non - UN LIBRO TIRA L`ALTRO

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non - UN LIBRO TIRA L`ALTRO
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Playing with Fire
HQN Books
© 2006 Gena Showalter
Traduzione di Elena Rossi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
ebook ISBN 978-88-6183-555-9
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto,
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GENA
SHOWALTER
Paranormal Love
Ordinario – agg. [lat. ordinarius, d a ordo, ordine] 1: che è nell’ordine delle cose;
conforme all’ordine, alla regola; sin.: consueto, abituale, di routine; 2a: di qualità
scadente, dozzinale; 2b: comune, grossolano; 3: Belle Jamison.
Curriculum Vitae di Belle Jamison (prima stesura)
OBIETTIVI:
Trovare un lavoro stimolante con grandi possibilità di carriera e basse probabilità di
licenziamento
ESPERIENZE LAVORATIVE:
• Cinque anni come servizio ai tavoli alla Remmie’s Steak House
• Quattro anni e mezzo come cameriera all’Holiday Escape
• 18-29 maggio, addetta alla polvere nella libreria Harrison and Co.
• 2-29 giugno, assemblatrice di bambole alla catena di montaggio della Kimberly Dolls
(teste)
• 25 giugno - 3 luglio, donna delle pulizie alla drogheria Rizzo, corsia 5
• 19 luglio - 1 agosto, addetta alle composizioni floreali per funerali alla Hot House
Flowers
• 1-23 agosto, clown (libera professionista)
• 5-30 settembre, addetta agli asciugamani alla palestra Cutter’s Gym
• 18-31 ottobre, conducente di autobus per la Scuola Elementare Wisteria
• 3-9 novembre, responsabile di dadi e bulloni alla Donte Aeronautics
• 10-12 novembre, ritoccatrice di contachilometri al salone di auto usate Jumpin’ Jive
• 22 novembre - 22 dicembre, lavorante nel salone di bellezza Beauty and Beyond
• 14 dicembre - 5 febbraio, ausiliaria centralinista alla Cybernet Telemarketing
• Due mesi sabbatici di riflessione
• 6 aprile - oggi, cameriera al Caffè Utopia
STUDI:
• Diplomata alla Wisteria High School
• Capo cheerleader dei Fighting Trojans (Forza ragazzi!)
• Premiata per lo stile più personale nel vestire
• Una settimana in un salone di bellezza per animali
• Quattro settimane alla Scuola di Cosmesi LaVonda’s Divine
INTERESSI:
Lunghe camminate sulla spiaggia, tramonti, romanzi d’amore, fredde notti d’inverno, buste
paga, cene raffinate, shopping, sonnellini, biglietti della lotteria, uomini in kilt/uniforme/da
calendario, e massaggi
REFERENZE:
“Se non avete specifiche esigenze di presenza regolare, Miss Jamison è la candidata
perfetta per la vostra compagnia.”
– Mr. Ron Peaty, direttore del Caffè Utopia.
“La prego di dare un lavoro alla mia amica. Per favore.”
– Miss Sherridan Smith, amica del cuore.
1
Non è strano come una decisione apparentemente innocua possa cambiarti completamente
la vita? Per me quella decisione arrivò sotto forma di un maxi caffelatte al cacao.
Lasciate che vi spieghi.
La giornata era incominciata in modo abbastanza normale. Vale a dire che ero rotolata
giù dal letto con mezz’ora di ritardo, mi ero precipitata sotto la doccia e infilata di corsa la
divisa che erano tenuti a indossare tutti gli impiegati del Caffè Utopia: pantaloni neri e
camicia bianca. A differenza delle mie colleghe, io lasciavo aperti i primi tre bottoni della
camicia per mostrare il pizzo bianco del reggiseno push-up. Non scandalizzatevi. Alcuni
individui hanno una vera fissazione per le tette e hanno bisogno di un piccolo
incoraggiamento. E poi, guardando l’incavo tra i miei seni, quel pervertito del mio capo
non avrebbe notato che ero di nuovo in ritardo.
Forse mi avrebbe addirittura ringraziata per essermi presentata.
C’era qualcosa di male a contare sulle mie ragazze per tirarmi fuori dai guai? E anche
se fosse, credete che me ne sarebbe importato? Avevo ventiquattro anni, ero single e ci
tenevo a non perdere il posto.
Vedete, mio padre soffre di gravi problemi cardiaci e io sono quella che paga i suoi
conti, per non parlare della retta al Village on the Park, una casa di cura qui vicino. Mi
sarebbe piaciuto che vivesse con me (non che ci sia abbastanza spazio nel mio
monolocale), ma è meglio che stia là, dove ha un’assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro
e qualcuno controlla che prenda le medicine, cosa che tende a “dimenticare” quando è
lasciato a se stesso.
Inoltre, sostiene di non essere mai stato tanto felice. Le donne che incontra lì sono “volpi
argentate”, come le chiama lui, avide di attenzioni maschili. Potrei aggiungere che queste
volpi argentate costano più di prostitute d’alto bordo considerata la quantità di Viagra che
mio padre acquista dai suoi amici.
Ma io farei qualsiasi cosa per assicurargli la felicità, dopo che lui ha garantito la mia
per tutta l’infanzia. Così avevo un disperato bisogno di tenermi il posto di lavoro e ottenere
quello per cui mi sarei presentata una volta finito il turno.
Non posso arrivare in ritardo, non posso arrivare in ritardo, canticchiavo mentalmente
mentre cercavo le scarpe da tennis macchiate di caffè. Ci ho versato sopra più cappuccini
di quanti ne abbia serviti ai nostri clienti ricchi e snob, ed è inutile dire che ne ho serviti un
sacco.
«Aha! Vi ho trovate, piccole bastarde.» Quando mai le avevo messe nel frigo? Le calzai,
rabbrividendo mentre mi si congelavano le dita.
Intanto le lancette dell’orologio si mangiavano minuti preziosi.
Applicai velocemente fard, mascara e lucidalabbra. Se state pensando che il bisogno di
denaro mi spinga ad alzarmi fresca e lucida ogni mattina, vi sbagliate di grosso. Quel
giorno ero così distrutta che non mi sarei svegliata fresca e lucida nemmeno per un bel
mucchio di bigliettoni da cento. La notte prima avevo lavorato come barman a un addio al
nubilato fino alle tre del mattino. Proprio io che non so nemmeno che cosa sia l’alcol. Be’,
il Sex on the Beach sì, con il ragazzo giusto, si intende. Ancora ancora un Fuzzy Navel, ma
un Tom Collins non so proprio che cosa diavolo sia.
Naturalmente al colloquio mi ero spacciata per un’esperta e avevo mescolato qualsiasi
cosa mi capitasse sotto mano. Forse i miei drink non erano perfettamente calibrati, ma
certamente avevano prodotto il risultato voluto. Alla fine della serata, tutte le ragazze
sbronze giuravano di amare me e i miei intrugli spaventosi.
L’orologio batté le sei.
«Dannazione.» Mi sfregai gli occhi che bruciavano e subito dopo mi bloccai,
rendendomi conto che il mascara non era ancora asciutto. Fantastico. Probabilmente ora
avevo l’aspetto di un pugile a cui le avevano suonate. Mentre mi ripulivo il viso con una
salvietta umida, bagnai le mie piante stentate per risparmiare tempo. Che cosa ci voleva
per far prosperare quei piccoli mostriciattoli verdi?
Finalmente pronta a uscire, ripescai le chiavi dalla vasca dei pesci. Quanti drink avevo
bevuto la notte scorsa? Non ricordavo di aver lasciato cadere in acqua le chiavi. Se non
altro, la vaschetta era temporaneamente priva di pesci. Martin, il mio pesciolino tropicale,
aveva tirato le cuoia pochi giorni prima. Per cause naturali, giuro.
«Spero che tu stia marcendo nelle fogne» dissi, guardando la vaschetta. Non c’era posto
per lui in paradiso. Quella piccola carogna mi aveva sempre odiato e agitava le branchie
sbattendo contro il vetro ogni volta che entravo nella stanza. Me l’aveva regalato il mio
ultimo ragazzo, altrimenti detto Principe delle Tenebre. C’era qualcosa di male ad
augurarmi che il mio ex morisse con il pesce?
Ma in quel momento non avevo il tempo di fermarmi a riflettere sulla moralità di quel
desiderio. Dovevo andare. Vestiti? A posto. Scarpe? A posto. Chiavi? Ok. CV? Ok.
L’avevo infilato la sera prima nei pantaloni da lavoro, in previsione del colloquio. Puah!
Un altro lavoro di basso profilo. Se solo avessi potuto tornare a letto, rannicchiarmi sotto
le coperte e riprendere il mio sogno a luci rosse con Vin Diesel e un flacone di sciroppo al
cioccolato. Doppio gnam! Quella sua testa calva mi faceva impazzire.
Basta con i sogni a occhi aperti. Raggiunsi la porta d’ingresso proprio quando il
telefono si mise a squillare. Tornai in camera da letto con un sospiro. Probabilmente era il
mio capo, Ron, ma era meglio controllare. Una rapida occhiata al display mi disse che in
realtà si trattava di mio padre. Pur in ritardo com’ero, non pensai nemmeno per un attimo di
lasciare scattare la segreteria e sollevai il ricevitore. «Ciao, papà.»
«Ciao, bambolina. Che cosa stai facendo?»
«Sto andando al lavoro. Tutto bene?»
«Sì, tutto bene.» La sua voce profonda non mancava mai di confortarmi. «Tu lavori
troppo.»
«Ah, ma sai bene che il lavoro è tutta la mia vita» dissi in tono sincero. Mai e poi mai
avrei lasciato capire a quell’uomo generoso che non mi piaceva il mio lavoro. Si sarebbe
messo a cercarne uno lui, il vecchio orsacchiotto. Qualsiasi cosa pur di prendersi cura di
me. Non c’era da stupirsi che lo amassi tanto. «Non sono felice se non lavoro.»
«Proprio come tua madre, che riposi in pace. Non l’ho mai capita in questo.» Lo
immaginai mentre scuoteva la testa. «Non ti trattengo. È solo che stavo sfogliando dei
vecchi album di foto di quando eri piccola. So che sei venuta a trovarmi l’altro giorno, ma
volevo sentire la tua voce.»
Visto che dolce? «Adesso mi farai piangere. Ma sono contenta che tu abbia chiamato. Mi
manchi e anche a me fa piacere sentire la tua voce.»
«Siamo proprio una bella coppia di sentimentali...»
«David!» udì che lo chiamava una voce femminile.
«Oh, al diavolo!» disse mio padre. Rivolgendosi alla donna, borbottò: «Non ora, Mary.
Sono al telefono con la mia ragazza preferita».
«È vero o no che ieri sera hai baciato Janet in giardino?» domandò Mary in sottofondo.
«Diavolo» mormorò mio padre. Poi: «Oh, no. Temo che stia entrando nella mia stanza
con la sua sedia a rotelle. Avrei dovuto rifiutare l’invito di Janet a fare una passeggiata».
«Immagino di sì» commentai con una risata.
«Devo andare, adesso. Ti voglio bene, bambolina.»
«David!» chiamò ancora Mary, questa volta più vicina.
«Anch’io ti voglio bene, papà.»
Al termine della conversazione io rimasi a guardare l’apparecchio per un minuto intero,
con un sorriso sulle labbra. Scuotendo il capo, mi precipitai fuori dal minuscolo
appartamento dopo una breve occhiata di rimpianto alle spalle.
«Affrontiamo la giornata e facciamola finita» mormorai.
Fuori, il pallido mattino primaverile si rivelò fragrante di magnolie ma caldo in modo
opprimente, con l’aria appiccicosa per l’umidità. Dannazione. Mi ero dimenticata di
prendere un asciugamano per detergere il sudore. In pochi minuti avrei avuto i vestiti
incollati addosso. Oh, be’, ormai non potevo più farci niente.
Non volendo arrivare al lavoro affamata (affamata = intrattabile = licenziata), mi fermai
per una ciambella glassata lungo il tragitto verso la stazione degli autobus, e alla fine persi
la mia corsa. Dato che il motto di MARTA, la compagnia di trasporti di Atlanta, era “perdi
il bus e sei fottuto”, il ritardo mi costò altri venti minuti.
Quando raggiunsi l’Utopia, c’era una lunga coda serpeggiante e i clienti esprimevano a
voce alta il fastidio per l’attesa. Sbadigliai. Cielo, chiunque possa permettersi ogni giorno
una tazza di caffè da sei dollari non dovrebbe lamentarsi di nulla.
Ron, il mio capo, mi fulminò con un’occhiata appena mi vide. Raddrizzai le spalle,
tendendo la stoffa della camicia e regalandogli un sorriso che era come un gelato al
cioccolato affogato in panna montata e ciliegie. Hmm... la panna montata... ci sarebbe stata
bene nella mia fantasia con Vin Diesel.
Lo sguardo di Ron si posò sui miei seni. Impallidì, distolse il capo e piegò l’indice a
uncino, invitandomi ad avvicinarmi. Senza controllare che avessi visto, girò sui tacchi
dando per scontato che lo seguissi. Non prometteva niente di buono.
Inspirando a fondo l’aria satura di vaniglia e cannella, oltrepassai diversi uomini e
donne che usavano i tavolini come mini scrivanie, circondati da computer, fax e piccoli
distruggidocumenti. Entrai nell’ufficio angusto di Ron.
«Voleva vedermi, Mr. Pretty?»
«Peaty, e chiudi la porta» disse con voce inespressiva. Si lasciò cadere sulla sedia
nascondendo il pancione dietro la scrivania ingombra. I suoi occhi scuri non mi sfioravano
nemmeno.
Brutto segno.
Con i palmi sudati, feci come diceva. L’odore della polvere e di un dopobarba
nauseante mi assalì immediatamente le narici, cancellando ogni ricordo degli aromi della
caffetteria. Senza aspettare il suo invito, presi posto sull’unico sedile che restava nella
stanza, uno sgabello alto e scomodo che chiamavo il Perfido Sedile. Circondata su
entrambi i lati dagli archivi, mi sentivo in trappola.
Studiai Ron. Aveva le labbra sottili, che in quel momento erano ridotte a due linee
rosate nel volto rotondo. I capelli rossicci erano ritti, come se vi avesse passato più volte
le dita. Linee di tensione si irradiavano dagli occhi sotto le sopracciglia aggrottate.
Ron si era arrabbiato con me un sacco di volte nelle ultime settimane, ma non aveva mai
emanato tanto malumore né tanta lugubre determinazione. Conoscevo quello sguardo per
averlo visto in altri datori di lavoro poco prima che mi licenziassero.
Trattenni un sospiro. Non ero sempre stata una cattiva dipendente. Per quasi cinque anni
avevo lavorato come cameriera di giorno e come donna delle pulizie di sera. Avevo
guadagnato abbastanza per mantenermi e aiutare mio padre e avevo anche messo da parte
un piccolo gruzzolo, che avrei usato durante la mia pausa forzata, vale a dire nei due mesi
che mi ci erano voluti per trovare quel lavoro al caffè.
Perché non riuscivo più a nascondere la mia insofferenza come avevo fatto per tanti anni
e smettere di sabotare la mia unica fonte di reddito?
Anche se non volevo ammetterlo, conoscevo la risposta. Un mattino, svegliandomi, mi
ero resa conto che la vita mi scorreva accanto a una velocità impressionante mentre io le
arrancavo dietro. Da allora ero piena di insoddisfazione.
«Mi dispiace per qualsiasi cosa possa aver fatto» dissi mentre Ron apriva la bocca per
parlare.
«Sei in ritardo» grugnì. «Di nuovo.»
Il fatto che non replicai Grazie per aver affermato l’evidenza avrebbe dovuto farmi
guadagnare qualche punto. «Lo so e mi dispiace davvero.» Vedendo che la sua espressione
non si addolciva e che evitava ancora di guardarmi, sentii una stretta al cuore. «Ieri sera ho
fatto un lavoro extra fino alle prime ore del mattino e ho avuto problemi a svegliarmi.»
Lui fissò l’orologio appeso sul muro alle mie spalle e aggiustò la cravatta macchiata di
cioccolato. «Anche se non mi dispiace immaginarti a letto...»
Bastardo. Volgare. Mi veniva da vomitare. Te la sei cercata, Jamison. Che altro ti
aspettavi mettendo in mostra a quel modo le tette? Incurvai le spalle, colta da un bisogno
improvviso di nasconderle alla vista. Un momento, la bocca di Ron si stava muovendo.
Non aveva smesso di parlare.
«... questa non è una scusa sufficiente. Voglio dire, posso fare un’eccezione una volta,
due, ma abbiamo già avuto questa conversazione per ben sette volte. E lavori qui solo da
poche settimane.»
«Domani sarò puntuale, le do la mia parola. Non dormirò nemmeno, se necessario.»
Sembravo disperata come mi sentivo? Probabilmente sì. Dannazione. Odiavo che vedesse
la mia disperazione. Lo odiavo con tutte le mie forze. Più mi facevo vedere disperata, più
lui avrebbe tirato le briglie per farmi ballare come una scimmia ammaestrata.
Tamburellò la penna sul tavolo. «È quello che hai detto anche l’ultima volta. Questo è un
piccolo esercizio indipendente, Belle, e contiamo sul personale per offrire un servizio di
qualità che ci permetta di sopravvivere.»
«Io fornisco un servizio di qualità.» Deglutii, aggiungendo: «Quando ci sono».
Aggrottando la fronte, lui lasciò cadere la penna e si passò una mano tra i capelli, con il
risultato che qualche altra ciocca rimase ritta verso il soffitto. «Credi di essere gentile con
i clienti? Davvero?»
«Sì, davvero.» Sapevo quello che stava succedendo. Era sul punto di licenziarmi e stava
solo cercando di trovare il coraggio per dirlo. E questa volta, mi resi conto con terrore,
non sarei riuscita a dissuaderlo. Nelle conversazioni precedenti, a quel punto mi rimandava
al lavoro con un avvertimento severo (ma con un’allusione da pervertito).
La sua irritazione gli dava una determinazione sovrumana che nemmeno le parole più
dolci potevano scalfire?
Strinsi le mani a pugno. Non gli avrei permesso di liquidarmi così facilmente. In qualche
modo dovevo riuscire ad aprire una breccia in quella barriera di determinazione. Non
potevo perdere quel lavoro. Ultimamente erano in pochi a voler rischiare su di me, così
potevo solo immaginare quanto mi sarebbe costato trovare un altro impiego.
«Lavori idioti» borbottai.
«Che cosa?» domandò Ron, affilando lo sguardo.
L’avevo detto ad alta voce? «Oh, uh, niente.» Mi raddrizzai sullo sgabello. «Stava
dicendo?»
Sospirò. «Non ci sai fare con la gente, Belle. Invece di fare buon viso a cattivo gioco,
perdi subito la pazienza.»
«Le dico che sono una brava cameriera» insistetti a denti stretti. Non era una bugia.
Certo, arrivavo spesso in ritardo, dicevo sempre parolacce, a volte mi lagnavo e ogni tanto
– qui lo dico e qui lo nego – prendevo qualcosa in prestito dal magazzino. Ma lavoravo il
fine settimana, i giorni festivi e facevo gli straordinari ogni volta che potevo. Questo
doveva pur contare qualcosa.
«Non riesco a credere che mi obblighi a farlo.» Ron aprì un dossier e fece scorrere un
dito tozzo sulla prima pagina. «Lamentela: la cameriera è sgarbata e aggressiva.
Lamentela: la cameriera ha portato il tè invece del caffè. Lamentela: la cameriera è
scortese. Lamentela: la cameriera è scortese. Lamentela: la cameriera è scortese. Devo
continuare?».
«Non mi lascio mettere i piedi in testa dai clienti.» L’indignazione mi dava un senso di
spavalderia, così raddrizzai ancora di più le spalle. La gente non aveva niente di meglio da
fare che lamentarsi di una semplice cameriera? «Questo non significa che sia sgarbata, ma
solo umana.»
«Jenny non risponde male ai clienti, nemmeno quando alzano la voce.»
«Jenny è una ritardata mentale e una leccapiedi.»
Altro sospiro. «Belle...» Finalmente il suo sguardo si posò su di me e per abitudine
scivolò sulle tette. Il suo pomo d’Adamo andò su e giù come un surf a cavallo di un’onda
smisurata. «Ehm... cosa stavo dicendo?»
Sorrisi tra me, rilassando ogni muscolo. Ci ero riuscita. Ed era stato più facile del
previsto.
«Credo che mi stesse dicendo di tornare al lavoro e di non arrivare più in ritardo. Io
stavo per risponderle che è il miglior capo del mondo e che farò in modo che sia fiero di
me.»
«Sì, volevo dirti di andare...» Sgranò gli occhi e scosse il capo. «Non è questo che
volevo dire» si corresse con una nota stizzita nella voce. Ma chiuse gli occhi e si strinse
fra le dita il ponte del naso, mormorando qualcosa che suonava come Messo al tappeto da
un paio di tette. «Dovrei licenziarti, lo sai. Accidenti, è per questo che ti ho fatta venire
qui.»
«Lo so» ammisi a bassa voce. Non avrei voluto deluderlo così. Davvero. È solo che...
be’, avevo sempre sognato di essere una... Un momento. Increspai la fronte. Sin da piccola,
non ero mai stata capace di decidere che cosa volevo essere da grande. E ancora non lo
sapevo. Ma di sicuro essere imprigionata in una vita di debiti e di schiavitù senza fine non
era stata, e non era, una delle mie ambizioni.
Non fraintendetemi. Per mio padre venderei l’anima al diavolo. Firmerei qualsiasi
contratto senza alcuna condizione. Mio padre ha faticato come uno schiavo nell’edilizia,
anche quando il suo cuore lo faceva soffrire più di quanto dovrebbe sopportare un essere
umano. Lavorava così duramente perché mi amava, perché voleva che avessi bei vestiti e
mi divertissi con gli amici. Ma soprattutto perché voleva fare ammenda per l’incidente che
aveva ucciso mia madre quando a stento mi reggevo in piedi.
Dopo il diploma, l’avevo convinto a mollare e da allora ero stata felice di provvedere a
lui. Non lo rimpiangevo, davvero, ma la mia vita era diventata così monotona da
desiderare che mi accadesse qualcosa di straordinario. Qualcosa di stupefacente, magari
un po’ folle. Che cosa, non lo sapevo.
Sospirai. Inutile desiderare cose che non potevo avere. Da quel momento in poi, sarei
stata un’impiegata modello. Avrei lavorato ancora più sodo e sarei stata meno aggressiva.
Al diavolo l’insoddisfazione! Ron mi stava offrendo un’altra chance e io non l’avrei
deluso.
«Ti giuro, Belle, tu mantieni la mia ulcera in splendida forma» disse in tono cupo.
Allungò la mano verso il cassetto della scrivania, prese una confezione di pasticche e ne
mise diverse in bocca. «Perché non posso dire semplicemente sei licenziata? È così facile,
in teoria.» Fece un altro sospiro, questa volta un’esalazione così avvilita che incurvò le
spalle. «Questa è la tua ultima occasione. Se la getti all’aria...»
«Non lo farò. Lo giuro su Dio.» Non accennai al fatto che avevo bisogno di uscire
leggermente in anticipo se speravo di fare il colloquio all’Ambassador, un hotel lì vicino.
Avrei tirato fuori questa piccola chicca più tardi. Nel frattempo avrei raddoppiato il
numero di caffè serviti o qualcosa del genere per guadagnarmi l’uscita anticipata. «Saro
così brava che mi nominerà impiegata della settimana. Forse anche del mese.»
«Sì, bene.» Ingoiò ancora qualche pillola e mi fissò le tette. «Non riesco a credere di
averlo fatto. Adesso vai prima che cambi idea.»
Sorridendo, gli lanciai un bacio, saltai giù dallo sgabello e corsi alla porta. Grazie a
Dio ci sono i pervertiti.
Passai diverse ore comportandomi come un perfetto robot, sfoggiando un sorriso radioso
e accogliendo i clienti alla mia postazione come una concorrente di Miss America, tutto
sotto lo sguardo da falco di Ron. Una volta fui sul punto di rispondere male a una donna
che aveva avuto il coraggio di chiedermi se mi muovevo così lentamente con tutti o se era
lei a godere di quel servizio speciale.
Quel che è certo è che tu sei una rompiballe speciale, avrei voluto dirle. Ma non lo
feci. Mi trattenni da qualsiasi violenza verbale, consolata dal pensiero che una simile
strega avrebbe sicuramente avuto rughe molto profonde e avrebbe perso denti e capelli
prima di schiattare.
La mia amica Sherridan – in realtà l’unica amica che avevo, dato che non le importava
se non avevo tempo libero – avrebbe apprezzato il fatto che ero rimasta zitta invece di
lanciarmi in una caterva di insulti. Quando eravamo alle elementari, mi aveva detto che il
diavolo che stava sulla mia spalla destra doveva avere strangolato l’angelo che stava sulla
sinistra, distruggendo ogni buona influenza sul mio carattere.
Mi ero limitata ad appellarmi al quinto emendamento.
A proposito di Sherridan, entrò nel caffè pochi minuti dopo, mi vide e mi fece un cenno
con la mano mentre parlava al cellulare. Era alta e appariscente, con riccioli biondi e
curve che non finivano mai, curve che in quel momento erano inguainate in un completo
pantalone verde smeraldo. Avanzò verso di me, oltrepassando la linea d’attesa di fronte
alla mia postazione, e agganciò il cellulare alla cintura. «Ciao» mi salutò con un sorriso
caloroso.
«Ciao» risposi, tenendo lo sguardo fisso sulla cliente e fingendo di ascoltare il suo
ordine. Ero contenta quando Sherridan veniva a trovarmi al caffè. Tecnicamente le visite
venivano scoraggiate, ma ultimamente erano gli unici momenti che passavamo insieme. «Ti
trovo bene.»
«Grazie» disse soverchiando la voce della cliente. «Oggi devo accompagnare un cliente
a vedere una casa e voglio fare una buona impressione. Il che, tra l’altro, è solo uno dei
motivi per cui sono qui.» Batté le mani, eccitata. «Abbiamo un appuntamento.»
«Un appuntamento?» Erano passati mesi da quando non pronunciavo quella parola, tanto
che mi sembrava straniera. «Vuole una spruzzata di cannella sul caffè?» domandai alla
cliente.
«Con due gemelli» specificò Sherridan. «Due gemelli ricchi.»
«Sì» rispose la cliente a denti stretti.
Sherridan continuò imperterrita. «Credo di piacere al maggiore dei due» osservò con
una punta di incertezza.
«Oh, ne sono sicura» dissi. «Sei bella e intelligente.» Sherridan amava mostrarsi sicura
di sé, ma in fondo in fondo aveva bisogno di sentirsi rassicurata quando si trattava di
uomini. Aveva la tendenza a innamorarsi troppo in fretta, diventava terribilmente
dipendente e insicura e così li allontanava. «Purtroppo lavoro, stasera.»
Il sorriso di Sherridan vacillò un istante mentre socchiudeva gli occhi argentati con aria
sospettosa. «Non ti ho ancora detto...» Il suo telefono squillò. «... quando.»
«Possibilmente vorrei quel caffè entro oggi» intervenne la mia cliente, tamburellando le
dita sul banco.
«Non ha importanza il giorno.» Mi girai, presi un cartone di latte e ne versai la giusta
dose nell’apposito contenitore. «Lavoro sempre.»
Udii Sherridan che diceva alla sua assistente: «Leslie, non è il momento adatto. Sono in
riunione». Chiuse la comunicazione. «Belle, non puoi prendere un giorno di permesso?
Solo uno, ti prego.»
Un’ondata di desiderio mi pervase, ma rimasi in silenzio per diversi secondi, mentre il
latte bolliva con un sibilo. «Mi piacerebbe, Sher» ammisi, «ma più tardi ho un colloquio
per un secondo lavoro e se mi prendono lavorerò tutte le sere.»
«Oh, no. Non un altro lavoro» commentò con un gemito.
«Ehi, ragazza, arriva questo caffè ristretto? Sono di fretta e lei ci sta mettendo tutto il
giorno.»
Incontrai lo sguardo della cliente, i miei occhi nocciola contro i suoi marroni, la mia
impazienza contro la sua irritazione. Era una donna alta, abbronzata e tonica, quasi
muscolosa, con pelle coriacea e capelli castano scuro quanto i miei. Ma mentre i miei sono
lunghi e lisci (e mi piace pensare soffici), i suoi erano corti e crespi, come se avesse
lasciato i bigodini della permanente un migliaio d’anni di troppo.
Non mi chiamo né Ehi né ragazza, borbottai tra me. Ad alta voce, però, dissi: «È pronto
in un attimo, signore. Oops, mi scusi... signora».
Mi lanciò un’occhiataccia.
«Belle» mi richiamò Ron.
Strinsi i denti tanto da rischiare di ridurli in polvere e feci quel dannato caffè ristretto.
Intanto canticchiavo mentalmente: Mi comporterò bene, mi comporterò bene, mi
comporterò maledettamente bene. Se non altro Ron stava chiudendo un occhio sulla visita
di Sherridan.
«Bene, sarà meglio che me ne vada prima che la super permanentata vada in
escandescenze» disse Sherridan. Ignorando il broncio della mia cliente, si sporse a darmi
un bacio sulla guancia. «Chiamami se cambi idea a proposito dei gemelli. Hanno le
chiappe più interessanti che abbia mai visto e, se ne sposi uno, i tuoi problemi economici
saranno finiti.» Con questa notizia, se ne andò.
Servii il caffè alla super permanentata, ma non ottenni un grazie.
«Un maxi caffè dietetico alla vaniglia» ordinò la cliente successiva.
«Senza zucchero?»
Torse la bocca con espressione disgustata. «Ho detto dietetico, non amaro.»
Trascorse così un’altra ora impietosa. Avrei dovuto sbarazzarmi del grembiule e uscire
con Sherridan. Tra le altre cose che mi toccò sentire: «Questo non è quello che ho
ordinato»; «Ha toccato il bordo della tazzina con le dita; adesso mi rifaccia un caffè che
non sia contaminato»; «E questo sarebbe un espresso?».
Mi lamentai? Sputai nel caffè di qualcuno? No! Quel continuo autocontrollo però mi
costava; avevo un nodo allo stomaco, mi sentivo la pelle tirata intorno alle ossa e mi era
venuto un tic all’occhio sinistro. La schiena mi pulsava e mi dolevano i piedi, non perché
avessi lavorato troppo, ma perché non avevo ancora dato un calcio a qualcuno.
Se non venivo eletta impiegata della settimana dopo tutto questo... Decisi di fare una
pausa.
Dopo aver liquidato l’ultimo cliente, lanciai un’occhiata a Ron, che aveva smesso di
fissarmi per concentrare la sua attenzione su una donna che sembrava appena uscita da una
rivista vietata ai minori. Lei lo oltrepassò con il suo top rosso in fibra sintetica e gli short
che rivelavano più del paginone centrale di Penthouse – non che io abbia mai preso in
mano una di quelle riviste, intendiamoci. Ron si aggiustò la cintura. Feci schioccare le dita
per attirare la sua attenzione, ma il posteriore della donna l’aveva incantato.
La campanella sopra la porta suonò, segnalando l’arrivo di un altro gruppo di clienti.
Dai loro sguardi selvaggi era evidente che avevano un disperato bisogno della loro droga
mattutina. Se non agivo in fretta, sarei rimasta bloccata minimo per altri venti minuti e
ormai non avevo più un altro secondo di tolleranza.
Con una velocità che Superman mi avrebbe invidiato, incominciai a spegnere la
macchina.
«Che cosa stai facendo?» mi chiese Jenny, impiegata dell’anno o, come la chiamavo io,
Troia del Millennio. In quel momento la sua era l’unica macchina in funzione oltre alla
mia. Era una biondina piccola di statura, con tutte le curve al posto giusto, che attirava gli
sguardi maschili semplicemente respirando. Non aveva nascosto di odiarmi fin dal primo
giorno di lavoro, facendomi lo sgambetto ogni volta che le passavo davanti e servendomi
un caffè normale quando lo chiedevo decaffeinato.
Non sapevo perché mi odiasse e in realtà non me ne importava.
«Sei una tipa sveglia» dissi, grattandomi la fronte con il dito medio e mandandola
implicitamente a quel paese. «Indovina.» La udii ansimare d’indignazione mentre mi
avvicinavo a Ron e lo toccavo sulla spalla.
Lui sussultò e si portò una mano al cuore, voltandosi di scatto verso di me. «Gesù!»
«No, sono Belle.»
«Che cosa vuoi?» grugnì.
«Vorrei fare la mia prima pausa di quindici minuti. Se non ha niente in contrario, Mr.
Pretty» aggiunsi con voce dolce.
«Peaty.» Guardò l’orologio da polso. «Bene, fa’ pure.» Il suo sguardo tornò alla pinup
che si era chinata a raccogliere il tovagliolo che aveva accidentalmente fatto cadere, così
che gli short le erano calati fino a scoprire gran parte dei glutei.
Scuotendo il capo, misi insieme gli ingredienti necessari a... hmm. Che cosa volevo? Un
caffelatte al cacao, decisi in un lampo. Sembrava una buona idea. Se qualcuno se lo
meritava, ero io.
«Sei una sgualdrina» borbottò Jenny, avvicinandosi per prendere una bustina di tè.
«Tutta gelosia» replicai con voce allegra. Versai nella mia tazza il cacao in polvere e un
doppio espresso, poi la riempii di latte senza schiuma. «Se la smettessi di sbocconcellare
muffin, bignè e fette di torta, ti saresti resa conto che qualcuno aveva diritto a una pausa.»
«Per tua informazione ho la glicemia bassa. Perciò devo mangiare.»
«Giusto. Ti credo e non penso affatto che te la stai raccontando.»
«Sai che cosa ti dico? Pagheresti per essere come me.»
«Non so che cosa ti faccia pensare che sarei disposta ad abbassare i miei standard, ma ti
assicuro che non vorrei una briciola di te. A proposito, hai un pezzo di ciambella fra i
denti.» Completato il caffelatte, mi sedetti a un tavolino libero. Mentre sorseggiavo la
deliziosa bevanda calda, preparata alla perfezione, guardai fuori dalla vetrina e sorrisi.
Ah, il mio piccolo interludio con Jenny mi aveva sollevato lo spirito, allentando la
tensione accumulata a forza di essere gentile.
Di fronte alla caffetteria si innalzava un elegante edificio di arenaria ben tenuto, con
infissi in alluminio e vetri fumé. Le siepi che lo circondavano erano potate da mano
esperta; fiori rosa, rossi e gialli sbocciavano al sole primaverile.
Ma non c’era alcuna insegna sulla facciata. Di tanto in tanto vedevo un’auto o due nel
parcheggio, come ora, per cui sapevo che ci lavorava qualcuno, ma non ero mai stata in
grado di scoprire che tipo di ufficio fosse e non avevo mai visto entrare o uscire un solo
impiegato.
Quel posto mi aveva sempre incuriosito. Avevo pensato di introdurmi furtivamente una
notte e spiare all’interno, ma di solito mi addormentavo prima di trovare la forza di
lasciare il mio appartamento. Forse era un...
Battei le palpebre. Cosa diavolo...? Un uomo alto e magro, con un camice da
laboratorio, era uscito di gran fretta dall’edificio di fronte, con gli occhi spiritati e il
riporto di capelli bianchi che sventolava alla brezza. Un attimo prima non c’era e
improvvisamente era lì. Mi raddrizzai all’istante e il movimento fece traboccare del latte
prezioso oltre il bordo della tazza. Battei ancora le palpebre, come se quel gesto potesse
spronare il mio cervello a intuire perché l’uomo stesse correndo.
Lo vidi sfrecciare attraverso la strada, incurante dei clacson e delle sterzate dei veicoli
che cercavano di evitarlo. Due auto si tamponarono. Persino dal mio posto udii lo stridio
delle frenate e lo schianto metallico.
Sgranai gli occhi mentre due individui massicci dall’aria minacciosa balzavano fuori
dall’edificio all’inseguimento dell’uomo che aveva appena provocato l’incidente e che ora
si stava fiondando all’interno del caffè come se ne andasse della sua vita.
La campanella suonò e io scattai in piedi, rovesciando il latte. Posai la tazza sul tavolo e
fissai l’uomo. Volto pallido, lineamenti tesi, respiro affannoso, scrutava il locale con
sguardo spaventato. Mi oltrepassò, poi tornò rapidamente indietro e i nostri occhi si
incontrarono.
«Sta bene?» gridai, alzando la voce per superare le chiacchiere che ci circondavano.
«La prego, mi aiuti» balbettò e scattò verso di me scostando a gomitate la gente. «Non
dovevano scoprirlo. Non dovevano darmi la caccia.»
Qualcuno ansimò e qualcun altro gli gridò seccato: «Attento!».
Quando mi ebbe raggiunta, mi afferrò per un braccio. Il sudore gli colava dalla fronte e i
suoi occhi dilatati erano terrorizzati. «Deve aiutarmi» disse, ansimando. «Vogliono
uccidermi.»
Mi sentii gelare il sangue mentre un brivido caldo mi risaliva lungo la spina dorsale
«Resti qui» dissi. «No, si nasconda. No. Oh, Dio, faccia quello che vuole mentre chiamo la
polizia.» Mi strinse il braccio, ma io mi liberai, gridando alla gente che mi stava intorno:
«Qualcuno ha un cellulare?». Avevo rinunciato al mio come a un lusso che non potevo più
permettermi. «Nessuno?» Mi aggirai fra i tavoli, ma tutti evitavano di proposito il mio
sguardo. «Non vi esaurirò il credito, giuro. Si tratta di un’emergenza.»
«Voglio parlare con il direttore» disse qualcuno che sospettavo volesse lamentarsi per
quello che stava succedendo e farsi rimborsare.
Mi precipitai nell’ufficio di Ron e afferrai il telefono. Il centralino della polizia rispose
dopo solo due squilli e io spiegai quello che era successo. «Un uomo inseguito si è
rifugiato nel Caffè Utopia. Sostiene che qualcuno vuole ucciderlo.» Mentre parlavo, una
donna gridò in sottofondo e un uomo grugnì.
«Sta arrivando una pattuglia» disse il centralinista.
Con il cuore che mi martellava nel petto, ignorai la sua richiesta di rimanere in linea e
lasciai cadere il ricevitore. Tornai di corsa in sala e mi bloccai di colpo. Ero stata via solo
pochi secondi, eppure sembrava che un tornado si fosse abbattuto sul locale. I tavolini
erano ribaltati, le sedie erano state scaraventate in tutte le direzioni. Il caffè scorreva sul
pavimento come un fiume nero nel quale galleggiavano tazzine di carta e tovaglioli.
Tremanti e impauriti, clienti e impiegati si erano rannicchiati in un angolo. Solo Ron
sembrava imperturbato e approfittava della situazione per stringere tra le braccia Jenny.
L’uomo in camice era sparito. Si era nascosto?
I due che gli davano la caccia stavano cercando di calmare la gente. Un terzo uomo, che
non avevo visto uscire dall’edificio, si era messo alla porta per impedire a chiunque di
entrare o di uscire. Era giovane, probabilmente sui trentacinque, alto e muscoloso, con
capelli biondi e un viso da fare invidia a qualsiasi modello. Perfetto in ogni particolare,
sarebbe valso una follia. Osservava il corso degli eventi come se registrasse mentalmente
ogni dettaglio.
«Tutti seduti» ordinò in tono risoluto. «Mettetevi comodi. Ne avremo per un po’.»
«Che cosa sta succedendo?» domandai, dato che nessun altro aveva aperto bocca. «Chi è
lei?» Forse non avrei dovuto attirare l’attenzione su di me, ma non ero disposta a obbedire
ciecamente, magari incamminandomi verso la morte.
«CIA.» Aggrottò la fronte ed esibì una specie di distintivo. «Adesso siediti.»
CIA? Aprii e richiusi più volte la bocca come un pesce che boccheggia in cerca d’aria.
Naturalmente avevo visto agenti della CIA in tv, ma mai nella realtà. Qualcosa dentro di
me, però, mi gridava di non fidarmi. La voce di Camice Bianco continuava a risuonarmi
nella mente. Vogliono uccidermi!
Ma... e se fosse stato un malvagio che era necessario eliminare? Oppure il Ragazzo
Carino stava mentendo e Camice Bianco era dalla parte dei buoni? E se mi fossi fatta
scoppiare un aneurisma a furia di pormi tutte quelle domande?
Rifletti, Jamison, rifletti. Siediti. No, scappa. Sì, è questo che dovrei fare. No, no, non
posso scappare. Mentre cambiavo continuamente idea, il mio piede destro si muoveva
avanti e indietro e il sinistro restava fermo. Dannazione! Se facevo la scelta sbagliata,
c’erano buone probabilità che i titoli sui giornali del giorno dopo avrebbero detto:
Giovane idiota trovata morta. L’amica della vittima dichiara: “Se Belle avesse preso un
giorno di permesso, come le avevo chiesto, sarebbe ancora viva”.
Socchiusi gli occhi. «Che cosa è successo al tipo con il camice da laboratorio?»
Il Ragazzo Carino incrociò le braccia sul petto e mi freddò con uno sguardo scuro, quasi
ipnotico. «Non sono affari tuoi. E adesso» disse, rivolgendosi a tutta la stanza, «io farò le
domande e voi risponderete.»
Quegli occhi... erano intensi, autoritari, un po’ terrificanti. «Ho appena chiamato la
polizia» sbottai. «Se ci fate del male, finirete in prigione e diventerete i cocchi di qualche
bruto.»
Lanciò uno sguardo verso uno degli inseguitori di Camice Bianco, ora nostro carceriere.
Era una bestia d’uomo, con una folta barba nera (erano piselli quelli che aveva tra i peli?)
e più muscoli di quanto ne avesse Schwarzenegger in piena forma. «Occupatene tu.»
Occuparsi di cosa? Parlava a voce troppo bassa perché udissi quello che diceva. Nel
frattempo l’altra guardia aveva costretto tutti a sedersi. Cioè, tutti tranne me. Forse avevo
un’aria minacciosa e non osavano affrontarmi. Be’, era pur sempre una possibilità.
Tuttavia, non capivo perché se ne restavano lì invece di inseguire Camice Bianco.
Oppure l’avevano catturato e trascinato fuori mentre ero al telefono? Ma se l’avevano già
preso, perché interrogarci?
«Quell’uomo è un pericoloso criminale» mi informò il Ragazzo Carino. Doveva essersi
reso conto che altrimenti non avrei collaborato. «È nel vostro interesse aiutarci.»
Un pericoloso criminale: ecco le parole magiche per farmi capitolare. «Bene» dissi
controvoglia, decidendo di concedergli il beneficio del dubbio. Dopotutto mi aveva
mostrato un distintivo. «Ma se qualcuno mi punta contro un’arma, lo sistemo io.»
«Prendo nota» replicò lui in tono asciutto, per niente impressionato.
Grazie al cielo, il tavolo dov’ero seduta prima era rimasto in piedi e il caffelatte era
ancora sul ripiano. Mi lasciai cadere sulla sedia e portai la tazza alle labbra. Caldo e
dolce, più dolce di quanto non fosse prima, dato che la cioccolata si era condensata. Hmm.
Continuai a sorseggiare, traendone conforto.
Il Ragazzo Carino ci interrogò uno per volta, annotando nomi e risposte su un taccuino.
Era molto professionale. Rivolgeva a tutti le stesse tre domande: 1) Nome e indirizzo. 2)
Ha visto l’uomo con il camice da laboratorio? 3) Le ha detto o dato qualcosa?
Con me si trattenne più a lungo e mi fece altre domande. Che cosa mi aveva spinto ad
aiutare Camice Bianco, “il dottore” come lo chiamava lui, attento a non usare il suo vero
nome. Ci eravamo messi d’accordo in segreto per incontrarci più tardi? L’avevo mai
incontrato prima d’ora?
Non mi diedi la pena di mentire. In realtà non ero sicura che sarei riuscita a mentirgli.
Ogni volta che mi puntava addosso quegli intensi occhi castani, mi sentivo spinta come per
magia a confidargli i miei segreti più intimi.
E sapete una cosa? Non ottenni nemmeno una risposta alle mie domande. Come si
chiamava? Perché davano la caccia a Camice Bianco? Perché era così pericoloso? Aveva
intenzione di mangiare il bignè al cioccolato che aveva rubato dal frigo? Ero affamata.
Finalmente il Ragazzo Carino e i suoi uomini se ne andarono, seguiti rapidamente dai
clienti. Mi aspettavo che ci minacciasse se avessimo riferito alla stampa o alla polizia
quello che era successo, ma non lo fece. Mi aspettavo che arrivasse la polizia (come
promesso), ma non fu così. Immagino che qualcuno di loro se ne fosse occupato, il che
significava che il Bel Ragazzo era veramente un agente della CIA e Camice Bianco un
criminale. Mi augurai di non passare dei guai per aver cercato di aiutarlo.
Rimasti finalmente soli, aiutai Ron, Jenny e il resto del personale a ripulire il disastro.
Stranamente lavorammo in silenzio, senza discutere di quello che era successo. Forse
eravamo troppo spaventati o troppo confusi. O forse entrambe le cose. Mentre ripulivo, mi
guardai intorno in cerca di Camice Bianco, ma di lui non c’era traccia.
Che bella giornata di merda si era rivelata. L’unica nota positiva fu quando Ron decise
di chiudere il caffè per il resto della giornata, dandomi l’opportunità di presentarmi al mio
colloquio, seppure in ritardo.
Forse, con un po’ di fortuna, sarei stata investita da un’auto e avrei ottenuto un
risarcimento miliardario.
2
Quando arrivai all’Ambassador – senza essere stata investita da un’auto, maledizione! –
ero riuscita a relegare gli avvenimenti della giornata in un angolo della mente per rifletterci
più tardi. Perché non pensarci subito?, vi chiederete. Perché la testa era sul punto di
esplodermi, ecco perché. Un dolore sordo mi pulsava alle tempie e avevo la fronte
imperlata di sudore. Lo stomaco mi bruciava come se avessi ingoiato un migliaio di aghi
immersi in un acido.
Non erano certo crampi di fame. Vero che avevo saltato il pranzo, ma mi era successo
altre volte e non avevo mai reagito a quel modo.
Mi precipitai nei bagni dell’hotel; il pavimento a piastrelle bianche e nere mi fece
venire le vertigini. Di solito i miei occhi sono di un colore tra il verde e il bruno, ma in
quel momento mi apparvero allo specchio come due smeraldi, troppo luminosi e dilatati.
Le mani mi tremavano mentre mi bagnavo il viso con l’acqua fredda. Ma il liquido non
colava; la mia pelle sembrava assorbire ogni goccia. Stava succedendo così in fretta che se
avessi battuto le palpebre avrei perso l’intero processo. Sentivo i pori bruciare.
Un gemito mi sfuggì dalle labbra. Che cosa diavolo mi stava succedendo? Avevo
contratto un virus micidiale dopo aver lasciato l’Utopia?
Dio, mi faceva male dappertutto e il dolore diventava più intenso ogni secondo che
passava. Le articolazioni si stavano gonfiando e faticavo a respirare. Raddrizzandomi fin
dove potevo, mi guardai nuovamente allo specchio. Avevo occhiaie viola e chiazze di un
rosso acceso erano spuntate sulle guance; le labbra erano tirate.
Sembravo una drogata in crisi d’astinenza.
Potevo solo immaginare come avrebbe reagito un potenziale datore di lavoro: mi
avrebbe buttata fuori a calci e avrebbe affisso la mia foto in tutto l’edificio con una nota
che diceva di arrestarmi se avessi rimesso piede in quel posto. Grandioso.
Un crampo improvviso alla pancia mi fece piegare in due e mi strappò un grido. Inspira.
Espira. Dentro. Fuori. Lentamente il dolore si placò. Mi raddrizzai di nuovo e le orecchie
mi rombarono.
Diavolo! Falla finita in fretta con il colloquio in modo da poter andare a casa a
stenderti.
In qualche modo – Dio solo sa come – riuscii a rimettermi in sesto quel tanto da entrare
nell’ufficio del colloquio a testa alta e spalle dritte. Dietro l’unica scrivania sedeva un
uomo anziano, con folti capelli argentei e un impeccabile completo marrone. Sorrise
quando mi vide, e piccole rughe si formarono agli angoli degli occhi. Emanava gentilezza.
«Lei dev’essere Belle.»
«Sì.» Costrinsi le labbra a piegarsi in un sorriso. Non sarei riuscita a mantenere a lungo
la facciata, me ne resi conto quando l’uomo – come diavolo si chiamava? – mi strinse la
mano. Il contatto del suo palmo con la mia pelle dalla sensibilità acuita mi fece quasi
cadere al suolo, rannicchiarmi in posizione fetale e invocare la mamma che non vedevo da
più di vent’anni. Fu come essere trafitta da una sfilza di coltelli acuminati.
«È un po’ in ritardo» osservò, guardando l’orologio, «ma credo che abbiamo abbastanza
tempo per conoscerci meglio.»
«Grazie. La ringrazio molto. Ho avuto un contrattempo, ma le prometto che non arriverò
mai più in ritardo.» Mi affrettai a estrarre il curriculum dalla tasca e glielo tesi, stando
attenta a non toccarlo.
Ding, dong. Diamo il via al colloquio.
Okay, me la giocai malissimo.
Le orecchie mi ronzavano troppo forte e non riuscivo a sentirlo. Le articolazioni mi
facevano impazzire e non riuscivo a stare ferma. Il mio cervello era praticamente in pappa
e non ero in grado di pensare a risposte intelligenti.
Scoraggiata e distrutta da un dolore intenso e sfibrante, entrai nel mio appartamento,
gettai le chiavi sul vecchio tappeto logoro, chiusi la porta e barcollai fino alla camera da
letto, spogliandomi mentre camminavo, strisciavo e pregavo Dio di concedermi una morte
dolce. Quando finalmente mi lasciai cadere sul letto soffice e fresco, tutto quell’incubo
orribile si ripeté nella mia mente.
Lui: Vedo che ha cambiato diversi lavori.
Io: Solo recentemente. Prima avevo lavorato come donna delle pulizie nello stesso
albergo per quasi cinque anni e anche come cameriera nello stesso ristorante. Ma posso
assicurarle che ognuno degli ultimi lavori mi ha insegnato qualcosa.
Lui: Che cosa ha imparato alla Kimberly Dolls?
Io: Che non è divertente mettere la testa di Kevin sul corpo di Kimberly.
Lui: Hmm. E nel salone di bellezza per animali?
Io: Ho imparato che cani e gatti vanno rispettati e non rasati per farli assomigliare a
leoni. A mia difesa, va detto che il look da leone è molto popolare per certe razze.
Lui: Capisco. Mi incuriosisce una cosa: è stata licenziata da tutti questi posti o è
stata lei ad andarsene?
Io: Preferisco il termine “lasciata libera”. Licenziata suona così... male.
Lui: Quindi l’hanno lasciata libera?
Io: Sì, ma posso spiegare.
Lui: La ascolto.
Io: Alla libreria Harrison and Co. avevo completamente travisato la politica dei resi.
Un errore banale che avrebbe potuto fare chiunque. Vede, pensavo che sarebbe stato
perfettamente normale portare a casa i libri, leggerli e restituirli. L’avrebbe pensato
anche lei, non è vero? Un reso è un reso.
Lui: Be’, ehm. Che cosa mi dice del salone Jumpin’ Jive Cars? Perché l’hanno
lasciata libera?
Io: Be’, questa è una storia interessante. Vede, si verificò uno sfortunato incidente
con una delle auto che avevo preso in prestito. Non era assolutamente colpa mia. La
donna davanti a me non aveva messo la freccia ed è importante segnalare quando si
cambia corsia.
Lui: Sì, certo, è importante.
Io: Mi dia solo un’occasione, Mr... ehm
Lui: Mr. MacDonald.
Io: Sarò la miglior... ehm...
Lui: Cameriera.
Io: La miglior cameriera che abbia mai visto. Cameriera! Stupendo! Le ho già detto
che ho cinque anni di esperienza, vero? Ci so fare con la gente e ancora di più con le
toilette; sono la mia specialità. Parola di Belle Jamison. Non c’è garanzia più solida,
Mr. MacRonald.
Lui: Donald.
Io: Bene, grazie, Donald. Può chiamarmi Belle.
Lui: Non è... non importa. Voglio essere onesto con lei, Miss Jamison. Qui
all’Ambassador stiamo cercando qualcuno... con la testa sulle spalle.
Io: Ma io ce l’ho. Una volta stavo facendo compere con la mia amica Sherridan, che
potrebbe uccidere se la si chiama Sherry, e lei voleva comprare un vestitino blu davvero
carinissimo ma molto costoso. Il blu è decisamente il suo colore e le sta d’incanto, ma
aveva già superato il tetto massimo di spesa delle sue carte di credito ed era a corto di
contante. Io le dissi che quell’abito le faceva il culo grosso per evitare che facesse altri
debiti. Una ragazza non può avere la testa più sulle spalle di così.
Lui: Ne terrò conto. Per il momento, è stato un piacere conoscerla. La chiamerò e le
farò sapere la nostra decisione.
Io: Quando? Ho un terribile bisogno di questo lavoro, davvero.
Lui: La chiamerò entro un paio di giorni.
Io: Okay, benissimo. Terrò acceso il mio cercapersone così potrà contattarmi in
qualsiasi momento. Davvero, qualsiasi momento va bene. Be’, eccetto domani mattina.
Non mi sento molto bene. E forse non mi sentirò bene nemmeno domani sera. E sabato.
Ma per il resto sono completamente raggiungibile.
Lui: Buono a sapersi. La faccio accompagnare.
Sì, come se Mr. Donald MacRonald avesse intenzione di chiamarmi.
Dopo aver tossito, strinsi un cuscino contro lo stomaco. Non mi ero mai sentita così
male, nemmeno quella volta che Bobby Lowenstein mi baciò in prima superiore e il
mattino dopo mi svegliai con le ghiandole linfatiche grosse come palle da tennis. Mi aveva
attaccato la mononucleosi.
Forse avrei dovuto chiamare Sherridan e chiederle di venire per prendersi cura di me.
Non avevo nemmeno le forze per andare in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua e un
centinaio di pillole antidolorifiche.
Piagnucolai mentre un’altra ondata di dolore mi assaliva. Il mio sangue sembrava aver
raggiunto il punto di ebollizione e scorreva nelle vene come lava incandescente prima di
trasformarsi in ghiaccio. Se non avessi saputo che era impossibile, avrei pensato che ci
fosse una creatura viva dentro di me che si faceva strada divorando tutte le mie cellule,
straziando il mio corpo e ridisponendo i miei organi.
Lascia perdere Sherridan. Hai bisogno di un medico.
Allungai la mano per prendere il telefono, ma il braccio mi ricadde sul letto, troppo
pesante perché riuscissi a reggerlo. A un tratto sentii fluire dentro di me una strana ma
piacevole letargia, che allontanava il dolore. Chiusi le palpebre e una ragnatela nera mi
avvolse la mente. Al mattino mi sarei sentita meglio.
3
Il mattino dopo volevo suicidarmi.
Non so per quante ore continuai a entrare e uscire dal dormiveglia. Un attimo prima
vedevo il sole filtrare dalla finestra, un attimo dopo la luce della luna. Un attimo
rabbrividivo di freddo, un attimo dopo ero in un bagno di sudore. Da sveglia provavo
dolore. Quando dormivo provavo dolore. Dolore, dolore, dolore. Dappertutto. Stavo
morendo, lo sentivo. Io, che non mi ero mai innamorata, non avevo mai avuto un gatto – né
un altro animale domestico a parte l’odioso pesciolino tropicale – e non avevo mai vissuto
veramente.
Era la fine. E non era per niente piacevole.
Avrete sentito dire anche voi che in punto di morte si vede una luce in fondo al tunnel o
che tutta la vita scorre davanti agli occhi come un film. Perché non potevo avere quella
fortuna? Invece udivo la voce perversa di Ron ripetere continuamente che ero licenziata e
mi sembrava di cadere in una voragine senza fine, lambita da un lato dalle fiamme
dell’inferno mentre dall’altro venivo bombardata da palle di neve.
In quella strana terra dei sogni, vidi il mio comodino prendere fuoco, con alte fiamme
aranciate che salivano fino al soffitto. Poi si formò una nuvola temporalesca che spense
completamente l’incendio. L’allucinazione era stata così reale che udii il crepitare del
legno che bruciava, lo scroscio dell’acqua e lo sfrigolio delle braci morenti.
Dopodiché intravidi un angelo/demone dai capelli scuri ai piedi del letto, che mi fissava
in attesa che morissi. Il suo sguardo era tanto intenso da risultare incandescente. Tuttavia,
provavo uno strano senso di conforto in sua presenza, sapendo di non essere sola.
Adesso che ero sveglia, lo volevo ancora con me.
«Angelo» gracchiai, cercandolo nell’oscurità con occhi febbricitanti. Avevo un urgente
bisogno di un bicchiere d’acqua. Mi pareva che qualcosa fosse morto nella mia bocca e
che fosse già iniziato il rigor mortis. Non ottenendo risposta, provai ancora: «Demone».
Ancora niente.
Se n’era andato? Quel vigliacco mi aveva abbandonata.
Chiusi gli occhi e un’immagine di lui si formò nella mia mente. Era decisamente sexy ma
non bellissimo, se la cosa può avere un senso. Aveva un’aria selvaggia, pericolosa, che
incuteva paura ma un desiderio ancora più forte di domarlo. Capelli neri come un cielo di
mezzanotte gli incorniciavano il volto e gli occhi erano di un azzurro così intenso da
mandare scintille. Avrei potuto dire che sfavillavano come zaffiri, ma c’era una luce da
predatore in quegli occhi, minacciosa, che annullava qualsiasi paragone con le gemme
preziose.
Era alto, più di uno e novanta avrei detto, e vestiva di nero dalla testa ai piedi,
confondendosi con le ombre della stanza. Emanava un profumo di muffin ai mirtilli, cenere
e giungla. Rotolai su un fianco, rintanandomi tra le coperte mentre un’altra ragnatela nera
mi avvolgeva la mente.
Mi addormentai di nuovo e quando riaprii finalmente gli occhi vidi il sole. Accecata,
sbattei le palpebre e trascorsero diversi minuti prima che fossi in grado di orientarmi. In un
primo tempo la stanza mi apparve sfocata, poi ogni cosa tornò lentamente al suo posto,
come se qualcuno mi avesse ripulito il parabrezza. Distinsi il mio soffitto scrostato... le
mie pareti ingiallite... il mio ruvido tappeto marrone... i miei mocassini da uomo... il mio...
Mocassini da uomo?
Aprii e richiusi gli occhi più volte, poi risalii lungo un paio di pantaloni neri, due
natiche sode, una cintura intorno a una vita stretta e una camicia nera ben riempita. Ah,
l’Angelo della Morte, mi resi conto, rilassandomi leggermente. Non mi aveva abbandonata,
dopotutto. Era ancora in piedi accanto al letto e mi voltava le spalle mentre parlava a un
walkie-talkie.
«Il soggetto è alto circa uno e sessantasette, capelli castani lisci, occhi nocciola, quasi
verdi. Labbra piene.» Fece una pausa. «Uh, molto piene. Piccola cicatrice sulla spalla
sinistra. Niente tatuaggi... sfortunatamente.»
Chi diavolo era il soggetto?, mi chiesi con la mente annebbiata. Io? Sembravo proprio
io. Forse le creature dell’aldilà preferivano usare un tono distaccato.
«Il soggetto ha smesso di agitarsi e la sua pelle non ha più una sfumatura verde. Le
occhiaie si sono attenuate. Il soggetto sembra in netta ripresa.»
La sua voce era bassa e sensuale. Potevo anche essere debole, ma non ero morta... o lo
ero? Rabbrividii. Ancora una volta riportai lo sguardo su di lui. Era alto come ricordavo e
aveva dei muscoli così divinamente definiti che avrei voluto stringere le mani intorno ai
suoi bicipiti. Era chiaro che si manteneva in allenamento. Aveva spalle larghe, torace
ampio e un posteriore che era la perfezione assoluta. Avrei scommesso che nemmeno i
gemelli di Sherridan potevano competere con lui.
«Sei un servo di Dio o di Satana?» chiesi con voce fievole e roca. Avrei puntato sul
diavolo (se avessi avuto del denaro da puntare). Probabilmente Dio mi aveva bandita dal
paradiso mesi prima, quando avevo riempito di pesce marcio l’appartamento del mio ex, il
Principe delle Tenebre, mentre lui era in vacanza con la ragazza per la quale mi aveva
mollata. (Uno scambio di pesci, si potrebbe dire, se non fosse che niente poteva competere
con Martin).
L’angelo/demone si voltò e mi trapassò con quei suoi occhi cristallini. Trasalii,
sentendo ridestarsi gli ormoni nonostante le mie condizioni. Trasudava seduzione e
pericolo. Aveva la pelle brunita, un volto cesellato con appena un’ombra di barba, capelli
lunghi e arruffati. I riccioli scuri gli ricadevano sulla fronte, nascondendo quasi l’arco
delle sopracciglia. Il naso era leggermente storto, come se fosse stato rotto una volta di
troppo.
«Ciao, Belle. Felice di vederti sveglia.»
Il suono del mio nome sulle sue labbra fatte per essere baciate era inebriante. Dovetti
lottare contro l’urgenza di allungare il braccio e sfiorargli con la punta delle dita
quell’inizio di barba scura che gli ricopriva le guance. Dovetti lottare contro l’urgenza di
gettargli le braccia al collo e baciarlo fino a lasciarlo senza fiato... oh, al diavolo! Vieni
qui. Cercai di sollevare le braccia, ma ero troppo debole e mi ricaddero lungo il busto.
Forse era un bene. Era il primo uomo che entrava nel mio appartamento da più mesi di
quanti riuscissi a ricordare senza piangere, quindi probabilmente avrei fatto un errore a
forzare le cose.
«Non aver paura. Se risponderai a qualche domanda, ti lascerò in pace» disse.
«D’accordo?»
Okay, così voleva andarsene il più presto possibile. Dovevo essere un disastro. Prima
di scortarmi attraverso i cancelli dell’eternità, forse mi avrebbe lasciato fare una doccia,
lavare i denti, applicare qualche chilo di fondotinta, infilare della biancheria sexy e
vaporizzarmi con un profumo ai ferormoni. Non che volessi fare colpo su di lui o altro.
Davvero. Semplicemente una ragazza vuole fare una buona impressione il suo primo giorno
nell’aldilà.
«Ti stai addormentando di nuovo?» chiese.
«Niente domande» dissi. Avevo già risposto ad abbastanza domande quando mi aveva
interrogata il Ragazzo Carino. Mentre tentavo di mettermi seduta, il dolore alla testa
esplose in tutta la sua forza. Ricaddi con un gemito sui cuscini. «Mi dispiace essere io a
dirtelo, ma sei una frana nel tuo lavoro. Non startene lì con quell’aria sexy, prendi la mia
anima.»
«Il soggetto è sveglio, ma non è lucido» disse al walkie-talkie. Per un secondo, un
secondo solo, mi parve di udire il battito del suo cuore. Dapprima regolare, poi più rapido.
O forse era il mio cuore.
«Se dovessero chiedermi un giudizio, avresti un punteggio molto basso» osservai.
«Devi aver sete.»
Nel momento in cui pronunciò quelle parole, mi resi conto di quanto avessi la bocca
asciutta. «Sì» rantolai.
«Il soggetto ha sete» disse, prima di appendere alla cintura il walkie-talkie o qualsiasi
altra diavoleria fosse. Sparì. Non c’è altro modo di descriverlo. Uscì dalla stanza rapido e
silenzioso come un soffio di vento. Un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più.
Ritornò velocemente come era svanito e mi tese un bicchiere d’acqua. Tentai di mettermi
seduta, ma l’impresa si rivelò impossibile. Chinandosi su di me, mi passò la mano libera
sotto il mento e mi sollevò delicatamente la testa verso il bicchiere. Bevvi avidamente. Il
liquido fresco mi placò la gola e lo stomaco, scorrendo nel mio sangue surriscaldato.
La sua mano era ricoperta di calli. Sentii un pizzicore alla pelle. Hmm... bello. Le
palpebre sempre più pesanti si sollevarono e si richiusero mentre mi adagiava contro i
cuscini e metteva da parte il bicchiere. «Il tuo punteggio è appena risalito» dichiarai con
voce roca. Mi sentivo ancora assonnata. Avrei dormito ancora un po’, decisi.
«Dobbiamo parlare, sul serio» disse, scuotendomi leggermente per la spalla.
Il mio cervello non funzionava al meglio, ma il buonsenso riuscì finalmente a penetrare
attraverso il torpore che mi ottenebrava la mente. Di colpo sbarrai gli occhi,
completamente sveglia. Era possibile che un’allucinazione mi aiutasse a bere un bicchiere
d’acqua? Poteva un’allucinazione avere i calli sulle mani? Un messaggero di morte
avrebbe potuto toccarmi fisicamente? No, no e no.
Lo sconosciuto che mi stava di fronte era fin troppo reale.
Mi sentii assalire dal panico. «Vattene» ordinai con voce stridula. «Subito» Indossavo
solo reggiseno e mutandine che portavo sotto la divisa dell’Utopia e anche se la trapunta
mi nascondeva alla vista, avrebbe potuto essere strappata da un momento all’altro. Nel mio
stato di debolezza non sarei stata in grado di difendermi se mi avesse assalita.
«Rilassati.» La sua voce era dolce e rassicurante. «Non ti farò del male.»
Bugiardo! Per quale altro motivo poteva trovarsi lì? Il panico aumentò e palpai le
lenzuola in cerca di un’arma. Naturalmente non trovai niente di più minaccioso di qualche
piuma del cuscino che non avrebbe fermato nemmeno uno stupido acaro.
L’uomo si piegò sulle ginocchia, portandosi alla mia altezza. Osservai i suoi occhi solo
perché così avrei potuto fornire una descrizione alla polizia, non perché mi avevano
momentaneamente ipnotizzata. Le sue iridi erano un vero capolavoro. Un blu profondo
circondava la pupilla, stemperandosi in un azzurro più chiaro.
«Devo farti qualche domanda, Belle.»
«E io voglio che te ne vada» replicai, debole ma determinata. «Subito.»
Ignorando la mia richiesta, mi chiese: «Sai perché sei stata male?».
«Non ho denaro in casa e mio marito sarà qui da un momento all’altro.»
«Tu non hai un marito. Smettila e rifletti un istante. Se avessi voluto farti del male,
l’avrei già fatto. Faccio parte del Centro di Controllo Sanitario e ho bisogno di avere
informazioni sul tuo malessere.»
Scossi il capo per cercare di schiarirmi i pensieri. «Il Centro di Controllo Sanitario?»
D’accordo, aveva senso. Ed era vero che aveva avuto tutto il tempo di farmi del male o
molestarmi, ma non l’aveva fatto. Ma come era entrato nel mio appartamento? Come aveva
saputo che stavo male? E come faceva a sapere che non ero sposata? «Hai un documento?»
Mi mostrò un distintivo e quel gesto mi ricordò il Ragazzo Carino. «Mi credi, adesso?»
«Forse» sospirai. «Che cos’ho? Sto per morire?»
«È possibile.»
Era possibile? Sul serio? Sentii rivoltarsi lo stomaco e rimasi a bocca aperta. Non
poteva mentirmi e concedermi pochi minuti di beata ignoranza? «Fai parte
dell’Associazione dei Sadici Diabolici?» borbottai.
