il punto - Centro Studi Calamandrei
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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Settembre 2005 - N° 16 SOMMARIO 214 - I nuovi crociati – di Giampietro Sestini SIAMO TUTTI METICCI 215 - Pera: chiude la porta mentre il Papa dialoga – di Don Mazzi 216 - Io meticcio, immigrato che Pera non vuole - di Gad Lerner 217 - Larissa, mia figlia meticcia - di Fiona May 218 - Discorsi a Pera – a Rimini, confusione e contraddizione PATTI-CONTRATTI CIVILI DI SOLIDARIETA’ 219 - Alla ricerca di voti lacerando la famiglia – Osservatore Romano 220 - Prodi sovverte la famiglia, presto l'eutanasia – di F. Storace 221 - Le coppie di fatto e i "no" del vaticano – di Corrado Augias 222 - Le coppie di fatto e i valori della chiesa - di Giuliano Amato 223 - Contratti di convivenza si, figure matrimoniali no – di F. Rutelli LAICITA’ 224 - Che cosa vuol dire essere laici oggi - di Giuliano Amato 225 - La nuova alleanza tra fede e ragione - di Massimo L. Salvadori 226 - La fede considerata superiore a tutto – di Corrado Augias 227 - La Fallaci dal papa, quale occidente da salvare?– di F. Orlando 228 - Banca d'Italia: l'eclisse della laicità – di Federico Orlando EUTANASIA 229 – Eutanasia: parte la campagna d'autunno - di Ignazio Ingrao 230 - Olanda – eutanasia su bambini 231 - Olanda – sedazione terminale DAL TERRITORIO 232 - Modena – LiberaUscita al festival dell’Unita’ PER SORRIDERE...... 233 - La vignetta di Brusco. LiberaUscita Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia Sede: via Genova 24, 00184 Roma Tel. 0647823807 – 0647885980 – fax 0648931008 Sito web: www.liberauscita.it - email:[email protected] 1 214 - I NUOVI CROCIATI – DI GIAMPIETRO SESTINI C’era da immaginarselo. Imbaldanziti dalla grande astensione dalle urne che ha fatto fallire – malgrado oltre 10 milioni di voti a favore - i referendum per cambiare la legge sulla fecondazione assistita, sotto la guida del cardinal Ruini e con la benedizione di Benedetto XIV si sono compattati e sono ripartiti i “nuovi crociati”. Questa volta, a differenza di allora, l’obiettivo non è quello di riconquistare il sacro sepolcro, anche a costo di sgozzare esseri umani “infedeli”, bensì di impedire l’approvazione di qualsiasi provvedimento di legge che non corrisponda alle “sacre scritture”, dettate per essere comprese dagli uomini di oltre duemila anni fa e di volta in volta interpretate e adattate dalla gerarchia ecclesiastica pro-tempore. L’armata dei “nuovi crociati” è guidata da molti generali e colonnelli. Anzitutto i Presidenti delle Camere, Marcello Pera e Pierferdinando Casini. Quindi i Ministri Rocco Buttiglione, Francesco Storace, Roberto Calderoli, Carlo Giovannardi; i leaders di partito Marco Follini, Clemente Mastella; gli “atei devoti” Giuliano Ferrara, Oriana Fallaci, Antonio Socci; gli scienziati Francesco D’Agostino, e così via. L’Italia non è più costretta ad far emigrare i suoi cittadini per cercare lavoro in terra straniera ma è diventata (per fortuna) essa stessa terra di immigrati, peraltro necessaria all’economia del nostro Paese? Ebbene il Presidente del Senato, seconda carica dello Stato che avrebbe il dovere di rappresentare l’intero popolo italiano, si scaglia contro i pericoli di “diventare tutti meticci” e di essere invasi dalle altre religioni. In tutto il mondo (tranne l’Italia e l’Irlanda) si ricorre alla pillola RU486 per interrompere – nei tempi consentiti dalle leggi – le gravidanze a rischio senza ricorrere ad interventi invasivi e pericolosi? Ebbene in Italia il Ministro della sanità invia gli ispettori all’ospedale sant’Anna di Torino perchè ha iniziato a sperimentare – dopo quattro anni di verifiche e di autorizzazioni - la pillola in questione. Il candidato (pardon, uno dei candidati) dell’Unione alla Presidenza del Consiglio per le elezioni politiche 2006, Romano Prodi, si azzarda a dire che nel programma di Governo troverà soluzione il problema delle coppie non sposate, etero o omosessuali, attraverso i PACS (Patti civile di solidarietà)? Subito l’Osservatore Romano lo accusa di voler incrinare l’istituto del matrimonio (che è tutt’altra cosa), di “relativizzare” e “ideologizzare” la realtà della famiglia, di voler provocare una “lacerazione insopportabile”. Il fatto che i PACS siano diffusi in moltissimi paesi europei per i “nuovi crociati” non significa nulla: se due persone si amano, desiderano vivere insieme ed assistersi reciprocamente debbono essere di sesso diverso e debbono sposarsi. Altrimenti vivono nel peccato, e quindi sono condannati all’inferno, e all’ostracismo su questa terra. Cha fine ha fatto l’art. 3 della Costituzione italiana, laddove dispone che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”? Secondo il sociologo Marzio Barbagli, autore dell’unico libro italiano sulla comunità gay, “l’Italia è veramente l’ultimo paese in Europa ad adeguare la legislazione sui diritti civili agli omosessuali”. Secondo Barbagli, il ritardo si spiega, dal punto di vista politico, perchè “il partito cattolico è presente in tutti gli schieramenti e riesce ovunque a far scattare meccanismi di difesa e di blocco per una legislazione per i gay”. Insomma, nel passato la Democrazia Cristiana per governare col sistema proporzionale doveva “mediare” con i partiti laici del centrosinistra, e da ciò le leggi sul divorzio e sull’aborto. Oggi, dopo la “diaspora”, i cattolici sono diffusi sia nel centrodestra che nel centrosinistra e, col sistema maggioritario, riescono a bloccare ambedue gli schieramenti. LiberaUscita è fortemente preoccupata per il clima di integralismo che sta montando nel Paese, clima che purtroppo ostacolerà in questa legislatura – fortunatamente ormai al termine – l’approvazione di provvedimenti di legge come la depenalizzazione dell’eutanasia e la legalizzazione del testamento biologico, per i quali ci battiamo senza scopi o interessi personali, animati soltanto da spirito di giustizia, di solidarietà e di misericordia umana. 2 Per questo riteniamo che il problema centrale sia ora quello della laicità dello Stato. E non solo per le questioni inerenti all’eutanasia e al testamento biologico e alla bioetica in generale, ma per lo stesso livello di civiltà del nostro Paese. 215 - PERA: CHIUDE LA PORTA MENTRE IL PAPA DIALOGA – DI DON MAZZI Intervista di Orazio La Rocca – da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005 «Sul dialogo con le altre religioni, papa Ratzinger va avanti, mentre Marcello Pera va indietro. Quello che il presidente del Senato ha detto al Meeting di Cl, è preoccupante e anche avvilente per gli inevitabili aspetti razzistici che sono emersi tra le righe dell' allarme lanciato: non vedo con quale altra espressione è possibile definire quel presunto pericolo che l'Occidente possa diventare "meticcio" a causa degli arrivi di immigrati proveniente dal Terzo Mondo». Don Antonio Mazzi, presidente e fondatore della comunità di accoglienza Exodus, è da sempre è a contatto diretto con immigrati, giovani tossicodipendenti, prostitute, fedeli di altre religioni, specialmente musulmani. Quando ha letto le parole pronunciate da Pera quasi non voleva crederci. «E’ pazzesco, con questi allarmi non si va da nessuna parte. E solo uno scotto che si paga alla Lega. Anni di insegnamenti papali sul dialogo e sul principio cristiano dell'accoglienza di chi ha bisogno, buttati al vento». Don Mazzi, è così pericoloso il discorso fatto da Pera ai ragazzi di Cl? «Da quello che ho letto sui giornali, mi sembra tutto assurdo. Quel richiamo alla guerra, alla difesa della razza europea, mi sembrano fuori luogo. Con queste parole non si va da nessuna parte. Si torna indietro. I papi di questo secolo in materia di dialogo interreligioso e di accoglienza hanno detto ben altro, e Benedetto XVI ce lo ha ricordato a Colonia>. Pera ha parlato dei pericoli legati al terrorismo islamico. Un problema serio. Non crede? «Ma lottare contro il terrorismo e quanti usano la religione musulmana per fini che nulla hanno a che vedere con la fede e con Dio, non significa avere paura delle altre religioni è delle altre culture. A Colonia papa Ratzinger ha invitato cristiani, ebrei e musulmani ad unirsi in difesa della pace e della fratellanza. E’ questa la strada da seguire. E' assurdo: mentre Benedetto XVI, in sintonia con Giovanni Paolo Il, rilancia il dialogo interreligioso, la seconda carica dello Stato italiano incita alla guerra al terrorismo e lancia allarmi che definire razziali è il minimo che si possa fare». Sull'Occidente incombe veramente il pericolo di diventare meticci? «La parola meticcio, vocabolario alla mano, ha un significato ben preciso. Usarla in termini negativi per lanciare l'allarme della "mescolanza" di religioni e culture diverse da quelle tradizionali, è umiliante ed avvilente». 