Beyond Budgeting - BetaCodex Network
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pflagingpista1 1-02-2010 17:02 Pagina 1 In copertina: © Zhu Difeng /Shutterstock Leadership e obiettivi flessibili Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance Leadership e obiettivi flessibili Sergio Mascheretti, consulente aziendale, presidente di ITM Consulenza, insegna Sistemi di controllo di gestione all’Università di Bergamo. È coautore di Guida all’analisi di bilancio (Etas, seconda ed. 2007). E TA S N. Pflaeging – S. Mascheretti Niels Pflaeging è co-fondatore del Beyond Budgeting Transformation Network, e presidente di MetaManagement Group, società di consulenza di San Paolo, Brasile. È stato controller in imprese multinazionali. NIELS PFLAEGING – SERGIO MASCHERETTI PROGETTO GRAFICO: QUITSTUDIO, MILANO L’economia mondiale è sostanzialmente cambiata nel corso degli ultimi decenni e ancora più drasticamente negli ultimi anni. I metodi e le prassi di gestione continuano sorprendentemente ad essere gli stessi: occorre chiedersene la ragione. Molte delle tecniche ritenute standard di riferimento per una buona gestione devono oggi essere criticamente analizzate: negoziazione di obiettivi, predisposizione di piani di business, piani di incentivazione individuali, analisi degli scostamenti rispetto ai piani/budget... Tutte tecniche ampiamente diffuse, ma ancora utilmente applicabili? E se non lo fossero, potrebbero essere opportunamente sostituite con qualcosa di migliore e più adatto ai tempi? Che cosa potrebbe sostituire il rigido controllo top-down, gli incentivi, la definizione ossessiva di obiettivi rigidi? Pflaeging e Mascheretti illustrano casi di aziende note, di vari settori, dimensioni e Paesi che hanno abbandonato da lungo tempo l’uso del budget e della pianificazione (assieme ad altre pratiche di gestione molto diffuse) e che sono diventate più competitive. Il modello di gestione da esse utilizzato, chiamato Beyond Budgeting, mostra di funzionare nel lungo periodo e consente di liberarsi della cultura del “comando e controllo” e di molta della burocrazia ad esso legata. “Esiste una nuova e più efficace modalità di gestione delle aziende, una nuova forma di esercizio della leadership e delle performance. Leadership oggi significa mettere le decisioni importanti nelle mani di tutte le persone dell'organizzazione. Tutte.” Premiato come libro di management dell’anno, categoria leadership, dal Financial Time Deutschland. ETAS Euro 22,50 Leadership e obiettivi flessibili Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance NIELS PFLAEGING SERGIO MASCHERETTI ETAS Titolo originale: Führen mit flexiblen Zielen Editore originale: Campus Verlag GmbH Traduzione dal portoghese di Sergio Mascheretti Impostazione grafica di Matteo Bologna Design, NY Fotocomposizione Studio Norma, Parma ISBN 88-453-1576-3 Copyright © 2006 Campus Verlag GmbH All rights reserved Copyright © 2010 RCS Libri S.p.A. Prima edizione italiana: Etas - gennaio 2010 www.etaslab.it I libri Etas sono disponibili con particolari sconti quantità per l’utilizzo promozionale o nell’ambito di programmi di formazione aziendale. Per ulteriori informazioni scrivere a [email protected]. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail: [email protected] e sito web www.aidro.org. INDICE Presentazione all’edizione italiana Prefazione Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile! L’obiettivo non chiarisce il percorso Pensare in modo nuovo anziché usare criticamente tecniche manageriali più o meno nuove I pionieri Che cosa aspettarsi dalla lettura di questo libro XI XVII XVII XIX XXI XXIII Parte prima PENSARE IN MODO RELATIVO 1 Un obiettivo è più che un obiettivo Taylor e le sue conseguenze Esorcizzare l’arroganza della sede centrale Una diversa immagine della natura umana: un diverso contratto di prestazione 3 4 9 14 VI 冷 Leadership e obiettivi flessibili Un nuovo approccio: oltre il budget (Beyond Budgeting) La storia di un pioniere: Handelsbanken 19 24 2 Indirizzare anziché dare ordini Dall’entusiasmo alla paralisi Come si motiva un seguace di Atena? Basta parlare di incentivi! Organizzazioni democratiche per persone democratiche Come trasformare i capi in consulenti La storia di un pioniere: AES Dalla conoscenza teorica al saper fare 32 34 38 39 42 45 47 51 3 Perché ha senso definire solo obiettivi relativi I mezzi giustificano il fine Dare un significato all’esistenza delle aziende La storia di un pioniere: dm-drogerie markt Ma perché si lavora? La storia di un pioniere: Southwest Airlines 54 55 59 65 69 73 Parte seconda AGIRE IN MODO RELATIVO 4 Nuove liturgie per nuove mete Mete predeterminate non hanno più senso Gli obiettivi specifici sono più efficaci Le mete relative funzionano così La storia di un pioniere: W.L. Gore & Associates 5 Basta pianificare, meglio pensare strategicamente È meglio guardare fuori dalla finestra che immaginare il futuro Pensare strategicamente e pianificare sono due mestieri diversi La vita punisce chi decide troppo in fretta Oltre il budget 81 82 87 90 99 104 105 107 110 111 Indice 冷 VII Pianificare in modo diverso La storia di un pioniere: Guardian Industries 113 118 6 Le misure del controllo Il sogno della cabina di comando in azienda La paura della perdita di controllo Benedizione e maledizione del calcolo dei costi La storia di un pioniere: Dell 123 124 126 128 134 7 Realtà e fantasia nella gestione d’impresa 100 clienti in 9,7 secondi: record mondiale! Come si comportano i pionieri La storia di un pioniere: Aldi Guardarsi intorno: il benchmarking 139 140 142 144 148 8 Stimoli e reazioni: il sistema delle retribuzioni I soldi non motivano... Legare l’incentivo all’obiettivo La storia di un pioniere: Egon Zehnder International Semplicemente più giusto Oltre il budget, cioè oltre gli incentivi Livelli salariali e giustizia Come implementare? 152 154 156 159 163 166 168 170 9 Non interferite: delegate! Leadership senza burocrazia Un paradosso: democrazia in azienda La storia di un pioniere: Semco Chi decide? Il principio della consultazione: un rovesciamento di paradigma Effetti della consultazione L’imperativo della trasparenza: l’ossigeno per respirare 173 174 178 180 185 188 192 194 10 Organizzazioni senza organigrammi Nuove strutture per l’organizzazione del futuro Centro e periferia 197 198 201 VIII 冷 Leadership e obiettivi flessibili La storia di un pioniere: Toyota Dall’esterno verso l’interno: come raccogliere gli stimoli Il centro, le cellule, le reti Area finanza e controllo: occorre ridurne significativamente il ruolo Marketing centrale: eliminazione o ridimensionamento Risorse umane: eliminare o cambiare sostanzialmente 205 209 211 214 215 218 Parte terza OTTENERE SUCCESSI RELATIVI 11 Configurare il cambiamento O tutto o niente La storia di un pioniere: Ahlsell Sbarazzarsi delle teorie obsolete Ma come fare? E, dopo il cambiamento, altri cambiamenti 223 224 226 230 233 237 12 Epilogo: buone prospettive! 241 Bibliografia 245 Ringraziamenti 249 Gli autori 251 Indice analitico 253 Tutto è relativo. Albert Einstein PRESENTAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA Opero nel settore della consulenza direzionale da molti anni e mi sono sempre occupato di sistemi di pianificazione e controllo delle aziende, cioè di quell’attività volta sia all’individuazione delle variabili (oggi le chiamiamo “indicatori di performance”) maggiormente in grado, ai vari livelli dell’organizzazione, di misurare il raggiungimento dei risultati aziendali prefissati, sia alla realizzazione di strumenti/metodologie a supporto dell’attività di indirizzo (prima) e di controllo (poi). Forse per la mia persistente curiosità e voglia di migliorare e forse anche per un latente senso di insoddisfazione rispetto alla reale efficacia di tanti progetti di pianificazione e controllo in aziende che hanno investito tanto impegno, tanto tempo e molto denaro, questa disciplina continua ad assorbire le mie energie poiché risulta sempre “intrigante”. Mi affascinano sia il lavoro sul campo in azienda, sia la formazione manageriale e universitaria sia, talvolta, lo sforzo di mettere a fuoco in uno scritto le mie riflessioni ed esperienze sui temi della pianificazione e controllo. Questo libro nasce da un incontro fortuito con Niels procuratoci da Monica, una comune amica brasiliana. Anche Niels nasce XII 冷 Leadership e obiettivi flessibili controller, ma poi, come spesso gli dico, “folgorato sulla via di Damasco”, sviluppa, con amici conosciuti in ambito CAM-I (un’associazione dove si è sviluppata la scuola di pensiero della gestione per attività e frequentata anche da me per anni), un approccio ai temi del governo aziendale decisamente alternativo a quello generalmente riscontrabile nella stragrande maggioranza delle imprese; in sintesi un approccio che si occupa più delle persone che degli strumenti. Un approccio quindi davvero diverso dalla tradizionale impostazione che vede l’attività di pianificazione e controllo presidiata da contabili (più o meno esperti) che utilizzano un variegato set di strumenti per controllare tutto e tutti. Questo dibattito sulla collocazione in ambito aziendale della funzione pianificazione e controllo non è certo nuovo. Tralasciando per ovvie (ai nostri occhi) ragioni di palese inadeguatezza la scuola “cibernetica”, che vede il controllo delle performance aziendali come un semplice meccanismo tecnico di retroazione (quale può essere un termostato che regola la temperatura), nella letteratura, come avevano ben classificato tempo fa Franco Amigoni e Claudio Devecchi dell’Università Bocconi, esistono almeno tre macro-alternative per affrontare il tema. Alternative che poi originano logiche e prassi molto diversificate e che dipendono dalla “scelta” della disciplina di riferimento nella quale collocare l’attività di controllo. Secondo questa impostazione l’attività di controllo può essere “dominata” alternativamente dai contabili, dagli esperti di organizzazione o dagli aziendalisti (cioè quelli con una visione più sistemica e omnicomprensiva del problema). Prima che nascesse l’idea di un libro a due mani basato sulla precedente edizione brasiliana del libro di Niels, io e lui discutemmo a lungo l’argomento, forti, ognuno, delle proprie convinzioni, e potremmo semplicisticamente definire la nostra discussione una disputa tra Niels, preoccupato soprattutto delle modalità di esercizio della leadership, e il sottoscritto, più teso a far discendere la logica di governo di un’azienda dall’analisi dell’azienda stessa e del contesto ambientale. Pur convinto della validità intrinseca di molte delle più comuni e consolidate metodologie correntemente utilizzate nelle aziende Presentazione all’edizione italiana 冷 XIII multinazionali meglio gestite, ero motivato da una grande curiosità rispetto al tema del “Beyond Budgeting”. Una curiosità legata all’esperienza di avere spesso visto vanificati interventi ben progettati tecnicamente e supportati da adeguati strumenti informatici. Il percorso del libro, nel quale grande importanza hanno senza dubbio i racconti (le descrizioni) delle esperienze di aziende di successo che hanno testato sul campo i dodici principi del Beyond Budgeting, è avvincente perché adeguato ai tempi e perché ricerca i punti di convergenza tra un approccio più “umanistico” e uno più economico/tecnico ai temi della pianificazione e controllo. Siamo sempre più alle prese con un ambiente imprevedibile, altamente competitivo e che richiede tempi di risposta molto veloci. Quale deve essere quindi il ruolo del “leader”? Dovrà lui/lei organizzare, condividere, pianificare e controllare, come diceva Robert Taylor circa un secolo fa? Oppure, come già vent’anni fa sosteneva Henry Mintzberg in un articolo sulla Harvard Business Review, il “capo” svolge un ruolo caratterizzato da un’estrema varietà di compiti, ognuno da affrontare