Lui storse la bocca. «Può darsi.» Riprese il walkie-talkie. «Il soggetto è vigile e parla,
finalmente lucido.» E rivolto a me aggiunse: «Sai perché sei stata male?».
Silenzio.
«Belle, sai perché sei stata male?»
«Come? Parli con il soggetto, adesso?»
«Sì.»
Alzai le spalle. «Per il motivo più semplice, immagino. Uno stupido piccolo virus è
entrato nel mio corpo e ha incominciato a giocare alla roulette russa con il mio sistema
immunitario.»
Inarcò le sopracciglia. «Il soggetto mostra uno spiccato senso dell’umorismo.»
«Il soggetto si sta rompendo.» Usai le mie forze residue per fargli cadere di mano il
walkie-talkie. Il braccio mi crollò lungo il fianco mentre la stupida scatoletta nera atterrava
al suolo con un tonfo. «Che tipo di virus ho? Quanto mi rimane prima di... schiattare?»
«Schiattare?» Le sue labbra sensuali si piegarono in una smorfia mentre si chinava a
raccogliere l’apparecchio. «Conosci qualcun altro che ha avuto i tuoi stessi sintomi?»
chiese, ignorando le mie domande. «Qualcuno con cui sei stata in contatto negli ultimi
giorni?»
Qualcuno con cui ero stata in contatto negli ultimi giorni? Oh, mio Dio! Ansimai.
Sherridan. Mio padre. Mio padre aveva forse contratto quell’orribile malattia che
probabilmente mi stava portando alla morte? L’avevo visto due giorni prima... o erano tre?
Sembrava che stesse bene, ma con i suoi problemi di cuore non sarebbe stato in grado di
combattere un’infezione così violenta. Ricacciai indietro un singulto, con la gola che mi
bruciava.
«Devo chiamare mio padre» gemetti, «per assicurarmi che stia bene.» Mi tirai su in
posizione seduta e trasalii quando un’ondata di dolore mi travolse. Allungai il braccio: il
telefono era così vicino, eppure impossibile da raggiungere. Non ce la facevo. Mi assalì
una disperazione così violenta da farmi tremare. «Se sta male...» Non riuscii a finire la
frase. Vieni qui, stupido apparecchio.
Il telefono volò verso di me trasportato da una potente folata di vento.
La ventata mi colpì con una tale violenza da farmi cadere all’indietro. Urtai contro la
testiera del letto e il telefono volò sopra la mia testa, oltrepassò il letto e atterrò sul
tappeto. Perfino l’uomo del Centro rimase impietrito. Sotto shock, guardai il telefono,
guardai il comodino carbonizzato, guardai il telefono, guardai l’uomo. Un momento. Il
comodino carbonizzato? Era bruciato veramente? E da dove veniva quel vento? Da dove
diavolo veniva?
Confusione, sgomento e incredulità mi assalirono tutti insieme, lasciandomi quasi senza
parole. «Hai visto anche tu? Hai sentito quel vento?»
«Il soggetto ha appena confermato l’ipotesi quattro» disse al walkie-talkie. Era scuro in
volto mentre si alzava in piedi. «Avrei voluto che non l’avessi fatto, Belle» disse in tono
risoluto. Sembrava arrabbiato e minaccioso.
«Fatto cosa? Io non ho fatto niente. Sto diventando pazza?» Mi coprii la bocca con una
mano tremante. «È così, vero? La malattia mi sta facendo impazzire.» Feci una pausa. «Sai
se mio padre sta bene? Hai sentito dire che David Jamison è ammalato?»
«Dannazione.» Si passò una mano fra i capelli e scosse il capo. «Perché diavolo hai
dovuto fare così? Non potevi stare semplicemente male, come avevo sperato?»
«Non capisco. Di che cosa stai parlando? Che cos’è successo?»
«Lascia che ti spieghi, piccola. Hai bevuto la formula e ora sono costretto a
neutralizzarti.»
4
Neutralizzarmi? Battei le palpebre, registrando la parola come se fosse una luce rossa
lampeggiante. Neutralizzarmi!
L’uomo sexy avanzò verso di me tirando fuori una siringa dal taschino della camicia. La
sua espressione era distaccata mentre toglieva il cappuccio all’ago. Spalancai gli occhi,
inorridita. Tesi le mani con i palmi avanti in un tentativo di tenerlo lontano. Una scarica di
adrenalina mi attraversò.
«Fermo!» gridai. «Non avvicinarti.» Che cosa avevo fatto perché quell’uomo volesse
farmi del male?
Con mia sorpresa, si bloccò sui suoi passi. Aggrottò la fronte e lentamente, molto
lentamente, spinse le mani contro l’aria, come se fosse un mimo intrappolato in una scatola
immaginaria. Il suo volto tradiva la confusione mentre continuava a spingere senza
risultato. Si fece scuro in volto e la collera sostituì la confusione.
Qualche ciocca di capelli gli ricadeva sulle tempie come se si fosse alzato il vento.
Nella mia stanza? Diede un pugno all’aria e il colpo mi rimbombò nelle orecchie. Rimasi
a bocca aperta. Aveva colpito un oggetto solido che non potevo vedere. Una parete
invisibile? No, non invisibile, mi resi conto l’istante successivo, ancora più sgomenta. Era
come se l’aria si fosse solidificata e onde iridescenti punteggiate di polvere la
attraversassero.
Era semplicemente impossibile. Mentre guardavo, l’uomo diede una spallata contro...
qualsiasi cosa fosse ciò che lo imprigionava, scuotendola fino alle fondamenta. Che
diavolo...? Non avevo mai visto né sentito parlare di niente del genere. Era
un’allucinazione?, mi chiesi. No, no. Non poteva essere così. Sentivo che era reale. Questo
significava che l’aria lo stava fermando.
«Togli lo scudo, Belle» disse in tono deciso come il suo sguardo.
Togli lo scudo? Questo significava che pensava fossi io a controllarlo. Era così?
Impossibile. Tranne che avevo una strana sensazione alle mani. Un calore innaturale e un
formicolio che mi arrivava fino alle ossa. Non avevo mai sperimentato nessuno dei due.
«Se lo faccio» dissi, augurandomi di sembrare sicura di me, «tu mi neutralizzerai.»
«Parleremo.»
«Come no! Non sei del Centro di Controllo Sanitario, vero? Hai mentito.» Scappa,
pensai in quel momento. Era la mia unica opportunità di fuga.
Se mi fossi mossa, avrei accidentalmente distrutto lo scudo? Non lo sapevo, così tenni le
mani sollevate in avanti mentre osservavo la stanza. Prima non l’avevo notato, ma c’era
una patina nera che ricopriva il tappeto e le pareti. Probabilmente erano andati a fuoco
insieme al comodino. «Che cos’hai fatto alla mia camera da letto?» gli domandai.
«Io non ho fatto niente.»
Lascia perdere la stanza, mi rimproverai. Mi guardai ancora intorno e questa volta feci
quello che avrei dovuto fare prima: individuare una via di fuga. La finestra dava sulla scala
antincendio, ma c’era uno scalino rotto e un salto di centocinquanta metri. No, grazie. Le
prese dell’aria non erano abbastanza grandi perché ci passasse un barboncino, figurarsi una
donna. Un’altra possibilità scartata.
L’unica opzione che mi restava era la porta principale, che però lui bloccava con il suo
corpo massiccio. Per raggiungerla, avrei dovuto aggirare sia lui sia lo scudo.
Per quanto indebolita, riuscii in qualche modo a scendere dal letto senza usare le mani.
Lui mi guardò con occhi ridotti a due fessure mentre mi alzavo barcollando.
«Non ti lascerò fuggire» disse.
«Potresti non avere scelta.» Cercai di gridare per attirare l’attenzione dei vicini, ma i
crampi allo stomaco mi costrinsero a piegarmi in due. Lottando contro il dolore, mi
raddrizzai e tentai un passo verso destra. L’istinto mi suggeriva di correre, ma non ne
avevo le forze: le gambe mi tremavano e le ginocchia già malferme minacciavano di cedere
da un momento all’altro.
«Pensi di uscire così?» Il suo sguardo di un incredibile blu elettrico si posò su di me,
indugiando sui seni e in mezzo alle cosce; la sua espressione, però, rimase distaccata.
Sapevo che tentava di risvegliare in me un senso di pudore per fermarmi, ma non me ne
sarebbe importato niente nemmeno se fossi stata nuda. La gente poteva guardarmi finché
voleva purché riuscissi a mettermi in salvo.
Tuttavia non aveva finito. Mi guardò ancora e questa volta i suoi occhi persero ogni
distacco e divennero roventi. «Niente male» disse, «ma ti preferivo nuda.»
Un brivido mi risalì lungo la spina dorsale mentre controllavo. Non indossavo più il
reggiseno e gli slip che ricordavo, ma una canottiera bianca che mi arrivava all’ombelico e
le mutandine di un bikini a cuoricini. Ti preferivo nuda. Per poco non gli balzai addosso.
Quel vigliacco mi aveva spogliata e rivestita mentre ero priva di sensi.
«Va’ all’inferno» dissi, facendo un altro passo. Stranamente, lo scudo si mosse con me,
obbligando l’uomo a spostarsi e ad allontanarsi leggermente dalla porta. Forse ero io a
controllarlo, dopotutto. Ma come?
Guadagnai un altro centimetro. Un altro ancora. Poi... più niente. Per quanto mi sforzassi
di muovermi, il mio corpo era improvvisamente pietrificato. Inspirai a fondo. Muoviti.
Puoi farlo.
«Se lasci questo appartamento, sei morta» mi minacciò. Il suo tono non era più freddo,
bensì carico di calore come il suo sguardo.
«A giudicare dalla siringa che tieni in mano, sono morta se resto.»
«Io sono la minore delle tue preoccupazioni, Belle.»
«Scusa se non sono d’accordo. La morte è morte.» Muoviti! Mossi una gamba tremante.
Lunga pausa, respiro profondo. Pausa. Altro passo, altra pausa. Bene. Stai andando bene.
Ma dentro di me sapevo che non ce l’avrei mai fatta a uscire a quel ritmo.
Con gesti deliberatamente lenti, assicurandosi che lo guardassi, lui incappucciò l’ago e
ripose la siringa nel taschino. Tese le mani con i palmi all’insù, con aria innocente.
«Ascoltami, Belle. Io sono tutto quello che hai in questo momento.»
«Risparmia il fiato. Non so perché tu voglia fare del male a una donna innocente e
malata ma...»
«Tu non sei malata. Ti stai trasformando.»
Riuscii ad avanzare di un altro centimetro anche se le braccia mi tremavano sempre di
più ogni secondo che passava e le ginocchia battevano l’una contro l’altra con una forza
tale da far vibrare tutto il corpo. Fatti forza.
«Non ti farò del male» disse con voce dolce.
«Guardo anch’io la tv, sai? Tutti i killer dicono così, soprattutto quando impugnano una
siringa.»
«Dico sul serio.»
Sì, certo. Non mi sfuggì che non aveva negato di essere un killer. «Scommetto che la
CIA e l’FBI ti stanno cercando. Probabilmente sei conosciuto come il Fantasma dell’Ago e
hai già fatto questo a centinaia di donne.»
«Rifletti su quello che stai dicendo, ti prego. Se così fosse, ne avresti sentito parlare dai
giornali. Sono un agente governativo.»
Scossi il capo, cercando di superare un attacco di vertigini. «Mi hai presa di mira
perché stavo male ed ero troppo debole per combatterti.»
«Allora perché non ne ho approfittato mentre dormivi?»
Buona domanda. Questo mi indusse a riflettere. «Che cosa volevi iniettarmi? E non dire
che era un farmaco perché non ti crederei.»
Un muscolo guizzò sotto il suo occhio sinistro. Invece di rispondere, mi fece a sua volta
una domanda. «Come credi di essere stata capace di erigere questo scudo d’aria? So che
non hai mai fatto niente del genere prima d’ora.»
Riuscii a fare un altro passo prima di immobilizzarmi nuovamente. Questa volta, però,
non riuscii a rimettermi in moto. I muscoli erano come pietre, duri e pesanti. Strinsi i denti
nel tentativo di attingere a una riserva di forze che non avevo.
Non sarei riuscita a fuggire, mi resi conto con un senso crescente di disperazione. E
purtroppo non potevo farci niente.
«Hai bevuto la formula» mi spiegò. «Che tu lo sappia o no, l’hai bevuta. Adesso hai dei
poteri. Poteri che un sacco di gente vorrebbe sfruttare.»
«Quale formula? Io non ho bevuto niente, giuro.»
«Negarlo non cambierà i fatti.»
«Non ho bevuto niente!» Mentre gridavo, le ginocchia cedettero. Crollai a terra, ma in
qualche modo riuscii a tenere le braccia alzate, anche se lo scudo si mise a tremolare,
perdendo consistenza. Il cuore cominciò a martellare contro la gabbia toracica, accelerò i
battiti, poi perse un colpo. «Non l’ho fatto» gemetti.
«Lavori al Caffè Utopia, non è così? Quello che si trova davanti a un edificio in mattoni
rossi senza insegne.»
Mi sentii impallidire e la bocca si seccò. Lui sapeva tutto di me. Mi aveva seguita?
Spiata?
Senza distogliere lo sguardo dal mio, si allontanò dallo scudo e da me per sedersi sulla
poltrona in velluto verde in un angolo della stanza, rimasta immune dal fuoco che aveva
annientato il mio comodino. Di solito la usavo quando leggevo (nei rari momenti liberi) in
camicia da notte, avviluppata tra le coperte.
Non l’avrei più vista come un luogo in cui rilassarmi. Il suo corpo atletico che aderiva
alle curve della poltrona e le gambe allungate le conferivano un aspetto erotico. Puoi
sedermi in grembo, sembrava dire la sua espressione. Mi prenderò cura di te. Ti
proteggerò. Ti darò piacere.
Bugiardo!
Avrei potuto credergli se non fosse stato per l’ago che gli spuntava dal taschino. Senza
parlare dell’intensità inquietante dei suoi occhi. Erano occhi da predatore, che
osservavano la preda in attesa del momento perfetto per colpire.
«Abbassa lo scudo, Belle. Ti sta esaurendo. Lascialo e parliamo.» Pausa. «Per favore.»
Non mi lasciai convincere anche se ero ormai debolissima: le braccia mi facevano
troppo male e la morte incominciava a sembrarmi una gradevole vacanza. Se mi avesse
ucciso in quel momento, mi avrebbe liberata dal dolore.
Strizzai gli occhi per un istante, respirai a fondo e lasciai ricadere le braccia lungo i
fianchi. Una parte di me si aspettava che lo scudo restasse al suo posto, a dimostrare che
non ero io a controllarlo. Effettivamente rimase in piedi per qualche secondo, poi ondeggiò
come le acque del mare che si frangono a riva, prima di sparire.
Per diversi minuti cercai di riprendermi da quella sensazione di disfatta. Per diversi
minuti fallii. Mi ritrovai a terra, con la fronte appoggiata al bordo del letto. Il fresco delle
lenzuola mi aiutò ad alleviare il bruciore della fronte.
Guardai l’uomo seduto in poltrona. Lui non si mosse. Rimase dov’era, completamente
rilassato. «Hai bisogno d’aiuto?» domandò.
«Non avvicinarti» risposi ansimando. Perché non riuscivo a sembrare forte e
minacciosa?
Inarcò le sopracciglia scure, ma non fece commenti. Non disse che ora avrebbe potuto
fare di me quello che voleva. Passò un lungo minuto, ogni istante più penoso dell’ultimo.
«Volevi parlare» dissi, tanto per spezzare il silenzio mortale che era caduto nella stanza.
«Parla, allora. Hai accennato a una formula. Che cosa c’era dentro?»
«Non posso rispondere.»
«Non puoi o non vuoi?»
«Non voglio.»
«Perché»
«È un’informazione riservata.»
«Vediamo» esordii, senza darmi la pena di sollevare la testa, «ho rischiato di morire per
una formula che avrei bevuto. Hai cercato di neutralizzarmi per questo. E adesso mi stai
dicendo che non ho bisogno di sapere esattamente che cosa ho presumibilmente ingerito?»
«Non posso rivelarti il contenuto della formula, ma puoi chiedermi qualcos’altro.»
Bene. Era proprio quella la mia intenzione. «Quando avrei bevuto questa formula?»
Piegò le labbra all’ingiù mentre mi osservava in silenzio. Il suo sguardo mi innervosiva
e nello stesso tempo mi eccitava. Sapevo che non avrei dovuto sentirmi affatto eccitata
nelle mie condizioni, specie nei confronti di quell’uomo. Eppure era già la seconda volta
che mi accadeva! Mi aveva somministrato qualche afrodisiaco mentre dormivo? Se era
così, non gliela avrei fatta passare liscia.
«Ricordi un uomo con un camice da laboratorio che ha fatto irruzione nel caffè una
settimana fa?»
Era passata una settimana? Un’intera settimana? La notizia mi lasciò attonita. Comunque,
nonostante l’intervallo temporale, ricordavo perfettamente quel giorno. Camice Bianco si
era precipitato nel caffè scatenando un pandemonio e poi era scomparso.
«Sì, me ne ricordo» balbettai.
«Quell’uomo è uno scienziato che stava scappando con un esperimento top secret e l’ha
versato in qualcosa che tu hai bevuto.»
«È impossibile. È assurdo. È un... caffelatte al cacao» mormorai, confusa. Santo cielo.
Quando il caos si era calmato e il Ragazzo Carino aveva incominciato a interrogare i
presenti, avevo bevuto il mio caffelatte. Non ci avevo trovato niente di strano in quel
momento. Ora... non lo sapevo più.
«Non eravamo sicuri che l’avesse dato a te. Naturalmente speravamo che non fosse così.
Ma poi non ti sei presentata al lavoro, così siamo venuti a controllare qui e abbiamo
scoperto che stavi male.»
«Siamo?» chiesi con un filo di vece. C’erano stati altri uomini oltre a lui? Altri uomini
che pensavano che dovevo essere neutralizzata?
«Il mio capo e io.»
Il sangue mi si gelò nelle vene. Il suo capo era il Ragazzo Carino? Se la CIA mi voleva
morta, potevo stare tranquilla che sarei morta. «Lavori per la CIA?»
«No. In realtà non lavoro nemmeno per il Centro di Controllo Sanitario, ma per
un’organizzazione di cui non hai mai sentito parlare. Il SIP: Studi e Investigazioni sul
Paranormale. Siamo come fantasmi. Per il resto del mondo non esistiamo.»
«Allora perché dirlo a me?» Purtroppo temevo di conoscere la risposta. Presto sarei
morta e non avrei potuto parlare.
Okay. Allora il Ragazzo Carino lavorava per la stessa organizzazione? Quel tipo era
inquietante e non avevo difficoltà a crederlo capace di ordinare la mia morte. Un momento.
Credevo davvero alla storia di quell’uomo? Aveva già dimostrato di essere un bugiardo,
sostenendo di essere del Centro di Controllo Sanitario quando non era vero.
«Hai detto che la formula mi ha trasformata. In che modo?»
«Hai davvero bisogno di chiederlo? Hai ordinato all’aria di solidificarsi.»
«Non l’ho fatto» protestai. «È successo da solo.»
«Davvero?» Curvò le labbra in un sorriso sarcastico.
«Sì» insistetti con una certa esitazione.
«Se tutto andrà come pensiamo, presto avrai il potere sui quattro elementi: aria, fuoco,
terra e acqua.»
Sgranai gli occhi. «Stai dicendo che avrò dei poteri? Superpoteri?» Adesso ero certa
che stesse mentendo.
«No» rispose, scuotendo il capo. «Sto dicendo che hai già dei superpoteri.»
Mi sfregai le tempie, nella speranza di arrestare un’emicrania improvvisa. «Ti renderai
conto di quanto suoni pazzesca questa storia. I superpoteri sono cose da film. Da fumetti.
Non sono cose da vita reale e da ragazze normali che non riescono a mantenere un
impiego.»
«Questo lo pensi tu» replicò in tono asciutto. «E credimi, non sei più una ragazza
normale.» Mentre parlava, si raddrizzò sulla poltrona.
Scattai all’indietro. Non che potessi andare molto lontano.
«Ehi, calma.» Sollevò lentamente una mano per mostrarmi che non nascondeva niente.
«Mi stavo solo mettendo più comodo.»
Mi appoggiai nuovamente al materasso e dissi con un filo di voce: «Non voglio che ti
metta comodo. Voglio che te ne vada. Sei rimasto fin troppo».
«Mi dispiace.» Il suo tono però era tutt’altro che dispiaciuto. «Sei legata a me.»
«Perché devi neutralizzarmi?»
«Sì.»
Mi aspettavo che negasse e il fatto che avesse ammesso tranquillamente di avere ancora
intenzione di eliminarmi avrebbe dovuto terrorizzarmi. Ma non era così. Finora non mi
aveva fatto del male e non intendevo preoccuparmene finché non si fosse avvicinato.
Inoltre non volevo credergli. Non potevo credergli. Avrebbe significato che avevo
davvero dei superpoteri. Che ero stata io a erigere quello scudo. Che mi avevano fatto
veramente qualcosa di terribile.
«Vorrei poterti somministrare un antidoto. Ma non ne abbiamo ancora uno.» Se non
altro, questa volta sembrava sinceramente dispiaciuto.
«Comunque, non vedo il bisogno di farmi del male. Onestamente, non rappresento una
minaccia per nessuno.»
Emise uno sbuffo dal naso. «Ci sono buone probabilità che tra non molto tu riesca a
controllare anche le condizioni atmosferiche. Sarai in grado di provocare incendi,
alluvioni, tornado. Non ti sembra una minaccia?»
«Non farò niente del genere» dichiarai decisa.
«Lo farai. Non potrai farne a meno.»
«Come fai a esserne sicuro?» Dovevo riuscire a fargli capire quanto suonasse pazzesco.
«Hai detto che era una formula sperimentale. Questo significa che non puoi essere sicuro di
niente al cento per cento.»
«Diciamo che ho passato molto tempo con cavie umane per sapere quando ci sono guai
in vista.» Si interruppe e i suoi occhi si incupirono. «L’uomo che ha fatto tutto quello che
era in suo potere per avere il controllo della formula vorrà eseguire degli esperimenti su di
te quando scoprirà che l’hai bevuta.»
«È il tuo capo?» Si riferiva al Ragazzo Carino, come sospettavo? «Perché se è così,
puoi dirgli che non ho bevuto nessuna formula, non ho nessun potere e voglio essere
lasciata in pace.»
«No, non è il mio capo e non posso dirgli niente. È a capo dell’OASS, Osservatorio e
Applicazione delle Scienze Soprannaturali, un’organizzazione non governativa rivale del
SIP. Così adesso lo sai: il SIP è quello dei bravi ragazzi.» Inarcò un sopracciglio e sorrise
lentamente. «Be’, se non altro dei migliori.»
Se avessi avuto la forza di alzare le braccia al cielo l’avrei fatto. Dovevo essere
l’ultima persona sana di mente nell’intero universo. «Questa è pura follia!» esclamai.
«Siete tutti pazzi!»
«Il tempo ti dimostrerà che ho ragione» sentenziò in tono sicuro di sé.
Un brivido mi percorse la spina dorsale. La sua incrollabile sicurezza mi convinse più
di ogni altra cosa. Il tempo avrebbe svelato la verità e che io gli credessi o meno, dovevo
essere pronta in ogni caso.
«Di che... che tipo di esperimenti stiamo parlando?» domandai.
«Vediamo. Scuoia le persone per rivestire i loro corpi di metallo, rendendoli
invulnerabili. Taglia loro le braccia e le sostituisce con delle armi. Inietta nelle loro vene
dei veleni sperando che passino nei fluidi corporei e che possano uccidere chiunque con un
bacio. Oh, questa ti piacerà: fa bere alle cavie una formula sperimentale che dà il potere
sui quattro elementi. Finora tutti quelli che l’hanno presa sono morti congelati o bruciati
dal fuoco.»
Cielo. Stava cercando di dirmi che anch’io sarei morta congelata o bruciata? «Io non
morirò» protestai. «E non voglio essere una cavia da laboratorio. Sono un essere umano.»
Un lampo di senso di colpa si accese nei suoi occhi per un istante prima di svanire.
«Non sta a me decidere.»
Il mento prese a tremarmi e gli occhi mi bruciavano di lacrime. «Perché mi stai dicendo
tutto questo? Se ti fossi attenuto alla storia del Centro, avrei potuto collaborare.»
«Meriti di conoscere la verità» disse in tono gentile. «Almeno tutto ciò che posso
rivelarti.» I suoi lineamenti si addolcirono, in contrasto con le sue parole minacciose.
Meritavo di conoscere la verità, ma mi avrebbe ugualmente fatto del male.
Mi sforzai di rialzarmi e scappare, ma ogni fibra del mio corpo protestava e mi ritrovai
nuovamente accasciata accanto al letto, in preda al panico. Doveva esserci un modo...
oddio! Il mio sguardo era fisso sulle mie mani, strette in grembo. Sgranai gli occhi. No, no,
no. Battei le palpebre, ma non ci fu alcun cambiamento.
Sulla punta delle mie dita si stavano formando dei cristalli di ghiaccio. Il freddo non mi
dava per niente fastidio.
In quel momento gli credetti. Credetti a tutto quello che aveva detto, senza un’ombra di
dubbio. Aveva previsto che sarei stata in grado di controllare il tempo. Pioggia, neve,
grandine... Avrei provocato alluvioni, incendi e tornado. E c’era gente che voleva fare
esperimenti su di me. Oddio!
«Come ti chiami?» ansimai, cercando di distogliere la mente dal ghiaccio e dagli
esperimenti. Mi sfregai le mani per riscaldarle e riuscii a fondere il ghiaccio, senza
rivelargli ciò che mi stava succedendo.
«Non è importante.»
«Non sono d’accordo. Preferisco conoscere il nome degli uomini che vogliono
uccidermi. È una mia piccola mania.»
Contrasse le labbra. «Rome. Mi chiamo Rome.»
Un nome esotico per un uomo dall’aria esotica. Aggrottai la fronte. Vista la ragione per
cui si trovava lì, non era il caso che lo trovassi “esotico”.
«Non voglio avere superpoteri, Rome. Non voglio trovarmi in questa situazione» dissi in
tono disperato. «Aiutami a tornare alla mia vita di sempre, ti prego.»
«Non posso, te l’ho detto. Forse lo scienziato che ha inventato la formula...» Scosse il
capo. «Ma anche questo è poco probabile.»
«Sono disposta a provare.»
«Peccato che il dottor Roberts sia scomparso e nessuno sia stato in grado di scovarlo.»
Il dottor Roberts. Mandai a mente il nome. Quell’uomo in camice bianco, dall’aspetto
innocuo, era il responsabile della situazione in cui mi trovavo. Meritava che una squadra di
killer gli desse la caccia. «Dimmi una cosa. Se tu e il tuo capo siete dalla parte dei buoni,
come potete pensare di distruggermi?»
Curvò le labbra in un sorriso privo di ogni traccia di allegria. «Facciamo il possibile
per garantire la sicurezza del mondo. Questo è il nostro lavoro. A volte anche i buoni fanno
cose cattive, magari senza volerlo, e devono essere fermati. Se fossi lasciata a te stessa,
provocheresti un disastro dopo l’altro. Potresti danneggiare milioni di persone,
distruggere...»
«Ti ho già detto che non farei mai niente di simile» lo interruppi, determinata a
convincerlo.
«Forse non intenzionalmente, ma...» Lasciò la frase in sospeso prima di aggiungere:
«Quel che è peggio, è che potresti finire nelle mani sbagliate e i nostri nemici potrebbero
usarti contro di noi».
Aprii e chiusi gli occhi più volte e alla fine fissai il tappeto. Le poche forze che mi
restavano mi stavano abbandonando rapidamente. Lampi neri mi annebbiavano la vista,
ampliandosi sempre più fino a formare una parete solida che non riuscivo a penetrare.
Aveva vinto lui. Da un momento all’altro sarei sprofondata nell’oblio e lui avrebbe
potuto fare quello che voleva di me. Uccidermi. Neutralizzarmi. Mi sforzai di rimanere
sveglia, ma il richiamo seducente del sonno si faceva sempre più prepotente. Come potevo
addormentarmi nel mezzo del pericolo?
Se quell’uomo possedeva il minimo rimorso o senso di colpa, una qualche forma di
esitazione nel portare a termine il suo lavoro, dovevo appellarmi a questo prima che fosse
troppo tardi.
«Ti prego, Rome» dissi, articolando a fatica le parole, «non farmi del male. Non
uccideresti solo me, ma anche mio padre. Sono tutto quello che ha. Sono io che pago le sue
spese, lui è troppo debole per lavorare. Senza di me, perderà tutto e cadrà in miseria.
Perderà la casa... la vita. Hai mai avuto qualcuno che dipendesse da te per sopravvivere?»
Un’espressione di tenerezza balenò sul suo viso, come se stesse pensando a qualcuno.
Forse me l’ero solo immaginato o forse no. In ogni caso non ebbi il tempo di rifletterci
perché un istante dopo venni inghiottita dalle tenebre.
5
Entrai e uscii da sogni agitati e terribilmente vividi. Un pugnale balenò nella mia mente con
la punta affilata dapprima argentea e poi rosso sangue. Un grosso felino soffiò da un angolo
della stanza prima di spiccare un balzo per attaccarmi. Mi aveva attaccato veramente?
Non riuscivo a controllare il panico, ma almeno non sentivo più dolore. Le immagini
erano confuse; tutto sembrava accadere simultaneamente, anche se a distanza di secoli.
Lottai per cancellare tutta quella violenza, tuttavia non avevo il controllo della situazione.
Ero completamente inerme e vulnerabile.
Improvvisamente mi apparve il volto duro di Rome, sfocato. Sembrava risoluto e un po’
triste. «Mi dispiace» disse. La sua voce penetrò nelle tenebre che mi avvolgevano,
diradandole leggermente.
«Non farmi del male» lo implorai.
«Se non lo faccio io, lo farà qualcun altro e non avranno pietà.»
«Ti prego.»
«Devo farlo.»
«No.»
Lui sollevò una ciocca dei miei capelli e se la avvolse intorno a un dito. «Sei innocente
come Sunny» disse in tono gentile, poi fece un sospiro.
«Chi è...» Avvertii una puntura al braccio e sobbalzai. Un fiume incandescente si riversò
nelle mie vene, diramandosi in tutto il corpo. Al bruciore seguì una pace estatica che
pervase ogni mia fibra.
Caddi sempre più giù in un altro mondo di tenebre, precipitando nel vuoto. Non c’erano
ancore solide, nessun senso del tempo o dello spazio. Grazie al cielo, i sogni erano tenuti a
bada, evaporati come se non fossero mai esistiti. Fluttuavo su una coltre di nuvole.
Poi... niente. Nello stesso tempo... tutto.
Non so quanto tempo sia passato, ma a un certo punto qualche sprazzo di luce
incominciò a insinuarsi nella mente. Con la luce venne la forza e mi imposi di sollevare le
palpebre. Avevo bisogno di svegliarmi: sapevo che dovevo farlo. Qualcosa mi chiamava.
Allungai le braccia sopra la testa. Inarcai la schiena, raddrizzando una vertebra dopo
l’altra. Era piacevole muoversi.
Un profumo di pancetta e uova strapazzate si mescolava con la dolce fragranza dello
sciroppo, aleggiando verso di me come un dito che mi chiamava e prometteva di portarmi
dritta in paradiso. Mi venne l’acquolina in bocca.
Mentre mi sforzavo di svegliarmi completamente, mi guardai intorno nella stanza. La
confusione filtrò lentamente nella mia coscienza. Non so che cosa mi aspettassi di vedere,
ma certamente non quello che vidi.
Un armadio in finto marmo era appoggiato alla parete di fronte. Ma... io non avevo un
armadio. Sottili tendine blu pendevano all’unica finestra, tendine che avrebbero dovuto
essere verdi. La vecchia coperta malconcia che avevo comprato a un mercatino di strada
avvolgeva il letto in una moltitudine di colori, ma il materasso era diverso, più soffice del
mio. Sopra la mia testa un ventilatore a pale girava lentamente, producendo una brezza
leggera ma piacevole.
E io non avevo un ventilatore a pale nella mia stanza.
Dov’ero? L’ultima volta che avevo visto la mia camera da letto, c’erano macchie di
bruciato sul tappeto e sui muri. Queste pareti erano spoglie, scrostate ma pulite. Scossi il
capo e lo sguardo mi cadde su un angolo che sembrava una giungla, con piante
lussureggianti dalle foglie di un verde acceso, irrorate di rugiada. Le mie piante erano
rinsecchite, praticamente morte.
Era chiaro che ero stata trasferita. L’uomo che voleva neutralizzarmi mi aveva portata lì.
Sì. Si chiamava Rome e questo era quello che aveva fatto. Purtroppo non era stato un
sogno. Il suo viso severo e terribilmente sensuale era ancora vivido nella mia mente; le sue
minacce mi risuonavano ancora nelle orecchie e le dita mi tremavano per averlo tenuto a
bada.
Forse ero morta. Mi guardai le mani, rivoltandole alla luce. Mi sarei aspettata di
risvegliarmi in un laboratorio, legata a un tavolo, circondata da scienziati malvagi che
usavano il mio corpo per fare cose che non avrebbero fatto a un animale da macello.
Invece mi sentivo riposata e pulita. Sapevo perfino di menta, come se qualcuno mi avesse
lavato i denti da poco. Non osavo pensare quello che poteva significare.
Alzati, Jamison. Vattene da qui prima che Rome ritorni. Sì, sì. Ecco quello che dovevo
fare. Spostai una gamba oltre il bordo del letto.
«Bene. Ti sei svegliata» disse una voce fredda e dura dalla soglia. «Non starai cercando
di scappare?»
Con un sussulto, girai di scatto il capo in direzione della voce, lasciando penzolare la
gamba. Rome occupava tutta l’uscita con le braccia incrociate sul petto. Indossava un’altra
camicia nera con le maniche arrotolate fino al gomito e il primo bottone aperto. Le gambe
asciutte erano inguainate in un paio di pantaloni neri.
Avrebbe potuto essere un uomo d’affari se non fosse stato per gli occhi, che sembravano
dire ho visto le cose peggiori del mondo, e per le linee determinate che li circondavano.
Anche la fondina appesa alla spalla non aiutava a immaginarlo come uomo d’affari.
«Cercare di scappare? Io?» mormorai. «Mai.»
«Bugiarda» disse senza tuttavia scomporsi troppo. «Adesso che sei sveglia, faremo
colazione e parleremo.»
Mangiare? Parlare? Ma... «Perché non sono morta?» Il sangue mi si gelò nelle vene.
«Oh, mio Dio, tu sei uno di quei pazzi sadici che godono della paura degli altri.
Probabilmente mi descriverai tutti i modi in cui vuoi torturarmi, facendomi gridare e
implorare pietà, prima di darmi il colpo di grazia.»
Si accigliò e la sua espressione era così minacciosa da procurarmi un brivido lungo la
spina dorsale. «Non gridare. Non pensarci nemmeno. Dovrei sedarti e poi dovrei
occuparmi anche dei vicini.»
Deglutii davanti alla sua risolutezza. Tuttavia, c’era uno spiraglio. Aveva detto vicini; il
che significava che c’era qualcuno lì intorno.
«Hai cinque minuti per alzare il tuo culetto sexy e venire in cucina» disse, voltandosi.
Sexy? Rimasi a bocca aperta. Pensava che fossi sexy pur avendomi vista nelle
condizioni peggiori? Mi affrettai a reprimere l’ondata di piacere che mi aveva assalita e mi
rimproverai per quel comportamento da idiota affamata di sesso. «Hai approfittato di me
mentre dormivo?»
Lui si bloccò e mi lanciò un’occhiata da mi-prendi-in-giro? oltre la spalla. Poi si
allontanò e sparì lungo il corridoio, lasciandomi sola nella stanza. «Cinque minuti» ripeté.
Altrimenti?, avrei voluto gridare, ma facevo fatica a respirare. «Dannato virus»
borbottai, dal momento che mi rifiutavo categoricamente di attribuire la mancanza di fiato a
Rome.
Non intendevo farmi ammaliare dall’uomo che voleva uccidermi. Avevo anch’io i miei
principi.
Scappa, maledizione. Scappa! Mi aveva lasciata sola, l’idiota. Be’, non proprio sola ma
quasi. Se fossi riuscita a uscire da quell’appartamento/casa/qualsiasi cosa fosse, avrei
potuto chiedere aiuto a un vicino. Mi alzai dal letto, un po’ scossa ma più forte di quanto
non mi sentissi da quando ero stata male. Avevo addosso una canottiera e un paio di
mutandine diverse da quelle che ricordavo, il che voleva dire che quel bastardo
neutralizzatore aveva cambiato un’altra volta la mia biancheria.
Prima tappa: il bagno. Lo trovai senza difficoltà dato che era attaccato alla camera da
letto e mi dedicai alle questioni più urgenti, poi corsi all’armadio. La possibilità di fuga
ticchettava come una bomba nel mio cervello mentre afferravo il primo paio di jeans che
mi capitava sotto mano e li infilavo. Erano miei, evidentemente portati da casa mia.
Effettivamente diversi capi di vestiario che provenivano da casa mia erano appesi alle
grucce.
Mentre infilavo frettolosamente una maglietta, il mio stomaco incominciò a brontolare.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo mangiato? Il profumo della pancetta
era così invitante. Per quanto odiassi ammetterlo, quel profumo mi spingeva quasi a
dimenticare un piccolo particolare come il mio imminente omicidio per andare in cucina,
sedermi a tavola e ingozzarmi con la colazione.
Perché poi Rome voleva che mangiassi? Per avvelenarmi? Più che probabile. O forse
non aveva affatto intenzione di lasciarmi mangiare. Forse il cibo era solo per lui e io sarei
dovuta restare a guardarlo mentre mangiava. Quell’uomo era un mistero – questo era poco
ma sicuro – e io non sapevo che cosa pensare di lui o delle sue azioni... passate, presenti e
future. Non mi aveva ucciso quando ne aveva avuto la possibilità; non mi aveva fatto niente
di male, ne ero certa.
«Tre minuti» gridò Rome dalla cucina.
«Vai al diavolo» mormorai. Afferrai le scarpe da tennis dalla scarpiera e le infilai.
Erano mie, quindi calzavano alla perfezione. Scattai verso la finestra, scostai le tende e
guardai fuori.
Mi trovavo in un grande edificio di mattoni rossi e un altro palazzo simile si innalzava di
fronte. Guardai in basso e sorrisi di sollievo vedendo che la scala antincendio era
raggiungibile. Quando vidi la gente che passava per strada, fui tentata di battere le mani da
tanto mi sentivo eccitata. Una volta fuori, avrei potuto gridare aiuto.
Afferrai il bordo inferiore della finestra e tirai verso l’alto. Solo che... la finestra rifiutò
di aprirsi. «Amph.» Riprovai con tutte le forze, ma non ottenni alcun risultato. «Che
diavolo?» borbottai.
«Ho messo la sicura» lo udii dire. «E lo stesso vale per le altre finestre e per la porta
d’ingresso.»
Mi morsi l’interno della guancia, trattenendo un grido di rabbia e frustrazione. Il suo
tono era venato d’ironia e di compiaciuta superiorità. E come accidenti aveva intuito
quello che stavo facendo? Non poteva vedermi. Pensava che fossi così debole da non
essere necessario tenermi d’occhio? Bene, gliel’avrei fatta vedere io.
Forse avrei potuto tirare qualcosa contro il vetro, romperlo e saltare fuori. Mi bastavano
pochi secondi, giusto il tempo di attirare l’attenzione di qualcuno in modo che chiamasse la
polizia.
«Se stai pensando di rompere il vetro» disse, «sappi che è più spesso del normale e che
ci vuole molta forza anche solo per scalfirlo. E se stai pensando di richiamare l’attenzione
di qualcuno per strada o nell’edificio di fronte, sappi che il vetro ha una pellicola
particolare che impedisce di guardare dentro dall’esterno.»
Non dubitai delle sue parole. A un esame più attento, notai subito lo spessore del vetro
con un rivestimento più scuro. «Grazie tante per il bollettino» replicai a denti stretti.
«Di niente.»
Andiamo, Jamison, rifletti! Ci doveva pur essere qualcosa che potevo fare.
Possiedi il potere sui quattro elementi , aveva detto Rome. Non mi sentivo affatto
diversa, non mi sentivo dotata di superpoteri. Eppure ne avevo avuto la prova. Ero riuscita
a formare il ghiaccio sulle dita e avevo tenuto a bada un uomo con una specie di scudo
invisibile. Possedevo ancora quelle capacità?
Non sapendo cos’altro fare, mi allontanai dalla finestra e tesi le braccia. Avrei fatto
vedere a quel bastardo che cosa significava farmi perdere la pazienza. O almeno speravo.
Avrei mandato in mille pezzi quel dannato vetro e poi sarei saltata giù. O almeno speravo.
«Vento» mormorai a bassa voce per non attirare l’attenzione di Rome. «Io ti chiamo.»
Passò qualche secondo e non accadde niente. Nemmeno un soffio.
«Vento» ripetei a voce un po’ più alta. «È la tua padrona che ti chiama.» Un po’
drammatico ma... dannazione, ancora niente. «Ti ordino di buttar giù questa dannata
parete!»
Ancora una volta i miei sforzi non furono ricompensati. Perché non funzionava? Eppure
prima aveva funzionato. Quando mi resi conto di quello che stavo facendo, scossi il capo
incredula. Eccomi lì, convinta di possedere dei superpoteri. Chi avrebbe mai detto che
sarei finita in una situazione simile? Io, l’ordinaria Belle Jamison?
«Non ce la farai.» La voce di Rome mi arrivò alle spalle come una colata di miele.
Inspirai a fondo e mi irrigidii. Si era mosso così silenziosamente che non l’avevo sentito
arrivare e ora il suo respiro mi accarezzava il collo. Era così vicino che percepivo il
calore del suo corpo attraverso i vestiti.
Deglutii, ma non mi voltai a guardarlo. Probabilmente era mancanza di coraggio da parte
mia, anche se preferivo pensare che fosse prudenza. «Se mi colpisci alle spalle sei solo un
codardo» dissi.
«Per l’ultima volta, se avessi voluto farti del male, l’avrei già fatto. Adesso metti giù le
braccia e andiamo in cucina a parlare.»
«Maledizione, no.» Forse avrei dovuto cercare di fuggire proprio in quel momento.
Forse avrei dovuto girarmi di scatto e dargli una bella ginocchiata all’inguine. Un
momento, quella non era affatto una cattiva idea. Mi girai sollevando il ginocchio.
Lui mi afferrò per le spalle, facendomi girare di nuovo verso la finestra prima che
potessi procurargli alcun danno. Mi immobilizzò senza problemi. «Io non ti faccio del male
e tu non ne fai a me. Intesi?»
Increspai la fronte, fissando il vetro. «Perché non mi hai fatto del male?»
Lui ignorò la domanda. «Pronta a mangiare?»
«No, ma sono pronta ad andarmene.» Scossi le mani che tenevo ai lati del corpo,
aumentando il flusso sanguigno. Forza, vento!
«Bene.» Sospirò. «Continua pure a provare, ti servirà di lezione.» Allentò la pressione
sulle mie spalle e io riuscii a sollevare i palmi. «Alla fine capirai che non puoi andartene
per quanti sforzi tu faccia, e finalmente potremo metterci d’accordo.»
Strizzai le palpebre e cercai di visualizzare quello che volevo: un vento a raffiche,
impetuoso, violento, devastante. Passarono diversi secondi in attesa che succedesse
qualcosa. Era troppo chiedere almeno una brezza leggera? Evidentemente sì. Ottenni meno
di nulla. Nada.
«Te l’avevo detto» disse, facendo schioccare la lingua.
«Detesto quando la gente dice così.» Ero in preda all’irritazione e alla frustrazione, cui
si aggiungeva il senso di impotenza e un’acuta consapevolezza della sua presenza, cosa che
aumentava il mio nervosismo. «Se non fosse per te, non me ne starei qui a cercare di
ridurre in briciole questa finestra a mani nude.»
Sogghignò, producendo un suono simile alle fusa di un gatto e del tutto inaspettato in lui.
«Testarda.»
«Determinata.» Come osava ridere di me? Un vortice di collera prese il posto di ogni
altra emozione. «Sono stata minacciata, portata contro la mia volontà in un appartamento
sconosciuto e infettata con qualche strana formula. E non ne vedo ancora la luce in fondo al
tunnel! Cercherò di fuggire anche se dovesse essere... Ah!» Lanciai un grido quando le mie
dita presero fuoco.
«Magnifico» commentò in tono asciutto.
«Sto bruciando! Sto bruciando!» Presa dal panico, agitavo le mani in aria. Le fiamme
non fecero che intensificarsi. Se ancora non fossi stata convinta di avere dei superpoteri,
adesso ero costretta a crederci.
Rome sospirò. «Smettila di agitarti e rifletti. Ti brucia?»
Mi bloccai mentre le sue parole penetravano nella mia mente. Il panico si placò
leggermente, come pure le fiamme. Il fuoco morente produceva calore sulla mia pelle, mi
resi conto, ma stranamente non bruciava. «No» risposi sconvolta.
Lui mi passò le mani lungo le braccia, fino alle dita dove il fuoco si era ormai estinto, e
mi sfiorò le unghie con i polpastrelli. Provai un brivido delizioso, caldo ed erotico,
sufficiente ad accendere una miriade di sensazioni sulla pelle, calde come le fiamme, forse
di più.
«Sei una minaccia per te stessa e per il resto del mondo. Non c’è da stupirsi che i para ti
vogliano.»
«Chi, scusa?»
«I para-agenti.» Dato che non replicavo, aggiunse: «Agenti che indagano i fenomeni
paranormali».
«Chiunque siano, per me possono andare all’inferno» dissi, riportando l’attenzione sulle
mie mani. Non c’erano segni di bruciature, nemmeno un leggero arrossamento. Quello che
mi colpiva di più, tuttavia, era come apparivano delicate accanto a quelle di Rome. Le mie
erano sottili e di color olivastro, le sue grandi e forti, con una bella sfumatura abbronzata.
Le mie unghie erano un po’ mangiucchiate; ultimamente non avevo avuto il tempo né lo
stato d’animo per curarle. Le sue invece erano perfettamente limate. I palmi erano segnati
da cicatrici.
«Come ho fatto ad accendere quel fuoco?» chiesi. «È stato...»
«Pericoloso.» Emise un altro sospiro. «Temo che mi darai più problemi di quanti avessi
previsto.»
«Non sai nemmeno tu come ho fatto, vero?» Mi veniva da piangere. «Ho mandato a
fuoco le mie mani, dannazione. Non voglio che succeda ancora. Mai più!»
«Ma succederà. Farai di peggio prima che la giornata sia finita, ne sono certo. I nuovi
poteri si sono già integrati alla tua chimica. Ti hanno già cambiata. Mentre dormivi, erano
intermittenti e fuori controllo.» La sua voce era come un sussurro, una carezza che mi
scivolava lungo la spina dorsale. «Adesso...»
«Adesso?» ripetei esitante con lo stomaco stretto in una morsa.
«Adesso sei tu che devi gestirli, non permettere che succeda il contrario. Devi imparare
a dominarli, altrimenti ti consumeranno.»
Feci per voltarmi a guardarlo, ma lui mi bloccò posando il mento sulla sommità del mio
capo. Bene. Se non voleva che mi muovessi, sarei rimasta ferma. «Come fai a saperlo?»
chiesi, rimanendo immobile.
«Forse ci sono già passato anch’io.»
Rimasi a bocca aperta e istintivamente cercai ancora di guardarlo, ma lui aumentò la
pressione sulla mia testa, impedendomi di voltarmi. «Anche tu sei in grado di controllare i
quattro elementi?»
«No.» Non si degnò di darmi altre spiegazioni.
Mi morsi l’interno della guancia di fronte a quella risposta enigmatica. C’era già passato
anche lui, ma non aveva sperimentato le stesse cose. Come? Perché? Troppe domande.
Avevo un disperato bisogno di risposte. E Rome era l’unica persona di mia conoscenza in
grado di capire quello che mi stava succedendo. Così, sfortunatamente, quell’agente
segreto che aveva minacciato di neutralizzarmi era anche l’unica possibilità che mi restava
per evitare di impazzire. E io non conoscevo nemmeno il suo nome per intero.
«Aiutami a capire, Rome, ti prego.» Lui non rispose, e le lacrime mi salirono agli occhi
mentre mi assaliva un’ondata di impotenza. «Non ti permetterò di uccidermi e nemmeno di
portarmi in un laboratorio. Non sono stata io a chiedere che mi succedesse questo.»
«Ma è successo.» Le sue dita si chiusero intorno ai miei polsi come manette d’acciaio.
«E tanto perché tu lo sappia, non ti ho tenuta in vita per lasciarti scappare» mi avvertì in
tono minaccioso.
Prima che avessi il tempo di reagire o di protestare, mi aveva bloccato le braccia dietro
la schiena, stringendomi i polsi. La corda con cui mi aveva legata era fredda e robusta: non
avrebbe ceduto facilmente. Sentivo il cuore martellare contro le costole. «Lasciami andare!
Che cosa vuoi fare?»
Mi prese per le spalle e mi fece girare bruscamente, lasciando finalmente che lo vedessi
in viso. Il suo sguardo mi trapassò con una ferocia selvaggia che mi atterrì e mi tolse il
fiato. Era così intenso e penetrante, come se fosse capace di leggermi nel profondo
dell’anima. Poi i suoi occhi tornarono opachi e il lampo di luce si spense di colpo così
come si era acceso. «I tuoi cinque minuti sono scaduti.»
6
Prima che potessi formulare una preghiera del tipo “Dio, colpisci a morte questo
bastardo”, mi trovai legata come un tacchino per il Giorno del Ringraziamento e gettata
sulla spalla di Rome. Dopo che mi ebbe costretta in quella posizione poco dignitosa, mi
legò le caviglie con il resto della corda.
«Mettimi giù immediatamente!» gridai, cercando di sferrargli una ginocchiata nello
stomaco.
«Smettila di agitarti.» Mi fece rimbalzare di proposito sulla spalla, togliendomi il
respiro quando lo stomaco colpì la sua clavicola.
Appena ripresi fiato, borbottai: «Mi stai schiacciando i reni e il pancreas! Non sai che è
pericoloso? Mettimi giù prima che entri in coma».
«Se riesci a dirmi esattamente dove si trova il tuo pancreas, farò come dici.»
«È... oh! Dannazione a te. Mettimi subito giù. Non voglio stare con la faccia sul tuo
sedere.»
Ridacchiò producendo quel suono seducente e leggermente roco per la mancanza d’uso,
dal momento che non doveva essersi concesso molte occasioni di divertimento.
A passo sciolto e regolare, in modo da non farmi sobbalzare sulla spalla, percorse il
breve corridoio fino alla cucina, dove mi depositò su uno sgabello da bar. Privata dell’uso
delle mani, ondeggiai pericolosamente e per poco non caddi sul linoleum a fiori.
«Adesso mangia e parliamo.» Si spostò sull’altro lato del bancone e riempì un piatto con
uova strapazzate e pancetta.
Lo fissai con sguardo torvo, ignorando il brontolio allo stomaco. «Stavamo parlando.
Non c’era motivo di legarmi in questo modo.»
«Sì che c’era» replicò, posando lo sguardo sulle mie mani. «Pensa quello che vuoi, ma
non mi va di andare arrosto.»
Gli scoccai un sorriso compiaciuto. «Hai paura di me, Rome?»
Lui sbuffò con il naso. «Piuttosto della tua incapacità a controllarti.»
Un punto per lui (o dodici milioni, visto che non tenevo il conto). Avevo perso ogni
senso di superiorità e mi afflosciai. Aveva ragione. Se potevo mandare a fuoco le dita
senza alcuno stimolo di cui fossi consapevole, che cos’altro avrei potuto combinare?
Odiavo l’idea di avere dei superpoteri.
Nel preciso istante in cui mi venne quel pensiero, battei le palpebre. Superpoteri. Io.
Chi avrebbe mai pensato di usare quelle due parole nella stessa frase?
«Potresti fare del male sia a te stessa sia a me» disse Rome. Posò il piatto in mezzo a
noi, prese una porzione di uovo con un cucchiaio e me lo offrì. «Apri.»
«Al diavolo... oomph!»
Appena avevo aperto la bocca, mi aveva infilato dentro il cucchiaio. Vigliacco. Però era
davvero buono. Il sapore esplose sulla mia lingua, più intenso di qualsiasi cosa avessi mai
assaggiato. Chiusi gli occhi, assaporando quella burrosa delizia. Era condita alla
perfezione.
Killer, neutralizzatore e grande chef. Strana combinazione.
Si schiarì la gola, attirando la mia attenzione. Teneva lo sguardo fisso sul cibo, così non
potei leggere l’espressione dei suoi occhi, ma non ci sarei riuscita comunque.
«Ho una proposta da farti» disse con tono leggermente roco.
Deglutii e aprii la bocca per avere dell’altro cibo. Se le uova erano avvelenate, ero
disposta a morire. Lui inarcò un sopracciglio. «Boccone» dissi. «Che tipo di proposta?»
Un altro cucchiaio pieno arrivò alle mie labbra. Mi piaceva essere imboccata e la cosa
mi irritava. Gli lanciai un’occhiata torva, tanto per chiarire le cose.
«Del tipo il mio aiuto in cambio del tuo.»
Altro boccone. «Aiutarmi come? A tirarmi fuori dai guai? A salvare il mondo dalla mia
indole malvagia?»
Un lampo di collera si accese nei suoi occhi troppo azzurri, rischiarandoli. Subito dopo
tornarono a incupirsi. «Vuoi smetterla? Non ti ho uccisa e non ho intenzione di farlo.»
«Ti sei avvicinato con una siringa.»
«Non l’ho usata su di te.»
«Sì, l’hai fatto. Ricordo la puntura dell’ago sul braccio.»
Levò gli occhi al soffitto. «Ti ho somministrato un sedativo per farti dormire. Eri
agitata.»
«Questo non toglie che tu abbia cercato di neutralizzarmi.»
«Sei sempre così piena di rancore?» Mi ficcò in bocca un pezzetto di pancetta. «Un
uomo commette un piccolo errore e tu glielo rinfacci per l’eternità.»
Per poco non mi soffocai e dovetti fare uno sforzo per mandare giù il boccone di carne
salata. Quando ebbi ripreso fiato, ansimai: «Un piccolo errore, hai detto?».
«Già.» La sua espressione era impassibile. Era molto bravo a nascondere qualsiasi
emozione e io lo odiavo per questo. Lo guardai torva mentre mi ficcava in bocca una
cucchiaiata d’uovo e la masticavo.
Come faceva a restare così indecifrabile? Era come se avesse un interruttore: se voleva
che leggessi i suoi pensieri, me li mostrava. Se non voleva, non c’era niente da fare.
«Mi riesce difficile credere che consideri un piccolo errore l’aver tentato di uccidermi.
Piccolo è dimenticare di abbassare la tavoletta del water, lasciare in giro le calze sporche,
ammaccarmi l’auto e sostenere di non essere stato tu.» Stavo praticamente ringhiando
quando arrivai alla fine di quella tirata.
«Hai sete?»
Battei le palpebre, momentaneamente senza parole. «Tutto qui? Mi rispondi
chiedendomi se ho sete?»
«Lo prenderò per un sì.» Si alzò e andò ai pensili verde oliva che si intonavano
perfettamente al ripiano vecchio stile a righe verdi. Se non altro quella stanza non aveva lo
stesso intonaco scrostato della camera da letto, ma una carta da parati verde a pois bianchi.
Con la sicurezza di chi sa il fatto suo, aprì l’armadietto e prese un bicchiere.
«È casa tua?» gli chiesi.
«No.»
«Allora di chi è? Il proprietario sa che sei un criminale e che mi trattieni contro la mia
volontà?»
«Per il momento è casa nostra.» Fece una pausa e mi guardò con espressione ironica. «In
fondo è come se facessimo una luna di miele in segreto.»
Una luna di miele horror. «Hai ucciso qualcuno per procurarti questa topaia?»
Un sorriso gli increspò le labbra. «Pensi sempre male di tutti o sono solo io il
fortunato?» Prese un cartone di succo d’arancia dal frigorifero e riempì il bicchiere. Per
qualche istante l’unico rumore fu il piacevole gorgoglio del liquido che veniva versato.
Avrei potuto rispondergli con facilità, dicendogli che pensavo male di tutti quelli che
volevano neutralizzarmi. Invece cambiai argomento. «Per quanto tempo sono rimasta priva
di sensi dopo che mi hai fatto l’iniezione?» Preferivo non sapere che cosa avesse fatto al
proprietario dell’appartamento.
«Poco più di dodici ore.» Invece di portarmi alle labbra il succo d’arancia, rimase a
fissare il bicchiere. Vedevo solo il suo profilo, così non potevo leggere la sua espressione.
Non che ci fosse qualcosa da leggere, comunque. Non avevo mai conosciuto nessuno che
sapesse mascherare tanto bene le proprie emozioni. «Migliorerebbe le cose se ti chiedessi
scusa?»
Battei le palpebre. «Per aver cercato di uccidermi?»
«Di neutralizzarti.»
«È la stessa cosa.»
«No, non lo è, ma migliorerebbe le cose?» insistette, mantenendo lo sguardo fisso sul
bicchiere.
Non avevo bisogno di riflettere. «No.»
«Allora non perderò tempo a farlo.»
Serrai la mascella. «Perché mi hai risparmiata? Non mi hai ancora risposto.»
Ignorando nuovamente la domanda, si voltò verso di me e colmò la distanza che ci
separava, fissandomi con aria determinata. «Ti dirò una cosa. Se avessi avuto veramente
intenzione di farti del male, a quest’ora saresti morta. Avrei potuto spezzare quello scudo
con poco sforzo. Avrei potuto tagliarti la gola mentre dormivi. Avrei potuto imbottirti di
droghe e fare quello che mi pareva di te.»
Rabbrividii. Sì, avrebbe potuto fare tutte quelle cose, eppure non le aveva fatte.
«Perché?» Quante volte mi avrebbe costretta a chiederglielo?
Si strinse nelle spalle. «Apri.»
Obbediente, aprii la bocca e il bordo del bicchiere mi sfiorò le labbra un istante prima
che il succo fresco dal sapore intenso mi scendesse in gola. Il suo gusto ricco risvegliò
altre papille gustative. Non avevo mai assaggiato niente di più delizioso.
Rome posò il bicchiere e prese con il cucchiaio un pezzo di pancake gocciolante di
sciroppo. «L’altra organizzazione non governativa che ho nominato prima – la OASS – non
avrebbe esitato a ucciderti. I suoi uomini prima colpiscono e poi fanno le domande.»
Deglutii a fatica. Improvvisamente il cibo mi sembrava diventato di piombo. «Anche se
sono onorata che l’uomo incaricato di uccidermi...»
«Di neutralizzarti» mi corresse a denti stretti.
«Comunque sia, è la stessa cosa. Come stavo dicendo...»
«Non è la stessa cosa. Io volevo solo metterti fuori combattimento.»
«Già, ma volevi mettermi fuori combattimento per sempre.»
Emise un sospiro di frustrazione. «Non ho mai avuto intenzione di ucciderti.»
Altro boccone. «E va bene. Dopo avermi messo fuori combattimento per gran parte
dell’eternità, che cosa pensavi di fare?»
Si accigliò e le rughe sottili intorno agli occhi si infittirono. «Pensavo di farti cadere in
un sonno profondo per poi portarti dal mio capo, in modo che potesse fare degli
esperimenti su di te. Dopo di che ti avrebbe convinta a lavorare per lui o ti avrebbe messa
sotto chiave. Ecco. Sei soddisfatta?»
Non sapevo se avesse parlato sul serio o se stesse scherzando. In ogni caso le sue parole
non erano rassicuranti. «Che cosa ti ha fatto cambiare idea? E non evitare la domanda,
questa volta.»
«Ho controllato. Non hai mentito su tuo padre.» Per qualche strano motivo aveva un tono
accusatorio. «Sei tu che paghi perché stia in quella casa di cura.» Si strinse nelle spalle.
«C’è dell’altro, ma non ho intenzione di discuterne con te in questo momento.»
Non sapevo se credergli. «Se davvero hai deciso di non uccidermi, dimostramelo.
Slegami.»
«Meglio di no.»
«Ma...»
Mi mise a tacere infilandomi in bocca un altro pezzo di pancake. «Non hai idea dei
danni che potresti provocare. La tua inesperienza è pericolosa.»
Mi sforzai di inghiottire. «Inesperienza? Nel caso non te ne fossi accorto, non ho fatto
domanda per un nuovo lavoro. Nessuno ha esperienza di questo tipo di cose.»
Mi fissò intensamente. «Farai più esperienza di quanto immagini se non impari a
controllare il tuo lato emotivo. Hai notato che cosa succede quando perdi il controllo?»
«Stai dicendo che il fuoco è stato provocato dalla mia collera?» Mi passai la lingua sui
denti. «Be’, chiunque si sarebbe arrabbiato svegliandosi seminudo con un sicario ai piedi
del letto.»
«Un sicario» ripeté ridendo. «Mi piace.»
«Benissimo» replicai in tono asciutto. «Allora ti piacerà anche lurido topo di fogna.»
Non perse il suo buonumore. «Sto solo dicendo che non sai tenere a freno le tue
emozioni.»
«Oh, sì, invece! Altrimenti, ti avrei fatto ingoiare le palle al nostro primo incontro.»
«Ah, tutte queste parole gentili mi eccitano.»
Un altro sorriso, questa volta più languido, gli distese il volto, addolcendo la sua
espressione e conferendogli un fascino che trovavo irresistibile. Mi irrigidii. Come potevo
essere così stupida? Sembrava che più tempo passavo con lui, più il mio quoziente di
intelligenza si abbassasse. Mi concentrai sulle corde che mi stringevano i polsi, facendo
del mio meglio perché non notasse le mie manovre.
«Tanto perché tu lo sappia» riprese, porgendomi un altro cucchiaio di uova. Il suo viso
aveva perso ogni traccia di divertimento e gli occhi erano tornati inespressivi. «Non sono
l’unico sicario a essere comparso ai piedi del tuo letto. L’altra notte qualcuno è entrato nel
tuo appartamento.»
«Cosa?» Raddrizzai la schiena.
«Ha cercato di rapirti.» La voce di Rome si era fatta più profonda e minacciosa.
«Sapevo che ne sarebbero venuti altri, così ti ho portata qui.»
Il sangue mi si era gelato nelle vene al pensiero del pericolo che avevo corso senza
nemmeno rendermene conto. Non dubitai nemmeno per un secondo che Rome dicesse la
verità. I miei sogni, compresi di colpo, non erano stati affatto sogni. Erano fin troppo reali.
Avevo visto un uomo avventarsi su di me con un pugnale. Ma non mi aveva uccisa perché...
perché... La risposta venne automaticamente: Rome l’aveva ucciso per primo. Mi aveva
protetta. Fino a quel momento ero riuscita a ricorrere al sarcasmo per nascondere la paura,
ma ora non sarebbe servito. Avevo visto la morte in faccia e non potevo fare finta di
niente.
«Ha cercato di pugnalarmi» mormorai, pallida in volto. «Ricordo di aver visto il
pugnale.»
Rome batté le palpebre, sorpreso. «No. Ha cercato di rapirti. Era me che voleva
pugnalare. Ricordi molte cose per essere una che si suppone dormisse.»
«Solo dei frammenti, ma pensavo... pensavo che fosse un sogno.»
«No, non era un sogno. Che cos’altro hai visto?»
«C’era una pantera. Ho visto...» Aggrottai la fronte. «Non è possibile. Di certo non
poteva esserci un animale selvaggio nel mio appartamento.»
«No, certo che no» confermò con un tono che non lasciava spazio a discussioni. «Stai
confondendo i sogni con la realtà.»
Eppure era stato così vivido, così reale. Oh, andiamo, se ci fosse stata una pantera,
avrebbe lasciato dei segni. Per esempio un braccio mezzo divorato. «Chi era
quell’uomo?» chiesi con voce tremante.
«Non mi sono dato la pena di chiedergli come si chiamava. Tutto quello che so è che il
suo capo, Vincent, non sarà contento di sapere che ha fallito. Manderà altri agenti e
credimi, dolcezza, non ti farebbe piacere finire nelle loro mani. Ho visto quello che
Vincent fa alle sue vittime. Ti sottoporrà a esperimenti dolorosi, crudeli, con metodi che
perfino il mio capo ha messo al bando. Dopo di che, se sarai ancora viva, ti costringerà
con ogni mezzo a lavorare per lui.»
Era abbastanza terrificante, ma Rome non aveva ancora finito. «E non credere di riuscire
a ingannarlo, di dirgli che lavorerai per lui e fuggire. Il suo potere è quello di costringere
la gente a dire la verità. Nessuno può mentirgli. Nessuno. E non perché piaccia alle donne»
aggiunse in tono ironico.
Piace alle donne... Vincent... il Ragazzo Carino. Sì, aveva senso. Ricordai di aver
provato l’impulso di confidargli tutti i miei segreti. La vena sul collo prese a pulsarmi
selvaggiamente. «Non è quello che vuole fare anche il tuo capo, sottopormi a esperimenti e
costringermi a lavorare per lui?»
«Non con il dolore e con la forza. Farai quello che vuole oppure verrai rinchiusa come
gli altri esseri simili a te che si rifiutano di collaborare.»
«Di che tipo di esseri stiamo parlando?»
«Mutaforma di ogni genere. Persone che possono attraversare le pareti o succhiarti
l’anima. Credo di averti già parlato di quelli che hanno dei fluidi corporei così tossici che
ti ucciderebbero con un solo respiro. Vuoi che continui?»
Scossi il capo. Tutte quelle creature... armi viventi... eppure... «Perché non ho mai
sentito parlare di esseri simili prima? Perché nessuno sa della loro esistenza?»
«Perché il SIP svolge molto bene il suo lavoro, ecco perché. Vogliamo essere sicuri che
la gente continui a ignorare i paranormali, i supercriminali e tutto il resto.»
Santo cielo. «Supercriminali?»
«Criminali dotati di superpoteri. Vincent è uno di loro. Gli piace infliggere dolore anche
quando non è necessario. Gode a uccidere. Ma cattura e tiene sotto controllo altri
supercriminali. In effetti ne ha catturati più di chiunque altro, così il governo ha un occhio
di riguardo per lui. Gli permettono di vivere e di portare avanti i suoi esperimenti.»
Era troppo da digerire. Quasi incredibile. «I supercriminali...nascono così o lo
diventano?»
«Alcuni nascono così, altri lo diventano. Più esperimenti si fanno, più supercriminali
nascono. È un circolo vizioso.» La sua espressione si addolcì. «Quello che ti ho detto sulla
prigione è vero. Château Villain, come la chiamiamo affettuosamente, esiste veramente e
non ti piacerebbe. Una ragazzina sfrontata come te diventerebbe il passatempo di Veleno.»
«Veleno?»
«Una creatura che lavora per Vincent. La sua saliva contiene una tossina mortale e se ti
bacia...»
Deglutii.