216 - IO METICCIO, IMMIGRATO CHE PERA NON VUOLE - DI GAD LERNER Da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005 Sono un meticcio immigrato nella penisola italiana ormai quasi mezzo secolo fa, di quelli che rischiano d'inquinare la pura razza toscana cui appartiene il presidente del Senato, Marcello Pera. In effetti ho generato dei figli con donne italiane. Nei giorni scorsi giocavano a pallone in Maremma con gli agenti della scorta di Pera, probabilmente mentre lui stava rinchiuso a cogitare il suo discorso di Rimini.Spero la circostanza non lo inquieti troppo. Loro, non si sentono meticci, ma italiani. Come me. Quando nel novembre 2004 Pera dichiarava a questo giornale: «Noi liberali non dobbiamo più limitarci a dire "non possiamo non dirci cristiani". Ma adesso "dobbiamo dirci cristiani". E tutti gli europei dovrebbero dirlo. Soprattutto se laici, potevo ancora limitarmi a sorridere: liberale dei miei stivali. Ma adesso non mi diverto più. Stiamo parlando della seconda carica dello Stato. E’ assai grave vedere proprio lui, che secondo la norma costituzionale potrebbe essere chiamato in ogni momento a garante supremo dell'unità nazionale, trasformarsi in un pusher d'identità artificiali e manipolate. Pera scherza col fuoco senza saperlo quando dichiara: «In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta 3 all'immigrazione incontrollata e si diventa tutti meticci». E quando richiama l'esigenza di una società “virtuosa” aggettivando la democrazia con inediti termini minimizzanti: «Una democrazia relativista è vuota», dice, «ci fa perdere identità collettiva e ci priva di qualunque senso obiettivo del bene». Magari bastassero i richiami al Sinai, al Golgota e all'Acropoli per definire il senso obiettivo del bene nella società contemporanea. Possibile che non si colga il pericolo insito in questo richiamo frettoloso alle tradizioni, in questa bolsa retorica della riscoperta delle radici che affligge ormai il lessico pubblico? Non sta a me giudicare la disinvoltura manifestata nella ricerca affannosa di una nuova identità da un leader politico che solo due anni prima di enunciare l'imperativo "dobbiamo dirci cristiani", si dichiarava contrario a che nel preambolo della Costituzione europea figurasse un richiamo esplicito alle "radici giudaico-cristiane". Con quel prefisso, "giudaico", peraltro frettolosamente appiccicato in barba a secoli di storia. In tempi di chirurgia estetica, anche Pera è libero di rifarsi i connotati intellettuali. Ma la sua vicenda pubblica rivela la vera malattia delle nostre società spaesate, su entrambe le sponde del Mediterraneo e un po' dappertutto in giro per il mondo: l'illusione che le identità, singolari e plurali, possano essere costruite a tavolino, frugando nel passato e invano cercandovi rassicurazione, coesione, orgoglio d'appartenenza. Pera fa un uso dei simboli non molto più sofisticato di quello che va per la maggiore nelle curve degli stadi di calcio. Con il rischio di produrre effetti ancora più nocivi. Ha paura del meticciato che caratterizza la nostra metropoli globale. Contribuisce a demolire il paradigma culturale universalistico - quello sl felice prodotto storico dell'evoluzione delle culture giudaica, cristiana e illuminista - in base al quale siamo giunti a considerare gli uomini tutti uguali e dunque titolari dei medesimi diritti. In quel suo parolaio sentirsi già in guerra - ma perché non partono mai volontari, questi predicatori? - risuonano gli echi della "nouvelle droite" europea che non celebra più la superiorità razziale, ma insiste sulla "naturale" differenza fra gli esseri umani. Non solo. L'inedito attacco alla democrazia "relativista" apre nuovi interrogativi sulla fonte della sovranità. A chi spetta la corona? Il potere torna a essere legittimo quando viene insignito dall'alto? Gli spacciatori d'identità manipolate si assumono gravi responsabilità in tempo di guerra, specie se rivestono importanti cariche pubbliche. La loro propensione alla metamorfosi, magari solo con lo scopo di improvvisare una nuova armatura culturale che dia forma a uno schieramento politico in crisi, vista l'impossibilità di riproporsi liberale e liberista, è segno di debolezza. Marcello Pera farebbe bene a prendere lezioni da Ariel Sharon, un leader conservatore disposto a scontrarsi duramente con le tendenze integraliste che minacciano la natura laica dello Stato israeliano; consapevole di come una falsa esegesi biblica abbia prodotto effetti devastanti in seno alla stessa comunità nazionale. Ma il discorso di Rimini è rivelatore anche di una degenerazione parossistica in cui precipita la storica tendenza italiana al trasformismo, raggiungendo le più alte sedi istituzionali. Già una terza carica dello Stato, l'ex presidente della Camera, Irene Pivetti, si era resa protagonista di singolari trasformazioni: da leghista a seguace di Mastella; dal tailleur della cattolica vandeana all'abbigliamento fetish studiato per lei da crudeli costumisti televisivi. Adesso tocca alla seconda carica dello Stato. Pera come la Pivetti? Magari, sarebbe il danno minore. Ecco dove porta l'ossessione della ricerca delle radici. 217 - LARISSA, MIA FIGLIA METICCIA - DI FIONA MAY Intervista di Emanuela Audisio – da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005 Fiona May, lei saltò, vinse, disse: «Gianni, I love you». «Sì. Urlai lamia felicità in tv. In un inglese misto italiano. Era il '95, mondiali di Goteborg. Il mio primo oro con la maglia azzurra. lo nera, nata a Londra, di origini giamaicane. Gianni Iapichino era ed è mio marito, insieme abbiamo una figlia Larissa, di tre anni. Meticcia. Allora l'Italia sembrava fiera di me». 4 C'è il rischio del multiculturalismo, avverte Pera. «Ma dove vive questo signore? Non si accorge che in Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, capita la stessa cosa? Non vede come queste società si siano organizzate per fare in modo di accogliere anche chi viene da fuori. A tutti è lecito fare riflessioni, esprimere le proprie idee. Ma se sei un rappresentante dello Stato devi pensare alle conseguenze delle tue parole. Ci sono sedi giuste dove esaminare le questioni, senza gridare allo scandalo, o al pericolo. E c'è lo sfogo puro. Non si rende conto questo signore di avere un approccio vecchio al problema? E di favorire la spinta al razzismo?». Già, lei andava allo stadio a vedere la Fiorentina. «Sì, ma io i tifosi italiani non li ho mai considerati razzisti. Pure se urlano, fischiano e deridono i calciatori neri. Sono incivili, d'accordo. Ma per loro l'avversario è un nemico. Da disprezzare sempre, mai da onorare». May, Martinez, Myers, Howe, Kaba Fantoni. Quando l'Italia azzurra vince con la pelle nera tutti applaudono. «Vuole che non lo sappia? Myers ai Giochi di Sydney nel duemila fu portabandiera. All'Italia piaceva mostrare di essere un paese in movimento, aperto, giovane. Ma evidentemente è solo una vernice, basta grattare un po' e da sotto riemergono paure ataviche. Andò male pure a Le Pen in Francia. Maltrattò i neri, i meticci, gli extracomunitari, quelli che venivano da fuori». E la nazionale nel '98 vinse i mondiali di calcio. «Con Thuram, Desailly, Karembeu e Viera, neri; Zidane, algerino, Lizarazu, basco, Djorkaeff, armeno. Pura Francia al cento per cento, no?». Lei è cittadina italiana da dieci anni. «Dal '93. Per amore. Da un sobborgo di Londra mi sono trasferita a Firenze, che è una città internazionale, con molti stranieri. Mai avuto problemi, se non con il traffico. Appena ho potuto votare l'ho fatto. L'Inghilterra mi ha abituato a considerare il voto come un mio diritto. E l'ho esercitato. Così come pago la tasse e rispetto le regole. Una cosa mi ha colpito della politica italiana: i giovani sono pochi. Parlo anche di chi sa essere giovane dentro, relazionarsi ai problemi in maniera moderna, non antica. A me può non capitare nulla, sono conosciuta, ma in tanti si sentiranno autorizzati a escludere dalla società o a maltrattare chi viene da fuori in nome della tradizione. Pera ha paura di un paese meticcio? Perché invece di buttare la colpa addosso agli altri, come fossero il male, non si chiede come mai le famiglie italiane fanno pochi figli?». Lei ha una risposta? «Sì. Un figlio costa caro, le città non sono a misura di bambini. Soprattutto se i genitori lavorano. Non è una società che dà tranquillità, anzi mette ansia. In teoria la mamma è adorata, in pratica non è molto assistita. In Inghilterra finisci l'università a 21 anni, stai già fuori di casa prima, in Italia a 26-27, e dormi ancora con i genitori». Larissa fa domande? «lo sono nera e sono la mamma, Gianni è bianco ed è il papà, i nonni sono neri e bianchi. Larissa ci considera persone, non chiede perché abbiamo un colore di pelle diversa. Lei sta bene sia all'asilo-nido del Mugello, dove abitiamo ora, sia con i vicini neri di mia madre a Londra». A casa vostra cosa si parla e come si mangia? «Inglese e italiano. Da sempre. lo adoro la bistecca chianina, Gianni spesso cucina, io a volte mi dedico alle torte inglesi, con una ricetta di mia zia. Abbiamo anche due cani siberiani».. Siete un pericolo. «Non solo. Ma non intendo lasciare sola Larissa, adesso che ho smesso con l'atletica vorrei darle presto un fratellino. Anche per riequilibrare l'alleanza tra bambina e papà». . Una famiglia sempre più meticcia. «Perché è un problema? Ma "Indovina chi viene a cena" non era una vecchio film?». 5 218 - DISCORSI A PERA - A RIMINI, CONFUSIONE E CONTRADDIZIONE dall'agenzia ADISTA di lunedì 5 settembre 2005 Ma Marcello Pera può dirsi cristiano? È questo l'esercizio su cui si sta misurando la stampa dopo il discorso del presidente del Senato all'apertura (21 agosto) del ciellino Meeting di Rimini. Aborrire il meticciato, pensare che dobbiamo difendere la nostra identità di occidentali dall'attacco corrosivo di altre civiltà (gli extracomunitari) e delle loro religioni (quella islamica, sostanzialmente) con tutti i mezzi, comprese le armi (pur ultima ratio), pretendere che l'integrazione dell'altro nella nostra società avvenga solo nell'assunzione della nostra cultura, spacciare tutto questo per rispetto di sé e insieme degli altri è roba da cristiani o da pagani? E queste idee sono in armonia o stridono con le parole indirizzate, in quel di Colonia (ventesima Giornata mondiale della Gioventù, 18/21 agosto), da Benedetto XVI ai musulmani? Sulle risposte a questi interrogativi vistose sono le differenze di giudizio fra gli uomini di Chiesa intervistati: se mons. Rino Fisichella, rettore della pontifica Università Lateranense e cappellano di Montecitorio, trova che dal punto di vista cristiano il discorso di Pera non faccia una piega e non contraddica il papa, il teologo di Cl Lorenzo Albacete, dice tout court che il presidente del nostro Senato "non è cattolico" e don Antonio Mazzi, presidente e fondatore della comunità di accoglienza "Exodus" commenta: "È pazzesco, con questi allarmi non si va da nessuna parte". Don Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, condivide l'allarme sulla questione dell'identità gettato da Pera, ma ritiene che la difesa di essa non si possa imporre con la forza delle armi. Negativa la reazione dei commenti sui quotidiani di maggiore diffusione che rilevano nelle parole di Pera un atteggiamento anticristiano di disprezzo delle popolazioni più derelitte, predate della loro identità (e dalle loro ricchezze) proprio da quell'Occidente della cui identità Pera si fa difensore perfino in armi. E notano anche nel discorso del presidente del Senato contraddizioni a go-go: con le parole di Benedetto XVI, con quanto da Pera stesso asserito in altre occasioni, e all'interno dello stesso discorso reso a Rimini. Di seguito, riportiamo, intanto per un opportuno raffronto, l'intervento di Pera e il discorso del papa ai musulmani; poi le interviste cui accenniamo sopra e gli altri commenti, e, in aggiunta, due approfondimenti: sul rapporto integrazione-laicità e sull'Europa "meticcia". 