La casa è il luogo nel quale gli esseri umani river
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La casa è il luogo nel quale gli esseri umani river
Prefazione (post-fatta, per la verità) La casa è il luogo nel quale gli esseri umani riversano i propri desideri, le proprie aspirazioni e le proprie passioni. È lo sfondo sul quale una coppia proietta il film della sua vita futura, la cornice delle proprie azioni quotidiane. È il vestito che ci si cuce addosso. Ognuno, quindi, profonde, nella ricerca dello spazio ‘giusto’, grandi energie economiche e intellettuali, ovvero grande impegno nell’immaginare, progettare e realizzare la propria casa. Si va alla ricerca di qualcosa che sia unico, che rappresenti se stessi in modo peculiare, ma possa essere apprezzata, al tempo stesso, ‘in senso universale’. Qualcuno richiede anche alla propria casa doti magiche e divinatorie, capacità di migliorare il proprio stile di vita, di indurre cambiamenti comportamentali, di stimolare all’ordine e all’organizzazione, di potenziare la concentrazione e favorire un approccio positivo ai problemi quotidiani. Forse per questo la ristrutturazione di una casa è un’esperienza unica nel suo genere, non solo per il committente, ma anche per il progettista/direttore dei lavori. Un’esperienza intensa per l’alto contenuto umano che racchiude, per la necessità che esprime di 7 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! dare forma e figuratività estetica alle passioni umane, ma anche per il confronto-scontro tra diversi universi: quello del committente, con tutto il suo bagaglio culturale e la sua idea preconcetta di casa e quella del professionista, con la sua cultura architettonica preordinata, che deve interpretare di volta in volta nuovi desideri, nuove aspirazioni e nuovi gusti. Alla fine diviene un confronto tra esseri umani. D’altra parte il primo, non avendo conoscenza di fatti tecnici, né possedendo attitudini artistiche, pone nelle mani di un estraneo, le proprie idee e i propri sogni perché questi li realizzi. Il secondo, dopo le ambiziose ipotesi iniziali, si trova a dover risolvere anche le cose più pratiche. Dovrà uscire dal suo ruolo e recitare anche parti minori, per poter conseguire il risultato estetico prefissato. I due si confrontano, vivendo stagioni diverse di attrazione e repulsione; in mezzo sta l’impresa esecutrice dei lavori che entrambi governano. Se non ci si prende troppo sul serio e si affrontano difficoltà e sofferenze con la giusta ironia, ci si può anche divertire molto, in entrambi i ruoli. Sicuramente, a ristrutturazione finita, molti problemi si relativizzano e le tensioni lasciano spazio alla soddisfazione per il risultato raggiunto. Il mio voleva essere un libro umoristico, maturato sulla scorta di dieci anni di professione, in cui, come si dice in questi casi, “ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale”... Poi mi sono fatto prendere un po’ la mano da argomenti di cui la nostra società non si occupa più, come l’estetica contemporanea, rivendicando per l’architetto quel ruolo che, nell’odierno contesto culturale, è stato usurpato e negato. Così, con l’intenzione di fare un po’ di sana ironia, ho finito per fare una ‘seria’ apologia degli architetti. Alla fine mi accorgo che, parlando di estetica, si finisce comunque col parlare di storia, scienza, fisica e metafisica, giungendo alle ragioni ontologiche ed esistenziali dell’uomo. In fondo anche nel ristrutturare una casa si comincia con il voler fare una semplice tinteggiatura delle pareti, ci si imbarca, talora, in un’opera che può essere inserita nel contesto artistico – culturale contemporaneo e si finisce col restare imbrigliati in un’avventura umana a tutto tondo, in cui rientrano i grandi sentimenti, le passioni, le tensioni e le ragioni profonde dell’esistenza. 