in tempi brevi? Senza tanto tempo per pensare perché troppo impegnato a fare? Nella letteratura di management più qualificata si trovano ormai molti stimoli, supportati da risultati di importanti ricerche, che chiariscono come la realtà del lavoro quotidiano di un leader sia molto lontana da quella immaginata da Taylor. Il “capo” non può più permettersi (se mai lo ha potuto fare) di osservare la realtà, elaborare una strategia, definire regole di comportamento e verificare che tutti i collaboratori eseguano i compiti predefiniti. La globalizzazione prima e la crisi degli ultimi anni poi hanno reso sempre più evidente la necessità di ripensare a tutto tondo il tema del governo delle aziende. E in tal senso si trovano stimoli interessanti. Uno, recente, ad opera di Ronald Heifetz, Alexander Grashow e Martin Linsky apparso sulla Harvard Business Review, focalizza la sua attenzione sull’importanza di alcune “nuove” qualità da ricercare nei leader, quali: aiutare le persone ad adattarsi continuamente ai cambiamenti, a vivere in situazioni di costante disequilibrio, e creare le condizioni perché a tutti i livelli dell’organizzazione si sviluppi leadership. A questo XIV 冷 Leadership e obiettivi flessibili proposito non possiamo non citare tutto il movimento di pensiero che tratta della necessità della creazione di senso nelle organizzazioni; una scuola di pensiero che penso si possa ricondurre agli studi di Karl E. Weick e, in Italia, di Giancarlo Traini. Una scuola di pensiero che, per citare un esempio di immediata metabolizzazione, vede preferire, in situazioni di guerra non convenzionale, al soldato ipertecnologico dotato di tutte le migliori armi il guerriero pellerossa che “istintivamente” si adatta e cerca di battere il nemico (o, nel caso di specie, almeno di sopravvivere, come devono fare tante imprese di fronte a concorrenti molto agguerriti). Il libro descrive, in modo spesso provocatorio, le esperienze di aziende coraggiose e innovatrici le quali, assieme ormai a un numero sempre più numeroso di adepti, hanno saputo prendere atto della necessità di innovare radicalmente le pratiche di gestione e hanno dato vita a importanti cambiamenti spesso non avendo chiari tutti i contorni del progetto. Innovazioni organizzative che muovono sì dal cambiamento di contesto esterno ma anche, e soprattutto, dall’accettazione piena di un tratto marcante della personalità umana: quello della preferenza per un ambiente di lavoro dove si possa (sia giusto) avere un ruolo attivo e non di mera esecuzione di compiti dettagliatamente normati da altri. I casi di aziende di successo di vari e diversi settori, Paesi, dimensioni, mercati, stadi del ciclo di vita illustrano chiaramente l’affinità di molte soluzioni di gestione adottate. Soluzioni che hanno consentito l’elaborazione di un modello di governo, il Beyond Budgeting, ormai solido e basato su principi codificati e applicabili da tutte le aziende (non solo quelle grandi) che vogliono sperimentare un’alternativa alla prassi, per ora, più diffusa basata sul “controllo” per sposare un approccio basato sulla possibilità per tutti di dare un contributo al successo dell’azienda. È una filosofia di gestione nella quale gli strumenti e le tecniche tradizionali hanno chiaramente un ruolo meno cruciale; non costituiscono più il centro delle attenzioni; anche se continueranno a mantenere un ruolo rilevante, non fosse altro che per la portata degli investimenti informatici ad essi associata. Il modello di gestione del Beyond Budgeting rappresenta la cerniera mancante tra il focus centrato solo sulle persone (i loro valori, le loro moti- Presentazione all’edizione italiana 冷 XV vazioni) e quello troppo ancorato alla fiducia nelle soluzioni fornite da metodologie e strumenti (informatici). Forse, crediamo, il modo per raggiungere l’obiettivo ultimo dei sistemi di governo è quello, come diceva Richard Anthony tanti anni fa, di influenzare i comportamenti di chi opera in azienda. A coloro che giustamente temono i rischi collegati alle nuove sfide vale la pena ricordare che è insito addirittura nell’etimologia del termine imprenditore lo stimolo a creare “qualcosa” di diverso dall’esistente. Nel libro Built to Last, dove si raccontano le storie di aziende di successo nel lungo periodo, alcuni grandi imprenditori non parlano mai dell’obiettivo del profitto (che è ritenuto una derivata di un buon progetto aziendale e un vincolo di un’adeguata remunerazione dei capitali). Essi sono volti al perseguimento costante dell’eccellenza, alla costruzione di un “mondo” diverso da quello esistente. Un mondo quindi dove la creazione di valore da parte delle imprese è argomento centrale, ma con un’importante avvertenza per i naviganti. Il valore di cui si parla nel mondo del Beyond Budgeting è inequivocabilmente qualcosa di molto diverso dal calcolo puntuale dell’EVA (cui sfortunatamente tutti dedicano umani sforzi spesso soprattutto rivolti alla manipolazione dei dati) che si fa in ogni occasione di incontro con la comunità finanziaria. Il valore cui ci si riferisce nel libro non è perciò una semplice (illusoria?) sottrazione del valore del reddito da governare tecnicamente da quello effettivamente generato. Nel libro il valore di un’azienda fa riferimento, in senso lato, all’importanza dell’azienda per i clienti, i dipendenti, i soci e la collettività tutta. Il Beyond Budgeting, che vede tutti i dipendenti come potenziali imprenditori e imprenditori-investitori, non può che favorire questo modo di pensare, cioè un percorso di miglioramento delle persone, del loro ambiente di lavoro e, in senso lato, del mondo in cui si vive. Un percorso non tracciato nelle sue minute metodologie, ma molto solido nei principi. Un messaggio, come quello spesso contenuto nei discorsi del presidente Obama, di speranza e di valori profondi emotivamente condivisibili che non si perde in technicalities. Buona lettura. Sergio Mascheretti XVI 冷 Leadership e obiettivi flessibili Modello di gestione “comando e controllo” del XX secolo: • obiettivi e piani prefissati, • struttura gerarchica centralizzata, • governo dall’alto verso il basso. Presentazione all’edizione italiana 冷 XVII Nuovo modello per il XXI secolo: • obiettivi e sfide creative (per far fronte al mercato), • struttura a “rete decentralizzata”, • governo dall’esterno verso l’interno. PREFAZIONE Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile! L’OBIETTIVO NON CHIARISCE IL PERCORSO Un numero sempre maggiore di dirigenti d’azienda si sta rendendo conto che qualcosa non va nel modo di definire gli obiettivi all’interno delle imprese. Gli esseri umani hanno bisogno di obiettivi: difficilmente un manager dubita di questa affermazione. Peraltro nella realtà delle aziende questo concetto non si applica facilmente. Perché? Forse perché scegliamo obiettivi sbagliati? Perché si definiscono obiettivi esageratamente alti/difficili o inopportunamente troppo facili, o invece perché il processo di definizione degli obiettivi è sbagliato? Il modello di gestione per obiettivi più comune nelle aziende si basa sulla seguente premessa: “Gentili dirigenti e quadri, noi stiamo fissando chiaramente gli obiettivi per ognuno di voi: se li raggiungete, sarete premiati, in caso contrario sarete puniti”. Sembra tutto semplice, logico e corretto. Ma allora perché la motivazione delle persone diminuisce costantemente e tutti affermano che l’MBO (management by objectives) è l’unica alternativa che conduce le aziende al successo? Perché la produttività e i risul- XVIII 冷 Leadership e obiettivi flessibili tati sono così frequentemente inferiori alle aspettative? Perché non riusciamo a fidelizzare i clienti come vorremmo? E perché i nostri collaboratori non danno libero sfogo al loro talento? Rispetto a quest’ultima domanda, chi oggi dirige un’azienda è già felice se può affermare che i collaboratori non sabotano l’impresa. Quali sono le cause? L’economia e la società sono profondamente mutate ma i metodi di gestione e i principi che le ispirano sono rimasti gli stessi. Piani dettagliati, obiettivi prestabiliti, valutazioni individuali, remunerazione collegata ai risultati, budget, confronti budget/consuntivo e gestione per attività a partire dal vertice: sono tutte pratiche manageriali ben definite. Ma tutte queste tecniche sono ancora adatte alla realtà attuale? E se così non fosse, come possiamo adattarci meglio a circostanze ambientali molto diverse e lavorare meglio? Sia nella letteratura di management che nella pratica quotidiana sono ormai numerose le critiche alle tecniche tradizionali. Ormai la coscienza che il tradizionale MBO non porti grandi risultati esiste. Ma come si può procedere? Molte aziende conoscono tutte le tecniche tradizionali, ma spesso non le sanno applicare e non ne misurano l’efficacia. È chiaro a tutti che abbiamo bisogno di capire meglio i meccanismi della motivazione individuale, il funzionamento di un’organizzazione e come responsabilizzare le persone nelle imprese. Ma cosa significa tutto ciò? Molti dirigenti insoddisfatti dei risultati conseguiti utilizzando le tecniche tradizionali si stanno chiedendo come realizzare una nuova cultura del risultato. Per ora le proposte suggerite da imprese pioniere, dalla letteratura e dalla dottrina sembrano eccessivamente generiche e adatte solo a poche aziende vagamente esotiche con caratteristiche peculiari. Questo giudizio potrebbe però risultare un po’ precipitoso perché è ormai acclarato che esistono percorsi fattibili per gestire aziende attraverso la creazione di organizzazioni di “tipo nuovo”. È però necessario chiedersi quali degli ormai numerosi casi di aziende gestite in modo innovativo possano essere di orientamento e abbiano un valore metodologico. Le imprese che si saranno liberate dal vincolo della gestione Prefazione 冷 XIX per obiettivi fissi (e di tutte le altre metodologie collegate) saranno le imprese di successo nel lungo periodo. Ma l’obiettivo di questo libro non è la critica alle tecniche tradizionali, bensì l’illustrazione di un’alternativa vera e comprovata dalla realtà al mero ricorso alle suddette tecniche. Il libro racconta i casi di aziende pioniere che hanno scelto un diverso modello di leadership e spiega che occorre sostituire lo stile troppo direttivo (command and control), quello nel quale il potere è esercitato attraverso organigrammi, obiettivi rigidi, sistemi individuali e aggressivi di incentivazione e confronti esacerbati tra consuntivi e budget. La soluzione consiste nell’utilizzo di tecniche in sé non del tutto nuove, ma al contrario già ampiamente sperimentate in vari ambiti: perseguimento di obiettivi, sistemi di remunerazione, modelli di pianificazione, di processi decisionali e di buona organizzazione. Ciò che è importante sapere è che nell’impresa del futuro conterà molto più la leadership rispetto alla gestione. Un’impresa attrezzata per il domani (che è già oggi) deve dirigere sempre meno la sua attenzione all’interno (cioè ai piani, ai giochi di potere, alla negoziazione e alla dimostrazione di performance interne) per rivolgerla piuttosto all’esterno, cioè al mercato, ai concorrenti e ai clienti. Il libro illustrerà come è possibile gestire un’impresa con modalità adatte al XXI secolo. PENSARE IN MODO NUOVO ANZICHÉ USARE CRITICAMENTE TECNICHE MANAGERIALI PIÙ O MENO NUOVE Tesi, casi, concetti di questo libro trovano origine nel lavoro del Beyond Budgeting Round Table (BBRT) e del Beyond Budgeting Transformation Network (BBTN). Il filone di studi del Beyond Budgeting (BB) è relativamente recente ed è diventato un “movimento” internazionale sostenuto grazie agli sforzi delle due organizzazioni sopracitate. Il BBRT, fondato in Inghilterra nel 1998, è un gruppo di ricerca che ha l’obiettivo di definire un modello di gestione d’impresa XX 冷 Leadership e obiettivi flessibili più adatto ai mercati dinamici