219 - ALLA RICERCA DI VOTI LACERANDO LA FAMIGLIA-OSSERVATORE ROMANO Dall’Agenzia AGI di lunedì 12 settembre 2005 "Alla ricerca di voti lacerando la famiglia". Titola così l'Osservatore Romano il suo commento sulle "recenti dichiarazioni del leader dell'Unione sulle coppie di fatto". "Dai convegni, dagli incontri, dai confronti tenuti in questo scorcio di fine estate, si e' assistito - scrive il giornale della Santa Sede - a dichiarazioni di numerosi leader politici su temi diversi. Alcuni di questi pronunciamenti sono, occorre credere, frutto di riflessioni articolate e complesse che hanno costituito la base per preparare quella che si preannuncia come una campagna elettorale orientata al procacciamento di tutti i voti rastrellabili sul territorio". "L'ultima dichiarazione in ordine di tempo – continua l'articolo - è quella fatta dal leader dell'Unione Romano Prodi, il quale ha di suo pugno scritto una lettera al leader dell'Arcigay Franco Grillini, il quale ne ha dato lettura in occasione della riunione della Consulta dei Gay DS". Secondo l'Osservatore, quella di Romano Prodi è "una dichiarazione che chiama direttamente in causa nella competizione politica la famiglia, la realtà naturale alla quale sono naturalmente inclini l'uomo e la donna. Una realtà fondata, come la stessa Costituzione italiana ammonisce, sul matrimonio". Si tratta, stigmatizza la nota, di "un tentativo, dunque, di relativizzare e ideologizzare la realtà della famiglia. Una lacerazione conclude l'Osservatore - inaccettabile". 220 - PRODI SOVVERTE LA FAMIGLIA, PRESTO L'EUTANASIA – DI F. STORACE dall’ Agenzia AGI di lunedì 12 settembre 2005 6 "Prodi punta a sovvertire la famiglia, annullando e deresponsabilizzando i vincoli stabiliti dalla Costituzione della Repubblica. La prossima mossa - per un pugno di voti radicali sarai il diritto alla morte per eutanasia". (speriamo abbia ragione. ndr). Lo afferma Francesco Storace di An, che aggiunge: "Quella sua è un'Italia senza valori. Esattamente come quell'Europa che, per evidente "coerenza", ha rinunciato alle proprie radici cristiane. Probabilmente, non ha torto Follini: si nasce piromani, si cresce pompieri. Per Prodi vale il proverbio inverso". 221 - LE COPPIE DI FATTO E I "NO" DEL VATICANO – DI CORRADO AUGIAS Da “la Repubblica” di giovedì 15 settembre 2005 – Rubrica Lettere Dottor Augias, l'ingerenza del Vaticano negli affari di un Paese laico e democratico, potrebbero forse essere tollerati solo e soltanto se fossero distribuiti in eguale misura in tutto il mondo cristiano. Ciò non avviene, perché solo in Italia la politica deve stare attenta a quello che fa. In Spagna, paese cattolicissimo, Zapatero ha subito solo qualche rumore di fondo, senza che la popolazione venisse influenzata troppo dagli anatemi, peraltro all'acqua di rose, del Vaticano. Per troppi secoli invece l'Italia è stata schiava del Vaticano. lo sono stufo e con me moltissimi altri, di avere una classe politica che decide i propri passi assecondando i voleri ecclesiastici perché senza quelli non si prendono voti a sufficienza per vincere. Il fastidio che provo nell'essere governato da leggi influenzate dal volere di fantomatici dèi è enorme. Fabio Ferrarl - [email protected] Risponde Augias Nei prossimi giorni capiremo meglio che peso dare all'attacco dell'organo vaticano ai Patti Civili tra conviventi enunciato da Prodi. Sarebbe in atto uno scontro di correnti all'interno della chiesa ed è possibile che l'iniziale posizione venga mitigata. Resta la durezza dell'avvertimento che in nessun altro paese europeo sarebbe stata concepibile né tollerata. Le conseguenze della vittoria nel referendum sulla procreazione sono pesanti. Nel suo comportamento politico la chiesa cattolica è maestra nell'occupare sempre tutto il territorio che le circostanze gli consentono. E' una dottrina secolare. Il prof. Vincenzo Ferrone, ordinario di Storia moderna, in un convegno di qualche mese fa fece notare come la chiesa di Roma, e soprattutto il papato, non abbia mai fatto davvero i conti con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese. Ferrone ricordava come Leone XIII, papa Pecci, ancora nel 1888 nella sua enciclica "Libertas" scrivesse: «Non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d'insegnamento o di culto come se fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all'uomo». Di papa Ratzinger sappiamo poco; sappiamo però che Giovanni Paolo ll nell'enciclica "Evangelium Vitae" ha affermato: «La democrazia ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo», quando vota in contrasto con l'etica sostenuta dalla Chiesa. In una comunità fortemente gerarchizzata, dotata di un senso - e di una memoria – così forte della (sua) storia, sono avvertimenti che pesano. Il papa defunto ha spesso ripetuto di considerare lo sviluppo del pensiero europeo da Cartesio all’illuminismo come ispirato ad un "programma anti-cristiano". Solo pochi decenni fa Pio XI, papa Ratti, dichiarava senza tremare: «Se c'è un regime totalitario, di fatto e di diritto, è il regime della Chiesa, perché l'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l'uomo è creatura del Buon Dio... E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio, non è che la Chiesa». Sorprendersi degli atteggiamenti sui Pacs, significa dimenticare la durezza di questa cultura. E' ingenuo. O ipocrita. 7 222 - LE COPPIE DI FATTO E I VALORI DELLA CHIESA - DI GIULIANO AMATO da “la Repubblica” di giovedì 15 Settembre 2005 Caro direttore, ero a Lione, al Dialogo fra le religioni organizzato da S. Egidio, quando è scoppiata in Italia la polemica sulla proposta avanzata da Romano Prodi di regolare, con quelli che si chiamano su modello francese i Patti civili di solidarietà (Pacs), i diritti delle coppie di fatto. Discutevamo, in un grande e partecipato fervore, i principi che devono e possono unire i credenti delle diverse religioni e gli stessi non credenti. Ed emergeva il ruolo di punta che in un dialogo costruito attorno ad essi sono in grado di esercitare i cristiani, portatori di verità affermate non con l´imposizione, ma con la testimonianza ed espressive di un messaggio d´amore e del riconoscimento dei diritti inviolabili della persona in ogni essere umano. In questo clima, le reazioni suscitate dalla proposta di Prodi hanno destato in me, e non solo in me, una grande amarezza, tanto lontane esse sono sembrate dal senso di quelle verità e dal valore di quel messaggio. Intendiamoci: io capisco la tensione della Chiesa davanti a tante vicende della nostra vita che sembrano avviarsi verso l´accettazione di tutto ciò che accade, verso la trasformazione in diritto di tutto ciò che è fattibile, verso la cancellazione, insomma, di quel senso del limite, che dovrebbe essere biblicamente connaturato in tutti noi. La capisco e sotto molti riguardi la condivido. A proposito del tema sollevato da Prodi, ritengo anch´io profondamente sbagliata l´equiparazione delle coppie di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio, così come ritengo che l´Italia non debba seguire la Spagna ed altri Paesi nell´ammettere al matrimonio le coppie omosessuali. Ma Prodi, che la pensa come me, non ha proposto questo, ha proposto che si guardi alla realtà delle coppie di fatto e ci si chieda se la dignità e i diritti della persona sono sufficientemente tutelati in convivenze che lo Stato consente (e a nessuno verrebbe in mente di proibirle), ma di cui le leggi esistenti negano le implicazioni più naturali. È giusto che una donna, che ha vissuto per anni con un uomo che non ha potuto o voluto sposarla, alla morte di lui finisca sul marciapiedi, perché non ha nessun diritto ereditario sulla casa o perché è cessato con quella morte il contratto di affitto? Ed è giusto che un omosessuale, che non ha né parenti né amici, passi da solo in un ospedale gli ultimi mesi od anni della sua vita, perché il suo unico convivente non è un parente e non è ammesso a fornirgli il conforto della sua assistenza e della sua compagnia? Se di questo si tratta e quindi di riconoscimenti che sono quanto di più vicino al messaggio di fondo della cristianità, come potrà essere letto un eventuale rifiuto della Chiesa? Come lo leggeranno quella donna e quell´omosessuale e quale sbandamento potrà provocare nei tanti che hanno ragione di vedere nella Chiesa la prima portatrice di quel messaggio? Evitiamo allora di aprire polemiche aspre e cerchiamo di andare, tutti, al di là delle prime reazioni. Se quelle che abbiamo letto sono dovute alla comprensibile tensione di cui prima parlavo e quindi alla preoccupazione che la proposta di Prodi voglia fare da apripista al matrimonio fra omosessuali e alla cancellazione della specificità della famiglia, ha fatto bene Prodi a chiarire subito che non ha nessunissima intenzione di incamminarsi su questa strada e faremo bene a fare altrettanto noi che gli siamo vicini. E se è il nome Pacs, patto, che desta preoccupazione, perché evoca l´idea di una disciplina compiuta di tipo para-matrimoniale, anziché quella di un puntuale riconoscimento di diritti