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s p o r t 19
Venerdì
8 Aprile 2016
Formula 1. Qualifiche, dietrofront
Doping. Ct atletica svedese accusa Ibrahimovic
Vienna. Pioggia di palloni in casa
In Cina si tornerà al vecchio format
«Zlatan alla Juve si dopava, aumentò di 10 kg»
Il giudice ordina: «Spostate lo stadio»
desso è ufficiale: i team
e i piloti della Formula
1 l’hanno spuntata. Dopo la lettera che le scuderie hanno scritto a Bernie Ecclestone e al presidente della
Fia, Jean Todt, per fare marcia
indietro e tornare al formato
delle qualifiche usato fino allo
scorso anno, è arrivata la risposta affermativa dei vertici
del “circus”. Così, dal prossimo
econdo me Zlatan Ibrahimovic era dopato quando giocava nella Juventus».
Un’accusa pesantissima che arriva da
Ulf Karlsson, ex ct della nazionale svedese d’atletica leggera. «Zlatan ha messo su 10 chili in sei mesi nella Juventus, non è fisicamente possibile...», continua Karlsson che in Svezia è ritenuto un’autorità dello sport perché ha legato la sua
carriera agli anni d’oro dell’atletica svedese. È anche per questo che le sue parole stanno suscitando grande clamore e rimbalzano in tutto il mondo gettando ombre su “Zlatan il terribile”.
ose da fantacalcio, un campo di calcio, uno stadio costretto a cambiare posizione perché infastidisce l’erba del vicino. Questo il sunto della disputa tra un cittadino viennese e una società di calcio della capitale austriaca. Il contenzioso?
«Troppi palloni nel mio giardino,
basta cambiate posizione allo stadio». Questo l’appello di un cittadino esasperato dalla continua
GP della Cina a Shanghai, si
tornerà a utilizzare il format
2015 per la definizione della
griglia di partenza. Il format a
eliminazione diretta che non
ha mai fatto breccia neppure
nel cuore dei tifosi, viene dunque archiviato dopo appena
due Gp, quelli in Australia e
Bahrain, e già dal weekend del
17 aprile a Shanghai si farà ritorno alla vecchia formula.
A
«S
C
Zlatan Ibrahimovic, 34 anni
pioggia di palloni nel proprio giardino. Reclamo accolto visto che il
signore viennese ha ottenuto che
il campo di calcio che confina con
la casa subirà una «rotazione» di
90 gradi, in modo da allontare le
porte, quindi la traiettoria dei lanci, dalla sua proprietà. La Corte
municipale dei conti di Vienna, ha
così autorizzato l’operazione che
alla SV Essling, il nome del club,
costerà 900mila euro.
Storie di cuoio
MOROSINI
Il 14 aprile di quattro anni fa a Pescara
il centrocampista del Livorno moriva
per un arresto cardiaco. Ora un libro
di Vailati lo ricorda: «Mario, un esempio
di umiltà in un mondo di fenomeni»
MASSIMILIANO CASTELLANI
uando un calciatore
muore in campo, la storia
di cuoio non può che innalzarlo a eroe. Così, è diventato un piccolo eroe,
assolutamente esemplare, il centrocampista del
“Perugia dei miracoli” di
Ilario Castagner, Renato Curi: morto (durante un Perugia-Juventus), per arresto
cardiaco, il 30 ottobre 1977. Una morte
misteriosa, una delle tante del nostro
calcio quella di Curi quando aveva appena 24 anni.
Soltanto uno in meno di Piermario Morosini, centrocampista del Livorno, classe 1986, la cui fine, il 14 aprile 2012, venne trasmessa in diretta tv dallo stadio Adriatico di Pescara. Al 31’ di Pescara-Livorno, Morosini si accasciò a terra esanime davanti a un «pietrificato» Zdenek
Zeman, allenatore di quel Pescara del
“trio meraviglia”, Verratti-InsigneImmobile. I soccorsi sanitari scattarono
in maniera convulsa e infatti sono tuttora materia processuale (con tre medici accusati di omicidio colposo): Piermario verrà trasportato all’ospedale pescarese dove morirà alle 16.45 di quel triste pomeriggio di primavera. A referto:
decesso dovuto a una cardiomiopatia aritmiogena. Quattro anni dopo, questa
triste storia (ricordiamolo, ennesima
Q
“morte bianca” del pallone) la racconta
un suo amico d’infanzia, Beppe Vailati
(ex seminarista e scrittore alla sua prima
prova) in un libro - in uscita la prossima
settimana - che non è una biografia vera e propria di Piermario Morosini, ma
un atto d’amore verso il calcio di poesia
che un tempo in questo Paese germogliava spontaneo per la strada o nel campetto dell’oratorio. Beppe e Piermario,
«semplicemente Mario per gli amici, Pier
a Zingonia», sono stati avversari e compagni nella Polisportiva Monterosso, il
quartiere popolare di Bergamo dove Morosini era nato e cresciuto calcisticamente.