8 9 I La casa ideale Ogni committente che si rivolge all’architetto ha in mente un modello di casa; anzi, più modelli di casa, a volte molti modelli diversi di casa contemporaneamente... insomma, una grande confusione. Ognuno attribuisce al momento fatidico in cui si ‘fa’ la casa enorme importanza e di conseguenza investe l’architetto di grandi responsabilità. È una tappa a cui si giunge con sforzo, dopo anni e obbligandosi con un mutuo. Ci si arriva dopo numerose liti con il partner, coinvolgendo spesso le rispettive suocere e con notevoli compromessi rispetto alle ipotesi iniziali. Ma quando, prima o poi, si taglia il traguardo, c’è un solo pensiero che ci riempie la mente: “Finalmente tutto cambierà!” Mai più gli spazi dove abbiamo vissuto finora! La casa cambierà la nostra vita. Mai più calzini per terra (o sotto al letto). Mai più le carte dell’ufficio sul mobile da trucco o sul tavolo della cucina. Mai più il dentrificio finito, accuratamente riposizionato nel bicchiere per il secondo che arriva. Persino nostra moglie cambierà. Non avrà più, di prima mattina, la crema depilato- 11 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! ria sui baffi e le ciabatte pelose da uomo delle nevi, ma ci porterà la colazione a letto sorridente – in baby doll – come nelle pubblicità. Eccola pronta la casa dei sogni. Sembra già di vederla sotto le spoglie della casa precedente (tutta da rifare!), dopo le prime demolizioni dei tramezzi. In 100 metri quadrati (lordi) abbiamo già pronta la ‘lista della spesa’: un ingresso direttamente nel soggiorno “non come quello della casa di mamma, che immette nel corridoio.” Un soggiorno doppio, con zona living completa di caminetto (funzionante), separata dall’home cinema “mio marito è appassionato e ha tutti i DVD usciti con Panorama negli ultimi 16 anni.” Una cucina grande, bella, luminosa “è il cuore della casa, deve avere l’isola al centro e lo storage separato, magari ricavando una piccola dispensa... Mi raccomando, un piccolo tavolino per quattro per fare colazione senza sporcare la sala da pranzo, che deve essere una stanza a parte, separata, con tavolo per otto persone, apribile nelle festività.” “Adiacente al soggiorno sarebbe opportuno inserire un piccolo studiolo, per mio marito, così può lavorare al computer nel week-end.”.“Se possibile,” – qui, il tono oscilla tra il ‘probabilistico’ e la sfida all’intelligenza del professionista che, fra le sue varie capacità, deve essere anche un ‘abile ricavatore di spazi minimi,’ – “sarebbe bello inserire un bagnetto per fare lavare le mani agli ospiti nella zona giorno, solo water e lavabo: in barca ne ho visto uno che ha le dimensioni della scrivania del mio studio!” La zona notte deve essere separata da quella giorno. La camera da letto con bagno in camera per i genitori e, pezzo importantissimo, la cabina armadio: il guardaroba tradizionale non si usa più! Quello del progetto è il momento creativo del committente privato. Passati i giorni drammatici della ristrutturazione, ognuno ricorda nitidamente i momenti, bellissimi invece, in cui sognava la casa ideale, quando si aspettava il fine settimana per comprare tutte le riviste di arredamento: “AD”, “Il mio camino”, “La soffitta”, “La mia piscina” (non si sa mai, siamo al secondo piano ma il balcone è spaziosissimo!), “Ristrutturare in 28mq: numero speciale” (“Cavoli! noi ne abbiamo 100 e non dovremmo essere in grado di infilarci dentro tutto?”) È allora che gli italiani, popolo di allenatori, si scoprono un popolo di architetti, arredatori e ristrutturatori. Si passa alla fase due: la ‘raccolta iconografica’. Muniti di forbici, perché le riviste cominciano a essere tante e non si può continuare a portarle appresso, si ritagliano quelle figure che evocano nella nostra memoria l’idea di casa, la sensazione di spazi belli da vivere e le più recondite tensioni inconsce dell’animo umano. Un arzillo settantatreenne mi mostrò una doccia a filo-pavimento con vetro unico della lunghezza di due metri e cinquanta, una specie di ‘doccia da passeggio’ per avventure alla Richard Gere... Una soluzione che, proposta in 12 13 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! altre occasioni, fruttò un certo consenso a diversi professionisti, ho scoperto. Dopo qualche settimana l’album delle fotografie di interni di riferimento, effettuata una bella selezione, ammonta a qualche centinaio di immagini. Anche i colleghi dell’ufficio, mossi a umana pietà per chi, preso dalla ristrutturazione della prima casa, è nel momento più drammatico della sua vita, hanno portato qualche ‘immaginetta’. La scelta è ardua e all’architetto bisogna chiedere la ‘conciliazione degli opposti’, come diceva un filosofo che adesso non ricordo (Marsilio Ficino? Plotino? Devo chiedere all’insegnante di filosofia). Ci