specifici, usiamo un nome diverso. Ma chiarito tutto questo, entriamo insieme nel merito, guardiamo dentro le tante situazioni umane che stiamo abbandonando a se stesse e a sofferenze e a ingiustizie che potrebbero essere evitate; e vediamo insieme, caso per caso, situazione per situazione e non in termini generalissimi e astratti, quali possono essere i rimedi più acconci. Con la consapevolezza, fra l´altro, che potrà essere più facilmente il non farlo, il continuare a non vedere, il far crescere l´insofferenza per la sofferenza ingiusta, ad aprire la strada a soluzioni più estreme. So bene che sbaglierei, se non avessi l´umiltà che devo avere davanti a chi esercita, e ne ha la responsabilità, il magistero della Chiesa. E quindi mi guardo bene dal dire io come esso deve essere esercitato. Ma non posso non ribadire la mia convinzione che la società 8 in cui oggi viviamo e nella quale sempre più vivremo in futuro ha un gran bisogno dei valori religiosi come componenti essenziali di un tessuto connettivo che rischia altrimenti di sfrangiarsi e di lasciarci in preda a conflitti insanabili. Fra di essi i valori cristiani hanno una forza coesiva ed una capacità di aprirsi alle diversità che pochi altri posseggono. Ma questa forza e questa capacità risiedono nel messaggio d´amore e quindi nella fiducia verso l´uomo che è in essi; non nei dogmi spietati che la disperazione della storia ne ha troppo spesso ricavato. È ciò che ho imparato da persone ricchissime di umanità, e di speranza, come il cardinale Tonini. Ed è ciò in cui oso contare anche di fronte al capitolo, difficile ma inevitabile, che Romano Prodi ci spinge ad aprire. 223 - CONTRATTI DI CONVIVENZA SI, FIGURE MATRIMONIALI NO – F. RUTELLI Da: www.margheritaonline.it - Dichiarazione di sabato 17 settembre 2005 Il dibattito sulle “unioni civili” deve servire a fronteggiare e migliorare alcune difficili situazioni sociali e umane, ma non deve diventare un tormentone estraneo alle attese fondamentali degli italiani. Altrimenti, chi intendesse farne una bandiera della campagna elettorale si misurerebbe con un consenso ancora inferiore ai referendum sulla procreazione assistita, come confermano i risultati del sondaggio pubblicato oggi da Repubblica, secondo il quale 2 italiani su 3 sono favorevoli a regolamentare le convivenze, mentre 7 italiani su 10 sono contrari ad istituire forme matrimoniali o para-matrimoniali per le coppie omosessuali. La mia opinione personale è nota da tempo e la riassumo in tre punti. 1) Occorre assicurare la protezione dei diritti civili degli omosessuali, anche perché inaccettabili aree di discriminazione persistono nella società italiana. 2) Nella prossima legislatura sarò possibile definire una normativa che regoli i Contratti di Convivenza Solidale per tutte le persone che intendono vivere insieme, prestandosi mutua assistenza, con beni e abitazione in comune. Si possono codificare simili contratti di diritto privato nel codice civile, in modo da precisare diritti e doveri delle persone che convivono, a vario titolo, incluse le persone omosessuali. 3) E’ da escludere, per l’indicazione tassativa dell’art. 29 della Costituzione, il “matrimonio gay”, così come altre figure giuridiche che possano introdurre forme simil-matrimoniali. Su queste basi credo si possa trovare una larga convergenza nell’Unione, e soprattutto presso l’opinione pubblica, risolvendo così alcuni problemi significativi. Oggi consiglierei di riportare subito l’attenzione di tutto il centrosinistra sulle questioni che vengono molto prima nella scala delle preoccupazioni del popolo italiano. Innanzitutto l’economia: ripresa della crescita e della competitività; difesa del potere d’acquisto, poiché milioni di persone faticano ad arrivare a fine mese; miglioramenti dei servizi pubblici; politiche per la famiglia, anche per contrastare la crisi delle nascite che minaccia il futuro del nostro paese. 224 - CHE COSA VUOL DIRE ESSERE LAICI OGGI - DI GIULIANO AMATO da “la Repubblica” di mercoledì 31 agosto 2005 Sino a poco più di cento anni fa, nei tanti e sanguinosi conflitti intercorsi fra cristiani e musulmani nel sud est dell'Europa erano i cristiani che usavano crocifiggere le bambine musulmane, in qualche caso sventrandole. È oggi inconcepibile. E credo che tutti vogliamo che inconcepibile rimanga. Se così è, dubito che le due strade, sulle quali più sembra orientarsi il dibattito in Italia in tema di rapporti interreligiosi, siano tali da evitare che tali rapporti divengano conflittuali. Il che non significa che esse portino necessariamente verso il ripetersi dei tremendi episodi che la nostra storia ha sulla coscienza. Ma di sicuro portano a minare la basi stesse della fisiologia democratica che tutti riteniamo il naturale contesto della nostra vita associata. In società nelle quali sono destinate a convivere più comunità di religione diversa, solo se tali comunità saranno in grado di rendere armonica la convivenza delle loro religioni, sarà 9 possibile quella più generale convivenza fatta non solo di tolleranza, ma di rispetto, di comprensione e in qualche modo di compenetrazione reciproca che è propria delle democrazie. Se invece i rapporti interreligiosi saranno conflittuali, tutto ciò sarà semplicemente impossibile. E accadrà qualcos'altro. A quali strade mi riferisco e perché dubito di entrambe? Mi riferisco da un lato alla strada suggerita con forza dai nostri "teocons", autorevolmente guidati dal presidente del Senato, che porta alla fede cristiana come fattore dirimente, e "ad excludendum alios", della nostra identità occidentale ed europea. Dall'altro alla strada in qualche modo opposta, che, richiamandosi al tradizionale laicismo di radice francese, confina il fattore religioso ai rapporti privati e fonda non solo la cittadinanza, ma quella che si chiama la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili. La strada "teocon" è quella di cui è più facile cogliere la carica conflittuale, che conflittuale finisce per essere con gli stessi valori a cui si richiama. Una cosa è infatti dire che i valori cristiani possono concorrere con efficacia a mantenere vivo e robusto il tessuto etico delle nostre società, una cosa diversa è ergerli come fattori costitutivi di un'identità da affermare contro quella di altre religioni, in particolare la religione islamica, trattate e fatte percepire come pericolose per i fondamenti stessi della nostra civiltà e quindi nemiche. Si fa torto così alla religione islamica, che viene confusa con l´estremismo islamista che odia e uccide in suo nome. E si fa torto allo stesso cristianesimo, che è religione fondata sull'amore e non sull'odio, sul riconoscimento dell'altro quand'anche appartenga a una fede diversa ("in ogni uomo c'è il segno di Dio") e su una vocazione per ciò stesso universalistica, che è contraddetta da qualunque impossessamento, che pretenda di segnare con essa i propri confini. Ben diversa è, come dicevo, la seconda strada (quella del laicismo di radice francese), che, una volta confinata la religione, e quindi la stessa pluralità delle religioni, ai rapporti privati, accetta per ciò stesso la convivenza di più religioni, attribuisce a tutti i suoi cittadini gli stessi diritti a prescindere dalle loro appartenenze religiose e pretende infine da tutti lo stesso riconoscimento nei principi e nei valori definiti come comuni nelle sedi istituzionali a ciò legittimate. Sono ben consapevole che questi tratti non identificano soltanto il laicismo e definiscono largamente la stessa democrazia, per la quale non sono meno irrinunciabili. C´è tuttavia un ma, e il ma riguarda la premessa, vale a dire la chiusura delle religioni ai rapporti privati e quindi la loro estraniazione dalla sfera pubblica, nella quale i cittadini entrano lasciando a casa le loro identità, le loro credenze, i loro simboli religiosi. Una tale premessa ha avuto una sua forte legittimazione storica, negli anni in cui la laicità dello Stato dovette affermarsi contro il confessionalismo, contro la religione di Stato, contro il trattamento preferenziale dei credenti di una religione rispetto ai non credenti e ai credenti in altri culti (ora proibiti, ora ammessi ed ora tollerati). Ma oggi, da una parte tutto questo è superato, dall'altra viviamo in società nelle quali le identità religiose tendono ad entrare con forza nella sfera pubblica, sia per la problematicità delle nuove questioni che in tale sfera ci si trova ad affrontare (quelle che fanno capo alla bioetica ne sono un esempio eloquente); sia per gli intrecci che sono venuti emergendo tra sfera privata e sfera pubblica (il professare compiutamente la propria fede può implicare adattamenti di organizzazioni pubbliche alle quali si è temporaneamente affidati, si tratti della scuola o del reparto di ostetricia); sia perché si ritiene un proprio diritto essere riconosciuti anche per la religione che si professa (molte ragazze portano lo chador nei nostri paesi, non in nome della tradizione islamica, ma perché lo vivono come simbolo orgoglioso della propria identità religiosa). Viviamo insomma, come è stato scritto più volte, in società post secolari e in esse la vecchia premessa del laicismo non regge più. E tanto meno regge in società che stanno diventando multi-religiose e nelle quali i possibili conflitti fra le religioni non si risolvono, continuando a mantenerle nella sfera privata: da un parte ciò è sempre più difficile per le ragioni appena dette, dall'altra fa galleggiare la democrazia delle eguaglianze formali su 10 faglie che possono avviarsi ad uno scontro, che l'assetto di superficie non è preparato a fronteggiare. Non si sfugge perciò ad una prima conclusione: le religioni sono ormai parte della sfera pubblica e i principi fondanti della democrazia (il dialogo e non l'intolleranza, i diritti per tutti e non i privilegi per alcuni, gli eguali obblighi in cui si compendia la virtù civica) vanno salvaguardati non mettendo le religioni sotto