare. Il prato, in quegli anni, conobbe anche la vita umile degli ultimi e le inenarrabili fatiche degli schiavi, che, in quel luogo ricco di acqua corrente, lavoravano alla concia delle pelli e nelle tintorie, invidiosi della pur miserrima vita degli schiavi addetti ai lavori dei campi. Fu testimone del continuo via vai delle milizie adibite al controllo delle strade, per rendere sicuri i viandanti e i commerci. Si trattava di numerosi soldati perché la giurisdizione di Pistoia era molto vasta, arrivando a nord al di là degli Appennini, ed a sud oltre i colli di sotto, al di là del padule di Fucecchio fino all’approdo di Massarella, da dove partiva una strada verso Roma. La moderna Diocesi Vescovile, modellata sulla divisione territoriale romana, ripete molto più fedelmente della Provincia, quei confini. Di tutti quei soldati è rimasto ben poco: l’impronta di un sandalo chiodato da legionario su di un mattone, conservato nei sotterranei del Palazzo dei Vescovi. Non credo che quel soldato abbia pestato per caso o per gioco l’impasto fresco del laterizio: m’immagino che stesse partendo con la sua centuria, per il confine della Scizia o della Libia, e volesse, in quel modo, lasciare un segno, una firma durevole su un pezzo della sua città; e vedo, nella mia mente, il fornaciao, che cosse e conservò il mattone in ricordo dell’amico che quasi certamente non avrebbe mai più incontrato. Non è impossibile che la fornace, dove fu cotto quel mattone, fosse nel nostro prato, dove l’acqua per impastare l’argilla non mancava 31 passato e presente nemmeno nei giorni più caldi dell’estate. Anche, se una parte della prateria, in quei tempi, era destinata a varie manifatture e ad attività commerciali, vasto era lo spazio che rimaneva aperto sul fiume; e nelle tepide serate di primavera diveniva luogo di passeggiate e di incontri; e per i ragazzi di allora l’erba ed i cespugli erano terreno di giochi. Orazio, in una delle Odi più famose invitava, se mai ce ne fosse stato bi- sogno, i giovani di Roma ai giochi ed ai convegni d’amore al calar della sera, nei prati lungo le rive del Tevere. Non credo che, nei prati lungo le rive della Brana, quando al tramonto le rondini radevano l’acqua e le ombre si allungavano, le cose andassero diversamente: gli amori e i giochi dei giovani, nella primavera della vita, sono sempre stati, e sono gli stessi, in ogni tempo e sotto tutti i cieli. LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA 32 www.omceopistoia.it L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA Guercino e la scuola emiliana fra Sei e Settecento Art Defender, società finalizzata alla custodia, conservazione e restauro di beni di pregio, ha ospitato nella sua sede di Bologna una straordinaria mostra dedicata a Guercino e alla scuola emiliana fra Sei e Settecento, con una selezione di capolavori provenienti dalla Pinacoteca Civica di Cento e ricoverati presso i suoi depositi a seguito del sisma dello scorso maggio. A sostegno dell’arte, della conservazione dei valori e della storia che essa rappresenta, Art Defender ha ideato quest’iniziativa che, oltre a permettere a collezionisti e amanti dell’arte di ammirare tali capolavori, ha rappresentato un momento di sensibilizzazione verso uno dei Comuni maggiormente colpiti dal terremoto e verso la sua Pinacoteca Civica, rimasta gravemente danneggiata e attualmente inagibile. Coloro che fossero interessati a sostenere la ricostruzione della struttura museale potranno far pervenire una donazione mediante bonifico su conto corrente bancario intestato a: COMUNE DI CENTO - SERVIZIO TESORERIA CODICE IBAN: IT 02 N 06115 23415 000000003640 Causale: Restauro della Pinacoteca Guercino, Madonna con bambino, 1629, Cento, PInacoteca Civica