«Vincent è uno dei motivi per cui esiste il SIP. Rimediare ai disastri causati da lui e
dalla sua cricca è un lavoro che ci occupa a tempo pieno.» Rome inclinò il capo,
studiandomi. «Ricordi l’incendio dell’anno scorso in quei grandi magazzini di Chicago,
quello in cui morirono quarantadue persone? Fu attribuito a un guasto dell’impianto
elettrico, ma era una menzogna. Vincent stava testando la formula dei quattro elementi e
diverse persone andarono a fuoco.»
Rabbrividii fino al midollo. «Perché vuole che le persone dominino i quattro elementi?
E perché le uccide per questo?»
«Pensaci. Può provocare una siccità, poi, se viene pagato bene, può salvare tutti con un
temporale. Può diventare ricco sfruttando questi poteri, può uccidere la gente e tenerla
sotto controllo.»
Mio Dio. Sentivo la bocca inaridirsi a ogni parola che pronunciava. Se non avessi avuto
le mani legate, mi sarei coperta le orecchie per non sentire altro. Là fuori c’era un mondo
orribile che un tempo pensavo non avrebbe mai potuto toccarmi. Quanto mi sbagliavo. Ora
rimpiangevo la perdita di quell’innocenza.
«Ho già messo serrature e catenacci speciali alle porte e alle finestre del tuo
appartamento» disse Rome. «In questo modo un assalitore non potrà entrare senza fare
rumore come ha fatto il primo. Era molto abile e determinato a prenderti. Chiunque altro
manderà Vincent lo sarà ancora di più.»
«Che cosa hai fatto del suo... cadavere?» domandai.
«Ho sistemato ogni cosa e ho ripulito il posto. Non c’è bisogno che ti preoccupi dei
dettagli.»
Gliene fui grata. Per il momento ne avevo abbastanza di quella vicenda. Non ero tagliata
per le attività clandestine. Perché mai avevo disprezzato la mia vita sicura, così normale e
ordinaria? Pazza che ero.
Scossi il capo quando Rome mi offrì un altro boccone di cibo. Il mio stomaco era stretto
in un nodo e minacciava di ribellarsi. «Non mi sento molto bene» mormorai.
Seguì una lunga pausa di silenzio. «Credo che tu sia pronta ad ascoltare la mia proposta»
disse infine. Sedette sullo sgabello accanto e spostò il mio in modo che gli stessi di fronte.
In un primo momento fissai la scollatura della sua camicia. Mi piaceva di più guardarlo
che pensare a tutti quei mostri e ai loro piani malvagi. La pelle di Rome, abbronzata dal
sole, spiccava contro il nero della camicia. Una sottile peluria scura si intravedeva appena,
non abbastanza da notarla a un primo sguardo ma sufficiente a stuzzicare la fantasia. Come
sarebbe stato passare le mani sul suo petto... esplorarlo e indugiarvi con le dita?
Che cosa stai facendo, idiota? Non potevo sentirmi attratta da lui. Un uomo che aveva
appena ammesso di aver ucciso. Un uomo che non si era fatto scrupoli di farmi perdere i
sensi. Per quanto sexy fosse, non potevo sentirmi attratta da lui. Giusto? Giusto. Anche se
mi aveva salvata da un assassino, non ero certa di potermi fidare completamente.
«Belle?»
Battei le palpebre, riscuotendomi dai miei pensieri. «Cosa?»
«Non mi stai ascoltando.»
Spostai lo sguardo sul suo viso. Mi stava guardando con uno strano bagliore negli occhi
azzurri. Diverse ciocche di capelli scuri erano ricadute sulla sua fronte. Sembrava un
ragazzino se non fosse stato per il senso di pericolo che emanava. Pericolo... e sensualità.
Era il sogno proibito di qualsiasi donna, un dio appena alzatosi dal letto e ansioso di farvi
ritorno.
Avevamo deciso di smetterla con questi pensieri, ricordi? «Che cosa stavi dicendo?»
chiesi.
Lui fece roteare gli occhi. «Ti stavo dicendo che ti hanno licenziata dal caffè, per cui
non hai più un reddito. Avresti dovuto ascoltare il messaggio che ti ha lasciato sulla
segreteria Ron.»
Inspirai piena d’indignazione. Non mi piaceva che Rome avesse ascoltato i messaggi
destinati a me sola. «Ha chiamato mio padre?» chiesi a denti stretti.
«Sì» rispose senza esitazione e senza la minima vergogna. «Abbiamo fatto una bella
chiacchierata. C’è rimasto un po’ male perché non gli avevi parlato di me, ma è contento
che tu abbia finalmente trovato un uomo in grado di sopportare il tuo spirito sarcastico e ci
ha tenuto a farmi sapere che hai anche un lato dolce, che dovrei scoprire se avrò
abbastanza pazienza per cercarlo.»
Un lampo di collera mi balenò davanti agli occhi. «Hai parlato con mio padre?»
«Sì e anche con la tua amica Sherridan. Voleva sapere perché non l’avevi chiamata negli
ultimi giorni e chiederti se ce l’avevi con lei per via dei gemelli. Le ho detto che avevi
speso tutte le tue energie nel tentativo di conquistarmi e lei mi ha detto di consigliarti di
provare con un completo di pelle nera e un frustino da cavallerizza. Una ragazza
interessante. È single?»
Questo era decisamente troppo! La mia amica d’infanzia e l’uomo che era responsabile
della mia nascita non avevano pensato che fosse strano parlare con uno sconosciuto che
non avevo mai menzionato e che non avevo mai presentato loro? O che si trovasse nel mio
appartamento e rispondesse al telefono? Per quel che ne sapevano, poteva essersi
introdotto con l’intenzione di uccidermi. Un momento...
«Comunque» stava dicendo Rome, agitando la mano, «anche se li ami e loro amano te, in
questo momento io sono tutto quello che hai. Sono l’unico che può aiutarti.»
Quel lugubre avvertimento allontanò la collera e risvegliò la paura. Una paura fredda,
terribilmente reale, che mi congelò la punta delle dita. Se la collera provocava le fiamme,
aveva senso che la paura provocasse il gelo. Come aveva detto Rome, non sapevo tenere a
freno le emozioni. Aveva ragione. Su tutto. «Che cosa dovrei fare? Nascondermi?»
«No. Non hai esperienza e ti prenderebbero prima che tu raggiunga la fine dell’isolato.
Quello che devi fare» disse, battendo un dito sul ripiano, «è liberarti della OASS. Il modo
migliore per farlo è trovare lo scienziato che ha creato la formula, il dottor Enrich
Roberts.»
Lo fissai, incredula. «Magnifico, ma come dovrei fare? Ho dei problemi a trovare le mie
chiavi.»
«Ti aiuterò io. Forse il dottore può farti tornare come prima. E se non è possibile, be’,
gli proporremo uno scambio, o almeno fingeremo di farlo. La sua vita per la tua. Non posso
permettere che Vincent lo riprenda con sé. È già riuscito una volta a convincerlo che
lavorando per lui avrebbe fatto del bene all’umanità. Non posso correre il rischio che ci
riesca una seconda volta.»
Quello che avevo capito da tutto quel discorso era che c’era una probabilità che potessi
tornare me stessa. Normale e ordinaria com’ero sempre stata. Il solo pensiero era
inebriante, meraviglioso. Solo che... un pensiero inquietante si insinuò nella mia felicità,
facendomi aggrottare la fronte. «E tu che cosa ci guadagni, Rome?» domandai. «I tuoi
ordini erano di catturarmi. Se mi stai dicendo la verità, vuol dire che hai disobbedito agli
ordini e che lavori contro il tuo capo. Perché dovresti fare una cosa simile per me, una
perfetta sconosciuta?»
Serrò la mascella e si strinse nelle spalle. «Forse il mio capo ha cambiato idea. Forse
ora ritiene che saresti più utile lasciandoti in circolazione.»
«E forse mi stai raccontando un sacco di balle» replicai. Probabilmente si aspettava che
accettassi la sua spiegazione senza commenti. Bene, poteva tenersi tutti i suoi stupidi forse.
«Forse è contro di me che lavori. Forse il tuo piano è uccidere il dottor Roberts e poi dare
la colpa a me.»
Rome rimase in silenzio.
«Prima di lasciarmi libera, il tuo capo avrebbe preteso di vedere quello che posso
fare.»
Ancora silenzio.
«Non è così?» chiesi. «Dimmi la verità, Rome. Vuoi davvero aiutarmi? O stai cercando
di ingannarmi in modo da attribuirmi la colpa di qualcosa?»
Di nuovo tenne la bocca chiusa. Mi sentii avvampare di collera, ma per fortuna non presi
fuoco. Mentre continuavo a lavorare sulle corde ai polsi e alle caviglie, sentivo mani e
piedi farsi bollenti come la mia collera. Era in gioco la mia vita e non potevo rischiare
tutto nella speranza che Rome non volesse farmi del male.
«Non otterrai alcun aiuto da me» dichiarai.
«Non voglio incolparti di un crimine» disse finalmente. «E il mio capo non sa che non
ho intenzione di consegnarti a lui. Soddisfatta?»
«No.» Non lo ero affatto. «Ha un nome questo tuo capo?»
Calò un altro pesante silenzio prima che Rome si decidesse a rispondere: «John Smith».
«Certo. Come mille altri. Bene, non dirmelo. Tanto non lo conosco. Ma perché non vuoi
portarmi da lui? Dammi una buona ragione per crederti. Dimmi perché tutt’a un tratto sei
disposto ad aiutarmi a salvare la vita quando poco fa eri così determinato a togliermi di
mezzo.»
Inarcò le sopracciglia scure e i nostri sguardi si incontrarono. «Non puoi fidarti
semplicemente di me?»
«No. Nein. Njet. Devo dirtelo in un’altra lingua?»
Si passò una mano sul viso e strinse fra le dita il ponte del naso. «Non ti consegnerò al
mio capo e non permetterò che tu cada nelle mani di Vincent» disse. «Né ora né mai. Ti do
la mia parola. Se non riusciremo a rintracciare il dottore, troverò un altro modo per
liberarti di Vincent.»
«Perché lo faresti?»
«Perché...» Fece una pausa, come se quella confessione gli costasse fatica. «Perché...
dannazione. È un’informazione che non ti serve in questo momento.»
Smisi di armeggiare con le funi e mi spinsi sull’orlo dello sgabello. «Dimmelo lo
stesso.»
«Perché» riprese, fissandomi con uno sguardo così intenso da farmi bruciare la pelle,
«perché devo nascondere mia figlia e tu sei l’unica che può aiutarmi a farlo.»
7
Subito dopo aver lanciato quella piccola bomba – Rome ha una figlia. Una figlia! – si
alzò in piedi facendo slittare lo sgabello all’indietro. Andò all’estremità del banco e tirò
fuori qualcosa da uno dei cassetti. Continuava a darmi le spalle. «Mi aiuterai, vero?»
chiese.
«Tutto quello che vuoi, capo» risposi, un po’ incerta. Che cosa stava facendo?
«Bene.» Girò sui tacchi e venne verso di me tenendo in mano un... Oh mio Dio!
Impugnava un coltello!
Sussultai e ribaltai lo sgabello. Atterrai con un tonfo e il linoleum freddo non fece nulla
per attutire la mia caduta. Un dolore acuto mi trapassò le braccia. Uno scudo, avevo un
dannato bisogno di uno scudo d’aria, ma avevo letteralmente le mani legate. Cercai di
strisciare all’indietro, facendo leva sui piedi, ma non fui abbastanza veloce. Rome mi
raggiunse e scosse il capo.
«Sei così sospettosa.»
«Come puoi farmi questo?» gridai. Non so che cos’avrei dato per poter allungare le
braccia e fermarlo con uno scudo d’aria. Se solo fossi stata in grado di far funzionare il
mio potere senza l’uso delle mani. «Io... ti friggerò. Ti squarterò in due con un tornado.
Dici che sono in grado di provocare un tornado e lo farò.»
Impassibile, gettò in aria il coltello e lo riprese al volo.
«Hai bisogno del mio aiuto per nascondere tua figlia» gli ricordai. «Come puoi...
ummph!»
Senza una parola, mi rigirò sullo stomaco. Attraverso il panico e lo sgomento, registrai
il rumore della lama che tagliava le corde. Una volta, due. Rimasi a bocca aperta
rendendomi conto che mi stava liberando i polsi e le caviglie.
«Sei libera» disse. «Ti fidi di me, adesso?»
Portai le braccia davanti a me, aprii le gambe, quindi balzai in piedi. Insieme alla libertà
arrivò una specie di spavalderia. Gli puntai un dito contro il petto ringhiando: «Non
minacciarmi mai più con un coltello».
Lui inarcò un sopracciglio con espressione insolente. «E nemmeno con un ago?»
«Giusto.»
«Niente oggetti appuntiti, eh? Così mi togli tutto il divertimento.» Gettò il coltello
nell’acquaio con un lancio preciso. La punta si conficcò nello scarico e l’impugnatura
oscillò più volte. «Ci sono un paio di cose che devo fare» disse, fissandomi negli occhi
con un sguardo intenso. «Posso fidarmi che resterai qui?»
Feci fluttuare le ciglia con aria innocente. «Ma certo. Puoi fidarti di me tanto quanto io
posso fidarmi di te.»
«La prenderò come una dichiarazione di fiducia» replicò in tono secco. Strinse le labbra
e poi aggiunse: «Non darti la pena di chiamare qualcuno. Non ci sono telefoni qui. Non
uscire da questo appartamento. Ti darebbero la caccia. Ho cancellato le nostre tracce, ma
questo non significa che tu sia completamente al sicuro».
Sollevai il mento e lo guardai con tutta la spavalderia di cui ero capace. «Ammesso che
siano capaci di prendermi anche sapendo dove mi trovo.»
Levò gli occhi al cielo e avanzò verso di me, riducendo il mio prezioso spazio
personale. Mantenni la posizione e non indietreggiai come volevo, o piuttosto come avrei
dovuto volere. Irradiava un calore che mi procurò un brivido delizioso.
«Sei vulnerabile, Belle. Finché non impari a controllare i tuoi poteri, non sei
l’invincibile Ragazza della Tavola Periodica e verrai sconfitta. Ogni volta.»
«Non chiamarmi così!» protestai, pestando un piede per terra. Quel nome sembrava
ribadire che non ero più me stessa. Ero qualcun altro, una persona diversa, pericolosa e
braccata.
«Vulnerabile?» chiese con un mezzo sorriso. «O Ragazza della Tavola Periodica?»
«Tutti e due. Non sono una supereroina. Troverò il modo di liberarmi da questi poteri e
allora tutti dovranno lasciarmi in pace.» Niente valeva il rischio di essere sottoposta a
esperimenti e/o uccisa.
«Per il tuo bene, spero che troveremo il dottore.» Il suo tono aveva perso ogni traccia di
umorismo e si era fatto grave e triste.
Un momento. C’era qualcosa che non andava. Qualcosa... Socchiusi gli occhi e
appoggiai le mani ai fianchi. «Ti sei contraddetto, Rome. Se lo troviamo e lui mi aiuta a
liberarmi dei poteri, non sarò più in grado di aiutarti a nascondere tua figlia, giusto? Non
che abbia ancora capito come dovrei aiutarti. E non puoi dirmi soltanto che tua figlia ha
bisogno di essere nascosta e nient’altro. Ho bisogno di maggiori dettagli. Perché vuoi
nasconderla? Qualcuno la sta cercando?»
Chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. «Ti piace il suono della tua voce, vero?
Ecco perché fai tante domande.»
«Rispondimi. Ti avverto che continuerò a chiedertelo finché non otterrò delle risposte.»
«No, nessuno la sta cercando. Non ancora. Ma è una bambina e merita una vita normale
che qui non potrà mai avere. Non avrà alcun tipo di vita se non la nascondo, perché verrà
presa da uno dei para-agenti, con o senza il mio consenso.» La sua voce era tesa, piena di
dolore. «E non ho mai precisato quando ti permetterò di provare a liberarti dei tuoi
poteri.»
Aggrottai la fronte. «Provare?»
«Hai notato che ripeti spesso quello che dico io? Comunque sì, hai capito bene. Ora, a
meno che tu non voglia continuare a discuterne, cosa che ti sconsiglio, è meglio che vada.»
Stava mettendo alla prova il mio (praticamente inesistente) autocontrollo, ma fu un test
che superai alla grande. Invece di investirlo con una raffica di insulti o di prenderlo a
schiaffi fino a farlo cadere a terra e frignare come un bambino, cambiai argomento, senza
dirgli che avrei fatto quel che accidenti volevo una volta che fosse uscito.
Tuttavia non potevo mostrarmi troppo ansiosa che se ne andasse.
«Dove vuoi andare?» chiesi. «Qualcuno potrebbe cercare di intrufolarsi qui in tua
assenza.»
«Devo prendere alcune cose che ci servono e, onestamente, preferisco rischiare che
qualcuno si introduca qui piuttosto che farti uscire all’esterno. Potresti incenerire tutto ciò
che ti capitasse a tiro.»
Alzai le mani in un gesto di esasperazione. «Quante volte devo ripetertelo? Non sono un
pericolo per nessuno.» Per l’amor del cielo, non ero riuscita nemmeno a provocare un
soffio di vento. E anche quando avevo appiccato fuoco alle mie dita non avevo danneggiato
niente e nessuno. «Questo è...»
«Adesso basta» disse, mettendomi a tacere. «Un’altra parola e ti lego di nuovo.»
Sussultai. Sapevo che non scherzava e questo mi faceva infuriare. Sosteneva che non era
più sua prigioniera e che ci saremmo aiutati a vicenda, ma già mi stava minacciando di
legarmi. Se avesse osato prendere quella corda, io... io...
Una piccola palla di fuoco si sprigionò dai miei occhi e andò a schiantarsi contro la
parete della cucina.
Gridai nel momento stesso in cui mi resi conto di quello che era successo. Rome si gettò
a terra. Riuscì a evitare l’impatto, ma diverse scintille gli sfrigolavano sulla guancia.
Spalancai gli occhi inorridita mentre fissavo l’inferno che si stava scatenando.
«Stavi dicendo?» mi chiese Rome, inarcando un sopracciglio insolente mentre si
sfregava la guancia.
Il mio orrore cresceva con la velocità delle fiamme. Mi precipitai all’acquaio e riempii
una tazza d’acqua, gettando il contenuto sulle fiamme e ripetendo l’operazione più volte.
Non servì a molto.
Ricorrendo all’estintore, Rome riuscì a contenere l’incendio ma non la mia
mortificazione. Mio Dio, ero davvero pericolosa. Forse Rome e gli altri avevano ragione a
volermi togliere di mezzo. L’aria era satura dell’odore di legno e intonaco bruciati. Dense
volute di fumo nero salivano fino al soffitto, facendomi tossire.
Dopo aver messo da parte l’estintore, Rome strappò il segnalatore di fumo dal soffitto
prima che entrasse in funzione. Lo gettò nell’acquaio e mi lanciò uno sguardo tagliente.
«Pensi ancora che il mondo sia al sicuro con te?»
«No» mormorai, sconfitta. «Sono un fenomeno da baraccone.»
«Non starò via più di un’ora. Cercherai di controllarti?»
«Lo farò.» Avrei potuto uccidere Rome, incenerirlo. Volevo fuggire da lui, ma non
distruggerlo. In fondo non mi aveva mai fatto del male.
Dopo un sospiro profondo mi prese il volto tra le mani per costringermi a guardarlo. Il
tocco delle sue dita era meraviglioso, ruvido ma estremamente sensuale. Caldo e forte ma,
cosa più sorprendente di tutte, rassicurante. Il calore sembrava penetrare attraverso la
pelle fin nelle ossa.
«Belle» disse con una voce gentile come il suo tocco.
Alzai lentamente lo sguardo.
Quando lui chinò il capo, il respiro mi si bloccò in gola.
Avrei avuto il tempo di protestare mentre si impadroniva della mia bocca, ma non lo
feci. Non potevo farlo quando desideravo quel bacio con tutta me stessa. Era pericoloso ed
eccitante e con tutto quello che stava succedendo, era possibile che non avessi un domani.
Perfino un’ora mi sembrava in forse in quel momento. Mi sarei concessa quel piacere
senza sensi di colpa, senza esitazione, senza rifletterci sopra. L’avrei preso, assaporato e
goduto. Dopotutto, poteva essere l’ultima cosa buona che mi riservava la vita.
Mi sfiorò le labbra una, due volte. Forse aveva intenzione di fermarsi a quel breve tocco
innocente, ma io non glielo permisi. Aprii la bocca e gli offrii la mia lingua.
Perdemmo entrambi il controllo all’istante. Ogni gentilezza era svanita, sostituita da un
bisogno innegabile. Mi reclamò con un basso gemito di gola e affondò la lingua nella mia
bocca, pretendendo una resa totale.
Inclinò la testa di lato per un contatto più profondo e mi passò le dita tra i capelli,
tenendomi stretta. Aveva un sapore caldo, virile, con qualcosa di selvaggio, di
estremamente carnale. Non ero in grado di dargli un nome, ma sapevo che era qualcosa che
non avevo mai sperimentato prima. E ne volevo di più, molto di più.
Le nostre lingue si cercarono, fameliche. Mi aggrappai alla sua camicia, come se temessi
che potesse svanire da un momento all’altro. Un senso di calore cresceva dentro di me. Era
iniziato come una piccola fiamma deliziosa che si diffondeva rapida di cellula in cellula.
I capezzoli si inturgidirono, sfregando a ogni movimento contro il tessuto della maglietta.
Sentivo le gambe deboli mentre l’eccitazione cresceva.
Rome mi afferrò i capelli in una stretta dolorosa, come se avesse bisogno di un’ancora,
come se non sopportasse l’idea di lasciarmi andare per nessuna ragione. Ma l’istante
successivo si staccò bruscamente con un sordo brontolio.
«Rome?» mormorai senza fiato.
Allungò un braccio per tenermi a distanza, ancora ansimante. «Stavi per bruciarmi»
ansimò.
Ero io che stavo ardendo di desiderio in quel momento. Lo volevo ancora tra le mie
braccia, volevo sentire ancora la sua lingua nella mia bocca. E questa volta volevo sentire
la sua erezione fra le gambe, che si muoveva su e giù, dapprima lentamente, poi sempre più
rapida fino a portarmi all’orgasmo. Solo che lui intendeva bruciare in senso letterale, mi
resi conto vedendo il fumo salire dalle mie mani.
Come potevo desiderarlo con tanta intensità? Proprio lui!
Inspirai a pieni polmoni, ma non fu d’aiuto. Il suo aroma virile mi penetrò nelle narici,
suscitando un’altra vampata di desiderio che mi procurò un fremito allo stomaco.
Dannazione, non avremmo dovuto farlo; ora ero ancora più vulnerabile nei suoi confronti
di quanto lo fossi prima.
Strinsi le mani a pugno e mi concentrai sulla mia collera. In quel momento, qualsiasi
emozione era meglio del desiderio. Non avrebbe dovuto baciarmi. «Rome.»
«Non avrei dovuto farlo» disse, dando voce ai miei pensieri.
«No, non avresti dovuto.» Trattenni l’impulso di passarmi le dita sulle labbra gonfie e
palpitanti.
«Non ti dirò che mi dispiace» mormorò con voce di gola. «E nemmeno che non lo
rifarò.»
Serrai le labbra, lottando contro un’ondata di piacere. Dovevo aggrapparmi alla collera.
«Te l’ho forse chiesto?»
Lui scosse il capo e un lampo di soddisfazione brillò nei suoi occhi. «Chiesto se ho
intenzione di rifarlo o chiesto di non farlo?»
«Oh, taci.» Mi ero praticamente gettata tra le sue braccia e ora non ero disposta a
peggiorare le cose dando voce al mio desiderio. Doveva aver intuito che alcune parti di
me, quelle più femminili, desideravano che lo rifacesse. E presto. I miei capezzoli erano
ancora turgidi e la tensione fra le gambe chiedeva di essere alleviata.
Allungò il braccio e mi passò le dita sulle labbra, risvegliando le fiamme del desiderio.
«Puoi fidarti di me.» C’era una traccia di senso di colpa nella sua voce? «Nonostante tutto
quello che è successo, o forse proprio per questo, puoi star certa che non ti farò del male.
Non ti tradirò.»
Stranamente, volevo credergli. Volevo mettere la mia vita nelle sue mani. Nello stesso
tempo non potevo fidarmi del mio istinto, considerato dove mi aveva portato finora.
Lui prese il mio silenzio per una capitolazione e aggiunse: «Controllerò l’edificio e i
dintorni. Se resti qui, sarai al sicuro». Con un’ultima carezza, si allontanò. O meglio, sparì,
lasciandosi dietro una stanza vuota.
Corrugai la fronte muovendo lo sguardo da un angolo all’altro. Un attimo era di fronte a
me, l’attimo dopo non c’era più. In effetti, l’unica prova della sua presenza era il delizioso
formicolio alla guancia e il rimescolio allo stomaco.
«Rome» chiamai. Avrei dovuto sentire la porta d’ingresso che si chiudeva o almeno una
finestra che si apriva. Dato che non avevo udito niente, mi aggirai con passo guardingo
nello squallido appartamento. Non c’era traccia di lui.
Come diavolo aveva fatto ad andarsene così silenziosamente? Come aveva detto, porta e
finestre erano dotate di un marchingegno futuristico da para-agente che ne impediva
l’apertura. Dubitavo che Rome potesse passarci attraverso. O invece poteva farlo?
Dopotutto, che cosa ne sapevo io?
«Se n’è andato» mi dissi. «Non è importante come.» Invece di perdere altro tempo,
perlustrai di nuovo l’appartamento in cerca di un telefono. Avevo bisogno di sentire la
voce di mio padre.
Rome non aveva mentito nemmeno su quel punto: non c’erano telefoni. «Maledizione.»
Camminai avanti e indietro nell’angusto soggiorno meditando. Il telefono nel mio
appartamento era stato messo sotto controllo? Se fossi uscita dall’edificio in cerca di un
telefono pubblico, mi avrebbero seguita? O addirittura uccisa?
Rapita?
Non starò via più di un’ora, aveva detto Rome. Dovevo prendere una decisione subito.
Restare lì e aspettare che tornasse, fidandomi che mantenesse la parola e mi proteggesse,
oppure uscire, fare del mio meglio per difendermi da quello che mi aspettava fuori e per
difendere il mondo da me stessa.
In entrambi i casi poteva essere la decisione sbagliata. In entrambi i casi, mi sarei messa
nei guai.
Mi massaggiai le tempie, in preda alla frustrazione e all’urgenza di decidere. Quello di
cui avevo bisogno era un po’ di tempo per riflettere da sola senza preoccuparmi del ritorno
di Rome. Tempo per decidere secondo i miei termini e non i suoi. Tutto quello che aveva
detto poteva essere una bugia allo scopo di ridurmi in suo potere. Oppure no. Ahhh.
C’era qualcosa che non mi convinceva nell’accordo che mi aveva proposto, ma in quel
momento non riuscivo a capire esattamente che cosa fosse. Tuttavia continuavo a provare
una sensazione di disagio che non mi piaceva per niente.
Sospirai. Finché non avessi capito che cosa c’era che non andava, era meglio che
fuggissi, come avevo intenzione di fare all’inizio. Sarei stata prudente. Non mi sarei
permessa nemmeno un’emozione e in questo modo avrei protetto il mondo esterno. Non mi
sarei fidata di nessuno e in questo modo avrei protetto me.
Naturalmente non potevo tornare nel mio appartamento. Dovevo trovare un posto dove a
nessuno sarebbe venuto in mente di cercarmi.
Determinata, lottai per diversi minuti con la porta d’ingresso senza riuscire ad aprirla.
Non avevo molto tempo per fuggire, sapendo che Rome sarebbe tornato entro breve. Fissai
la maniglia. Non sarei mai riuscita ad aprirla.
Dovevo bruciarla.
Più rapidamente che potevo, frugai l’appartamento e trovai una borsa di tela. Vi gettai
dentro tutto quello che mi apparteneva. Grazie al cielo, Rome aveva portato diversi miei
indumenti e alcuni oggetti da toilette. Non aveva preso la mia carta di credito, ma il rotolo
di banconote che trovai sotto il materasso serviva altrettanto bene allo scopo. Infilai il
denaro in tasca.
Pronta ad affrontare nuovamente la porta, mi piazzai di fronte al battente, fissandolo.
Come potevo appiccare il fuoco senza provocare un incendio devastante? Forse
consentendomi un po’ di collera, solo un po’, e augurandomi che bruciasse solo la
serratura e non il resto.
Dopo un profondo respiro, lasciai cadere la borsa ai miei piedi e mi preparai a
scatenare la giusta dose di calore. Per farlo dovevo pensare a qualcosa che mi irritava
senza farmi infuriare.
Okay. Odio quando la gente mi passa davanti in coda. Odio anche i clienti sgarbati e i
lavori umili. Oh, così va bene, pensai, dandomi mentalmente una pacca sulla spalla mentre
sentivo nascere una scintilla di rabbia. Purtroppo, la pacca mentale spense rapidamente
l’irritazione, riempiendomi di soddisfazione.
Concentrati! Che cos’altro ti fa arrabbiare? Ci sono! Ci sono! Odio essere inseguita
dai cattivi. Non sopporto che ci sia qualcuno che vuole uccidermi. Odio che mi abbiano
fatto bere una formula sperimentale senza il mio consenso. Odio essere disoccupata,
senza un soldo, e dover pagare la retta della casa di cura di mio padre.
Il respiro divenne ansimante mentre la collera cresceva. Strinsi le mani a pugno. Odiavo
che Rome fosse così incredibilmente sexy. Odiavo ammettere che lo desideravo ancora. E
che cosa diavolo significava che aveva una figlia? Una figlia, per l’amor del cielo! Sapevo
che non aveva mentito. I suoi occhi si erano riempiti di un’emozione sincera e vi avevo
letto paura e un bisogno disperato. Questo significava che aveva anche una moglie?
Oh, quel vigliacco! Aveva una mogliettina a casa e mi aveva baciata come se non
potesse vivere un istante di più senza pulirmi le tonsille. Mi aveva accarezzata e mi
aveva...
Una palla di fuoco si sprigionò dal mio sguardo e sbatté contro la porta. Il rinculo mi
scaraventò indietro. Mentre cadevo, continuavo a sprigionare fiamme e il fuoco si
propagava ovunque guardassi, tracciando un sentiero letale da un angolo all’altro della
stanza. Ansimando, serrai le palpebre e cercai di fermare l’incendio vuotando la mente.
Ma appena ebbi chiuso gli occhi, sentii le dita prendere fuoco. Santo cielo! Avevo dato
il via a un processo che non voleva fermarsi. L’odore di bruciato mi riempiva le narici.
Il cuore mi martellava nel petto. Calmati, Belle Jamison. Subito! Calmati, ti prego. Se
non ci riuscivo al più presto, avrei raso al suolo l’intero edificio. Delle persone sarebbero
morte per causa mia. Respira a fondo: dentro, fuori. Il calore continuava ad avvolgermi e
il mio corpo rispondeva producendone dell’altro.
«Posso controllare il fuoco» mormorai, tenendo le mani e cercando di far rientrare
l’incendio dentro di me. Fa’ che funzioni, fa’ che funzioni. «Posso controllare il fuoco.
Possiedo il potere sugli elementi. Devono obbedirmi.»
Riaprii gli occhi e gettai uno sguardo sull’inferno che mi circondava prima che si
scatenasse un’altra fiammata. Mi affrettai a richiudere gli occhi, in preda al panico. Santo
cielo, che cosa dovevo fare? Come potevo fermarlo? Pensa a qualcosa di bello, qualcosa
che ti renda felice.
Okay. Che cosa mi rendeva felice? Sherridan aveva un appuntamento con i gemelli. Mio
padre era vivo. Saldi al cinquanta per cento. Cioccolato, patatine, dolci... aumentavano il
girovita, meglio non pensarci. Il pensiero di non servire più caffè ai ricchi snob mi
mandava in estasi.
A ogni pensiero, la collera e il panico scemavano e sentivo le mani raffreddarsi.
Lentamente aprii gli occhi e tirai un sospiro di sollievo. Intorno a me infuriava il caos, ma
almeno i miei occhi e le mie mani non sprigionavano più fiamme.
Tuttavia non potevo permettere che il fuoco raggiungesse i vicini. Corsi in cucina e fui
sollevata nel trovare l’estintore che aveva usato Rome accanto al fornello. Perché non
l’avevo tenuto a portata di mano? Stupida. Mentre tornavo verso la porta, spruzzai tutto
quello in cui mi imbattevo. Ben presto una nebbiolina bianca riempì la stanza, riducendo le
fiamme a uno sfrigolio.
Abbandonai a terra l’estintore ormai vuoto e lasciai ricadere le braccia tremanti lungo i
fianchi mentre mi guardavo intorno e valutavo i danni. Il divano, il televisore, il tavolino
da tè e la mia borsa erano rovinati. Anche il vecchio tappeto era rovinato, ma questo non
era un problema, anzi.
La porta era bruciata completamente, tranne che per l’assurdo marchingegno che
pendeva dallo stipite; attraverso l’apertura si vedeva il pianerottolo, invaso da dense
volute di fumo. Un allarme scattò a tutto volume, facendomi raggricciare.
Pochi secondi dopo i vicini si precipitarono fuori dai loro appartamenti. Se qualcuno di
loro conosceva Rome, l’avrebbe chiamato per dirgli quello che era successo. Forse stava
tornando proprio in quel momento. Per non parlare del fatto che avevo appena annunciato
la mia presenza ai cattivi che forse non sapevano ancora dove fossi.
«Che cos’ha fatto?» chiese una donna anziana, incrociando le braccia sul petto.
Indossava una vestaglia rosso ciliegia e aveva i bigodini tra i capelli. «Raymond sa che lei
si trova nel suo appartamento?»
Raymond? Chi diavolo era Raymond? Forse Rome si era appropriato dell’appartamento
di questo Raymond. Se era così, mi dispiaceva per lui. Oppure era un nome falso di cui si
serviva Rome. Comunque fosse, non mi pareva il caso di soffermarmi a scoprirlo.
«Spegnete quel dannato allarme!» gridò qualcun altro.
«Qualcuno ha chiamato l’amministratore? Andrà su tutte le furie!»
«Mi sa che lei ci rimetterà la cauzione.»
Se non altro l’edificio era troppo vecchio per avere un sistema antincendio, altrimenti ci
saremmo ritrovati tutti inzuppati. «Dite all’amministratore che mi dispiace» dissi,
sgomitando tra la folla di curiosi.
«Ehi, non può andarsene» strillò la donna con i bigodini, coprendo momentaneamente
con la sua voce il suono dell’allarme. «Per poco non ci ha bruciati vivi. Torni qui!»
Trovai la porta che dava sulle scale e mi ci infilai. L’adrenalina mi spingeva ad agire. Il
suono delle voci e il fischio insistente dell’allarme si affievolirono sempre più mentre mi
precipitavo al pianterreno. Per un attimo i capelli che mi svolazzavano sul viso mi
accecarono. Continuai a correre e finalmente mi ritrovai fuori. Il sole del mattino
splendeva nel cielo della Georgia, caldo e opprimente. L’umidità mi assalì
immediatamente, insieme a uno sciame di moscerini.
La gente passeggiava sui marciapiedi, ignara e incurante della mia agitazione. Le auto
procedevano lungo la carreggiata. Il gas di scarico mi arrivò alle narici, irritandomi la gola
e facendomi tossire. Continuai a tossire mentre cercavo di decidere dove andare.
Immagino che avrei dovuto rifletterci un po’ di più prima di combinare tutto quel casino.
Non sapevo dove mi trovavo, dove andare, e non avevo un piano preciso. Non riconobbi
nemmeno la zona, ma almeno ero all’aperto. Guardai a destra e a sinistra, sforzandomi di
calmarmi. Sarebbe andato tutto bene, continuavo a ripetermi. Non vidi niente di sospetto.
Sempre tossendo, mi diressi a destra. Camminai tentando di apparire più disinvolta che
potevo. Con un po’ di fortuna mi sarei confusa tra la folla, in attesa di orientarmi e...
merda! Rome sbucò da dietro un angolo e posò lo sguardo minaccioso su di me come se si
fosse aspettato di vedermi. Il suo viso ardeva di collera.
Nonostante il caldo mi sentii gelare. E gelai veramente, in preda al panico. Mi girai e mi
lanciai in una corsa disperata. Vedevo sfilarmi accanto gli edifici che luccicavano di
ghiaccio al mio passaggio. La gente si scostava e quelli che non lo facevano restavano
congelati. Letteralmente. Avrei voluto smettere, ma non riuscivo a controllare il panico.
Non ero arrivata fin lì solo per farmi catturare un’altra volta da Rome. Se, in un
prossimo futuro, avessi deciso di fidarmi di lui e collaborare, sarebbe stato alle mie
condizioni. Con i miei tempi. Non volevo essere forzata, non mi sarei fatta manipolare.
Pensieri coraggiosi per una ragazza che stava per essere catturata.
L’asfalto sotto i miei piedi si ricoprì di uno strato di ghiaccio e io cominciai a slittare,
lanciando occhiate disperate dietro di me. Anche Rome era in difficoltà sul ghiaccio, ma
sembrava guadagnare terreno ogni volta che mi voltavo. Me la presi con l’accesso di tosse
che non accennava a smettere. Che cosa c’era che non andava in me? Non avevo mai
reagito in quel modo ai gas di scarico prima d’allora.
Recupera il controllo. Non pensare. Non sentire . Non sapendo cos’altro fare mentre
Rome avanzava a tutta velocità, scesi dal marciapiede. Ero riuscita a controllare i battiti
del cuore quando un’auto suonò il clacson e sterzò per portarsi nella corsia centrale.
Un’altra auto, una Viper rosso fiammante, fece stridere i freni fermandosi proprio di fronte
a me.
«Non farlo!» gridò Rome.
Mi lanciai verso il lato del passeggero. Grazie al cielo, l’auto non gelò. Le mie emozioni
si stavano stabilizzando. La musica si diffondeva dagli altoparlanti, ma il guidatore la
spense quando spalancai la portiera. Mi guardò con espressione sorpresa e irritata. Senza
badargli, chinai il capo per infilarmi dentro. Un istante dopo, un piccolo dardo mi passò
sopra il capo e andò a conficcarsi all’interno della vettura. Mi girai di scatto, sotto shock.
Un uomo, niente meno che il Ragazzo Carino che mi aveva interrogata all’Utopia, era a
diversi metri di distanza e impugnava una pistola puntata direttamente su di me.
Oddio, oddio, oddio. Mi tuffai nell’auto e richiusi velocemente la portiera. Non
pensare. Non sentire . Altri dardi colpirono il finestrino, incrinando il vetro. Ero fuori di
me dalla paura, ma se non altro la tosse era passata.
Il guidatore dell’auto lanciò diverse imprecazioni e accese le luci di posizione. Pensai
che volesse sbattermi fuori a calci. Era giovane, probabilmente sui sedici, diciassette anni,
con capelli blu e un sopracciglio pieno di piercing.
«Parti!» gli ordinai con voce tremante.
«Che diavolo credi di fare?» mi aggredì. «Scendi subito dalla mia macchina!» Un altro
dardo colpì il finestrino, incrinando ancora di più il vetro. «E chi diavolo ci sta sparando
addosso?»
«Parti. Ti prego, parti.»
«Col cavolo! Sei coperta di cenere e mi stai rovinando i sedili di pelle. Io chiamo la
polizia.» Afferrò un cellulare dal cruscotto. «I miei finestrini sono ridotti a un colabrodo.»
Arrischiai un’occhiata fuori dal suddetto finestrino e potei vedere attraverso riflessi
multipli che il Ragazzo Carino – Vincent, ricordai – ci era praticamente addosso. Anche
Rome ci aveva quasi raggiunti e sembrava infuriato. Poi il Ragazzo Carino incominciò a
sparare a Rome, ma lui evitò abilmente i proiettili. Nel frattempo, entrambi continuavano
ad avanzare verso di me.
«È mia!» udii il Ragazzo Carino gridare. «La formula che ha in corpo appartiene a me.»
«Fottiti» sbottò Rome in risposta.
Il Ragazzo Carino rise. «Se vuoi che me ne vada, dovrai consegnarmi la ragazza o
uccidermi. Ma sappiamo entrambi che non lo farai. Non puoi farlo. O forse ti piacerebbe
unirti all’OASS. Non sarebbe bello far parte finalmente della squadra vincente?»
Il guidatore aveva continuato a spingermi per un braccio durante l’intera conversazione,
cercando di farmi scendere dall’auto, ma io mi tenevo aggrappata saldamente al cruscotto.
Troppo presto il Ragazzo Carino si stancò di Rome e riportò l’attenzione su di me. Sollevò
la pistola.
«Parti subito» gridai al proprietario della Viper, più disperata che mai. «Parti e ti
prometto che stasera farai sesso.»
Lui ingranò la marcia e ce la filammo in quarta.
8
Ecco come si svolsero le successive ore del mio incubo.
Dopo aver preso una distanza sufficiente da Rome (lasciandolo infuriato in mezzo alla
strada) e dal Ragazzo Carino (augurandomi che gli si inceppasse la pistola a dardi
narcotizzanti), chiesi al mio autista punk di portarmi in un albergo economico, un
suggerimento che lui colse al volo.
Improvvisamente era tutto sorrisi. E perché non avrebbe dovuto? Gli avevo offerto del
sesso spinto. Qualcuno avrebbe dovuto rinchiudermi in una stanza imbottita e distruggere la
chiave. Ma dovevo trovare un posto qualsiasi o rischiavo di farmi prendere, e un albergo
economico era il meglio a cui riusciva a pensare il mio cervello sotto stress. Ovviamente,
avrei preferito rifugiarmi da mio padre, gettarmi tra le sue braccia e sentirlo cantare fino
ad addormentarmi, come facevo da bambina. Ma non volevo coinvolgerlo.
Il sole penetrava attraverso i finestrini dell’auto, ma l’aria all’interno era fredda come il
ghiaccio. Non per colpa mia. Il ragazzo – come diavolo si chiamava? – aveva il
condizionatore rotto, che ora sparava aria gelida. Non riuscivo a riscaldarmi. I miei
capezzoli erano così appuntiti da essere diventati un’arma impropria.
Mentre il paesaggio sfilava fuori dal finestrino, colsi qualche rada chiazza di fiori e
diverse stazioni di servizio prima che iniziassero i boschi di abeti. Controllavo
costantemente le auto dietro e intorno a noi. Sembrava che nessuno ci seguisse. A essere
onesta, gli unici che sembravano far caso a noi erano gli automobilisti irritati per i nostri
continui cambi di corsia.
«Guarda davanti a te» gli ordinai, notando che il ragazzo mi fissava il petto.
Le sue guance presero colore. «La mia cavallina ha bisogno di spazi aperti per poter
correre» disse, battendo la mano sul cruscotto.
Correre. Fuggire. Sì. Per sempre? Per quanto tempo mi avrebbero dato la caccia?
Si voltò a guardarmi, questa volta in viso. «Ehi, ti senti bene? Stai mandando vibrazioni
paurose.»
«Sto bene.» Considerando che sono condannata a morte. «Come ti chiami?»
«Tanner, ma i miei amici mi chiamano Cento Colpi.»
«Uh, un... nomignolo interessante.»
«Lo so. È per via delle donne.» Gonfiò il petto. «È per tutti i colpi che do alle ragazze;
le fa impazzire.»
Per poco non mi soffocai. «Ti riferisci... al sesso?»
«Puoi scommetterci.» Ridacchiò come fanno gli adolescenti un po’ cretini. «Nessuno mi
era mai saltato davanti all’auto in questo modo.»
Se non altro non cercava più di sbattermi fuori.
Tanner – mi rifiutavo di chiamarlo Cento Colpi – aveva il fascino del cattivo ragazzo.
Anellini d’argento gli trapassavano il sopracciglio, i capelli blu gli ricadevano sulla fronte
e aveva un pitone variopinto tatuato alla base del collo. Era un po’ troppo magro e i vestiti
strappati gli pendevano addosso, ma non sembrava affatto povero.
«Mio padre mi aveva detto che la Viper avrebbe attirato le ragazze, ma non avevo idea
fino a che punto.»
«Tuo padre sembra in gamba» dissi in tono asciutto.
Piegò le labbra in una smorfia e strinse le mani sul volante. Avevo detto qualcosa di
sbagliato? Prima che avessi la possibilità di chiederglielo, cambiò argomento. «Chi era
quel tipo che ti stava sparando e quell’altro che ti inseguiva?»
«L’uomo che sparava è il diavolo.» Non sapevo, invece, come definire Rome. Il mio
potenziale salvatore? La mia potenziale rovina? Potenziale amante? Una combinazione dei
tre? «Vorrei sapere anch’io chi è quello che mi inseguiva» risposi alla fine, scegliendo di
essere onesta.
«Sembrava davvero arrabbiato. Non ho mai visto una faccia così cattiva.»
«Purtroppo è una minaccia reale.» Il viso di Rome mi balenò davanti agli occhi. Oh, sì,
era davvero arrabbiato. Aveva le pupille dilatate, i denti scoperti in un ghigno e le narici
allargate. Se avesse posseduto anche lui il potere sui quattro elementi, mi sarei trovata
incenerita sulla strada.
Prima di quel giorno non avrei mai creduto che una cosa del genere fosse possibile. Se
qualcuno mi avesse detto che esistevano davvero dei superpoteri, l’avrei etichettato come
“pazzo da legare”.
Tanner starnutì una, due volte. Si sfregò il naso e mi lanciò un’occhiata. «Quelle ceneri
sono potenti.»
«Davvero? Non me n’ero accorta» risposi in tono asciutto, voltandomi verso di lui. Per
la prima volta i nostri sguardi si incontrarono. I suoi occhi erano completamente neri, come
se le pupille avessero inghiottito l’iride e... Scossi il capo, sicura di avere problemi alla
vista. «Sono palle da biliardo?»
«Già» rispose con una risata che lo fece apparire più giovane e leggermente perverso.
«Avrei potuto scegliere lenti a contatto con occhi di tigre, ma in questo modo le ragazze
sanno di avere di fronte uno con le palle fortunate.»
Oh... Troppe informazioni inquietanti. Avevo bisogno di un angolino tranquillo nella mia
mente dove dimenticare quello che avevo udito fino a quel momento. Un angolino
tranquillo. Un angolino tranquillo.
«Ehi, non mi hai ancora detto come ti chiami» disse, allungando un braccio sul mio
poggiatesta.
Non volevo dirgli il mio nome vero. Meno sapeva di me, meglio era, date le circostanze.
«I miei amici mi chiamano...» Vuoto. Gli unici nomi che mi venivano in mente erano
Braccata o Morta. Di certo potevo trovare di meglio. Feci scorrere lo sguardo sull’interno
dell’auto, sul cruscotto e... sorrisi. «Viper. I miei amici mi chiamano Viper.»
Tanner inarcò un sopracciglio. «Come la mia macchina?»
«Proprio così.» Non cercai di spiegargli. Qualsiasi spiegazione avesse creato nella sua
mente avrebbe battuto sicuramente la miglior bugia che potessi inventare.
«Non è il tuo nome» disse, aggrottando la fronte. «Mi pare di aver sentito quell’uomo
chiamarti Elle. O Belle. O Nell.»
Pensando il più in fretta possibile, risposi: «È spagnolo e stava cercando di dire El
stoppo». Lo ammetto, non era granché. Ma provate a essere quasi morti, inseguiti, poi a
saltare in un’auto con un perfetto sconosciuto (arrapato) e vedrete che tipo di bugie
riuscirete a inventare.
Un’auto strombazzò e Tanner sterzò di colpo, facendomi inclinare di lato. Trattenni a
stento un grido. Invece ansimai e mi portai una mano al cuore come se un simile gesto
potesse rallentare il battito. Niente emozioni, Belle. «Qualcuno sta cercando di buttarci
fuori strada?»
«Ooops, colpa mia» disse Tanner, raddrizzando l’auto e rischiando di staccare il
paraurti di una jeep. «Mi ero distratto.»
C’era bisogno di chiedergli che cosa l’avesse distratto?
Decise di dirmelo comunque. «La tua maglietta è trasparente.» Colsi una nota
accusatoria nella sua voce.
Che Dio mi liberi dai teenager. Non mi ricordavo che fossero così espliciti. Forse
perché ero stata un brutto anatroccolo alle superiori (come pure alle medie e alle
elementari) e i maschi non mi giravano attorno. Ero troppo magra, avevo l’apparecchio per
i denti ed ero più alta della maggior parte dei miei coetanei (non che sia un gigante o niente
del genere). Ovviamente la mia faccia era anche piena di foruncoli. Però avevo vinto il
premio per quella che vestiva con più stile. E tanto perché lo sappiate, non ero l’unica
componente della giuria.
Finalmente l’auto rallentò entrando nel parcheggio di un elegante motel e si fermò
davanti al portico. Alberi di magnolia in fiore circondavano la costruzione, creando
un’atmosfera graziosa e accogliente. Una aiuola di fiori spontanei separava il parcheggio
dall’ingresso.
«Questo non è un albergo economico» osservai, aggrottando la fronte.
«Be’, è un motel ed è il più economico nella zona.» Spense il motore e slacciò la
cintura.
Slacciai anch’io la cintura e mi morsi il labbro. Quel ragazzo voleva entrare lì dentro e
fare sesso con me. Come potevo tirarmene fuori?
Tanner guardò la costruzione immacolata e riportò lo sguardo su di me. «Possiamo
anche rimetterci in viaggio e cercare qualcosa di più squallido.»
«No.» Sospirai, lasciando ricadere le spalle. Sarei rimasta senza un soldo prima della
fine della giornata e non avevo modo di procurarmi altro denaro. D’altra parte,
probabilmente gli uomini che mi davano la caccia pensavano che avrei risparmiato il
denaro e scelto un vero tugurio. Non mi avrebbero cercata in un posto del genere, giusto?
«Questo andrà bene.»
«Non preoccuparti per i soldi. Pago io.»
Serrai le labbra. Certo che era disposto a pagare, visto quello che si aspettava. Se da un
lato questo mi dava fastidio, dall’altro mi risolveva diversi problemi. Uno: avrei
mantenuto l’anonimato. E due: avrei risparmiato quel poco denaro (rubato) che possedevo.
Come al solito, ero costretta a fare economia. «Okay, grazie» dissi, respingendo i sensi di
colpa. «Perché non vai a chiedere una stanza? Io ti aspetto qui.»
Scosse il capo, così che una ciocca di capelli blu gli ricadde sugli occhi. «Eh, no. Non
ci vado da solo.»
«Perché no?»
«Perché no.» Le sue guance divennero rosse.
Lo guardai, confusa. «Sei maggiorenne, vero?»
«Sì, ma non ci vado da solo. È... imbarazzante. Come comprare i preservativi e roba del
genere. Quella gente potrebbe pensare che voglio la stanza per masturbarmi.»
Okay. Inutile discutere contro una logica così idiota. Aprii la portiera e scesi dall’auto.
L’umidità mi assalì all’istante, ricoprendomi la pelle di un velo di sudore e allontanando i
brividi. Era pieno di moscerini, ma l’aria era più pulita che in città, fragrante del profumo
dei fiori. Inspirai a fondo.
Anche Tanner scese dall’auto e mi si accostò. Era molto più alto di me, molto più alto di
quanto mi aspettassi. I pantaloni erano così cascanti che gli scendevano sui fianchi fino a
rivelare il bordo degli slip. Sorridendo, mi passò un braccio intorno alle spalle.
Combattei contro un’altra ondata di sensi di colpa mentre mi liberavo del suo braccio.
Grazie al cielo, non scatenai un disastro nazionale, non sapendo quale reazione avrebbero
potuto causare i sensi di colpa. Un tornado? Uno tsunami? In ogni caso non avevo
intenzione di andare a letto con lui. C’era un solo uomo che mi riscaldasse il sangue in quel
momento e l’avevo lasciato senza fiato. Non certo per la soddisfazione.
Tanner meritava la verità, ma ancora non potevo dirgliela. Avevo bisogno di lui. Se
qualcuno mi avesse inseguita fin lì, difficilmente avrebbe sospettato che la ragazza in
compagnia di un teenager fossi io.
«Certo che è fantastico» commentò.
Io avrei scelto dei termini leggermente diversi. Quello che per lui era fantastico, per me
era orribile. Rendendomi conto di quanto fossi esposta lì fuori, mi precipitai verso
l’ingresso coperto del motel e Tanner mi venne dietro.
«Cerca di non dare nell’occhio» lo avvertii, facendo sfrecciare lo sguardo in tutte le
direzioni. «Non vogliamo che la gente si ricordi di noi.»
«Ehi, mi hai guardato bene?» replicò con un mezzo sorriso. «Non sono uno che si
dimentichi facilmente.»
Giusta osservazione. «Cerca solo di non dire niente di eccessivo e di non fare niente di
stravagante.»
Sbuffò con aria divertita e allo stesso tempo esasperata. «Che cosa potrei fare in un
motel?»
Avrei dovuto capire che quella risposta avrebbe portato solo guai.
Appena oltrepassate le doppie porte, venni baciata da una brezza fresca. Nell’atrio c’era
una folta moquette viola, un divano viola e un tavolo di cristallo. In un angolo c’era una
zona cucina, completa di lavello, forno a microonde e tostapane. Tutt’intorno c’erano
diversi tavoli da pranzo e sedie. Un lungo bancone bianco, ricurvo in modo da disegnare
una M, divideva l’area soggiorno e cucina dagli uffici.
Grazie al cielo, l’uomo dietro al banco era l’unica persona presente. Andava per i
sessanta, con capelli sottili e un fisico allampanato. Aveva un’aria più snob che
minacciosa.
«In cosa posso servirvi?» chiese.
Il telefono squillò, ma lui lo ignorò.
«Vorremmo una stanza» dissi, cercando di tenere il viso seminascosto dalle mani.
Tanner fece un cenno del capo. «Giusto. Vogliamo una stanza. Matrimoniale.»
Mi trattenni a stento dal dargli una gomitata nelle costole. Dov’era finito il suo
imbarazzo?
L’impiegato aggrottò la fronte con aria di biasimo e chiese a Tanner nome, cognome e
carta d’identità mentre digitava sulla tastiera del computer. Tendendogli una chiave, disse:
«Auguro un piacevole soggiorno a lei e a sua... madre».
«Molto perspicace» commentai in tono pungente. Sapevo di non sembrare così vecchia
da avere un figlio dell’età di Tanner. O almeno speravo. Sarebbe stato un motivo
sufficiente per suicidarmi. «Vieni, figliolo.»
Voltandomi, afferrai il braccio di Tanner, obbligandolo a sua volta a girarsi. «È la mia
amante» gridò oltre la spalla. «E non sono certo suo figlio.»
Soffocai un grugnito mentre sibilavo: «Non volevamo farci notare, ricordi?».
«Sprigioniamo scintille di sesso e non potevo lasciar credere a quell’uomo che avrei
permesso a mia madre di giocare con la mia bacchetta magica. Sarebbe disgustoso.»
Una volta fuori, fui assalita nuovamente dall’umidità e dall’afa. Avevo vissuto in quello
stato per tutta la mia vita, ma il calore eccessivo non mancava mai di procurarmi uno
shock; era come passare da un frigorifero a un forno.
Gli uccellini cinguettavano mentre giravamo a destra, diretti verso la stanza numero 18.
Quando una giovane coppia uscì da una delle stanze, chinai il capo perché non potessero
vedermi in viso. Dopo lo scontro a freccette, preferivo non correre rischi.
Una volta arrivati, aprii la porta e mi affrettai a entrare, seguita da Tanner. Le luci erano
fioche, l’aria un po’ stantia, ma se non altro il posto era pulito. Un letto matrimoniale
appoggiato al muro bianco occupava gran parte della stanza. Un copriletto viola era
drappeggiato sul letto, in perfetta sintonia con il tappeto di un viola più chiaro. Due quadri
floreali ornavano le pareti, proprio sopra i comodini.
Una fitta di nostalgia per la mia casa mi assalì all’improvviso. A un tratto non volevo
altro che il mio letto, il mio appartamento, il mio papà.
«Diamo inizio alla festa!» esclamò Tanner
Gli lanciai un’occhiata e rimasi a bocca aperta. Mentre io esaminavo la stanza, lui si era
tolto la T-shirt, rivelando un petto asciutto e abbronzato. In un paio d’anni probabilmente
avrebbe sviluppato un fisico da lottatore di wrestling e le ragazze l’avrebbero trovato
irresistibile. Magro com’era adesso, con i capelli blu e i piercing, riusciva comunque a
emanare un certo sex appeal.
Era in procinto di sbottonarsi i jeans.
«Ehm, Tanner» dissi.
«Sì?» Non si fermò e mi rivolse un sorriso invitante mentre i jeans gli scendevano alle
caviglie.
Mi precipitai a stringergli le mani intorno al polso prima che si levasse gli slip.
«Quando ti ho detto che avresti fatto sesso stanotte... ehm... non mi riferivo a me.»
Si irrigidì e piegò le labbra in un broncio. «Non capisco.»
«Io. Be’...» Infilai la mano in tasca e ne estrassi diverse banconote, pur rimpiangendone
già la perdita. «Ecco cinquanta dollari. Sarò felice di pagarti una prostituta.»
Due macchie di colore rosso gli imporporarono le guance. Si affrettò a infilarsi i jeans e
a chiudere la zip con un gesto secco. «Sapevo che stavi mentendo quando hai detto che
volevi fare sesso. Lo sapevo.»
Non cercai di negare. «Mi dispiace.» Gli rivolsi uno sguardo implorante. «Ero
disperata.»
Si chinò a raccogliere la T-shirt e se la infilò dalla testa. «Sapevo che stavi mentendo,
ma mi sono detto che per una volta avrei corso il rischio. Stupido, vero?»
Sembrava triste e arrabbiato al tempo stesso e quella combinazione era come un pugno
nello stomaco per me. «Quanti anni hai?» gli chiesi.
Contrasse la mascella. «Diciannove. Perché?»
«Così.» Non era molto più giovane di me, eppure in quel momento mi sembrava che ci
fosse una distanza incolmabile tra noi. «Se trovi una prostituta, ricordati di usare il
preservativo. Magari anche due.»
«Non ho intenzione di andare con una prostituta. Tieni pure i tuoi soldi. Probabilmente
ne avrai bisogno.» Incurvò le spalle, si infilò le mani in tasca e rimase a guardarmi.
«Allora, vuoi che me ne vada o cosa?»
«Vuoi restare?» gli domandai un po’ sorpresa.
«Non è che abbia un altro posto dove andare» rispose con amarezza, serrando la
mascella.
Mi lasciai cadere sul bordo del letto con un sospiro. Quel ragazzo era stato così gentile
con me e sembrava così abbattuto che sentii rinascere i sensi di colpa. «Tanner» cominciai.
«Stop. Ora mi dirai qualcosa di carino e mi spiegherai che non posso restare perché la
vedrei come un’opportunità per venire a letto con te.»
«Sì. Non ci conosciamo e io...» Come dire educatamente a qualcuno che non si è attratti
da lui? Gli uomini me l’avevano fatto capire spesso, senza bisogno di parole. Il modo in
cui mi guardavano come se fossi trasparente era più che eloquente. Ma faceva comunque
male e io non volevo ferire quel ragazzo. «Che cosa vuol dire che non hai un posto dove
andare?»
«Dimentica quello che ho detto, okay?» Mi voltò le spalle, ma invece di muoversi verso
la porta, rimase fermo con il collo incassato nelle spalle. Ci fu una lunga pausa di silenzio
prima che dicesse a bassa voce: «Quando sei salita sulla mia macchina, eri la prima
ragazza che mi degnasse di attenzione da molto, molto tempo e la cosa mi piaceva. Non
volevo che finisse».
«Come?» Raddrizzai la schiena di scatto. «Credevo che tu fossi Cento Colpi, il ragazzo
dalle fantastiche prestazioni sessuali.»
«Me lo sono inventato.» Si voltò a guardarmi con aria di sfida. «Volevo
impressionarti.»
Piuttosto che sentirgli dire così, avrei preferito un calcio nello stomaco ed essere
derubata di tutto il denaro che avevo. Con un sospiro, battei la mano sul letto accanto a me.
«Hai mai avuto una ragazza, Tanner?»
Strinse ancor di più la mascella e scosse il capo.
«Forse... forse posso darti qualche dritta o qualcosa del genere.»
Un altro lungo silenzio cadde tra noi. «Sul serio?»
Annuii. Sherridan – che a quanto pareva mostrava una predilezione per i pantaloni di
pelle e le fruste – aveva espresso una volta un bisogno del genere e ogni tanto lo faceva
ancora, alla disperata ricerca di qualcuno che l’amasse e le dedicasse le sue attenzioni.
Ricordo chiaramente come i suoi genitori la ignoravano, indifferenti ai suoi disperati
tentativi per farsi notare. Si era calmata considerevolmente con gli anni, ma non aveva mai
colmato quel vuoto.
Non dubitavo che anche Tanner avesse avuto un’infanzia simile e provai una stretta al
cuore.
«Ne sei sicura?» chiese ancora.
«Sì.»
«D’accordo.» La sua espressione si rischiarò leggermente mentre veniva verso di me. Il
letto cigolò quando sedette sul materasso.
«Quale credi che sia il problema? Sei un bel ragazzi... ehm, un bel ragazzo. Un uomo.
Sei un bell’uomo.»
«Non lo so.» Si strinse nelle spalle. «Quando vedo una ragazza che mi piace, mi ci butto
e lei si arrabbia e mi pianta in asso.»
Era peggio di quanto pensassi. «Che cosa intendi con mi ci butto?»
«Voglio dire, sparo le mie battute migliori.»
«Fammi un esempio delle tue battute migliori.»
Rispose senza alcuna esitazione. «Ehi, baby, ti va un giretto sul Tanner Express?»
Sollevò leggermente il mento, mi scoccò un sorriso allusivo e stese le braccia.
Santo cielo. Mi portai le mani alla bocca e battei le palpebre. «Davvero, dici una cosa
del genere?»
«Be’, sì.» Il sorriso gli morì sulle labbra e le braccia gli ricaddero lungo i fianchi. «Fa
capire che sono in grado di offrire un viaggio di piacere senza sosta.»
«Ehm, direi proprio di no. Fa capire che sei un deficiente e che non hai rispetto per le
donne, ma che le usi soltanto e non ti può importare di meno se possiedono un cervello
purché abbiano tette e cosce.»
«Okay» sbottò. «Che cosa dovrei dire?»
«Per cominciare, non farei riferimenti a nessun tipo di espresso.» Non mi sarei dovuta
offrire di aiutarlo. Anche un artista ha bisogno di qualcosa su cui lavorare. «Devi fare dei
complimenti alle ragazze. Dire loro che sono belle e non che la loro maglietta è trasparente
o cose del genere.»
«Ho provato con i complimenti, ma non funziona.» Si lasciò cadere sul letto con un
sospiro. «Sono un caso disperato.»
Stavo per dargli ragione, ma mi trattenni in tempo. «Dobbiamo solo lavorare un po’ alla
tua tecnica, tutto qui. Sono praticamente in fuga, come probabilmente avrai capito,
altrimenti ti avrei portato in giro per darti qualche ragguaglio.»
Si voltò verso di me con un’espressione di genuina preoccupazione. «Perché sei in
fuga?»
«Non posso dirtelo.» Avrei voluto; sarebbe stato bello confidarsi con qualcuno. «Meno
ne sai, più resti al sicuro.»
«E tu sei al sicuro?»
«Ma certo» mentii, liquidando la questione con un gesto vago della mano.
Mi guardò con aria dubbiosa, ma non insistette. «Sei disposta ad aiutarmi, quando non
sarai più in fuga?»
«Certamente.» Mi resi conto che ero sincera. Quel ragazzo ispirava una tenerezza
irresistibile.
«Promesso? Me lo devi, ricordi?»
«Te lo prometto.»
Balzò in piedi e andò al comodino, dove trovò una penna e un piccolo blocco in un
cassetto. «Questo è il mio numero. Chiamami quando sarai al sicuro.» Si interruppe, mi
guardò e aggrottò la fronte. «Chiamami anche se hai bisogno di un altro passaggio. Non mi
va di lasciarti sola.»
«Lo farò» promisi, ma sapevo che non l’avrei fatto nemmeno se avessi avuto un
disperato bisogno di aiuto. L’avevo messo già abbastanza in pericolo. «Fammi un altro
favore. Promettimi che sarai prudente, che non parlerai agli sconosciuti e non ti aggirerai
per i vicoli bui.»
«Okay, adesso ti comporti come mia madre.»
«Parlo sul serio. Potrei aver messo in pericolo la tua vita.»
«Non mi dispiacerebbe un po’ di pericolo. Pensa quanto farebbe colpo sulle donne.»
Misi una mano sul fianco e agitai l’indice dell’altra. «Non farai nessun colpo da morto.»
«Io non posso morire» disse, abbassando lo sguardo e fissandolo sul mio petto. «Sono
invincibile.»
Era proprio un ragazzino. «Fuori di qui, Tanner, e non dire a nessuno che mi hai vista.»
«Non lo farò.» Mi rivolse uno dei suoi sorrisi maliziosi. In un paio d’anni le donne non
sarebbero state davvero in grado di resistergli. Indipendentemente da quello che avrebbe
detto. «So che mi hai avvertito di non dirlo a una potenziale fidanzata, ma hai davvero dei
bei capezzoli che si intravedono sotto la maglietta.»
Gli diedi un colpo sul braccio, ma sorridevo anch’io. «Grazie.» Mi alzai, gli posai le
mani sulle spalle e lo baciai dolcemente sulla bocca. «Credo che tu sia un ragazzo
fantastico.»
Allungò un braccio per pizzicarmi il sedere. «Non dimenticare di chiamare se hai
bisogno di me. Ci vediamo, Viper. Stammi bene.»
Una volta sola, chiusi la porta a chiave e mi infilai sotto la doccia, godendo dell’acqua
calda che lavava via la cenere, la fuliggine e il ricordo del mostro che ero stata. Lavai
anche i vestiti e li stesi ad asciugare sulla barra della tenda della doccia. Dato che avevo
bruciato gli indumenti di ricambio, dovetti usare il lenzuolo come pareo.
Ero stremata e mi lasciai cadere sul letto. Per mezz’ora mi dibattei nell’indecisione se
chiamare o no mio padre. L’avrei messo in pericolo chiamandolo? Era possibile che
qualcuno avesse messo sotto controllo il suo telefono sperando di localizzare la mia
chiamata?
Fino a quel giorno, l’avventura più eccitante della mia vita era stato il funerale che
avevo celebrato in bagno per Martin, quell’idiota del mio pesciolino tropicale. Oh, avessi
potuto tornare indietro a quei giorni felici! Mi sfuggì un sospiro mentre fissavo il telefono.
Mio padre si aspettava di sentirmi presto. Se non avessi chiamato, si sarebbe preoccupato
e preoccuparsi non faceva bene al suo cuore.
Questo mi convinse. Lo chiamo. Meglio rischiare di tradirmi che provocare un attacco
di cuore a mio padre. Non me lo sarei mai perdonata.
Lottando contro uno sbadiglio, presi il telefono con una mano e composi il numero con
l’altra. Rispose al quarto squillo e sembrava senza fiato.
«Ciao, papà, sono io» dissi, sforzandomi di mantenere un tono allegro.