il tappeto, ma rendendo dialogica e non intollerante la loro compresenza nella convivenza comune. Ne derivano conseguenze importanti, che esigono non l'abbandono, ma l'aggiornamento della nozione stessa di laicità e che fanno sorgere cruciali responsabilità in capo a credenti e a non credenti e in capo alle stesse organizzazioni religiose. La laicità, in quanto connotazione necessaria della democrazia, diviene non più fuga dalle religioni, ma apertura critica al confronto con esse e fra di esse, alla ricerca dei principi in cui tutte e tutti si possano riconoscere. Si dirà che ciò mette in crisi o la laicità, incompatibile con le verità assolute proprie delle religioni, o le stesse religioni, che a tali verità non possono rinunciare. Ma non è così. E' vero infatti che la democrazia laica per definizione non tollera assoluti inconciliabili, ma è non meno vero che essa stessa si fonda su taluni assoluti: la dignità della persona, la libertà di coscienza, l'eguaglianza, il rispetto dei diritti di tutti e quindi la pace, che è a sua volta legata alla capacità di capire e non negare le buone ragioni degli altri. Stato laico, allora, ben può essere quello che rispetta e fa rispettare questi assoluti, che nega in nome loro privilegi all'una o all'altra religione, ma non nega, invece, l'influenza che le religioni possono avere nella stessa vita pubblica (come scrisse, già molti anni fa, Valerio Zanone nella voce "laicismo" per il Dizionario di Politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino). Mentre l'influenza delle religioni nella vita pubblica ben può esprimersi e farsi valere nel radicare ed estendere la forza nelle coscienze di questi stessi assoluti, che sono quelli su cui hanno dimostrato di convergere, sia pure tra perduranti difficoltà e incomprensioni, i dialoghi interreligiosi susseguitisi in questi anni. Ma è chiaro che tutto ciò è possibile, se della ricerca dei principi comuni o quanto meno della compatibilità fra i principi di ciascuno si sentono, come dicevo, responsabili credenti e non credenti e le stesse organizzazioni religiose. Anche tra i non credenti affiorano assoluti (dalla libertà senza limiti della scienza a un diritto di disporre di sé che arriva ad includere la vita), che vanno resi compatibili con le ragioni di chi non li condivide. Mentre non tutte le religioni sono riuscite sino ad oggi ad accettare che le loro verità di fede non possono essere imposte, ma devono entrare nelle coscienze di chi le fa proprie e non coartare quelle degli altri. In un tale ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico, il ruolo del cristianesimo, lungi dall'essere quello teorizzato dai teo-cons, è quello indicato dalle "radici" cristiane, delle quali tanti dei loro improvvisati assertori sembrano ignorare l'humus prezioso che esse hanno fornito all'Europa: il valore della persona, la dignità umana riconosciuta a ciascuno e, non dimentichiamolo, i primi fondamenti dei diritti individuali inalienabili, che gli storici fanno risalire, prima ancora che ad Altusio e a Grozio, al diritto canonico e ai canonisti medioevali. Del resto, i meritori perdoni che Giovanni Paolo II ha chiesto per gli errori del passato non sono stati un richiamo a queste radici, un ripudio dei rami dell'intolleranza che erano cresciuti su di esse e la premessa per fare del cristianesimo non il baluardo dell'Occidente, ma l'antesignano e il motore di un dialogo fra le religioni (e non solo fra loro), che concorra ad evitare al mondo il futuro di una Babele armata? Questa è dunque la strada, l'unica strada per evitare Babele non solo nel mondo, ma in ciascuna delle nostre società. Tutti dobbiamo essere laici. Tutti, per esserlo, dobbiamo misurarci con i valori degli altri, religiosi e non religiosi. Tutti dobbiamo sapere che alla fine non c'è una "correttezza" politica e morale senza scelte e senza priorità, ma ci può e ci 11 deve essere la condivisione più larga possibile di quegli assoluti che, partiti da radici religiose ed elaborati poi dal pensiero razionalista post rinascimentale, sono divenuti fondanti delle democrazie del nostro tempo. Lo disse l'allora cardinale Ratzinger che l'alleanza tra fede e ragione è essenziale per combattere il fanatismo. E di questo appunto si tratta. 225 - LA NUOVA ALLEANZA TRA FEDE E RAGIONE - DI MASSIMO L. SALVADORI Da “la Repubblica” di sabato 10 settembre 2005 L’articolo di Giuliano Amato pubblicato su Repubblica il 31 agosto col titolo "Che cosa vuoI dire essere laici oggi" affronta un tema della massima importanza, perché ancora una volta i problemi della laicità, del ruolo delle religioni, dei rapporti tra lo Stato e le Chiese, del modo di intendere i diritti e i doveri dei cittadini, sono tornati al centro del dibattito. Si sente infatti il bisogno di adeguate risposte culturali e istituzionali di fronte al carattere sempre più multireligioso delle nostre società. Un bisogno che si fa tanto più forte in relazione alle correnti fondamentalistiche presenti non solo nel mondo islamico e nell'ebraismo ma anche nel cristianesimo, le quali, quando non invocano addirittura la teocrazia, pretendono quanto meno che la religione (la propria) eserciti sui rapporti sociali e politici quella pervasiva influenza senza la quale non si danno né una buona società né un buono Stato. Il nocciolo dell'intervento di Amato sta nel sostenere che la tradizionale concezione della laicità basata sull'idea che la dimensione religiosa vada mantenuta nell'ambito dei rapporti privati risulti del tutto inadeguata dinnanzi all'evoluzione di una società sempre più caratterizzata dall'espandersi dell'influenza delle religioni nella sfera pubblica. Queste le sue argomentazioni. Occorre respingere sia le posizioni che fanno della fede cristiana Il fondamento di un'identità discriminante, sia il "laicismo di radice francese" il quale "confina il fattore religioso ai rapporti privati" e fonda "la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili". Una concezione del laicismo che non tenga conto che "le religioni sono ormai parte della sfera pubblica" è obsoleta e sterile al pari di una democrazia che "metta le religioni sotto il tappeto". Di qui l'esigenza “dell’aggiornamento della nozione stessa della laicità", che ha da essere "non più fuga dalle religioni, ma apertura critica al confronto con esse" e pieno riconoscimento “della'influenza che le religioni possono avere nella stessa vita pubblica". L'aggiornamento della nozione di laicità si lega alla piena valorizzazione in chiave pluralistica della natura profonda del cristianesimo, in quanto "religione fondata sull'amore e non sull’odio, sul riconoscimento dell'altro anche quando appartenga a una fede diversa" e quindi "su una vocazione per ciò stesso universalistica". L’ispirazione universalistica del cristianesimo e l'''ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico" danno insieme senso e legittimazione alla centralità delle "radici cristiane" dell'Europa (il pensiero non può non andare al dibattito sulla costituzione europea) per "l'humus prezioso" costituito dal riconoscimento del "valore della persona" e della sua dignità, dall'aver il cristianesimo posto "i primi fondamenti dei diritti individuabili inalienabili". Nella lotta contro il fanatismo di varia provenienza un valore preminente ha l'insegnamento ratzingeriano circa l'essenzialità dell'''alleanza tra fede e ragione". Mi pare che l'argomentare di Amato abbia come esito il proporre una sorta di "rivoluzione copernicana" nel modo di concepire la laicità nel mondo attuale, che consiste nel ritenere che assai miglior fondamento dell’angusto e ideologico "laicismo di radice francese” inteso a ridurre la religione alla sfera dei rapporti privati e la cittadinanza a presupposti unicamente civili sia il cristianesimo che riconosce la dignità di ogni soggetto. Così poste le cose, ne discendono la difesa di un'Europa che ponga al centro le proprie radici cristiane e il richiamo alla dottrina dell’alleanza tra fede e ragione. A proposito delle posizioni espresse da Amato, vorrei anzitutto notare che la riduzione delle fedi religiose e dell'agire delle Chiese alla sfera dei rapporti privati (da intendersi, si 12 noti, non nel senso ristretto dell'ambito individuale e familiare ma in quello più assai largo della società civile), non è proprio del "laicismo di radice francese" (a cui suppongo Amato conferisca gli attributi dell'anticlericalismo e al limite dell'ateismo militante), ma costituisce il cardine del laicismo liberale moderno per il quale l'ancorare la cittadinanza a valori e principi puramente civili non ha affatto il significato di limitare i diritti delle religioni, ma anzi di riconoscerli pienamente nell'ambito di una sfera pubblica caratterizzata dalla libertà di tutti. Per i padri del liberalismo la cittadinanza basata su valori e principi soltanto civili altro non era, insomma, se non una implicazione delle libertà civili in generale. Nessuna negazione quindi della presenza delle religioni nella sfera pubblica: al contrario piena accettazione di tale presenza, ma non in quella sfera pubblica che è lo Stato poiché questo, quando liberale, ha il compito di impedire che la forza dell'uno si imponga impropriamente sulla debolezza dell'altro. Amato cita la voce di Zanone sul laicismo pubblicata nel Dizionario di Politica edito dalla Utet per sostenere il punto di vista che un sano laicismo non nega l'influenza che le religioni possono avere nella sfera pubblica. Ma - qui sta il punto - in quale "sfera pubblica"? L’espressione va decodificata con le opportune distinzioni. Zanone in realtà si muove nel quadro proprio del classico laicismo liberale, con lo scrivere che "il laicismo accoglie pure l'influenza delle chiese nella vita pubblica, purché essa derivi dalla loro autonoma rilevanza sociale e non da privilegi concessi dallo Stato" (sottolineatura mia). Nell'Italia di oggi, dove, per fare un solo esempio, lo Stato continua