del XXI secolo. All’interno del BBRT ci si è interrogati sul fatto che, se i mercati sono dinamici e complessi, ci deve essere un’alternativa alla gestione dirigistica basata su mete rigide. Il lavoro del BBRT prese dunque le mosse dalla seguente domanda: come può funzionare un’impresa senza budget, senza negoziazioni legate al budget, senza analisi degli scostamenti dal budget ecc.? Nel tentare di rispondere alla domanda apparve chiaro che il problema non risiedeva nelle metodologie di pianificazione, ma nello stile di leadership prevalente all’interno delle organizzazioni, e cioè nella logica “comando e controllo”. Nella realtà delle aziende la logica “comando e controllo” è molto diffusa, tutti noi immaginiamo infatti le aziende come entità ben strutturate e gerarchicamente definite dall’alto in basso. Implicitamente separiamo le persone che decidono da quelle che operano e il momento della decisione da quello dell’azione. Immaginiamo che il capo decida e gestisca persone e piani; e speriamo che chi deve agire lo faccia nel rispetto dei piani, degli indicatori, delle regole ecc. Questo modo di fare è purtroppo sempre più lontano dalla realtà dei mercati e dal comportamento delle persone. I problemi attuali non possono essere risolti con paradigmi prodotti nel passato; farlo significherebbe ripetere azioni errate, eventualmente ottimizzate. Sarebbe quindi preferibile definire quali sono le cose “giuste” da fare attaccando il male alla radice anziché lavorare solo sui sintomi. Per meglio definire questo cammino di cambiamento occorre superare una serie di convinzioni ben radicate ma che, a ben vedere, non sono altro che miti su che cosa sia davvero un’azienda. La maggior parte dei dirigenti opera in aziende votate al metodo “comando e controllo”. Se un manager non ha più fiducia in un collaboratore o in un reparto, istituisce istintivamente altri sistemi di controllo. Tra questi: il budget, gli obiettivi rigidi, le valutazioni personali, gli ordini di servizio, le supervisioni, le misure di controllo dei risultati, le procedure relative ai miglioramenti, l’analisi del clima interno ecc. Sono tutte tecniche note e spesso non se ne percepisce il costo in termini di spreco di tempo, risorse e denaro. Prefazione 冷 XXI La maggior parte dei manager, di fronte a questi sforzi spesso inutili, alza le spalle e conclude: “Le cose vanno così”. Il rischio implicito, operando in questo modo, è che la leadership passi dalle persone alle prassi. Vengono annullate la fiducia reciproca e la presa di responsabilità; il coinvolgimento e l’impegno spontaneo svaniscono. Porsi domande rispetto a questo operare schematico ha portato le imprese pioniere a ricercare alternative allo schema “comando e controllo”. I PIONIERI Nel corso degli anni i ricercatori del Beyond Budgeting hanno identificato una serie di aziende innovative che operano secondo principi comuni. Tutte loro hanno adottato una chiara nuova filosofia che ha consentito di attuare una trasformazione rivoluzionaria senza cedere alla tentazione di una crescente burocratizzazione. In questo libro sono analizzati per esteso dodici esempi. Nell’elenco che segue si trovano nomi noti e meno noti. • AES: impresa americana del settore energia (global power company). Fin dalla sua costituzione AES ha modificato le regole di conduzione del business e il modo di lavorare. I dirigenti hanno rinunciato al modello “comando e controllo” puntando su una leadership basata sui valori. • Ahlsell: impresa svedese di vendita al dettaglio nel mercato delle costruzioni con alti tassi di crescita in un mercato stagnante. Ahlsell genera alta redditività in tutti i suoi settori di attività grazie a un alto livello di decentramento di responsabilità e decisioni. • Aldi: la più grande impresa tedesca di vendita al dettaglio in forte espansione internazionale, combina un alto successo economico a una filosofia organizzativa interessante. Inoltre Aldi ha rivoluzionato lo stile d’acquisto degli europei inventando il settore “discount” nei supermercati. XXII 冷 Leadership e obiettivi flessibili • Dell: produttore americano di computer (la “Toyota” del settore elettronico) opera con successo dall’inizio degli anni Ottanta in un segmento difficile generando utili. I processi di produzione e logistica di Dell sono già una leggenda. • dm-drogerie markt: la seconda catena tedesca in ordine di grandezza di vendita al dettaglio di cosmetici, parafarmacia, prodotti di bellezza ecc. È la più efficiente e stimata del Paese. L’impresa è diretta nel rispetto del valore della persona. Il suo fondatore, Götz Werner, ha ricevuto nel 2005 il premio come imprenditore dell’anno. • Egon Zehnder International: è l’impresa svizzera leader nella ricerca di alti dirigenti (ritenuta la “Porsche” del suo settore). L’estrema attenzione ai bisogni delle aziende clienti ha reso Zehnder il concorrente più redditizio del settore, pur in un mercato fortemente ciclico. • Guardian Industries: impresa americana produttrice di vetri piani, mostra tassi di crescita elevati a livello internazionale fin dagli anni Sessanta adottando uno stile di leadership che non prevede burocrazia. In azienda prevalgono i concetti di empowerment, decentramento e “piacere di lavorare”. • Handelsbanken: questa banca universale svedese è una delle migliori del settore sotto tutti gli aspetti. È il miglior esempio di applicazione del Beyond Budgeting secondo il modello qui presentato. • Semco: impresa brasiliana di tecnologia e servizi che ha la fama di essere “la più democratica del mondo” con uno stile di leadership che genera buoni risultati da più di vent’anni. • Southwest Airlines: l’impresa aerea americana che ha inventato il modello di business “low price-low cost”. Ritenuta la più efficiente del mondo nel settore, trasmette passione tra maestranze, clienti e azionisti. • Toyota: famoso produttore giapponese di auto. I metodi Toyota hanno consentito all’azienda di essere il più redditizio produttore di auto del mondo. Il modello di produzione Toyota – total production system (TPS) – e l’efficienza aziendale sono leggendari. • W.L. Gore & Associates: impresa manifatturiera americana, ritenuta tra le più innovative, dispone delle maestranze più Prefazione 冷 XXIII soddisfatte del loro lavoro. Piccoli gruppi molto autonomi hanno sviluppato prodotti spettacolari (il famoso Gore-Tex, per citarne uno) e raggiunto risultati eccellenti. Al di là delle differenze tra i dodici casi citati (differenze di storia, di dimensione, di settore, di cultura), esistono molti aspetti comuni: ognuna delle aziende ha realizzato un modello di gestione e di leadership molto flessibile, basato sulla fiducia e su “contratti di performance relativi”. Si tratta di cinque aziende americane, cinque europee, una asiatica e una dell’America del Sud. Un altro dato statistico interessante: sei pionieri sono imprese private, gli altri sei sono aziende quotate o possedute da fondi. È chiaramente un elenco non esaustivo di pionieri del Beyond Budgeting. Google, l’impresa americana fondata nel 1998 (con una capitalizzazione di oltre 150 miliardi di dollari e più di 20.000 dipendenti), non è nell’elenco solo perché è un’azienda di più recente costituzione, ma faremo riferimento ad alcune caratteristiche del modello di gestione da essa adottato. Altri esempi di aziende interessanti rispetto al filone Beyond Budgeting sono Flight Centre (rete di agenzie viaggi australiana), Whole Foods (supermercati statunitensi), Promon (settore ingegneria in Brasile), Nucor (acciaieria statunitense) e Ikea (azienda svedese, con sede in Danimarca, maggior produttore e venditore di mobili al dettaglio del mondo). Forse non è un caso che tutte le imprese citate siano, per qualche motivo, imprese eccezionali e che in qualche caso siano state considerate “imprese un po’ pazze” perché troppo anticipatrici. Tutte queste aziende (e il loro modo di agire) dimostrano che un’organizzazione diversa da quelle solitamente attuate non è un’utopia: ciò che esse ci “dicono” è rilevante per tutti. CHE COSA ASPETTARSI DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO È un libro per persone insoddisfatte e che non accettano di rimanere tali. Si rivolge a tutti i dirigenti d’azienda che lavorano per obiettivi e anche a coloro che si considerano leader. XXIV 冷 Leadership e obiettivi flessibili Il libro ha un valore speciale per chi deve disegnare, gestire e supervisionare i sistemi di management, quindi: membri di consiglio di amministrazione, alti dirigenti, attori del cambiamento, esperti di sistemi di controllo di gestione e di risorse umane, consulenti di management. Cioè tutti coloro che, fino a oggi, non sono riusciti a contrapporre niente di valido al pur insoddisfacente MBO (la distribuzione di 4 miliardi di dollari come bonus 2008 ai manager di Merril Lynch è un’ulteriore testimonianza in tal senso). La dimensione delle aziende non è un aspetto critico dell’approccio che proponiamo in questo libro. Ciò che conta è poter stabilire nuovi e flessibili impegni sul conseguimento di risultati e, soprattutto, una forma nuova e duratura di esercizio della leadership. Riuscirci è una sfida per qualsiasi impresa. Leadership e obiettivi flessibili vuole aiutare a sbarazzarsi di alcune prassi di gestione scadenti: “cestinare prassi inutili/dannose” è un tema importante del Beyond Budgeting. Questa non è solo una provocazione: è in gioco la revisione del significato di una serie di tematiche considerate normali, e addirittura il loro abbandono. In particolare ci riferiamo all’MBO e ad altre tecniche ad esso collegate a cui si è abituati, ma che palesemente spesso non funzionano. Serve una distruzione creativa, utile al rinnovamento del nostro orientamento ai risultati e alla capacità di essere efficienti. Senza qualche rinuncia non c’è vero rinnovamento. In futuro le tecniche rivolte solo al tentativo di ottimizzare non saranno sufficienti. Oggi le tecniche in uso, mentre dichiarano di esigere e promuovere l’ottimizzazione, in realtà la impediscono; demotivano le persone, soffocano l’entusiasmo e l’innovazione con eccessi di burocrazia e di potere. Questo libro vuole dimostrare che esiste un diverso modello di gestione decisamente distante dal sistema “comando e controllo”. Il Beyond Budgeting è una cosa vera e funziona. Ha, in ultima analisi, l’obiettivo di realizzare cose utili per le aziende e per la società nel suo complesso. Stiamo suggerendo di abbandonare la fiducia nella macchina chiamata organizzazione: non funziona più, occorre puntare maggiormente sulle persone. PARTE PRIMA PENSARE IN MODO RELATIVO 1 UN OBIETTIVO È PIÙ CHE UN OBIETTIVO Marco Almeida respira profondamente prima di entrare in riunione. Siamo verso la fine dell’anno e si stanno per discutere gli obiettivi per l’anno successivo. Il capo inizia la riunione con un tono che appare calmo: “Caro Marco, quest’anno non abbiamo molti margini di manovra. Il suo collega Paolo è d’accordo con me nel ritenere che non si debbano fare grandi cambiamenti. E l’alta direzione fa pressione per mantenere i costi allo stesso livello dello scorso anno. Ho quindi pensato che forse il suo budget debba essere praticamente uguale a quello che avevamo per quest’anno...”. Più tardi, alla pausa caffè, Marco riferisce della riunione al collega della logistica: “In pratica si è trattato di un dialogo fra stupidi. Ho adottato il sorriso di circostanza per questo tipo di riunioni e ho assecondato il capo. Dovevo semplicemente dimenticare i miei piani ambiziosi elaborati con tanta fatica. Non c’è stato nemmeno bisogno che intervenissi in riunione, in soli venti minuti la commedia è finita. Sono davvero un ingenuo! Credevo veramente che non arrivasse con i soliti dati di fatturato e di costi già elaborati e che sappiamo già che non funzionano...”. Il collega Alessandro della logistica chiede: “E adesso?”. 