Lui tossì e l’elettricità statica fece gracchiare la linea. «Tesoro, ciao. Non mi aspettavo
che chiamassi. Sarai molto occupata con il tuo nuovo fidanzato e tutto il resto.»
Ignorai il commento sul nuovo fidanzato. «Hai ripreso a fumare?»
«No, no. Ehm...» Un nuovo colpo di tosse seguito da uno sfrigolio. «Ho fatto un po’ di
jogging. È per questo che mi manca il fiato.»
«Papà» lo sgridai, «non sovvenziono le abitudini delle tue volpi argentate solo perché tu
possa procurarti una morte prematura a forza di sigarette e sigari.»
Sospirò. «E va bene, mi hai beccato. Ma ho dovuto fumare quel sigaro, bambina. Mary
sta facendo la difficile e avevo bisogno di tenere impegnate le mani. Sai come sono
irrequieto.»
«Si rifiuta di rivolgerti la parola?» La loro relazione fatta di tira e molla era una fonte di
gran divertimento per me. Ero contenta che mio padre avesse un’amica. O due. Dopo la
morte di mia madre, non era più uscito con una donna. Era troppo occupato a lavorare e a
cercare di assicurarmi un’infanzia equilibrata facendomi sia da padre sia da madre.
Quel pensiero mi indusse a chiedermi come fosse il rapporto di Rome con la figlia. Mi
chiedevo anche come fosse quello con sua moglie. O la sua ragazza. O chiunque fosse la
madre della bambina. L’amava? La desiderava con ogni fibra del suo essere?
«Ho cercato di spiegarle che è stata Janet a costringermi a baciarla» seguitò mio padre,
interrompendo il corso dei miei pensieri. «Ma Mary non mi crede.»
«Janet ti ha costretto, eh?» Avvolsi il filo del telefono attorno al dito e sentii le palpebre
che si abbassavano inesorabilmente. Conoscendo mio padre, probabilmente aveva preso
Janet per le spalle e l’aveva baciata prima che lei si rendesse conto di quello che stava
succedendo.
«Okay, okay» disse. «Forse sono stato io a chiederle un bacio. Non è colpa mia se aveva
l’aria di averne bisogno. Che uomo sarei se ignorassi i bisogni di una signora?»
Risi. «Sei un inguaribile dongiovanni.»
«Ieri mattina Mary mi ha gettato addosso la tazza della colazione e da allora sto ancora
lavando la farina d’avena dai capelli.»
Che esagerato, pensai con un sorriso. Aveva perso i capelli da anni. «A parte
l’incidente con la farina d’avena, come ti senti? Prendi tutte le medicine? Ti imbottisci
ancora di Viagra?»
«Bene. Benissimo. Sì. No. Che Dio mi perdoni, mia figlia mi interroga come se fossi un
criminale.»
Lasciai andare il filo del telefono con uno sbadiglio irrefrenabile. Non riuscivo a tenere
gli occhi aperti. «Non provarci. Sai che non funziona.»
«Mi sembri stanca. Come sta la mia bambina?»
«Bene» mentii. A quanto pareva, era la giornata delle bugie.
«Devo dire che sono un po’ seccato con te, signorina. Non mi avevi detto che uscivi con
qualcuno.» La sua voce tradiva sia esasperazione sia felicità. «Rome mi sembra un bravo
ragazzo.»
«Siamo usciti qualche volta...» Quasi quasi mi aspettavo di venire colpita da un fulmine
per quella balla enorme. «... ma non faceva per me, così l’ho scaricato. Senti, papà» dissi,
cambiando rapidamente argomento, «ho deciso di prendermi una vacanza. Quindi non
preoccuparti se mi chiami a casa e non rispondo.»
«Come se io mi preoccupassi sempre.»
Oh, lo faceva. Mi amava quanto lo amavo io ed era sempre in pensiero per me. Feci un
altro sbadiglio, questa volta rischiando di slogarmi la mascella. Ero davvero esausta. Gli
arti cominciavano a tremarmi e avevo il cervello in pappa. «Vado...»
«Vai a riposare, angelo, e chiamami quando torni dalla tua vacanza.»
«Ti voglio bene, papà.»
«Anch’io ti voglio bene, bambolina.»
Riattaccai e rotolai su un fianco. Il braccio mi ricadde sul materasso e lo lasciai
dov’era, troppo esausta per compiere un altro movimento. Nell’arco di un giorno ero stata
baciata da un sedicente agente segreto, avevo sviluppato dei superpoteri, ricevuto proposte
da un teenager vergine e mentito a mio padre.
«C’è altro che volete?» borbottai, rivolta al cielo, mentre mi rannicchiavo in posizione
fetale.
Non puoi dormire, Jamison. Dovevo ancora risolvere un sacco di problemi, a
cominciare dal decidere di chi potevo fidarmi. Non del Ragazzo Carino, il cattivo agente
della CIA che aveva cercato di imbottirmi di dardi. Torturava le persone e le uccideva. Di
questo non dubitavo. Quando Rome mi aveva parlato di Vincent e dei suoi esperimenti, mi
era sembrato di udire le grida delle vittime.
Ma più di ogni altra cosa, ricordavo di aver notato l’assoluta mancanza di anima del suo
sguardo.
Dovevo andare alla polizia?
E se l’avessi fatto, mi avrebbero consegnato agli agenti governativi? A Rome? Mi
avrebbero creduta? Io stessa facevo fatica a crederci. Para-agenti segreti, per l’amor del
cielo. E Rome? Era fuori dalla mia portata e lo sapevamo entrambi. Ma restava ancora il
dubbio: potevo fidarmi di lui?
Mi aveva promesso di aiutarmi a trovare il dottor Roberts (e forse un antidoto) e di
proteggermi da Vincent. Tutto quello che dovevo fare in cambio era aiutarlo a nascondere
sua figlia. Sembrava un buon affare. Troppo buono, a pensarci bene. Quello che mi
preoccupava di più in tutta quella situazione ero proprio io. Non ero preparata a quel
genere di cose. Non sapevo come nascondere le persone, per cui quale aiuto avrei potuto
dargli?
Era evidente che mi aveva nascosto qualcosa. E se me l’aveva tenuto nascosto,
significava che non si trattava di niente di buono per me.
«Merda.» Ero senza vestiti e senza soldi. Forse avrei potuto davvero chiamare Tanner il
mattino dopo, farmi accompagnare a fare shopping e dimenticare almeno per un po’ tutti i
miei guai. Avrei potuto dargli qualche altra dritta sulle ragazze e mi sarei sentita
nuovamente normale.
E avrei potuto metterlo in pericolo.
Fui assalita da un profondo senso di scoraggiamento. Non mi ero mai sentita più sola,
stanca e indifesa. Con un gemito, mi coprii gli occhi con un braccio, escludendo qualsiasi
luce. L’unico rumore che mi giungeva all’orecchio era il ronzio ipnotico del
condizionatore.
La tensione della giornata mi aveva esaurito ogni briciolo di energia. Per di più non
avevo ancora ripreso completamente le forze dopo gli effetti della formula. Era chiaro che
nell’immediato non ero in grado di prendere una decisione sul da farsi, per cui non c’era
motivo di impormi di rimanere ancora sveglia.
Dopo un buon sonno, tutto mi sarebbe sembrato più chiaro.
Sì, chi credevo di prendere in giro?
9
«Credevi davvero di potermi sfuggire?» mi sussurrò all’orecchio una voce familiare.
«Puoi anche essere la Ragazza della Tavola Periodica, ma io sono molto bravo come
segugio.»
Mi svegliai all’istante. Un’ondata di paura mi travolse generando una ventata di gelo
mentre prendevo atto simultaneamente di diversi particolari inquietanti. Uno, il peso di
Rome mi inchiodava al letto. Due, le mie mani erano legate sopra la testa. No, non legate,
mi resi conto. Imprigionate nella sua. Tre, una mano d’acciaio mi copriva la bocca,
impedendomi di gridare. Quattro, e più allarmante di tutto il resto, l’erezione di Rome mi
premeva sulla pancia e la cosa mi piaceva.
Dimenticavo di dire che ero nuda sotto le lenzuola.
«Non aver paura» disse. «Sai che non ti farò del male.»
Questo non avrebbe dovuto tranquillizzarmi, ma lo fece. La sua voce era gentile, calda e
rassicurante.
La luce della luna filtrava da uno spiraglio fra le tende, illuminando il suo viso. I suoi
occhi cristallini sembravano risplendere ancora più vividi in contrasto all’ombra della
barba che gli velava le guance. Il mio tormento. La mia salvezza. Il mio... enigma.
«Hai intenzione di consegnarmi a lui?» chiesi appena mi liberò la bocca. Non avevo
bisogno di specificare a chi mi riferissi perché Rome lo sapeva perfettamente. «Ti ha detto
senza mezzi termini che è l’unico modo in cui puoi liberarti di lui.»
«No, non devi preoccuparti di questo. Non ti consegnerò mai a quell’individuo
disgustoso. Ti ho dato la mia parola, ricordi?»
Lo disse con tanta foga che gli credetti. Mentre la paura scemava, però, sentivo crescere
la collera. Affondai le unghie nel palmo. Il sangue cominciò a scaldarsi. Come osava
strisciare nella mia stanza. Come osava sdraiarsi sopra di me. Come osava essere così
maledettamente affascinante. Come osava...
Un momento. Calma. Calma, Belle Jamison. Non potevo permettermi di arrabbiarmi e
provocare un incendio. Dannazione! Mi aveva trovata così in fretta che non avevo ancora
avuto il tempo di decidere se potevo fidarmi di lui.
Inspirai dal naso e lasciai uscire lentamente il fiato. Alla luce fioca della stanza guardai
il suo viso sensuale. Era scuro e severo, in netto contrasto con il tono gentile della voce.
Era bellissimo. Io, invece, dovevo sembrare sul punto di gridare, perché mi coprì
nuovamente la bocca con la mano.
Se una parte di me era sconvolta perché mi aveva trovata, l’altra era improvvisamente
felice di vederlo. Al diavolo tutto il resto. Almeno non era più sola in quella storia, almeno
avevo qualcuno su cui contare.
«Mi hai lasciato un disastro da ripulire, Belle. Come ben sai, la gente normale non sa
che esistono persone dotate di superpoteri. Ho dovuto dire a tutti che stavamo girando un
film. Grazie.»
«Mmm mmmmm mmm...» Aggrottai le sopracciglia. Con la mano sulla mia bocca, le
parole mi uscivano confuse. Volevo dirgli di smetterla di premermi il pene sul ventre. In
effetti, avrei dovuto dirglielo non appena mi aveva consentito di parlare, ma non riuscivo a
pensare lucidamente quando era così vicino.
«Sì» disse come se avesse capito. «Sono eccitato. Inceneriscimi pure se non ti aggrada»
aggiunse con un tono irresistibile di sfida.
Non potevo dire che non mi piacesse. Credeva forse che fossi priva di ormoni? Per
quanto odiassi l’intera situazione, ero stupidamente attratta da quell’uomo. La parte di me
che era felice di vederlo mi spingeva ad allargare le gambe perché alleviasse la tensione
che sentivo crescere in mezzo alle cosce. Andiamo, Jamison, un po’ di controllo . La voce
del buonsenso mi aiutò a restare immobile. Dentro di me sapevo che se avessi fatto una
sola mossa, si sarebbe gettato su di me, mi avrebbe baciata e io l’avrei ricambiato
divorandolo.
«Sto per togliere la mano, Ragazza della Tavola Periodica, e che non ti venga in mente
di gridare. Sono già abbastanza arrabbiato con te e non ti conviene provocarmi oltre.»
Lentamente fece come aveva promesso, fissandomi con sguardo torvo.
«Ti provoco finché voglio» replicai una volta libera. Non c’era motivo di lasciarlo
crogiolare nell’illusione di potermi intimorire. «E non chiamarmi Ragazza della Tavola
Periodica.»
«Non osare nemmeno provarci. Non ti piacerebbe quello che potrei fare.»
«E a te non piacerà quello che farò io se non ti togli subito di dosso. Mi stai
schiacciando.» Delizioso. «Non riesco a respirare, dannazione.»
«Se riesci a parlare, Ragazza dei Quattro Elementi, puoi anche respirare.»
La logica non faceva una grinza. «Sto morendo, credimi. E non chiamarmi Ragazza dei
Quattro Elementi. È stupido. Inoltre, ne ho usati solo tre finora: fuoco, aria e ghiaccio.»
Rome roteò gli occhi. «Un dettaglio irrilevante. Io credo invece che ti piaccia dove sto e
che la cosa ti spaventi.» Aggrottò la fronte, ma se non altro non tirò fuori un altro di quei
ridicoli soprannomi. «Comunque, non voglio farti pressione. Non ora. Mi sposterò, ma se
provi a puntarmi le mani contro il petto, giuro su Dio che te le lego dietro la schiena e
questa volta ti lascio così.»
«Fai pure» replicai con tono provocante. «Posso sempre sparare fuoco dagli occhi.»
Mi fissò minaccioso con il suo sguardo penetrante. «Grazie per avermelo ricordato. Ma
credimi, non sarà difficile bendarti, piccola piromane.» Scosse il capo, più esasperato che
arrabbiato. A quanto pareva, facevo quell’effetto a un sacco di gente. «Ho visto il disastro
che hai combinato nell’appartamento. Un nascondiglio sicuro che posso cancellare dalla
mia lista.»
Arrossii d’imbarazzo. «È stato un incidente. Non volevo provocare tutti quei danni.»
«Te ne sarebbe bastato uno più piccolo?» Si sollevò lentamente, liberandomi dal suo
peso come gli avevo chiesto. Solo che, senza di lui, provai una sensazione di freddo e di
vuoto. Mi lasciò i polsi, eliminando qualsiasi contatto fisico, e si accovacciò ai piedi del
letto.
All’istante mi sollevai a sedere, acutamente consapevole che il sottile lenzuolo era tutto
quello che ci separava. Lo strinsi al petto in una morsa mortale mentre i nostri sguardi si
incontravano. Ad aumentare la mia umiliazione, i miei capezzoli disobbedienti parevano
ben felici di rivederlo.
«Come hai fatto a entrare?» gli chiesi a denti stretti.
«Ho forzato la serratura.» Sollevò un angolo delle labbra, ma lo riportò subito a posto
mentre mi lanciava un’occhiata minacciosa. «Adesso ti farò io qualche domanda. Chi è il
ragazzo che ti ha dato un passaggio?»
Oh, no, no, no. Non Tanner . «È solo un ragazzino e se gli fai del male ti carbonizzo.
Saprai di cenere per un anno.»
Inarcò un sopracciglio con aria insolente. «Vedo che incominci già ad apprezzare i tuoi
poteri.»
«Cerco solo di sopravvivere.» Bastardo. Faceva sembrare un crimine il fatto che
utilizzassi le mie nuove capacità. Ipocrita. Non era lui che voleva servirsene per
nascondere sua figlia?
«Non gli farò del male» disse in tono burbero. Sentii le parole per il momento aleggiare
silenziosamente nell’aria e strinsi i pugni. «Gli hai detto qualcosa della tua situazione?»
«Certo che no.»
Rome mi studiò a lungo. « Ho preso il suo numero di targa, il che significa che ce l’ha
anche Vincent»
Impallidii, sentendo letteralmente il sangue che defluiva dal mio viso. «Credi che lo
troverà? È un bravo ragazzo e non voglio che gli facciano del male.»
«Avresti dovuto pensarci prima di saltare nella sua macchina.»
«Ero disperata» sbottai, battendo il pugno sul materasso.
Rome sospirò. «Non arrabbiarti. Potrebbe succedere qualcosa di brutto, ricordi?»
Chiusi gli occhi e mi costrinsi a respirare con calma.
«Il ragazzo ha perso la targa in autostrada con la sua guida da stuntman. Contenta,
adesso?»
Mi rilassai un po’. «Allora come hai fatto a trovarmi?»
«Sono un segugio più bravo di altri.» Non c’era autocompiacimento nel suo tono, ma
solo la nuda verità. «Ti avevo avvertito di restare nell’appartamento, Belle.»
Sollevai il mento, sapendo di esprimere pura ostinazione. «Ehi, l’hai visto anche tu?
C’era un po’ troppo fumo là dentro. Per non parlare dei poliziotti e dei vigili del fuoco che
stavano arrivando.»
«Se non avessi cercato di fuggire non sarebbe successo» ringhiò.
«Avevo bisogno di tempo per pensare. Da sola. Non che ci sia riuscita» borbottai.
«Senti, possiamo discutere un’altra volta quanto sei stato stupido a chiudermi là dentro.
Dobbiamo fare qualcosa per proteggere Tanner, il ragazzo che mi ha portata qui.»
«Noi?» Inarcò ancora il sopracciglio, un gesto che incominciavo a odiare.
Lo guardai serrando la mascella. «Bene. Fai pure. Comportati come un bambino. Mi
arrangerò. Lo troverò da sola e lo proteggerò.» Mi coprii gli occhi con la mano destra,
perdendo di colpo ogni spavalderia. «Avrei dovuto dirgli di restare qui.»
«Avresti dovuto fare molte cose.» Rome sollevò il lenzuolo, sfiorandomi con le dita la
caviglia, il ginocchio e l’interno delle cosce. Era un tocco casuale e ancor più sensuale
proprio per questo.
Rabbrividii, mi inumidii le labbra, ma non mi mossi e non emisi un suono di protesta.
«Non preoccuparti per lui» disse con voce di gola. «Ho nascosto la sua auto e in questo
momento dorme nella mia.»
Rilassai i muscoli per il sollievo. «Come...»
«Almeno uno di noi due sa quello che sta facendo» mi interruppe brusco.
«Sei ingiusto!»
«Calma, calma.»
«Stai attento a come parli con me.» Gli lanciai uno sguardo minaccioso e mi sporsi
verso di lui, puntandogli l’indice al petto. «Sei tu che mi hai chiesto aiuto, ricordi? Ti
assicuro che questo non è il modo migliore per ottenerlo.»
Senza preavviso, allungò di scatto la mano e mi afferrò il polso. Il suo tocco mi trasmise
una scossa. «Ti lascerò fare molte cose su di me con il tuo dito» La sua voce si abbassò.
«... ma puntarmelo addosso non è una di queste.»
Un formicolio caldo si diffuse nelle mie vene, scivolando in mezzo alle gambe e
raggiungendo tutti i punti giusti; deglutii e mi liberai dalla sua stretta. «Io... ehm... devo
sapere alcune cose su di te in modo da prendere una decisione.» Ecco. Un argomento
assolutamente sicuro, neutro, asessuato. «Da dove vieni?»
Il suo viso si vuotò di ogni emozione, lasciandolo con uno sguardo completamente
inespressivo. Rimase in silenzio.
Riprovai. «Quanti anni hai?»
Niente.
«Quanti anni ha tua figlia?» Di nuovo, niente. «Non posso fidarmi di te se non so
esattamente come dovrei aiutarla.»
«Con i tuoi poteri» rispose semplicemente, ma per una frazione di secondo vidi il senso
di colpa balenare nei suoi occhi. Doveva esserci dell’altro, ma preferii non insistere.
Basta con le indecisioni, Jamison. Devi fidarti di lui. Sfortunatamente, in quel momento
non avevo altra scelta ed ero infine disposta ad ammetterlo. Per quanto mi ribellassi a
quell’idea, non avevo mai avuto alternative. Non sapevo come nascondermi né come
rintracciare il dottore. I miei talenti si riducevano ad andare su tutte le furie e incenerire
accidentalmente qualcosa. Be’, non erano certo molto utili.
«Quando avrai imparato a usarli» aggiunse, «saprai esattamente di che cosa ho bisogno
per assicurarmi che la mia bambina sia al sicuro.» Ancora quel senso di colpa.
«Bene» sospirai. «Lavorerò con te.»
Si passò la lingua sul labbro inferiore, un gesto molto più sensuale di quanto
immaginasse. «Forse sono io che dovrei ripensare alla proposta che ti ho fatto. Sei nei
guai, piccola. Un sacco di guai. E io non ne ho bisogno, specie da qualcuno che si mostra
così riluttante. Sarebbe più facile farti perdere i sensi, consegnarti al mio capo e lavarmene
le mani.»
Riducendo gli occhi a due fessure, raddrizzai le spalle. «Sarebbe facile anche incenerirti
all’istante.» Ammesso che fossi ancora capace di suscitare un fuoco. Ero arrabbiata con
lui, eppure non si vedevano fiamme. «Stai cominciando davvero a scocciarmi.»
«Sto tremando di paura.»
«Tu hai bisogno dei miei poteri, Rome. Appena avrò capito come usarli.»
«Non sono più così sicuro di poterti addestrare.»
«Vuoi dire che hai cambiato idea negli ultimi tre secondi?» Ironia della sorte, adesso
dovevo convincere il mio sequestratore a permettermi di stare con lui. Strinsi le dita
attorno al lenzuolo, spiegazzando la stoffa. «Non puoi farlo da solo, altrimenti non avresti
chiesto il mio aiuto.»
«Un attimo di debolezza, te lo garantisco.» Si strinse nelle spalle, ma quel gesto non
nascose il luccichio determinato del suo sguardo.
«Bugiardo. Eri disposto ad andare contro i tuoi ordini, aiutandomi a scappare invece di
consegnarmi al tuo capo. Hai bisogno di me. Disperatamente.»
Il silenzio si protrasse tra noi, carico di tensione, ma io non mi concessi il lusso di
distogliere lo sguardo per allentarla. Rome mi studiava intensamente in viso, valutandomi
con attenzione. Peccato che tra i miei poteri non ci fosse quello di leggere nel pensiero.
«Te l’ho già detto prima, ma te lo ripeterò. Non sarai utile a nessuno dei due se prima
non impari a usare i tuoi poteri e a tenerli sotto controllo.»
Sollevai una delle mani, ma l’altra rimase aggrappata al lenzuolo. «E come dovrei
imparare? Non è che posso mettere un’inserzione per un addestratore esperto di supereroi.
Inoltre, non abbiamo nemmeno tanto tempo.»
Si coprì gli occhi con l’avambraccio. «Ti addestrerò io; speriamo solo di non
distruggere il mondo.»
Un pensiero mi attraversò la mente: sarebbe stato un allenatore capace? E subito mi resi
conto dell’assurdità della situazione. Salve, mi chiamo Belle Jamison e sono
completamente pazza.
Un momento. Le labbra di Rome si stavano ancora muovendo. Non aveva finito di
parlare e io odio quando perdo il filo di un discorso.
«... troveremo il dottor Roberts, potremo capire meglio i tuoi poteri.»
Dato che trovare il dottore era in cima alla mia lista di priorità, mi dichiarai d’accordo
con il piano di Rome. «Hai idea di dove sia?»
«Non ancora.» Pausa. Scosse il capo, liberando la fronte da diverse ciocche di capelli.
«Mio Dio, non posso credere a quello che sto facendo. Tanto varrebbe darmi fuoco
all’istante e risparmiarti il disturbo.» Altra pausa. «Una volta mi sono fatto catturare per
poter entrare in una prigione per paranormali e aiutare un altro agente a fuggire. Sono stato
torturato senza pietà, ma ho il sospetto che quell’avventura mi sembrerà una vacanza in
confronto a questa.»
Non mi piaceva pensarlo imprigionato e picchiato a sangue. «Non sono così cattiva»
borbottai.
«Sei molto peggio, credimi. Vai a vestirti. Ti aspetto in macchina.»
Non mi mossi. «Dove andiamo?»
Mi scrutò a lungo, indugiando sui seni e sull’apice delle cosce. Il suo sguardo emanava
un calore così intenso che per poco non presi fuoco. Il respiro mi si bloccò in gola.
«Finiremo a letto se non ti vesti subito» disse con una voce che non lasciava dubbi sulle
sue intenzioni.
Istintivamente seguii la direzione del suo sguardo. Ero interamente coperta, ma il
lenzuolo era trasparente. Anche alla luce della luna si vedevano chiaramente i capezzoli e
il triangolo scuro in mezzo alle cosce. Ansimai. «Avresti dovuto dirmelo che ti stavo
offrendo uno spettacolo erotico.»
«Perché finisse? Ti sembro stupido?» Mi voltò le spalle. «Sbrigati. Prima ce ne andiamo
da qui, meglio è.» Si alzò dal letto con un balzo.
Prima che avessi il tempo di battere le ciglia, aveva raggiunto la porta e l’aveva aperta e
richiusa senza un solo rumore. Non si udì un sibilo d’aria né un cigolio di cardini. Avrei
potuto convincermi che non fosse mai stato lì se non fossi stata ancora eccitata e senza
fiato.
Mi alzai e per poco le ginocchia non mi cedettero. Avrei reagito sempre in quel modo
alla sua presenza? Le mie parti femminili avrebbero sempre spasimato per lui?
Mi affrettai a indossare i vestiti umidi e stropicciati. Le scarpe erano ancora ricoperte di
cenere. Avrei voluto avere una spazzola, ma dovetti accontentarmi di passare le dita tra il
groviglio scuro dei miei capelli. Fino a quel momento Rome mi aveva visto nelle peggiori
condizioni possibili e la cosa mi dava fastidio. D’altro canto se mi trovava attraente così,
come avrebbe reagito vedendomi truccata di tutto punto, con un vestito attillato e i tacchi a
spillo?
Non avrai intenzione di conquistarlo, vero? Chiese una parte di me.
Taci, stupida, rispose l’altra. Quell’uomo aveva messo sottosopra il mio mondo e io
avrei volentieri sconvolto il suo. Ecco tutto.
Non sapendo bene che cosa mi aspettava fuori, aprii lentamente la porta e sbirciai
all’esterno. Nel parcheggio c’erano sei utilitarie, diverse berline, un furgoncino e due Suv,
appena distinguibili nell’oscurità della notte. La strada era illuminata solo dai raggi della
luna. Dov’era Rome? Se mi avesse detto qual era la sua auto, sarebbe stato utile a
entrambi.
Forse era troppo distratto per pensarci, mi dissi con un sorriso compiaciuto.
Un paio di fari lampeggiarono a una certa distanza. Sorpresa, strizzai gli occhi,
restringendo il campo visivo. Senza quel segnale, non mi sarei mai accorta della presenza
di un’auto laggiù. Era così scura che si mimetizzava perfettamente nella notte. Mentre la
osservavo e i miei occhi si abituavano al buio, riuscii a distinguere due sagome attraverso i
finestrini fumé: una era seduta al posto di guida, l’altra di fianco. Non riuscivo a
distinguere i visi, ma supposi che fossero Rome e Tanner.
Chiusi a chiave la porta e mi diressi verso l’auto; solo allora udii il ronzio del motore.
Inspirai l’aria fresca e pulita della notte, ma il fiato mi si bloccò in gola quando la portiera
del passeggero si aprì e la luce inondò l’interno dell’abitacolo.
Anche i miei piedi si bloccarono e così pure le mani, praticamente congelate. C’erano
tre uomini nell’auto, mi resi conto, e nessuno di loro era Rome. Per la seconda volta
nell’arco della giornata il mio sguardo incontrò quello del Ragazzo Carino, che stava
scendendo dall’auto, pronto ad afferrarmi. Posai le mani sul cofano e in una frazione di
secondo l’auto si trasformò in un blocco di ghiaccio.
Scossi il capo. Avevo appena congelato un’auto intera. Con il solo tocco delle mie mani.
In qualche modo mi sembrava ancor più surreale di tutto il resto.
Il Ragazzo Carino mi fissò con sguardo torvo. «Non c’è bisogno di usare la violenza,
Belle.» La sua voce era priva di emozioni come la ricordavo, i suoi occhi mi fissavano
duri mentre avanzava verso di me. «Collabora e ti garantisco che non ti faremo del male.»
«Tu non sei della CIA» sbottai, arretrando. Dov’era finito Rome? Per qualche motivo, il
gelo mi stava abbandonando. Non credevo che sarei riuscita a trasformare il Ragazzo
Carino in una statua di ghiaccio se mi fosse balzato addosso.
«Io sono il tuo unico amico in questo momento. Rome vuole ucciderti. Io voglio
aiutarti.»
«Menti.» Rome aveva avuto tutte le occasioni che voleva per farmi del male e non
l’aveva fatto. Nemmeno una volta. «Tu sei...» Una solida massa di muscoli mi colpì al
fianco, facendomi uscire tutta l’aria dai polmoni, e due braccia robuste mi strinsero. Mi
sentii sollevare da terra e portare via a una rapidità incredibile. L’aroma virile di Rome mi
avvolse, forte e deciso come le sue braccia. «Avresti dovuto avvisarmi» ansimai.
«Un momento!» gridò il Ragazzo Carino. «Discutiamone, agente!» Quando Rome non
rispose, lo udii imprecare. «Tutti fuori» ordinò ai suoi compagni che erano rimasti in
macchina. «E per l’amor del cielo, qualcuno li prenda. Vivi.»
«Non c’era il tempo di avvisarti.» Gli stivali di Rome risuonavano pesantemente
sull’asfalto mentre girava a tutta velocità un angolo.
Dietro di noi udii un’imprecazione, seguita da passi affrettati. Il cuore mi martellava
contro le costole. «Mettimi giù. Posso correre.»
Ignorandomi, Rome mi portò di peso sul retro del motel, dove ci aspettava una Crown
Victoria a quattro porte. «Tieni giù la testa» mi ordinò prima di aprire la portiera e
infilarmi sul sedile del passeggero.
Scorsi con la coda dell’occhio Tanner che dormiva sul sedile posteriore, un secondo
prima che Rome si tuffasse al posto di guida. L’auto aveva già il motore acceso e il muso
rivolto alla strada, per cui tutto quello che dovette fare fu ingranare la marcia e dare gas.
Sfrecciammo via, facendo schizzare la ghiaia sotto le ruote posteriori.
Pop. Whiz. Crack.
Lanciai un grido quando il finestrino di Rome andò in frantumi, scagliando frammenti di
vetro dappertutto.
«Stai giù» mi gridò.
L’auto sbandò a sinistra, poi a destra, prima di sbattere contro qualcosa. Un corpo, mi
resi conto dal tonfo che seguì. Qualcuno gemette, ma non rallentammo. Non ci fermammo.
Svoltammo di colpo, saltammo sul bordo di un marciapiede e volammo sull’erba. Le ruote
stridettero quando finalmente atterrammo sulla strada principale. Il vento entrava
fischiando dal finestrino rotto, scompigliandomi i capelli.
I fari erano spenti e davanti a noi c’era il buio totale. Come poteva vederci Rome? Come
potevano vederci le altre auto? Mi sarebbe seccato molto essere scampata al Ragazzo
Carino solo per morire in uno scontro frontale.
Avevo difficoltà a respirare e la paura mi stringeva in una morsa di ghiaccio. Ci
avevano sparato addosso, per l’amor del cielo! Potevamo morire. Il battito divenne ancor
più frenetico e il sangue mi rimbombava nelle orecchie.
Il Ragazzo Carino si sarebbe mai dato per vinto?
Era così che avrei trascorso il resto della mia vita?
Un’altra ondata di gelo mi assalì, penetrandomi fino nelle ossa. Ero così gelata che
potevo vedere il fiato condensarsi a ogni respiro.
«Calmati, Belle, prima di congelare il motore» disse Rome. Piccoli cristalli di ghiaccio
si stavano già formando dalle ventole dell’aerazione. «Pensa a qualcosa di bello, piccola.»
Strinse il volante e sterzò in una strada secondaria. «La collera provoca il fuoco, la paura
il gelo, quindi i pensieri positivi dovrebbero neutralizzare entrambi.»
Neutralizzare. La mia parola preferita.
Fui scossa da un tremito. Non avevo un angolino tranquillo in cui rifugiarmi in quel
momento. Le emozioni non si possono forzare. Non potevo smettere di essere spaventata
più di quanto potessi smettere di amare mio padre. E questo significava che Rome e io
avremmo fallito prima ancora di incominciare. Ci avrebbero presi.
«Ricordi quando ti ho baciata?» mi chiese. «Ti è piaciuto?»
Come se potessi dimenticarmene. Istantaneamente l’immagine del suo viso che si
chinava su di me, delle sue labbra che reclamavano le mie, conquistò il centro della scena
nella mia mente, scacciando ogni altro pensiero. Bye bye, paura. Hello, desiderio. Mi
aveva guardata come se fossi la donna più bella che avesse mai visto. E come se morisse
dalla voglia di baciarmi.
Guardiamo in faccia la realtà. Non sono un esemplare perfetto di femminilità e dolcezza.
Certo, so di essere carina e qualcuno mi definirebbe spigliata (non voglio parlare di quelli
che mi definirebbero una sgualdrina). Ma queste qualità non sono sufficienti a riempire di
insaziabile passione un uomo aitante e sensuale come Rome.
Tuttavia mi desiderava; il modo in cui mi aveva baciata non lasciava dubbi.
«Eri in ebollizione» mormorò con voce roca. «Eri così eccitata che potevo avvertire
l’odore del tuo desiderio e la cosa mi piaceva. E sarò onesto con te, piccola. Hai la lingua
più bollente che abbia mai assaggiato e voglio sentirla su di me.»
Il sangue mi si riscaldò sciogliendo il gelo che mi pervadeva. Arrischiai un’occhiata al
sedile posteriore; grazie al cielo Tanner non si era svegliato e potevo...
L’auto sterzò ancora, facendomi sbandare da un lato all’altro. Le parole di Rome
svanirono dalla mia mente, insieme all’immagine del suo viso. Ogni speranza di attaccare
una conversazione erotica si dissolse. Ancora una volta alte pareti di ghiaccio si eressero
dentro di me.
«Ti ho guardata in viso, dopo» continuò Rome, come se non avesse un pensiero al
mondo. «Saresti venuta, se non mi fossi fermato. Avresti allargato le gambe e mi avresti
accolto dentro di te.»
Mi sentii rilassare per la seconda volta. «Sì.»
«Eri tutta bagnata.»
«Sì.»
«E io ero eccitato. Lo sono anche adesso.»
Mi agitai sul sedile, in preda a un desiderio smodato. Il fatto che mi parlasse in modo
così sensuale e che fosse eccitato nel mezzo del pericolo rendeva tutto ancora più
emozionante. Lo volevo. Oh, sì. Lo volevo nudo mentre si muoveva avanti e indietro dentro
di me.
«In un’altra situazione, Belle, ti avrei strappato i vestiti e avrei amato ogni centimetro
del tuo corpo.»
«Presto» ansimai, senza curarmi di quanto potessi sembrare facile o sciocca.
«Presto» promise.
Dopo di che non sapevo più che cosa dire. Ero pronta per lui. Non vedevo l’ora. Gli
erano bastate poche parole per eccitarmi. La prossima volta che mi avesse toccata...
Rome si schiarì la gola e si sistemò sul sedile. Mi lanciò una rapida occhiata e subito
distolse lo sguardo. Le punte delle mie dita si stavano surriscaldando e già emanavano
volute di fumo. Mi lasciai cadere contro lo schienale, sistemai i capelli arruffati dal vento
dietro le orecchie e svuotai la mente. Fu la cosa più difficile che avessi fatto da molto,
molto tempo. Il respiro mi usciva ansimante. Stavo camminando su una linea molto sottile.
La passione di qualsiasi genere poteva provocare un incendio.
«Sei calma, adesso?» mi chiese.
«Sì.» Posai il capo sul poggiatesta e guardai la luce della luna che filtrava tra gli alberi.
Non pensare a Rome. Non pensare a quel bacio. «Ma mi sentirei meglio se accendessi i
fari.»
«Non ce n’è bisogno. Posso vedere al buio.»
«Come?»
«Molto tempo fa, mi proposi per un esperimento... di chirurgia agli occhi... in cui mi
inserirono... ehm... una specie di lenti da visione notturna nei bulbi oculari.»
Ero perplessa da tutte quelle pause nel suo discorso, ma il pensiero di una simile
procedura mi strappò un’esclamazione di stupore. «Accidenti.»
Lui si strinse nelle spalle. «Ne è valsa la pena... nel complesso. La possibilità di vedere
al buio mi ha salvato la vita innumerevoli volte.»
Avrei preferito quel superpotere invece di quello che possedevo io: creare disastri.
«Fantastico, ma gli altri automobilisti non possono vederci.»
Ridacchiò. «Questo è il bello.»
«Se provochi un incidente...»
«Fidati di me. Ho appena portato a termine un salvataggio perfetto, non lascerò che tu
rimanga ferita in una collisione.»
Gli alberi sfrecciavano oltre il finestrino come macchie scure. «Abbiamo seminato il
Ragazzo Carino, allora?»
«Il Ragazzo Carino?» Mi lanciò un’occhiata irritata. «Dopotutto quello che ha fatto, lo
trovi carino?»
Feci roteare gli occhi. «L’abbiamo seminato o no?»
«Sì, è almeno un miglio dietro a noi.» Scoppiò in una risata. «Il Ragazzo Carino.»
«Dove stiamo andando?»
Ci fu uno sgradevole silenzio per diversi secondi prima che Rome dicesse in tono
esitante: «Ho un’amica che forse può aiutarci».
Una donna? E va bene, ammetto che non mi piaceva l’idea che Rome avesse un’amica.
Una fitta di gelosia mi assalì e strinsi le mani in grembo. Mi sentivo meschina, stupida e
assolutamente ridicola e non ne ero affatto orgogliosa. Ma in qualche modo, negli ultimi
minuti, ero arrivata a considerare Rome come se fosse mia proprietà e non mi piaceva che
ci fosse un’altra donna nella sua vita. Dopotutto, uomini e donne possono essere amici
senza andare a letto insieme, cercai di convincermi.
«Passeremo la notte da lei» riprese, «poi vedremo di capire che cosa fare con la terza
ruota.»
«La terza ruota?»
«Il ragazzo, ricordi?» Rome indicò il sedile posteriore con un cenno del mento.
Sbirciai nuovamente Tanner. Non si era ancora svegliato. Era steso di traverso sul
sedile, con i lineamenti rilassati dal sonno e una ciocca di capelli blu gli copriva gli anelli
sul sopracciglio.
Come mai non si era svegliato con tutta quella confusione?, mi chiesi. Mi sentii la
bocca arida mentre la risposta mi balzava alla mente. Mi girai di scatto verso Rome. «Non
gli hai fatto del male, vero?»
Mi guardò con aria offesa. «Gli ho solo dato qualcosa che lo mettesse fuori
combattimento per un po’.»
«Tu e le tue droghe» borbottai, ma ero sollevata. «Così l’hai neutralizzato?»
«Qualcosa del genere» disse, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso divertito.
«Che cosa hai usato?» Guardai nuovamente Tanner. «Mi preoccupa che abbia un sonno
così profondo.»
«Ho usato una combinazione perfettamente sicura che chiamo cocktail della buonanotte.
Si sveglierà domani mattina con un leggero mal di testa, tutto qui.»
Aggrottai la fronte. «È solo un ragazzino, Rome. Se lo aspettano a casa, i suoi genitori
potrebbero chiamare la polizia non vedendolo rientrare.»
Rome prese una curva a tutta velocità e accelerò. «Ho svolto una rapida indagine su di
lui. La madre se n’è andata il giorno del suo ottavo compleanno e il padre, che l’ha
allevato da allora, è morto pochi mesi fa. Il ragazzo ha ereditato un bel po’ di denaro e gli
ci vorrà del tempo per spenderlo tutto. Nessuno si accorgerà della sua mancanza o
sospetterà che gli sia successo qualcosa.»
Santo cielo. Non c’era da stupirsi che Tanner sembrasse sperduto e volesse stare con
me. Era vero che non aveva nessun altro. Aveva perso tutte le persone che amava. Io avevo
perso la mamma tanti anni prima, ma ero troppo piccola per ricordarmi di lei. E soprattutto
avevo mio padre su cui contare. Mi sentii triste per lui e mi girai ad accarezzargli la
guancia con la punta delle dita. Poverino. Che cos’avrei fatto io, quando mio padre fosse
morto e mi fossi ritrovata da sola?
Sentii un dolore acuto irradiarsi dal petto, seguito da un senso di vuoto.
Un istante dopo una goccia d’acqua mi cadde sulla guancia, seguita da un’altra che
atterrò sul mio naso. Le asciugai aggrottando la fronte. «Sta piovendo dentro?» chiesi,
guardando il tetto dell’auto.
«Cristo santo, Belle, pensa a qualcosa di positivo.»
Un’altra goccia. Confusa, mi voltai verso Rome. Le gocce cadevano anche su di lui,
come se una piccola nuvola di pioggia fosse entrata in macchina. «È opera mia?»
«Stai provando un’emozione molto forte?»
«Sì. Tristezza.»
«Allora è opera tua» concluse in tono grave.
Mi coprii la bocca con la mano e sgranai gli occhi. «Non voglio farlo. Non voglio che
ogni emozione che provo faccia cambiare il tempo. Voglio solo essere me stessa. Voglio
provare emozioni senza preoccuparmi di carbonizzare, gelare o affogare qualcuno.»
Le sottili linee intorno agli occhi di Rome si infittirono. In quel momento sembrava
allarmato, ma aveva un’aria così rassicurante che mi sarei gettata fra le sue braccia. «Lo
so, piccola» disse. «Ma in questo momento non possiamo farci niente.»
«Perché il dottor Roberts ha inventato quella dannata formula?» chiesi con un
singhiozzo.
«Da quel che ho sentito, pensava di rendere un grande servizio all’America. Voleva
rendere più forte il nostro esercito. Solo che è caduto nelle mani sbagliate. Nelle mani di
persone che volevano sfruttare la sua invenzione a proprio vantaggio.» Rome allungò una
mano e mi massaggiò il collo. «Non sarà sempre così difficile per te.»
«Come puoi esserne sicuro?» chiesi, speranzosa.
«Imparerai a controllare i tuoi poteri.»
«Quando?» Dio mio, quando?
«Presto. Speriamo presto.»
10
Quello che Rome aveva trascurato di dirmi in macchina era che questa sua “amica”, Lexis
Bradley, era una sensitiva, oltre a essere una delle donne più belle dell’universo
conosciuto. Ed era per giunta la madre di sua figlia.
Scoprii tutto questo da sola e allora mi incavolai davvero. Lasciate che vi racconti come
venni illuminata.
Salimmo in un ascensore lussuoso e pieno di specchi (più grande di tutto il mio
appartamento) fino all’ultimo piano di un edificio in vetro e cemento. Il portiere e la
guardia di sicurezza non ci avevano degnato di una seconda occhiata quando eravamo
entrati, nonostante il fatto che Rome portasse in spalla Tanner ancora addormentato. Lo
salutarono come se lo stessero aspettando.
Immaginai che venisse lì spesso insieme ai tipi più strani. Non sapevo bene come
collocare quell’informazione.
Quando fummo davanti alla porta di Lexis, lei venne ad aprire prima che avessimo
bussato. Rimasi a guardarla a bocca aperta per un istante, colpita dalla sua bellezza. Aveva
lunghi capelli neri e lisci che le ricadevano sulla schiena come una nuvola di mezzanotte.
Gli occhi erano di un vibrante color smeraldo, con un taglio vagamente orientale. La pelle
chiara aveva una luminosità perfetta. Sembrava un’opera d’arte in carne e ossa.
Vorrei poter dire che non intaccò la mia autostima. Già, mi piacerebbe. Peccato che
sarebbe una patetica bugia. Al confronto sembravo una cacca di cane e lo sapevo.
Sembrava che anche lei condividesse la mia opinione.
«Sapevo che saresti venuto» disse con voce melodiosa e un leggero accento che non
riuscii a identificare. I suoi occhi verdi si posarono su Rome, spogliandolo mentalmente.
«Entra.»
«Mi dispiace disturbarti a quest’ora.» Rome la oltrepassò con Tanner sulla spalla.
«Come sta Sunny?»
«Dorme.» Per poco Lexis non mi sbatté la porta in faccia.
Fermai con il piede il battente e mi introdussi nell’appartamento. Sunny... quel nome mi
ricordava qualcosa... mi pareva di averlo già sentito. «Vorrei entrare anch’io.»
«Oops, scusa.» Lexis non mi degnò nemmeno di uno sguardo. «Non ti avevo vista.»
La mandai mentalmente al diavolo.
«Porta il ragazzo nella stanza gialla» disse a Rome. «Gli ho già preparato il letto.»
Mentre mi accingevo a seguire Rome, sfiorai inavvertitamente la spalla di Lexis. Lei si
voltò di scatto, improvvisamente inorridita. Mi bloccai, perplessa. Qual era il problema?
Puzzavo? Avevo ferito la sua delicata sensibilità? La mia odiosa presenza rovinava
l’atmosfera della casa? Forse dovrei avvisarla che sono un’arma letale e che non è una
buona idea trattarmi male.
Distolse lo sguardo da me, richiuse la porta con mano tremante e quando finalmente
tornò a guardarmi era pallida in volto. «Tu sei Belle» disse. Non era una domanda ma una
constatazione.
«Sì. Rome ti ha parlato di me?»
«No, non l’ha fatto.» Andò a un tavolino vicino, prese un cellulare e compose un
numero. «Devi venire subito» disse al telefono e chiuse la comunicazione.
Il mio cuore perse un battito. Aveva detto a qualcuno di venirmi a prendere? Aveva
appena rivelato il mio nascondiglio?
Rome emerse dal corridoio senza il suo fardello e mi si avvicinò, ottenendo un’occhiata
piuttosto contrariata da parte di Lexis.
«Ho chiamato tuo fratello» lo avvisò.
Nello stesso momento io stavo dicendo: «Ha telefonato a qualcuno...». Un momento.
Rome aveva un fratello? «Anche lui è un agente para-normale?»
Il viso di Rome tradiva la sua confusione. Mi ignorò mentre chiedeva a Lexis: «Perché
hai chiamato Brit?».
«Voglio che prenda con sé Sunny per qualche giorno.» Lexis si piazzò una mano sul
fianco. «Perché non hai portato Belle da John?»
John. Come John Smith, il capo di Rome? E io che avevo pensato mentisse sul suo nome.
Rome si irrigidì e rimase immobile, sembrava perfino che trattenesse il fiato. «Sunny è
in pericolo?» domandò. Notai che non si era dato la pena di rispondere alla domanda che
mi riguardava.
«Andrà tutto bene» lo tranquillizzò Lexis, accarezzandogli il braccio. «Te lo prometto.
La tua amica, che in questo momento dovrebbe essere rinchiusa in un laboratorio, creerà
problemi e io voglio che Sunny non si trovi in casa.»
Rimasi a bocca aperta. Lexis stava salendo rapidamente nella lista delle persone che
avrei voluto punire appena avessi imparato a controllare i miei poteri. Ma per quanto mi
rifiutassi di prendere in considerazione il suo commento, non potevo. Non dopo gli incendi
e l’auto congelata. «Chi è Sunny?»
«Nostra figlia» mi rispose Lexis in tono altezzoso.
Rimasi un istante senza fiato. Nostra figlia. Figlia sua e di Rome. Così Rome aveva fatto
l’amore con quella donna stupenda. Lo faceva ancora? Uno spasmo nervoso mi contrasse le
mani. Oltre al fatto che avevamo ammesso reciprocamente di voler andare a letto insieme,
non potevo vantare alcuna pretesa su di lui. Ciò nonostante in quel momento mi sentivo
molto possessiva.
«Mi hai portato a casa di una tua amica?» gli chiesi in tono sarcastico. «Siete sposati?»
«Non più» disse Rome. Se non altro questo era un sollievo. Non avevo baciato e
accarezzato un uomo sposato. Rivolgendosi a Lexis, disse: «Vado a svegliare Sunny e ad
aiutarla a prendere le sue cose». Dopodiché si allontanò nella stessa direzione in cui aveva
portato Tanner, lasciandomi sola con Lexis.
Non pronunciammo una sola parola. Non ci guardammo nemmeno in viso. Restammo
semplicemente lì, a disagio. Santo cielo, era la madre della figlia di Rome.
Ne approfittai per ispezionare l’appartamento. Non avevo mai immaginato di trovarmi
davanti a tanto lusso. Una vetrata panoramica occupava tutta una parete, offrendo una vista
incredibile del cuore della città. Vivaci quadri floreali in stile orientale ravvivavano le
pareti. I pavimenti in marmo candido e verde menta mandavano bagliori iridescenti. Sparsi
tutt’attorno c’erano cassapanche e tavolini laccati verdi e blu. Un divano di velluto color
cremisi, con cuscini di seta, occupava il centro del soggiorno.
Non avendo più altro da guardare, riportai lo sguardo su Lexis. Era sofisticata ed
elegante come la sua casa. Indossava un abito verde che metteva in risalto le sue curve
perfette. Le cuciture erano dorate come le foglie che decoravano l’orlo. Tanta perfezione
era irritante. E ancor più lo era sapere che Rome l’aveva vista nuda.
Lui ricomparve dopo un po’ con un angelo e una borsa. L’angelo aveva i capelli neri
come i suoi e (sigh!) come quelli della madre, solo leggermente ondulati. Gli occhi erano
inclinati all’insù, verdi come quelli della madre (doppio sigh!). Indossava una camicia da
notte punteggiata da orsetti bruni; con una mano si aggrappava al collo di Rome e con
l’altra stringeva al petto un peluche. Sbadigliò.
Vedere insieme padre e figlia mi procurò una stretta al cuore. Sprigionavano amore, un
alone radioso di fiducia e serenità. Tra loro c’era un legame tranquillo e solido che
nessuno sarebbe mai riuscito a spezzare. Lo stesso che univa me a mio padre, pensai con
nostalgia.
«Mi sei mancata tanto, raggio di sole» le disse Rome.
«Anche tu mi sei mancato, papi» rispose con la sua vocina assonnata.
Poteva avere quattro anni, azzardai, ed era la bambina più deliziosa che avessi mai
visto. Finché non posò lo sguardo su di me. Si rabbuiò e mi chiese in tono imperioso: «E tu
chi sei?».
«Lei è Belle. È un’amica di papà» rispose per me Rome, accarezzando con tenerezza i
capelli della bimba. «Sii carina con lei, d’accordo?»
«Non mi piace» fu la risposta, pronunciata senza particolare enfasi come se avesse
detto: Il mio orsacchiotto vuole essere abbracciato.
Lexis sorrise compiaciuta.
Incrociai le braccia sul petto. «Ti dispiace dirmi che cos’ho fatto di male?» chiesi alla
bambina.
«A lei non piace nessuno» mi spiegò Rome, baciando Sunny sulla guancia. «Tranne me.»
«È vero» ribadì Sunny con il tono di un professore. «Oh, anche la mamma mi piace.»
Scosse il capo, gettandosi i capelli oltre le spalle. «Ma gli estranei sono cattivi, cattivi che
fanno brutte cose.»
Rome trasudava orgoglio. Probabilmente Sunny stava citando le sue parole.
«Oh, certo» convenni. «Quindi questo significa che anche tu non mi piaci, dato che per
me sei un’estranea.»
Scoppiò in una risata argentina che parve illuminare la stanza. «Io non sono
un’estranea.»
«Ne sei sicura?» chiesi, battendomi l’indice sul mento con aria pensosa. «A me sembri
proprio un’estranea.»
«Sicurissima» confermò con un’altra risata. Rome sorrise e mi rivolse uno sguardo così
tenero da ridurmi una gelatina.
«Brittan è arrivato» disse Lexis, andando alla porta. Quando l’aprì, vidi un uomo alto
con il pugno alzato come se fosse in procinto di bussare. Indossava dei pantaloni neri e una
T-shirt grigia; i capelli scuri erano arruffati e se non fosse stato per una piccola gobba sul
naso e per gli occhi castani, sarebbe stato l’esatta replica di Rome.
Storse le labbra. «Ero sicuro che sarei riuscito a batterti, stavolta.»
«Come se potesse succedere.» Lexis fece un passo indietro, invitandolo a entrare.
«Accomodati.»
«Ciao, fratellino!» esclamò Brittan andando dritto da Rome e stringendogli una spalla
con un gesto affettuoso. Vedendoli uno accanto all’altro, notai che Rome era più alto e più
giovane del fratello. Brittan aveva qualche filo d’argento tra i capelli e più rughe intorno
agli occhi.
Appena mi vide, aggrottò la fronte. «Chi è?» chiese, indicandomi con un cenno del
mento.
«Belle Jamison» risposi prima che qualcun altro (vale a dire Lexis) mi presentasse come
la Fonte di Ogni guaio. «Un’amica di Rome.»
«Collega?» chiese, ma io non ebbi il tempo di rispondere.
«Zio Brit, zio Brit! Smettila di ignorarmi!» Sunny si agitò tra le braccia del padre,
sporgendosi verso Brittan.
«Ci siamo visti poche ore fa, scricciolo, ma mi piace questo tipo di saluto» disse,
stringendo forte a sé la bambina, pazza di gioia.
«Ho bisogno che la tenga con te per un paio di giorni, Brittan. Non portarla nel tuo
appartamento, portala fuori dal palazzo; sarà al sicuro nella tua casa di Peach Street» lo
istruì Lexis.
Brittan perse ogni traccia di buonumore. «Sta per succedere qualcosa?»
Nessuno dubitava di una sola parola che uscisse dalle labbra perfette della perfetta
Lexis, a quanto pareva, anche se parlava di un futuro che nessuno poteva conoscere per
certo.
Lexis indicò Sunny con lo sguardo e Brittan annuì. Era chiaro che non volevano far
capire alla bambina quello che stava succedendo. Io stessa non avevo capito bene. O Lexis
voleva allontanare la piccola da me semplicemente perché non le piacevo, oppure Rome le
aveva parlato davvero di me e lei voleva allontanare la figlia dalla linea di fuoco. Intesa in
senso letterale. Questo avrebbe spiegato la sua ostilità nei miei confronti.
Rome si spostò al mio fianco e io mi sentii avvolgere dal suo calore. Non sapevo
perché, ma il solo fatto di averlo vicino mi faceva stare già meglio, mi rendeva più calma
nei confronti di ogni cosa. Anche se quel bastardo aveva sposato Lexis. Era andato a letto
con lei. Le aveva dato una figlia.
Lexis tempestò di piccoli baci il viso di Sunny. «Mi mancherai tanto, ma so che ti
divertirai con lo zio Brittan, come sempre.»
«Papi dice che state partendo di nuovo» disse Sunny. «Quanto starete via questa volta?»
«Due settimane» rispose Lexis.
«Due giorni» protestò Sunny.
«Una settimana» intervenne Rome.
Sunny ci pensò per qualche istante. «Affare fatto.»
«Dammi un bacio prima di andare, raggio di sole.» Percepii un tremito nella voce di
Rome, che mi toccò. Gli presi una mano e intrecciai le dita alle sue. Lui non si ritrasse,
anzi, me le strinse in segno di ringraziamento.
Sunny si sporse dalle braccia di Brittan, che la teneva saldamente, e si allungò per
posare un bacio con lo schiocco sulla guancia del padre.
«Ti voglio bene, tesoro.»
«Anch’io, papi.»
Lexis aveva le lacrime agli occhi e devo ammettere che anch’io ero commossa. Mi
sentivo un po’ in colpa per essermi intromessa in un addio così intimo e familiare. E
ancora di più per esserne la causa.
«Fuori di qui, adesso» disse Lexis. «Andate.»
«Ciao, estranea» mi salutò Sunny. Ricambiai con un sorriso e un cenno della mano.
Brittan sistemò la bambina su un fianco sostenendola con una mano e con l’altra prese la
borsa. Pochi istanti dopo erano fuori, impegnati in una conversazione sugli orsi.
Il silenzio riempì l’ingresso finché Rome non mi rivolse un mezzo sorriso, dicendo: «Sei
riuscita a incantare non solo me ma anche mia figlia».
Io l’avevo incantato? Tutt’a un tratto avevo voglia di mettermi a ballare nuda.
Prima che potessi farlo, però, Rome si voltò verso Lexis con espressione seria. «Brit si
prenderà cura di lei» disse e io pensai che quelle parole servivano a rassicurare soprattutto
se stesso. «Anche se non possiede superpoteri, è un militare addestrato.»
«Vieni.» Lexis si asciugò gli occhi e gli tese la mano. «Parleremo in camera mia.»
«Comportati bene» si raccomandò Rome, rivolgendosi a me. Poi, come se fosse la cosa
più naturale del mondo e l’avesse fatta un milione di volte, lasciò la mia mano per
prendere quella di Lexis e insieme si allontanarono verso il corridoio.
Fissai con sguardo torvo le loro schiene, improvvisamente furiosa, con gli occhi che
iniziavano a bruciarmi. «Vi aspettate davvero che resti qui?»
Rome brontolò tra sé e si fermò di colpo.
«Sì» disse Lexis. «Ce lo aspettiamo.»
Rome lasciò la sua mano e la sospinse gentilmente avanti. Lei mi lanciò un’occhiata
oltre la spalla e si allontanò, mentre lui restava impalato, senza voltarsi.
«Se pensi di andartene e ritirarti a chiacchierare con lei in camera da letto, hai un
disperato bisogno di fare un esame del tuo quoziente di intelligenza» sbottai. Non potevo
lasciarli da soli. Insieme. E questo non aveva niente a che vedere con la gelosia. Sul serio.
La mia vita era in pericolo e avevo il diritto di ascoltare qualsiasi conversazione
riguardasse me, i miei poteri, le persone che mi davano la caccia, Rome, il suo passato,
presente e futuro (in fondo, è il mio socio), Tanner e una possibile relazione tra Rome e la
sua ex moglie. Dopotutto, mi aveva baciata e aveva ammesso di voler venire a letto con
me.
Dopo il modo in cui l’aveva presa per mano... Sentivo la collera ribollire dentro di me e
piccoli sbuffi di fumo mi uscivano dalle narici. «Allora?»
Finalmente mi degnò della sua attenzione. Teneva le labbra serrate e non riuscivo a
capire se fosse per trattenersi dal digrignare i denti o dal ridere. Incrociò le braccia sul
petto e studiò la mia espressione. Increspò le sopracciglia confuso, ma non mi sfuggì un
luccichio nei suoi occhi.
«Che cosa ti ha fatto arrabbiare, adesso?» mi chiese.
«Niente» risposi con la tipica petulanza infantile, mentre dentro di me gridavo: Tutto!
Una parte di me voleva che mi leggesse nel pensiero e capisse da solo. Era chiedere
troppo?
«Lui non può» intervenne Lexis.
Non l’avevo sentita tornare, concentrata com’ero su Rome. Sfortunatamente, adesso era
al suo fianco. «Non può cosa?» chiesi, aggrottando la fronte.
«Leggerti nel pensiero. Rome non può farlo.»
Come aveva fatto... Aprii la bocca e la richiusi nella perfetta imitazione di un pesce
boccheggiante. «Tu puoi?»
«Sì» rispose come se fosse una cosa perfettamente normale.
Non era possibile, mi dissi, fissandola con occhi ridotti a due fessure. Che cosa sto
pensando in questo momento, brutta...?
«Che cosa sto pensando in questo momento, brutta... cosa?» Si portò le mani ai fianchi e
serrò le labbra. «Avanti, finisci questo incantevole pensiero.»
«Fuori dalla mia mente» le ordinai inorridita. «Subito!» Se quella donna era in grado di
leggere nel pensiero, probabilmente poteva predire anche il futuro. Magnifico. Aveva detto
che non avrei portato altro che guai e Rome l’aveva sentita. Non volevo che mi
considerasse una fonte di problemi; volevo che mi considerasse sexy. E avrei preferito
strangolarmi con le mie stesse budella piuttosto che permettere a Lexis di leggere questi
pensieri privati.
«Primo, questo è disgustoso» disse, inarcando un sopracciglio proprio come faceva
Rome quando era esasperato con me. «Secondo, se vuoi che esca dalla tua mente, dovrai
erigere una protezione.»
«Come?» Avevo i muscoli contratti, pronti alla lotta. Quel mondo paranormale in cui ero
finita mi aveva davvero rotto! Chi altri mi aveva letto nel pensiero?
Lexis lanciò un’occhiata a Rome. «Vuoi spiegarle?»
«Hai mai visto un cartello di divieto d’accesso, Belle?»
«Sì.» Svuota la mente. Svuota la mente. Mostra a questa stronza uno schermo vuoto.
«Era già vuoto, comunque» commentò Lexis.
Mi conficcai le dita nel palmo e feci un passo verso di lei con aria minacciosa.
«Metti un cartello di divieto d’accesso alla tua mente» intervenne Rome, coprendo la
distanza che ci separava e posandomi le mani sulle spalle per bloccarmi. «Visualizzalo.»
A quel punto avrei provato qualsiasi cosa. Chiusi gli occhi e cominciai a costruire un
elaborato cartello di legno con su scritto Vietato l’accesso a lettere cubitali rosse. Poi, di
loro iniziativa, le parole cominciarono a deformarsi allungandosi e allargandosi fino a
ricomporsi per formare uno scudo.
Aveva funzionato. Riaprii gli occhi e vidi Lexis che alzava le spalle come se non le
importasse.
«Fatto?» chiese Rome. La mano che mi teneva sulla spalla scivolò lungo il braccio in
una carezza e le sue dita mi sfiorarono il palmo.
Annuii, soddisfatta, cercando di ignorare l’intenso piacere che mi aveva trasmesso quel
semplice tocco.
«Ecco» disse Lexis. «Adesso è protetta. Possiamo andare, Rome?»
«Solo un momento.»
Con un ringhio di frustrazione, Lexis si avviò lungo il corridoio. Rome mi prese il mento
nella mano per richiamare la mia attenzione. Il suo profumo virile mi avvolse, stordendomi
quanto il suo tocco.
«La prossima volta avvisami prima» borbottai, aggrappandomi alla collera piuttosto che
cedere al desiderio. «Se mi avessi detto che era una sensitiva, mi sarei potuta preparare.»
Per mia ulteriore gioia, mi passò il pollice sulle labbra, procurandomi un brivido
delizioso. «Che cosa ti prende? Di solito sei tagliente, ma non ti ho mai vista così piena di
animosità. E non dirmi che è perché non vuoi che ti si legga nel pensiero, perché eri agitata
anche prima.»
«Non sono affatto tagliente. Sono una persona dolcissima e porto il sole nella vita di tutti
quelli che mi stanno intorno.»
Ridacchiò. «Ti credo, ma non hai risposto alla mia domanda.»
Sollevai il mento, consapevole di assumere così un’aria ostinata. «Tu hai i tuoi segreti e
io ho i miei.» Dirgli che lo volevo tutto per me e che non mi piaceva saperlo con un’altra
donna, qualsiasi fosse il motivo, richiedeva un prezzo molto alto. Il mio orgoglio. E non
ero disposta a pagare una somma così considerevole.
Silenzio pesante, sospiro profondo. «Bene, ma devi capire che è l’esatta ragione per cui
voglio che tu aspetti qui. I miei segreti.»
«No.» Il mio mento si alzò di un altro centimetro.
«Puoi tenere d’occhio Tanner.»
«Sta bene.»
«Belle.» Altro sospiro.
«Rome. Non me ne starò qui mentre tu e la tua ragazza fate sesso e poi parlate di me. Mi
dispiace, ma la mia risposta è e rimane no.»
«La mia ragazza?» Sbuffò. «Come se potessi gestirne due come voi.» Mi passò la mano
alla base del collo e si chinò a sfiorarmi le labbra in un bacio lieve e squisito. «Il tuo
modo di ragionare mi affascina.»
Deglutii. «Di solito la gente si offende.»
«Non io» mormorò, accarezzandomi le labbra con il suo alito tiepido.
Istantaneamente il mio corpo reagì smaniando per qualcosa di più. Era come se non
avesse mai smesso di baciarmi dalla prima volta che l’aveva fatto e tutto quel tempo fosse
stato solo un lungo preliminare. Sentivo i capezzoli turgidi, il basso ventre teso e le gambe
molli.
«Se ti prometto che non faremo sesso, resterai qui?» chiese con voce sensuale, carica di
desiderio.
Passò un lungo momento prima che fossi in grado di formulare una risposta coerente.
«N... no.» Era eccitato e lasciarlo andare in quel momento sarebbe stata una follia, specie
conoscendo la tigre che lo aspettava in camera da letto. Rome poteva anche non avere
intenzioni romantiche nei suoi confronti, ma sospettavo che lei ne avesse in abbondanza, un
altro motivo per il suo astio verso di me.
Direste che sono gelosa? Niente affatto, la odiavo perché era una stronza, non perché
fosse una rivale.
Piantala, Jamison, stai ribollendo di gelosia.
«No» ripetei, più per me stessa che per lui.
Rome roteò gli occhi. «D’accordo. Vieni.» Intrecciò le dita alle mie. «Se senti qualcosa
di sconvolgente, non dirmi che non ti avevo avvisata.»
Un brivido mi risalì lungo il braccio al contatto con il suo palmo. Era così forte, caldo e
vissuto, con calli che parlavano della sua vita spericolata. Come potevo aver dubitato di
lui?
Girò sui tacchi e mi condusse lungo il corridoio. Una fragranza di incenso al gelsomino
aleggiava nell’aria. Alle pareti color caffè, invece dei dipinti che mi aspettavo, erano
appese foto di Sunny.
«Un momento» dissi a Rome, allungando il collo per guardarne una che ritraeva lui e la
bambina su un dondolo.
Mi ignorò e mi trascinò in camera da letto.
Mi fermai a bocca aperta, assorbendo ogni dettaglio. Ero entrata in un harem, senza le
donne prigioniere, ovviamente. La camera da letto di Lexis aveva un aspetto ancora più
raffinato e decadente del soggiorno. Un letto smisurato campeggiava al centro della stanza,
circondato da un sottile velo nero che pendeva dal baldacchino. Tutt’intorno, sul
pavimento, erano sparsi cuscini rossi ricamati con perline color rubino. Dal soffitto
pendeva un lampadario con un centinaio di bracci, che diffondeva su ogni cosa un alone
dorato. Alle pareti erano appesi specchi dalla cornice color oro. E per finire un caminetto.
Che diavolo di lavoro faceva Lexis per potersi permettere tutto quel lusso? O era Rome
che pagava per lei? Non sapevo che gli agenti governativi guadagnassero tanto.
Con i capelli che le accarezzavano la schiena come un velo di raso nero, Lexis emerse
da una cabina armadio portando con sé una grande valigia di tela e diversi capi
d’abbigliamento, che posò delicatamente sul letto.
«Parti?» le chiese Rome. Lasciò la mia mano e mi sfiorò il braccio prima di annullare
qualsiasi contatto.
Senza il suo tocco, avvertii improvvisamente un senso di vuoto.
«La tua ragazza sta per incendiare questa casa» rispose Lexis, acida, riponendo nella
borsa un abito di seta verde. «Immagino che sia nel mio interesse andarmene prima che
succeda.»
Non ebbi il tempo di crogiolarmi nella felicità suscitata dalle parole la tua ragazza
perché la sua accusa mi risuonava nelle orecchie. «Non ho nessuna intenzione di incendiare
questa casa» protestai.
Rome chinò il mento sul petto e scosse il capo. «Mi dispiace, Lex. Non sarei venuto qui,
se l’avessi saputo.»
«Lo so» disse. «Brit si prenderà cura di Sunny, così almeno abbiamo una
preoccupazione in meno.»
«Non incendierò niente» insistetti.
«Non di proposito» replicò Lexis mentre tornava nella cabina armadio per prendere altri
indumenti. «Ma lo farai.»
«Resta qui, Lex» disse Rome. «Ce ne andremo noi.»
«Troppo tardi.» Piegò un paio di jeans e li ripose nel borsone. «Non posso mandarti via,
Rome. È troppo pericoloso. E poi ormai sono coinvolta.»