sono cucine in stile provenzale, con piccole mattonelle dai piccoli decori geometrici blu su fondo bianco (a tal proposito il collega di prima ha accluso una foto di un interno con azulejos portoghesi, che ci assomigliano e potrebbero starci bene insieme, a suo dire). C’è uno studio con pareti interamente rivestite di legno di noce scuro, compreso il soffitto cassettonato, e inserti in pelle bordeaux con borchie di fissaggio in ottone. C’è una cabina armadio di 46 mq (contro i nostri 4 netti), un soggiorno con un mobile minimal elegantissimo, costituito da un contenitore basso, rosso cina, lungo 6 metri e 40, con un plasma a parete e due box vetrati retro-verniciati verde acido (quelle composizioni che, se le hai scelte, ancora biasimi l’architetto per aver dovuto archiviare in cantina l’intera Enciclopedia dei ragazzi e i vecchi numeri di Selezione posti nella più efficiente libreria Ikea della casa precedente, per lasciare spazio a una candela natalizia, regalo della zia, nel box vetrato). Nel repertorio iconografico non mancano mobili ‘in stile’, di quelli finti che imitano mobili d’epoca, che non esistono più neppure nei migliori negozi di antiquariato, a cui nessuno vuole rinunciare, perché ‘la casa deve essere calda’, con un tocco di romanticismo: il moderno, da solo, è ‘freddo’. “La casa della mia amica che ha il marito architetto sembra un ospedale.” “In alternativa, ma non abbiamo ancora ben deciso, ci piacciono anche queste altre cose... e qui tirano fuori mobili in stile coloniale, bianchi, trattati con il decoupage, che lascia intravedere il legno, da villa sul mare in Grecia, mobili etnici, ‘stile Marocco’, che danno un tocco di colore, e un certo sapore di informalità alla casa; uno scrittoio stile vecchia marina, un mobile da trucco rococò, allestito con una poltrona a forma di fiore rosso in alcantara con gambe cromate, che fa da contrasto. Una camera da letto con tatami e futon giapponese. Arte povera, high tech, rustico da casa toscana, atmosfere di baita di montagna con variante tirolese e stile inglese. Sui materiali da utilizzare ancora poche perplessità. Il pavimento è la base di tutto, l’imprinting della casa. La casa dei nostri sogni ha il parquet in tutti gli ambienti. Ma ci sono quelle leggende metropolitane sui parquet che saltano, esplodono, fessurano, si rovinano e hanno bisogno di infinite cure e manuten- 14 15 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! zione, che costituiscono un forte deterrente, un’ombra lunga sul prosieguo dei lavori, uno spettro che tormenta le nostre notti. Il cognato, che ha ristrutturato casa da poco e ha fatto tutto da solo, senza architetto – molto meglio! – adduce, a tal proposito, un campione di piastrella in gres porcellanato 40x40, con superficie lucida; un materiale pratico, ‘uguale’ al marmo, ma molto più economico, che “dà un senso di pulito alla casa e non costa neanche molto!” Risolte con non poche sedute e non senza empasse tali questioni, rimane il grande scoglio da superare: il bagno, o meglio ‘l’ambiente bagno’ o ‘lo spazio bagno’, come dice il nostro architetto. Prima di ristrutturare la casa non avevamo mai pensato di dover dare tutta questa importanza a quei pochi metri quadrati nei quali campeggiano semplici oggetti, utili per espletare le funzioni più elementari che riguardano la persona. A ben pensare non ci ricordiamo neanche più il colore delle mattonelle del bagno della casa paterna, e ancora meno la forma dei sanitari, nonostante si tratti di un luogo assiduamente frequentato per i primi trent’anni della nostra vita, giorno più, giorno meno, per trecentossessantacinque volte all’anno. Eppure – è la pura verità – ho visto il mio commercialista, accompagnato dalla moglie, fare le prove sul water nel negozio, valutarne l’altezza, l’ergonomicità della seduta, l’allineamento perfetto del foro posto per il deflusso delle acque (e non solo), misurare la vicinanza del porta-rotolo e la sua perfetta collocazione sulla parete: sono scelte che non si possono sbagliare queste! Sullo stile del bagno e il disegno delle mattonelle il nostro architetto sta investendo quasi tutte le energie progettuali, producendo disegni a colori e modelli tridimensionali. Ci accorgiamo che nei negozi di ceramiche e materiali edili si attribuisce molta importanza a queste