4 冷 Parte I. Pensare in modo relativo Marco, abbattuto: “Non ho margini e nemmeno il mio capo li ha, perché i dati li ha avuti dal suo capo. Ho solo l’agio di distribuire i costi nelle varie voci di spesa ma il totale è vincolato: cercherò di aumentare le spese viaggio per non dover giustificare altre spese. Comunque tutte le esperienze con i clienti principali e i collegati progetti di marketing degli ultimi anni sono finiti nel dimenticatoio. Siamo semplicemente obbligati a ignorare il mercato”. Il collega della logistica, che aveva solo ascoltato, alzando le spalle, commenta: “Sappiamo tutti che in questa impresa la negoziazione degli obiettivi funziona così! È addirittura una tradizione. Ho sentito che alla direzione vendite sta succedendo la stessa cosa rispetto ai volumi di vendita di budget. E sappiamo già che il risultato sarà alti stock, incredibili promozioni, forti sconti, il tutto verso il mese di settembre. Vedrai, a settembre scoppierà come al solito la bomba...”. Marco si rassegna e trae la conclusione che il senso di quel tipo di riunioni può essere così sintetizzato: • mostrami il tuo sistema di remunerazione e io ti spiego il tuo modello di business; • spiegami come interagisci con le persone e io ti chiarisco che idea hai della natura umana; • illustrami come pianifichi e ti dico come lavori con i clienti. In conclusione, sullo sfondo della definizione degli obiettivi e delle performance si trova una filosofia, i valori di fondo di un’impresa. Il problema è voler affrontare la realtà del XXI secolo con valori e metodi adatti all’inizio del XX. TAYLOR E LE SUE CONSEGUENZE Frederick Winslow Taylor (1856-1915) è considerato il padre della teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro (scientific management). Alla fine del XIX secolo Taylor passava per le fabbriche con il cronometro e il notes degli appunti con l’obiettivo di migliorare la produttività del lavoro. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 5 Secondo lui il compito dei “capi” era il miglioramento della produttività dei sottoposti ottenibile attraverso la razionalizzazione dei processi e l’esecuzione di compiti minuziosamente descritti. Nel suo mondo i miglioramenti derivavano dall’ottimizzazione del tempo di esecuzione delle singole azioni. Il risultato di questo pensiero fu quello di vedere il luogo fisico (la fabbrica) governato da un’altra fabbrica: quella dello studio dei processi, della loro pianificazione e del loro controllo. Il modello ha funzionato bene. Il taylorismo si è dimostrato geniale, l’efficienza è migliorata complessivamente in modo incredibile. Fino ad allora solo la produzione di cattedrali era “industrializzata”: con il taylorismo rami interi di industria manifatturiera passarono alla produzione di massa. Il modello fu perfezionato sul campo da Henry Ford e da Alfred Sloan (il primo a parlare di gestione attraverso i numeri). La rivoluzione apportata da Taylor, cioè il grande miglioramento della produttività, ha consentito agli operai dell’industria di ottenere buoni salari e diventare classe media, il tutto senza né formazione né attitudini specifiche. Del movimento non beneficiarono solo le imprese con obiettivi di lucro; il metodo della divisione netta tra chi pensa e chi agisce fu applicato anche in altri ambiti: ospedali, scuole, chiese, fondazioni, istituti di carità, organismi pubblici; “tutti” adottarono il metodo taylorista. Anche negli organismi pubblici si conseguirono sostanziali aumenti di produttività che si tradussero in benefici per la collettività. Nel periodo della rivoluzione industriale il taylorismo fu, senza ombra di dubbio, una cosa buona, se non altro rispetto al tema della produttività. Il principio base è chiaramente la separazione netta tra il lavoro che genera valore e il lavoro di coordinamento e gestione (che ha l’obiettivo di ridurre la complessità). In prima battuta, liberare chi produce e trasforma dalla preoccupazione di “pensare” aumenta incommensurabilmente la produttività rispetto all’impresa artigiana. Così facendo però i processi di creazione di valore perdono contatto con il mercato e divengono ciechi rispetto al valore economico del proprio operare. 6 冷 Parte I. Pensare in modo relativo Quindi chi lavora in fabbrica ha bisogno di orientamento per la propria attività esattamente come “i ciechi che hanno bisogno dei cani da guida”. Contemporaneamente la fabbrica della gestione diventa un’organizzazione parallela a quella fisica e diventa sempre più potente e grande. Aumenta il numero di persone che professionalmente si occupano di attività indirette: amministrazione, magazzino, qualità, pianificazione. Ciò crea una sempre maggiore dipendenza delle persone che creano valore (che producono) dalle altre dedite all’organizzazione. Grazie a Taylor, la formazione manageriale sulla gestione ci insegna a dividere e scomporre tutto per cercare di migliorare ogni singolo piccolo componente dell’organizzazione, per poi ricomporre il quadro. Come giocare con il lego. Questo modo di ragionare illude che ci sia sempre un metodo o una tecnica che risolve lo specifico problema (senza occuparsi della visione d’insieme). Ma poiché i tempi sono cambiati la gestione taylorista crea sempre più problemi. Come è possibile che l’organizzazione reagisca a mercati imprevedibili e clienti esigenti se è praticamente proibito a chi crea valore di pensare autonomamente? Visto che l’approccio taylorista prevede che si gestisca tutto attraverso i numeri, come è possibile farlo misurando il lavoro intellettuale che riveste sempre maggiore importanza? Quale valore potremo dare alle idee di una campagna di marketing? Peter Drucker può essere considerato il primo specialista di gestione che ha descritto in modo adeguato la nascita dell’economia basata sulla conoscenza. Già negli anni Sessanta Drucker previde che sarebbe nato un nuovo modo di gestire le imprese. Sfortunatamente egli non poté assistere all’avvento di questo cambiamento. Peraltro si può sostenere che sia lui sia Michael Porter e altri rinomati studiosi di management hanno contribuito più a perfezionare il modello taylorista rendendolo più resistente ai cambiamenti che a tendare di evolverlo. A nostro modo di vedere il lavoro intellettuale, al contrario del lavoro di fabbrica della produzione di massa, non può essere coordinato o migliorato attraverso la semplice standardizzazione delle attività e l’analisi input-output. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 7 W. Edwards Deming, l’inventore della qualità totale, disse: “Un obiettivo quantitativo conduce facilmente a distorsioni e finzioni soprattutto quando si percepisce di non essere in condizioni di raggiungere gli obiettivi prefissati. Tutti riescono a raggiungere un obiettivo determinato, soprattutto se nessuno sarà responsabilizzato per i costi generati per raggiungerlo”. E quali sarebbero questi costi? Per rispondere dobbiamo parlare della gestione dei costi: un argomento amato sia dagli alti dirigenti sia dai controller perché ritenuto una pratica “normale e valida”. Se analizziamo il metodo di calcolo da un punto di vista sistemico possiamo semplicemente concludere che non si possono “gestire” i costi. I costi sono rilevazioni contabili: riflessi dei processi di creazione di valore; ombre di complessi processi di lavoro. Voler mettere mano ai costi senza metter mano ai processi che li generano significa generare un mondo parallelo a quello reale. È errato pensare che possiamo migliorare i risultati solo lavorando sui numeri. Spesso sbagliamo e ci dimentichiamo che il miglioramento non può che avvenire intervenendo sui processi di lavoro. In altre parole: bisogna migliorare sempre nella creazione di valore. Purtroppo, sovente la gestione dei costi diventa un sostituto della vera gestione che deve dedicarsi al miglioramento costante dei processi nell’ottica del cliente. L’attenzione sistemica all’eliminazione degli sprechi e alla creazione di valore è esattamente l’opposto dell’attività meccanica, astratta e illusoria del “taglio delle spese”. Prendiamo l’esempio degli obiettivi di vendita. Spesso, anziché richiedere al personale di contatto con i clienti di concludere buoni affari, i capi (tutti) preferiscono esercitare il ruolo di “capo” e predefinire volumi e quote di vendita per ogni venditore. Solitamente c’è una struttura dedicata a questi calcoli. Il lavoro di tutti diventa lo sviluppo analitico di questi calcoli anziché la ricerca comune dei clienti più redditizi per il futuro. Ci si dimentica, nel fare i conti, della complessità del mercato e delle sue aspettative per adottare una mentalità amministrativa che spinge i prodotti verso il mercato. Un altro esempio: il modello di remunerazione dei dipendenti. Tipicamente i produttori americani di automobili (ma non so- 8 冷 Parte I. Pensare in modo relativo lo loro) hanno sviluppato un modello di remunerazione per gli alti dirigenti che vincola il valore della loro pensione ai risultati dei loro ultimi anni di lavoro. Non è necessario essere uno studioso di scienze comportamentali per farsi la seguente domanda: alle condizioni di cui sopra quale dirigente (negli ultimi anni di lavoro) deciderà di investire pesantemente in ricerca anziché licenziare il personale e tagliare i costi? La risposta è ridicolmente chiara: “Visto che decido io, mi preoccuperò dell’interesse mio e della mia famiglia”. E nel settore pubblico? Anche qui negli ultimi anni sono proliferate le tecniche volte a definire indicatori, pianificare, stabilire obiettivi. Vediamo un esempio relativo all’attività della polizia rispetto al tema delle “aggressioni domestiche”. Marito e moglie litigano: siamo di fronte a due aggressioni; si chiama la polizia che interviene e riappacifica i coniugi registrando il caso come “risolto senza ulteriori conseguenze”, cioè due violenze risolte. Casi come questo producono risultati straordinari quando si guardano le percentuali dei casi risolti! Lo stesso tipo di manipolazione potrebbe avvenire se collegassimo la ricompensa di un capo a un qualsiasi obiettivo precedentemente definito. Sfortunatamente i ricercatori, i consulenti e i manager continuano a ripetere che tutto funzionerebbe “se gli obiettivi fossero correttamente definiti”. Per esempio si dice: bisogna essere più realisti o più coraggiosi, coinvolgere maggiormente le persone, fare della buona formazione sul tema, migliorare i controlli ecc. Nella realtà, qualsiasi iniziativa può, nella migliore delle ipotesi, scalfire la superficie del problema rispetto alle evidenze di non funzionamento dell’MBO (e della gestione attraverso i numeri) raccolte in decine di anni di gestione per obiettivi. Quindi non sembrano esistere altre soluzioni: occorre eliminare la maggior parte degli obiettivi oggi comunemente utilizzati. Qualsiasi contratto predefinito di performance deve essere eliminato e sostituito da prassi che creino condizioni adatte a sfruttare meglio il potenziale delle organizzazioni e delle persone. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 9 ESORCIZZARE L’ARROGANZA DELLA SEDE CENTRALE La maggior parte degli imprenditori e dei manager non sa in quale direzione dovranno evolvere le tecniche di gestione per consentire alle proprie aziende di sopravvivere alla forte concorrenza. È chiaro, come vedremo poi, che solo chi si libererà del credo nel meccanismo “comando e controllo” centralizzato potrà affrontare le sfide del mondo di oggi. In queste imprese i gruppi di lavoro creatori di valore recuperano il contatto con il mercato e sviluppano cambiamenti sorprendenti senza dover dipendere dalle strutture centrali: una sorta di auto-organizzazione. La teoria dei sistemi ci ha insegnato che in un ambiente complesso possono prosperare solo le imprese già caratterizzate da rilevante complessità interna. Esse esercitano pressioni sul mercato per mezzo di idee fortemente innovative rispetto ai concorrenti. Quindi trasformare un’impresa taylorista nel senso sopra citato significa aumentarne la competitività per renderla coerente con i nuovi mercati, come hanno fatto Toyota e Handelsbanken. Chi non procede a questa trasformazione resta con la sua struttura super-rigida e non più adatta alle nuove sfide. Il punto forte dell’impresa taylorista, cioè l’intransigente ricerca dell’efficienza nell’esecuzione di processi ripetitivi, diventa un tallone d’Achille. Il modello praticato dalle imprese pioniere si basa sull’immodificabile convinzione che l’unico vantaggio competitivo duraturo risiede nelle persone che lavorano in azienda, nella loro creatività, passione e capacità di giudicare e agire per l’interesse complessivo dell’azienda. Quando si è davvero convinti del valore delle persone, e non lo si afferma solo per posa e nelle occasioni pubbliche di comunicazione, allora nascono modelli di governo in palese contraddizione con il modello taylorista governato dai numeri. Esistono già imprese basate sulla conoscenza: per esempio tutte le imprese di servizi professionali (avvocati, revisori e consulenti). Molte di queste aziende operano attraverso i sistemi di reti tra partner (logica di “quasi partnership”) nelle quali alcune decisioni 10 冷 Parte I. Pensare in modo relativo di vasta portata vengono prese, quasi democraticamente, in riunioni abbastanza frequenti e regolari tra i partner. Anche in queste imprese, però, spesso la gestione quotidiana si ispira ancora al principio “comando e controllo”. L’organizzazione del futuro sarà caratterizzata da piccoli gruppi molto autonomi con la responsabilità parziale o totale del proprio business. Nella sua forma più pura, questo modello supera le divisioni funzionali e le rispettive aree di competenza. Non ci sarà più la necessità di funzioni separate relative, per esempio, alla vendita, ai nuovi business, all’analisi dei rischi, al controllo di qualità, al marketing, alle risorse umane ecc. Perché ciò funzioni, si devono trasformare tutte le persone che lavorano in azienda in “imprenditori”. Ciò implica la completa revisione del lavoro della sede centrale: anziché definire le strategie e prendere decisioni importanti, chi lavora alla holding deve diventare un consigliere, un controllore del rispetto dei principi e delle responsabilità di tutti e deve imparare a porre continuamente domande. In sostanza la sede centrale deve solo essere al servizio di chi crea valore. È evidente che in questo modello servono valori e principi guida molto forti che garantiscano la coesione. Fino ad oggi su questo tema si sono viste più dichiarazioni di intenti che effettivi tentativi. Comunque, oltre alle aziende pioniere citate, esistono altre aziende che stanno sperimentando il model Beyond Budgeting: Unilever, Banco Mundial, UBS, Sight Savers International, Statoil, Softlab, Hilti, Scottish Enterprise, Sydney Water, VCP, Datasul, Logoplaste do Brasil e altre. Ma cosa si è tentato di fare, di diverso, in queste aziende? Nel 1982 Tom Peters e Robert Waterman pubblicano Alla ricerca dell’eccellenza che, con alcuni milioni di copie vendute nel mondo, diventa il primo best seller sulla gestione d’impresa. I due consulenti McKinsey avevano analizzato le ragioni del successo di una serie di imprese. Il risultato della ricerca non è la ricetta per avere successo, bensì un elenco di fattori di successo (KSF): un approccio decisamente innovativo nella letteratura d’impresa. Il libro non descrive quindi un’unica ricetta per conseguire buoni risultati, ma illustra otto principi per raggiungere il successo nell’era della conoscenza, allora agli albori. È utile ripeterli qui: 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 11 1. attitudine all’azione (anziché ossessione per la pianificazione e l’analisi); 2. prossimità al cliente (anziché orientamento all’interno); 3. autonomia e imprenditorialità (anziché burocrazia e dipendenza); 4. produttività generata dalle persone (anziché dalle macchine); 5. approccio rivolto alla creazione di valore (anziché alla gerarchia e alle prassi); 6. attenzione a ciò che si sa fare bene (anziché ossessione per l’espansione e la mancanza di focus); 7. forme semplici, strutture snelle (anziché lo sviluppo funzionale taylorista); 8. leadership forte ma disponibile (anziché “comando e controllo”). Fin dall’inizio degli anni Novanta, quindi alcuni anni dopo la pubblicazione del libro, Tom Peters non si stanca di ripetere che gli otto principi si possono ridurre a uno solo: decentramento e autonomia. In effetti tutti gli altri sette discendono logicamente da questo. Ma come si fa a costruire un simile tipo di organizzazione caratterizzata da ampia autonomia e forte decentramento? Quali sono le imprese che possono dire di aver creato un modello di questo tipo più rivolto all’esterno che all’interno? (Figura 1.1) Oggi esiste un ampio consenso tra i cultori del management sull’idea che i fattori di successo elencati sopra hanno acquisito una riconosciuta validità negli ultimi decenni. In assoluto accordo con quanto indicato negli anni Ottanta da Peters e Waterman, l’elenco di tali fattori può essere ridotto oggi ai sei elencati nel seguito: 1. reazione rapida: per fronteggiare meglio mercati discontinui; 2. innovazione: per tenere conto di cicli di vita del prodotto sempre più brevi; 3. eccellenza nell’esecuzione: per essere sempre competitivi anche con prezzi calanti; 4. vicinanza al cliente: per fidelizzare clienti sempre più esigenti e meno fedeli; 5. ottimo posto di lavoro: per attrarre talenti; 12 冷 Parte I. Pensare in modo relativo FIGURA 1.1 DIRIGERE LE ENERGIE VERSO L’ESTERNO Organizzazione taylorista Visione dall’interno all’esterno Spreco causato da gerarchia e burocrazia I S O R S R E Diminuisce la quota di energia creatrice di valore Aumenta la quota di energia rivolta all’interno Porta alla soddisfazione dei bisogni organizzativi fondamentali, ma produce: • insufficiente creazione di valore; • sprechi eccessivi; • scarso contributo complessivo alla società. Un modello nuovo, diverso Visione dall’esterno all’interno Miglioramento ricercato attraverso una rete autogestita S O R S E R I “Al servizio della gerarchia” “Comando e controllo” dall’alto verso il basso Predomina l’attitudine alla “gestione” del presente Priorità tipiche: negoziazione dei prezzi interni, manipolazione interna, adozione di tattiche/politiche, bilanci/piani, tagli, management by numbers, sistema di incentivi ecc. Minimizzare la quota di energia direzionata Massimizzare all’interno la quota di energia creatrice di valore “Al servizio del cliente” (interno/esterno) Relazioni trasparenti con i clienti e creazione di senso dall’esterno all’interno Predomina l’attitudine alla leadership Priorità tipiche: rapporto strategico con il mercato, relazioni strette con i clienti, cooperazione/alleanze, dialogo e consultazione, sviluppo dei prodotti, miglioramento continuo, amore per i dettagli... Maggior generazione di valore Successo al di sopra della media! 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 13 6. comportamento etico e socialmente “attento”: per soddisfare la sempre maggiore richiesta di trasparenza di tutti gli stakeholder. Molte imprese per ora si limitano a dichiarare l’aderenza a questi principi. Nella pratica quotidiana si verifica spesso esattamente il contrario: la grande maggioranza delle aziende non ha un modello organizzativo adatto alla ricerca/perseguimento dei fattori di successo più sopra elencati. Ciò accade soprattutto perché il modello “comando e controllo” mostra tre grandi limiti. Il primo risiede nel processo decisionale: le decisioni le prende il “capo” e quindi sono accentrate. Il risultato è il ritardo nei tempi di risposta, un minor grado di innovazione, maggiori costi fissi (overhead), l’allontanamento dei clienti, la demotivazione delle persone di talento e l’impedimento a un comportamento leale. Il secondo limite riguarda la prassi di stipulare inflessibili “contratti” di prestazione su obiettivi fissi sia all’interno della propria struttura sia con i terzi. Tali contratti stabiliscono obiettivi interrelati tra le funzioni, una rigida allocazione di risorse e un conseguente schema di remunerazione. Il sistema è, per sua natura, molto burocratizzato mentre le condizioni di mercato richiedono atteggiamenti più adattivi e imprenditoriali. Il terzo limite, infine, è relativo alla gestione centralizzata dei sistemi di informazione e controllo (logica taylorista del “comando e controllo”) che confligge con i fattori di successo dell’economia della conoscenza. Quando si parla di decentramento e autonomia, come suggerisce Tom Peters, non si fa necessariamente riferimento all’introduzione di tecniche nuove o al miglioramento di quelle esistenti. Significa al contrario che imprenditori e manager (gli esseri umani in generale) devono decidere di rinunciare completamente all’uso di tecniche e comportamenti quando non sono più utili. Nei sistemi di leadership e di gestione delle aziende abbiamo bisogno di cominciare a “disimparare”: liberarci dalle pratiche tradizionali, gettarle in un cestino per pensare diversamente. 14 冷 Parte I. Pensare in modo relativo UNA DIVERSA IMMAGINE DELLA NATURA UMANA: UN DIVERSO CONTRATTO DI PRESTAZIONE In linea di principio non si può dire nulla di sensato riguardante la gestione delle risorse umane e la leadership senza dover esplicitare il proprio pensiero rispetto alla natura umana. Molti testi di management, molti docenti di leadership, molti approcci consulenziali perdono significato perché non chiariscono il loro pensiero rispetto alla natura delle persone (Figura 1.2). Generalmente gli approcci a questo riguardo oscillano tra due poli opposti: da un lato la convinzione di dover trattare le persone come bambini (condurle per mano e controllarle), dall’altro l’idea che le persone siano tutte individui adulti capaci di pensare da imprenditori (quindi in grado di esprimere iniziative, creatività e senso di responsabilità). A prescindere dalla propria convinzione, che spesso non viene neppure esplicitata. In questo testo si opta inequivocabilmente per una teoria di “tipo Y”, ossia per il secondo degli approcci delineati più sopra: l’essere umano è intrinsecamente motivato, capace di gestirsi e degno di fiducia. L’uomo, che è portatore di talenti, è mosso dalla volontà di dare il suo contributo ed è alla ricerca di riconoscimento e di senso di appartenenza. Secondo noi, per applicare i concetti del Beyond Budgeting e gestire le imprese nell’era della conoscenza, si deve sempre fare riferimento alla teoria di tipo Y nel disegnare organizzazioni e modelli di gestione. Ai lettori più propensi a credere nella teoria di “tipo X”, con ogni probabilità le prassi e le proposte qui rappresentate sembreranno problematiche e inconcepibili e le esperienze dei pionieri del Beyond Budgeting discutibili e pericolose. Ognuno può decidere in che cosa credere. Tuttavia, la scelta ha conseguenze profonde e molto pratiche. Chi crede nella teoria di tipo X con ogni probabilità crederà nelle otto affermazioni presentate qui di seguito e le troverà centrali per il tema delle performance aziendali. Ebbene, secondo la teoria di tipo Y, questi otto concetti risultano dichiaratamente inadatti (semplicemente dei miti). 