a finanziare massicciamente e in maniera privilegiata la Chiesa cattolica, proprio in virtù di un mal inteso concetto dell'influenza dominante esercitata dalla confessione maggioritaria nella sfera pubblica, la questione è più che mai attuale in relazione al modo di intendere la laicità. E vengo alle radici cristiane dell'Europa. Certo l'Europa ha profondissime radici cristiane, tanto che la storia del continente è al tempo stesso storia del cristianesimo. Ma l'interrogativo è se queste radici storiche siano le più idonee ad essere assunte come punto di riferimento basilare del progetto culturale e civile di un’Unione europea sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa. Il retaggio di gran lunga prevalente che il cristianesimo ha depositato non va affatto nella direzione dell’amore e del riconoscimento dell'altro evocati da Amato ma della prevaricazione di chiese cristiane su altre chiese cristiane e dei cristiani nei confronti di non cristiani, ebrei e non credenti. Non si dica che una cosa sono i grandi principi e un'altra le miserie della loro attuazione, poiché a dare spessore storico e culturale ai retaggi sono soprattutto i comportamenti che derivano dai principi. L'Europa moderna è stata attraversata da due grandi mali: le guerre tra gli Stati da un lato e le guerre civili e religiose dall'altro. Orbene, dalla Riforma fino alla Seconda guerra mondiale il cristianesimo vissuto nella prassi delle sue chiese ha costituito una delle massime cause di devastanti conflitti civili e religiosi, alimentati dalle discriminazioni, dalle pretese di primato, dalla volontà di imposizioni delle verità assolute della religione sulla società e sullo Stato. In questo quadro hanno avuto la loro genesi e il loro sviluppo l'idea laica di libertà e un'idea di cittadinanza che, per essere attributo comune, non può che poggiare su principi puramente civili, vale a dire sul pieno riconoscimento dell'influenza delle chiese in una sfera pubblica che però - affinché le libertà di ciascun soggetto individuale e collettivo vengano salvaguardate - non deve invadere la sfera dello Stato. E’ dunque in questa classica idea di laicità e di pace civile che vanno individuate le radici più idonee di un'Europa liberale e democratica. Se il protestantesimo e assai più tardivamente il cattolicesimo europei hanno storicamente fatto propri, secondo le parole di Amato, i principi del "riconoscimento dell'altro quand'anche appartenente a una fede diversa", questo è avvenuto grazie alla forza espansiva del laicismo liberale e democratico che ha finito per permeare anche le chiese cristiane. Devo perciò dire di non capire la sua conclusione che "la vecchia premessa del laicismo non regge più": conclusione che poggia, a mio avviso, sulla non fondata convinzione che il cosiddetto vecchio laicismo 13 negasse tout court alle religioni e alle chiese il diritto di esercitare la propria influenza nella sfera pubblica. Quella negazione (come ebbe a spiegare splendidamente Salvemini) fu invece propria non dell'idea classicamente liberale del laicismo, ma di un "laicismo" tale solo nel nome, che contraddiceva se stesso in quanto degenerato in anticlericalismo, in ideologia illiberale, in un nuovo assolutismo che non a caso concepiva la cittadinanza in termini che, caricati di militanza antireligiosa, si voleva andassero oltre un fondamento puramente civile. Alla fine del suo discorso Amato richiama a far barriera contro i nuovi fanatismi l'alleanza patrocinata da Ratzinger tra fede e ragione. Ma quale è il suo significato, come si pensa che questa possa articolarsi e farsi istituzione nell'Europa odierna? Insomma, che cosa si intende concretamente? Personalmente sono sotto l'impressione delle pesanti parole pronunciate il 18 aprile di quest'anno dall'attuale papa (citate da Giorello nel suo recente saggio sulla "libertà del laico") il giorno prima della sua elezione - contro "la dittatura del relativismo", dove, nell'enumerare le onde che sono andate ad infrangersi contro la barca della "fede chiara" dei cristiani, si indica accanto al marxismo, al libertinismo, al collettivismo, all'individualismo radicale, all'ateismo, al vago misticismo religioso, all'agnosticismo e al sincretismo anche il liberalismo. Vedere collocato il liberalismo in un nuovo elenco degli errori moderni fa davvero specie e induce a pensare che sui modi d'intendere l'alleanza tra fede e ragione si debba indagare a fondo da parte di chi ritiene che essa possa costituire il presupposto della difesa dal fanatismo e quindi della libertà civile quale valore universale. Commento. Le argomentazioni di Massimo Salvadori mi sembrano più coerenti di quelle di Giuliano Amato. Cosa intende Giuliano per “alleanza tra fede e ragione”? A quale “fede” si riferisce? A quella cristiana, o a tutte le fedi? Nel primo caso saremmo di fronte ad una alleanza di parte, che escluderebbe le altre fedi, nel secondo l’alleanza sarebbe impossibile, sia perchè in Italia non sarebbe accettata dalla Chiesa cattolica sia per le diversità esistenti tra le varie fedi. E quand’anche le diverse fedi fossero d’accordo ma non lo fosse lo Stato, chi dovrebbe prevalere? Un esempio ci viene dallo stesso Amato nel suo articolo sulla vicenda dei “Pacs”, sopra riportato. Egli infatti deve prendere atto che sull’argomento non esiste possibilità di intesa fra la proposta di Romano Prodi, che condivide (regolamentare le coppie di fatto, anche omosessuali) e la posizione della Chiesa. In tal caso, cosa dovrebbe fare lo Stato? Sottomettersi alla Chiesa? Non affrontare legislativamente l’argomento anche se lo ritiene doveroso e necessario? Non resta dunque che la divisione delle sfere di influenza: quella pubblica allo Stato, quella privata alle religioni. Spetta allo Stato garantire le libertà religiose, senza negare, ovviamente, l’influenza che le stesse hanno nella società civile. Le tesi di Amato, peraltro, non sono nuove. Recentemente in un suo articolo, approvato dai cosiddetti “atei devoti”, ha affermato che “i credenti hanno una marcia in più rispetto ai laici”. Non mi sento di condividere neppure questa tesi, anzi sono del parere opposto. Il credente, per definizione, crede in verità rivelate. Non si pone il problema se tali verità siano o meno condivise da altri, problema che invece il laico si pone continuamente, in quanto sa che non esistono verità assolute. Essere “relativisti” non significa non avere valori di riferimento, non avere un“etica”, anzi è vero il contrario: l’etica del laico è più coerente ed ampia rispetto a quella del credente perchè fondata sulla ragione e non su dogmi. Vista così, la “marcia in più” non solo non esiste, ma non è un fatto positivo, in quanto porta a negare le ragioni degli altri quando contrastano con le proprie verità assolute.(gps) 226 - LA FEDE CONSIDERATA SUPERIORE A TUTTO – DI CORRADO AUGIAS da “la Repubblica” di giovedì 8 settembre 2005 – Rubrica: Lettere Caro Augias, il mio rispetto verso chi "crede" è totale, anche se la mia simpatia è più spontanea verso chi "crede" in un Dio senza nome e senza attributi antropomorfi. Ciò premesso, sono rimasto colpito dall'affermazione di Pietro Citati, su la Repubblica di lunedì 5, secondo la quale, il cristianesimo non è una morale o un insegnamento civile, bensì 14 "una religione, una fede, una grazia; ossia qualcosa d'immensamente superiore a qualsiasi morale o insegnamento civile". Francamente, l'idea che una religione, una fede, una grazia, siano immensamente superiori a qualsiasi, faticosissimo, umano, insegnamento civile, capace di condensarsi in una morale, sempre, umanamente e faticosissimamente, da aggiornare, mi lascia perplesso, per non dire, anche alla luce dell'alta considerazione che nutro per Citati, triste. Mi fa tristezza, che la condizione umana, oltre che così autorevolmente pensata, oltre che dai più vissuta con inevitabile fatica, possa anche essere considerata "immensamente" inferiore a quanto esistente solo in grazia di una fede che nei secoli non ha saputo produrre di meglio che cento religioni diverse. Credo ogni giorno di più, che il processo tutto umano che produce insegnamento civile e porta l'uomo a "liberarsi" dalle religioni e ad avere fede solo nella propria umanità, sia immensamente superiore a qualsiasi processo che conduca, per grazia ricevuta, ad un presunto salvifico divino. Vittorio Melandri - [email protected] Risponde Augias Immanuel Kant, che com'è noto ha riflettuto a lungo sui problemi analizzati da Citati e ripresi, con diversa ottica, in questa lettera, ha scritto: "L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Il concetto è lo stesso esposto sia pure in termini diversi dal signor Melandri. Il grande filosofo rifletteva lo spirito dei suoi tempi, enunciava un principio (o forse solo un auspicio) in grado di rendere l'uomo un 'entità “morale” non in base a una volontà “santa” non esposta al contrasto tra virtù e inclinazioni naturali, ma solo in base a una volontà “buona”, fondata sulla rappresentazione di un dovere. Donde il famoso “imperativo categorico” nella memoria di ogni liceale. Credo (presumo) di sapere perché Citati ha esposto quel concetto. La mia presunzione è che le sue parole sgorghino dal disincanto; dall'aver constatato quanto poco una moralità laica, basata cioè solo sul rispetto razionale delle leggi, sull’obbedienza al comando che impone di comportarsi come se il proprio agire fosse regola del comportamento universale, di quanto poco, dicevo, una moralità di questo tipo sia capace d'incidere sugli effettivi comportamenti degli individui. La mancanza di una fede, una fede vera intendo non le sciocchezze new age, ha sicuramente peggiorato le cose; si è capito ormai che fidare su un'etica collettiva generalizzata "come .se Dio non ci fosse" è un’impresa ardua, se non addirittura utopica. Nietzsche profetizzava, in un futuro che per noi è in parte già il presente, la morte di Dio come una liberazione. In realtà s'è