Un talento il suo che non poteva sfuggire agli occhi attenti degli osservatori della miglior “cantera” italiana, quella dell’Atalanta. Ragazzino, Mario entrò nel
prestigioso vivaio diretto dal “maestro”
Mino Favini, il quale gli trasmise la prima regola fondamentale, che ora è diventata anche il titolo del libro di Vailati: Mario, gioca semplice!. «Glie lo ripetevo sempre - dice Favini - . Lo ripeto ancora a tutti i ragazzi perché è difficile giocare facile a calcio e chi ci riesce ha più
probabilità di diventare un calciatore...».
Mario quell’insegnamento l’ha fatto subito suo, così come lo ha mandato immediatamente a memoria un altro compagno di squadra: il centrocampista azzurro del Milan Riccardo Montolivo.
«Morosini era un anno più giovane di
Fondazione Castelli.
l 24 febbraio 2006 sono stati dieci
anni dalla morte del piccolo “gladiatore” del Tor Sapienza, Giorgio
Castelli. Giorgio aveva 16 anni,
morì in campo come Piermario Morosini. Un arresto cardiocircolatorio,
davanti al suo gemello Alessio e al fratello maggiore Valerio, mentre il padre,
il dott. Vincenzo Castelli, al telefono disperatamente tentava di dare istruzioni per il massaggio cardiaco da praticargli. Da quella tragedia è originato
l’impegno ammirevole di un’intera famiglia che ha costituito la Fondazione
Giorgio Castelli. In dieci anni di volontariato in giro per il Lazio e non solo, la
Fondazione ha promosso corsi di formazione per l’addestramento nella rianimazione cardio-respiratoria riconosciuti dalla Federcalcio «Abbiamo appena realizzato un progetto di cardioprotezione per il personale del Vaticano addetto al Giubileo e fornito i defi-
I
Il torneo “più piccolo”
del mondo: 4 squadre,
Defence Force, Red Socks,
Rangers e Dynamos in lizza
per il titolo delle Isole
del 52° parallelo Sud
che nel 1982 furono teatro
di una guerra tra Inghilterra
e Argentina vinta
dalle truppe britanniche
noi, ma, poiché aveva un talento incredibile decisero di aggregarlo alla squadra dell’Atalanta dell’85. Da quel momento continuammo a giocare insieme,
a vederci al campo di Zingonia a condividere il quotidiano...», scrive Montolivo in prefazione al libro di Vailati. E il
quotidiano di Mario allora non era affatto facile, anzi. A quindici anni perse la
dersi, finire nel branco di quel “wild
kaos” curvarolo, nei giri dello spaccio di
droga o nelle orde bulliste di periferia
che don Ciano, «il suo secondo papà dopo la perdita dei genitori», ammoniva
dal suo pulpito di prete di strada, ricevendo in cambio scritte minacciose dipinte sui muri dall’oratorio, tipo: «La
morte è uguale per tutti, Ciano vattene».
Morosini ha difeso il suo “don” e saputo
dribblare tutto questo, portando dentro
di sè un dolore che forse nella corsa costante e generosa della sua breve vita da
mediano alla fine gli può avere indebolito il cuore e creato quel «vuoto» che lo faceva stare male.
«L’estate del 2011 io ero entrato da due anni in seminario racconta Beppe Vailati - e Mario venne a Pinarella di Cervia
dove don Chicco e don Ciano
organizzavano i campus per i
giovani dell’oratorio di Monterosso e di Santa Caterina.