Fantastico. Proprio quello che volevo sentire. «Vi comportate come se fosse inevitabile
che appicchi un incendio. Ma ora che sono stata messa in guardia, farò attenzione.» Ero
pronta a scommettere che stava solo cercando di mettermi in cattiva luce agli occhi di
Rome.
Lexis mi fulminò con uno sguardo penetrante; i suoi occhi color smeraldo avevano un
bagliore soprannaturale. «Creerai ugualmente problemi.»
Dio, come la odiavo! Non arrabbiarti. Non arrabbiarti. Cercando di controllare il
respiro, stiracchiai le dita dietro la schiena nel caso in cui emettessero volute di fumo.
Sentivo già un calore intenso.
«Ehm, Belle, dolcezza...» disse Rome.
«Non ora, Rome. Lexis e io siamo nel mezzo di una... conversazione.»
«La conversazione può aspettare. Hai le dita in fiamme.»
Dannazione. Mi voltai verso di lui, puntandogli al petto un dito acceso. «Controllati.
Pensa positivo» sbottai. «Sai cosa ti dico? Sono in fuga, non posso tornare a casa mia, mi
manca mio padre, c’è della gente che vuole uccidermi e/o catturarmi per ragioni che ancora
non comprendo bene, la tua amica è una stronza e io sto morendo di fame.» Il mio stomaco
rischiava di autodivorarsi, mi resi conto solo in quel momento. Non avevo avuto un pasto
decente in tutta la giornata. Dopo la fantastica colazione che Rome aveva preparato al
mattino, sembrava che fossero passati secoli. «Ho tutto il diritto di sentirmi emotivamente
scossa.»
«Lo so» mormorò. Con espressione piena di comprensione, mi soffiò sulle dita,
spegnendo il fuoco, e mi cinse con un braccio la vita. Mi passò le mani sulla schiena e
sulle spalle, dove iniziò un delizioso massaggio. «Mi dispiace.»
La mia collera svanì come d’incanto. Un uomo comprensivo era già una rarità, ma uno
che diceva sinceramente che gli dispiaceva era inestimabile.
«La terrò sotto controllo io stanotte, Lex» disse Rome. «Mi assicurerò che non provochi
un incendio.»
Lexis esitò, poi annuì. «Non dovrei ignorare i miei istinti, ma mi fiderò di te, Rome.
Partiremo domani mattina.»
«Bene. Adesso mettiamoci al lavoro, così Belle e io possiamo mangiare qualcosa e
riposare un po’.» Le sue mani non smisero di massaggiarmi i muscoli indolenziti.
Lexis, che continuava a fare i bagagli, evitava di guardare nella nostra direzione.
La guardai senza pregiudizi e notai che si muoveva con la grazia fluida di una ballerina.
Gettò un’altra valigia sul letto. «Questa la preparo per te» mi disse. «Avrai bisogno di
qualche vestito nei prossimi giorni e abbiamo più o meno la stessa taglia.»
Una gentilezza del tutto inattesa. «Grazie» mormorai con una punta di senso di colpa.
«Di niente.»
«Facciamo il punto della situazione» intervenne Rome, dopo un attimo di silenzio.
«Belle ha ingerito una formula sperimentale.»
«Contro la mia volontà» aggiunsi. «Un po’ più in basso» dissi, spostando le spalle per
indicargli il punto esatto. Oh, sì, proprio lì. La testa mi ricadde in avanti mentre mi
abbandonavo all’estasi. «Hmm...»
Lui inspirò a fondo prima di riprendere la spiegazione a beneficio di Lexis. «La formula
ha alterato il suo DNA.» La sua voce assunse un timbro roco. «Le ha dato il potere sui
quattro elementi, come avrai capito quando hai visto le sue dita prendere fuoco.»
Lexis si interruppe e si voltò verso di noi. «Allora è per questo che sento un ronzio
elettrico provenire da lei?»
«Sì.» Rome si concentrò sulla parte bassa della mia schiena, proprio sopra le natiche, e
io mi morsi le labbra per trattenere un gemito di piacere. «Sia Vincent sia il nostro capo la
vogliono.»
Un momento. Il nostro capo? Questo significava che Rome e Lexis erano anche colleghi
di lavoro. Magnifico.
«Non essere tesa» mi sussurrò all’orecchio. «Sei la Ragazza della Tavola Periodica,
ricordi? Rilassati.»
«Non chiamarmi così.»
«Stiamo parlando della formula del dottor Roberts, vero?» chiese Lexis, ignorandomi.
Rome annuì. «Tu hai lavorato con lui in passato. Lo conosci meglio di me.»
«Hai lavorato con il dottor Roberts?» le chiesi. Be’, più che altro ringhiai. Non mi
piaceva quell’uomo, per ovvie ragioni.
«Sì» rispose. «Non è cattivo. Non ti avrebbe mai fatto del male di proposito. È un uomo
dolce, con le migliori intenzioni, ma ha un lato perverso. Ha un debole per il sadomaso e
penso che Vincent ne abbia approfittato, probabilmente ricattandolo, per costringerlo a
lavorare alla formula anche dopo che il dottore aveva scoperto che i suoi scopi non erano
così altruistici come credeva.»
«Perché lavoravi con lui?»
Lexis si strinse nelle spalle. «Avevamo sentito parlare dei suoi esperimenti su un liquido
che avrebbe reso forte anche l’individuo più debole e lo volevamo al SIP. Quando scelse
di lavorare per l’OASS, venni incaricata di farmelo amico e tenerlo sotto controllo,
assicurandomi che fallisse. Ma Vincent scoprì quello che stavo facendo e rinchiuse il
dottore in un laboratorio sotterraneo.»
«Credi di riuscire a localizzarlo?» le domandò Rome. «Ho bisogno di trovarlo. Ho
promesso a Belle che l’avrei aiutata a cercare un antidoto e a liberarla da Vincent.»
«E John?» chiese Lexis.
Non mi avrà, le risposi mentalmente.
Rome rimase in silenzio per un momento. «Penserò più tardi a lui» disse infine con una
strana inflessione che non riuscii a decifrare. «Dimmi di Roberts.»
Lexis chiuse gli occhi e il suo viso assunse un’espressione rilassata. Per un istante non
fui sicura che respirasse. «È in città» disse con voce incolore. «Non si è allontanato e non
lo farà. C’è ancora qualcosa che deve fare qui.»
«Che cosa?» domandò Rome.
«Non lo so» rispose lei, con una punta di delusione. «Non riesco a leggerlo.»
Così il Ragazzo Carino Vincent non aveva ancora catturato il dottore. Quindi c’era
ancora una possibilità che lo trovassi prima di lui e lo costringessi a rimediare a quello
che mi aveva fatto. Ammesso che fosse possibile.
«Si nasconde molto bene e non riesco a localizzarlo con esattezza.»
«Se non altro, sappiamo che è ancora ad Atlanta» osservò Rome. Le sue mani smisero di
muoversi sulla mia schiena, ma non si spostarono. Mi posò il mento sul capo. «Sei sicura
che Sunny sia al sicuro?» La sua voce era carica di emozione, come se quelle parole
fossero sempre state sulla punta della sua lingua e non potesse trattenerle un secondo di
più.
Profondo affetto e tristezza si alternarono sul viso di Lexis, conferendo alla sua esotica
bellezza una dolcezza incantevole. «Starà bene.»
Il petto di Rome mi premeva contro la schiena, così potei sentire il battito accelerato del
suo cuore rallentare gradualmente a quelle parole. Provai una stretta allo stomaco. Cercai
le sue mani e intrecciai le dita alle sue, nella speranza di trasmettergli un po’ di conforto.
«Avevamo detto di nasconderla» disse Rome in tono completamente diverso da prima.
Ora la sua voce era piatta e incolore come la prima volta in cui l’avevo incontrato.
«Sì» replicò Lexis, fissandolo in attesa che continuasse.
«Ho un piano e Belle... ci aiuterà.»
Che cos’era quell’esitazione che avevo colto? «Imparerò a controllare i miei poteri»
assicurai a entrambi. «Non vi sarò d’ostacolo.»
Lexis spalancò gli occhi mentre passava con lo sguardo da Rome a me e viceversa. «È
per questo che non l’hai portata da John?»
Lui annuì.
Dopo un istante di esitazione, Lexis disse in tono asciutto: «Apprezzo la tua disponibilità
ad aiutare mia figlia».
Figurati, avrei voluto rispondere. Era chiaro che non si aspettava un grande aiuto da
parte mia.
«Grazie, Lex» disse Rome. «Ti sono debitore. Per tutto.»
«Non più di quanto lo sia io nei tuoi confronti.»
Si scambiarono un sorriso e io dovetti mordermi la lingua per non dire qualcosa di
idiota. O di cattivo. O entrambi. Se continuavo così, sarei diventata un campione di
autocontrollo.
«Andate a mangiare» disse Lexis, riprendendo a fare i bagagli. I suoi gesti erano più
sciolti e la sua espressione più serena di prima. «Si sta facendo tardi e io devo ancora
finire qui, in modo da essere pronti a partire domani mattina.»
Ora che la signora ci aveva liquidati, avrei potuto tempestare Rome di domande su di
lui, su sua figlia e sulla sua relazione con Lexis. Niente scuse, questa volta. Niente risposte
evasive. Mi avrebbe detto tutto quello che volevo sapere oppure avrebbe subito la collera
della Regina delle Fiamme.
Feci una smorfia. Quel nome non mi piaceva più di quelli che mi aveva dato Rome.
Avrei dovuto trovarne al più presto uno migliore, altrimenti sarei rimasta la Ragazza della
Tavola Periodica.
Mi sfuggì un sospiro. Non volevo passare alla storia con un nome così idiota. Non che
mi ritenessi una supereroina, ma intravedevo la possibilità di diventarlo. In fondo avrei
aiutato Rome a nascondere sua figlia.
La supereroina Belle Jamison. Sì, il suono cominciava a piacermi.
11
Seguii Rome in sala da pranzo, con tutte le intenzioni di interrogarlo a proposito di Lexis.
Invece, appena vidi il cibo preparato sul tavolo, la mia mente si svuotò. Prosciutto,
formaggio, cracker... Lexis doveva aver preparato tutto prima, sapendo che saremmo
arrivati. Quando feci una pausa per prendere il fiato tra un boccone e l’altro, Rome era già
sotto la doccia.
Mi consolai con una bottiglia di vino rosso (non chiedetemi il nome perché non saprei
pronunciarlo) e dell’altro cibo. Era il perfetto spuntino di mezzanotte per concludere quella
lunghissima giornata. Mezz’ora più tardi, dopo essermi rimpinzata e aver fatto un giro per
l’appartamento, Rome non era ancora uscito dal bagno, così decisi di fare anch’io una
doccia. Da sola. In un bagno che era lussuoso come il resto dell’appartamento, con
rubinetti dorati e marmo con venature rosate. Avrei potuto vivere in quel bagno.
Più tardi, nella camera degli ospiti che mi aveva assegnato Lexis, infilai il pigiama di
seta verde acqua che mi aveva prestato. Mi aspettavo un sacco di tela grezza o una camicia
di flanella extra large, quindi la seta fu una piacevole sorpresa; il tessuto era morbidissimo
sulla pelle.
Stavo uscendo dalla stanza quando notai un telefono sul comodino. Mi fermai, serrando
le labbra. Forse avrei dovuto chiamare Sherridan. Se mi avesse cercata al lavoro, si
sarebbe allarmata scoprendo che ero stata licenziata e non l’avevo chiamata. Il suo
telefono era sotto controllo? Non vedevo come fosse possibile, dato che non lo lasciava un
solo istante nel caso che un cliente volesse visitare una casa nel mezzo della notte, però...
Dovevo chiamare o no? Alla fine, andai a cercare Lexis e le chiesi consiglio, per quanto
odiassi essere costretta a rivolgermi a lei. «Provocherei un disastro se chiamassi la mia
amica Sherridan?»
Lexis mi guardò per qualche istante con espressione pensosa. «No, non sento niente.»
«Grazie.» Sollevata, tornai nella mia stanza, presi il telefono e composi il numero di
Sherridan.
«Pronto» rispose con voce assonnata.
«Ciao, sono io» dissi, sedendo sul bordo del letto e giocherellando con le punte umide
dei capelli. «Sei sola?»
«Belle?»
«Sì.»
Si udì una scarica di elettricità statica, poi: «Perché mi chiami alle... due del mattino?».
«Volevo parlarti. Sei troppo stanca?»
«No, no. Dammi solo un momento.»
Obbediente, contai fino a cinque. «Va meglio adesso?»
«Sì.» Sbadigliò. «Allora, vuoi parlare di frustini o di Rome? Parliamo di Rome.»
Sembrava sempre più sveglia a ogni parola. «La sua voce è così sexy che mi ha fatto
venire un orgasmo. Lavora a un centralino erotico? Avresti dovuto parlarmi di lui quando ti
ho detto dei gemelli.»
«Stai farneticando, Sher.»
«La smetto se mi parli di lui.»
«Rome è stato una specie di... sorpresa.» Vero. Mi lasciai cadere sul materasso con un
sospiro. «Oh, Sherridan, non so che cosa fare con lui.»
«Siete già stati a letto insieme?»
«No!»
Schioccò la lingua contro il palato. «Ma ne hai voglia, ragazzaccia. Ti ricordi come si fa
o vuoi che la zia Sher ti rispolveri la memoria?»
«Me ne ricordo, grazie.» Almeno speravo. «Ascolta, io... vado via per un po’.» Vero
anche questo ed era il motivo principale per cui l’avevo chiamata. «Non sarò
raggiungibile.»
Silenzio. Poi: «Aspetta un secondo. Ti sei presa una vacanza dal lavoro. Questo sì che è
preoccupante. Sei un alieno che si è impossessato del corpo della mia amica?».
«Ah ah.»
«Non sto scherzando» disse, impassibile.
«È meglio che vada, adesso» replicai, prima che incominciasse a farmi delle domande
alle quali non ero preparata a rispondere. «Probabilmente Rome mi sta aspettando. Nudo.»
«Bene. Vai. Ma dimmi tutto quando torni. Fammi solo un favore: dai un bacio a Rome da
parte mia. Con la lingua.» Click.
Piccolo demonio. Risi e posai il ricevitore al suo posto. Questa era fatta. Adesso
Tanner. Uscii dalla stanza in punta di piedi ed entrai in quella del ragazzo. Dormiva
tranquillo, con i capelli arruffati, i lineamenti rilassati emettendo un leggero sibilo dalla
bocca. Non avrei mai dovuto coinvolgerlo nei miei guai. Era solo un ragazzino sbandato,
che non sapeva che cosa fare della sua vita e alla disperata ricerca di un po’ di pace.
Io gli avevo distrutto quella possibilità e lì per lì decisi che l’avrei risarcito in qualche
modo.
Uscii dalla stanza e affrontai ancora un volta quell’appartamento che somigliava a un
labirinto. Dov’era Rome? Di sicuro aveva finito di fare la doccia. E se non era così, sarei
entrata ugualmente in bagno e l’avrei interrogato lì (magari sbirciando i suoi attributi).
Mi diressi in soggiorno e mi fermai in un angolo in ombra prima di mettere piede nella
stanza. Socchiusi gli occhi, aggrottando la fronte. Rome era seduto sul divano e accanto a
lui c’era Lexis. Mi davano le spalle e parlavano a voce troppo bassa perché potessi
distinguere le parole.
Lexis ridacchiò.
Ovviamente anche la sua risata era femminile e seducente. Che tipo di mutante era?
Nessuno dovrebbe essere così perfetto. Strinsi le mani a pugno. Rome poteva negare
perfino a se stesso di amarla, ma quella donna era la madre della sua unica figlia. Un
legame simile non si poteva spezzare e la prova era davanti ai miei occhi; c’era una
disinvoltura nel loro rapporto, un’intimità che nemmeno il divorzio aveva scalfito. Senza
contare che si rivolgeva a lei quando era nei guai.
Perché si erano lasciati, allora?
Odiavo – oh, quanto odiavo – il fatto di essere infastidita dal pensarli insieme. Rome
aveva visto i seni perfetti e le cosce perfette di quella donna perfetta. Come poteva un’altra
competere con lei? Ancor peggio, probabilmente Lexis baciava e faceva l’amore con
quello stile esotico che il suo aspetto prometteva. Come ne sarei uscita da un confronto?
Non bene, immaginavo.
«Ci darà più problemi di Daniel» disse Lexis, abbastanza forte perché potessi udire.
«Me lo ricordo bene» replicò Rome con una risata di gola. «Quel ragazzino che saltava
da un’anima all’altra, invadendo i corpi della gente e impadronendosi della loro mente.
Credeva che fosse un gioco finché Vincent non lo prese e lo obbligò a rubare e a
uccidere.»
«Per tirarlo fuori da quel laboratorio ti sei preso tre proiettili nella schiena.» Lexis
emise un sospiro triste al ricordo. «Come mai Belle è sopravvissuta alla formula? Nessun
altro ci è riuscito finora.»
«Non lo so» rispose Rome. «Forse il dottore l’ha migliorata. Sono sicuro che le analisi
del sangue ce lo diranno, ma non sono tanto ansioso di scoprirlo da portarla in
laboratorio.»
«Rimpiangi mai di esserti unito al SIP?» chiese Lexis dopo un lungo silenzio.
«Abbiamo salvato migliaia di vite ed evitato centinaia di disastri paranormali...»
«Tranne...»
«Tranne» ripeté Rome. Si scambiarono un’occhiata e dissero all’unisono: «Sunny».
«Rimedieremo presto.» Rome si irrigidì prima di aggiungere: «Vuoi stare lì per tutta la
notte o vieni a sederti con noi?». Non si era voltato, ma sapevo che la domanda era diretta
a me.
Aggrottai la fronte. «Come sapevi che ero lì?»
«Ho sentito il tuo odore» rispose, continuando a voltarmi le spalle.
Sentii il rossore affluirmi al viso e propagarsi al collo. Avrei scommesso che non aveva
mai detto una cosa simile a Lexis. «Ho appena fatto la doccia» protestai.
«Non ho detto che puzzi.»
«È la stessa cosa.» Se fosse stato a portata di mano, l’avrei preso a schiaffi.
«Hai un buon odore, davvero.» Finalmente si voltò e i nostri sguardi si incontrarono,
mandando scintille. L’ossigeno mi riempì i polmoni e un’ondata di desiderio mi pervase.
«Vieni qui.»
Il mio imbarazzo si dissolse in puro piacere mentre una corda invisibile mi trascinava
verso di lui. Non è possibile che lo desideri così intensamente. Non è possibile che abbia
tanto bisogno di lui. Mi costrinsi a distogliere lo sguardo e fissai il divano. Non sapevo
dove sedermi. In mezzo? Accanto a Lexis? Accanto a Rome?
Alla fine Rome mi risparmiò la decisione. Appena fui abbastanza vicina, allungò un
braccio, afferrandomi per la vita e facendomi sedere sulle sue ginocchia, dove atterrai con
un hoomph estasiato.
Subito mi sentii circondata dalla sua forza, rassicurante ed eccitante più di una carezza
intima. Sentivo il calore delle sue cosce attraverso la seta del pigiama. La mia mente mi
spingeva ad alzarmi e a resistere al suo fascino, ma invece mi abbandonai contro il suo
petto, aumentando il contatto.
«Vi lascio soli» disse Lexis, alzandosi.
Non ritenni necessario mormorare un palesemente falso No, resta, ti prego.
«Avete molte cose di cui discutere» aggiunse con una sfumatura di rimpianto. Poi, senza
aggiungere altro, uscì dalla stanza.
A un tratto Rome e io eravamo soli.
Ora che il divano era libero, la cosa educata da fare sarebbe stato scendere dalle sue
ginocchia. Ma io non voglio, implorava tutto il mio corpo. Resta, resta, resta.
Restai.
Lui non mi chiese di alzarmi, così feci un mezzo sorriso e appoggiai la nuca nell’incavo
della sua spalla. Avrei voluto stringerlo tra le braccia, passargli le labbra sulla guancia e
scendere fino al petto. Girarmi e allacciargli le gambe intorno ai fianchi per poi strofinarmi
contro la sua erezione.
«Adesso mi racconterai tutto» dissi.
«Oh, davvero?» Non sembrava sconvolto, ma piuttosto divertito, rilassato. Perfino
felice. E decisamente eccitato.
«Sì.»
«Altrimenti?»
Mi morsi il labbro e afferrai il tessuto dei pantaloni, rigirandolo tra le dita all’altezza
del ginocchio. Era più fragile di quanto sembrasse e si strappò subito. Oops. Un altro dei
miei superpoteri? Lo lasciai andare. «Vuoi che ti elenchi i modi in cui posso torturarti?»
«Dipende dal tipo di tortura.»
«Il peggiore.»
Infilò le dita sotto l’orlo della mia camicia e accarezzò la striscia di pelle all’altezza del
ventre sopra l’elastico dei pantaloni. «Più doloroso o più perverso?» chiese con voce
bassa e sensuale.
Le mie terminazioni nervose reagirono all’istante. «Doloroso» confermai, anche se
suonò più come una domanda che come un’affermazione.
Fece una risata sommessa, ma il divertimento non durò a lungo. Sospirò e le sue dita si
bloccarono. «Ho capito che cosa ti dava fastidio. Sei gelosa di Lexis. Perché?»
Mi raddrizzai di scatto, balbettando, incapace di formulare una risposta adeguata.
«Attenta, baby, altrimenti darai fuoco alla casa come ha predetto Lexis.»
Sapevo che aveva ragione, ma non per questo era meno frustrante. Appena uscivo dal
mio “angolino tranquillo”, rischiavo di scatenare un disastro, o anche due. «Tutti hanno
diritto a esprimere le loro emozioni, Rome» mormorai.
«Lo so.» Mi baciò dolcemente la base del collo. «Lo so.»
Fremendo, mi riappoggiai a lui, decidendo che avrei affrontato la questione della gelosia
quando avessi avuto una risposta plausibile.
«Forse dovrei procurarti una pallina antistress» disse con espressione pensosa.
Sbuffai. «In amianto? O hai in mente qualcos’altro?»
Distese le labbra in un sorriso e io sentii il tepore del suo fiato sulla pelle. «Hai una
mente perversa. In questo momento non credo che ti lascerei avvicinare troppo le mani alle
mie parti intime.»
L’eccitazione diventava sempre più intensa, pervadendo ogni fibra del mio corpo. La
mia bocca fremeva dal desiderio di baciarlo. I capezzoli si protendevano duri in cerca
d’attenzione. Chiusi gli occhi, solo per vedere un’immagine di noi due. Io con la testa
reclinata all’indietro e le gambe aperte. Lui che faceva scorrere le dita lungo il mio
stomaco, attraverso la peluria del pube, nell’umido calore che mi consumava.
Non dimenticare il motivo per cui ti trovi qui. Prima le domande. Dopo il sesso.
«Come ti dicevo, io... ehm... ho qualche domanda da farti e voglio delle risposte.» Gli
passai un dito sul polso, trattenendo a stento il desiderio di guidarlo verso una carezza più
intima. «Incominciamo con il tuo cognome. Qual è?»
«Masters.»
«Mi prendi in giro?»
«No.»
Risi. Era il nome perfetto per lui. «Ti aspetti che tutti obbediscano ai tuoi ordini, Mr.
Masters?»
«Sempre» rispose con un sorriso.
Ora veniva la parte più difficile. «Perché tu e Lexis vi siete separati?» Mi prese per i
fianchi e mi attirò contro la sua erezione. Emise un gemito. Io ansimai. Era così bello. «E
da quando è finita?»
Mi accarezzò nuovamente il ventre, che fremette in risposta. Mi morsi il labbro per non
gridare. «Che importanza ha?»
«Perché tutti questi segreti?» replicai. Incapace di fermarmi, inarcai la schiena,
sfregando ancora le natiche contro la sua erezione.
Lo udii trattenere il fiato. «Meno persone sanno di me, più è sicuro. Sia per loro sia per
me.»
«Nel caso tu l’abbia dimenticato, sono una supereroina.» Gli afferrai le ginocchia e
cominciai la mia danza erotica, scivolando lentamente su e giù. «Posso proteggere
entrambi.» O uccidere entrambi, ma non era il caso di dirlo.
«Supereroina, hmm?» Posò il palmo esattamente dove volevo e provai un’ondata di
piacere così spaventosamente intenso che per poco non gridai. «Posso chiamarti Fiamma
Selvaggia? Favilla? Sparafulmini?»
«Fallo e ti scateno contro tutti e quattro gli elementi.»
Mi accarezzò con il pollice una, due volte. Omioddio. Stavo per venire. Sarei esplosa in
migliaia di particelle di pura estasi e sarebbe stata la fine della nostra conversazione.
Dopo sarei stata troppo sazia per parlare, troppo appagata per curarmi di quello che
faceva.
«Non posso farlo. Non ancora.» Da vera idiota, balzai giù dalle sue ginocchia e atterrai
sul divano. Mi sentivo debole e ansimante. Vuota. Prima le domande. I giochetti erotici
più tardi, ricordi? Evitai di guardarlo. Trascorsero diversi secondi prima di riprendere a
respirare a ritmo regolare e solo allora mi girai verso di lui, facendo attenzione a
mantenere una distanza di sicurezza.
La sua espressione era seria e dura, decisamente affascinante. Le rughe di tensione
intorno agli occhi e alla bocca mi spingevano a gettarmi tra le sue braccia e offrirgli
conforto, ma mi trattenni. «Da quanto tempo tu e Lexis avete rotto?»
Mi guardò a lungo prima di chiedermi: «Questa informazione è così importante per te?».
Annuii.
«Un anno» rispose incrociando le braccia sul petto. «Siamo separati da un anno.»
«Perché hai rotto con lei?»
«Non l’ho fatto.» Si accigliò ancor di più. «Perché me lo chiedi?»
Mi irrigidii e strinsi il bracciolo del divano fino ad avere le nocche bianche. «È stata
lei, allora?»
«Sì.»
La cosa non mi piaceva. Era possibile che provasse ancora qualcosa per lei, come
avevo sospettato prima, qualcosa che forse non ammetteva nemmeno con se stesso? Era
evidente che lei provava dei sentimenti per lui. Perché allora l’aveva lasciato? Lo
rivoleva? Avevano vissuto insieme e programmato un futuro insieme. A un certo punto
Rome l’aveva amata abbastanza da pensare di dividere l’eternità con lei.
«È tutto quello che volevi sapere?»
Riguardo a Lexis, sì. Quella donna aveva avuto tutto quello che improvvisamente
volevo. L’adorazione di Rome. L’esclusività. Un futuro con lui. Questa volta il torrente di
gelosia che mi travolse fu troppo violento perché potessi negarlo. «Vuoi parlarmi di
Sunny?» chiesi con un filo di voce. Mi stavo avventurando in acque pericolose, ma ormai
mi era impossibile fermarmi.
Si passò una mano tra i capelli e diverse ciocche gli ricaddero sulla fronte. «Non voglio
parlare di lei, Belle.»
«Lo so, ma fallo lo stesso. Ti prego.»
Trascorsero diversi minuti di assoluto silenzio.
«Incominciamo da qualcosa di semplice» dissi. «Quanti anni ha?»
«Quattro» fu la riluttante risposta. «Ha quattro anni.»
Avevo immaginato giusto. «Sembra un angelo.»
«Sì, sembra un angelo, ma si comporta come un diavoletto» Una risata sommessa gli
eruppe dal petto al ricordo.
«Un diavoletto? Come?»
«Il suo gioco preferito è nascondersi e farsi cercare. Mi tormenta per ore, svanendo
come nebbia da un posto all’altro e ridendo di me.»
«Svanendo come nebbia?» Battei le palpebre, perplessa. «Che cosa significa?»
Si irrigidì, cancellando ogni illusione di rilassamento. «Lascia perdere. Dimentica
quello che ho detto» disse in tono burbero.
Scossi il capo. «Sei così reticente.»
«Il mondo in cui vivo è un posto pericoloso. Te l’ho già detto, meno ne sai e meglio è.»
«Non sono d’accordo. Adesso faccio parte anch’io del tuo mondo. Più ne so e più sarò
al sicuro. Ho il diritto di capire contro che cosa combatto, proprio come ho il diritto di
sapere chi sei, chi sono i miei nemici e come posso sfuggire al tuo capo che mi dà la
caccia.»
Rome mi trapassò con lo sguardo. «John non è cattivo. Non proprio. È solo prudente.»
«Se è una così brava persona, perché non gli parli del nostro piano di trovare il dottor
Roberts? Perché non chiedi a lui di aiutarti a nascondere Sunny?»
«Ho detto che non è cattivo, non che è un altruista. Vuole bene a Sunny come uno zio e
non le farebbe mai del male, ma se dovesse scoprire i suoi poteri... Sono sicuro che anche
così non le farebbe del male, ma non voglio che la arruoli. Soprattutto non posso rischiare
che lo venga a sapere Vincent e che sviluppi un interesse per lei. Questo è il vero
pericolo.»
Incominciavo a capire quello che mi stava dicendo e rimasi stupita dalla facilità con cui
lo accettavo. «Quando hai detto che svanisce come nebbia, intendevi letteralmente, vero?
Può trasformarsi in nebbia e andare dove vuole.»
«Sì.» Annuì con un brusco cenno del capo. «Sunny può passare attraverso gli oggetti
solidi e il suo è un potere pericoloso. Se dovesse materializzarsi accidentalmente dentro un
muro, resterebbe uccisa.»
«È nata con questo potere?»
Annuì ancora. «Non sapevamo che Lexis fosse incinta quando ci offrimmo volontari
per... alcuni esperimenti con cui migliorare il nostro DNA. Purtroppo quegli esperimenti
influirono più su Sunny che su di noi.»
Povera piccola, pensai con simpatia. «Né io né lei abbiamo chiesto di avere i nostri
superpoteri, ma ce li siamo ritrovati.» Rome distolse lo sguardo. «Che cosa vi spinse a
proporvi come volontari per quegli esperimenti?»
«Lexis e io ci eravamo conosciuti al lavoro. Eravamo entrati al SIP nello stesso periodo,
circa undici anni fa. Legammo subito, cominciammo a uscire insieme, ci sposammo e a
nessuno dei due piacevano i pericoli che correva l’altro. Quando John ci disse che aveva
trovato il modo per renderci invincibili, decidemmo di provare, così avremmo smesso di
preoccuparci a vicenda. Era un pensiero costante che ci tormentava e non ci permetteva di
svolgere al meglio il nostro lavoro. Ma alla fine non diventammo invincibili, soltanto più
forti.»
Wow. Aveva amato Lexis fino a quel punto. L’aveva amata come ogni donna vorrebbe
essere amata. «Dovrai lasciare il SIP dopo aver nascosto Sunny» gli feci notare.
Lui agitò una mano in aria. «Mi piace il mio lavoro, mi piace proteggere gli innocenti,
ma Sunny viene prima di tutto. Me ne andrò e non mi guarderò più indietro. Voglio
prendere con me la mia piccola e darle la possibilità di avere la vita normale che merita.»
«Spero che quando sarà il momento riuscirò a esserti d’aiuto anziché d’intralcio.»
«Lo sarai» disse con quel timbro piatto che odiavo. «Lo sarai.»
Mi piaceva che mi credesse capace di difendere sua figlia come avevo difeso me stessa
da lui e dal suo ago la prima sera. Ero addirittura onorata che mettesse nelle mie mani il
suo bene più prezioso. «E tu, quali poteri possiedi?» chiesi. «Lexis li possiede. Sunny
pure. E tu?»
«Sono solo bravo nel mio lavoro.» Curvò le labbra in un lento sorriso. «Lo diventerai
anche tu. Insieme, troveremo il dottor Roberts, fermeremo Vincent e nasconderemo Sunny.»
Lo speravo.
«Se... Quando troveremo il dottor Roberts, metteremo in giro la voce che hai preso
l’antidoto anche se non lo possiede. Con un po’ di fortuna, a quel punto Vincent perderà
ogni interesse nei tuoi confronti.»
E se non smetterà di perseguitarmi?, avrei voluto chiedergli, ma non lo feci. «E il tuo
capo? John?»
«Mi occuperò io di lui» disse, distogliendo nuovamente lo sguardo.
Che cosa significava? Era la seconda volta che lo faceva. «Che cosa farò se non esiste
alcun antidoto?» mi chiesi ad alta voce.
«Molti sarebbero felici di avere dei super poteri.»
«Non io. Avevi ragione a dire che sono pericolosi. E se cadessi nelle mani sbagliate?»
In quelle di Vincent? Un brivido mi assalì mentre nella mia mente si formavano immagini
di distruzione di massa. «Rinuncerei ai miei poteri senza pensarci due volte.»
Senza preavviso, Rome allungò un braccio e lo infilò sotto le mie ginocchia mentre con
l’altro mi afferrava il braccio. Sussultai per la sorpresa, ma non protestai. Mi fece sedere
in grembo in modo che lo guardassi in viso. Mi massaggiò le natiche e da lì risalì lungo i
miei fianchi, la curva del seno, la linea della mascella.
«Sono convinto che rinunceresti ai tuoi poteri» disse con voce roca e carica di
sensualità.
Mi venne la pelle d’oca e il cuore prese a battermi all’impazzata. Parti di me che erano
rimaste sopite per anni, forse da sempre, si risvegliarono alla vita: sentii rinascere la
speranza e sbocciare l’amore. Avevo permesso a pochi uomini di avvicinarsi così tanto a
me, ma mai abbastanza da sognare un futuro insieme.
Passai la punta di un dito lungo il suo naso, sul contorno delle sue labbra. Con lui, in
quella frazione di tempo rubata, mi sentivo completamente al sicuro, il che era strano
perché non avevo mai avuto tante ragioni per non sentirmi affatto al sicuro.
«Continui a sorprendermi» disse. «Avevo letto la tua storia prima di entrare nel tuo
appartamento e non pensavo che potessi piacermi.»
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e presi fra i denti il labbro inferiore,
rilasciandolo poco per volta mentre cercavo di nascondere quanto mi avesse ferita. Non
potei evitare però di mettere il broncio. «Perché no?»
«Sulla carta risultavi... eccentrica. Ma non incenerirmi con una palla di fuoco per
questo.»
«Eccentrica!» Raddrizzai la schiena e lo tempestai di pugni sulle spalle. «Scommetto
che tu invece verresti fuori come un assassino e un maledetto bastardo.»
«Ow. Tutto quello che volevo dire è che sei passata da un lavoro all’altro nell’ultimo
anno. In qualche caso sei stata licenziata il primo giorno di lavoro.»
«E allora?»
«Allora mi hai fatto delle domande e io ti ho risposto. Adesso sono io che voglio
chiederti una cosa e tu risponderai da brava bambina. Perché ti hanno licenziata da tutti
quei lavori? Per colpa del tuo carattere?»
Studiai la sua espressione in silenzio. Sembrava curioso e sinceramente interessato.
Arrossii e chinai lo sguardo sul suo petto, dove la camicia si apriva a V. Le dita seguirono
la direzione del mio sguardo. «Non ero felice» spiegai. «In un certo senso sentivo che quei
lavori non erano quello per cui ero portata, così non li prendevo abbastanza sul serio.»
«Per che cosa ti sentivi portata?» Infilò il pollice nella vita dei miei pantaloni e
l’abbassò, scoprendo una generosa porzione di pelle.
«Mi piacerebbe saperlo» mormorai, avvilita.
«Ci dev’essere qualcosa» disse, allargando le dita sulla schiena. «Da bambina non
volevi diventare un dottore, un avvocato o un pasticcere?»
Sentii riscaldarsi il sangue. «Onestamente, no.» Mi sporsi verso di lui, annullando
qualsiasi distanza. Baciami, lo implorai silenziosamente. Baciami forte come se non
potessi saziarti di me.
Il suo respiro mi accarezzava la guancia e la stretta con cui mi teneva si rafforzò. «Hai
mai desiderato essere una schiava d’amore?» sussurrò con voce roca.
Baciami, dannazione. Mi passai la lingua sulle labbra, lasciandovi un velo luccicante.
«No, ma ho desiderato averne uno.»
Fece una risata bassa e sonora. «Forse in questo posso aiutarti. Ho parecchi contatti.»
Mi sfiorò la bocca una, due volte.
«Sì?» Ne volevo di più. Avevo bisogno di lui. Tutte le domande che volevo fargli
svanirono dalla mia mente. Mi strofinai contro di lui per tutta la lunghezza della sua
erezione. Estasi totale. Piacere puro. «Quali contatti?»
«Forse contatti non è il termine giusto.» Con gli occhi che brillavano di una passione
incandescente, mi strinse i glutei con le mani a coppa e mi attirò a sé con forza. «Forse
avrei dovuto dire che ho gli strumenti giusti.»
Solo un alito ci separava, un dannato alito. Un tempo mi ero detta che cedere al mio
desiderio per Rome era sbagliato, ma da allora gli avevo anche detto che volevo fare
l’amore con lui ed era vero. E quelli erano il posto e il momento giusti.
Lo volevo disperatamente, selvaggiamente. Volevo scoprire come sarebbe stato sentirlo
tutto intorno a me, dentro di me, pelle contro pelle. In quel momento non mi importava
nemmeno della sua ex.
Rome dovette avvertire la mia totale capitolazione perché mi affondò le dita tra i capelli
e mi attirò verso il suo viso. «Sto per baciarti» disse con voce di gola, simile a un ringhio.
«Non dolcemente come prima.»
«Sì.»
«Ti piacerà.»
«Sì.» I suoi occhi risplendevano come quelli di un predatore che ha avvistato la preda e
la cosa mi eccitava. Lui era il cacciatore, io la preda. «Sì» ripetei. Sì, sì, sì.
«Uno di questi giorni, presto, faremo sesso.»
Un brivido di anticipazione si propagò in ogni mia fibra. «Sì.»
«Ti piacerà anche questo. Mi implorerai di non smettere.» Mentre parlava, inarcò
leggermente i fianchi, creando una frizione da capogiro. Se fossi stata in piedi, sarei
caduta.
«Basta parlare» dissi con la sua stessa crudezza. «Baciami, adesso.»
Subito le sue labbra si fusero con le mie. La sua lingua mi penetrò in bocca, calda e
terribilmente erotica. Il suo aroma mi pervadeva i sensi, aumentando il piacere. Con una
delle mani mi strinse il seno, sfregando il capezzolo attraverso la seta del pigiama.
Accarezzandolo, pizzicandolo, suscitando un desiderio così acuto da essere doloroso.
Mi baciò come se non potesse saziarsi di me, proprio come volevo. Lo ricambiai come
se potessi morire senza di lui. Lo accarezzai dappertutto, senza averne mai abbastanza. Le
nostre lingue si avvinghiarono più e più volte, i nostri fianchi collisero più e più volte. I
miei movimenti si fecero convulsi. Sentivo un calore intenso fluire dentro di me man mano
che il ritmo diveniva più frenetico.
Mi aggrappai ai suoi capelli. Gemetti, feci le fusa.
«Belle» disse con voce incrinata. «Belle, fermati.»
Fermarmi? No, gridò la mia mente. C’ero quasi. Ancora una spinta e...
«Dobbiamo fermarci.»
Mi staccai da lui, boccheggiando per riprendere fiato. Avevo le palpebre pesanti e
sentivo un dolore alle cosce. «Ancora» ansimai.
«Stai appiccando un incendio, baby.»
Persa nel mio bisogno di appagamento, nel mio bisogno di lui, mi sporsi in avanti,
cercando la sua bocca. «Sì, brucio, brucio.»
«Incendio» ripeté.
Questa volta colsi l’urgenza nella sua voce e mi costrinsi ad aprire completamente gli
occhi. Quello che vidi mi lasciò senza fiato. Proprio dietro di me, una pianta avvampava
con lingue di fuoco aranciate. L’odore delle foglie bruciate saturava l’aria.
«Oh, no! Non un’altra volta!» gemetti. Ma se non altro non era l’inferno che aveva
previsto Lexis. Evidentemente le sue capacità non erano precise come pensavano tutti.
Avevo bruciato solo una misera pianta, non l’intero appartamento!
«Fai piovere, piccola. Cerca di far piovere come hai fatto in macchina. Ricordi? Eri
triste e cadevano gocce di pioggia.» Senza troppe cerimonie mi buttò sul divano e corse in
cucina.
Pervasa dalla frustrazione, fissai le fiamme. Le guance mi bruciavano per l’umiliazione
e il rimpianto. Pensa a qualcosa di triste. Mio padre che sta male e alla fine muore. Non
rivedere mai più Sherridan. Non baciare mai più Rome.
Oh, Dio! Quella rivelazione mi colpì come una mazzata. Se non imparavo a controllare i
miei poteri, non potevo baciare Rome. Mai. Anche in quel momento era troppo pericoloso.
Io ero troppo pericolosa. Avrei potuto scatenare un altro incendio. Un fuoco inestinguibile
come quello che aveva iniziato ad ardere dentro di me dal giorno in cui era entrato in casa
mia.
L’ondata di dolore che mi travolse spense la passione. E se non avessi mai potuto
sentire le sue mani su di me? Se non avessi mai scoperto che cosa voleva dire fare l’amore
con lui? Sentirsi consumare da lui?
Se il bacio che ci eravamo scambiati fosse stato tutto quello che avrei mai avuto?
Le gocce di pioggia cominciarono a cadere intorno a me, dapprima rade, poi sempre più
frequenti. Grosse perle d’acqua si formavano sul soffitto. Sollevai le mani tremanti in
direzione della pianta e la pioggia si concentrò in quel punto. Il fuoco sfrigolò e si spense
proprio mentre Rome arrivava con l’estintore. Si bloccò di colpo, spostando lo sguardo da
me alla pianta carbonizzata e viceversa. «Ci sei riuscita. L’hai spento.» Piegò le labbra in
un lento sorriso pieno d’orgoglio, ma io notai le linee di tensione intorno agli occhi. «Stai
imparando, piccola. Stai prendendo il controllo sui tuoi poteri.»
Annuii tenendo lo sguardo a terra. Mi sentivo travolta da emozioni così violente che non
ero sicura di riuscire a parlare. Un nodo mi serrava la gola. «Io... mi dispiace.» Ecco, ero
riuscita a dire qualcosa. Visualizzai uno scudo freddo intorno al mio cuore, con un cartello
di divieto d’accesso. Così avrei smesso di desiderare Rome. Avrei smesso di soffrire. Non
servì a cancellare il dolore, ma almeno la pioggia cessò.
Mi alzai, sempre evitando di guardare in viso Rome. Il tappeto era bagnato. Mi
allontanai da lui con tutta la dignità che riuscii a radunare. Nessuno dei due pronunciò una
parola. Lui non cercò di fermarmi e io non mi voltai indietro. Mi ritirai nella stanza che mi
aveva assegnato Lexis, chiusi silenziosamente la porta e mi rannicchiai nel letto.
Soltanto lì, sola nel buio, mi concessi di piangere. Dopo un po’, tanto per peggiorare le
cose, le mie lacrime si mischiarono a un nuovo scroscio di pioggia.
12
«Idiota. Stupido. Cretino.»
Non incolpavo me ma il dottor Roberts per il disastro della sera prima. Se non fosse
stato per quella formula, avrei potuto passare la notte tra le braccia di Rome, nuda e beata,
invece che rigirarmi nel letto. Sola e infelice. Non avevo incendiato niente la prima volta
che Rome mi aveva baciata (d’accordo, le mie dita si erano un po’ surriscaldate, ma questo
non contava) e non capivo perché fosse successo in questa occasione. A meno che... Erano
i miei poteri che stavano crescendo o i sentimenti che provavo per Rome?
«Odio questa dannata formula!»
Se non fosse stato per la formula, non avresti mai incontrato Rome, ricordi?
«Non è questo il punto» borbottai.
Gli uomini, soprattutto Rome, erano off limits finché non avessi imparato a controllare i
miei poteri, o il dottor Roberts non mi avesse fatta tornare come ero prima. Allora, e solo
allora, avrei potuto baciare Rome come una ninfomane scatenata. Sempre ammesso che mi
desiderasse ancora. Dopo l’ultima sera, non mi sarei stupita se non avesse voluto nemmeno
toccarmi.
«Idiota. Stupido. Cretino.»
Quello che mi preoccupava di più e mi rendeva furiosa nei confronti del dottore era il
fatto che probabilmente Rome non avrebbe più voluto avere niente a che fare con me.
Depressa e scoraggiata, indossai la T-shirt nera e i pantaloni attillati che Lexis aveva
lasciato per me; li avevo trovati ai piedi del letto quando mi ero svegliata. Aveva lasciato
anche un paio di stivali di pelle nera, della mia misura.
Perché adesso è così gentile con me?, pensai, spazzolandomi i capelli e raccogliendoli
in una coda di cavallo. Poter riversare su di lei il mio odio mi avrebbe dato una piccola
soddisfazione in quello schifo di giornata. Uscii in corridoio e... mi bloccai di colpo.
Rome stava richiudendo la porta dalla camera da letto di Lexis dietro di sé!
I nostri sguardi si incontrarono. Arretrai, vedendo che veniva verso di me.
«Belle» disse, chiaramente sorpreso.
Quel bastardo! Avevo pianto e imprecato per tutta la notte; mi ero tormentata per tutto il
mattino al pensiero di non poterlo avere e lui... lui... maledizione a lui! Io l’avevo eccitato
e lui aveva lasciato che Lexis finisse il lavoro. Furia e delusione si alternavano dentro di
me, ma placai in fretta la furia. Non avrei reagito. Non dovevo reagire.
Non ha importanza, Jamison. Non dargli importanza. Mi allontanai da Rome e
lentamente, come se non avessi un pensiero al mondo, entrai nella stanza di Tanner. Dopo
tutto quello che gli era successo, il ragazzo era probabilmente spaventato e aveva bisogno
che gli dessi qualche spiegazione.
Solo che la stanza era vuota.
Mi voltai, decisa a trovarlo e a portarlo via da quella casa. Tanner e io ce la saremmo
cavata da soli.
Rome mi bloccava l’uscita.
«Scusami» dissi in tono rigido, cercando di aggirarlo senza guardarlo in viso.
Lui allungò il braccio, appoggiandolo allo stipite per impedirmi di uscire.
Resta calma. «Fammi passare, per favore.»
«Prima devi ascoltarmi.»
«Non c’è niente da dire. Niente che io voglia ascoltare. Perciò, non abbiamo niente di
cui discutere. Spostati o avrai un’abbronzatura permanente dal mio raggio mortale.»
Inspira a fondo, espira piano.
Si sporse in avanti sottraendomi spazio prezioso. «Perché ti comporti così? Non ho fatto
niente di male.»
Ridussi gli occhi a due fessure. «No, non hai fatto niente di male. Ieri sera mi hai
baciata, ma non abbiamo una relazione, per cui non c’è nessuna esclusiva. Hai tutti i diritti
di far visita alla tua ex moglie.»
«Non è quello che è successo.»
Dato che non sembrava disposto a proseguire, dissi: «Invece sì. Stavi uscendo dalla sua
stanza. Scommetto che ti sarebbe piaciuto tenermelo nascosto, in modo da fare sesso con
me in un secondo tempo. O forse» aggiunsi, guardandolo finalmente in viso, «hai deciso
che non valgo lo sforzo».
«Non posso credere che tu mi ritenga capace di una cosa simile.»
«Non voglio più avere niente a che fare con te» sbottai. «Adesso fammi passare.»
Si irrigidì e i suoi occhi azzurri si fecero più chiari; le pupille si restrinsero,
allungandosi verticalmente come quelle dei gatti. «Uno: non ho dormito con lei. Due: non
ho passato la notte nella sua stanza. Sono entrato solo per prendere una cosa, e se ti fossi
data la pena di controllare avresti scoperto che lei non c’era nemmeno. È in cucina con
Tanner. E tre: mi sembra di averti già dimostrato che vali un bel po’ di fatica. Non vorrei
desiderarti, ma non posso farne a meno.»
Senza aggiungere una parola, si allontanò piantandomi là a bocca aperta. D’impulso mi
portai le mani al petto. Non vorrei desiderarti, ma non posso farne a meno. Il mio istinto
femminile reagì con un grido di esultanza.
Era serio, non l’aveva detto solo per lusingarmi o rabbonirmi. Era stato troppo brutale e
diretto. Deglutii. Il dolore della notte precedente si risvegliò all’improvviso o forse non se
n’era mai andato. Sotto la T-shirt, i seni erano turgidi e lo stomaco sembrava stretto in una
morsa, ansioso di essere toccato.
Oh, sì, aveva parlato sul serio. Lui e Lexis non avevano fatto sesso. Un uomo appagato
non avrebbe avuto quelle rughe di tensione attorno agli occhi, né trasudato quel bisogno
selvaggio, come se volesse buttarmi per terra, strapparmi i vestiti e prendermi all’istante,
mandando al diavolo il resto del mondo. Un fremito delizioso mi salì lungo la spina
dorsale. Raddrizzando le spalle, seguii la direzione che aveva preso Rome. Avevo un
sorriso ebete dipinto sul volto, ma non potevo farci niente. Ci mancava poco che mi
mettessi a saltellare di gioia.
Il corridoio conduceva prima in soggiorno e poi nella sala da pranzo che la sera prima
non avevo degnato di attenzione per l’eccessiva stanchezza. Ora mi soffermai su dettagli.
Dietro un tavolo basso con il ripiano in cristallo c’erano enormi cuscini di seta variopinta
che fungevano da sedie. Attraverso un’arcata si passava in una cucina ultramoderna, tutta
acciaio cromato e satinato.
Lexis e Tanner erano seduti al bancone che occupava il centro del locale. Lexis,
naturalmente, era perfetta come sempre. Indossava un completo pantalone rosso e nero con
simboli cinesi ricamati sull’orlo. Tanner portava ancora la stessa T-shirt lunga e i
pantaloni cascanti del giorno prima. Grazie al cielo, aveva tolto le lenti a contatto a palle
di biliardo. I suoi occhi erano di un blu elettrico, quasi identici a quelli di Rome. Se fossi
stata di qualche anno più giovane, mi sarei lasciata incantare all’istante. Il suo viso era
animato da chiare intenzioni peccaminose mentre diceva a Lexis quanto fosse luminosa la
sua pelle, che buon profumo avessero i suoi capelli, come brillassero i suoi occhi.
Alzai lo sguardo al cielo. Non era affatto spaventato come avevo temuto. Era
completamente a suo agio e ci stava provando con la padrona di casa servendosi delle
dritte che gli avevo insegnato io. Spostai lo sguardo su Rome, che si muoveva per la cucina
raccogliendo piatti e bicchieri. Solo a guardarlo, mi sentii stringere il cuore. Vali un bel
po’ di fatica, mi aveva detto.
«Hai trovato la foto di Sunny che cercavi?» gli chiese Lexis.
«Sì» rispose in tono asciutto.
Provai un acuto senso di colpa. Tutto quello che voleva dalla sua ex era una foto di sua
figlia, non sesso scatenato. Gli dovevo delle scuse. «Mi dispiace» dissi. Lui non rispose.
Decisi che glielo avrei ridetto una volta che fossimo rimasti soli e forse gli avrei dato un
piccolo bacio che non avrebbe scatenato un incendio.
Mi rivolsi a Tanner. «Mi sembra che tu l’abbia presa bene» dissi, avvicinandomi al
bancone. «Mi sorprende che ti piaccia tanto la tua prigione.» E la guardiana, aggiunsi tra
me.
Una ciocca di capelli blu gli ricadde sulla fronte mentre si voltava verso di me.
«Viper!» esclamò con un sorriso. Mi gettò le braccia al collo e mi strinse forte. «Questo
posto è uno sballo, come potrebbe non piacermi?»
«Mr. Commando ti ha fatto male quando ti ha messo fuori combattimento?»
«Naa» rispose, arrossendo in volto. «Sono refrattario al dolore.»
Inarcai un sopracciglio. «Refrattario?»
«Sì, il dolore non può...»
«So che cosa significa, ma non mi aspettavo che usassi una parola simile.»
«L’ho letta sulla carta igienica. Una parola al giorno» disse, fissando Rome. Dovevo
procurarmi quella carta igienica, pensai. «Non mi ha fatto male, ma mi ha rubato l’auto e io
la rivoglio indietro.»
«Se guidi quella macchina sei morto. I cattivi sono sulle sue tracce.» Rome venne al mio
fianco. Non mi sfiorava nemmeno, ma sentii ugualmente il suo calore. La sua forza. La sua
anima da predatore. Mi mise davanti un bicchiere di succo di mela e mi guardò con una
strana espressione. «Viper?»
Alzai le spalle. «È il primo nome che mi è venuto in mente.» E rivolta a Tanner: «Il mio
vero nome è Belle».
«Lo sapevo. Atro che El stoppo.» Si batté una mano sulla coscia. «Ma per me sarai
sempre Viper, mia piccola affamata di sesso in fuga. Ehi» aggiunse senza quasi riprendere
fiato, «Lexis mi ha raccontato quello che è successo. È vero? Sei davvero capace di
provocare un incendio con il pensiero?»
Esitai a rispondere. Gli avrei fatto paura? L’avrei allontanato da me? C’era solo un
modo per scoprirlo... Mi morsi il labbro e annuii.
«Fallo!» esclamò con un entusiasmo che mi sorprese. «Incendia qualcosa adesso.»
Mi rilassai per il sollievo. «No.»
«Oh, andiamo. Ti darò un dollaro.»
«No! Non sono un fenomeno da baraccone che si esibisce per pochi soldi.» Puntai le
mani sui fianchi. «Devi darmi almeno cento dollari se vuoi vedere davvero le fiamme.»
I suoi occhi si illuminarono, assumendo un fascino magnetico. «Accetti un assegno?»
«Adesso basta, niente incendi» intervenne Rome in un tono che suonava tra il divertito e
l’esasperato.
Posò un vassoio di frutta sul banco e io piluccai un grappolo d’uva. La sua dolcezza mi
riempì la bocca, ma non mi lasciò affatto soddisfatta. Voglio dire, mi piace la frutta e tutto
il resto, ma che cos’era quella storia di cibi genuini e salutari? La sera prima prosciutto e
cracker, al mattino frutta. Dov’erano le ciambelle? Gli hamburger con le patatine fritte?
Insomma, avevo rischiato di morire, e più di una volta in un solo giorno, e ora apprezzavo
ancora di più le cose buone della vita. Come gli zuccheri e i grassi.
«Allora, qual è il programma oggi?» domandai a Rome prima di infilarmi in bocca una
fragola. Era più aspra dell’uva e il contrasto fu gradevole.
«Porteremo il ragazzo...»
«Cento Colpi» lo corresse Tanner. «Chiamami Cento Colpi, oppure CC.»
«Porteremo Dumbo in un posto sicuro.»
«Col cavolo.» Tanner inghiottì un pezzo di melone e scoprì i denti in un ghigno. «Non mi
chiamo Dumbo e non andrò in nessun posto sicuro. Lexis dice che sono un empatico e
questo empatico vuole prendere a calci qualche cattivo.»
«Tu sei empatico?» chiesi, scuotendo il capo in un gesto di incredulità. «Sai quello che
provano gli altri? Come in tv?»
«Gli empatici, come i sensitivi, nascono così, non possono diventarlo» spiegò Lexis.
«Tanner è nato con questa dote.»
Ero forse una specie di calamita che attirava i soggetti più strani? Chi sarebbe stato il
prossimo, un vampiro? Un demone? «Sono d’accordo con Rome» dichiarai. Il pensiero che
Tanner potesse restare ferito, o peggio, era sufficiente a darmi i brividi. Non aveva ancora
incominciato a vivere e io non volevo aiutarlo a morire. «Credo che tu debba stare in un
posto sicuro.»
«Non sono un bambino» protestò.
Aggrottai la fronte. «Non sai con chi abbiamo a che fare.»
«E tu?» replicò, ricordandomi che non ero riuscita a dargli delle risposte il giorno
prima. Solo in quel momento mi resi conto che era trascorso appena un giorno da quando
l’avevo incontrato, eppure mi sembrava un’eternità.
Raddrizzai le spalle, alzai il mento e lo fissai con sguardo severo. «So che tu non c’entri
in tutto questo e non avrei mai dovuto coinvolgerti. So...»
«Tu non sai un bel niente.»
«Ragazzi.» Rome batté le mani due volte. «Sarai anche un empatico, Tanner, ma non hai
le capacità necessarie per sopravvivere. Devi starne fuori.»
«Veramente» disse Lexis, gettandosi i capelli dietro le spalle, «potrebbe esservi d’aiuto.
Un giorno, con un po’ di pratica, sarà in grado di smascherare qualsiasi bugia. Ma quel che
conta per noi è che riesce a sentire quando Belle ha bisogno di lui. Sono legati in qualche
modo, anche se ora non mi è possibile vedere come.»
Rome si voltò a guardarla. «Idiozie.»
«Perché credi che ieri si trovasse proprio in quella strada in quel particolare momento?»
«Volevo comprare dei preservativi» intervenne Tanner.
Lexis gli batté una mano sulla spalla con espressione condiscendente. «No. A livello
inconscio, avvertivi già la disperazione di Belle e la tua parte eroica ti ha costretto a
essere lì in modo da poterla aiutare.»
«Sentito?» gongolò Tanner. «La mia parte eroica. Sono un eroe, accidenti, e voglio
prendere a calci i cattivi.» Sottolineò le sue parole puntandosi un dito al petto. «Avete
bisogno di me.»
Era così eccitato dalla scoperta delle sue abilità che desiderai poterlo essere altrettanto
delle mie.
Rome fissò Tanner. «Prenderli a calci può significare farsi del male. O peggio, morire.
Ti senti davvero pronto?»
«Come se potessi morire» replicò, sdegnato.
I ragazzini e il loro complesso di immortalità, pensai, alzando gli occhi al cielo. I
ragazzini superdotati, naturalmente, erano persino peggio. Rimasi in silenzio succhiando la
polpa di una grossa fragola e assaporandone la dolcezza che mi scendeva in gola. Se
Tanner era legato a me, forse avrebbe potuto aiutarmi a controllare le emozioni o qualcosa
del genere. Grande, anche se avrei preferito che fosse Rome a possedere quella capacità.
Così non avrei avuto bisogno della presenza di Tanner nella stanza la prossima volta che
l’avrei baciato.
Ehi, un momento. Che cosa stai facendo, Jamison? Avevo deciso di non avere più
contatti fisici con Rome finché non fossi tornata me stessa, e dovevo attenermi a quel piano
(per quanto orribile) se non volevo accidentalmente ucciderlo.
All’improvviso mi ritrovai una mano di Rome intorno alla vita mentre l’altra mi toglieva
la fragola dalle dita e la gettava sul tavolo. «Basta fragole» disse con voce di gola,
fissando le mie labbra ancora umide e rosse.
Oh, oh. Che cosa significava? Gli bastava vedermi mangiare una fragola per
desiderarmi? Abbandonando senza indugi il mio piano, presi un altro frutto, lo portai alle
labbra e lo morsi. Vidi che Rome dilatava le narici e le mie ginocchia cedettero. Tenne lo
sguardo fisso sulla mezza fragola rimasta mentre la accoglievo nella mia bocca e la
masticavo lentamente.
Tanner emise un fischio sottile. «Adesso capisco perché non volevi fare sesso con me,
Viper. Hai una cotta per il Superagente. Le ragazze vanno matte per questi tipi da
commando, vero? Be’, sai una cosa? Voglio diventare anch’io un agente. Lexis dice che il
suo capo, John, mi arruolerà e io andrò in missione per proteggere persone importanti e
sventare complotti malvagi.»
Rome prese il suo bicchiere e lo vuotò, poi spostò l’attenzione su Lexis, con un’occhiata
che diceva chiaramente: Perché diavolo gli hai messo in testa tutte queste storie?
Lei fece una smorfia.
Mi morsi la lingua per evitare ogni commento. So che è infantile da parte mia, ma avrei
voluto saltare in mezzo a loro e riportare l’attenzione di Rome su di me. Non mi piaceva
che fossero così in sintonia da capirsi anche senza parole.
Quando Rome intensificò la sua stretta possessiva intorno alla mia vita e mi attirò più
vicina, dimenticai la gelosia per Lexis. Mi imposi di riportare lo sguardo su Tanner prima
di sciogliermi in una pozza sul pavimento. «Come mai non sei sconvolto da tutta questa
storia? È possibile che ti abbiamo rovinato la vita.»
Smise di sorridere e fissò lo sguardo in lontananza, oltre la cucina, oltre la sala da
pranzo. «La mia vita era già rovinata» disse. Non c’era traccia di umorismo nella sua voce,
ma solo di disperazione.
«Questo non significa che più pericolo la renderà migliore» dichiarò Rome.
«Voglio divertirmi un po’ e avere qualche ragazza, okay? Non c’è niente di male.»
No, non c’era niente di male. Pregai solo che quel desiderio non gli costasse la vita.
«Qual è il nostro piano?» chiesi ancora.
«Prendiamoli a calci e restiamo vivi» propose Tanner.
«Sei un vero comico.» Mi rivolsi a Rome. «Allora?»
Prese la fragola che mi aveva tolto e se la mise in bocca, masticandola lentamente prima
di parlare. «Sono ancora spiazzato. Sono abituato a lavorare da solo. Mi sono appena
rassegnato a servirmi di te, piccola, e adesso devo occuparmi anche del ragazzino.»
«Ehi» protestò Tanner, aggrottando la fronte. «Non sono un ragazzino e non mi piace che
mi chiami così. Gli uomini tremano davanti a me. Posso essere pericoloso. Sono
bravissimo a usare il bastone da aikido.»
«Ma certo, Superman» dissi in tono asciutto. «Sei anche andato a caccia di ragni
quest’estate?»
«Tu non sai usare un bastone da aikido» intervenne Rome.
«Sì, invece! Ho ucciso delle persone, amico.»
Rome si passò una mano sul viso. «Le hai fatte morire dal ridere?»
Tanner si rabbuiò e i piercing al sopracciglio brillarono alla luce. «Vuoi un assaggio?
Avanti. Ho voglia d’azione e non mi importa se dev’essere con te.»
Rome fece un ghigno, scoprendo due file di denti sorprendentemente aguzzi. Battei due
volte le palpebre a quella vista e deglutii. Santo cielo. Erano mostruosi. Erano sempre stati
così lunghi e non me n’ero accorta? Istintivamente mi portai una mano alla bocca. Quando
mi aveva baciato, quei denti avrebbero dovuto tagliarmi le labbra.
«Sei un vampiro?» sbottai. La cosa aveva senso, in quella realtà paranormale in cui ero
stata catapultata. La sera prima aveva negato di avere qualsiasi tipo di potere, ma alla luce
di quelle zanne non gli credevo più.
Lui si affrettò a chiudere la bocca e mi voltò le spalle. Respirò a fondo e passò un lungo
istante prima che parlasse. «No, non sono un vampiro.»
«È un...»
«Lexis» la zittì Rome.
Lei serrò le labbra.
Aha! Così aveva dei poteri. «Avanti!» esclamai esasperata, alzando in aria le mani.
«Puoi dirmelo. Sono l’ultima a poter giudicare.» E poi Lexis lo sapeva e io no, e questo
doveva cambiare.
«Prendi la tua borsa» mi ordinò Rome, senza dare ulteriori spiegazioni. «Lexis l’ha
lasciata sul divano per te. Ce ne andiamo. Voglio controllare la casa del dottor Roberts in
cerca di qualche indizio. È un uomo anziano. Non ho dubbi che riuscirò a trovarlo.»
«È anziano ma è molto furbo» lo mise in guardia Lexis. «Nessuno è riuscito a trovarlo
finora.»
«Aspetta un secondo.» Afferrai Rome per la spalla per costringerlo a voltarsi e lui me lo
permise. Avrebbe potuto opporre resistenza, ma non lo fece. Gli puntai l’indice al petto e
lo fissai dritto negli occhi. «Tu sai che cosa sono io, quindi ho il diritto di sapere di te.»
«Già.» Tanner incrociò le braccia sul petto. «Anch’io.»
«Taci» gli intimammo all’unisono Rome e io.
«Sto cercando di aiutarti, Viper. Rome ha paura di dirtelo.» Improvvisamente la bocca
di Tanner si allargò in un sorriso. Poi prese a saltare su e giù, battendo le mani ed
esultando di gioia. «Lexis, Lexis, hai sentito quello che ho appena detto? Posso sentire la
sua paura. Posso sentire la sua paura!»
«Chiudi quella bocca!» sbottò Rome prima che Lexis potesse rispondere. «Io non ho
paura.»
«È vero?» Ansiosa di avere un contatto, anche minimo, gli passai le dita sul petto e gli
posai il palmo sulla guancia. «Hai paura di dirmelo?»
«Non hai sentito quello che ho appena detto?» Contrasse la mascella e le rughe di
tensione intorno agli occhi ricomparvero. «Non ho paura. È solo che non ne parlo con
nessuno. Mai.»
«Lexis lo sa» gli feci notare.
«Lei faceva parte del mio... cambiamento. È successo durante gli esperimenti per i quali
ci eravamo offerti volontari.»
«Dimmelo.» Avevo lo stomaco stretto in una morsa e mi sentivo male. Odiavo che mi
escludesse in quel modo. Credeva che l’avrei respinto? Che avrei provato disgusto? O
semplicemente non si fidava a dirmi la verità?
«Non ho intenzione di parlarne, per cui smettila. Quello che sono, quello che posso fare
non è qualcosa che la gente come te può tollerare.»
Strinsi i denti. «La gente come me? Spero che tu voglia dire le donne intelligenti e dotate
di compassione.»
Piegò gli angoli della bocca in un accenno di sorriso e la sua espressione perse un po’ di
durezza. «Sì, volevo dire questo. Adesso basta con questa discussione. Abbiamo cose più
importanti da fare.»
Ferita dal suo rifiuto, abbandonai le braccia lungo i fianchi. «Non ho intenzione di
lasciar cadere l’argomento, lo sai.»
Mi prese il viso tra le mani e mi fissò intensamente, poi, con estrema lentezza, avvicinò
le labbra alle mie, fermandosi a un soffio di distanza. «Sì, lo farai, Piro Chica.» E poi mi
baciò in modo tutt’altro che tenero. Delizioso, stupendo. Un rapido contatto della sua
lingua prima che si allontanasse come se niente fosse successo.
Lexis distolse lo sguardo.
«Piro Chica?» Tanner mi afferrò il braccio per impedirmi di gettarmi addosso a Rome.
«È questo il tuo nome da supereroina? Non vale. Anch’io voglio un nome.»
Mi girai verso di lui in cerca di qualcuno su cui sfogare la mia frustrazione. «Non è il
mio nome e se osi chiamarmi Piro Chica o Ragazza della Tavola Periodica, ti brucio tutti i
peli del corpo.» Appena avrò imparato a farlo senza distruggere il resto del mondo.
«Intesi?»
«Bene.» Indietreggiò, sollevando le mani con i palmi aperti, in segno di resa. «Ti
chiamerò solo Ragazza con Tendenze Omicide.»
Rome, che ci voltava le spalle e si trovava a una certa distanza, scoppiò in una sonora
risata. «Questa è la cosa più intelligente che tu abbia detto finora, ragazzo. Quel nome è
perfetto per lei.»
Li mandai entrambi al diavolo con un gestaccio.
Tanner mi ricambiò soffiando un bacio sul palmo della mano.
«Rome!» esclamò improvvisamente Lexis.