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 15 FIGURA 1.2 IL MONDO È CAMBIATO alta L’era industriale sta terminando Dominio dell’offerta Mercati di massa Un’economia avanzata basata sulla conoscenza Dominio della domanda Forte concorrenza/domanda customizzata Superiorità del modello “comando e controllo” Superiorità del modello adattativo e decentralizzato Tutti questi fattori critici sono importanti al giorno d’oggi Fattore critico di successo: Efficienza! • Cambiamenti incrementali 1. Cambiamento discontinuo • Risposta rapida • Lunghi cicli di vita 2. Cicli di vita brevi • Innovazione 3. Prezzi in declino • Eccellenza operativa • Clienti fedeli 4. Clienti sleali • Intimità con i clienti • Datori di lavoro esigenti 5. Dipendenti esigenti • Luogo migliore per lavorare • Risultati “gestiti” 6. Trasparenza pressioni sociali • Governance efficace, comportamento etico Ω Aspettative finanziarie alte • Creare maggior valore in modo durevole Dinamicità e complessità • Prezzi stabili dell’ambiente bassa 1890 Fattori critici di successo (FCS) Caratteristiche Caratteristiche 1980 1990 Peters/Waterman pubblicano Alla ricerca dell’eccellenza 2000 2010 2020 2030 “Tutto ciò che è solido tenderà a scomparire!” Oggi: le organizzazioni applicano un “modello di gestione” che è stato progettato per l’efficienza... mentre il problema oggi è la complessità! 1. “Lo shareholder value, ovvero l’economic value added (EVA) – cioè la creazione di valore –, è il fine ultimo di ogni impresa”. È invece chiaro che l’EVA non è l’obiettivo. L’utile, nelle sue va- 16 冷 Parte I. Pensare in modo relativo 2. 3. 4. 5. 6. rie accezioni, è solo uno dei risultati di un business, è soprattutto una condizione chiave per la continuità dell’attività. La stessa critica si può fare per tutti gli indicatori finanziari. Confondere l’utile con la mission significa, per un’impresa, perdere la propria anima. “Le aziende devono divulgare previsioni di utili futuri (earnings guidance) per indirizzare gli analisti finanziari”. Si tratta spesso di vaghe promesse che comunque generano un impegno “fisso” nei confronti degli investitori; le imprese saranno quindi “obbligate” a rispettare gli impegni. UBS, Porsche, Google, Coca-Cola e Citigroup hanno abbandonato questa prassi che, a loro giudizio, obbliga a giocare coi numeri. “La crescita e gli utili sono i più importanti indicatori di successo”. L’obiettivo della crescita dovrebbe essere solo secondario per la maggior parte delle aziende. Sicuramente è così per le imprese che danno valore a un comportamento etico. La maggior parte dei dirigenti d’azienda, messa alle strette, non è però in grado di motivare adeguatamente l’affermazione circa la necessità di crescere continuamente. Sia la crescita sia la misura degli utili possono sì essere indicatori di eccellenza nella creazione di valore e di competitività: ma potrebbe essere altrimenti. “Dobbiamo misurare il rendimento individuale”. Non è vero e forse è addirittura impossibile. Almeno non è possibile nelle aziende dove i risultati derivano dallo sforzo interdipendente di diversi attori e non dall’azione di un singolo individuo. Nei sistemi complessi quali sono le imprese di oggi il rendimento individuale semplicemente non esiste. “I rendimenti/efficienze si possono misurare oggettivamente”. Nessuna misura è obiettiva; al contrario essa si basa su ipotesi astratte di riferimento. L’affermazione What gets measured gets done è sovente un’affermazione priva di significato. “Un capo competente può governare un’entità organizzativa se dispone di buoni indicatori”. D’accordo, gli indicatori suggeriscono, nella migliore delle ipotesi, le cose da fare: ma non daranno mai risposte. Sono utili se stimolano le persone a lavorare assieme e a far sorgere le giuste domande. Diventano pericolosi se ritenuti obiettivi e indiscutibili. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 17 7. “L’agire delle persone è influenzato in modo preponderante dal top management”. È vero piuttosto che la gestione “eroica” dei tayloristi è inefficace in contesti dinamici e complessi come l’attuale. Glorificare i top manager appare oggi una trappola per il pensiero creativo. 8. “Le cause di cattive performance sono da attribuire alle persone”. Dovremmo invece chiederci che cosa impedisce alle persone e ai team di raggiungere buoni risultati e che cosa dovremmo fare perché tutti possano esprimersi al meglio. Secondo Deming, le cause dei cattivi risultati sono per il 95% sistemiche e solo per il 5% riconducibili alle persone. Quindi, concentrarci sulle persone ci fa perdere il 95% della possibilità di miglioramento. Ma dove si comincia il lavoro che ci consente di lasciare questi equivoci dietro le spalle? Nel suo libro Leadership Is an Art Max De Pree distingue tra relazioni sancite da contratti e relazioni comunitarie all’interno di un’organizzazione. Nello schema concettuale legato al “contratto” l’uomo agisce secondo l’impulso dello scambio tra il lavoro e il compenso. Questo tipo di approccio sviluppa docilità e dipendenza. È il modello taylorista. È teoria tipo X. A questo schema si contrappone la gestione di relazioni comunitarie che si basa sull’impegno personale, cioè su una promessa consensuale tra capo e subalterno che poggia sulla condivisione di idee, di valori e di obiettivi. Cioè teoria tipo Y. Nel lavoro di ricerca del BBRT si è capito subito che, per un cambiamento così radicale, non sarebbe stato sufficiente sostituire i budget e le tecniche usuali di gestione con altre più nuove, ma sarebbe stato necessario costruire un nuovo paradigma organizzativo. Nel tentare di operare questo importante cambiamento sorgono due grandi problemi. In primo luogo non si può descrivere la “nuova” organizzazione con il linguaggio usato per la “vecchia”. Servono nuovi schemi, nuovi concetti e, talvolta, nuovi vocaboli. In secondo luogo si percepisce chiaramente un curioso fenomeno: le imprese con i migliori risultati del XXI secolo, che sono i nostri pionieri nell’uso del Beyond Budgeting, “non sanno quello che stanno facendo”. 18 冷 Parte I. Pensare in modo relativo Nella maggior parte dei casi esse hanno agito sugli stimoli e le intuizioni di imprenditori e dirigenti. Spesso i cambiamenti sono intervenuti senza aiuti esterni (né di consulenti, né di studiosi di management) e senza una chiara idea del risultato finale a cui le aziende sarebbero approdate. Il modello alternativo è risieduto, fino ad oggi, nella visione di pochi. Sono comunque stati fatti discreti passi avanti nella definizione di standard di riferimento, oggi comuni tra i pionieri. Uno di questi è il riconoscimento dell’importanza della stipulazione di “contratti di prestazione relativi” (uno dei fondamenti del Beyond Budgeting). I contratti di prestazione relativi, altrimenti detti “flessibili”, si basano sull’ipotesi che non sia conveniente impegnare dirigenti e gruppi di lavoro su obiettivi rigidi fissati anticipatamente e poi controllare i risultati rispetto agli obiettivi. L’accordo implicito in questi tipi di contratto è che il compito della direzione è solo quello di creare un clima aperto e interessato alle sfide per generare a tutti i livelli la ricerca del miglioramento continuo. Nel farlo, tutti gli attori coinvolti devono usare le proprie conoscenze e capacità di giudizio per adattarsi sempre di più e meglio ai cambiamenti esterni/interni. In questo tipo di contratti le decisioni non sono forzosamente prese sempre dai capi e poi fatte scendere lungo la scala gerarchica in forma surrettiziamente “partecipativa” ma, al contrario, le decisioni sono distribuite il più in basso possibile nell’organizzazione o, meglio ancora, il più possibile decentrate. Occorre decidere nel punto dove la presa di decisione è più rapida, quindi dove esiste interfaccia con il cliente (esterno o interno che sia). Questo nuovo tipo di contratto si basa sulla fiducia reciproca, ma non deve far pensare a un clima rilassato, con assenza di determinazione. Al contrario, l’elevata trasparenza di tutte le transazioni e gli alti livelli di aspettativa di tutti nei confronti di tutti rappresentano una sfida costante: il loro non rispetto sarà sotto gli occhi di tutti. Servono e si realizzano alti livelli di fiducia e di corresponsabilità. Le responsabilità dei risultati e della presa di decisioni sono trasferite gradualmente dal centro alla periferia, cioè a chi deve as- 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 19 sumere le decisioni. Trattasi di un cambiamento forte nello stile di direzione: un grande cambiamento culturale. UN NUOVO APPROCCIO: OLTRE IL BUDGET (BEYOND BUDGETING) La critica al modello taylorista è datata, risale addirittura agli anni Cinquanta. Sia nei lavori di Douglas McGregor e Frederick Herzberg – che studiavano gli aspetti motivazionali – sia in quelli dello statistico Edwards Deming, sia negli scritti di esperti di gestione come Tom Peters, Charles Handy, Chris Argyris, Peter Block o Reinhard Sprenger si trovano stimoli critici al riguardo. La novità del Beyond Budgeting è la presenza di un modello alternativo orientato da principi nuovi che consente a chi governa le imprese di intraprendere i necessari cambiamenti, conoscendone i passi operativi e il probabile risultato finale, e le differenze rispetto al taylorismo. È questa facilità di utilizzo che forse consente di definire il Beyond Budgeting la prima grande idea di management del XXI secolo. Agli albori del movimento Beyond Budgeting fu soprattutto uno l’aspetto che destò interesse: l’esigenza della completa eliminazione di tutto ciò che si riferisce all’elaborazione del budget e al controllo attraverso scostamenti da questo. È chiaramente un postulato che si può agevolmente definire “radicale”, visto che almeno il 95% delle aziende grandi e medie utilizza il budget quale principale meccanismo operativo di pianificazione e controllo. Ma non è tutto. Le imprese che fondarono, e che dirigono, il Beyond Budgeting Round Table, che coniarono il concetto stesso, non perdono occasione di ribadire che non bisogna solo abbandonare il budget ma si devono anche accantonare altri strumenti molto diffusi. La definizione di obiettivi quantitativi di vendita deve pure essere eliminata; così come il controllo degli scostamenti dal budget, gli obiettivi predefiniti, tutte le logiche di negoziazione, le allocazioni parametriche dei costi ecc. Insomma molte delle tecniche ritenute obbligatorie. In conseguenza di ciò si sono sviluppate accese dispute tra acca- 20 冷 Parte I. Pensare in modo relativo demici, consulenti e manager di lingua inglese, tedesca e portoghese che coinvolgono soprattutto gli esperti di finanza e controllo. Le discussioni, all’inizio caratterizzate da toni polemici, hanno comunque portato a un sostanziale riconoscimento del valore del modello; oggi sono numerosi gli esempi di imprese di varie dimensioni e Paesi che stanno sperimentando il modello Beyond Budgeting. Poco a poco il Beyond Budgeting sta cominciando ad apparire nel linguaggio (e nell’agenda) di uomini d’impresa, siano essi CEO, CFO, controller, responsabili di risorse umane o consulenti responsabili di iniziative di cambiamento. È quindi iniziato un movimento che ha sviluppato le idee nate in Inghilterra nel 1998. In quell’anno il Consortium of Advanced Management International (CAM-I) creò a Londra il Beyond Budgeting Round Table: un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti di diverse imprese che aveva l’obiettivo di ricercare modelli alternativi di gestione al tradizionale sistema basato sul budget. La prima mossa fu la ricerca di aziende di successo che già avevano rinunciato al controllo budgetario. I numerosi esempi di aziende che si sono liberate, totalmente o parzialmente, del budget furono uno stimolo importante e una valida rassicurazione per il lavoro dei ricercatori negli anni successivi. I ricercatori visitarono: Handelsbanken (banca svedese), Borealis e Rhodia (imprese chimiche europee), AES (produttore di energia americano), la onlus Sight Savers International, Ikea, il gruppo Bull, il gruppo SKF. Furono analizzate dai ricercatori del Beyond Budgeting Round Table imprese eccezionali quali la catena di supermercati Aldi (tedesca), il produttore giapponese di auto Toyota, e le americane Southwest Airlines e Guardian Industries. Inoltre: il dettagliante svedese di materiali da costruzione Ahlsell e organizzazioni pubbliche come Sydney