visto che la morte, o quanto meno la lontananza, di quel Dio "che atterra e suscita, che affanna e che consola" rende tutto molto più difficile. Commento. Sicuramente, come presume il nostro socio onorario Corrado Augias e, forse, Pietro Citati, il raggiungimento di <un'etica collettiva generalizzata "come se Dio non ci fosse" è un’impresa ardua, se non addirittura utopica>. Ma ciò non significa che per migliorare le cose sia necessario abbandonarla e rifugiarsi nella fede, per quanto “vera” possa essere. Anzi, più la fede sarebbe “vera”, più avremmo verità “assolute” e più le cose peggiorerebbero. Forse. (gps) 227 - LA FALLACI DAL PAPA, QUALE OCCIDENTE DA SALVARE? – DI F. ORLANDO da “Europa” di mercoledì 7 settembre 2005 – Rubrica: Lettere Cara Europa, sono rimasta sconcertata nell'apprendere che il papa Benedetto XVI ha ricevuto questa estate Oriana Fallaci. Sconcertata non perché la scrittrice sia "atea devota", ma perché tutto quel che ha scritto dopo l'11 settembre è un "inno" all'odio di religione e alla guerra santa: due cose che, storicamente, stanno in tutte le culture religiose, ma in questa fase storica non mi sembra appartengano ai cristiani e all'Occidente. Né ho capito perché la notizia dell'incontro di Castelgandolfo, data senza rilievo dalla stampa, venga ora rilanciata dal rettore dell’Università Lateranense, monsignor Fisichella, con l'auspicio che dall'incontro nasca un'intervista al papa. 15 Miriam Ascoli, Roma Risponde Federico Orlando Cara signora, anch’io sono sconcertato, non dalla visita di Oriana Fallaci al papa, ma dai contenuti che attraverso le dichiarazioni di monsignor Fisichella sembrano aver attraversato quel colloquio; e dall’ipotesi che - curiosità a parte - leggeremo l’intervista della più fanatica scrittrice a un papa che a Colonia ha espresso una visione non fanatica e non unilateralista dei problemi del nostro tempo. Mi sorprende che monsignor Fisichella, divulgando alcuni contenuti del colloquio e anticipando temi dell’intervista, si sia riferito non solo alla Fallaci antislamica, ma anche alla Fallaci antiabortista di Lettera a un bambino mai nato: posizione legittima, intendiamoci, quella della Fallaci, così come legittima è quella di chi, come noi, è per la conservazione deIl’aborto legalizzato; ma che alimenta di brutto la crociata antidivorzista, antiabortista, antitutto, che i fondamentalisti clericali, guidati e affiancati dagli atei devoti, hanno cominciato a scatenare dopo il flop del referendum sulla maternità assistita. Il papa non esitò ad auspicare in prima persona quel flop. Se prendesse posizione personale non sul principio, che è suo diritto, ma nella guerra già iniziata contro l’aborto legale, i toni salirebbero d'intensità. Tanto più che mancano otto mesi alle elezioni e ci sono in giro dei disperati che vanno a caccia di falsi problemi cui aggrapparsi per distrarre gli elettori e conservare la mangiatoia. Cosa resterebbe in piedi dei rapporti tra Stato e Chiesa non lo so, ma certo sarebbero più difficili, come del resto è trapelato dalla "sofferta" visita dei sovrani di Spagna a Castelgandolfo. Passando dalla bioetica al rapporto tra Occidente e Islam, mi piacerebbe leggere nell’intervista della Fallaci una domanda come questa: se il papa include nella civiltà occidentale, e magari nell’«Occidente che non si ama» (la definizione è di Benedetto XVI) anche quelle masse teocon, e le loro chiese evangeliche, che hanno interamente concordato con gli islamici nel definire l’uragano Katrina "soldato di Dio", ma hanno rivendicato al loro dio d'averlo mandato «affinché distruggesse la peccaminosa New Orleans (diecirnila morti) come a suo tempo Sodoma e Gomorra». Fa parte del nostro Occidente chi rimette l’orologio indietro di qualche millennio? E che cosa avrebbero di diverso questo Occidente e l’Oriente talebano, il reverendo Bill Shanks e lo sceicco al Zarqawi? Commento. Ha ragione Federico Orlando a temere una crociata teocon guidata da “fondamentalisti clericali affiancati dagli atei devoti” in vista delle prossime elezioni. D’altronde, si tratterebbe solo di seguire l’esempio americano. Con tutti i guasti che ne sono derivati e ne deriveranno. Anche per questo, non ci convince l’ipotesi che per migliorare le cose occorra più fede religiosa. (gps) 228 - BANCA D'ITALIA: L'ECLISSE DELLA LAICITA’ – DI FEDERICO ORLANDO da “Europa” di venerdì 9 settembre 2005 - (articolo di fondo) Si dirà che la lingua batte dove il dente duole, e non c’è dubbio che a chi scrive duole il dente della laicità, cioè della non laicità del costume e delle istituzioni italiane: dal maestro di scuola al ministro, dal giornalista al banchiere, e perfino al prete, che in quanto cittadino e da cittadino può ben essere laico. Come fu, anche in forma superlativa, Luigi Sturzo; e come forse lo sono stati un po’ meno due giovani politici in cui riponiamo la nostra personale fiducia, Pìerluigi Bersani ed Enrico Letta, quel giorno che insieme ai responsabili economici del Polo offrirono al meeting di Rimini la garanzia che, vinca chi vinca le elezioni, saranno guardati di buon occhio altri 8 per mille, cioè destinazioni di denaro pubblico a iniziative private. Omaggio al mondo cattolico, si dirà. E va bene. Ma chi gestisce la res publica sa che essa è composta di molti soggetti, diversi fra loro ma non davanti alla legge. Che perciò dev'essere equanime e assicurare unicuique suum, come ci ricorda tutti i giorni l’0sservatore romano. Questo continuo intreccio di pubblico e privato, di cattolico e laico, di devoto e massonico, di affarista e di legalitario, non è soltanto italiano, ma da noi è come la sclerosi a placche 16 che impedisce ai nervi di arrivare alle periferie e all’intero corpo di alzarsi dalla sedia a rotelle e camminare. È la perpetua minorità italiana, e non meraviglia ritrovarla nel caso Fazio: nei cui aspetti tecnico-giuridici, va da sé, non ci permettiamo di entrare: salvo ricordare con Pertini che chi è investito di pubbliche funzioni, sia il pubblico ministero intercettatore di telefonate sia il governatore intercettato, non solo dev'essere indipendente da ogni altro vincolo che non sia la Legge, ma deve anche sembrarlo. Invece ci permettiamo di entrare, con una nota a margine che a noi non sembra marginale, nella questione dell'autonomia delle cose italiane, appunto della loro laicità. Di fronte all’intervento (cauto) dei giornali cattolici contro chi chiede a Fazio di dimettersi, si può ricordare che quell’intervento può essere anche controproducente per la Chiesa, il cui rapporto con la finanza italiana è costellato di errori, magari in buonafede. Non c’è bisogno di rievocare le vicende Marcinkus, Sindona e Calvi, troppo note. Forse meno noto, a chi legge le cronache dei giornali e poi le dimentica, è che solo grazie a Beniamino Andreatta, ministro delle Finanze, cattolico come persona e laico come cittadino, lo IOR fu costretto a pagare gli impegni assunti. Grande prova di autonomia dello Stato, ma durata lo spazio d'un mattino. Da allora l’ostracismo colpì Andreatta così da non consentirgli più di metter piede nei ministeri economici. E fece il ministro della Difesa, bofonchiando, ma solo apparentemente dormiente, perché il suo spirito laico gli imponeva di servire lo Stato sia pure tra sciabole e sciarpe a lui estranee. Sorprende che di queste cose tenga minor conto Valentino Parlato, quando esprime, come ha fatto ieri sul manifesto, la preoccupazione di non darla vinta a Berlusconi nella questione del governatore. Una preoccupazione che sembra prevalente anche su quella di mantenere l’autonomia laica delle istituzioni. Certo, ognuno di noi fu pesare nei suoi giudizi anche i sentimenti personali: ed è apprezzabile che Parlato conservi verso la Banca d'Italia quel sentimento amicale che nasce con Guido Carli, autentico conservatore e come tale appassionato di tutti gli eterodossi, il quale confidava al ministro del Tesoro Malagodi, di cui curavo l’ufficio stampa, che ogni mattina leggeva per primo giornale il manifesto. Sentimenti a parte, Parlato, come una parte della sinistra diessina, hanno un riflesso pavloviano da oppositori, e sono convinti di difendere la Banca centrale dal governo. Senonché, fino a ieri non c’è stato alcun attacco del governo, non siamo di fronte a un nuovo caso Baffi, anche perché oggi la Banca d'Italia non sta contro gli Arduini, i Calvi e i Sindona, ma sta coi Ricucci. Le cui affinità elettive portano più al governo che altrove. E ci sembra fuori tono anche Cossiga, che mette le mani avanti dicendo al Corriere della Sera che la sua "pazzia” è un’invenzione dei dossier di De Mita, ma poi ci marcia per attaccare il Quirinale. Non è stato Ciampi il governatore prima di Fazio? Cossiga finge di non sapere che per Ciampi il suo successore a Palazzo Koch doveva essere Padoa Schioppa; e si piegò ad accettare Fazio solo quando gli fu conferito l’incarico di formare il governo, nel 1992. Fazio aveva la stima del presidente Scalfaro. Ed è stato sempre convinto che i politici cattolici l’avessero voluto governatore anche per lenire le ferite della finanza cattolica: che non aveva avuto grandi gestori. Mistero nel mistero, visto che grandi gestori cattolici della finanza ci sarebbero, uno per tutti Bazoli, ma chissà perché si è invece razzolato trai Sindona e i Fiorucci. Certo, è un dato storico che la finanza italiana dopo la grande crisi nasce e resta laica e forse massonica, e basta il nome di Mattioli (e dei suoi allievi politici da La Malfa a Malagodi). Ma tra quei laici non mancavano i cattolici: Ciampi, per citare, chiarissimo esempio di come, anche in tempi di neo-temporalismo, il cattolico al servizio dello Stato può restare cattolico ed essere autonomo. E può rivendicare l"orgoglio”di tale autonomia ricevendo il Papa al Quirinale. La conclusione è che a questi cattolici-laici - da Beniamino Andreatta a Carlo Azeglio Ciampi -, se non va la simpatia viscerale della Curia, va la modesta solidarietà dei laici come noi, in una tradizione direi degasperiana che da sessant'anni salva il salvabile dell’Italia del Risorgimento. 