Tutti i ragazzi rimasero affasciI soccorsi inutili praticati a Piermario Morosini nati dalla sua proverbiale semplicità. Era un professionista
del calcio, era ricco e famoso, ma Mario
operatori di pronto intervento formanon se la tirava mai, anzi in quell’occati alla “cultura dell’emergenza”. Giova
sione gli disse: “Nella vita si possono ragsempre ricordare che dopo i primi 4-6
giungere grandi risultati, senza per queminuti dall’arresto cardiaco un “laico”
sto avere la puzza sotto il naso”... Poi reformato e non necessariamente un sastammo da soli e mi confessò quel manitario, se è in grado di praticare il maslessere che gli faceva domandare contisaggio cardiaco può rianimare e salvanuamente: “Che cos’è questo vuoto? Core l’atleta fino al 60% dei casi, come ci
sa mi manca?”». Il vuoto era quello di udicono dati americani».
na famiglia disintegrata dalla malattia e
Massimiliano Castellani
da un destino avverso che lui sembrava
© RIPRODUZIONE RISERVATA
mamma, Camilla. Poi fu la volta del padre, Aldo. In casa restarono i due fratelli, entrambi disabili, Franci e Maria Carla. Ma il primo, il Franci, suo grande tifoso («si presentava sempre all’oratorio del
Monterosso con la bandiera in mano per
tifare il suo amato Mario») se ne andrà
un anno dopo papà Aldo gettandosi dal
balcone. Piermario avrebbe potuto per-
A Ferrara e Milano non è andata così,
e due ventenni non ce l’hanno fatta...».
Insomma passa il tempo, ma lo scenario rimane drammaticamente invariato.
«Poco è cambiato, magari si avverte un
po’ più di attenzione verso la problematica, ma poi alla resa dei conti la
proroga (del 20 gennaio) del decreto
Balduzzi - che sanciva la cardioprotezione degli impianti su scala nazionale - ha rimesso tutto preoccupantemente in gioco. Sembra sempre che
manchi la volontà di definire le regole
a livello istituzionale. E qui stiamo parlando di regole per la salvaguardia della salute e della vita delle persone, specie quelle più giovani che praticano
sport».
E pensare che spesso per salvare una
vita basterebbe un semplice defibrillatore...
«Serve il defibrillatore, ma soprattutto
quasi presagire. Mario continuava a correre su e giù per i campi di A e B (stagioni all’Udinese, Bologna, Vicenza, Reggina, Padova e Livorno) per superare e
smarcarsi soprattutto da quel vuoto e
dal senso di responsabilità per quell’ultimo brandello famigliare, Maria Carla.
«Della sorella di Piermario - racconta
Vailati - si prendono cura quelle donne
eccezionali che sono le suore delle Poverelle di Grumello». Forse l’ultimo pensiero in quel “soffio di vita” finale Morosini lo riservò proprio a quella sorella cara e indifesa. In un mondo come quello
del calcio dove un po’ tutti si sentono o
vorrebbero essere dei “fenomeni” Piermario Morosini in campo e fuori aveva
scelto la strada più impervia, quella del
vivere e giocare con semplicità. Il suo ultimo allenatore al Livorno, l’ex atalantino Armando Madonna, consegna a Vailati la figurina di Morosini che, grazie a
questo libro, si spera che rimarrà per
sempre stampata nella memoria collettiva: «L’immagine che molti giocatori
danno di sé quella del fighetto con i tatuaggi, i capelli tirati su e una donna diversa a settimana... Mario non era così.
Lui vestiva normale e andava sempre all’oratorio, a dare una mano a tutti».
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Beppe Vailati
MARIO, GIOCA SEMPLICE!
Io e Piermario Morosini
San Paolo. Pagine 144. Euro 12,50
Falkland, qui il football è un racconto di Soriano
SERGIO TACCONE
l football al 52° parallelo sud. Alle
Isole Falkland, arcipelago dell’Atlantico meridionale, ad est dell’Argentina, il campionato di calcio,
promosso dalla federazione calcistica
locale, vede impegnate quattro squadre che si affrontano quattro volte fra
di loro con partite di andata e ritorno.
A contendersi il titolo sono Defence
Force, Red Socks, Rangers e Dynamos.