scelte e gli si dedica molto tempo. Insomma, non affrontare in modo approfondito l’argomento sarebbe come ignorare, anche come generico argomento di conversazione, i nomi dei giocatori della nazionale di calcio durante i mondiali. Abbiamo acquistato tutti i numeri della rivista “Il bagno”, “Il mio bagno”, “Interni bagno”; l’architetto ci ha convinto con la soluzione minimale-high tech, riuscendo a prevalere (per la prima volta) sulla scuola di pensiero del bagno in ‘stile inglese’ con tendina, proposto dalla moglie, appoggiata dall’opinione di mamma e suocera... insomma stavamo incominciando a divertirci un po’, quando ci accorgiamo che il bagno progettato, a conti fatti, comporterebbe l’investimento di più della metà del budget complessivo a disposizione per la ristrutturazione. Allora ‘ffanculo al design del sanitario sospeso, che in pianta si inscrive in un rettangolo costruito secondo la ‘sezione aurea’, e ‘ffanculo alla rubinetteria cromo con profili rettangolari e anche al soffione doccia di proporzioni giganti, che avevamo scoperto essere più status symbol del Rolex d’oro nell’am- 16 17 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! biente maschile. In fondo, come direbbe De Crescenzo, “un cesso è un cesso anche quando si espone in un museo!” Partendo dal “cesso” di De Crescenzo e passando per l’orinatoio a muro di Duchamp (famosa opera d’arte del 1915 intitolata Fountain), riaffiora la questione della bellezza dell’ambiente antropizzato e in generale ‘la questione dell’arte’. Ci accorgiamo di essere arrivati a trentacinque, quarantacinque, a volte cinquantacinque anni, senza esserci mai posti il problema di che cos’è l’arte, cos’è bello e cosa è brutto. Ci accorgiamo che non ci sono mai interessati i monumenti e gli edifici creati dagli uomini, che hanno lasciato un segno nella storia, e non crediamo che possa avere alcuna rilevanza nella nostra vita domandarci se una facciata di un edificio esprima contenuti diversi, da quello squisitamente funzionale, di separare l’ambiente interno da quello esterno, modulando il passaggio della luce e dell’aria. D’altra parte l’architettura non è un argomento che compare nei palinsesti televisivi, non è cioè una forma di sapere trasmessa dall’unico mezzo di divulgazione della cultura conosciuto dalla nostra civiltà... e poi si può sempre rispondere, evitando conversazioni sui massimi sistemi e tagliando corto: “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Eppure lo spazio edificato è quello in cui viviamo e non possiamo ignorarlo. Si può passare indifferenti davanti a un museo ed ‘evitare’ le opere d’arte che vi sono esposte, ma non si può restare indifferenti agli spazi urbani e all’architettura della nostra città. Prestando solo un po’ di attenzione, ci accorgeremmo che gli edifici possono comunicare, al di là del loro mandato funzionale, sensazioni di confort o di angoscia; che le forme articolate di un invaso spaziale possono stimolare la curiosità di scoprire e comprendere gli spazi interni, che si colgono attraverso visioni multiple e trasversali, al modificarsi del punto di vista; che l’ingresso della luce all’interno di una chiesa può evocare l’illuminazione divina o far sentire l’impalpabile presenza dello Spirito Santo. E ci viene il dubbio che la bellezza esista anche nell’architettura! Ci ricordiamo, allora, di essere stati in un piccolo museo a Barcellona non proprio contemporaneo, ma modernista, di aver gustato uno straordinario dessert in un piccolo patio racchiuso tra i volumi dell’edificio, di aver visto un tramonto riflettersi nelle vetrate prospicienti il patio e i volumi, bianchi, proiettare ombre lunghe e immaginifiche; il tutto dopo una bella scorpacciata di dipinti di Mirò e quindici minuti passati a osservare inebetiti una fontana con gocce di mercurio in moto perpetuo. E quell’edificio era bello! Ci ricordiamo ancora lo spazio scenografico 18 19 Cos’è la bellezza nell’architettura? MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! all’interno del Guggheneim di Bilbao e l’intrigante ingresso della luce in un coacervo di materiali differenti. Anche questo ci era sembrato bello e ci aveva persino fatto dimenticare la stucchevole impressione lasciataci dai volumi esterni, che invadono lo spazio urbano come una gigantesca scultura dalle forme