Water, Scottish Enterprise e Banca Mondiale. Tanto multinazionali leader nei rispettivi mercati, quali Statoil, UBS e Unilever, quanto piccole imprese manifatturiere e di servizi hanno dato inizio a esperimenti di implementazione del Beyond Budgeting. Oggi più di 150 aziende lo stanno utilizzando. Tutte queste imprese si sono liberate delle tecniche di controllo budgetario o comunque hanno introdotto ampie trasformazioni del modello di gestione in essere. Ma la nostra sensazione più 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 21 netta è questa: il vero problema non è la tecnica budgetaria in sé, è piuttosto la filosofia “comando e controllo” basata su impegni fissi predefiniti che si fatica ad abbandonare. Questi sono i due paradigmi che occorre davvero superare se si vuole porre in atto un modello di gestione più efficiente e più adatto ai fattori di successo dell’economia della conoscenza. Nell’aprile del 2003 è uscito sulla Harvard Business Review, scatenando grandi dibattiti, un primo importante articolo, seguito poi da due libri scritti dai direttori del Beyond Budgeting Round Table. Possiamo perciò dire che i fondamenti concettuali sono ormai consolidati. Lentamente il Beyond Budgeting si sta ora affermando anche nella vita delle imprese. Robin Fraser, ex socio Coopers & Lybrand, cofondatore e direttore del Beyond Budgeting Round Table, così illustra l’evoluzione del pensiero: “Abbiamo davvero ancora bisogno di anni per sviluppare il modello compiutamente a partire dalle sue fondamenta che sono ormai chiare. Alcuni membri del Beyond Budgeting Round Table non hanno aspettato la costruzione teorica completa del modello e hanno cominciato a implementarlo”. In queste imprese si sono sperimentate anche tecniche nuove quali il rolling forecast e la balanced scorecard. Sappiamo che l’uso di tecniche nuove non è mai sufficiente. Il Beyond Budgeting non vuole impegnarsi per ottimizzare tecniche: la qualità totale, il business process reengineering, l’activity-based management, il better budgeting ecc., tutte hanno importanti aspetti positivi, ma l’enfasi deve essere posta sul cambiamento culturale. Infatti Fraser continua così: “Il Beyond Budgeting è un modello che sostituisce la burocrazia con la leadership, gli ordini impartiti dall’alto con l’empowerment, le strutture gerarchiche e accentrate con le reti di unità autonomamente gestite”. Realizzare questo nuovo modello richiede significativi cambiamenti a tutti i livelli per tutti i tipi di impresa. Si può dire, da questo punto di vista, che il Beyond Budgeting è la tecnologia per gestire il cambiamento secondo questo modello. Il cambiamento è stato la nostra vera sfida specialmente nei confronti dei responsabili finanziari con cui abbiamo iniziato il progetto alla fine degli anni Novanta. È però anche una grande op- 22 冷 Parte I. Pensare in modo relativo portunità per i top manager, gli imprenditori, i change manager che davvero vogliono indurre sostanziali cambiamenti nelle loro organizzazioni: “Un modello olistico al passo con i tempi”. Il Beyond Budgeting è articolato in dodici principi di gestione: i primi sei favoriscono una leadership basata sull’empowerment e quindi una gestione molto decentrata. Il secondo gruppo di sei principi descrive processi flessibili di gestione delle performance (Figura 1.3). La lettura di questa figura può farci concludere che molte cose che vi si leggono non appaiono altro che riflessioni dettate dal buon senso. È vero, ma se pensiamo che comunque la grande maggioranza delle aziende aderisce senza troppo questionare ai principi opposti (quelli della colonna “NON così!”), fare la scelta di adottare i principi del Beyond Budgeting non è per niente banale. Inoltre, non si tratta di un menu del quale si possa scegliere di adottare solo alcune proposte di Beyond Budgeting: si compra tutto il pacchetto, senza peraltro acquistare metodologie o software. Al contrario: i dodici principi mostrano un approccio coeso, organico e indivisibile che va ricordato incessantemente. Sosteniamo questo perché i risultati delle nostre ricerche dimostrano che solo quando un’azienda adotta e sa utilizzare tutti i dodici principi riesce a trasformarsi in un’impresa davvero adattiva e decentralizzata, efficiente nel creare valore, attenta ai valori etici e più competitiva della media nel lungo periodo. Il fatto che i dodici principi abbiano molti punti di contatto e siano un tutt’uno è la chiave per la vera comprensione del modello. Ragionare così può sembrare paradossale: il nuovo modello è, in principio, indivisibile. Non serve a niente scegliere i più simpatici tra i principi e provare solo con quelli; non possiamo sperare di cambiare metodo di gestione se non adottiamo congiuntamente i dodici principi: solo così possiamo attenderci risultati durevoli, con i dodici principi del Beyond Budgeting completamente applicati. In pratica serve una vera rivoluzione. Risulta difficile, tuttavia, soprattutto per grandi imprese di successo sul mercato da decenni, attuare una transizione dal modello taylorista al modello Beyond Budgeting, pretendendo di applicare subito tutti i principi. Il cambiamento richiederà sicuramente diversi anni: il sistema 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 23 FIGURA 1.3 I DODICI PRINCIPI DEL “BEYOND BUDGETING” Sei principi relativi alla leadership Principi Fare così! NON così! Clienti Concentrare gli sforzi di tutti per Rapporti verticali migliorare i risultati per i clienti, rapporti di potere “dall’esterno all’interno” Responsabilità Creare una rete di piccole squadre responsabili dei propri risultati Gerarchie centralizzate Prestazione Promuovere il successo come “vittoria di squadra”, rispetto al mercato Approccio contrattuale, focalizzato internamente Libertà di agire Dare ai team la libertà, la capacità e l'autorità di agire Rispetto di piani fissi Governance Basare la governance su obiettivi, valori e limiti chiari Norme dettagliate e budget rigidi Trasparenza Promuovere informazioni condivise e aperte per tutti Informazione ristretta, solo per chi deve sapere Sei principi relativi a processi adattabili di gestione Principi Fare così! NON così! Obiettivi Definire desiderata e mete flessibili in grado di promuovere miglioramenti relativi e continui Obiettivi fissati annualmente e incrementativi Ricompense Ricompensare il successo ottenuto come squadra, basato sulla prestazione relativa, valutato a posteriori Raggiungere obiettivi fissi, individuali Pianificazione Rendere la pianificazione un processo continuo e globale, concentrato sulle azioni Solo annualmente e top-down Controlli Basare i controlli sugli indicatori chiave rispetto al mercato, ai concorrenti e ai periodi precedenti Variazioni dal piano/budget Caratteristiche Rendere disponibili le risorse necessarie Dotazione di bilancio quando servono annuale Coordinamento Coordinare le interazioni in modo dinamico con meccanismi di “mercato” e di dialogo Cicli annuali di pianificazione 24 冷 Parte I. Pensare in modo relativo nuovo verrà conseguito attraverso un processo evolutivo (ecco il paradosso apparente). Come si rendono compatibili un proposito rivoluzionario e un processo evolutivo? Come si combina la massiccia trasformazione necessaria a formare un insieme coerente con le molte trasformazioni pratiche nei sistemi e nei comportamenti dei componenti di un’organizzazione? Si deve agire così: per ottenere una trasformazione profonda serve un grande cambiamento nel modo di pensare e contemporaneamente nel modo di agire. Sono due dimensioni interdipendenti del progetto. Sia il Beyond Budgeting sia il taylorismo inizialmente rivoluzionano il pensiero dei membri di un’organizzazione e successivamente stimolano un’evoluzione dell’azione attraverso tanti piccoli passi e comportamenti che cambiano profondamente. Vale la pena a questo proposito analizzare da vicino l’esempio paradigmatico di Handelsbanken, dove il Beyond Budgeting applicato in toto ha consentito di creare una banca universale veramente efficiente e decentrata. LA STORIA DI UN PIONIERE: HANDELSBANKEN Questa è la prima azienda in cui i direttori del Beyond Budgeting Round Table hanno trovato un modello di gestione post-taylorista totalmente coerente già alla fine degli anni Novanta. Svenska Handelsbanken, oggi Handelsbanken, è una banca universale fondata nel 1871 che fattura oggi 2 miliardi di dollari all’anno, dà lavoro a 9.500 persone e opera con più di 600 unità di business (centri di profitto). I Paesi nei quali la banca opera sono tutti quelli scandinavi, oltre a Inghilterra, Polonia e Germania. Nel corso degli ultimi trent’anni, in conseguenza alla radicale trasformazione attuata già dal 1971, Handelsbanken si è sempre collocata alle prime posizioni in termini di efficienza nella gestione dei costi con un rapporto costi/fatturato del 45% contro una media del 60% dei suoi principali concorrenti internazionali. Questi migliori risultati rispetto alla concorrenza sono veri anche per altri indicatori: soddisfazione della clientela, redditività del patrimonio (ROE), utili per azione, per citarne alcuni. Han- 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 25 FIGURA 1.4 DAL VECCHIO AL NUOVO MODELLO Modello tradizionale Burocratico-gerarchico Statico, focalizzato sul controllo Rapporti di potere Obiettivi rigidi di prestazione assoluta Modello “nuovo” Decentramento/empowerment Robusto e dinamico Rapporti di creazione di valore Obiettivi di prestazione relativi Gerarchia centralizzata “comando e controllo” Rete centralizzata “sentire e rispondere” (keep on track) Processi fissi, annuali Strategia Obiettivi rigidi (formalizzati) di performance assoluta Cambiamento rivoluzionario di • principi di leadership • principi di gestione delle prestazioni • contratti di prestazione • valori • sistemi • cultura ... Processi dinamici, continui Impegno rispetto a performance relative Coordinamento dinamico Controllo delsbanken è leader di redditività con due sole eccezioni, una seconda e una terza posizione. Pure nel rating Handelsbanken batte i suoi concorrenti internazionali (Figura 1.4). In Handelsbanken non ci sono impegni fissi di prestazione, al contrario si punta a continui confronti sia interni sia esterni agevolati dalla totale disponibilità di informazioni e da un processo 26 冷 Parte I. Pensare in modo relativo decisionale molto decentrato. Più del 50% dei dipendenti ha una qualche autonomia decisionale rispetto alla concessione di credito; la sede centrale, composta da 500 dipendenti, è molto snella. Ci troviamo di fronte a tre soli livelli gerarchici: il presidente, i direttori regionali e i responsabili di filiale. All’inizio degli anni Settanta Handelsbanken viveva una difficile situazione: scarsa redditività, molta burocrazia e problemi col fisco svedese. Il presidente Jan Wallander, divenuto chairman per il periodo 1978-1991, aveva già sperimentato un processo di delega verso chi aveva contatti più diretti con la clientela in una piccola banca regionale. Divenuto CEO applicò questa esperienza a tutto il gruppo. Il risultato fu la nascita di un modello totalmente diverso da quelli in essere all’epoca. “L’idea base – dice Wallander – è il decentramento del processo decisionale. Secondo questo approccio rimane comunque complicato liberarsi dei budget, ma è solo una delle implicazioni del nuovo modello”. Per ottenere un vero decentramento decisionale, Wallander trasformò completamente l’intera organizzazione. Fin dall’inizio eliminò “la sovrastruttura burocratica” (parole sue) per poter dare autonomia a chi non lavorava nella sede centrale. Tra le misure adottate ci fu la completa abolizione degli obiettivi e dei budget fissi. Le divisioni furono abolite. Le funzioni organizzative centrali o furono abolite, o ridotte ai minimi termini o trasferite alle banche regionali. Wallander comprese che gli obiettivi