17 In tempi di magra, di quell’Italia è sufficiente difendere il principio che laicità significhi buona amministrazione. Il contorno e la frutta verranno dopo, speriamo Commento. con piacere abbiamo pubblicato due “pezzi” di Federico Orlando perchè riteniamo importante che un condirettore del quotidiano “Europa”, notoriamente di area Margherita, prenda una posizione così netta e coerente a difesa della laicità dello Stato. (gps) 229 – EUTANASIA: PARTE LA CAMPAGNA D'AUTUNNO - DI IGNAZIO INGRAO Da “Panorama” di venerdì 9 settembre 2005 – Strategie episcopali La macchina si è rimessa in moto senza troppa pubblicità: entro la metà di ottobre, in data da stabilire, si ritroveranno i leader di una trentina di movimenti e associazioni promotori del Comitato scienza e vita, vittorioso protagonista della battaglia contro il referendum sulla fecondazione assistita con la benedizione del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Camillo Ruini. La data prevista in un primo tempo era quella del 31 ottobre, ma il complicarsi del quadro politico e l'emergere di nuove iniziative di collaborazione tra associazioni cattoliche (come quella di Retinopera con il sostegno del cardinale Attilio Nicora) ha consigliato di anticipare la convocazione. All'ordine del giorno c'è la discussione sul futuro del Comitato, che dopo il referendum di giugno si è sciolto dal punto di vista formale, ma vorrebbe rinascere. L'obiettivo è riorganizzare al più presto le forze per combattere nuove battaglie, a cominciare da quella contro l'eutanasia. La difesa della vita umana fino alla morte naturale appare infatti come la nuova linea del Piave che la Chiesa italiana si prepara a presidiare dopo aver fatto quadrato intorno alla vita nascente. Per questo il Comitato scienza e vita ha mantenuto attivo il suo sito internet e il quotidiano della Cei, Avvenire, non vuole interrompere la pubblicazione dell’inserto «È vita» che era stato varato per la campagna referendaria. La dichiarazione di guerra è arrivata da Marco Pannella nel bel mezzo dell'estate, dalle colonne del Corriere della sera: «Insieme allo Sdi (il partito socialista di Enrico Boselli schierato con il centrosinistra, ndr) dobbiamo partire con una campagna sull'eutanasia e spingere anche sulla libertà di ricerca e sui Pacs (Patti civili di solidarietà)» ha promesso il leader radicale. E il mondo cattolico sembra prenderlo sul serio anche alla luce delle cinque proposte di legge sull'eutanasia che sono state presentate alla Camera e al Senato. Uno dei testi (sottoscritto anche da deputati di AN e Forza Italia) è incluso in un gruppo che conta 25 progetti di legge di iniziativa popolare sui quali i radicali hanno già raccolto decine di migliaia di firme. Ma la battaglia sull'eutanasia non può essere solo italiana: "L’orizzonte è quello europeo perciò è necessario organizzarsi e far sentire la propria voce anche a livello comunitario» spiega a Panorama il vicedirettore di Avvenire, Domenico Delle Foglie, regista della strategia comunicativa del Comitato scienza e vita. Lo stesso cardinale Ruini ha auspicato che l'Europa affronti il problema del diritto alla vita. Il Comitato punta dunque a diventare uno strumento di lobbying appoggiato su una struttura leggera, capace di autoconvocarsi ogni volta che si presentino questioni rilevanti per la coscienza dei credenti: non solo l'eutanasia, ma anche le unioni gay e le coppie di fatto. Intervistato il 4 settembre da Avvenire, il cardinale Ruini ha chiamato a raccolta i cattolici e, ancora una volta, ha aperto ai laici e a quanti hanno a cuore «il futuro della nostra civiltà". Dai leader di associazioni e movimenti il presidente della Cei attende una reazione altrettanto entusiasta di quella degli «atei devoti». A ottobre la risposta. 230 - OLANDA – EUTANASIA SU BAMBINI Da “The Associated Press newsagency” – Chicago, lunedì 5 settembre 2005 18 Un nuovo studio, finanziato dal governo olandese, ha preso in esame 64 casi di decessi di bambini malati durante un periodo di 4 mesi. Di questi, 42 casi hanno implicato decisioni mediche che potrebbero affrettare la morte. Ai medici è stata assicurata l’immunità da procedimenti giudiziari e le loro risposte sono rimaste anonime. Le decisioni andavano dall’interruzione di supporti vitali, una pratica accettata negli U.S.A., alla somministrazione di farmaci come la morfina con l’intenzione di porre fine alla sofferenza e affrettare la morte. Alcuni dei casi descritti sono al limite di ciò che è legalmente permesso, se questi limiti sono tollerabili o legittimi è, naturalmente, da dibattere. Lo studio olandese si aggiunge ad un dibattito internazionale che scalderà gli animi negli U.S.A. quando ad autunno la Corte Suprema prenderà in considerazione se i dottori dell’Oregon possono prescrivere sostanze controllate federalmente per aiutare i pazienti a morire. (mdc) Commento. L’eutanasia su bambini, per ora sperimentata soltanto in Olanda, è un problema molto delicato. Sappiamo che esistono – purtroppo – casi terribili e irreversibili, senza alcuna speranza di guarigione e neppure di una vita degna di essere vissuta, per i quali l’eutanasia sarebbe l’unica soluzione per evitare inutili sofferenze se non torture, ma sappiamo anche che la base fondamentale del nostro impegno per la legalizzazione dell’eutanasia è il rispetto della volontà della persona interessata, anche se espressa anticipatamente. Questa condizione non ricorre nel caso di bambini. Propongo di dibattere il tema in occasione della nostra Assemblea nazionale.(gps). 231 - OLANDA – SEDAZIONE TERMINALE Da: “The British Medical Journal” di sabato 3 settembre 2005. L’Associazione medica olandese ha iniziato a discutere con il Pubblico Ministero riguardo al caso di un medico accusato di omicidio, imprigionato e poi prosciolto a luglio. Il medico aveva prescritto in ospedale morfina e un sedativo ad un paziente terminale bisognoso di cure palliative, in accordo con la famiglia. Quando il paziente era peggiorato, il medico aveva aumentato le dosi e il malato era morto. Il ministero della Salute e quello della Giustizia hanno definito la sedazione terminale - che, usata per alleviare la sofferenza, può indurre il coma nel paziente morente - un normale trattamento medico. Nonostante ciò il Pubblico Ministero ha incriminato il medico per chiarire dove fosse il limite nella grigia area fra eutanasia e sollievo palliativo dal dolore. Successivamente una Corte di Breda ha prosciolto il medico perché il trattamento usato era con evidenza un normale trattamento medico del tutto in accordo con il protocollo delle cure palliative e perché il medico, anche se i farmaci potevano avere accorciato la vita del malato, non aveva l’intenzione di accelerare la morte, come invece sosteneva l’accusa. L’Associazione medica olandese ha dichiarato che molti medici si adoperano affinché i pazienti soffrano il meno possibile: se i medici, per timore di accuse giudiziarie, diventassero riluttanti ad usare la morfina, verrebbe meno o comunque si ridurrebbe il ricorso alle cure palliative. L’Associazione perciò si augura che venga ripristinata la fiducia fra la professione legale e quella medica. (mdc). Commento. Evidentemente in Olanda le cure palliative funzionano, per fortuna degli olandesi. Non altrettanto si può dire per l’Italia, ma ormai ci stiamo abituando ad essere gli ultimi in Europa, in tutte le classifiche tranne che nel numero di cellulari. Nel merito possiamo soltanto dire che le cure palliative per essere tali DEBBONO lenire il dolore. E poiché non tutti i dolori sono uguali, ne deriva che anche le dosi palliative debbono essere diverse. E poiché la morfina non è un veleno, il medico DEVE – sempre in accordo con l’interessato o, se impossibilitato, con la sua famiglia – graduare le dosi da somministrare in relazione all’intensità del dolore. Quando si tratta di malati terminali, il rischio della morte è possibile in ogni momento: se interviene nel corso di una cura palliativa, non può essere imputato al medico curante, il quale ha fatto il suo dovere. (gps) 19 232 - MODENA – LIBERAUSCITA AL FESTIVAL DELL’UNITA’ Ci scrive la nostra responsabile di Modena, Maria Laura Cattinari, che ringraziamo – insieme alle sue collaboratrici e collaboratori – per la preziosa attività svolta per la nostra associazione. Carissimi, anche quest'anno, il terzo dopo il 2003 ed il 2004, siamo stati presenti con un nostro stand nello spazio volontariato del festival provinciale dell'Unità di Modena. Quest'anno abbiamo "fatto le cose in grande". Avevamo quattro grossi manifesti che molto chiaramente spiegavano chi eravamo e cosa offrivamo: materiale informativo sull'associazione, possibilità di conoscere le nostre proposte di legge su eutanasia e testamento biologico, possibIlità di sottoscrivere le relative petizioni popolari, possibilità di sottoscrivere il proprio testamento biologico o comunque di ritirare il modulo per prenderne conoscenza, possibilità di iscriversi all'associazione LiberaUscita. Molto interesse ha suscitato il testamento biologico. Forse un po' più di freddezza abbiamo notato relativamente alla proposta di legalizzazione dell'eutanasia e qualcuno tra noi si è chiesto se non fosse in qualche modo imputabile alla recente débacle referendaria. Comunque circa duecento firme le abbiamo raccolte. Sulla Gazzetta di Modena è comparso un articoletto che annunciava la nostra presenza al festival ed in particolare informava sulla possibilità di sottoscrivere al tavolo il proprio testamento biologico. Gentilmente venivano anche forniti i nostri recapiti per cui riscontri telefonici e telematici si sono avuti anche nei giorni successivi alla nostra presenza al festival. Anche la stagione ci ha aiutato, aria tiepida e cielo stellato. Alla prossima Maria Laura Cattinari 233 - LA VIGNETTA DI BRUSCO. 20