gratuite. Belli erano certi involucri di edifici di Herzog e De Meuron; certi formalismi di Steven Holl. Bello era il modo di lavorare sul dettaglio di Carlo Scarpa. Belle erano tante creazioni architettoniche diverse, di epoche storiche diverse, viste in luoghi diversi del pianeta. Ci ricordiamo di una possente cattedrale romanica, con la facciata completamente asimmetrica. Ma anche della perfetta simmetria e del ritmo costante della facciata di S. Maria Novella, di quello del porticato dell’Ospedale degli Innocenti di Brunelleschi e di tutto il Rinascimento italiano, che aveva così straordinariamente saputo interpretare la centralità dell’uomo nell’universo e aveva cominciato a guardare il mondo con l’uso della prospettiva. Ci era sembrata interessante anche una facciata con finestre disposte in modo casuale, ma controllato, di un gruppo di architetti olandesi. Entusiasmante un edificio a Weil am Rhein della Zaha Hadid per la tensione dinamica dei volumi decostruiti. Affascinante un edificio in vetro a Berlino, con una pelle riflettente, trasparente e cangiante, e la pubblicità in movimento. Avveniristico il Centre Pompidou a Parigi, per l’estroflessione di tutti gli elementi tecnologici e strutturali, non più nascosti da un involucro, pronto a inaugurare una nuova estetica. Anche la facciata gotica di Notre Dame a Parigi non era male, soprattutto guardata con l’occhio dei pittori impressionisti. La storia complicata della chiesa di S. Nicola in Carcere, vicino al Foro Olitorio sembra rendere bello un edificio in cui si sovrappongono il colonnato di un tempio romano, una torre-campanile medievale, una facciata tardorinascimentale e gli elementi decorativi sette-ottocenteschi dell’interno. Avevamo anche avvertito un brivido lungo la schiena nella notte illuminata di Times Square a New York, lì, nel cuore del mondo, in uno spazio urbano fatto di display luminosi. Unica al mondo ci era sembrata la “casa sulla cascata” di Wright, costruita come un ponte, con una cascata che le passa sotto e una scala il cui ultimo gradino è la superficie dell’acqua! Era stato incredibile anche un giro a Los Angeles attraverso i suoi quartieri degradati, con un amico artista, che fotografava dettagli di facciate di capannoni industriali e di modesti manufatti spontanei autocostruiti, per farne dei bellissimi quadri informali. E quelle facciate ce le aveva fatte vedere con uno sguardo nuovo, per gli inusitati valori figurativi che posseggono. Anzi, riflettendoci bene, ci sembra anche che abbiano maggiore valore estetico certi piccoli villag- 20 21 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! gi di pescatori, venuti su spontaneamente, che quegli enormi villaggi turistici che deturpano le nostre coste. Ci sembrano più intriganti certe composizioni di lamiere giustapposte, con trame grafiche diverse di carrozzieri anonimi, delle facciate omogenee nei condomini di edilizia economica e popolare, con cellette progettate tutte uguali, o di altre facciate di grandi ‘contenitori urbani’ nei quartieri dormitorio delle nostre squallide periferie, legittimate dai Piani Regolatori... E la faccenda sul bello e sul brutto si stava facendo complicata! Allora che cos’è bello in architettura? Che cos’è, in generale, l’arte? Rimettiamo un po’ in ordine le idee e cerchiamo di capire se nei nostri pensieri sparsi ci sia qualcosa di oggettivo, qualcosa che riguarda il gusto, lo stile o la bellezza come concetto trans-epocale. Ci domandiamo se in un’opera di architettura, che possa definirsi tale, debba esserci qualche caratteristica che vada al di là della storia e degli stili; un elemento che ci aiuti a definire un edificio bello, oltre che utile. La simmetria? Le proporzioni classiche? Il rispetto di certe leggi compositive e sintattiche? Il rapporto con la natura? La capacità di trasmettere emozioni e di evocare ricordi? L’attitudine a divenire una rappresentazione simbolica? Non ci sembra che qualcuna di queste caratteristiche possa essere, da sola, una condizione necessaria e, a ben guardare, neppure sufficiente, per definire un’opera di architettura. Ci chiediamo, allora, se il suo valore muti a seconda del contesto storico e culturale. In effetti per un uomo del Rinascimento ‘gotico’ poteva sembrare rozzo, avendo in mente il modello classico di proporzione e