fissi generano comportamenti irrazionali e dipendenza delle unità organizzative locali dal centro. Secondo lui “tutte le persone della banca tendevano a subordinare gli obiettivi di business ai risultati predefiniti, anche a costo di manipolare i dati”. I dirigenti facevano di tutto per raggiungere gli obiettivi predefiniti anche a costo di destabilizzare importanti processi di business e deteriorare le relazioni con i clienti. Nella nuova organizzazione di Handelsbanken, collocare l’interesse del cliente prima di quello della banca divenne una pratica essenziale e un fattore di orgoglio per la banca. L’obiettivo della banca diventò il conseguimento di una duratura redditività superiore alla media e non il conseguimento di vo- 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 27 lumi di vendite e di fatturati; obiettivi questi ultimi che, in alcuni casi, si smise di rilevare. Handelsbanken abbandonò l’obiettivo di essere la più grande banca del Paese per puntare a essere la più efficiente. Quindi l’obiettivo diventò, ed è tuttora, l’ottenimento del ROE più alto (attraverso leadership di costo e di qualità) della media dei concorrenti del segmento di mercato di riferimento. Rispetto a questo obiettivo la prassi Handelsbanken non cambia da trent’anni. Wallander e la sua équipe hanno sviluppato un modello di gestione molto semplice, di facile comprensione, privo di obiettivi rigidi e di pianificazione annuale. Le persone sviluppano l’abitudine a lavorare orientandosi con misurazioni relative comparate con quelle esterne. Il successo quindi non è più costituito dal riuscire a realizzare quanto previsto da un’arbitraria pianificazione, bensì dal miglioramento di pochi indicatori. Quindi a partire da allora si cominciò a confrontare Handelsbanken con i suoi concorrenti diretti attraverso alcune “tabelle di confronto” (graduatorie). Si tratta di classifiche come quelle di un campionato sportivo, nelle quali le banche regionali si confrontano costantemente e lo stesso accade tra le filiali. In altre parole, tutti gli obiettivi, le valutazioni dei risultati e delle prestazioni diventano quelli relativi alla competizione interna ed esterna e al miglioramento continuo. Il sistema basato sulle “classifiche” ha dimostrato grandi potenziali di autoregolazione; lungo i decenni ha richiesto solo piccole modifiche e, soprattutto, non implica aggiustamenti e negoziazioni infrannuali. Lennart Francke, ex CFO della banca, così spiega il modello: “La maggior parte dei manager quando immagina obiettivi pensa a dati su cui si sia trovato un accordo e che diventano mete obbligatorie per la fine dell’anno. Noi non lavoriamo così. Utilizziamo gli obiettivi per stimolare particolari miglioramenti nelle prestazioni. Ci concentriamo solo su rilevazioni semplici che non mettono pressione al gruppo. Tutto il contesto è quindi caratterizzato da relativismo. I dirigenti e tutto il personale non sanno che numero devono raggiungere perché, semplicemente, questo numero non esiste. Ecco perché riusciamo a evitare le faticose negoziazioni e i comportamenti irrazionali di fine anno volti a ‘far torna- 28 冷 Parte I. Pensare in modo relativo re i conti’. L’impegno principale di tutti è quello di non essere superati dai colleghi; ciò induce automaticamente un continuo sforzo volto al miglioramento costante”. Contemporaneamente sono stati eliminati tutti gli ostacoli posti alla generazione di valore da rigide procedure e controlli troppo gerarchici. Per lo stesso motivo furono aboliti tutti i processi di definizione di obiettivi di vendita, gli incentivi, la pianificazione rigida ed eccessivi staff centrali. Nel breve volgere di pochi anni la banca abbandonò l’organizzazione funzionale e la struttura divisionale per orientarsi verso la creazione di centri di profitto autogestiti con chiare relazioni con i clienti e responsabilità diretta per i risultati di queste relazioni. Questa rete di centri di profitto riguarda tutte le 600 filiali, le banche regionali giuridicamente indipendenti e le funzioni centrali di fornitura di servizi (risorse umane, amministrazione, controllo, tecnologie informatiche, gestione del rischio e altre). Il punto centrale non è la sede, ma la rete di filiali la cui autonomia è continuamente aumentata a partire dagli anni Settanta. Conseguentemente lo status delle filiali di Handelsbanken e il prestigio collegato sono maggiori di quelli delle altre istituzioni finanziarie: un cambiamento culturale necessario per sostenere il tipo di cambiamento indotto. Nel caso Handelsbanken, il decentramento radicale significò anche il divieto per il dipartimento centrale di marketing di emettere istruzioni e ordini e di obbligare a vendere determinati prodotti. Il focus diventò la redditività dei clienti e non dei prodotti, per i quali questo indicatore non viene nemmeno più preso in considerazione. In sede, in Handelsbanken, non ci sono i responsabili di prodotto bensì “le imprese-prodotto” che sono pagate dalle banche regionali e dalle filiali sia per i servizi forniti sia per lo sviluppo dei prodotti. Dei prodotti non sono importanti né gli obiettivi di vendita né le quote di ognuno, bensì il gradimento da parte dei clienti. La modalità di lavoro delle funzioni centrali è la fornitura di servizi alle reti di filiali sulla base delle loro necessità, per i quali la funzione fornitrice riceve un compenso a copertura dei costi. Questo modo di fare induce tutta l’organizzazione a occuparsi più dei clienti che dei superiori. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 29 L’obiettivo economico delle funzioni centrali è il raggiungimento del break-even. Per gestire tutte le transizioni fra il centro e la periferia sono stati definiti più di 2.000 prezzi di trasferimento negoziati trimestralmente o annualmente tra clienti interni e fornitori interni; praticamente non ci sono costi non specificamente addebitati alle banche. Non è mai previsto l’ottenimento di un utile dalla fornitura dei servizi centrali; il mercato interno di tutte le transazioni è gestito dal dipartimento finanza e controllo che coordina i flussi verificando il funzionamento del “mercato” e le oscillazioni della domanda. Sempre Lennart Francke afferma: “Nella nostra azienda i clienti interni fanno i loro calcoli per raggiungere il successo e di questo si devono preoccupare. Si comportano dunque come compratori di servizi con ampia autonomia. Quindi, se una filiale non vuole comprare alcuni prodotti o servizi della sede, può comperare all’esterno oppure rinunciarvi visto che è la diretta responsabile della redditività”. Questo sistema di gestione di Handelsbanken crea oggi un livello molto basso di perdite sui crediti, accompagnato a un basso rischio che si riflette in un eccellente rating. Con ogni probabilità ciò deriva dalla decisione di lasciare la responsabilità della concessione del credito alle filiali che sono l’interfaccia dei clienti: questo modello genera risultati superiori alla media a partire dagli anni Settanta, incluso il periodo della crisi bancaria degli anni Novanta. Jan Wallander chiarisce che per la sua azienda è molto più importante capire e gestire il presente che tentare di prevedere il futuro. Si è totalmente liberata di ogni sistema centrale, integrato e formale di pianificazione. Non c’è un piano strategico formale di gruppo: ne esistono a livello locale. “Le filiali rilevano per iscritto tutto ciò che fanno e ciò che pensano di fare e distribuiscono i compiti tra i dipendenti. Ma ciò non significa né che esiste un processo di pianificazione né che ci si debba torturare per inventare cifre relative a obiettivi fissi”, afferma Lennart Francke. Tutti i funzionari hanno la libertà di elaborare ipotesi di andamento futuro, ma non esiste un forecasting aziendale integrato. Aggiunge sempre Francke: “Ci interessa maggiormente assicura- 30 冷 Parte I. Pensare in modo relativo re flessibilità e capacità decisionale in ogni situazione piuttosto che sprecare tempo in previsioni di lungo termine”. Internamente la banca usa pochi indicatori chiave: quelli ritenuti di grande importanza per il gruppo sono venticinque in tutto; per i centri di investimento e di profitto (cioè le banche regionali e le filiali) sono sì previsti il ROE e il rapporto costi/ricavi, ma anche tassi di acquisizione e di perdita di clienti, volumi di transizioni, indici di produttività, ammontare di sconti concessi, redditività per cliente, soddisfazione del cliente, utile per addetto. I prestatori di servizio (le funzioni centrali) utilizzano indicatori di prestazione, di costo/ricavo e di costo pro capite; inoltre si eseguono sistematici benchmarking con l’esterno. Nessun indicatore subisce pressioni gerarchiche al momento della sua definizione. L’obiettivo che si ricerca con la loro determinazione è la trasparenza dell’informazione per tutti perché serva da sfida per le équipe che ci lavorano. La competizione sportiva tra gruppi di pari livello è stimolata perché favorisce il coordinamento e sviluppa la leadership. Sono però stabilite regole per evitare la competizione tra équipe: ogni cliente è associato a un’unica filiale per evitare dannose competizioni interne. Inoltre l’esistenza di un meccanismo di partecipazione agli utili di lungo periodo ricorda a tutti che i concorrenti sono le altre banche e non i colleghi: tutti i dipendenti partecipano in egual misura a questa distribuzione di risultati senza riguardo alla posizione organizzativa occupata. La partecipazione agli utili non è pagata in denaro, ma sotto forma di partecipazione a una fondazione che agisce da fondo di investimento e sviluppa piani pensionistici; questa fondazione, creata nel 1972, che si chiama Oktogonen, detiene il 10% delle azioni ed è quindi uno dei soci più importanti di Handelsbanken. E questo è l’unico tipo di retribuzione variabile esistente. Siamo inoltre di fronte a un alto grado di soddisfazione dei funzionari che lavorano in banca e a un basso indice di rotazione degli organici. In media i dipendenti restano tali per decenni; questo comportamento è stimolato anche da specifiche politiche di sviluppo interno della leadership e di reclutamento solo 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 冷 31 interno (dai capi filiale) per le posizioni top nelle banche regionali e in sede. Un’azienda fortemente decentrata richiede un sistema molto efficace di supervisione e di controllo finanziario, oltre che della politica di concessione del credito: un sistema valido per tutto il gruppo. Siamo di fronte a un sistema unico di gestione di tutte le transazioni e della contabilità molto solido, accanto al quale esiste la prassi di frequenti riunioni tra dirigenti che servono più per verificare la sintonia nei comportamenti che per decidere. La sede è solo un aiuto che non è necessario richiedere. Le filiali hanno perciò il diritto di non ricorrere all’aiuto né delle banche regionali né delle soluzioni adottate in sede. Nel lungo periodo dovranno dimostrare di essere di successo rispetto al mercato. Lo staff di Handelsbanken non lavora incessantemente al miglioramento delle proprie prestazioni perché spinto da obiettivi e guadagni personali. Il sistema spinge a migliorarsi appellandosi al senso di valorizzazione individuale e al riconoscimento dei colleghi nel raggiungimento di un buon risultato globale. L’esempio illustrato mostra che è possibile gestire in modo pesantemente decentrato per un periodo lungo (più di 35 anni), attraverso varie generazioni di funzionari e dirigenti, senza che il “grande capo” eserciti un’influenza determinante sui comportamenti dei collaboratori nei confronti dei concorrenti. Nei momenti di crisi, caratterizzati da mercati variabili e clienti sempre più esigenti, il modello Handelsbanken si dimostra senza dubbio più valido del modello taylorista, quest’ultimo molto più adatto ai tempi di vacche grasse.