Le Falkland, territorio d’oltremare del
Regno Unito, si trovano in mezzo all’Atlantico, all’estremità sud del continente americano. Quelle terre - le
Malvinas secondo la denominazione
spagnola - nel 1982 innescarono una
guerra lampo tra Inghilterra e Argentina: all’attacco del generale Galtieri
rispose “Lady Iron” Margaret Thatcher
che riuscì a scacciare i militari argen-
I
PICCOLO EROE ESEMPLARE. Piermario Morosini (1986-2012) con la maglia della Nazionale Under 21 con cui disputò 18 gare ufficiali
Dal 2006 mille morti in campo
brillatori per le Basiliche», informa il
dott. Castelli che con la Fondazione ha
portato oltre 360 defibrillatori nei campetti di periferia, come quelli in cui ha
giocato e battuto fino all’ultimo minuto il cuore di Giorgio.
Però dott. Castelli in questi dieci anni tragedie come quelle di suo figlio e
di Piermario Morosini continuano ad
accadere...
«Da un nostro censimento, dal 2006 al
novembre 2015, abbiamo registrato
1035 decessi nei vari ambiti sportivi
(calcio e calcetto 31% delle morti, ciclismo 26%, podismo 14% , tennis e
nuoto 3,4%). I dati sono ufficiosi, purtroppo le “morti bianche” degli atleti
sono molte di più. Solo a marzo ci sono stati due decessi per arresto cardiaco in altrettante maratone. A Brescia
e a Roma due atleti si sono salvati solo perché l’evento si è verificato nei
pressi del centro di pronto intervento.
La storia.
Il calcio
dei semplici
tini. Delle oltre settecento isole sono
due quelle abitate da poco meno di
tremila persone: la East e la West Falkland.
Il football resiste tra giorni contrassegnati da venti gelidi e pioggia incessante per gran parte dell’anno. A Port
Stanley, capitale delle Falkland, si atterra con un aereo militare dalla Gran
Bretagna o con volo civile collegato
con Santiago del Cile. La nazionale delle Falkland, guidata da Ian Betts, fa parte del blocco di selezioni non riconosciute dalla Fifa. Il capitano è Wayne
Clement, attaccante vecchia maniera,
un “centrofobal” abile nel gioco aereo.
Tre giocatori vantano esperienza nel
football inglese, sia pur a livello di campionati dilettantistici: Dan Biggs, Josh
Clayton e John Peck. Uno dei ricordi
più belli, per i tifosi della piccola selezione isolana, risale ai Giochi delle I-
ISOLANI
La selezione
di calcio
delle Isole
Falkland
che convoca
i migliori
calciatori
delle quattro
formazioni
in lizza
per il titolo
sole 2011. L’allora tecnico Richard
Franks, per non disertare una partita,
beneficiò di un ponte aereo della Raf
da Londra a Port Stanley. Il ct arrivò
nel rettangolo di gioco quasi alla fine
del primo tempo, con la sua squadra
sotto di due reti contro l’Isola di Wight. Dopo l’intervallo, i giocatori delle
Falkland sembrarono trasformati dai
consigli di Franks. In poco meno di
mezzora si concretizzò la rimonta grazie e al 90’ il portiere Chris Gilbert neutralizzò anche un rigore, salvando il 22 finale. Dato il forte vento, il guardialinee fu incaricato di tenere fermo il
pallone fino alla battuta del penalty. Al
momento del tiro, bastò un decimo di
secondo ad una folata di vento per
spostare leggermente la sfera e fare uscire un tiro fiacco che l’estremo difensore neutralizzò quasi imbarazzato. Storie che sembrano uscire dalla
penna di Osvaldo Soriano che alle
Malvinas dedicò il racconto autobiografico, L’autunno del ’53. Il grande
scrittore argentino affidava la soluzione del controllo delle Falkland ad una
partita di calcio tra bambini: gli inglesi si erano impegnati, qualora avessero perso, ad accettare che le isole si sarebbero chiamate Malvinas per sempre. I piccoli calciatori argentini, diretti verso l’arcipelago, si persero nel
deserto e la partita non si disputò. «Se
non ci fossimo persi nel deserto in
quell’autunno memorabile - conclude Soriano - forse non sarebbe successo quello che poi accadde nel
1982».
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