Il suono della sua voce, sull’orlo del panico, mise a tacere sia me sia Tanner. Rome si
voltò, pronto a scattare. «Che cosa c’è?»
«Sono qui» disse a bassa voce. «Gli uomini di Vincent sono qui fuori.»
13
Avere una sensitiva nella nostra squadra si rivelò un netto vantaggio. Sapevamo che i
cattivi stavano per fare irruzione nell’appartamento prima che lo facessero. D’altra parte
avere una sensitiva nella nostra squadra si rivelò anche un netto svantaggio. Per me,
almeno.
Perché Lexis aveva ragione. Dannazione! La pianta che avevo incendiato la notte prima
era solo un inizio. Alla fine, incendiai effettivamente il suo appartamento.
«Quanto tempo abbiamo?» chiese Rome.
«Non molto» fu la risposta sussurrata. «Pochi minuti.»
I lineamenti di Rome persero ogni espressività mentre si voltava verso di me. «Prendi»
disse, gettandomi al volo la borsa che Lexis aveva preparato per me. Me la misi a tracolla
e la sistemai sulla schiena. Sentivo l’adrenalina scorrere dentro di me e avevo i palmi
sudati.
Tanner era impallidito. «Che cosa devo fare? Che cosa devo fare?» continuava a
ripetere.
Rome si mosse rapido verso di noi. Con gesti efficienti, andò al cassetto accanto al
lavello, lo aprì e ne estrasse due coltelli.
«Io non uso i coltelli.» Tanner scosse il capo con enfasi.
«Non sono per te.» Rome non lo degnò di un’occhiata. «Lexis» la chiamò, gettandole i
coltelli.
Inspirai il fiato con un sibilo, per lasciarlo andare solo quando lei li prese al volo e li
impugnò saldamente per il manico. Con un unico, fluido movimento, se li infilò nella
cintura.
«Sai cosa fare» le disse Rome.
«Sì.»
«Prendi con te il ragazzo, ci riuniremo più tardi.»
Lo sguardo verde intenso di Lexis si posò su Rome, un po’ triste, un po’ nostalgico. Non
sono empatica, ma riuscivo a percepire l’amore che provava ancora per lui e non potei fare
a meno di chiedermi ancora una volta perché l’avesse lasciato. «Sii prudente» mormorò.
Rome annuì. «Anche tu.»
Lexis afferrò la mano di Tanner e cercò di trascinarlo fuori dalla cucina, ma lui piantò i
piedi a terra. «Viper, andrà tutto bene?»
«Certo.» Dio, speravo che fosse vero.
Posò lo sguardo su Rome, sull’immagine letale che offriva, e poi di nuovo su di me.
«Forse dovresti venire con noi e lasciare che se ne occupi Rambo...»
«Lei resta qui» tagliò corto Rome. «Noi abbiamo delle domande e loro hanno le
risposte.»
«Resto» dissi con voce tremante. Non sapevo che cosa ci aspettava, solo che sarebbe
stato brutto. E che io ero ben lontana dall’essere pronta.
Tanner continuò a impuntarsi.
«Dobbiamo andare» lo sollecitò Lexis, tirandolo per il braccio. «È quasi troppo tardi.
Rome non lascerà che le facciano del male.»
Questa era l’assicurazione di cui Tanner aveva bisogno. Solo allora si lasciò condurre
lungo il corridoio, ma il suo sguardo preoccupato non mi lasciò fino all’ultimo secondo.
Oh Dio, oh Dio, oh Dio. «Hai una pistola o qualcosa del genere per me?» domandai a
Rome.
Lui prese un altro coltello e lo tenne per sé. Era più grande dei primi due, con una punta
acuminata. «Sai usare una pistola?»
«No.»
«Allora no.» Anche lui infilò la lama nella cintura.
Mi abbracciai per darmi coraggio. «Che cosa posso fare per essere d’aiuto?»
«Hai dei poteri, ricordi? Usali.»
Mi piaceva che avesse fiducia in me. Ma ero io a non averne. Se fosse rimasto ferito per
causa mia, a causa della mia inesperienza... «I miei poteri sono pericolosi, Rome. Non so
controllarli.»
Non ebbe la possibilità di rispondermi.
Un rumore di vetri infranti mi fece quasi schizzare fuori dalla mia stessa pelle. Una
frazione di secondo dopo, la porta di legno dell’ingresso si squarciò e una squadra di
uomini con passamontagna e vestiti di nero fece irruzione nell’appartamento.
«Giù» mi sussurrò con urgenza Rome, spingendomi a terra finché non fummo tutti e due
rannicchiati dietro il bancone della cucina, invisibili a un primo sguardo. Il suo viso aveva
un’espressione selvaggia come se godesse di quello che stava per fare. «Fai solo
attenzione a non colpire me, okay?»
Si impadronì delle mie labbra per un secondo, accendendomi un piccolo falò alla bocca
dello stomaco. Tuttavia la passione era mista a paura, così il fuoco mancava di vero
calore. Un rumore di passi nel soggiorno venne seguito da altri vetri che andavano in
frantumi.
Rome scattò in avanti, rimanendo basso.
Esplosero dei colpi di pistola. Whiz. Pop. Mi rimpicciolii e trattenni il fiato. Santo
cielo. Tutto questo era reale. Terribile, reale e proprio davanti ai miei occhi. L’avevo
capito già durante la fuga del giorno prima in macchina, ma ora mi colpì con una forza
incontestabile. L’uomo che desideravo si era appena gettato a capofitto nel pericolo. Una
parte di me voleva restare acquattata là dietro, perché tra combattere e fuggire, la fuga mi
sembrava l’opzione preferibile.
Mi costrinsi tuttavia a superare la paura e nello stesso tempo a servirmene. Dovevo
lavorare con le emozioni di cui disponevo e, in quel momento, tutto quello che provavo era
paura. Ma la paura provocava il gelo, come avevo imparato quando avevo toccato la
macchina di Vincent, e il gelo poteva essere un’arma potente.
«Andiamo» borbottai tra me. «Potresti morire, Belle. Rome potrebbe morire.»
Il terrore mi invase prima freddo, poi gelido e infine polare. Benvenuta, paura.
Benvenuta, ma non lasciare che ti blocchi... Le dita incominciarono a perdere sensibilità.
Benvenuta, paura. Il ghiaccio si formò sulla punta del mio naso e l’aria intorno a me prese
a condensarsi. Brava ragazza.
Un altro grido e un altro sparo.
Benvenuta, paura. Il panico mi travolse a ondate sempre più gelide. Tremando, mi
guardai le mani. Mentre le fissavo, una palla di ghiaccio incominciò a formarsi nel palmo.
Riuscivo a stento a crederci, eppure era reale. Mi alzai in piedi e tirai indietro il braccio,
in cerca di un bersaglio. Ne vidi diversi. Una moltitudine di uomini correva per la stanza,
prendendo a calci i mobili.
Finalmente individuai Rome. Girò su se stesso e colpì al petto un uomo con il tacco di
uno stivale munito di lama. La vittima lanciò un grido e si strinse il petto sanguinante prima
di crollare al suolo. Un altro vide Rome e si lanciò su di lui.
«Attento!» gridai, scagliando la palla di ghiaccio con tutte le mie forze. Il proiettile
bianco fendette l’aria e colpì il bersaglio. Nel preciso istante in cui toccò l’uomo, il
ghiaccio si diffuse su di lui, imprigionando il suo corpo.
Anche se me l’aspettavo, quella vista mi scioccò.
«Stai giù, Belle.»
Feci come mi aveva ordinato. I proiettili colpirono il banco dietro il quale mi ero
nascosta. Mi raggomitolai su me stessa e soffocai un grido. Non avrebbero dovuto
prendermi viva per sottopormi a degli esperimenti? Il terrore aumentò e diverse palle di
ghiaccio si formarono nelle mie mani.
Due grida dissonanti mi giunsero alle orecchie e a un tratto i proiettili smisero di
fischiare. Immaginai che Rome avesse ucciso l’uomo che mi stava sparando addosso.
Scattai in piedi, individuai i bersagli e scagliai le palle di ghiaccio. Uno lo mancai, ma il
secondo lo colpii in pieno, congelandolo all’istante.
Guardai a occhi sgranati i corpi disseminati sul pavimento del soggiorno. Alcuni
gemevano, altri si contorcevano, altri ancora giacevano immobili, mentre quelli che avevo
colpito erano imprigionati in blocchi di ghiaccio. Rome lottava contro quelli che
rimanevano in piedi. Li colpiva con mosse di kick boxing, fendeva l’aria con il coltello,
pugnalava. Per quanto tempo sarebbe riuscito a tenerli a bada? Non per molto, mi resi
conto con orrore mentre vedevo un uomo scattare da un angolo e avventarsi su di lui.
Il terrore si riverberò dentro di me mentre gridavo: «No!». Vidi il sangue inzuppare la
camicia di Rome sul fianco. Senza manifestare il dolore che doveva provare, si chinò e
affondò la lama nello stomaco dell’avversario.
«Presto, presto» sussurrai freneticamente alle mie mani. Niente. Non c’era più ghiaccio.
La paura se n’era andata, dissolta dall’intensa determinazione a soccorrere l’uomo che mi
aveva salvata più volte. Quei sicari erano lì per prendere me, forse per uccidermi, e
naturalmente erano decisi a eliminare Rome se necessario.
Non potevo permetterlo.
La furia mi invase, più potente di quanto fosse mai stata, cancellando ogni traccia di
freddo. Stavo bruciando. No, no. Non potevo lasciarmi andare alla collera. Non volevo
scatenare un incendio. Avrei potuto fare del male a Rome. Ma la furia non voleva
abbandonarmi – come osavano fare del male a Rome! – e le fiamme incominciavano a
lambire le estremità delle dita e i bordi degli occhi.
Improvvisamente intravidi qualcuno aggirare il bancone e venire dritto verso di me. La
sua determinazione a immobilizzarmi era evidente in ognuno dei suoi passi affrettati. Sotto
la maschera nera che indossava, immaginai un’espressione fredda e spietata.
Istintivamente, tesi le braccia per tenerlo a bada. Questa volta non si formò uno scudo
d’aria, bensì una fiammata che subito lo avvolse. Lanciò un grido terrificante, implorando
aiuto prima di cadere e rotolare al suolo. Lo stomaco mi si rivoltò per la nausea. Mioddio.
Ero stata io. Io. Mi coprii la bocca con una mano tremante e le fiamme si estinsero.
In lontananza, udii un verso strozzato di Rome e i miei pensieri tornarono
immediatamente a lui. Aggirai il banco, portandomi al centro dell’azione. Non riuscivo a
vederlo. Dov’era? Era caduto? I miei occhi sprizzavano scintille dorate e anche le mani
avevano ripreso a bruciare.
Mentre i sicari rimasti puntavano le loro armi verso di me, alzai le mani e ruotai in tutte
le direzioni, cercando di individuare Rome e di salvarlo. Spargevo fiamme ovunque mi
voltassi, lasciando solchi letali. Il metallo fondeva, il legno scricchiolava. L’aria divenne
satura di fumo e incominciai a tossire, ma il fuoco non si estinse. Tutt’intorno a me, gli
uomini gridavano e cercavano riparo.
Dalle stanze sul retro, udii il ruggito furente di una belva selvatica. Un... felino della
giungla? «Rome!» gridai. Volevo vederlo, assicurarmi che fosse vivo e vegeto.
Improvvisamente scattò un allarme. Un istante dopo entrò in funzione il sistema
antincendio e una doccia d’acqua fredda si rovesciò dal soffitto. Le gocce mi cadevano sul
viso, si impigliavano tra le mie ciglia e mi colavano lungo il naso. Ma le fiamme sulle dita
rifiutavano di spegnersi. Se gli avevano fatto ancora del male... io... «Rome!»
Mi asciugai l’acqua dagli occhi e notai che l’incendio nella stanza si stava già
estinguendo. Approfittandone, uno degli uomini superò il divano e si avventò su di me. Non
aveva una pistola, perciò si servì di un’altra arma: le sue gambe. Spiccò un salto e mi colpì
con i piedi allo stomaco. L’aria mi uscì dai polmoni mentre venivo scaraventata con
violenza all’indietro e il dolore esplodeva dentro di me. Picchiai contro il pavimento o
contro un muro, non saprei. So solo che la mia testa urtò con un rumore sordo contro
qualcosa di duro e che la vista mi si annebbiò per qualche istante.
Quando rimisi a fuoco la scena, distinsi una grossa sagoma nera – una pantera? – che
voleva in aria e atterrava sul mio assalitore, azzannandolo alla gola. Quando ebbe finito, le
sue fauci grondavano sangue. Un grido di terrore mi uscì dal profondo della gola e mi
trovai a scagliare una palla di fuoco contro la fiera. No, non era fuoco. Ghiaccio. Mancò di
poco la sua spalla sinistra.
Mi fissò direttamente con gli occhi azzurri dalle pupille allungate e avanzò. L’acqua
cadeva su di noi, come un fiume di lacrime. In preda al panico, strisciai all’indietro. Invece
di attaccarmi, come temevo, la belva mi superò con un balzo fulmineo, atterrando
sull’uomo che non sapevo di avere alle spalle.
Mi rialzai con le membra tremanti e mi scostai i capelli bagnati dagli occhi. Avevo già
visto quell’animale nel mio appartamento. Quindi era reale? Neppure quella volta mi
aveva fatto del male. E Rome? Mio Dio, forse lo aveva già ucciso!
Barcollai per la stanza, rivoltando i cadaveri uno dopo l’altro. Nella camera da letto di
Lexis trovai i vestiti di Rome. Erano strappati al centro, ormai ridotti a brandelli, ed erano
macchiati di sangue.
Il mio fuoco si era estinto e ora anche il ghiaccio mi abbandonò. Improvvisamente mi
sentivo svuotata. «Rome!»
Un violento accesso di tosse mi fece piegare in due. Nonostante la cascata d’acqua, il
fumo rimaneva denso e nero, tanto che faticavo a orientarmi e dovetti appoggiarmi alla
parete per sostenermi.
«Rome!» La stanchezza mi assalì dapprima come un fantasma che era facile scrollarsi di
dosso, ma quando l’accesso di tosse si rifiutò di cessare e il fumo mi bruciò la gola,
divenne un’entità concreta.
A un tratto le ginocchia persero ogni forza e caddi sul pavimento. Dovevo... trovare...
Rome. Non sapevo che cos’avrei fatto se lui... se lui... Non riuscii a completare il
pensiero. In lontananza udii il sibilo delle sirene e mi parve di sentire già il rumore di
passi affrettati e le grida atterrite degli uomini.
«Rome.» Il suo nome mi uscì come un gemito roco tra i colpi di tosse.
«Piccola, sono qui.» Sentii il suo braccio intorno a me mentre si lasciava cadere al mio
fianco.
Singhiozzando di sollievo, nascosi il viso nell’incavo della sua spalla e mi avvinghiai a
lui. «Dove... diavolo... sei stato?» chiesi tra i colpi di tosse.
«Ti spiegherò dopo. Adesso dobbiamo uscire di qui. Riesci a strisciare?» Senza
aspettare la mia risposta, mi posò il palmo della mano sulle spalle e mi spinse giù. Con la
stessa mano scivolò verso il fondoschiena, sollecitandomi ad avanzare.
«Non... ci vedo» dissi, slittando sulle pozze d’acqua.
«Aggrappati a me. Ti farò strada.»
Uno spostamento d’aria, il suo braccio che mi sfiorava, uno spruzzo d’acqua. Cercai di
afferrare la sua camicia e solo allora mi accorsi che era a torso nudo. Stavo per chiedergli
perché si fosse strappato di dosso i vestiti, ma la domanda perse ogni importanza quando
udii il suo sibilo di dolore. «Scusa.»
«Qui.» Senza fermarsi, mi guidò la mano verso il suo fianco nudo.
Con una mano mi aggrappai a lui e con l’altra avanzai a tentoni. Dio, il fumo era così
denso anche a livello del suolo. Le lacrime che mi uscivano dagli occhi si mischiavano con
le gocce che cadevano dall’impianto antincendio. La nausea stava montando nello stomaco.
«Stai attento... al... felino» riuscii a mormorare. C’era qualcosa di strano in quella
pantera, qualcosa che avrei dovuto intuire, ma che in quel momento mi sfuggiva. Sapevo
solo che non si era trattato di un sogno; non era stata un’allucinazione.
«Non parlare, piccola. Risparmia il fiato. Cerca di non inalare il fumo.»
La borsa che tenevo a tracolla mi batteva sulla schiena a ogni movimento, facendomi
sussultare per il dolore. Finalmente raggiungemmo una piccola porta. No, non era una
porta, mi resi conto mentre allungavo un braccio per toccarla, ma una botola.
«Preparati a scendere» mi disse Rome. Senza ulteriore preavviso, mi afferrò per la vita,
mi sollevò e mi infilò nell’apertura.
Non ebbi il tempo di prepararmi. Un attimo prima sentivo il suolo sotto di me, un attimo
dopo non c’era più. Precipitai a testa in giù, agitando le braccia e allungando le gambe
dietro di me. Avrei gridato, ma avevo la gola troppo secca. Ero circondata da pareti nere
che mi soffocavano.
Atterrai su una piattaforma solida e la borsa mi cadde addosso.
Sentii la forza dell’impatto riverberarsi nelle ossa. Frastornata, rimasi immobile, prona,
cercando di respirare e di radunare le forze. Se non altro l’aria era fresca e pulita, un
gradevole contrasto con la stanza piena di fumo.
Rome atterrò su di me, colpendomi al viso con la sua borsa. Quel poco di ossigeno che
ero riuscita a immagazzinare mi uscì di colpo dai polmoni.
«Mi spiace, piccola.» Mi liberò del suo peso e cominciò a frugare nella borsa. Il sangue
gli colava da un fianco.
Era nudo. Me ne ero già resa conto, ma non avevo afferrato pienamente la portata della
cosa. Non un brandello di indumento copriva il suo magnifico corpo. Perché? Aveva
importanza? Era abbronzato e in splendida forma fisica; anche nelle mie condizioni di
debolezza potevo apprezzare la sua incredibile virilità. Quasi scoppiai in lacrime quando
tirò fuori un paio di pantaloni e li infilò. Bisogna cogliere una buona distrazione quando si
presenta.
«Niente slip?» riuscii ad articolare.
«Non li porto mai.» Abbottonò i pantaloni. «Andiamo. I vigili del fuoco sono arrivati e
noi non possiamo permetterci di essere scoperti.»
«Non abbiamo... interrogato... nessuno... di quegli uomini» dissi con diverse pause tra
una parola e l’altra per riprendere fiato.
«Erano più numerosi di quanto mi aspettassi. Catturarne uno ci avrebbe fatto perdere del
tempo prezioso e avremmo rischiato di rimanere uccisi.»
Mi aiutò a rialzarmi e mi spronò a muovermi. Avrei voluto lasciarmi cadere per terra,
chiudere gli occhi e dormire per sempre. Mi ci voleva un notevole sforzo di volontà per
mettere un piede davanti all’altro. L’acqua mi colava dai capelli sui vestiti ormai fradici.
Mi guardai intorno: pareti grigie nude, qualche macchinario, odore di olio e di sapone.
Eravamo negli scantinati dell’edificio?
«Più in fretta, Belle. Puoi farcela.»
Cercai di tenere il suo passo, ma avevo inalato troppo fumo. I colpi di tosse mi
squassavano il petto e un’estrema debolezza si era impadronita di ogni mia cellula. Quando
inciampai in una corda, non ebbi la forza di rimanere in piedi. Il buio mi avvolse la mente
prima che cadessi. No, non stavo cadendo, mi resi vagamente conto. Stavo fluttuando.
Rome mi aveva afferrata al volo, sollevandomi tra le sue braccia robuste. La sua voce
penetrò nel mio stato di semincoscienza. «Ti ho presa, piccola. Ti ho presa.»
Se avesse continuato a chiamarmi piccola, pensai poco prima che l’oscurità mi
inghiottisse, mi sarei davvero innamorata di lui.
«Avanti, bevi.»
Un liquido fresco mi sfiorò le labbra prima di scendere nella gola riarsa. Tossii, sputai e
sollevai a fatica le palpebre; una luce fioca mi colpì gli occhi.
«Bevi» ordinò Lexis con espressione severa. Era china su di me e mi portava alle labbra
un bicchiere di plastica.
Ero morta e finita all’inferno? Mi sollevai a fatica e bevvi. Il sapore aspro della
bevanda mi riempì la bocca prima di scendere in gola. Feci una smorfia di disgusto.
«Ecco, non ti senti un po’ meglio?»
«No.» La voce mi uscì arrochita, appena udibile.
Sedette accanto a me con una risata sommessa e posò il bicchiere. «Ci hai fatto prendere
un bello spavento.»
Immagini dell’incendio, degli uomini che avevo ferito, e forse ucciso, mi tornarono alla
mente. Serrai le labbra, dicendomi che non dovevo sentirmi in colpa. Quegli uomini erano
malvagi, avevano cercato di colpire me e Rome. Rome! La sua immagine mi riempì la
mente scacciando ogni altro pensiero. Rividi il suo fianco insanguinato e mi sentii assalire
dal panico. Come stava? Dov’era?
Tentai di mettermi seduta. «Dov’è Rome?» chiesi, guardandomi intorno. Lexis e io
eravamo le uniche persone presenti in quella che sembrava una capanna con pareti di
legno, pavimento di legno e il minimo di mobilia: un letto, una lampada, un tavolo e alcune
sedie.
«Rimani giù. Rome sta bene.»
«Ha una ferita profonda.»
«No, è solo una ferita superficiale che presto guarirà.»
«C’era un felino, una pantera...»
«Ne sono certa, ma ti assicuro che non ha fatto del male a Rome. Adesso stenditi e
riposa.»
«Tanner...»
«Sta bene. Siamo sopravvissuti tutti. Va tutto bene. È per te che eravamo preoccupati.
Hai dormito quasi un giorno intero.»
«Un giorno?» Lasciai che mi aiutasse a stendermi sul letto. Dio, odiavo sentirmi così
debole e vulnerabile. Rimasi a fissare le travi di legno del soffitto. «Dove siamo?».
«Nel mio bungalow alla periferia di Madison. Ma non preoccuparti» aggiunse, «nessuno
ne è al corrente, nemmeno John. Rome lo costruì in caso di emergenze come questa. Mi
sono assicurata che Tanner e io non fossimo seguiti e, conoscendo Rome, sono sicura che
anche lui abbia fatto altrettanto.»
«Dov’è?»
«Ho mandato lui e il ragazzo a fare provviste. Mi stavano facendo impazzire con le loro
preoccupazioni per te e la grotta è a pochi minuti a piedi.» Si mise a rimboccarmi le
coperte marroni di lana grezza. «Rome ha scoperto la grotta diversi anni fa e l’ha rifornita
con tutto quello che può servire in caso di necessità.»
Mi sentivo intorpidita e svogliata e avrei voluto dormire ancora un po’. Le palpebre si
abbassavano da sole, troppo pesanti per la stanchezza, ma mi sforzai di tenerle aperte e di
concentrarmi sulle sue parole. «Perché erano preoccupati per me?»
«Be’...» Fece una pausa per schiarirsi la gola. «Hai smesso più volte di respirare.»
Avevo smesso di respirare? Mi portai una mano alla gola dolorante. Santo cielo, avevo
rischiato di morire e non me ne ero neppure accorta. Se fosse successo, non avrei avuto la
possibilità di salutare mio padre e Sherridan. Non li avrei rivisti un’ultima volta. «Voglio
telefonare a mio padre» dissi, colta da un improvviso bisogno di sentire la sua voce.
«Prima che tu lo faccia» rispose Lexis con una strana inflessione, «Rome vorrebbe
parlarti di lui.»
«Perché?» Mi raddrizzai di scatto e quel movimento mi costò caro. Fui assalita dalle
vertigini e dalla nausea; piccole luci bianche mi ballavano davanti agli occhi. Mi sfregai le
tempie con una mano e strinsi lo stomaco con l’altra. Papà sta bene, sta bene, sta bene.
«Perché?» ripetei, questa volta quasi in un gemito.
«Non c’è motivo di preoccuparsi. Tuo padre è vivo e sta bene, te lo assicuro.»
Il cuore mi martellava nel petto e piccoli brividi mi risalivano lungo la spina dorsale
mentre scrutavo le profondità dei suoi occhi verdi per cercare di leggere la verità.
Sembrava sincera e decisi di crederle. Rilassandomi, mi lasciai lentamente ricadere contro
i cuscini. «Che cosa c’è che non va in me? Perché mi sento così debole?»
«Pensiamo che sia colpa del fumo che hai inalato.»
Aggrottai la fronte. «Non dovrei essere immune? In fondo, sono stata io ad appiccare
l’incendio.»
Lexis si strinse nelle spalle delicate. «Rome ritiene che probabilmente sei diventata
ipersensibile all’inquinamento. Mentre puoi sopportare il fuoco, il fumo ha effetti più
devastanti su di te che sulle altre persone perché adesso sei tutt’uno con la Madre Terra.
Gli agenti inquinanti ti fanno male quanto fanno male alla natura.»
Aveva senso. Non mi piaceva affatto, ma aveva senso.
Lexis si allontanò dal letto e andò all’unica finestra della stanza. Scostò le tende marroni
e sbirciò fuori. Chiunque avesse scelto quell’arredamento marrone meritava, come minimo,
una bella sculacciata. Doveva essere stato Rome, dato che Lexis aveva un gusto squisito e
costoso, come dimostrava il suo appartamento. Così Rome meritava di essere sculacciato?
Me ne se sarei occupata con piacere.
«Sta arrivando qualcuno?» chiesi.
«No.»
Una spessa coltre di silenzio scese su di noi. Mi rigirai a disagio nel letto, chiedendomi
a cosa stesse pensando.
«Io lo amo» se ne uscì tutt’a un tratto.
Okay. Eccoci al punto! Meglio uscire allo scoperto, mi dissi. «L’ho capito quasi subito.
Perché l’hai lasciato, allora?»
«Essere una sensitiva è nello stesso tempo una benedizione e una maledizione. Io...
sapevo prima ancora di sposare Rome che non ero destinata a restare con lui, ma lo feci
ugualmente. Speravo di riuscire a far sì che mi amasse nel modo in cui lo amavo io.»
Increspai le sopracciglia, confusa. «Non capisco.»
Mi rivolse un mesto sorriso e in quel momento provai una stretta al cuore per lei. Il
dolore che potevo leggere nei suoi occhi era straziante. «Uscivamo insieme da diversi
anni, poi ci sposammo e io rimasi incinta. Per tutto quel tempo sapevo dentro di me che se
non mi fossi allontanata da lui, sarebbe rimasto legato a me anche quando non avrebbe
voluto essere lì.»
«Di solito non sono così ottusa, o almeno spero, ma non capisco che cosa stai cercando
di dirmi.»
Chinò il capo con una tristezza infinita. «Rome mi vuole bene, forse mi ama anche, ma
non è il tipo di amore che un uomo dovrebbe provare per sua moglie. Sapevo, ho sempre
saputo, che era destinato a un’altra donna. Lui invece credeva che fossi io la donna giusta,
ma presto avrebbe scoperto la verità. E sarebbe rimasto con me pur desiderando un’altra
donna.» Si asciugò una lacrima con mano tremante. «Non avrei potuto sopportarlo.»
Le sue parole erano meravigliose e terribili allo stesso tempo. Lei non era la donna
giusta per Rome, e io? Non potevo nemmeno baciarlo senza scatenare un incendio. Ero
perseguitata dai guai e attualmente non aveva neppure uno straccio di lavoro. Non ero certo
la fidanzata ideale. Tuttavia, volevo essere la donna giusta. Lo desideravo disperatamente.
Se non era così... Lo stomaco mi si contrasse.
«Chi è la donna giusta per lui?» mi ritrovai a chiedere. Stringevo le lenzuola tra le dita
in attesa di una risposta, divisa tra la speranza e il terrore.
«Forse tu, forse un’altra. Non lo so.»
Quindi c’era ancora speranza, ma c’erano anche dei dubbi. Un dolore acuto mi trapassò
le tempie. Mi coprii gli occhi con l’ansa del gomito. Meglio cambiare argomento prima di
rischiare un aneurisma cerebrale nel tentativo di sapere di più. «Mi dispiace per il tuo
appartamento. Avevi ragione. L’ho ridotto in cenere.»
Lexis agitò una mano in aria. «Era solo una casa. Rome e Sunny sono in salvo, questo è
tutto quello che conta.»
Non volevo provare simpatia per lei. Ma dopo tutto quello che mi aveva rivelato, era
inevitabile, nonostante la (presunta) gelosia. Avrebbe potuto essermi ostile perché godevo
(temporaneamente) dell’affetto dell’uomo che amava. Avrebbe potuto buttarmi fuori di
casa. Invece mi aveva rivolto quel sorriso triste.
«Credo che tu abbia due ammiratori» disse. «Anche Tanner era molto preoccupato per
te.»
«Anche a me piace Tanner. È un bravo ragazzo.»
«Non è un ragazzo. È un uomo che deve solo maturare ancora un po’.»
L’affetto che provava per lui era evidente.
«Non ha ancora sviluppato le sue doti, ma penso che con il giusto addestramento potrà
fare grandi cose.» Le sfuggì una risata piena di calore. «Rome l’ha quasi messo fuori
combattimento.» Il suo sorriso si allargò mentre tornava accanto al letto. «Tanner
continuava a dire che saresti stata perfettamente al sicuro con lui se Rome te l’avesse
permesso e credo che questo bruciasse molto al mio ex marito. Rome è sempre stato molto
protettivo, eppure ha abbastanza fiducia in te da servirsi dei tuoi... poteri.»
Avvertii un’ombra di esitazione nella sua voce, come se non fosse sicura che possedessi
davvero dei poteri, ma provai ugualmente un brivido di piacere perché Rome si era fidato
di me. Il piacere, però, fu seguito rapidamente dalla delusione. «Mi dispiace di non aver
fatto ancora niente di utile e di aver combinato solo guai. L’unico motivo per cui Rome e io
siamo rimasti nell’appartamento era interrogare uno degli uomini, ma ho finito per
congelarli o carbonizzarli tutti. E poi...»
Mi interruppi di colpo, vedendo che Lexis si raddrizzava e perdeva ogni traccia di buon
umore. «Che cosa c’è?» chiesi. Ormai incominciavo a fidarmi del suo istinto come
facevano Rome e Brittan.
«La porta è...» Increspò la fronte e chiuse gli occhi, rimanendo immobile per diversi
secondi. Poi il sorriso le tornò sulle labbra. «Gli uomini stanno rientrando. E come direbbe
Tanner, Rome è incazzato nero.»
14
Come previsto, la porta si spalancò e Rome irruppe nel bungalow trascinando un riluttante
Tanner. Quando la porta si richiuse dietro di loro, spinse il ragazzo su una sedia e lasciò
cadere una pesante borsa ai suoi piedi.
«Non ho paura di usare su di te la mia presa letale di kung fu» lo minacciò Tanner.
«Resta lì e non aprire bocca per il resto del giorno» replicò Rome. Si girò verso di me e
quando i nostri sguardi si incontrarono, la sua espressione si addolcì. «Sei sveglia.»
Mi misi lentamente a sedere e mi passai le dita tra i capelli, rimpiangendo di non avere a
disposizione uno specchio. Probabilmente ero uno schifo, mentre lui era semplicemente
divino. Indossava una delle sue solite T-shirt nere e un paio di pantaloni dello stesso
colore. Mi sarebbe piaciuto vederlo in jeans sbiaditi e un po’ strappati, ma lui indossava
solo pantaloni. Senza slip, ricordai all’improvviso, sentendo il calore affluire alle guance.
Si avvicinò al letto. Il mio cuore accelerò i battiti e per poco non esplose dal petto
quando mi sfiorò un braccio. C’era sempre quella corrente elettrica tra noi.
«Come stai?» chiesi, mangiandomelo con gli occhi. Aveva un colorito sano e non
sembrava ferito né affaticato. In realtà appariva perfettamente normale, per quanto possa
essere normale un angelo delle tenebre.
«Bene. Ho solo un leggero dolore al fianco. E tu come ti senti?»
«Meglio.»
Mi accarezzò una guancia e mi rivolse uno sguardo assassino. «Mi hai spaventato. Non
farlo mai più.»
Rabbrividii per l’intensità famelica con cui mi fissava. «Non lo farò» promisi.
I suoi occhi azzurri si persero nei miei mentre intrecciavamo le nostre dita. «Quando hai
perso i sensi...»
Gli strinsi la mano.
«Ah, guarda i due piccioncini» tubò Tanner. «Volete che vi lasciamo soli?»
«Sì» disse Rome, senza distogliere lo sguardo dal mio. Purtroppo Lexis e Tanner non se
ne andarono, ma rimasero dov’erano. Il pollice di Rome mi accarezzava il palmo con
incredibile tenerezza. «Belle, ti senti abbastanza in forma da uscire e fare un po’ di pratica
con i tuoi poteri?»
In quel momento mi sentivo capace di qualunque cosa, grazie alla forza che lui mi
infondeva. «Certo.»
«Bene. Dopo quello che è successo ieri, ho bisogno di verificare quanto riesci a
controllarti. Inoltre, non voglio tornare in città prima del buio, per cui dobbiamo
ammazzare il tempo.» Si rivolse a Lexis. «Le hai detto di suo padre?»
Mi sentii assalire da una nuova ondata di paura e il sangue mi si gelò nelle vene.
«No» rispose Lexis. «Sapevo che volevi farlo tu.»
«È meglio che qualcuno mi dica che cosa è successo a mio padre prima che congeli
l’intero posto.»
Con la mano libera, Rome mi scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sta bene,
ma temo che Vincent possa servirsi di lui per attirarti allo scoperto.»
Mi portai una mano alla gola, come se avessi difficoltà a respirare. Se mio padre era in
pericolo, io... io... sarei semplicemente morta e avrei portato con me tutti i responsabili.
«Non possiamo portarlo via dalla casa di cura. Ha bisogno di essere seguito dai medici.»
«Lo so. È per questo che vorrei mandare Lexis a fargli la guardia.»
«Non saprei.» Automaticamente, la mia attenzione si spostò sulla donna in questione. Sì,
l’avevo vista prendere al volo i coltelli che le aveva lanciato Rome, ma sarebbe stata in
grado di tenere testa a degli uomini armati? Sarebbe stata disposta a uccidere pur di
proteggere mio padre, un uomo che non aveva mai visto prima?
Lei piegò le labbra in un sorriso divertito. Prima che potessi battere ciglio, sfoderò un
coltello e lo lanciò diritto verso di me. Udii un sibilo, seguito immediatamente da un tonfo
mentre la lama si conficcava nella parete alle mie spalle. «Per la miseria!» ansimai.
«Posso prendermi cura di lui» dichiarò con fermezza Lexis.
«Proprio un bel modo di mettere alla prova il mio controllo della vescica» replicai in
tono sarcastico. Dio sapeva se non avevo avuto abbastanza emozioni nella mia vita in quei
pochi giorni. Lanciarmi un coltello in quel modo era come aggiungere una glassa
contaminata a un dolce avvelenato. «È perfetta» ammisi. «Dovrò chiamare il centro e
chiedere il permesso, ma...»
«Non ce n’è bisogno» mi interruppe. «Il ragazzo si è rivelato utile in qualcosa, alla fine.
È molto abile con i computer ed è già entrato nel loro sistema. Ora risulta che è stata
assunta una nuova infermiera specializzata in malattie cardiache per assistere tuo padre
ventiquattr’ore su ventiquattro.»
«Okay. Bene. Chiamerò mio padre e...»
«No. Potrebbero aver messo sotto controllo i telefoni.» Il suo tono era dispiaciuto, ma
l’ordine era categorico.
In ogni caso, avevo detto a mio padre che non l’avrei chiamato, ricordai. Gli avevo detto
che partivo per una vacanza rilassante. Magari fosse stato così.
«A differenza di quanto si vede nei film» continuò Rome, «le telefonate possono essere
rintracciate all’istante. Se sorvegliano tuo padre, mettersi in contatto con lui potrebbe
essere pericoloso.»
«Capisco.» Guardai Lexis con un sospiro. «Puoi tenermi aggiornata sul suo conto? In
segreto? Lui crede che sia in vacanza e sarebbe meglio lasciarglielo credere.»
«Ma certo.»
Mi rilassai contro i cuscini. «Adesso farò una doccia e mangerò qualcosa. Dopo
possiamo incominciare a far pratica. Va bene?» chiesi a Rome.
Si chinò su di me e premette la guancia contro la mia, non prima di avermi lanciato un
sorriso malizioso. «Belle Jamison nuda sotto la doccia. Mi piace l’idea.»
Deglutii e cercai con lo sguardo Lexis, che si era già allontanata verso la cucina. Non
volevo ferirla più del necessario dopo quello che aveva fatto per me e quello che stava per
fare. Non credo che Rome si rendesse conto che era ancora innamorata di lui. Secondo la
sua visione maschile del mondo (vale a dire limitata), immaginava probabilmente che a
Lexis non importasse con chi stava.
«Un giorno riuscirò a raggiungerti lì, e non solo nelle mie fantasie.» Il suo alito mi sfiorò
la guancia, poi l’orecchio, mentre aggiungeva a bassa voce: «Ci ho pensato e ho deciso che
la doccia è il posto ideale. Se le cose dovessero scaldarsi troppo, l’acqua potrà
raffreddarci».
O trasformarci in vapore, tanto ardevo per lui. «Un giorno» risposi in un sussurro. Dio,
speravo che quel giorno venisse presto. «Ti desidero così tanto.»
Dilatò le narici e i suoi occhi emisero un lampo di calore. Insomma, sembrava proprio
un uomo impegnato a reprimere il desiderio selvaggio di farmi sua. «Vai e sbrigati. Ero in
pensiero per te e se non ti alzi subito, ti prenderò all’istante.»
Oh, mi piaceva quando faceva il duro con me. Mi trascinai giù dal letto. Avevo ancora
le ginocchia deboli e barcollai fino in bagno. Per sicurezza, chiusi a chiave la porta.
Feci la doccia, indugiando a lungo sotto il getto caldo. Mi sentivo più forte a ogni
secondo che passava. Il vapore caldo e umido mi diede sollievo alla gola e mi liberò i
polmoni dalla fuliggine. Anche se una parte di me temeva che il Ragazzo Carino ci trovasse
e mi sorprendesse nuda sotto la doccia – ero stata aggredita di sorpresa troppe volte negli
ultimi giorni, per essere tranquilla – l’altra si godeva quel gesto così normale. La cabina
doccia era un porto sicuro e io ne avevo un disperato bisogno in quel momento.
Quando uscii, indossai la camicia e i jeans neri che Lexis aveva messo nella borsa.
Qualcuno li aveva preparati per me accanto alla doccia. Qualcuno che aveva forzato la
serratura ed era entrato in bagno senza che me ne accorgessi. Chiunque fosse lo
scassinatore (e io avevo qualche sospetto), non mi aveva portato slip e reggiseno.
Non volevo indossare quelli sporchi. Voglio dire, se li avessi trovati, perché non
c’erano. Il sopramenzionato qualcuno li aveva presi con sé. Così, come qualcuno aveva
evidentemente pianificato, feci a meno della biancheria. Piegai le labbra in un sorriso. Che
mente perversa!
Rome era un vero uomo, anche di fronte al pericolo.
Quando emersi dal bagno, seguita da una nuvola di vapore, Rome, Tanner e Lexis erano
seduti intorno al tavolo e stavano facendo colazione. Mi sembrò strano, dato che l’ultimo
pasto che ricordavo era la colazione che avevamo fatto nell’appartamento di Lexis, ma
evidentemente questo è quello che succede quando si dorme per un giorno intero. Mi
avvicinai con l’idea di reclamare la sedia vuota accanto a Rome, ma lui mi prese in
grembo e mi mise davanti una fetta biscottata imburrata, il tutto senza interrompere il suo
discorso.
«... forze sono divise mentre cercano sia Belle sia il dottor Roberts. È il momento giusto
per attaccare.»
Sedere sulle sue ginocchia mi eccitava. I capezzoli si inturgidirono e il mio ventre
fremette all’idea del suo tocco. Forse ero diventata una ninfomane, o forse, ma solo forse,
Rome emanava ferormoni ai quali era impossibile resistere.
«Non sto dicendo che non sono d’accordo con te» replicò Lexis, spalmando una fetta
biscottata con marmellata di fragole, «ma devi considerare il fatto che anche noi saremo
divisi. Io sarò con il padre di Belle, mentre voi tre sarete impegnati a sfuggire a Vincent. E
a John, se vi sta cercando.»
«Anche John ci sta cercando?» chiesi. Spalmai di miele la mia fetta biscottata e
procedetti a divorarla. «Credevo che Rome avesse sistemato le cose.»
«Ormai avrà capito che stai aiutando Belle» intervenne Lexis, rivolta a Rome.
Lui mi tolse dalle dita l’ultimo boccone e se lo ficcò in bocca. «Per quel che ne sa, mi è
sfuggita e io sono ancora impegnato a cercarla.»
Lexis sbuffò. «Nessuno crederà che ti sia sfuggita.»
«Ehi!» protestai. «Per tua informazione, gli sono sfuggita davvero.»
«E io l’ho aiutata» aggiunse Tanner, gonfiando il petto come un pavone.
«So che l’hai fatto, tesoro, e sono orgogliosa di te.» Lexis gli diede un buffetto affettuoso
sulla schiena. «A volte la realtà è più incredibile della finzione, ma nessuno crederà
davvero che Belle sia riuscita a sconfiggere Rome.»
«Ho chiamato John e gli ho detto che è una piccola volpe astuta e che è riuscita a
sfuggirmi» spiegò Rome. «Ma gli ho assicurato che la scoverò presto e gliela consegnerò.»
«L’hai fatto davvero?» chiedemmo contemporaneamente Lexis e io. I nostri toni, però,
erano molto diversi: sorpreso il suo, indignato il mio.
Rome mi strinse la mano intorno alla vita. «Sì.»
A quel punto mi sentivo veramente tradita. Aveva intenzione di consegnarmi al suo capo
dopo che l’avessi aiutato a nascondere Sunny? Dovevo saperlo. Avevo il diritto di
saperlo. «Sarai così vile da consegnarmi a John quando non ti servirò più?»
«Lui non ha detto molto» dichiarò Rome, ignorando la mia domanda. «Vuole soltanto che
la trovi prima che lo faccia Vincent.»
Lexis sospirò. «Conoscendolo, probabilmente ha incaricato altri agenti di cercarla.»
«Smettila di ignorarmi» protestai, pizzicandogli la gamba. «Mi sto arrabbiando e
sappiamo tutti che non è una buona cosa. Ti conviene rispondere.»
«Ne parleremo più tardi, Wonder Girl.»
Wonder Girl. Hmm... niente male, ma avrei preferito che rispondesse alla mia domanda.
Aggrottai la fronte e sorseggiai un bicchiere d’acqua, ma non fui capace di trattenermi dal
chiedere: «Perché più tardi?».
Lui sospirò. «Ti arrabbierai, quindi preferisco parlartene sotto la doccia.»
Lo stomaco mi si chiuse all’istante. «E perché dovrei arrabbiarmi?» C’era solo una
risposta che mi avrebbe fatto arrabbiare ed era che Rome aveva intenzione di tradirmi.
Si passò una mano tra i capelli. «D’accordo, avevo pensato di consegnarti. Dopo che ci
fossimo liberati di Vincent, avevo intenzione di portarti da John in modo da distrarlo per
avere il tempo di nascondere Sunny in un posto sicuro.»
Tanner e Lexis rimasero in silenzio e io sentii la mia salivazione azzerata. «Ma... ma
credevo che avessi bisogno dei miei poteri per nasconderla.»
«Sì, ma non nel modo in cui pensavi. John sarà ancora più interessato a te una volta che
avrai imparato a controllare i tuoi poteri.»
«Bastardo!» Cercai di scendere dalle sue ginocchia, ma lui me lo impedì. «Mi hai detto
che potevo fidarmi di te e hai promesso esplicitamente che non mi avresti tradita!» gridai
con voce stridula.
«Se può farti sentire meglio, mi sono sentito terribilmente in colpa per averti ingannata.
L’unica cosa che mi consolava era il pensiero che saresti stata capace di badare a te
stessa.»
«Tu... tu...» Non riuscivo a trovare un insulto adeguato. Non mi ero mai sentita così
ingannata in vita mia, nemmeno quando avevo scoperto che il Principe delle Tenebre mi
aveva tradita.
«Ma non lo farò» disse Rome, stringendomi a sé. «Non posso farlo, me ne sono reso
conto stanotte. Penserò a un altro piano.»
Mi rilassai leggermente, ma mi imposi di restare in guardia. «Che cosa ti ha fatto
cambiare idea?»
«Già, che cosa?» mi fece eco Lexis.
Mi voltai verso di lei. «Tu lo sapevi?»
Annuì.
Traditrice.
«Non voglio che ti facciano del male» ammise Rome. «Mi dispiace, piccola» aggiunse,
guardandomi in viso. «Non sopporto l’idea che qualcuno ti faccia del male, incluso me
stesso. Puoi perdonarmi?»
Mi resi conto che potevo. Mi sentivo ferita, è vero, ma lo perdonavo. Pur di proteggere
sua figlia, era pronto a fare qualsiasi cosa. E io lo capivo perché avrei fatto lo stesso per
mio padre. «Sì» dissi.
Emise un sospiro di sollievo. «Bene. Sei innocente come Sunny e voglio che tu rimanga
così, Wonder Girl.»
«Quel nome è ridicolo» intervenne Tanner, cercando di ristabilire un umore gioviale.
«Lei è Viper e basta, o al massimo la Ragazza con Tendenze Omicide, come ho suggerito
prima.»
Gli tirai addosso una cucchiaiata d’uovo. Il piccolo proiettile giallo lo colpì al naso e
ricadde sulla camicia nera. Guardai me stessa, poi Rome, poi nuovamente Tanner. «Ehi,
siamo tutti vestiti di nero.»
«Questo perché stanotte faremo un’irruzione» spiegò Rome con lo stesso tono con cui ci
avrebbe comunicato di aver prenotato una seduta di massaggi in un centro benessere.
«Il dottor Roberts?» Il fatto che non battessi ciglio la diceva lunga. Stavo diventando una
criminale incallita. Una fuorilegge che non riconosceva altre regole oltre alle proprie. Un
po’ teatrale, Jamison, non trovi? Non avevo mai fatto irruzione da nessuna parte prima
d’ora e la prospettiva mi spaventava un po’. Mi spaventava e al contempo mi eccitava, lo
ammetto.
«Ehi, visiteremo la tana del dottore!» esclamò Tanner. «Senza essere invitati.»
«Probabilmente è ben difesa» osservai, accigliandomi.
«È quello che spero» replicò Rome. «Questa volta ci assicureremo di lasciare in vita
qualcuno per poterlo interrogare. Il che mi ricorda una cosa. Se avete finito con la
colazione, dobbiamo addestrare Belle a controllare i suoi poteri.»
Per fortuna tra le provviste recuperate da Rome e Tanner c’erano un estintore, mantelle
impermeabili, guanti e un mega flacone di antidolorifico. Senza contare i rifornimenti fatti
da Rome quando mi aveva lasciato in quella “casa sicura” che avevo raso al suolo. Pistole,
pistole e ancora pistole.
Io non avevo mai tenuto un’arma in mano prima, ma ero decisa a imparare. Se qualcuno
aveva intenzione di spararmi, avrei risposto al fuoco. Chiamatemi Ispettrice Callaghan.
Invece di allenarsi con noi, Lexis andò in città per proteggere mio padre. Tanner, Rome
e io ci addentrammo nella foresta e ci fermammo solo una volta arrivati in una piccola
radura. E lì ci allenammo per un’ora. Il plurale, in effetti, non rende l’idea: io mi allenavo,
Rome gridava ordini e Tanner faceva battute.
Dopo un’ora nessuno dei tre era migliorato, ma se non altro eravamo gli unici testimoni
dei miei... casini.
Il sole splendeva sopra di noi e l’aria era calda e appiccicosa. Gli alberi fornivano un
po’ d’ombra, ma non era sufficiente. Il calore, insieme alle grida di Rome, mi faceva
innervosire. Gli uccelli avevano smesso di cinguettare ed erano volati via. Gli insetti
avevano smesso di ronzare, optando per la fuga. Mica scemi.
«Concentrati questa volta» disse Rome. «Tutti e due» aggiunse, lanciando un’occhiata
fulminante a Tanner.
Tanner mi teneva un braccio intorno alla vita, con la scusa che il contatto fisico
l’avrebbe aiutato a percepire le mie emozioni, e io avvertivo la sua tensione. «Ero
concentrata anche prima. Lo eravamo entrambi.»
«Se lo fossi stata, perché diavolo avrei dovuto spegnere tre incendi, beccarmi una palla
di terra, sopportare una grandinata e rischiare di farmi congelare le palle? Tu sei lì per
dirle quando le sue emozioni rischiano di prendere il sopravvento, Tanner, in modo che lei
possa controllarle.»
Scuro in volto, Tanner lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e diede un calcio a un
sasso con la punta dello stivale. «Ci sto provando, ma è una cosa che non ho mai fatto
prima. Non so quando sono abbastanza intense da provocare danni e quando sono troppo
lievi per produrre un effetto.»
«Allora cercate di capirlo insieme, dannazione!»
«Rome» intervenni, puntando le mani sui fianchi, «vorrei dirti due parole in privato.»
Non potevo permettere che parlasse a Tanner in quel modo.
Staccò il suo sguardo truce da Tanner per avanzare verso di me. «Allora?»
Eravamo faccia a faccia. Sostenni il suo sguardo, stranamente eccitata. Aveva il viso
sporco di fuliggine, che gli tracciava delle linee nere sulle guance. «Qual è il tuo
problema? Stai rendendo la vita impossibile a tutti quando invece dovresti essere felice
per me. Per la prima volta sono riuscita a formare un mucchio di terra, il quarto elemento,
con la forza della mente.» O piuttosto con la mia gelosia, l’emozione che mi dava potere
sulla terra, ma non accennai alla cosa perché non volevo ripensare a Lexis e Rome
insieme. «Dovresti essere al settimo cielo.»
Vidi contrarsi un muscolo della sua mascella mentre distoglieva lo sguardo da me e lo
fissava in lontananza. «Non mi piace che Tanner ti metta le mani addosso.»
«Come?» Era l’ultima cosa che mi aspettavo di sentire. Se lo shock può uccidere una
persona, credo di esserci andata vicino. «È solo un ragazzino. Arrapato quanto vuoi ma pur
sempre un ragazzino.»
«È abbastanza grande da provarci gusto.»
Roteai gli occhi, anche se non potevo negare un brivido elettrizzante al pensiero che
quell’uomo forte e sensuale fosse geloso di me. «Non mi ha mica messo le mani sul seno.
Stai dicendo delle sciocchezze.» Meravigliose sciocchezze. «Sarà meglio che lo tratti più
gentilmente o appena avrò imparato, farò in modo che una nuvola di pioggia ti segua per
giorni interi.»
Veloce come un lampo, allungò il braccio e mi attirò a sé. «Mi sentirò meglio quando ti
avrò fatta mia.»
Nonostante il calore opprimente, rabbrividii. Mi passai la lingua sulle labbra
immaginando quell’uomo focoso che mi strappava i vestiti e reclamava il mio corpo,
marchiandomi con il suo odore e il suo tocco.
«Oh, al diavolo. Di nuovo?» si lamentò Tanner. «Credevo che fossimo a un punto
cruciale. Non si è mai visto un interludio romantico nella caccia ai cattivi. State
corrompendo la mia anima innocente.»
Sfiorai con un bacio le labbra di Rome, labbra che subito si ammorbidirono,
invitandomi a indugiarvi. «Calmati e comportati bene» dissi, ignorando Tanner. «Siamo
tutti stanchi e nervosi. Se finiamo presto gli allenamenti e se farai il bravo, forse ti
permetterò di darmi un altro bacio.»
Piegò le labbra in un sorriso lieve ma genuino. «Mi farai morire, lo sai, vero?»
Dio, speravo di no. Il sorriso mi morì sulle labbra a quel pensiero. Nei giorni successivi
Rome avrebbe potuto essere ferito o ucciso. Da me o da qualcun altro. Ora capivo
perfettamente perché lui e Lexis si erano offerti come cavie di fronte alla possibilità di
diventare invulnerabili. Tutto pur di salvaguardare il partner. «Farò anch’io del mio
meglio. Promesso.»
Ignaro del mio improvviso mutamento d’umore, mi diede una pacca sul sedere e si
rivolse a Tanner con sguardo più sereno e lineamenti più rilassati. «Scusa» disse
controvoglia. «Sei pronto a ricominciare?»
«Agli ordini, capo.» Tanner fece ruotare le spalle, mettendo in mostra le ascelle sudate.
«Facciamola finita al più presto, così potrò riempirmi di ghiaccio gli slip, perché se le tue
palle hanno rischiato di congelare, le mie si stanno sciogliendo.»
«Ai vostri posti, per favore» tagliò corto Rome.
«Dobbiamo provare qualcosa di diverso» dissi. Ma cosa? Determinata a riuscirci,
chiusi gli occhi e mi sforzai di concentrarmi. Respirai lentamente e a fondo e potevo
sentire Tanner che mi imitava. Dentro. Fuori. Mi prese una mano nella sua; il suo palmo
era liscio e trasmetteva una forza tranquilla.
Dato che aveva funzionato con il cartello di divieto d’accesso, provai a immaginare le
nostre mani fuse insieme. Subito sentii la mia mente cercare un contatto con la sua. Per
poco non aprii gli occhi dalla sorpresa. Avvertivo lo sforzo quasi fisico di abbattere le
barriere mentali che ci separavano.
«Ci stiamo fondendo» mormorò Tanner. «Sì, è come se fossimo fusi...» Mentre parlava,
ogni resistenza cadde. Lui sussultò e io avvertii una scossa per tutta la lunghezza del
braccio. «Ehi!» esclamò. «Qualcosa si è... rotto dentro di me. Posso sentirti. Posso sentire
davvero le tue emozioni.»
«Fai piovere» ordinò Rome.
Pioggia. Lasciai che immagini tristi mi fluttuassero nella mente. Cuccioli sperduti. I
senza tetto. Bambini orfani. Speravo di riuscire presto a evocare istantaneamente le
emozioni senza doverle provocare con i pensieri o con la forza. Per il momento era il
meglio che potessi fare. La fame nel mondo. L’ammontare di grassi in una confezione di
ciambelle al cioccolato.
«Mio Dio, Viper, la tua tristezza sta arrivando a proporzioni stratosferiche. Posso
sentire la tempesta che si scatena dentro di te.» La voce di Tanner era piena di orgoglio e
stupore.
Incominciò a tuonare. Le nuvole si aprirono e riversarono un diluvio sulla foresta e su di
noi. Il cotone della maglietta e i jeans si incollarono alla mia pelle, i capelli grondavano
acqua sulle tempie e sulle guance, le gocce d’acqua si fermavano sulle ciglia.
«Riduci l’intensità» disse Tanner.
Riduci l’intensità, riduci l’intensità. Come se fosse facile. La tristezza era ovunque,
forte e indomabile. Poi sentii qualcosa – qualcuno – che entrava dentro di me e portava via
gran parte della tristezza. Capii che non era Tanner ma una presenza diversa... più calda.
Sollevai le palpebre e incontrai lo sguardo stupito di Rome.
«Come hai fatto?» chiesi nello stesso istante in cui Tanner diceva: «La tempesta sta
cessando».
L’acquazzone si ridusse a una leggera pioggerellina.
«Adesso falla smettere» ordinò in tono deciso Rome.
Cercai di fare il vuoto mentale, di azzerare qualsiasi emozione, ma qualche pensiero
ribelle riusciva a introdursi nella mia mente. Come aveva fatto Rome a entrare dentro di
me e dissipare la tristezza? Che cosa stava facendo mio padre in quel momento? Quando
sarebbe stata la prossima volta che avrei mangiato quelle deliziose e ipercaloriche
ciambelle al cioccolato? Rome pensava che avessi l’aspetto di un gatto affogato?
«Okay, perché il tuo livello di imbarazzo sta salendo?» mi chiese Tanner.
«Per nessun motivo. Adesso passa.»
Ci vollero diversi minuti prima che riuscissi a svuotare completamente la testa. E allora
la pioggia, finalmente, cessò.
«Bene.» Rome annuì con gli occhi che brillavano di soddisfazione. «Adesso fai piovere
ancora. Più in fretta, questa volta.»
Digrignai i denti. Era facile per lui sputare ordini, ma eseguirli non lo era per niente.
Alle emozioni non piace essere forzate. Una persona depressa avrebbe dei problemi a
ridere o a sorridere. Una novella sposa elettrizzata avrebbe dei problemi a sparare al
fidanzato in un accesso d’ira. Be’, a meno che lui non lo meritasse davvero...
«Su, piccola, puoi farcela. So che puoi farcela.»
«Ci sto provando, dannazione» sbottai.
«Uh, credo che tu stia per provocare un incendio» disse Tanner.
Bagno schiuma e cioccolato. Rose e champagne. Inspirai lentamente ed espirai. Calma,
ero calmissima, dannazione. Un momento. Dovevo essere triste, senza Rome. A dire la
verità, in quel momento la cosa non mi rattristava molto. Era così odiosamente autoritario!
Sii triste, sii felice. Bla bla bla. Perché non ci provava lui?
«Ahi!» Tanner si staccò bruscamente, interrompendo la nostra connessione. «Mi stai
ustionando. Se mi resta la cicatrice, ti cito per danni,»
Aprii gli occhi e mi guardai le mani. Le punte dei polpastrelli erano in fiamme.
Accidenti! Sarebbe stato carino se Rome fosse entrato dentro di me anche questa volta per
liberarmi dalla collera. Anche se non sapevo come avesse fatto prima. Scossi le mani e
riuscii a estinguere il fuoco. «Se ti resta la cicatrice, le donne cadranno ai tuoi piedi» dissi
a Tanner.
Si illuminò in viso. «Davvero?»
Fissai negli occhi Rome. Nocciola contro azzurro. «Così non funziona. Sono un soggetto
emotivo, ma non posso obbligarmi a sentire in un determinato modo. Dannazione, non
voglio questi maledetti poteri.»
Lui incrociò le braccia sul petto. «Be’, ormai ce li hai e devi imparare a usarli.»
«È troppo difficile.»
«Più farai pratica, più ti riuscirà facile.»
«Questo non mi consola affatto!»
«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo prima di muoverci. Ce la farai, ho fiducia in te.»
Le sue parole mi ammorbidirono un po’. Ma solo un po’. «Poche ore in più non faranno
la differenza. Sono riuscita a entrare in connessione con Tanner e lui sta facendo un ottimo
lavoro misurando le mie emozioni. Ma non riesco a controllarle.»
Il solito spaccone sorrise. «Sono bravo, vero?»
«Smettila di piagnucolare, Belle.» Rome non mostrò la minima pietà. «Su, chiudi gli
occhi e riprova.»
Era sempre così dittatoriale? Così determinato a imporre la sua volontà? «No.»
«Tanner non si è arreso.»
Che colpo basso! Non mi piaceva essere paragonata a qualcun altro, specie a un
ragazzino che voleva giocare a fare il supereroe. Incrociai le braccia sul petto, decisa a
tenergli testa. «Se vuoi che continui, dovrai parlarmi dei tuoi poteri e di come hai imparato
a controllarli.»
«Belle» disse in tono minaccioso.
Ormai gli avevo dato un ultimatum e non ero disposta a tirarmi indietro. Volevo sapere.
Accidenti, avevo il diritto di sapere, a costo di forzargli la mano. «Bene, non dirmelo. Ci
vediamo più tardi.» Dopo avergli lanciato un bacio, presi per mano Tanner e mi diressi
verso il bungalow.
Stranamente, lui mi seguì di malavoglia. «Voglio che mi ustioni ancora le mani»
piagnucolò. «Ho bisogno di una cicatrice.»
«Continua così e ne avrai su tutto il corpo.»
Rome emise un ruggito di gola. «Se proprio vuoi saperlo, te lo mostrerò.»
Mi bloccai di colpo, impietrita. Lentamente, con il cuore che mi martellava contro le
costole, mi voltai a guardarlo.
«Vai dentro, Tanner» gli ordinò Rome, fissandomi negli occhi.
«Voglio vedere anch’io.»
«Vai in casa» ripeté Rome. «Hai già fatto la tua parte, adesso tocca a me.»
«Ma io voglio vedere i tuoi superpoteri. Guarderò solo dalla finestra, così...»
«Finora sono stato gentile, Tanner.» Il viso di Rome era rosso d’ira, aveva le narici
dilatate, gli occhi di un azzurro cristallino e le pupille ridotte a una fessura nera. «Non è un
gioco. Entra in casa o ti sbatto dentro a calci.»
Tanner corse dentro senza un’altra parola.
Io dovetti fare uno sforzo per non seguirlo. Un nodo mi si formò in gola mentre Rome
avanzava verso di me. Mi sentii assalire da brividi di paura e sentii l’aria farsi gelida
intorno a me.
«Ti mostrerò le mie abilità» disse in tono mortalmente calmo, stringendo i denti
improvvisamente più aguzzi. «E rimpiangerai che l’abbia fatto.»
15
Una parte di me, a livello inconscio, si aspettava quello che avrebbe fatto Rome; il resto di
me, invece, era... un’idiota. Avrei dovuto immaginarlo. Come avevo fatto a non capire?
Buonsenso selettivo?
Comunque, il fatto che avrei dovuto aspettarmelo non attenuò l’impatto. Sgranai gli
occhi, sbigottita, e arretrai prudentemente mentre il mio stomaco sprofondava. «Ti... ti
stai...»
Trasformando! Si stava trasformando.
Il viso si allungò. Le ossa si riassemblarono finché non si piegò su quattro zampe. I
vestiti che indossava caddero a brandelli dal suo corpo e lucente pelo nero spuntò dalla
pelle, ricoprendolo in pochi secondi. I denti divennero ancora più appuntiti e le pupille si
restrinsero a due fessure strette alle estremità.
Santo cielo, era una pantera. Anzi, la pantera che avevo visto nel mio appartamento.
Quella che era entrata nella casa di Lexis e mi aveva protetta dai sicari.
Quella che per poco non avevo congelato.
Se Rome mi avesse parlato del suo potere, avrei potuto cercare di negarlo. Gli avrei
dato del bugiardo e gli avrei detto di smetterla di scherzare. Assistere alla sua
trasformazione mi offriva una prova irrefutabile.
E mi rendeva consapevole del fatto che là fuori esisteva un intero universo di cui fino a
pochi giorni prima non sospettavo neppure l’esistenza.
Rome emise un ruggito, un verso ferino che non aveva niente di umano. Arretrai di un
altro passo, portandomi le mani alla gola. Anche se non mi aveva mai fatto del male in
quella forma... la prudenza non è mai troppa.
«Porca miseria!» esclamò Tanner dal bungalow. «Rome è un micione. Wow!»
L’attenzione della pantera era concentrata su di me. Il suo sguardo fiero mi sfidava a
dire qualcosa. A fare qualcosa. Si aspettava che fuggissi, mi resi conto, o magari che lo
sgridassi. Probabilmente si aspettava anche che perdessi i sensi.
Non c’era da stupirsi che fosse così determinato a mantenere il segreto su quella parte di
sé. Temeva che l’avrei respinto? Che l’avrei trovato disgustoso? Sciocco. Certo, non era
una cosa che capitava tutti i giorni, ma ero uscita con uomini peggiori.
Inoltre, dopo avere sprizzato fiamme dagli occhi, non spettava a me giudicare. Mi piegai
sulle ginocchia, abbassandomi al suo livello. «Qui, micetto. Vieni dalla tua Belle.»
Le sue lunghe ciglia nere si abbassarono e si rialzarono. Poi, lentamente, avanzò verso
di me, coprendo passo passo la distanza che ci separava. Allungai una mano per
accarezzare il suo pelo morbido e lui fece le fusa.
«Questo significa che potrò chiamarti Catman.»
Scoprì i denti in un ringhio ferino.
Sorrisi. «Avresti dovuto dirmelo» lo rimproverai. «Mi avrebbe risparmiato un attacco
di cuore e tu non avresti rischiato di venire congelato.»
Smise di ringhiare e batté nuovamente le palpebre. Gli diedi una grattatina dietro le
orecchie. Si avvicinò, esitante, per leccarmi il braccio. Il calore e la morbidezza della sua
lingua mi sorpresero.
«Ti lasci leccare?» gridò Tanner. «Che schifo.»
«Zitto!»
«Belle e il suo gattino / sedavano sul pino» arrivò la risposta cantilenante.
Con un ruggito, Rome avanzò con aria minacciosa verso il bungalow. Rendendosi conto
che stava per diventare la prima portata del menu di Rome, Tanner si decise finalmente a
chiudere bocca.
«Questo spiega molte cose» dissi, prendendo tra le mani il muso del felino e
costringendolo a guardarmi. «Non porti mai i jeans perché non si strapperebbero quando ti
trasformi. E non indossi gli slip per la stessa ragione, suppongo.» Ricordai come aveva
ceduto facilmente il tessuto dei suoi pantaloni quando l’avevo torto tra le dita. E pensare
che avevo creduto di avere una forza sovrumana. «A volte hai dei comportamenti animali.
Nel tuo sguardo compare un bagliore selvaggio come se volessi divorare tutto quello che
vedi. Poi c’è il modo in cui baci...»
Emise un altro ruggito, questa volta diverso dagli altri. Il timbro era più profondo,
carico di speranza e desiderio. Allungò le zampe anteriori, poi il dorso. Lasciai ricadere le
mani lungo i fianchi. Le sue ossa si stavano allungando e il pelo gli cadeva dalla pelle
come se non fosse stato altro che una veste provvisoria. I denti si ritrassero e il viso
riprese la sua naturale forma umana.
I muscoli del petto si ricompattarono. Il suo pene... oh mio Dio, il suo pene era enorme e
in erezione... Mi costrinsi a distogliere lo sguardo. Avevo le guance in fiamme e mi
sventolai con la mano. Il sole sembrava più luminoso. L’avevo già visto nudo, ma allora
ero troppo debole per risentirne. Se l’avessi guardato ora, avrei sicuramente scatenato un
incendio.
«Belle...»
«Sei nudo.» Affermare l’evidenza era la mia specialità.
«È tutto qui quello che hai da dirmi?» Sorpresa e ironia, rabbia e sollievo trapelavano
dalla sua voce. «Non hai battuto ciglio davanti alla mia... trasformazione, ma vedermi nudo
ti mette in imbarazzo?»
«No, non esattamente» risposi evasivamente, fissandomi i piedi e calciando un sassolino
con la punta dello stivale.
«Che cosa c’è, allora?»
«Be’, il tuo pene... È enorme... e duro.»
Se ne uscì in una fragorosa risata. «Dovrai abituarti, piccola, perché lo vedrai molto
spesso in futuro.»
Il calore alle guance aumentò di un altro grado. «Mettilo al guinzaglio per il momento,
okay?»
Pausa. Un fruscio d’erba. «Ti ho appena mostrato che posso trasformarmi e tutto quello
che ti interessa è il mio pene. Non ho mai visto niente di più sconcertante.»
«È enorme» ripetei e nella mia voce si mescolavano meraviglia e desiderio
all’ennesima potenza. Grazie al cielo i miei poteri non fecero esplodere il mondo con la
forza di quelle emozioni. «È solo che non voglio scatenare un incendio.»