bellezza. A noi il neoclassicismo settecentesco può sembrare freddo e persino artificiale, nel suo ostinato recupero della classicità. Ma qui si entra in questioni di critica storiografica e di ermeneutica da cui difficilmente si esce. Leggiamo, tra le varie teorie che cercano di definire ‘che cos’è l’arte’, della cosiddetta teoria istituzionale, elaborata da una certa comunità di critici dell’arte, che possono decidere se un cavallo imbalsamato, appeso a delle funi, possa essere messo in un museo e definito ‘arte’, e se il letto con le lenzuola disfatte di Tracey Emin (My bed, 1999), mutande e calzini compresi, possa essere esposto in una galleria e acquistato da qualche ricco mercante d’arte come un capolavoro da mettere nella sua lussuosa dimora (vai a spiegare a tutte le domestiche che il letto non va rifatto e i calzini non possono essere spostati... Una sola distrazione e vanno a farsi benedire migliaia di dollari!). Quello che si può, obtorto collo, accettare per l’arte, che è, tutto sommato, autofinalizzata, sembra non andare bene per l’architettura, che deve pure avere un’utilità sociale. Se pure esiste una comunità di critici e intellettuali, che decide che una piazza con lastre bianche di pietra e lunghi porticati a maglia quadrata, 22 23 MATTEO CLEMENTE GLI ARCHITETTI... DOVREBBERO AMMAZZARLI DA PICCOLI! con un elemento geometrico ruotato di 30 gradi che taglia un lato in un sottomodulo dell’altro, è un’opera di architettura che deve essere costruita, esisteranno anche delle persone che decideranno di lasciare quella piazza vuota, deserta, in modo che, nella sua astrattezza geometrica, assomigli, piuttosto, a un quadro di Sironi. Allora quella piazza sarà brutta. O sicuramente meno bella della più piccola, meno geometrica, ma più frequentata piazzetta dove la gente ama sostare, incontrasi, vivere e godere. Cercando un filo conduttore nelle opere di architettura che ci piacciono, ci sembra pertinente la teoria dell’arte professata dai proseliti di Wittgenstein. L’esempio riportato dal noto filosofo, in realtà, riguardava la parola ‘gioco’. Si può utilizzare la parola ‘gioco’ riferendosi a molteplici attività, che, di fatto, non hanno nulla in comune tra loro. Nel gioco del lotto il fine sembra essere la vincita di una somma in denaro, in quello del calcio c’è una componente atletica, che sembra mancare nel gioco degli scacchi. Di altra natura ancora il gioco del girotondo dei bambini. I seguaci di Wittgenstein estendono questo concetto alla definizione di ‘arte’, come qualcosa che può includere opere tra loro molto differenti e, soprattutto, fornendo la possibilità di ampliare il concetto di arte nel futuro, includendo in questa categoria opere tra loro molto diverse, definibili con aggettivi completamente diversi. Di fatto questa teoria non ci aiuta a capire che cos’è l’arte e che cosa si può definire bello e neppure ‘degno di nota’, ma ci dice semplicemente che si possono definire opere d’arte cose tra loro molto distanti. Anche in architettura sembrerebbe possibile definire ‘belle’, o quanto meno ‘interessanti’, opere che hanno valenze estetiche molto differenti tra loro. Anche in questa branca del sapere sembrerebbe comoda una definizione estensiva di ‘opera degna di nota’, per un certo gruppo di individui aventi comune sentire, già utilizzata nelle disquisizioni filosofiche sulla più generale ‘questione dell’arte’. Soprattutto, una definizione estensiva di ‘opera degna di nota’, in architettura, resta aperta a più possibilità di definire ‘bella’ un’opera. Ma è proprio questo il limite della definizione, che non ci fornisce nessun canone estetico di giudizio, nessun criterio per considerare bella una scelta architettonica, interessante un edificio o affascinante uno spazio. Una teoria abbastanza verificabile è che la bellezza abbia a che fare con la ‘coerenza sintattica’ del linguaggio. In quest’accezione semantica, l’armonia delle forme, l’equilibrio dei colori, l’accostamento dei materiali, il ritmo delle superfici, hanno significati e valori che si evolvono con la storia, con il gusto e con i cambiamenti culturali, avendo, quindi, come unica condizione necessaria e permanente, l’uso di una sintassi coerente. Ma con ‘l’analisi grammaticale’ tutt’al più si può scrivere un pezzo di prosa. La poesia è un’altra cosa. 24 25