Non avevo mai visto un corpo maschile così perfetto, tutto muscoli guizzanti e pelle
abbronzata. Rome era la personificazione della pura virilità. Trasudava potenza. «Puoi
metterti addosso qualcosa?»
Non era necessario guardarlo per sapere che stava roteando gli occhi. «No. Sono
finalmente riuscito a metterti in difficoltà. Probabilmente resterò nudo per il resto della mia
vita.»
Lalala lalala. Gli alberi erano verdi e rigogliosi. Il cielo, per quel che potevo vedere
attraverso i rami, era azzurro e luminoso. Non c’era una nube. Il profumo dei pini riempiva
l’aria.
«Vogliamo restare qui per tutto il giorno o hai intenzione di voltarti e parlare con me?»
domandò Rome, perfettamente a suo agio.
«Restiamo qui tutto il giorno.»
«Belle.»
«Rome.» Incrociai le braccia sul petto. Se non aveva ancora capito quanto fossi testarda,
era ora che se ne rendesse conto.
«Hai già visto degli uomini nudi prima d’ora, giusto?»
Mi piacque il modo in cui me l’aveva domandato, come se non sopportasse di
immaginarmi con un altro uomo. «Sì» risposi, spostando il peso da un piede all’altro. «Ma
non avevo mai visto te nudo. O almeno, non quando ero abbastanza forte da apprezzarlo.»
Un’altra pausa. «E che cosa c’è di diverso?»
«Be’, tu.»
«Io?»
Si levò una brezza leggera che mi rinfrescò la pelle. «Sì. Mi fai provare delle
emozioni.»
«Ne sono felice» disse. Mi posò le mani sulle spalle e le strinse delicatamente. Non
l’avevo sentito avvicinarsi, ma a un tratto era dietro di me e il suo aroma virile mi avvolse.
«Anch’io» mormorai, «ma questo non significa che voglia guardarti ancora. Non adesso,
almeno. Se non ti voltassi le spalle, non staremmo parlando, non credi?»
Altra pausa, poi: «No, credo di no».
«Come ti ho detto, c’è il serio pericolo che scateni un incendio. E non è una buona idea,
visto che ci troviamo in una foresta.» Avevo un urgente bisogno di cambiare argomento
prima di dimenticare perché fosse meglio continuare a parlare. «Come è successo che sei
diventato... un felino? Oddio, non hai mai fatto quell’operazione agli occhi, vero? Possiedi
la visione notturna come tutti i felini.»
Premette il busto contro la mia schiena e approfondì il massaggio alle spalle. «No, non
c’è stato nessun intervento agli occhi. Ricordi gli esperimenti di cui ti ho parlato? Il mio
DNA è stato ricomposto. Loro... gli scienziati che lavorano al SIP, hanno fatto altre cose,
ma non posso dire di averle capite completamente.»
Rimasi a bocca aperta, annaspando in cerca delle parole giuste. Quando le trovai,
uscirono con rabbia. «Come hanno potuto farti questo? Mischiare geni animali e umani
avrebbe potuto ucciderti...»
«Anche se mi piace vederti indignata per me, non è il caso. Mi sono offerto volontario,
ricordi? Volevo quel tipo di poteri che mi avrebbero reso invincibile. Posso fare, vedere e
udire cose impossibili per gli altri.»
Giocherellai con le punte dei miei capelli, continuando a cambiare peso da un piede
all’altro. Il cuore doveva ancora trovare un ritmo normale e il tocco delle sue dita non lo
aiutava di certo.
«E hai ragione» riprese. «Non porto i jeans perché non si strapperebbero facilmente.
Quanto alla biancheria... be’, la prima volta che mi sono trasformato, tutti i miei indumenti
rimasero sul mio corpo animale. Mi impedivano i movimenti, ma riuscii a strapparli con i
denti, tutti tranne gli slip. Come puoi immaginare, non era un bello spettacolo. Un feroce
predatore con gli slip.»
Mi strappò una risata. «Perché ti aspettavi che rimanessi disgustata dalla
trasformazione?»
«Ad altri è successo.» Sentii le sue dita contrarsi e capii che avrebbe preferito cambiare
discorso.
Insistetti comunque. «A chi, per esempio?»
«Per esempio a Lexis.» Lentamente, le sue dita scesero lungo la mia spina dorsale.
«Vomitò la prima volta che assistette alla scena.»
«Probabilmente aveva un’influenza virale.»
«No.»
«Le nausee mattutine, allora.»
«Aveva già avuto Sunny a quell’epoca.»
Bene. In fin dei conti, non mi interessava che lui rivalutasse la sua ex? «Io non sono
Lexis.»
«No.» Mi sfiorò il collo con le labbra, provocandomi una serie di deliziosi brividi in
tutto il corpo. «Non lo sei.»
La tensione erotica tra noi si acuì e ogni suo minimo gesto ne era amplificato. Ogni suo
respiro era un rullo di tamburi, ogni tocco delle sue dita una scarica elettrica.
Era nudo e io volevo toccarlo.
No. No, no, no. Con Tanner che guardava dalla finestra, io che avevo ancora bisogno di
impratichirmi nei miei poteri e la mia incapacità di fermare gli incendi provocati dalla
passione, non potevamo permetterci di lasciarci andare. Per quanto lo desiderassi.
«Bene. Hmm.» Diedi un colpo di tosse. Che cosa dovevo fare? Andarmene?
«Come mai la trasformazione non ti preoccupa?» mi chiese in tono esitante, come se
temesse la risposta.
Okay, ero in grado di affrontare la questione senza soccombere all’assalto dei sensi.
«Non lo so. Semplicemente è così.»
«Perché?» insistette.
«Anch’io ho subito un cambiamento di recente e non mi piace essere giudicata. E poi
sono la fantastica Wonder Girl e...»
«Non ti chiamerò più così» mi interruppe con una risata.
«Perché no? Dopotutto sei stato tu a tirarlo fuori.»
«Ma poi ho deciso che quel nome non fa per te. Tu sei la Sirena Impertinente e basta.»
Non riuscii a trattenere un sorriso. «Bene, e tu sei Catman, non ho dubbi su questo.»
«Non chiamarmi così.» Con un’altra risata mi spinse gentilmente in avanti. «Vai a
prendermi dei vestiti e poi riprenderemo gli allenamenti.»
«Senza Tanner?»
«Senza Tanner.»
«Non gli piacerà.»
Rome si strinse nelle spalle. «Si è meritato una pausa Vai, adesso» disse, dandomi una
pacca sul sedere.
Ridendo, mi costrinsi ad allontanarmi da lui, dal suo tocco delizioso e dal suo aroma
ancor più delizioso. Mentre entravo nel bungalow, non mi concessi un solo sguardo
indietro e appena richiusa la porta, inspirai a fondo l’aria fresca.
Tanner mi stava aspettando davanti all’ingresso e si mise a saltellare su e giù
dall’eccitazione. «Hai visto? È un vero felino. Un felino! Con il pelo e tutto il resto.»
«Ho visto» dissi, oltrepassandolo.
«Fa anche le fusa? Dimmelo.»
«No.» Dov’era la borsa di Rome? Perlustrai con lo sguardo il piccolo ambiente.
«Pensa a quanto potremo divertirci.» Tanner si passò le dita tra i capelli. «Mio Dio,
quante battute mi frullano per la mente. Sapevo che gatta ci covava. Oops, che gatto ci
covava.»
«Non fa ridere.» Finalmente intravidi l’angolo di una borsa nera che spuntava a lato del
letto e mi avvicinai.
«Qual è al scienza preferita dai gatti? La topologia.»
Storsi le labbra. «Un po’ meglio.» Mi chinai a frugare nella borsa. Non c’era un
indumento che non fosse nero. «Sarà meglio che non tiri fuori le tue battute di fronte a
Rome. È piuttosto suscettibile.»
«Avevo percepito la sua esitazione, ricordi? Deve ancora accettare la cosa e scherzarci
sopra è il modo migliore per aiutarlo.»
«Vuoi essere sbranato?» Presi una T-shirt e un paio di pantaloni, ma lasciai perdere le
scarpe. Quelle che indossava prima erano cadute durante la trasformazione senza subire
danni. «Non eri abbastanza vicino da vedere quanto sono aguzzi i suoi denti.»
«Rome non mi farebbe del male: abbaia ma non morde. No, aspetta: fa le fusa e non
morde.» Tanner scoppiò in una risata. «Vengono da sole, non posso farci niente. Sono il
Joker. Ehi!» Sgranò gli occhi e si batté una mano sulla coscia. «Ecco il mio nome da
supereroe: il Joker Sensitivo.»
Sbuffai. «Solo che non sei sensitivo.»
«Sì che lo sono. Sento quello che provano gli altri.»
Mi rialzai con i vestiti di Rome sotto il braccio. «Perché non ci prepari qualcosa da
mangiare? Abbiamo fatto colazione ore fa e sono affamata.»
Inarcò il sopracciglio con gli anellini d’argento, che scintillarono alla luce. «Oppure
potremmo fare sesso prima che tu porti quei vestiti a Rome.»
Gli diedi una pacca sulla spalla, ma facevo fatica a mantenere un’espressione seria.
«Come mai non ti ho ancora arrostito come un gambero?»
«Perché ti sentiresti persa senza di me e lo sai. Posso sentire che mi ami. Non cercare di
negarlo.»
Lo liquidai con un gesto della mano e uscii, seguita dalla sua risata. Il calore mi assalì
all’istante con i suoi artigli appiccicosi. Rome era esattamente nello stesso punto in cui
l’avevo lasciato. Teneva le mani lungo i fianchi e non si preoccupava affatto di coprirsi.
Stava sorridendo, sfidandomi a guardarlo. Raccolsi la sfida e finalmente guardai. In
fondo era quello che avevo desiderato per tutto il tempo. Mi fermai a pochi passi da lui,
indugiando con lo sguardo. Mi venne l’acquolina in bocca e, come temevo, il mio sangue si
surriscaldò. Rappresentava senza dubbio un esemplare di prima qualità.
«Un giorno dovrai ricambiare il favore» disse con voce di gola.
Restare nuda di fronte a una tale perfezione quando io ero ben lontana dall’essere
perfetta? «Non credo.»
«Lo farai.»
«Forse» gli concessi senza compromettermi.
«Di sicuro.» Il suo pene lungo e turgido si mosse.
«Quasi di sicuro.» Gli gettai i vestiti.
Mentre li prendeva al volo, nella sua espressione colsi una tenerezza che non c’era stata
prima. Mi congratulai con me stessa per averlo notato. Era una bella impresa,
considerando quanto fossi incantata dalla vista dei suoi attributi maschili.
Non gli concessi alcuna privacy mentre si rivestiva, incominciando dai pantaloni. Ormai
avevo guardato per cui non c’era ragione di tirarsi indietro. Né, se è per questo, lo volevo.
Fremevo di desiderio.
«Quando tutto questo sarà finito...» esordii, ma subito dopo mi trattenni, mordendomi le
labbra. Non farlo, Jamison.
Rome si stava infilando la maglietta dalla testa quando si bloccò, lasciando in mostra gli
addominali abbronzati e solidi come roccia. «Che cosa stavi dicendo?»
«Niente. Fai in fretta, così potremo riprendere gli allenamenti.»
Con un ultimo movimento, si abbassò la T-shirt e ricoprì il suo bellissimo corpo. Provai
una fitta di rimpianto. Che razza di idiota ero per insistere che si coprisse? Mi prese per
mano e ci spostammo in modo da non essere visibili dal bungalow. Quando ci fermammo,
si girò verso di me e mi sollevò il mento.
I nostri sguardi si incontrarono. «Che cosa stavi dicendo, Belle?»
Deglutii. E se non avesse più voluto vedermi una volta che tutto fosse finito? Sì, in quel
momento era attratto da me e, sì, sembrava che gli piacessi davvero. Ma poteva essere uno
di quegli uomini che odia qualsiasi accenno al futuro. Dopo Lexis... Poteva essere uno di
quelli che si spaventano sentendo pronunciare la fatidica parola relazione, quasi fosse
sinonimo di inferno.
«Niente» ripetei, serrando ostinatamente la mascella.
«Allora farò qualche ipotesi. Quando tutto questo sarà finito, vorrò venire a letto con te?
Sì. Quando tutto questo sarà finito, vorrò rivederti? Sì. Quando tutto questo sarà finito,
vorrò trascorrere un po’ di tempo con mia figlia? Sì. Quando tutto questo sarà finito, vorrò
spalmarti tutta di sciroppo al cioccolato e leccarti? Sì.» Si interruppe. «Una di queste
risponde alla tua domanda?»
Annuii, incapace di parlare per l’improvviso groppo che mi si era formato in gola.
Voleva davvero rivedermi. Un senso di felicità mi invase, facendomi sorridere come
un’ebete.
Guardandomi con espressione intensa, Rome mi affondò le dita tra i capelli. «Ti mi
affascini, ma questo te l’ho già detto, vero? Ti ho desiderata fin dal primo momento che ho
messo gli occhi su di te e da allora il desiderio non ha fatto altro che crescere.»
Spalancai la bocca per lo stupore.
Lui lo prese per un invito.
Si impadronì delle mie labbra e mi infilò la lingua in bocca; il suo sapore selvaggio e
virile mi inebriò. Lasciò la presa sui miei capelli e mi piegò la testa in un angolo che
consentiva un contatto più profondo. Mi sfuggì un gemito di pura estasi. Gli passai le mani
sul petto scolpito, desiderando ardentemente che la maglietta sparisse come d’incanto.
Volevo sentire la sua pelle contro la mia, essere uomo contro donna.
Volevo che liberasse l’animale che c’era in lui.
Ma, dannazione, mi stavo già riscaldando e le conseguenze avrebbero potuto essere
letali. Mi staccai dalle sue labbra, ansimando. «Non possiamo. Potrei provocare un
incendio.»
«Dammi le tue emozioni.» Il suo viso era tirato dall’eccitazione, la sua voce era un
mormorio basso e dolce. «Dammi il tuo fuoco e la tua passione.»
Mi morsi il labbro inferiore. «E se restassi ferito? Tanner non è qui per dirmi quando
fermarmi.»
«Dammelo.»
Premette la sua bocca sulla mia bocca e io fui incapace di resistere. Mentre lo leccavo,
lo succhiavo, lo morsicavo, mi sollevò da terra, in modo che gli allacciassi le gambe
intorno ai fianchi. Il suo pene duro premeva contro di me, sempre più grosso, sempre più
caldo. Un piacere intenso mi colpì proprio dove il bisogno era maggiore. Cercai di
trattenere il fuoco dentro di me. Avevo il sangue in ebollizione e la pelle arroventata.
Se non stavo attenta, l’inferno che infuriava dentro di me si sarebbe liberato,
consumando la foresta. Consumando Rome. E io non volevo rischiare di fargli del male.
Non volevo spaventarlo e allontanarlo per sempre da me.
«Non ho mai desiderato così disperatamente una donna in vita mia. Dammi il tuo fuoco,
Belle. Lo controllerò io.»
«Come puoi esserne certo?»
Mi sfregò il pene contro il clitoride, attraverso i vestiti. Desiderio. Piacere assoluto.
Ansimai, in preda alle vertigini. Mi succhiò avidamente la lingua. «Dammelo.»
«No.» Non riuscivo a smettere di muovermi. Mi inarcai verso di lui, spinta dalla
necessità di trovare pace, ma era pericoloso. Molto pericoloso. Il fuoco dentro di me
divenne ancora più intenso, minacciando di divorarmi. Tentai con tutte le mie forze di
trattenerlo.
«Dammelo.» Morso.
«No. E se non riuscissi a controllarlo?»
«Fammi provare. Dammi il tuo fuoco e ti farò venire» promise. Mi spostò finché non
sentii dietro la schiena il tronco freddo di un albero. Il suo pene si muoveva su e giù e il
tessuto dei jeans aumentava quella deliziosa frizione.
«Rome...» Il suo nome mi uscì come un’implorazione roca.
«Ti stavo guardando, prima, quando hai fatto piovere. Sembravi così triste che mi si è
stretto il cuore. Volevo disperatamente dissipare la tua tristezza e a un tratto ci sono
riuscito. Fidati di me anche questa volta.» Si spinse contro di me e io fui perduta. «Credo
di poterlo rifare.»
Aveva funzionato una volta e, aveva ragione lui, avrebbe funzionato ancora.
Gradualmente, mi concessi di abbassare la guardia. Il calore e le fiamme che avevo
cercato di tenere sotto controllo uscirono da me come se si fossero aperte le chiuse di una
diga e si riversarono su di lui, che emise un brontolio. Invece di bruciarlo, però, le fiamme
vennero assorbite.
Se non fossi stata così distratta da ciò che stava facendo al mio corpo, avrei sussultato
per lo sgomento. Così, invece, riuscii solo a stringere la mia presa su di lui. La sua lingua
si mosse in cerca della mia con ritmo più frenetico, i suoi fianchi si inarcarono con più
determinazione. Lasciai ricadere la testa all’indietro; semplicemente non avevo più la
forza di sostenerla. Mi morse sul collo, mordicchiando la carne con i denti e poi
passandovi sopra la lingua umida.
«Vedi?» disse con voce di gola. Il suo sguardo era carico di tensione, ma era una
tensione provocata dall’eccitazione trattenuta. «Ci siamo riusciti. Speravo di riuscire a
filtrare le fiamme, ad assorbire la parte più violenta del calore, e ha funzionato.»
«Non capisco come tu riesca a farlo» riuscii ad articolare mentre gli carezzavo la
schiena. Ma ormai nulla importava in quell’istante fuori dal tempo. Avevo Rome e avevo il
piacere senza aver provocato un incendio.
«Se non avessi imparato a tenere in gabbia la belva che c’è in me, mi avrebbe
sopraffatto. Sarei stato solo un animale. Ho pensato, ho sperato di poter ingabbiare anche il
tuo fuoco e l’ho fatto. Un giorno riuscirai a farlo da sola, ma fino a quel momento...»
Lo baciai ancora. I nostri denti si sfiorarono mentre i nostri corpi si dimenavano l’uno
contro l’altro. Mi prese il seno nella mano e stuzzicò il capezzolo.
«Un giorno lo faremo nudi» ansimò.
«Sì.»
«In un letto.»
«Sì.»
«Un giorno sarai mia.»
Mi infilò la mano nei pantaloni. Non portavo gli slip perché quel ladro perverso me li
aveva nascosti, così le sue dite affondarono direttamente dove avevo più bisogno di lui.
Sempre più a fondo. «Sì.»
Superai il limite e raggiunsi l’orgasmo con un grido. Tutto il mio corpo si tendeva, si
rilassava, si tendeva ancora, scosso dagli spasmi del piacere.
Mi aggrappai a Rome temendo che se l’avessi lasciato sarei volata in cielo. Nella mia
mente si susseguivano immagini di lui nudo, dentro di me, con il suo pene al posto delle
dita, che mi prendeva da dietro e da tutte le posizioni possibili...
«Viper?» mi chiamò una voce familiare. «C’è qualcosa che non va? Stai bene? Tieni
duro, sto arrivando. Sarà meglio per te che tu non le abbia fatto del male, Rome, o te la
farò pagare cara.»
16
Mentre lottavo contro una marea di tentazioni (nell’ordine: uccidere Tanner, spogliare
Rome, gridare, piangere, implorare ancora sesso), Rome tolse le mani da me e poi si
staccò del tutto.
Ancora tremante, mi risistemai i vestiti, incapace di respirare a un ritmo regolare. «Io
sono venuta, ma tu?» sussurrai, posando lo sguardo sul suo inguine rigonfio. «Sei...»
«Sto bene. Niente che non possa aspettare.» Ma il suo sguardo indugiò sui miei
capezzoli inturgiditi e si fermò tra le mie cosce con un bagliore di rammarico. Poi fece
qualcosa di inaspettato e assolutamente erotico: si leccò le dita con cui mi aveva
accarezzata e chiuse le palpebre in un abbandono estatico. Per poco non provai un altro
orgasmo di fronte a quel gesto perversamente eccitante.
Tanner sbucò da dietro un albero e ci raggiunse. «Belle?»
«Sto bene» dissi, arrossendo. «Tutto a posto.»
Si fermò e studiò a lungo sia me sia Rome. «Oh, oh. Voi ragazzi avete fatto sesso. Sesso
felino. Torno in casa. Cercate di non perdere di vista l’obiettivo. Diavolo, sono l’unico a
possedere un’etica professionale?» Girò sui tacchi e marciò in direzione del bungalow.
Rome mi guardò ed entrambi scoppiammo a ridere. «Quel ragazzo!»
«Lo so.»
«Adesso che so che sapore hai, possiamo tornare al lavoro.» Si allontanò con le spalle
rigide. Solo allora, quando ci fu una certa distanza tra noi, mi resi pienamente conto di
quello che era successo. Lo osservai in cerca di qualche segno, ma non vidi ustioni né
vesciche. Aveva funzionato. Oh, mio Dio, aveva funzionato davvero! Rome aveva
assorbito dentro di sé il mio fuoco e l’aveva domato. Gli aveva impedito di infuriare,
distruggendo qualcosa o qualcuno.
Potevamo stare insieme.
Potevamo fare l’amore. Potevamo abbandonarci a un sesso languido o a uno spinto senza
paura delle conseguenze. Il solo pensiero era sufficiente a risvegliare il mio desiderio.
Presto l’avrei avuto dentro di me. Completamente.
Un brivido di delizia mi risalì lungo la spina dorsale mentre mi preparavo per la
prossima seduta di allenamenti.
Senza fare nemmeno una pausa, trascorremmo le due ore seguenti a creare fiamme,
pioggia, neve e mulinelli d’aria. Feci davvero un buon lavoro. Rome stava a una certa
distanza e filtrava le mie emozioni. Senza Tanner, non sapeva esattamente quanto filtrare,
ma non era questo il problema. Doveva imparare a filtrare senza eccitarsi.
A ogni distrazione dovevo ricominciare da capo, ma nel complesso feci dei progressi.
C’era da sperare che in poche settimane (o più probabilmente mesi) sarei riuscita a
produrre i risultati desiderati istantaneamente, pur essendo circondata da distrazioni. E
persino quando Rome era eccitato.
Quello che mi spaventava, però, era che più miglioravo, più apprezzavo i miei poteri.
Era una sensazione inebriante come una droga, una scarica violenta di adrenalina.
Incominciai a immaginare le cose che avrei potuto fare quando avessi avuto la piena
padronanza dei miei poteri. Se qualcuno mi faceva incavolare, potevo bruciargli i capelli.
Se qualcuno mi minacciava, potevo congelargli la casa. Chi non avrebbe goduto ad
assaporare una vendetta del genere?
Vi faccio un esempio. Solo poche settimane prima avevo preso in prestito l’auto di
Sherridan per un colloquio di lavoro. Dopo dieci minuti che ero alla guida, ero stata
costretta ad accostare dal poliziotto più prepotente che sia mai stato arruolato. Il suo nome
era agente Ken Parton, non lo dimenticherò mai.
Non guidavo da parecchio tempo, quindi la mia patente era, manco a dirlo, scaduta. E
che cosa fece quello stupido? Mi arrestò. Sì, mi mise le manette e mi trascinò in centrale
come se fossi stata una criminale incallita. Mi prese le impronte e tutto il resto. (Forse il
mio commento sul suo seno adiposo l’aveva spinto oltre il limiti, chi può dirlo?)
Così ora ero schedata, solo perché un coglione di poliziotto provava gusto a intimidire
le donne. Vi sembro acida? Al diavolo. Se avessi avuto questi poteri, avrei potuto
seppellire quel miserabile bastardo sotto una grandinata o congelargli le palle.
Promemoria: cercare l’agente Parton una volta rientrata in città.
«A che cosa diavolo stai pensando?» mi chiese Rome.
Battei le palpebre e scossi il capo, ricacciando quei pensieri cupi nel retro della mia
mente. Questo però non servì a estinguere il fuocherello che si era acceso ai miei piedi.
Pestai le braci con i piedi e qualche pennacchio nero si levò in aria, volteggiando intorno
alle mie gambe. Tossii e solo allora mi resi conto di quello che stavo facendo. Avevo
desiderato danneggiare qualcuno. L’agente se lo meritava, d’accordo, ma non era una
buona giustificazione.
Dannazione. Era proprio quello che Rome temeva mi sarebbe successo. Che avrei finito
per apprezzare i miei poteri e non avrei voluto rinunciarvi. Non era così che aveva detto?
La gente uccide per il potere. Le persone agognano al potere e diventano dei mostri pur di
ottenerlo.
Non vedevo l’ora di liberarmi dei miei poteri quando non riuscivo a controllarli, ma ora
che incominciavo a capire come potevo servirmene, non ero sicura di voler tornare a
essere la solita me stessa. L’agente Parton si approfittava del suo potere. Sarei diventata
come lui?
Sospirai, lasciando ricadere le spalle.
«Tutto a posto?» mi domandò Rome. Si avvicinò e mi passò un braccio intorno alla vita,
posando il mento sulla sommità del mio capo. «Che cos’era quel sospiro?»
«Ehi, avete intenzione di baciarvi di nuovo?» gridò Tanner dalla finestra del bungalow,
fingendosi disgustato. Era rimasto a guardarci per tutto quel tempo, lanciandoci consigli e
suggerimenti non richiesti, del tipo: «Prova a fare una scultura di ghiaccio di una donna
nuda».
«Non si mangia mai qui?» ribattei. Non sapevo se fosse ora di pranzo o di cena, ma ero
comunque affamata.
«Io non cucino.»
Esasperata, alzai le braccia al cielo. «Allora come fai a nutrirti?»
Tanner si strinse nelle spalle. «Ristoranti. Domestiche.»
«Domestiche?» Mi aspettavo che ridesse, ma era del tutto serio. Grandioso. Avevo
arruolato un ricco signorino nella Squadra Speciale Anticrimine. «Prepara qualche
sandwich o qualcosa del genere. Ti raggiungiamo tra un minuto.» Il mio stomaco stava
brontolando.
«Okay.» Tanner si staccò dalla finestra, scuro in volto. Lo udii borbottare: «Certo, io
sono solo l’empatico, così mi tocca il lavoro più ingrato».
Rome si mise alle mie spalle per nascondermi alla vista, mi allacciò le braccia in vita e
disse: «Non mi hai ancora risposto. Che cos’era quel sospiro?».
«Stavo solo pensando.» Una brezza leggera ci avvolse, rinfrescando la mia pelle sudata.
Il calore del suo corpo annullava la frescura, ma per niente al mondo gli avrei chiesto di
spostarsi. Mi piaceva che restasse dov’era.
«A che cosa?»
«Ai poteri.» Mi interruppi, ponderando accuratamente le parole. «Se tu potessi
rinunciare a trasformarti in pantera, lo faresti?»
Non esitò nemmeno un istante. «Subito.»
«Anche se così puoi fare cose precluse ai normali esseri umani? Anche se sei stato tu a
offrirti volontario per quegli esperimenti sul DNA? Anche se puoi...»
«Anche con tutto questo» dichiarò con fermezza. «Per quanti vantaggi ci siano, sono
sempre di più gli svantaggi. Per esempio il fatto che Vincent voglia reclutarmi nell’OASS a
tutti i costi, mettendo così in pericolo la mia famiglia.»
Sapevo che avrebbe risposto così.
«Con questo non voglio dire che non mi piaccia tutto quello che posso fare» riprese,
passandomi le mani lungo le braccia e fermandosi sui seni.
«Che cosa vuoi dire, allora?» chiesi con il fiato corto. Potevo sentire i suoi palmi grandi
e callosi anche attraverso il cotone della maglietta, come un’impronta che mi marchiava
l’anima.
Avevo avuto altri ragazzi e il sesso mi era sempre piaciuto. Ma c’era qualcosa di
diverso con Rome: il minimo contatto mi eccitava come non mi era mai successo prima.
«Intendo dire che i lati negativi sono sempre maggiori di quelli positivi. Sì, sono in
grado di vedere al buio e posso sentire odori che un tempo non avvertivo.» Si interruppe e
il silenzio che seguì era carico di intenzioni peccaminose. «So anche quando una donna è
eccitata prima ancora che lei se ne accorga.»
«Come?» strillai, improvvisamente imbarazzata tanto da sentirmi avvampare le guance.
Mi ero eccitata per lui tante di quelle volte da aver perso il conto.
«Posso sentire all’olfatto il suo desiderio.»
«E questo... fa parte dei lati positivi o negativi?»
«Dei lati positivi.» La sua voce si abbassò a un sussurro roco che mi accarezzò le
guance ancora in fiamme. «Senza alcun dubbio.»
Santo cielo, quell’uomo era un seduttore nato. Le mie ginocchia quasi non mi reggevano
più. Non m’importava più che il bungalow fosse a pochi passi di distanza e che Tanner
potesse vederci dalla finestra. Non m’importava che fossimo nella foresta. Tutto quello che
m’importava era lui.
«Mi piacciono tutte queste abilità» disse, stringendomi i capezzoli tra le dita e
facendomi inarcare all’indietro. «Posso stanare chiunque e trovare qualsiasi cosa.»
«Ma...?»
«Ma tutte queste capacità non mi hanno aiutato a fare quello che conta di più. Non hanno
dato a mia figlia una vita normale. Anzi, hanno portato davanti alla sua porta tutto il male
del mondo. Per questo non posso mai abbassare la guardia. Non posso mai fidarmi
completamente di nessuno. Ci sono persone che vorrebbero studiarmi, proprio come
vogliono studiare te. Vogliono sottopormi a esperimenti senza curarsi di quanto possano
essere dolorosi. Vorrebbero creare altri agenti come me, come te o come Sunny. Non posso
tenere a bada per sempre i radar di Vincent. Se quel sadico si azzardasse a fare degli
esperimenti su mia figlia...» Terminò la frase con un grugnito.
Rabbrividii quando le sue mani scivolarono sullo stomaco e mi sollevarono l’orlo della
maglietta per accarezzare la porzione di pelle esposta.
«Ti fidi di me?» chiesi senza fiato.
«Stranamente, sì.» Mi mordicchiò il lobo dell’orecchio e poi lo leccò.
«Rome» gemetti, lasciando cadere il capo sulla sua spalla. Volevo che mi leccasse il
collo, che mi morsicasse. Qualsiasi cosa pur di...
Di colpo mi lasciò andare con un brontolio gutturale. «Basta. In questo momento non
posso dare a entrambi quello di cui abbiamo bisogno e tenerti fra le braccia è una tortura.
Andiamo a mangiare.»
Si allontanò da me senza aggiungere una parola.
«Ti raggiungo tra un minuto» dissi. «Ho bisogno di stare un po’ da sola per
decomprimermi.»
Annuì, ma non si voltò indietro.
Anche se ero affamata, avevo bisogno di calmare il mio sangue in ebollizione. Avevo il
respiro leggermente ansimante e il desiderio era così intenso da risultare doloroso. Sapevo
che non avrei trovato la completa soddisfazione finché non avessi sentito dentro di me. In
quel momento non avevo paura di provocare un incendio o qualche altro disastro. Quello
che temevo era di essermi donata a Rome più di quanto fosse saggio. L’amore era già
germogliato, ma dargli tutto il mio cuore era assolutamente idiota.
Mi lasciai cadere sull’erba, ancora tutta bagnata per gli acquazzoni che avevo scatenato.
L’umidità filtrava attraverso i jeans, ma non me ne importava. Ogni minuto che passavo in
compagnia di Rome, cadevo sempre più sotto il suo incantesimo erotico. Aveva un fascino
animale (ovviamente), che mi eccitava; era affascinante quando voleva esserlo, sexy anche
senza averne l’intenzione e protettivo.
Chi avrebbe potuto resistergli?
Non io, pensai con una punta di sconforto.
Ora riuscivo a capire perché Lexis si fosse allontanata da lui. Non poteva esserci tortura
peggiore che amarlo sapendo che lui amava un’altra. Quando una donna guardava Rome,
voleva tutta la sua attenzione per sé, tutta la sua forza e tutta la sua passione. Voleva
semplicemente che fosse suo.
Ero in serio pericolo di cedere perdutamente al suo fascino. In realtà ero già cotta di lui,
e lo sapevo. Ero troppo eccitata, troppo consapevole di ogni suo tocco. Strappai qualche
filo d’erba. Non mi sarei allontanata da lui; era troppo tardi per questo ed ero abbastanza
onesta con me stessa da riconoscerlo. Ma avevo bisogno di costruirmi delle difese.
Il problema era come riuscirci.
Se implicava rifiutare il suo tocco, non potevo farlo. Dovevo provare che cosa voleva
dire fare l’amore con quell’uomo. Avevo sempre avuto una fantasia fervida, ma in quel
momento avevo bisogno della realtà. Dopo il modo in cui ero venuta, sapevo che tutto
quello che avevo sperimentato in precedenza sarebbe impallidito in confronto.
Per l’amor del cielo, era riuscito a procurarmi un orgasmo mentre eravamo
completamente vestiti, senza rimuovere un solo indumento.
«Belle» mi chiamò a un tratto, interrompendo il corso dei miei pensieri. La sua voce
profonda evocò il ricordo di quanto era accaduto tra noi e io rabbrividii. «Stai bene lì
fuori?»
«Sì.» Mi alzai in piedi. «Vengo.»
«Ha chiamato Lexis. È insieme a tuo padre e dice che va tutto bene. Ha cercato perfino
di fare colpo su di lei.»
Quello era mio padre, pensai, sollevata. Mi sarebbe piaciuto parlare con lui, ma per ora
era sufficiente che fosse vivo e stesse bene, senza sicari in agguato.
«I... sandwich sono pronti» aggiunse Rome.
Dal suo tono esitante sospettai che Tanner avesse combinato qualcosa col cibo. Sarà
meglio che siano commestibili, pensai. I brontolii del mio stomaco si erano fatti
assordanti. Salii gli scalini del portico ed entrai. L’aria fresca mi accarezzò la pelle del
viso, asciugando il sudore sotto i vestiti.
La scenetta domestica che mi accolse mi lasciò a bocca aperta. Sia Rome sia Tanner
erano seduti al tavolo con i gomiti sul ripiano e un piatto di sandwich era posato al centro.
Nessuno dei due stava mangiando. Da veri gentiluomini, mi stavano aspettando.
Rome non sollevò lo sguardo verso di me; aveva ancora un’aria eccitata che faceva
fatica a nascondere.
Tanner mi rivolse un sorriso malizioso appena mi vide. «Ho preparato il pranzo, proprio
come mi avevi detto.»
Con l’acquolina in bocca mi lasciai cadere sulla sedia accanto a Rome e fissai il cibo
esterrefatta. Era vero che Tanner aveva preparato il pranzo. Sandwich, proprio come
aveva detto Rome. Solo che avevano forma rotonda con un’oliva al centro.
«Hanno un bell’aspetto» commentò Rome.
«Sì» dissi, «ma sembrano anche...»
«Lo so» mi interruppe Tanner con un sorriso ancora più largo. «Sono stato, come dire,
ispirato? Avete chiesto del cibo e io l’ho preparato.»
«Sei proprio fissato» replicai, ma sorridevo anch’io.
Lui scosse le sopracciglia scure su e giù e gli anellini d’argento ammiccarono alla luce.
«Ora potrete dire a tutti di aver mangiato delle tette di serie A.»
Rome sbuffò, ma si chinò verso di me e mormorò: «Io l’ho già fatto».
Di serie A? Non direi proprio. Tuttavia l’intensità delle sue parole mi trasmise un
fremito. Invece di saltargli addosso come avrei voluto, allungai una mano per prendere un
sandwich. Contemporaneamente Rome e Tanner mi imitarono. Furono fortunati a non
riportare indietro un moncherino sanguinante, da tanto ero affamata. A quanto pareva, più
usavo i miei poteri e più aumentava la fame. Al primo boccone mi parve di morire e di
raggiungere i cancelli del paradiso. Tacchino e formaggio. Hmm. Mangiai tre paia di tette.
«Allora, Rome» disse Tanner dopo aver ingoiato un sorso di latte, «come hai fatto a
portarti a letto così in fretta Belle?»
Rischiai di soffocare con l’oliva che avevo in bocca.
Rome trattenne un sorriso e mi diede una pacca sulla schiena.
«Voglio dire, vi conoscete da poco, vero? Quanto? Un paio di giorni? Eppure ci date
dentro come conigli. Avreste dovuto vedervi: lei gemeva e tu ruggivi. Uno spettacolo
porno dal vivo.»
Appena fui in grado di respirare, urlai: «Stai dicendo che sono una ragazza facile?».
«Non scaldarti, Viper. Non volevo dire niente di irrispettoso. È chiaro che Rome
possiede delle capacità che mi piacerebbe conoscere, e dato che tu non mi hai dato alcuna
dritta che funzioni...»
Lo guardai torvo. «Funzionano se le metti in atto nel modo giusto.»
«Oh, davvero?» Si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia sul petto,
guardandomi con espressione scettica. «Ho detto a Lexis che ha dei bei capelli e non mi
sembra che si sia spogliata e sia gettata tra le mie lenzuola, o sbaglio?»
«Devi provarci con le ragazze della tua età, stupido.»
Rome batté il palmo sul tavolo, facendo sobbalzare i piatti. «Gli stai insegnando a
irretire le donne per poi portarsele a letto?»
«Non proprio irretire» replicai, spostandomi a disagio sulla sedia. «A sedurle.»
«C’è differenza?» Studiò Tanner, lasciandomi un attimo di tregua. «Non puoi fare sesso
con una donna se non t’importa niente di lei.»
«Per te è facile parlare così» brontolò Tanner. «Tu fai sesso.»
«Non direi.» Questa volta fu Rome a brontolare e i suoi occhi si incupirono di un
desiderio selvaggio.
Il mio sistema nervoso reagì all’istante a quel commento. Perché non potevo incontrare
uomini civilizzati nella mia vita? Invece ero incastrata con un adolescente arrapato,
determinato a fare sesso con qualcuno, e un adulto arrapato, determinato a fare sesso con
me.
Inutile dire che quest’ultima parte mi piaceva.
E inutile dire che mi ero mostrata più che disponibile.
Ricorda solo di difendere il tuo cuore, mi avvertì una vocina nella mente.
«Allora?» Tanner batté il bicchiere vuoto sul tavolo. «Hai intenzione di dividere la tua
esperienza con me o no?»
«No» rispose seccamente Rome. «Abbiamo cose più importanti da fare che discutere
della tua mancanza di una vita sessuale.»
«Ehi, non c’è niente di più importante della mia vita sessuale.» Tanner si raddrizzò,
offeso e irremovibile. «Tutto quello che stiamo facendo è mangiare e non c’è niente di
male ad avere una piccola conversazione erotica a tavola. Specie se mangiamo dei
sandwich a forma di tetta.»
Questo era incontestabile.
Frustrato, Rome allontanò il suo piatto. «Bene. Ti parlerò di sesso e ti dirò come ho fatto
a... conquistare Belle, ma lo farò più tardi. Adesso ho bisogno di parlarvi di stanotte. Uno
di voi ha mai fatto irruzione in casa d’altri?»
«No.» Io.
«No.» Tanner. Anche se la sua risposta arrivò in tono riluttante, come se non gli
piacesse ammettere di non essere un criminale.
«Lo immaginavo.» Rome alzò gli occhi al cielo, forse in cerca di ispirazione. «Di solito
il momento migliore per farlo è durante il giorno. La gente è al lavoro ed è poco probabile
che rientri; se si è vestiti nel modo giusto, quelli che invece sono in casa non vi noteranno.
Ma Belle stava male e io avevo bisogno di vedere come controllava i suoi poteri, così ho
deciso di rimandare...»
«Vestiti nel modo giusto come?» lo interruppi.
Rome si infilò in bocca un capezzolo (ovvero un’oliva) e alzò le spalle. «Operai,
fattorini. In ogni caso non ha importanza perché noi entreremo di notte. Questa notte, per la
precisione, ed è una cosa completamente diversa. Sono sicuro che la casa del dottor
Roberts è ben sorvegliata dagli uomini di Vincent. E Belle è una donna ricercata, per cui
non possiamo permetterci il lusso di farci vedere.»
Una donna ricercata. Mi piaceva. Be’, se si riferiva a Rome, non a Vincent. «Che cosa
stiamo cercando esattamente?» Ti prego, di’ l’antidoto . «Sappiamo che il dottore non è in
casa e rischiamo parecchio andando laggiù.»
«Libri, carte, qualsiasi cosa possa aiutarci a capire dove si nasconda il dottor Roberts e
se sia in possesso di un antidoto.»
Eccellente! «Non credi che Vincent avrà già trovato queste cose?»
«Non necessariamente.»
Non capivo dove volesse arrivare. Stavo per chiederglielo, quando intervenne Tanner.
«Se la casa è sorvegliata, come diavolo faremo a entrare? Hai parlato di un’irruzione, ma
come faremo se ogni nostra mossa sarà monitorata?»
«Ecco come faremo.» E qui Rome si lanciò in una spiegazione degna di un generale
d’armata.
Mentre ascoltavo, diventavo sempre più pallida. Che Dio ci aiuti, pensai. Più andava
avanti, più sembrava che ci volesse tutti morti.
In effetti, credo che quello fosse il piano B.
17
Quella notte, dopo che ebbi indossato abiti puliti – con slip e reggiseno questa volta – ci
recammo in auto alla casa del dottor Roberts. Il viaggio, che richiese circa un’ora, si
svolse in silenzio. Io ero troppo nervosa per parlare e gli uomini... be’, penso che Rome
fosse occupato a soppesare le probabilità, preparandosi mentalmente a fare il necessario
per ottenere il risultato che si era prefisso. Tanner era pallido e sembrava prossimo a
svenire da un momento all’altro. Stranamente, trasudava anche una palpabile eccitazione,
come se stesse già pensando a come vantarsi dell’impresa.
«Giù» disse Rome in tono disinvolto.
Tanner e io non esitammo. Dato che sedevamo entrambi dietro, lui si schiacciò contro il
sedile e io coprii il suo corpo con il mio. Il cuore mi batteva a un ritmo supersonico.
«Che cosa succede?» mormorai, dandomi mentalmente della stupida per aver parlato a
bassa voce.
L’auto rallentò, si impennò leggermente e si riabbassò mentre superava un dissuasore di
velocità. «Parcheggerò a qualche isolato di distanza dalla casa del dottore. La
raggiungeremo a piedi.»
Perfetto. Un po’ d’esercizio era proprio quello che ci voleva. E fare da bersaglio era la
mia attività preferita. Forse avrei dovuto appendermi al collo un’insegna al neon con su
scritto Mirate qui.
«Perché dobbiamo stare giù?» chiese Tanner, mormorando anche lui.
«Gli agenti di Vincent controllano la zona» rispose Rome.
«Cosa?» Tanner era visibilmente nervoso. Avevo fatto del mio meglio per rassicurarlo
stringendogli il braccio per comunicargli la mia vicinanza. Speravo solo che non avesse
notato quanto fossero sudate le mie mani.
«Non avevi accennato a questo particolare» continuò. «Avevi detto che controllano la
casa, non l’intero stato della Georgia.»
«Ho accennato al fatto che potresti beccarti un proiettile o una coltellata e ti lamenti di
questo particolare?» Rome emise un sospiro e dall’apertura in mezzo ai sedili lo vidi
spostare la mano dal volante per posarla sul calcio della pistola posata sul sedile di
fianco.
Quella pistola era il motivo per cui io ero stata relegata sul sedile posteriore. Rome la
voleva a portata di mano e non voleva che io fossi vicina all’arma.
Trascorsero alcuni secondi – o forse minuti – prima che parcheggiasse l’auto in un
angolo buio. «Ho visto quattro agenti in quattro auto diverse e tutti stanno sorvegliando
questo isolato.» Infilò la pistola nella fondina legata alla caviglia e la coprì con i
pantaloni. Sapevo che aveva anche dei coltelli e altre armi nascoste in diverse parti del
corpo.
«Parcheggia da un’altra parte» dissi. Per favore.
«Ogni negozio, ogni casa e ogni edificio sarà controllato. Il dottor Roberts è sparito. Noi
siamo spariti. E loro sono determinati a trovarci. Perciò questo è un posto sicuro come un
altro.» Spense il motore e sfilò le chiavi dal cruscotto. «Questo è quello che faremo. Io mi
dirigerò verso quel negozio di alimentari e creerò un diversivo, attirando gli agenti su di
me. Quando loro ci saranno cascati, voi ragazzi uscirete, tenendovi nell’ombra, e ci
incontreremo dietro i bidoni dei rifiuti sul lato ovest.»
Deglutii. «Potrei provare ad appiccare un incendio da qualche parte.»
Prima che finissi di parlare, Rome stava già scuotendo il capo. «Troppo pericoloso.
Uno, non sappiamo se ci siano persone innocenti nella zona e due, potresti accidentalmente
bruciare l’auto e noi abbiamo bisogno di un mezzo per la fuga. Meglio che sia io a creare
un diversivo.»
«Con che cosa?»
Si batté una mano sulla tasca dei pantaloni. «Vedrai.»
Mi sentivo frustrata. «Come puoi sperare che sviluppi i miei poteri al punto da poterti
aiutare a nascondere Sunny, se tutto quello che faccio è tenere la testa giù e nascondermi?»
«Ti ho detto che non sono più sicuro di volere il tuo aiuto, quindi affronteremo la
questione in seguito.»
Non mi piaceva che Rome corresse tanti rischi, ma non vedevo come avrei potuto
aiutarlo. «Sii prudente» mormorai.
«Non preoccuparti, piccola.» Non si voltò a guardarmi. «Andrà tutto bene. Cerca solo di
non restare ferita tu.» Detto questo, scese dall’auto con l’atteggiamento tranquillo di un
uomo uscito ad acquistare uova, latte e biscotti. Ma io potevo vedere i muscoli contrarsi
sotto la camicia e avvertire la tensione che si sforzava di nascondere. E pensare che un
tempo l’avevo giudicato indecifrabile!
Richiuse la portiera, lasciando me e Tanner in un silenzio assoluto. Un momento, non era
affatto assoluto. Potevo udire i nostri respiri affannosi e il sangue che mi pulsava alle
orecchie. «Mi dispiace di averti trascinato in questa storia, Tanner.»
«Va tutto bene.» Ridacchiò nervoso. «Farò un figurone a raccontarla.»
«Puoi andartene. Non sei obbligato a restare con noi.»
Sbuffò. «Resto» disse in un tono che non lasciava spazio a discussioni. «Che razza
d’uomo sarei se ti abbandonassi? Ormai è come se tu fossi la mia famiglia.»
«Anch’io provo lo stesso per te.» Era vero. Volevo bene a quel ragazzo intelligente e
coraggioso; si era rivelato l’amico di cui non sapevo di avere un disperato bisogno fino a
quel momento. «Aspetta che ti faccia conoscere mio padre. Compra il Viagra al mercato
nero e sono sicura che gli piacerai molto.»
«Mi è già simpatico. Ehi, posso confidarti una cosa?» chiese in tono più dolce.
«Ma certo. Puoi dirmi qualsiasi cosa.»
«Posso sentire le tue tette contro la schiena.»
Soffocai una risata. «Se siamo una famiglia, il tuo commento è semplicemente
incestuoso.»
Non replicò. Avevamo i nervi logori e la mente occupata da quello che sarebbe
successo. Era strano, pensai. Per tutta la vita avevo bramato l’avventura, sentendomi
depressa per non averla mai vissuta. Ora che mi ci trovavo in mezzo, una parte di me
voleva tornare all’esistenza tranquilla di prima. Erano la normalità e la routine quotidiana i
cancelli del paradiso.
«Come faremo a capire quando Rome avrà creato il diversivo?» chiesi.
Boom!
Sobbalzai sul sedile. Tanner fece altrettanto. Guardammo a occhi spalancati dal
parabrezza le fiamme che consumavano una piccola macchia d’alberi. «Mio Dio»
boccheggiai. La luce della luna inondava l’area, poi venne sostituita dal bagliore del fuoco.
«Credo che l’abbiamo appena capito» disse Tanner in tono ammirato.
Pneumatici che stridevano, gente che correva in tutte le direzioni, in preda al panico.
«Andiamo.» Scesi dall’auto, seguita a poca distanza da Tanner. «Ha detto di aspettarlo
dietro i bidoni dei rifiuti, sul lato ovest.» Ma... uh.. dov’era l’ovest? Avevo sempre avuto
difficoltà con i punti cardinali. Il sole sorgeva o tramontava a ovest?
«Da questa parte» mi indicò Tanner.
Seguii con lo sguardo il suo dito e vidi un contenitore blu scuro all’estremità del negozio
di alimentari. «Andiamo.» Lo presi per mano e corremmo insieme nella stessa direzione
della folla.
C’erano più auto di quante mi aspettassi nel parcheggio e io non sapevo quali dovessimo
evitare. Per fortuna avevo nascosto i capelli sotto un cappellino da baseball. Cercavo di
stare il più possibile nell’ombra, ma mi sentivo ugualmente esposta e vulnerabile.
Finalmente raggiungemmo la nostra destinazione e mi acquattai premendo la schiena contro
il metallo freddo del contenitore.
L’aria era satura di fumo che mi bruciava la gola e i polmoni. Tossii e gli occhi presero
a lacrimare.
«Dannazione!» Tanner mi spinse per le spalle, obbligandomi ad stendermi sul suolo
sporco e cosparso di rifiuti. «Sdraiati. Resta più bassa che puoi e copriti il naso con la
maglietta.»
Feci come diceva e fui felice di scoprire che l’aria era più sottile e pulita se filtrata
attraverso il cotone. La tosse si calmò. Passarono solo pochi minuti prima che Rome
sbucasse dall’angolo e si fermasse bruscamente. Aggrottò la fronte vedendomi stesa al
suolo.
«Che cosa le è preso?» chiese a Tanner.
«Il fumo la fa stare male.»
Rome si chinò e mi issò sulla spalla come un vigile del fuoco. Mi lasciai trasportare
senza protestare, sapendo che un accesso di tosse ci avrebbe rallentati considerevolmente.
«Da questa parte» disse Rome. «Siamo pronti ad andare, ma voglio che tu stia dietro di
me.»
Tanner gli obbedì. In lontananza udivo le sirene dei vigili del fuoco. Attraversammo di
corsa un campo sul retro del negozio, attenti a evitare le luci di sicurezza. Be’, i ragazzi
correvano, io mi prendevo i sobbalzi sulla schiena di Rome.
Quando raggiungemmo il recinto di un condominio, Rome mi posò delicatamente a terra,
mi prese il volto tra le mani e i nostri sguardi si incontrarono. «Tutto okay?»
Lasciai ricadere la maglietta dal naso e inspirai a fondo. L’aria era dolce e pulita. La
mia gola si rilassò e quel pizzicore irritante cessò. «Sto bene.»
«Okay. Abbiamo una strada pubblica da un lato e dall’altro un’inferriata che circonda un
giardino di ricchi. Cercate di avere un’aria disinvolta. Belle, tu mi terrai per mano. Tanner,
mettiti accanto a Belle. Comportiamoci come una famiglia che fa una passeggiata serale.
Niente di più.»
Non attese la nostra risposta, ma mi prese la mano nella sua e si mise in moto, diretto
alla casa del dottor Roberts. Tanner affrettò il passò finché non si fu portato al mio fianco.
«Se procediamo nell’ombra» chiese a bassa voce, «perché dobbiamo apparire disinvolti?»
«Ci sono persone che possono vedere anche al buio, per non parlare di quei piccoli
aggeggi chiamati visori notturni. Se veniamo individuati, voglio che pensino che non
abbiamo nulla da nascondere.»
«Non hanno ordine di sparare e poi fare domande?» chiesi.
Rome mi strinse la mano. «Con un po’ di fortuna, non si aspettano che usciamo allo
scoperto. In ogni caso, non ci sono posti dove nasconderci.»
«Grazie per avermelo detto» replicò Tanner in tono tagliente. «Avresti potuto almeno
mentire. Come diavolo faccio a sembrare naturale, adesso?»
Era indubbiamente difficile comportarci come se non avessimo niente da nascondere
quando eravamo carichi d’armi. Ho dimenticato di accennare alla cosa? Rome non aveva
voluto che contassimo solo sui nostri poteri e, diciamolo francamente, un empatico come
Tanner non avrebbe certo ammazzato un cattivo intuendo che era arrabbiato. Rome non
aveva voluto nemmeno che contassimo solo sulle sue armi, nel caso fossimo stati separati.
Così aveva dato a ciascuno di noi un taser (avete presente quelle armi che stordiscono
l’avversario con una scarica elettrica?), una torcia e diversi coltelli, che portavamo fissati
alle cosce, in vita e ai polsi.
Non ero sicura di avere il fegato di pugnalare veramente un essere umano. Incenerirlo o
congelarlo, forse, anche se non mi sentivo ancora a mio agio con l’idea di aver già fritto
più di un individuo (per quanto si trattasse dei cattivi). Ma c’era qualcosa di più personale
nell’infilzare qualcuno con un coltello.
Mi dissi che avrei scoperto se ero in grado di farlo al momento opportuno.
Un’auto suonò il clacson in lontananza, facendomi sobbalzare.
«Calma» disse Rome.
Respirai a fondo, cercando di rilassarmi, e mi concentrai sulla strada davanti a me,
assorbendo la forza e la sicurezza che Rome mi trasmetteva.
«Al prossimo incrocio gireremo a sinistra» ci avvertì.
Tanner si passò una mano tra i capelli, con atteggiamento tutt’altro che disinvolto.
«Come fai a conoscere la strada?»
Rome si strinse nelle spalle e credo che rispose solo per distrarci. «Qualche tempo fa,
Lexis dovette fingersi amica del dottor Roberts. Ve l’ha già raccontato, vero? Il nostro
capo voleva impadronirsi della formula. Io la seguivo ogni volta che veniva qui per
assicurarmi che fosse al sicuro.»
Che si occupasse anche di me allo stesso modo era un pensiero allettante. Che si
occupasse ancora di Lexis allo stesso modo... be’, lo era molto meno.
Dovemmo fermarci e nasconderci tra i cespugli quando passò un Suv nero, seguito da
un’auto piena di ragazzi sghignazzanti. Grazie al cielo, nessuno ci notò.
«Bene» disse Tanner, «secondo me avremmo dovuto sfondare la cancellata con la
macchina, fare irruzione in casa, prendere quello che ci serviva e ripartire a tutta birra.»
Rome inarcò un sopracciglio e scosse il capo. «E rischiare di distruggere l’unico mezzo
di fuga, per non parlare della possibilità di eliminare eventuali documenti?»
«Saremmo potuti entrare con due macchine» suggerii. «Una per sfondare e l’altra per
fuggire.»
«Questa sì che è un’idea, Viper.»
«E rischiare di distruggere qualsiasi informazione sulla formula?» Rome non attese la
nostra risposta. «Voi due mi impedite di concentrarmi» brontolò. Lasciò la mia mano e mi
passò un braccio attorno alla vita per attirarmi più vicina. «Si suppone che spetti a me
stare in guardia contro eventuali persone pronte a ucciderci. Ecco perché non lavoro mai
con i dilettanti.»
Quel rimprovero ci zittì finché non arrivammo a una sezione dell’inferriata che incontrò
l’approvazione di Rome. Guardai a disagio le alte sbarre di ferro che si protendevano
verso il cielo con le loro punte acuminate.
«Qui?» chiese Tanner con voce tremante.
Rome annuì. «Qui. Il buio è più fitto, non ci sono cani e non siamo lontani dalla casa del
dottore.»
Il buio era veramente più fitto e avvolgeva il piccolo giardino. Eravamo arrivati alla
resa dei conti e non c’era possibilità di tirarsi indietro. Diversi pini allungavano i loro
rami verso la cancellata, ma non erano abbastanza vicini perché potessimo arrampicarci.
«Sei pronta, Belle?» Rome si voltò verso di me. Anche se non riuscivo a distinguere
bene i suoi lineamenti oltre all’occasionale lampeggiare dei denti, la sua presenza mi
trasmetteva sicurezza.
Annuii, poi mi resi conto che non poteva vedermi e dissi: «Pronta». Dio, com’ero
nervosa. Ma non volevo essere l’anello debole della squadra.
«Andiamo, allora.»
Respirando lentamente, raddrizzai le spalle e mi girai verso l’inferriata tendendo una
mano con il palmo rivolto all’insù. Il vento era l’elemento più difficile da evocare perché
richiedeva una combinazione di emozioni. Un cocktail emotivo, se volete, composto da
paura (presente), disperazione (presente) e, come avevo imparato durante gli allenamenti,
un qualche legame affettivo. L’amore funzionava, anche se non sapevo perché.
Sapevo però che era difficile mantenere questo sentimento positivo quando si era
distratti dagli altri due negativi.
Come avevo fatto nella radura, evocai delle immagini di mio padre. Il mio cuore si
gonfiò d’amore per lui. Per rafforzare l’emozione, feci entrare anche Rome nel quadro,
visualizzando i due che si davano vicendevolmente delle pacche sulla schiena. Poi, pur
quanto mi costasse, lasciai che l’immagine si distorcesse e si trasformasse in un incubo che
non avrei mai voluto che si avverasse.
«Qualsiasi cosa tu stia facendo, funziona» mi avvisò Tanner, orgoglioso. «Sento che
dentro di te si sta formando un tornado.»
Nella mia mente, vedevo i due uomini che mi erano così cari feriti da colpi di pistola. I
proiettili sibilavano con sorprendente realismo. Li vidi trasalire per il dolore e vidi il
sangue uscire dalle loro ferite.
«Sì, sì» mi incalzò Tanner. «Sta diventando più forte.» Rome mi posò una mano sul
collo e mi massaggiò. «Brava ragazza. Stai andando alla grande.»
Intorno a me si levò un vento furioso. Il cappellino volò via e i capelli mi finirono sul
viso. Le chiome degli alberi oscillavano; polvere e foglie si sollevarono dal suolo,
vorticando in mulinelli d’aria. Chiusi gli occhi e mi vidi correre verso i due uomini caduti,
gridando i loro nomi.
«Il vento è troppo forte, Viper.» Il tono di Tanner era preoccupato, ora. A un tratto venne
sbattuto contro le sbarre del cancello. «Ci trascinerà via.»
«Danne un po’ a me» disse Rome.
Visualizzai l’intensità delle mie emozioni che fuoriusciva da me ed entrava in Rome,
trasmettendogli parte del positivo e parte del negativo. Lui si irrigidì nel momento in cui lo
raggiunsero e inspirò con un sibilo.
Nello stesso istante, la tempesta che c’era in me si placò. Le emozioni erano ancora lì,
ma ora ero in grado di governarle. La violenza del vento diminuì leggermente.
«Ci siamo» disse. «Ce l’ho.»
Con la mano libera, indicai al vento di radunarsi ai nostri piedi. Dopo un istante di
esitazione, obbedì. Venimmo sollevati a un palmo da terra; la forza della corrente creava
un solido appoggio sotto di noi.
«Più in alto» sussurrai. Salimmo rapidamente e per poco non abbassai la mano,
ordinando al vento di cessare.
«Continua» mi sollecitò Rome.
«Sei concentrata?» mi chiese Tanner. «Non mi pare che tu ti stia concentrando.»
«Mi sto concentrando!»
«Stai andando bene, piccola.» Rome diede un piccolo scappellotto in testa a Tanner.
«Ce la fai a farci superare il cancello, Belle?»
Per riuscirci, dovevo far vorticare l’aria. Come potevo procedere? Disegnai un cerchio
con il dito, mimando un vortice, ma non funzionò. Chiusi gli occhi e mi sforzai di
visualizzarlo. Il vento cominciò a ruotare, spingendoci sempre più in alto.
Il mio stomaco si contorceva via via che il vento aumentava, ciò nonostante mi imposi di
non distrarmi. Tra l’altro, se avessi aperto gli occhi e avessi guardato giù, avrei vomitato o
gridato. Non che soffrissi di vertigini, ma santo cielo, non c’era altro che aria a sostenerci.
Aria che, com’è noto, è invisibile. Speravo solo che nessuno ci stesse osservando.
A un tratto sentii le punte dell’inferriata sfregarmi la suola degli stivali. Ansimai, ma
riuscii a mantenermi concentrata nel compito e non smisi di ruotare le dita.
«Ce l’abbiamo fatta» esclamò Rome.
«Uh, è un po’ presto per festeggiare» disse Tanner un secondo prima che il vento
cessasse, facendoci precipitare al suolo.
Caddi a terra con un tonfo pesante. I piedi assorbirono la maggior parte dell’impatto, ma
si riverberò in tutto il corpo tanto che rischiai di mordermi la lingua. Tanner rotolò su un
fianco con un gemito soffocato. Rome atterrò perfettamente, senza rumore e senza rimbalzi.
Toccò terra con un rumore sordo, piegato sulle ginocchia.
Maledizione ai suoi riflessi felini.
Per diversi secondi lottai per respirare. «Oops» dissi ansimando. «Colpa mia.»
«Faremo pratica di atterraggio la prossima volta.» Rome mi aiutò a rimettermi in piedi e
fece lo stesso con Tanner. «Muoviamoci.»
Ci rimettemmo in moto, tenendoci vicini all’inferriata e strisciando lungo il bordo del
giardino. Questa volta non fingevamo di essere disinvolti. Ci limitavamo semplicemente a
tenerci nascosti. Non vedevo l’ora che quella notte finisse e avrei dato non so cosa per
avere un po’ dei poteri di Lexis. Se fossi stata in grado di prevedere il futuro prima che
avvenisse, avrei potuto fare in modo che Rome e Tanner ne uscissero sani e salvi.
File e file di casette a schiera comparvero alla vista. Le luci brillavano dai vialetti, dai
garage, dai giardini. «Rome?» domandai in tono esitante.
«Tieni le spalle alla cancellata.»
Dopo aver aggirato un angolo, si fermò e si rannicchiò a terra. Lanciai uno sguardo a
Tanner, che mi guardò ed entrambi ci avvicinammo a Rome.
«Quella è la casa del dottor Roberts.» Ci indicò una graziosa villetta in stile vittoriano e
imposte blu, con un giardino incolto, un piccolo portico coperto, da cui pendevano
campanelle eoliche.
Provai un brivido di sgomento. In quella bella casa viveva l’uomo che mi aveva resa
così. Non si vedevano luci all’interno. Chissà se il dottor Roberts aveva una famiglia e se
dovevamo preoccuparci di svegliare qualcuno?
«Non c’è nessuno?» domandò Tanner al posto mio.
Rome non rispose, ma continuò a perlustrare i dintorni con sguardo attento. Passarono
alcuni minuti prima che mormorasse: «Vedete quel Suv nero?». Indicò verso destra, dove
un’auto era parcheggiata in un vialetto a diversi isolati di distanza dalla casa di Roberts.
«Sì.»
«Appartiene sicuramente agli uomini di Vincent. Siate prudenti. Non avete idea di che
tipo di persone ci siano dentro.»
«Come fai a esserne sicuro?» Osservai l’auto, che mi pareva uguale a tante altre
macchine costose posteggiate nei dintorni.
«Uno: conosco Vincent abbastanza bene da essere sicuro che abbia lasciato qualcuno di
guardia. Due: gli agenti sono ancora all’interno dell’auto. Se osservate attentamente,
noterete il fumo di scarico. Scommetto che accendono e spengono il motore per avere
l’aria condizionata. E posso anche sentire l’odore di tutti i caffè che hanno bevuto.»
Caffè. Dopo quello che avevano fatto al mio caffelatte al cacao, probabilmente non avrei
più voluto berne neppure una goccia.
Tanner si nascose ancor più nell’ombra, guardandosi intorno con aria nervosa. «Che
cosa dobbiamo fare?»
«Belle, credi di essere in grado di provocare la pioggia? Un acquazzone violento come
quello che hai scatenato nella radura?»
«Verrà giù la grandine» gli feci notare. «Non riusciremo a fuggire senza essere colpiti.»
Rome piegò le labbra in un lento sorriso. «È esattamente quello che voglio. Fidati di me,
andrà tutto bene. Crea la tempesta più forte che puoi e cerca solo di non spazzare via la
casa.»
«L’ufficio meteo avrà una giornata campale» commentò Tanner. «Spero vi rendiate
conto che chiunque sia al corrente della formula sospetterà che Belle sia qui.»
«È un rischio che dobbiamo correre.» Rome si voltò verso la casa.
«E gli agenti nel Suv?» chiesi.
«Quelli li lascio a voi due.»
«Cosa?» domandai, sorpresa.
«Cosa?» mi fece eco Tanner.
«Metterò fuori uso la loro auto e li renderò innocui.» Immaginai che volesse dire morti.
«Se uno dei due riprendesse i sensi» aggiunse invece, «dovrete occuparvi di lui.»
Tanner e io ci scambiammo un’occhiata significativa. Figurarsi! Ci lasciava i suoi
avanzi, se mai ce ne fossero stati. E conoscendo Rome, sapevo che era poco probabile.
«Funzionerà, piccola, vedrai.»
Lo ammetto, adoravo quando mi chiamava piccola e sembrava farlo più spesso quando
ci trovavamo in una situazione pericolosa. «Sii prudente, d’accordo?» Mi torsi le mani con
gesti nervosi. «Potrebbero esserci degli uomini armati anche in casa.»
«Potrebbero?» replicò con una smorfia. «No, ci sono di certo» disse come se fosse
perfettamente normale.
Sbarrai gli occhi. «Forse non dovremmo...»
«Crea la tempesta, piccola, e io vi segnalerò quando è il momento sicuro per entrare.»
«Pensi di distrarre tutti con un’altra esplosione?» si informò Tanner.
«Spero di no» si limitò a rispondere Rome.
Volevo protestare, ma mi trattenni. In fondo, era lui l’esperto e di sicuro sapeva quello
che stava facendo. Era stato addestrato a sopravvivere. Dopotutto, l’aveva fatto per molto
tempo. Mi obbligai a distogliere l’attenzione da Rome e guardai il cielo notturno. Le stelle
ammiccavano dall’oscurità vellutata. Non chiesi a Rome di fare da filtro per due ragioni.
La prima era che, una volta scatenato il temporale, lui doveva introdursi in casa. E la
seconda era che non volevo che attenuasse la mia tristezza. Più intensa era, più violenta
sarebbe stata la tempesta.
Mi sentivo esausta dopo aver abusato per tutto il giorno delle mie emozioni, ma le tirai
fuori e mi focalizzai su di esse. Mi concentrai su tutto quello che mi rendeva triste, creando
un’ondata di tristezza che si gonfiava inarrestabile.
«Così, Viper, lasciala fluire.»
Sopra di noi i fulmini squarciarono il cielo e si udì il rombo di un tuono. Grosse gocce
di pioggia cominciarono a cadere, dapprima lentamente, poi sempre più fitte. Il mento mi
tremava e le lacrime mi rigavano le guance. Non ero mai stata tanto triste in vita mia. Mi
sentivo travolta dalla solitudine, sommersa dall’impotenza.
«Resta al riparo» mi sussurrò all’orecchio Rome. Mi sfiorò le labbra con un bacio e un
attimo dopo era sparito nel buio come uno spettro.
La pioggia martellava il suolo e presto, come avevo previsto, si aggiunse la grandine.
Pesanti chicchi delle dimensioni di palline da golf colpivano qualsiasi cosa nella loro
discesa distruttiva.
Tanner e io ci rannicchiammo sotto un albero. Anche se i rami ci facevano scudo dalla
grandine, la pioggia riusciva a penetrare attraverso le foglie e a bagnarci. Rabbrividii dal
freddo mentre scrutavo la strada e le case in cerca di Rome, ma non riuscii a individuarlo.
Il motore del Suv aveva smesso di ronzare, notai, e dal tubo di scappamento non usciva più
fumo. Il tergicristallo sul lunotto posteriore si bloccò a metà.
Tuttavia non avevo colto alcun movimento all’interno dell’auto. Trascorsero diversi
minuti e non vidi alcun movimento nemmeno all’esterno, ma tutt’a un tratto udii il verso di
una pantera echeggiare nella notte.
Mi premetti le mani sullo stomaco, cercando di arrestare i crampi. Era chiaro che Rome
aveva individuato la sua preda. Andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene, mi
ripetei.
Un altro ruggito.
Un grido di dolore.
Piccoli lampi di luce comparvero alle finestre del dottor Roberts, come se qualcuno
avesse sparato più volte. La pioggia cessò mentre la paura mi afferrava nella sua morsa,
tuttavia io riuscii a evocare ancora la tristezza e la pioggia riprese.
«Andrà tutto bene» mi sussurrò Tanner, dando voce ai miei pensieri. «Voglio dire, lui è
un Superagente con uno scudo impenetrabile, giusto?»
«Sì.» La voce mi uscì incrinata e incominciai a tremare. Due uomini uscirono
barcollando dal Suv; avevano entrambi il collo sanguinante e le armi spianate.
Senza riflettere, tesi le mani in avanti. Non sapevo bene che cosa sarebbe successo e non
ebbi il tempo di chiedermelo. Un fulmine colpì istantaneamente il primo dei due uomini,
facendolo cadere all’indietro e addosso al compagno prima di crollare al suolo accanto
all’auto.
«Per la miseria, Viper! Come hai fatto?»
«Non lo so!» dissi, puntando le mani al suolo prima di combinare altri danni. «Andiamo.
Rome ha bisogno di noi.»
«Non ci ha dato il segnale.»
«Lo so.»
«Oh, al diavolo.»
Scattai in avanti, lanciandomi sotto la pioggia. No, non era più pioggia. Con la paura, si
era trasformata in neve. Il freddo mi penetrava nelle ossa.
Quando raggiunsi il porticato, estrassi il taser che mi aveva dato Rome. Se avessi avuto
una pistola avrei impugnato anche quella. Avrei sparato a chiunque, senza esitare. E sì, ora
sapevo che avrei anche accoltellato qualcuno se fosse stato necessario. Qualsiasi cosa pur
di proteggere Rome.
Tanner mi raggiunse, ansimante. L’acqua che gli grondava dai capelli gli scendeva sul
viso e colava come un fiume sugli abiti ormai incollati al corpo. «Pronta a fare fuoco?»
«Ci puoi giurare.»
Era pallido in viso, ma tirò fuori una pistola dalla fondina che aveva legata in vita e fece
ruotare il... come diavolo si chiama? Tamburo? Non ne ero sicura.
«Carica e armata» borbottò.
Non mi ero accorta che Rome gli avesse dato una pistola e la fissai per un momento,
sbalordita.
Tanner baciò la canna. «Sono un duro spietato, Viper, e sono pronto all’azione. Che lo
spettacolo abbia inizio.»
Mi posizionai di fianco alla porta d’ingresso. Era socchiusa, per cui non sarebbe stato
un problema entrare. «Guardami le spalle, fuorilegge incallito. Okay?» Dall’interno, udivo
il rumore di passi, ma se non altro avevano smesso di sparare.
Tanner mi stava attaccato. «Andavo a caccia con mio padre. Colpirò chiunque ti prenda
di mira, te lo prometto.»
Non riuscivo a credere a quello che stavo per fare, ma non volevo lasciare solo Rome in
quella casa senza sapere quanti avversari si trovasse di fronte. «Al mio tre. Uno. Due.
Tre.» Spalancai la porta con un calcio ed entrai tenendo il taser spianato e pronto a
colpire. La luce era spenta, ma i miei occhi si erano già abituati al buio, così potei
distinguere il caos totale che regnava nella casa. Tavoli e sedie erano stati rovesciati,
cuscini sparsi in tutte le direzioni.
C’era un silenzio inquietante, ora. Il rumore di passi era cessato.
Improvvisamente un’enorme sagoma nera balzò verso di me. Una parte della mia mente
intuì che si trattava di Rome sotto forma di pantera, ma l’altra reagì d’istinto, in preda al
terrore. Quegli artigli letali stavano per colpirmi e lui forse non era in grado di rendersi
conto di chi stava attaccando.
Quando mi fu addosso, gettandomi a terra con la sua mole, gli sparai scariche elettriche
dritto al cuore. Il felino ruggì e si contorse crollandomi addosso.
Alle mie spalle si udì improvvisamente uno sparo assordante. Nel medesimo istante un
essere umano (che stava per spararmi, come avrei appreso in seguito) collassò su di me e
sulla pantera ormai immobile.
18
Ottimo, avevo appena messo fuori combattimento il mio potenziale ragazzo. Comunque, ci
sono donne che hanno fatto di peggio e per quanto mi dispiacesse, non intendevo
flagellarmi per questo. Dopotutto, si era lanciato su di me con gli artigli sguainati e
scoprendo le zanne. Chiunque avrebbe reagito allo stesso modo.
In realtà stava per salvarmi la vita, ma come potevo saperlo in quel momento? In fondo
non mi aveva dato nessun tipo di avvertimento. Come ho detto, potevo anche sentirmi
leggermente dispiaciuta, ma nessuno poteva biasimarmi. La colpa era interamente sua. Be’,
un po’ anche dell’assassino che avevo alle spalle, ma non certo mia!
Tanner accese la torcia e la agitò su Rome, che ancora si contorceva per la scarica
elettrica. Che cosa significava? Cavoli. Forse dovevo esaminarlo per assicurarmi di non
avergli causato più danno di quanto pensassi.
Mentre cercavo di sgusciare da sotto il suo corpo, oltre che dal cadavere steso sulla sua
schiena, la voce convulsa di Tanner mi assalì le orecchie. «Gli ho sparato. L’ho colpito in
pieno e con un solo proiettile. Hai visto, Viper?»
«Non devi sentirti in colpa» lo rassicurai. Dio mio, Rome pesava una tonnellata. «Era
uno dei cattivi e voleva eliminarci. Sei stato costretto a ucciderlo.»
«Sentirmi in colpa?» Con un sorriso ebete sul volto, lanciò un grido di vittoria. «Hai
visto che mira? Avevo gli occhi chiusi, ma ho fatto centro. E si è afflosciato come un
ragazzino arrapato in un bordello.»
Le implicazioni delle sue parole mi colpirono con più forza di un proiettile, lasciandomi
a boccheggiante. «Mi stai dicendo che hai puntato la pistola nella mia direzione e hai
sparato con gli occhi chiusi?»
Un po’ della sua eccitazione svanì. «Be’, sì» ammise.
«Non ti è passato per la mente che avresti potuto colpire me?» Lo fissai con sguardo
torvo, sentendo già le scintille formarsi al bordo degli occhi. «Non ti è passato per la
mente che avresti potuto colpire Rome?»
Tanner sollevò il mento con aria ostinata. «Che differenza avrebbe fatto un proiettile? Tu
l’hai colpito con il taser.»
Serrai la mascella. «Per l’amor del cielo, mi stava venendo addosso.»
«Già, per difenderti. E tu l’hai ripagato friggendolo come un uovo?»
«Stai zitto e vieni qui. Ho bisogno di aiuto. Le mie gambe sono intrappolate sotto due
quintali di pantera.»
Con un calcio, Tanner liberò Rome dal cadavere. «Credo che si stia riprendendo.»
Si chinò e afferrò Rome per la testa e le spalle, sollevandolo. «Mio Dio» grugnì. «Avevi
ragione. Che razza di scatolette mangia per essere grosso come un bue?»
Riuscii a liberarmi e guardai l’animale. Aveva smesso di tremare, se non altro, ma mi
fissava con gli occhi ridotti a due fessure e digrignava i denti in una smorfia letale. Non ero
mai stata colpita con un’arma elettrica, ma sapevo che la corrente l’aveva immobilizzato.
Grazie al cielo! Se si fosse potuto muovere, in quel momento mi sarebbe balzato addosso
per davvero.
«Cosa?» gli dissi in tutta innocenza, battendo innocentemente le ciglia. «È colpa tua e lo
sai bene.»
Tanner lasciò andare Rome, che ricadde di peso sul pavimento. «Oops. Scusa.»
Mi passai la lingua sulle labbra e osservai l’ambiente circostante. Qualsiasi cosa pur di
non guardare Rome. «Ci sono altri cattivi nella casa?»
«Non che io sappia» rispose Tanner.
«Allora... che cosa facciamo adesso?»
«Non siamo qui per interrogare qualcuno e cercare informazioni sul dottore e sulla sua
dannata formula?»
Annuii. «Sì, certo. In attesa che Rome si riprenda, potresti controllare se è sopravvissuto
qualcuno, mentre io cerco le informazioni.»
Tanner inclinò la testa di lato, guardando la devastazione tutt’intorno. «Hmm, preferisco
cercare le informazioni.»
«Fantastico. Così sarà la fragile donna a occuparsi dei pericolosi criminali rimasti in
vita.»
«Grazie» accettò, andandosene con la torcia e lasciandomi completamente al buio.
«Tanner!» gli gridai alle spalle.
«Non fare un’offerta se non vuoi che venga accettata» replicò prima di sparire in un
corridoio.
Imprecai tra me, poi, rivolgendomi al corpo prono di Rome, dissi: «Dobbiamo
assolutamente insegnare un po’ di buone maniere a quel bullo». Tastai la parete in cerca
dell’interruttore della luce.
Rome emise un basso ruggito.
«Niente luce?»
Naturalmente non rispose.
«Batti le palpebre una volta se vuoi che lasci la luce spenta, due se vuoi che la accenda»
suggerii, accendendo la mia torcia per illuminarlo in viso. Oops, mi ero dimenticata di
averne una anch’io.
Batté le palpebre una volta.
Grandioso. Avevo il privilegio di cercare un eventuale killer vivo armata soltanto di una
torcia. «Ringhia se hai bisogno di me.» Gli posai un bacio sul naso e mi avviai,
illuminando la strada solo con un piccolo cono di luce.
La casa aveva stanze spaziose, con i mobili ribaltati e schegge di vetro disseminate
ovunque. Contai nove agenti di Vincent tra il piano terra e il primo piano. Rome li aveva
liquidati in modo sbrigativo e, anche se aveva voluto tenerne in vita almeno uno, nessuno
era sopravvissuto. Quelli che avevo sentito gemere poco prima ormai avevano smesso.
Finii addosso a Tanner nella camera da letto padronale. Emise un oomph senza
distogliere l’attenzione dalla parete di fondo. Aveva in mano un lungo oggetto blu, ma
quando vidi che cosa lo teneva inchiodato alla parete, dimenticai di chiedergli che cosa
fosse.
«Mio Dio» ansimai.
«Credi che potrei prenderne qualcuno?»
«Oh, no, che orrore.» Evidentemente il buon dottore era un amante del sadomaso.
Possedeva un’intera collezione di fruste, collari borchiati, scudisci e indumenti di pelle
nera. Per non parlare delle catene e dei finimenti di cuoio che pendevano dal soffitto. Non
c’era da stupirsi che Lexis avesse parlato di un lato perverso. Mi chiesi fino a che punto
avesse dovuto mostrarsi sua amica e quel pensiero mi fece rabbrividire.
«Guarda qui.» Tanner mi mostrò l’oggetto che teneva in mano. «Che cos’è?»
«Tanner!» Mi sentii le guance in fiamme. «È un vibratore» mormorai, imbarazzata
persino a pronunciare la parola.
«Davvero?» Sorridendo, lo scosse facendo tintinnare le batterie.
«Mettilo subito giù!»
«Scordatelo. Era per terra, in piena vista. Chi l’ha trovato lo tiene.» Lo scosse ancora e
un’estremità si aprì. Un pezzo di carta scivolò al suolo. «Ehi, che cos’è?»
Aggrottai la fronte, mi chinai e raccolsi il foglietto, illuminandolo con la torcia. Quando
mi resi conto di quello che avevamo trovato, rimasi senza fiato. Era una nota del dottor
Roberts diretta... a me. Be’, non veniva specificato il mio nome, ma diceva: A chiunque
abbia bevuto la formula. Rimasi a bocca aperta per la sorpresa. Sapeva che sarei venuta
lì. O forse l’aveva solo sperato.
«Che cosa dice?» chiese Tanner.
«Dice: “Mi dispiace”.» Deglutii e lessi il resto. «“Ti ho fatto una cosa terribile. Sono
stato debole e ho lasciato che la minaccia di distruggere la mia reputazione influenzasse il
mio lavoro. Avrei dovuto distruggere la formula appena scoprii quanto poteva essere
pericolosa. Quando mi resi conto dell’errore, era ormai troppo tardi; la formula era stata
perfezionata e stava per cadere nelle mani sbagliate. Mani malvagie. Sfortunatamente
l’unico nascondiglio che sono riuscito a pensare in un tempo così limitato sei stato tu. Eri
comodo, a portata di mano. Ti prego, non odiarmi. Ti ho lasciato un regalo nel mio ufficio,
che si trova in un laboratorio segreto nell’edificio di fronte al Caffè Utopia. Guardati da
occhi indiscreti.”»
Mi fermai per guardarmi intorno. Potevo quasi sentire quegli occhi indiscreti che mi
spiavano anche in quel momento. «“P.S. Scusa per il posto dove ho nascosto questo
messaggio. Non potevo permettere che lo trovassero gli agenti dell’OASS, ma so che il SIP
ti starà alle calcagna e spero che loro sappiano dove guardare.”»
«Wow!» esclamò Tanner. «Se anche l’OASS conosceva i suoi gusti sessuali, avrebbero
dovuto guardare nel vibratore.»
«Mi chiedo perché non l’abbiano fatto.»
«Io dico che sono degli idioti.»
«Un momento. Lexis mi ha detto che il dottore era un pervertito, ma nemmeno a me è
venuto in mente di guardare nel vibratore.» Tanner aprì la bocca per ribattere, ma io lo
prevenni, puntandogli un dito contro il petto. «Non dirlo.»
Sorrise. «Ehi, questo significa che il buon vecchio doc considerava gli agenti del SIP
dei pervertiti.» Mosse su e giù le sopracciglia. «Belle si è presa una cotta per un
pervertito» canticchiò.
«Questo significa che anche tu sei un pervertito, dato che sei stato tu a trovare il
messaggio» replicai.
Il suo sorriso si allargò. «Già! Non è favoloso?»
La sua felicità non avrebbe dovuto sorprendermi, assetato com’era di sesso. Ma se non
avessi cambiato subito argomento, non saremmo arrivati da nessuna parte. «Come ha fatto
il dottor Roberts a tornare in questo appartamento per lasciare il messaggio?» chiesi,
riflettendo ad alta voce. «Come è riuscito a sfuggire agli agenti dell’OASS?»
Forse aveva lasciato il messaggio prima di fuggire, prevedendo già di dare a qualcuno la
formula.
Tanner si strinse nelle spalle. «Forse c’è un altro messaggio qui intorno, con altre
istruzioni.» Incominciò a ispezionare gli altri giocattoli erotici, fischiettando allegro.
Mi battei il mento con un dito, chiedendomi che cos’altro avrebbe potuto scrivere il
dottore in un secondo messaggio. Mi avvertiva forse che avrei provocato un’inondazione
se non stavo attenta? Mi diceva che avrei dovuto vivere in un igloo per il resto della mia
vita per controllare il fuoco dentro di me? Era un pensiero deprimente.
«Non credo che troveremo altro» disse pochi minuti dopo Tanner, deluso. «Nessuno di
questi aggeggi si apre.»
«Continua a cercare.»
Tanner passò la mano all’interno di un cassetto, in cerca di un comparto nascosto. «Hai
trovato qualcuno di vivo?»
«No.» Dovevo ammettere che in tutti i miei numerosi lavori, in tutti i colloqui, in tutte le
ore passate a scorrere gli annunci, non avevo mai pensato di trovarmi a fare una cosa del
genere. Come si poteva chiamarla? Controllo Cadaveri?
Una persona normale avrebbe preferito continuare a servire caffè ai ricchi snob. O
falsificare i tachimetri delle auto usate, o confezionare stupidi palloncini a forma di
animali per bambini viziati. Diavolo, avrebbe preferito perfino ramazzare disgustose
masse di capelli al salone di bellezza.
Io no.
Mi resi conto che la mia posizione attuale non mi dispiaceva affatto. Forse non ero
pronta a tornare alla mia vita normale. Sospirando, infilai in tasca il biglietto del dottore.
Che cos’avrebbe detto Rome, vedendolo? Forse gli avrebbe fatto passare il malumore
indotto dal taser, una volta che si fosse ripreso.
Mentre scendevo le scale, passai le dita sui buchi di proiettile nelle pareti. Dove potevo
trovare un cattivo ancora vivo? La risposta mi arrivò all’istante, cogliendomi di sorpresa.
Sorridendo, scavalcai con un balzo il corpo di Rome, che aveva iniziato a riprendere
forma umana. Grosse chiazze di pelo erano già cadute, lasciando intravedere la pelle
abbronzata e i muscoli tonici. In quel momento sembrava un essere spaventoso, mezzo
uomo e mezzo animale. Cercai di non fare smorfie.
«Torno in un batter d’occhio» gli dissi in tono falsamente allegro prima di avventurarmi
all’esterno. Il vicinato era tranquillo, come se la sparatoria non fosse mai avvenuta, ma
l’uomo della villetta accanto era in piedi sul portico e si grattava la testa mentre guardava
la neve e la grandine che ricoprivano il suolo.
Vedendomi, mi chiese: «Lei è una delle ragazze di Roberts?».
Per fortuna i corpi dei due agenti (morti o privi di sensi che fossero) erano nascosti dal
Suv. «Già» risposi, agitando le ciglia come pensavo facessero le prostitute.
«Succedono sempre strane cose in quella casa.» Indicò il terreno con un cenno del
mento. «Ha mai visto una cosa simile? Neve in primavera avanzata. Incredibile!»
«Molto strano» convenni.
Dopo qualche istante, l’uomo scosse il capo e rientrò in casa.
Presto, presto, presto! Prima che esca di nuovo. Corsi fino al Suv. I due uomini erano
accasciati contro le ruote posteriori. Uno di loro, quello che avevo colpito direttamente
con il fulmine, era nelle stesse condizioni dei suoi colleghi all’interno della casa.
Persi un po’ della mia baldanza. L’avevo ucciso. Un’altra vittima dei miei poteri. Non
pensarci, Jamison. Ricorda che era uno degli uomini di Vincent. Voleva uccidere Rome e
catturare te. Con mani tremanti, cercai il polso del suo compagno. Al primo tocco delle
mie dita, emise un gemito. Sospirai di sollievo. Almeno quello era vivo.
Gli passai le braccia sotto le ascelle e lo trascinai verso la casa del dottor Roberts.
Pesava una tonnellata (persino più di Rome) e mi costò una fatica immane. Aveva delle
strisce di nero sul viso e sulla camicia, come se il fulmine fosse rimbalzato sul suo amico e
avesse bruciato anche lui.
Quando riuscii a issarlo sul portico, era ricoperto di fango appiccicoso dalla testa ai
piedi. Ansimai e sbuffai per lo sforzo fisico. Tra i suoi lamenti, lo sostenni con una mano e
aprii la porta d’ingresso con l’altra. Grazie al cielo, il vicino non ricomparve.
Il mio sguardo andò subito in cerca di Rome. Solo che non era più nell’ingresso. L’unica
traccia della sua presenza era una montagna di pelo.
Dovevo chiamarlo? Forse mi stava cercando, pronto a saltarmi addosso per vendicarsi
di quello che gli avevo fatto. Forse sarebbe sbucato all’improvviso da un angolo con
un’espressione assassina nello sguardo. Invece si stava infilando una T-shirt nera dalla
testa. La parte inferiore del corpo era già coperta da un paio di pantaloni neri. Quanti
cambi di vestiti possedeva quell’uomo?, non potei fare a meno di chiedermi.
Socchiuse gli occhi appena mi vide, poi posò lo sguardo sull’uomo che reggevo. «Non
dire una parola» sbottò, avanzando verso di me.
«Non ne avevo intenzione. Comunque, sembri in splendida forma. Davvero.»
«Perché-diavolo-mi-hai-tramortito?» Le parole gli uscirono scandite, piene di una furia
trattenuta a stento. Si fermò proprio di fronte a me. I nostri nasi si sfioravano e potevo
sentire il suo alito caldo sul viso.
Meglio passare all’attacco, decisi, altrimenti mi avrebbe scaricato addosso tutta la
colpa. «Credo che la domanda giusta sia: come potevo non farlo?» Lasciai cadere il mio
fardello e il corpo toccò terra con un tonfo. «Mi sei venuto addosso come se fossi un
bersaglio» ripresi, agitandogli il dito davanti alla faccia. «Dovresti complimentarti con me
per la mia prontezza di riflessi nel respingere un aggressore.»
Dilatò le narici. «Complimentarmi? Hai detto complimentarmi?»
«Hai un udito eccellente, Catman.»
Le sue pupille si allungarono, assottigliandosi alle estremità. «Non dovevi startene fuori
come una brava bambina?»
«Tanner e io volevamo proteggerti. Non sei invulnerabile, Rome.»
«Ma ci sono vicino.» Allargò le braccia, indicando i cadaveri sparsi tutt’attorno. «Non
avresti rischiato di farti uccidere se fossi rimasta dove ti avevo detto di stare.»
«E tu avresti potuto essere morto se non fossimo intervenuti. C’era un uomo pronto a
spararti.» Mi sollevai sulla punta dei piedi per portarmi alla sua altezza. «E che ti piaccia
o no, adesso hai dei soci. Dobbiamo guardarci le spalle l’un l’altro. Questo significa che
noi proteggiamo te proprio come tu proteggi noi. Non cercare di fare tutto da solo.»
«Se tramortirmi è il tuo modo di proteggermi, preferisco che tu non lo faccia.»
L’uomo alle mie spalle emise un gemito. «Guarda. Ti ho portato un regalo. Due, in
realtà: un cattivo vivo e un messaggio del dottore.»
Rome mi spinse da parte, si chinò sull’uomo e se lo caricò in spalla senza sforzo.
«Chiudi a chiave tutte le porte» mi disse. «Potremmo fermarci per un po’. Che cosa vuol
dire che hai un messaggio del dottore?»
Tirai fuori il biglietto e glielo porsi. «Non ci crederai, ma era nascosto dentro un
vibratore.»
Rome allungò la mano per prendere il biglietto e improvvisamente si bloccò, sollevando
un angolo della bocca come se volesse dire: Mi stai prendendo in giro? Poi scosse il capo
mormorando: «Che Dio mi aiuti», e prese il messaggio. Si sistemò il corpo sulla spalla
mentre leggeva. Quando ebbe finito, appariva ancora più scuro in volto.
«Non vuoi metterlo giù?» gli chiesi, indicando l’uomo.
«Quel vigliacco sapeva quello che stava per farti e l’ha fatto ugualmente» disse,
ignorando la mia domanda.
«Che cosa credi mi abbia lasciato nel suo ufficio?»
«Non lo so, ma lo scopriremo presto.»
La sua voce era così minacciosa da dare i brividi.
«E se qualcuno ha chiamato dei rinforzi?» chiesi, pensando solo in quel momento a
quell’eventualità.
«È un rischio che sono disposto a correre pur di non trascinare con noi questo tizio.» Si
passò una mano sugli occhi. «Stai di guardia sul retro e metti Tanner a sorvegliare
l’ingresso. Finiremo in fretta e poi ce ne andremo da qui.»
«Tanner!» chiamai.
Il ragazzo scese di corsa gli scalini. «Non c’è altro, proprio come temevo» disse,
gettando le braccia in aria. «Niente carte, niente diari. Assolutamente niente. Ehi, voi due
avete già finito di litigare?»
«Sì» rispose Rome, nello stesso momento in cui io dicevo: «Per il momento».
Stavo per trasmettere a Tanner i nuovi ordini, ma lui vide l’uomo privo di sensi e batté
le mani, eccitato. «Respira ancora? Grandioso. Lo interrogheremo, vero? Lo tortureremo e
gli strapperemo qualche informazione utile.»
«Ho bisogno che tu stia di guardia sul davanti della casa, dato che sei il tiratore scelto»
disse Rome, trasportando il corpo in soggiorno. «Impedisci a chiunque di entrare.»
Il sorriso di Tanner si allargò. «Hai visto come ho abbattuto quel tipo? Sai che l’ho
preso con un solo colpo?»
«Sei stato davvero bravo. Se non fossi stato immobilizzato, te l’avrei detto prima»
aggiunse con tono cupo. «Belle, raddrizzami una sedia.»
Mentre Tanner si posizionava all’ingresso, io presi una delle sedie ribaltate dalla cucina
e la trascinai al centro del soggiorno. Rome vi depositò l’uomo e lo legò servendosi di
strisce di tessuto ricavate dai suoi vestiti strappati.
«Posso accendere le luci, adesso?» chiesi.
«No. Non voglio che qualcuno ci possa vedere dall’esterno e capisca che cosa sta
succedendo.»
«Il vicino è sveglio. È rimasto stupito dalla neve.»
«Ti è sembrato sospettoso?»
«Per niente. Mi ha presa per una delle amichette del dottor Roberts; credeva che avesse
dato una specie di festino.»
Rome si strinse fra le dita il ponte del naso, poi agitò una mano in aria. «Portami un
bicchiere d’acqua. Per favore» aggiunse dopo un attimo di esitazione. «E fa’ presto.»
Okay. Così non ero più Wonder Girl, ma ero tornata a essere una cameriera. Meglio
così, dopotutto. Non volevo torturare l’agente. «Non vuoi che ci metta del veleno, vero?»
«Solo acqua. Acqua fresca.»
«Perché non le chiedi un po’ di pioggia?» suggerì ad alta voce Tanner dalla sua
postazione.
«Non la vogliamo emotivamente esausta» rispose Rome. «Dobbiamo ricorrere ai suoi
poteri solo quando è assolutamente necessario.»
Non feci fatica a trovare un bicchiere in uno degli armadietti della cucina, lo riempii
d’acqua e mi affrettai a tornare da Rome. «Ecco.»
Lo prese e gettò il contenuto in faccia all’uomo privo di sensi. Sputacchiando, la nostra
vittima cominciò ad agitarsi e ad aprire gli occhi. Rome e io ci piegammo su di lui, pieni di
aspettativa. La nostra presenza dovette spaventarlo perché lanciò un grido acuto.
Subito Rome gli coprì il viso con un cuscino e Tanner si precipitò nella stanza.
«Dovresti vergognarti!» gridò, schiaffeggiando l’uomo.
«Non fatemi del male, vi prego!» piagnucolò l’agente.
«Ho chiuso a chiave la porta» disse Tanner, rivolto a Rome. «Posso restare?»
Rome alzò gli occhi al cielo. «Perché no? Che importanza ha ormai attenersi ai piani?»
«Vi dirò tutto quello che volete sapere» dichiarò l’uomo, terrorizzato.
Non avevo mai assistito a una seduta di tortura prima d’ora. Naturalmente ne avevo viste
diverse in tv, per cui mi aspettavo una certa resistenza. Che so, minacce o imprecazioni.
Invece il nostro ostaggio balbettava come un bambino. «Sta recitando?» domandai,
confusa.
«No» disse Tanner, disgustato. «È proprio un gattino impaurito. Senza offesa» aggiunse
in tono allusivo, guardando Rome. Poi sollevò le braccia in un gesto di esasperazione.
«Come possiamo lavorare in queste condizioni?»
Rome sembrava sul punto di mandare a quel paese Tanner, ma invece incrociò le
braccia sul petto. «Che cosa ci facevate qui?» chiese alla nostra vittima.
«Aspettavamo il dottor Roberts» fu la sua pronta risposta.
Rome lanciò un’occhiata a Tanner, che lo guardò senza capire.
«Cosa?» domandò.
«Sta dicendo la verità?»
«E come diavolo posso... oh, aspetta.» Tanner si avvicinò all’uomo, che lanciò un altro
grido, e gli posò una mano sulla spalla. Chiuse gli occhi. «Sì. Vero.» Un sorriso gli
illuminò il volto. «Forte. Funziono come una macchina della verità, proprio come aveva
detto Lexis. Una volta aperti i cancelli dei miei superpoteri...»
«Sei solo un empatico, non l’incredibile Hulk» obiettai. «E dobbiamo concludere al più
presto l’interrogatorio.» Lo ammetto, ero nervosa e non vedevo l’ora di lasciare quel
posto.
Tanner allargò le braccia in un gesto che diceva: Guardami e vedrai la soluzione a tutti
i tuoi problemi. «Non fingere che non ti piaccia il mio stile. Come stavo dicendo, una volta
aperti i cancelli dei miei poteri, ho scoperto un flusso continuo di emozioni e nuove
capacità. Mentre il nostro amico parlava, potevo percepire nettamente la sua paura che
diminuiva.»
«Bene» disse Rome. «Ora, se non vi dispiace, vorrei riprendere l’interrogatorio. È per
questo che siamo venuti.» Ci rivolse un’occhiata truce prima di riportare l’attenzione
sull’agente dell’OASS. «Vincent sa dove si trova il dottor Roberts?»
«No, no. Giuro che non lo sa.»
Tanner annuì. «Vero.»
Decisi di riprendere la mia postazione; mi avvicinai alla finestra schermata dalle tende e
sedetti sul pavimento a gambe incrociate, posando i gomiti sulle ginocchia. C’era una
piccola apertura nel tessuto marrone, che mi permetteva di sbirciare fuori. Gli uomini
avevano il controllo dell’interrogatorio e ci voleva qualcuno che tenesse d’occhio i
dintorni. Grazie al cielo, sembrava tutto tranquillo.
«Quali sono i piani di Vincent per Belle?» domandò Rome.
«Lui... vuole eseguire degli esperimenti. Vedere che cosa può fare e poi metterla in
campo.»
«Vero.»
«Possiede un antidoto?»
«No.»
«Vero.» Tanner si voltò a guardarmi. «Mi dispiace, Belle.» Ero dispiaciuta? Una parte
di me poteva esserlo, suppongo. Ma un’altra... no.
Rome esalò un sospiro di frustrazione. «Cerchiamo di vedere le cose da un’altra
angolazione. Vincent ha qualche indizio su dove si nasconda il dottore?»
L’uomo scosse il capo, così che i capelli scuri gli scesero sulla fronte. «Ieri il dottor
Roberts ha cercato di introdursi nel laboratorio di Vincent, ma è stato scoperto prima che
potesse entrare. L’abbiamo inseguito, però è riuscito a fuggire di nuovo.»
«Vero.»
«Adesso si comincia a ragionare.» Rome posò le mani sui braccioli della sedia e si
sporse in avanti. «Perché il dottor Roberts è tornato al laboratorio?»
Sospettavo che fosse per lasciarmi quel “regalo” di cui parlava nel messaggio.
Ritraendosi all’indietro, l’uomo balbettò: «Non lo so. Nessuno lo sa».
«Bugia» dichiarò Tanner in tono trionfante.
«Devo proprio torturarti?» chiese con calma Rome, in un tono che non lasciava dubbi
sulle sue intenzioni di ricorrere a qualsiasi mezzo fosse necessario. «Lascia che ti faccia
conoscere l’animale che c’è in me.» Per una frazione di secondo, il mento e la bocca di
Rome si allungarono in avanti e i denti brillarono aguzzi e minacciosi.
Il prigioniero strillò. «Crediamo che abbia lasciato una copia scritta della formula nel
suo ufficio» farfugliò tutto d’un fiato. «Ma non siamo riusciti a rintracciarla.»
«Vero.»
La formula... ecco che cosa mi aveva lasciato! Quale regalo migliore, almeno dal suo
punto di vista, dell’unica cosa che forse poteva farmi tornare me stessa?
Rome si passò la lingua sui denti. «Quanti uomini ha messo Vincent sulle tracce di
Belle?»
«Non conosco il numero esatto, lo giuro. So solo che è determinato a catturarla. Ogni
giorni manda altri uomini a cercarla. Se riuscisse ad analizzare il suo sangue, potrebbe
produrre altri esseri come lei e i suoi agenti potrebbero eliminare chiunque gli si opponga.
Sarebbe a capo della più potente para-agenzia del mondo. Potrebbe decidere chi vince le
guerre, chi aiutare e chi distruggere. Vi prego, lasciatemi andare. Voglio tornare a casa.»
«Vero» disse Tanner. «Vuole solo correre dalla mammina.»
L’uomo arrischiò un’occhiata in direzione di Tanner, ma sussultò quando Rome ringhiò.
«Non smetterà mai di cercarla» aggiunse in tono piagnucoloso. «Come te, farà tutto il
possibile per prenderla.»
Bene. Che fantastica notizia. Insaccai il collo tra le spalle. «Vincent ha fatto bere la
formula a qualcun altro?» chiesi. «Che sia sopravvissuto» aggiunsi, ricordando che Rome
mi aveva parlato dei suoi esperimenti precedenti.
L’uomo scosse il capo. «Tu sei l’unica. E questo significa che sei ancora più preziosa
per lui.»
«Vero.»
Appoggiai la testa alla parete e guardai fuori dalla finestra, gemendo dentro di me.
Grazie al biglietto lasciato dal dottore, ora sapevo di essere sopravvissuta perché la
formula era stata finalmente perfezionata, non perché io ero una specie di mutante con un
sangue particolare. Ma Vincent l’avrebbe creduto? Probabilmente no. A lui interessavano
solo gli esperimenti. «Non lavorerei per lui nemmeno se mi catturasse.»
«Se ti cattura, lavorerai per lui» disse Rome con tono cupo. «Riuscirà a convincerti a
costo di distruggere tutto quello che ami.»
Mio padre, pensai, in preda al panico.
Lexis è con lui, ricordai. È al sicuro. Questo pensiero mi calmò.
«Che cosa mi dici degli ingredienti della formula?» gli chiese Rome. «Li conoscete?»
«Roberts ha cancellato i file» rispose l’uomo. «Ha distrutto tutte le carte ed è fuggito.
Non c’è modo di riprodurre la formula senza la ricetta scritta. O senza Belle. La speranza è
che le molecole presenti nel suo sangue ci dicano esattamente che cosa ha ingerito.»
«Vero.»
Rome si raddrizzò e rimase immobile per qualche istante, con espressione dura e
determinata.
«Io ho collaborato.» Le guance dell’uomo erano rigate di lacrime. «Mi lascerete andare,
vero? Non mi farete del male? Non dirò a Vincent di che cosa abbiamo parlato. Ve lo
giuro.»
Tanner non disse nulla, ma lanciò un’occhiata d’intesa a Rome. Che cosa stava
succedendo tra loro? Muovendosi più veloce di un battito di ciglia, Rome sferrò un pugno
sulla faccia del prigioniero, che smise istantaneamente di piangere e perse i sensi.
«Perché l’hai fatto?» chiesi, rialzandomi. «Stava collaborando.»
«Ti avrebbe uccisa se ne avesse avuto l’opportunità» disse Rome. La sua voce era bassa
e roca, piena di una collera gelida. «È fortunato che non gli abbia tagliato la gola.»
«Vero.»
Rome scosse il capo. «Basta così, Tanner.»
«Già» dissi. «Sarà meglio che tu non usi con me questo giochetto vero-falso, altrimenti
potrei farti del male.»
Tanner sorrise. «Vero» disse e io gli mostrai il pugno.
«Andiamo.» Rome raccolse la borsa e se la mise in spalla. «Dobbiamo studiare un
piano.»
«Aspetta.» Aggrottai la fronte, guardando l’uomo privo di sensi. Rome aveva ragione:
quell’individuo ci avrebbe fatto del male se avesse potuto, e poteva ancora essere
pericoloso se ne avesse avuto l’occasione. Nessuno poteva minacciare impunemente il mio
uomo.
Raccolsi tutte le mie emozioni più fredde e più cupe; mi lasciai sommergere dalla paura
finché non sentii le dita intorpidite, finché nel mio palmo non incominciò a formarsi un
misto di terra e ghiaccio. Lanciai la palla. Nel momento in cui colpì l’uomo, lo imprigionò
in una gabbia di terra gelata. Si sarebbe sciolta (almeno credevo), ma ci sarebbe voluto un
po’ di tempo (almeno speravo).
Mi sfregai le mani. «Adesso possiamo andare.»
19
Per tutto il viaggio di ritorno al bungalow, Tanner continuò a vantarsi della sua mira, dei
suoi poteri, del suo sangue freddo, e a dire che le ragazze gli sarebbero ronzate intorno
come mosche. Ero contenta che fosse orgoglioso di sé. Aveva fatto davvero un buon lavoro
(a parte, naturalmente, l’aver sparato alla cieca). Ma io non riuscivo a smettere di pensare
al messaggio che avevamo trovato e al fatto che non ero sicura di voler trovare la formula.
Sospirai. Che cosa c’era che non andava in me?
«L’unica cosa che mi dispiace» stava blaterando Tanner, interrompendo i miei pensieri,
«è di non essere stato ripreso. Pensate. Potrei tirare fuori il DVD a ogni appuntamento e vi
garantisco che tutte le donne morirebbero dalla voglia di fare un giro sul Tanner Express.»
Rome si allungò per alzare il volume della radio. Mentre Gwen Stefani urlava dagli
altoparlanti, mi strinse la mano nella sua, trasmettendomi forza e calore.
Mi voltai a guardarlo. Lui manteneva lo sguardo fisso sulla strada, così potei studiare il
suo profilo. Era altrettanto selvaggio quanto visto di fronte, con il naso affilato, gli zigomi
alti e il mento volitivo. Intagliato nel ghiaccio, scolpito nell’acciaio, ecco com’era Rome.
Poteva parlare con una persona o ucciderla con la stessa facilità, ma in quel momento mi
stava accarezzando delicatamente il palmo con il pollice. Così pieno di contraddizioni, di
mistero. Volevo introdurmi nel suo cervello e scoprire tutto di lui. Volevo conoscere i suoi
pensieri, i suoi sentimenti.
Anche se mi sentivo una sciocca, non potevo farci niente. Ero affascinata da lui.
Era destinato ad amare una donna con tutto il cuore, aveva detto Lexis. Ora più che mai,
volevo essere io quella donna. Il solo pensiero di tutta quella forza virile diretta totalmente
su di me mi metteva i brividi. Sarebbe stato un amante esigente, avrebbe richiesto una
fiducia totale e non si sarebbe accontentato di meno.
E avrebbe dato in cambio lo stesso.
Un pensiero esaltante. D’altra parte, se gli avessi donato tutto il mio cuore, tutto quello
che avevo da dare, e non fossi stata la donna per lui, ne sarei uscita distrutta. Avrei avuto
la forza di rinunciare a lui piuttosto che tenerlo legato a me sapendo che desiderava
un’altra, come aveva fatto Lexis?
Strinsi le dita attorno alla sua mano come se temessi che volasse via da un momento
all’altro. Probabilmente gli avevo causato più dolore fisico di chiunque altro avesse mai
incontrato, per non parlare dei potenziali disastri naturali. Perché avrebbe dovuto scegliere
una ragazza come me quando poteva avere una donna come Lexis? Una donna bella,
intelligente, dal gusto squisito. Una donna che riusciva a mantenere un lavoro per più di
pochi mesi (o giorni).
Mi resi conto che le mie emozioni stavano cercando di creare qualche reazione fisica:
pioggia, neve o un po’ di tutto. Eppure, quel giorno ero già stata spinta al limite e non era
successo niente. Tirai un sospiro di sollievo. Non volevo che Rome intuisse i miei
sentimenti quando io non potevo conoscere i suoi.
Con la mano sinistra abbassò il volume della musica. Benedetto silenzio. Tanner aveva
smesso di parlare. Mi voltai a guardare oltre la spalla e vidi che si era addormentato sul
sedile posteriore, con la testa reclinata sul collo. La luce della luna cadeva su di lui,
creando giochi d’ombra sulle sue guance.
«Tutto bene?» mi chiese Rome.
Non osavo porgli la fatidica domanda “a che punto siamo?”, odiata da molti uomini. In
fondo non avevamo ancora dormito insieme. «Io... noi... sono solo in pensiero per mio
padre» dissi infine. Non volevo che Rome fuggisse da me terrorizzato. Non volevo che
temesse di fare un passo avanti nel nostro rapporto solo perché io mi aspettavo di più di
quello che poteva dare.
Lui mi strinse la mano. «Chiama Lexis, allora. Ha un cellulare ed è una linea sicura.» Mi
lasciò andare, prese il suo cellulare, compose un numero e me lo passò.
Lexis rispose appena ebbi portato il telefono all’orecchio. Mi assicurò che mio padre
stava bene e che in quel momento dormiva. Nessuno aveva cercato di fargli del male. Non
era successo niente di particolare e lei non prevedeva che ci sarebbero stati problemi in
futuro. Aggiunse anche che mio padre non rinunciava a farle la corte, quella canaglia.
Liberai il fiato che avevo trattenuto, enormemente sollevata.
«Come sta Rome?» mi chiese con voce esitante.
Mi costrinsi a mantenere lo sguardo fisso davanti a me. «Bene.»
Pausa. «Abbi cura di lui.»
«Lo farò.»
Chiusi la comunicazione e posai il telefono sul cruscotto.
«Immagino che tuo padre stia bene» disse Rome.
Annuii, serrando le labbra. «Fa il dongiovanni, come sempre.»
Mi lanciò uno sguardo pieno d’orgoglio. «Ti sei comportata bene, oggi.»
«A parte la faccenda del taser, vuoi dire?»
Un lieve sorriso gli increspò le labbra. «Già. A parte quello. Ci hai fatto superare
l’inferriata. Hai creato la tempesta che ci ha permesso di entrare in casa senza essere visti.
E non hai incendiato niente.»
«Un bel progresso» replicai con un sorriso. «Allora domani faremo irruzione nel
laboratorio?»
Annuì. «Sarà più difficile di stanotte. Tempo fa Lexis mi disse che l’edificio è dotato di
dispositivi sensibili al calore, pavimenti sensibili al peso, radar e scanner oculari.»
«Sembra impossibile entrarci, oltre che pericoloso.»
«No» replicò. «Sarà divertente.»
Roteai gli occhi, ma dentro di me risi a quella battuta da vero macho. «Scommetto che ci
saranno guardie armate e pronte a uccidere.»
«Hai vinto la scommessa.»
Il mio cuore perse un colpo al pensiero di affrontare dei killer dal grilletto facile.
«Come faremo a entrare? Non c’è bisogno che ti ricordi che Tanner e io siamo dei
dilettanti. Potremmo esserti d’impiccio più che d’aiuto.»
«Sai bene che non è vero. Non ti ho appena detto quanto sei stata brava stanotte?»
«Ce l’avresti fatta anche senza di me.»
«Vero» disse, imitando Tanner.
Sbuffai. «Non è divertente.» Gli costava tanto dire: No, mio dolce amore. Non ce
l’avrei mai fatta senza di te? Era chiedere troppo?
«La prossima operazione, però...» Si interruppe e riprese con un sospiro: «Questa volta
ho davvero bisogno di te, Belle. Non ce la farei mai da solo».
La sua ammissione mi colse di sorpresa. Poteva dirlo solo per lusingarmi? Non credevo,
non era nel suo stile. Rome diceva sempre quello che pensava e non cercava di indorare la
pillola per quanto amara fosse. Aveva bisogno di me ed era disposto ad ammetterlo. Dio
mio! Amavo davvero quell’uomo. Di più. Lo ammiravo, mi fidavo di lui, lo desideravo.
«Non sei obbligato a introdurti nel laboratorio, lo sai» dissi. «Non devi mettere in
pericolo la tua vita quando non avrai niente in cambio.»
«Ma io avrò qualcosa in cambio. Io aiuto te e tu aiuti me, giusto?»
«Giusto» mormorai, «ma non hai ancora deciso come posso esserti utile.»
«Lo farò.»
«Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, la farò.» In qualsiasi momento. Non aveva
importanza quando. Quando avesse avuto bisogno di me, sarei stata lì.
«Grazie.» Intrecciò nuovamente le dita alle mie. «Non preoccuparti. Troveremo il modo
di uscirne vivi.»
Alcune auto ci sfrecciarono accanto. Rome stava attento a non superare di troppo il
limite di velocità per evitare di attirare l’attenzione su di noi. Le sagome scure degli alberi
sfilavano fuori dal finestrino, la luna era alta nel cielo e non sarebbe calata per ore.
«Sai già dove nascondere Sunny?» gli chiesi.
«In una casa nell’entroterra.» Si appoggiò al poggiatesta con un tenue sorriso. «Vivremo
come una vera famiglia per la prima volta da anni. La porterò con me a fare la spesa, al
parco, a nuotare. Faremo tutte le cose tipiche di una famiglia normale.»
Famiglia. Le sue parole mi riempirono di amarezza perché io non ne facevo parte. Non
mi aveva chiesto di andare con lui dopo che l’avessi aiutato a nascondere Sunny e io non
mi ero autoinvitata. Sunny era la sua priorità e Lexis lo era in quanto madre di Sunny; così
era come doveva essere. Tuttavia faceva male. Faceva maledettamente male e tutto dentro
di me cominciò a sgretolarsi. In quel momento mi resi conto che non potevo essere io la
donna destinata a dividere la sua vita.
Acute lance di dolore mi trafissero nel profondo.
Avrei lasciato che questo mi impedisse di godere della sua presenza? No. Al diavolo,
l’avrei tenuto con me per tutto il tempo che potevo averlo. Senza rimpianti. Non volevo
ritrovarmi a guardare al passato e chiedermi che cosa avrebbe potuto esserci fra noi. Quale
piacere avremmo potuto condividere.
«Il tuo capo verrà a cercarvi?» chiesi. Dentro di me pregai che la mia voce non suonasse
cupa e spezzata come mi sentivo veramente.
Rome non parve notare niente di strano. «È possibile, ma questo non significa che ci
troverà.» Rimase in silenzio per qualche istante. «Non è un uomo malvagio. Come ti ho
detto, vuole bene a Sunny. Credo che col tempo capirà che era la cosa migliore per lei.»
«Devi scusarmi se non concordo con te. Io credo che sia malvagio. Voleva
neutralizzarmi. Vuole ancora neutralizzarmi.» Continua così, Belle. Mantieni un tono
leggero e impersonale.
«Ha i suoi motivi.»
«Non sono i miei.»
«No. Si preoccupa della sicurezza nazionale. Fino a pochi giorni fa, la pensavo come
lui, ricordi? Ma tu non mi consideri malvagio.»
Ignorai l’ultima parte del discorso. «Se una donna deve morire per proteggere il mondo,
non è poi un gran danno; è questo che stai dicendo? Poteva venire da me e ne avremmo
discusso come due adulti civili.»
«No, non poteva. Anche Vincent ti sta cercando.» Rome fece una pausa. «Però adesso
potrebbe essere una buona idea se vi incontraste. Quando John saprà quello che puoi fare,
neutralizzarti sarà l’ultimo dei suoi pensieri. Ti vorrà nella sua squadra.»
Sbuffai. «E se invece decidesse di farmi saltare la testa e poi interrogarmi?»
«Farti saltare la testa?» ripeté con una breve risata. «Adesso parli come Tanner.»
Mi guardai i piedi. Il fango umido mi incrostava gli stivali e aveva sporcato il tappetino.
«Se dopo avermi conosciuta, il tuo capo volesse rinchiudermi a Château Villain, che cosa
faresti? Tradiresti lui... o me?»
Seguì un lungo, terribile silenzio. Perché doveva pensarci tanto? Contavo così poco per
lui?
«Non devi preoccuparti di questo» disse infine. «Non lascerò che ti facciano del male,
né che ti rinchiudano o ti sottopongano a esperimenti.»
Parole dolci. Parole che mi toccarono nel profondo. Ma quando non sarebbe più stato
con me? Quando mi avrebbe lasciata? Baderai a te stessa, ecco cosa! Sì, l’avrei fatto.
Sarei stata bene anche senza Rome, mi rassicurai. Allora perché il mio cuore sembrò
frantumarsi in mille pezzi?
L’auto rallentò e imboccò una strada sterrata che correva tra due macchie d’alberi. Più
avanzavamo, più il bosco si faceva fitto e la strada meno segnata. Rami e foglie sbattevano
contro il parabrezza. A un certo punto non riuscii più a distinguere il sentiero e Rome
doveva sterzare a destra e a sinistra di continuo per evitare di colpire qualcosa. Sobbalzai
su e giù.
Dopo un po’, scorgemmo il piccolo bungalow, illuminato dai raggi argentati della luna.
Se non avessi saputo che era lì, lo avrei creduto un ammasso di cespugli e di legname
abbandonato.
Rome parcheggiò l’auto sul retro. «Aspetta qui mentre io cancello i segni dei
pneumatici.»
Annuii. «Sii prudente.»
«Come sempre» rispose con un sorriso. Uscì dall’auto e sparì nella notte.
Voltandomi verso il sedile posteriore, presi Tanner per la spalla e lo scossi. «Sveglia,
eroe.»
«Sono sveglio» rispose prontamente. La sua voce non era per niente assonnata. Aprì gli
occhi di colpo, eppure solo un istante prima sembrava addormentato.
«Da quanto tempo sei sveglio?»
Si raddrizzò e si scostò i capelli dalla fronte. «Lo sono stato per tutto il viaggio. Se no,
come potevo origliare quello che dicevate tu e Rome? Permetterai davvero che ti lasci
indietro quando andrà a nascondersi?»
Mi voltai e guardai fuori dal finestrino. «Non è che abbia molta scelta, Tanner.»
«C’è sempre una scelta.»
«Non quando dipende dai sentimenti di un’altra persona.»
«Potresti lottare per lui.»
Chiusi gli occhi per un istante e appoggiai il capo allo schienale. «Voglio un uomo che
desideri stare con me, non voglio obbligarlo a restare, a tenermi con sé.»
«Rome tiene molto a te. Sento il suo affetto uscire a ondate ogni volta che ti guarda.»
«A volte non è abbastanza» mormorai.
«Pfui. Questo è il tuo orgoglio che parla.»
«Tu non sai niente di relazioni sentimentali.» Rigirai l’orlo della maglietta tra le dita,
attorcigliando la stoffa intorno alle nocche fino a bloccare la circolazione. «Per cui tieni
per te i tuoi consigli.»
«Posso non aver fatto ancora sesso» replicò in tono cupo, «ma so cosa vuol dire amare.
Anche se sono giovane, ho avuto la mia parte di perdite. Non trattarmi come se non sapessi
di che cosa sto parlando solo perché tu non hai il coraggio di lottare per tenerti il tuo
uomo.»
Collera e vergogna si accesero dentro di me, ma io le misi a tacere. Non avevo bisogno
di complicare le cose con un altro incendio. Inoltre, Tanner aveva ragione. Ragione da
vendere. Aveva amato i suoi genitori e li aveva persi. Conosceva intimamente il dolore. E
io mi stavo comportando da codarda. «Scusa» dissi, voltandomi verso di lui.
Distolse lo sguardo e si strinse nelle spalle. «Non preoccuparti.»
Cercava di mostrarsi indifferente, ma sapevo di averlo ferito e intendevo rimediare. Non
meritava che lo trattassi male dopotutto quello che aveva fatto. In fondo, stava combattendo
una guerra per me e rischiando la sua vita. Come aveva detto Lexis, doveva solo maturare
ancora un po’. «Tanner...»
La portiera del passeggero si aprì improvvisamente e Rome fece capolino. «Tutto a
posto.»
Uscii con movimenti stanchi e rallentati e mi avviai verso il bungalow, seguita a poca
distanza da Tanner, che rifiutava ancora di guardarmi in viso.
Prima che raggiungessimo il porticato, Rome mi si accostò e mi afferrò la mano,
costringendomi a fermarmi. «Tanner, vai dentro e riposa. Belle e io ti raggiungeremo tra
poco.»
Aprii bocca per chiedere che cosa stesse succedendo, ma Tanner borbottò: «Fate pure
con comodo», ed entrò senza di noi.
Rome mi condusse tra gli alberi. «C’è un laghetto laggiù.»
«Sì?»
«Andremo a nuotare. Da soli. Poi faremo qualsiasi cosa ci andrà di fare.»
Oh. Oh. Improvvisamente non mi sentivo più stanca. Un intenso calore fluì dentro di me.
Calore, desiderio e una fame che sembrava insaziabile. La parte razionale del mio cervello
cercò disperatamente di ricordarsi che cosa mi riservava il futuro. Rome se ne andrà.
Quando tutto sarà finito, se ne andrà senza di te.
Forse era una follia da parte mia, eppure mi rifiutai di rovinare l’istante presente.
Volevo godermi quel perfetto esemplare di maschio finché potevo. Niente rimpianti,
rammentai a me stessa.
Presto gli alberi si diradarono, rivelando una pozza ovale. Una serie di massi
circondavano una delle estremità e in mezzo vi crescevano dei fiorellini rosa: una cornice
perfetta. Nastri luminosi di luce lunare e volute di nebbia aleggiavano sullo specchio
argentato, che risplendeva come cristallo. Le lucciole guizzavano sulla superficie screziata
come romantiche candele.
La bellezza del posto mi tolse il respiro.
«Sai perché ti ho portata qui?» mi chiese Rome.
«Sì» risposi. Ed ero più che pronta a incominciare.
20
Rome si voltò verso di me, io mi voltai verso di lui, e quando i nostri sguardi si
incontrarono il calore dentro di me si fece più intenso. Mi passai la lingua sulle labbra. Era
come se avessi aspettato da sempre quel momento. Forse era così.
«Nervosa?» mi chiese.
Non cercai di negarlo. «Sì.»
«Anch’io.»
Sgranai gli occhi. «Tu? Credevo che niente potesse renderti nervoso.» A un tratto capii
che cosa voleva dire e chinai la testa. «Capisco. Hai paura che incendi il bosco o qualcosa
del genere.»
Il chiarore della luna accarezzava il suo viso, inondandolo di una luce dorata. I suoi
occhi splendevano di un azzurro luminoso. «No, niente del genere. Filtrerò tutto il calore
che crei.»
«Allora perché sei nervoso?» domandai, confusa.
«Voglio essere il migliore per te. Voglio accenderti di passione e darti piacere più e più
volte.»
Sentii tutto il mio corpo fremere di una sensazione deliziosa di piacere. «Già lo stai
facendo.»
«Di più.» Chinò lentamente il capo verso di me.
Mi sollevai sulla punta dei piedi, incontrandolo a metà strada. Al momento del contatto,
dischiusi le labbra e accolsi la sua lingua. E il suo sapore che stava diventando una droga,
quello del maschio e della fiera, mi pervase.
Si soffermò a giocare con la mia lingua, a esplorarmi, a godere di quel bacio. Il mio
sangue prese a ribollire, le ossa si liquefecero, come se mi stessi fondendo con lui.
«Hai un sapore così delizioso» disse. «Un odore così delizioso. È la prima cosa che mi
ha colpito di te. Anche quando stavi molto male, avevi un profumo di mele e cannella,
intensamente femminile.»
Mentre parlava, mi passò i polpastrelli sul seno, sui capezzoli inturgiditi, sulla
superficie sensibile del ventre, suscitando brividi ovunque toccasse. Afferrò l’orlo della
maglietta e lentamente me la sfilò, lasciandola cadere ai nostri piedi.
Feci lo stesso con lui, godendo della vista dei suoi muscoli, che parevano acciaio
rivestito di velluto. Morivo dal desiderio di leccarlo, di assaporarlo, di sentirlo dentro di
me, duro, caldo e vivo. Gli avrei allacciato le gambe intorno ai fianchi e lui sarebbe
affondato dentro di me.
«Tocca a te» disse, slacciandomi il reggiseno dietro la schiena e liberando i seni
smaniosi del suo tocco. Li raccolse nei suoi palmi e stuzzicò i capezzoli protesi.
Ansimai divorata dal desiderio. «Adesso tu» dissi, armeggiando con la fondina. Le dita
mi tremavano, per cui mi ci volle più tempo di quanto volessi, ma alla fine la sottile
striscia di cuoio cadde nel mucchio dei vestiti.
Schioccò la lingua due volte e scosse il capo quando cercai di sbottonargli i pantaloni.
«Non puoi fare due mosse di seguito.» Fu lui ad aprirmi i pantaloni e ad abbassarmeli sui
fianchi e lungo le gambe. «Alza i piedi.»
Ero così dolorosamente eccitata che trovai appena la forza di ubbidire. Dovetti
afferrarmi alle sue spalle per sostenermi. Frammenti di luce lunare illuminavano il mio
angelo nero mentre indietreggiava per guardarmi. Solo un minuscolo slip di pizzo mi
copriva.
Di solito mi sentivo a mio agio con il mio corpo. Non avendo un’auto, camminavo
molto, il che mi aiutava a restare in forma. Ma sotto lo sguardo di Rome non potevo fare a
meno di chiedermi se gli piacessi o se fosse deluso.
«Toglili» mi ordinò con voce di gola. «I o posso fare due mosse di seguito. Sono più
forte.»
Infilai le dita ai lati degli slip. Rome indossava ancora i pantaloni e se facevo come
diceva, sarei rimasta completamente nuda. Esposta. Un pensiero che un po’ mi spaventava,
eppure...
Abbassai le mutandine lungo le gambe, le scavalcai e mi raddrizzai. Il nervosismo si
mischiava all’eccitazione, e una sensazione di caldo si alternava a quella di freddo. Avrei
voluto che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Avrei voluto che mi toccasse.
Come se conoscesse i miei desideri più profondi e volesse solo esaudirli, lui allungò
una mano e mi accarezzò l’ombelico, dicendo: «Sei senza dubbio la donna più sexy che
abbia mai visto».
Rimasi senza fiato. La sua voce era così roca che distinsi a fatica le parole. Quando mi
resi conto di aver udito bene, ogni dubbio residuo sulla mia decisione di stare con lui svanì
come d’incanto. Le mie terminazioni nervose fremevano di un desiderio così intenso da
rischiare di uccidermi.
Con gesti impazienti si liberò dei pantaloni e finalmente anche lui fu nudo. Mi beai di
quella visione. I raggi dorati della luna mettevano in risalto il suo corpo asciutto e
muscoloso. Era alto e imponente, maestoso, e io avevo bisogno di sentirlo dentro di me.
Nessuno dei due pronunciò una parola mentre ci avvicinavamo l’uno all’altra in perfetta
sintonia. Io ansimai, lui emise un brontolio di gola quando fummo l’una nelle braccia
dell’altro. Le nostre lingue si intrecciarono e il suo respiro divenne il mio. Bruciavo per
lui, proprio come aveva voluto. Nonostante il logorio emotivo a cui ero stata sottoposta,
sentivo la passione ardere dentro di me e fluire in Rome.
Istantaneamente lui catturò e imprigionò il calore, ondata dopo ondata. Un gemito roco
mi uscì di gola. Le mie mani erano su di lui, dappertutto, accarezzandogli la schiena, lo
stomaco, il pene. Chiusi le dita intorno al suo lungo membro in erezione e con l’altra mano
gli accarezzai i testicoli.
Un lieve ansito e poi, senza staccare le labbra dalle sue, mi trovai a cadere all’indietro.
Invece di colpire il suolo come mi aspettavo, atterrai su Rome, che si era girato per
assorbire l’impatto.
«Mettiti a cavalcioni» mi ordinò con voce di gola.
Lo feci con piacere. Mi sistemai in modo che il centro della mia femminilità toccasse la
punta del suo pene. Al contatto della carne contro la carne umida fremetti. Mi attirò a sé
finché i miei seni non sfiorarono il suo petto. Oh, deliziosa abrasione! Poi mi fece
sollevare così che i capezzoli pendessero all’altezza della sua bocca vogliosa. Mentre mi
succhiava e leccava, scivolavo su e giù sul suo membro senza una vera penetrazione. Mi
inarcavo e mi protendevo verso di lui, travolta da sensazioni sfrenate.
Mi prese tra le labbra l’altro capezzolo, dedicandogli le stesse attenzioni che aveva
riservato al primo. «Rome» mormorai, pronunciando il suo nome come un’implorazione
disperata. Continuavo a sfregarmi sul suo pene e il fuoco che divampava nel mio sangue
fluiva dentro di lui. «Sto per...»
«Vieni sulle mie dita» ordinò. Fece scivolare la mano tra di noi, sfiorando il mio
stomaco e il pube. «Continua come facevi prima. L’ho immaginato centinaia di volte e ogni
volta mi diventava duro.»
Tremando, mi sollevai leggermente per consentirgli un completo accesso. Affondò due
dita dentro di me. Era esattamente quello che volevo: sentire una parte di lui dentro di me.
Feci come mi aveva chiesto, cavalcando le sue dita fino a raggiungere l’orgasmo.
«Così... così...» mormorò.
Lasciai ricadere la testa all’indietro e un grido mi uscì dalle labbra. Era... così... bello.
Lampi di luce si accesero dietro le mie palpebre mentre venivo e sentivo una parte di me
librarsi verso le stelle. Mentre le pareti interne si contraevano e si rilassavano, il piacere
si riverberò in me a ondate. Non so quanto durò l’orgasmo, ma quando l’ultimo spasmo si
placò, crollai sul petto di Rome.
Mi fece rotolare sulla schiena, ribaltando le posizioni. Allungando una mano, frugò nella
tasca dei suoi pantaloni e ne estrasse un preservativo.
«Quando te lo sei messo in tasca?» domandai senza fiato.
«Dopo averti incontrata. Ho messo un preservativo in tutti i pantaloni che possiedo.»
Inarcai un sopracciglio con una risata sommessa. «Eri così sicuro di te?»
«Così pieno di speranza.» Con il sudore che gli colava dalle tempie e i muscoli
contratti, srotolò il preservativo su tutta la lunghezza del pene, poi la sua bocca fu sulla
mia, avida di baci.
Non l’avrei creduto possibile dopo quell’orgasmo così violento, ma in pochi secondi
incominciai a riscaldarmi nuovamente. Mi inarcai, dimenandomi contro di lui,
allungandomi, facendo le fusa.
Sussurrai il suo nome con respiro ansimante.
Lui gridò il mio.
«Dentro di te. Adesso.»
«Dentro di me. Adesso.» Allargai le gambe, allacciandogli le caviglie dietro la schiena.
Oh, sì.
Affondò completamente dentro di me. Basta preliminari. Basta lentezza. Ci eravamo
spinti troppo oltre per questo. Inarcai la schiena e gridai. Le mie terminazioni nervose
presero fuoco e le fiamme mi lambirono.
Rome le attirò dentro di sé e credo che questo aumentasse il suo piacere perché lo sentii
ritrarsi e affondare nuovamente. Dentro e fuori. Ancora e ancora. Ci tendemmo uno verso
l’altra. Mentre il piacere aumentava, i suoi movimenti divennero più veloci. I miei
capezzoli sfregavano contro il suo petto in una deliziosa frizione.
Mi baciò e le nostre lingue si misero a duellare, seguendo il ritmo dei corpi. Chiusi gli
occhi assorbendo le sue spinte sempre più frenetiche, poi li riaprii con uno sforzo perché
volevo osservarlo mentre veniva.
Ebbi una visione fugace della fiera che c’era in lui: un lampo di zanne e di pelo e, che
Dio mi aiuti, questo mi eccitò ancora di più. Per la seconda volta risalii le vette del
piacere e un altro orgasmo mi travolse.
«Belle» ruggì mentre veniva anche lui. «Belle, Belle, Belle.»
Rimasi a lungo tra le braccia di Rome. Grazie al cielo, gli unici incendi che avevo
provocato erano stati quelli dentro di noi. Gli alberi erano intatti e gli animali
continuavano indisturbati le loro occupazioni.
Mi sentivo esausta e appagata. Era molto tempo che non facevo sesso e comunque mai
così. Avevamo la pelle imperlata di sudore, che ci appiccicava l’uno all’altra. Mi
stiracchiai languidamente. «Vado a fare una nuotata» annunciai.
«Hmm, preferirei che restassi tra le mie braccia.»
Gli posai un bacio sul petto e mi alzai. Le ossa protestarono, ma mi costrinsi a rimanere
in piedi. Se avessi indugiato tra le sue braccia, probabilmente avrei ripensato a quello che
avevamo fatto, probabilmente mi sarei innamorata ancora di più. Era già diventato una
droga.
«Che bella vista» disse in tono pieno di ammirazione.
Gli lanciai un sorriso oltre la spalla ed entrai in acqua. La sua freschezza mi lambì,
facendomi rabbrividire. Mi tuffai per trovare sollievo al calore che mi surriscaldava le
guance e rimasi sott’acqua finché i polmoni mi costrinsero a riemergere per riprendere
fiato. La pozza era più profonda di quello che avevo pensato. E tranquilla. Avanzai
lentamente, galleggiando sul pelo dell’acqua.
«Dovresti venire anche tu» dissi. Rome era immerso nell’ombra e riuscivo appena a
distinguere la sua sagoma dal punto in cui mi trovavo.
«No, sei tu che dovresti uscire» replicò in tono mortalmente serio. Non c’era traccia di
scherzo nella sua voce.
«Vuoi solo vedermi ancora nuda.»
La sua sagoma si fece più imponente mentre si avvicinava. «Veramente non vorrei che
quell’alligatore ti divorasse.»
Lanciai un grido – un urlo penetrante, da fine del mondo – e schizzai fuori dall’acqua più
velocemente che potevo. Mi gettai tra le braccia di Rome, con il cuore che batteva così
forte da farmi temere che sarebbe esploso.
Quel vigliacco stava ridendo!
«È quel che ti meriti per avermi sparato col taser.»
Serrai le labbra per trattenermi dal ridere anch’io. «Il tuo è un gioco sleale, Mr.
Masters.»
«Avevi ragione.» Mi sfregò il naso contro le guance. «In realtà volevo vederti ancora
nuda. Mi spiace di averti spaventata.»
«Ti dispiacerà ancora di più quando non mi lascerò più vedere nuda.» Mi rivestii e
dopo un po’ mi imitò anche lui, seppur controvoglia. «Prendimi se sei capace!» gridai,
correndo verso il bungalow.
Rome mi inseguì ridendo e la sua risata echeggiò nella notte. Adoravo quel suono così
raro. Mi strinse il braccio intorno alla vita e mi guidò fino alla soglia del bungalow, dove
aprì la porta con una spallata. «Vai a...» Si fermò bruscamente, annusando l’aria, e una
strana espressione gli attraversò il viso, cancellando ogni traccia di buonumore. Si irrigidì.
«Vai in macchina» disse con calma.
Che cosa diavolo stava succedendo? Mi girai ma...
«Non occorre che se ne vada» disse una voce sconosciuta dall’interno. «Sarà meglio che
tu la faccia entrare, visto che se fa un solo passo verso l’auto le sparo.»
Spaventata da quella voce, mi voltai di scatto. Mi aspettavo di assistere alla mutazione
di Rome, o quanto meno di vederlo in posizione di attacco. Invece entrò tranquillamente
nel bungalow, tirandomi dietro di sé e facendomi scudo con il suo corpo.
Dominando il panico, mi guardai intorno in cerca di Tanner. Era seduto sul divano e i
nostri sguardi si incontrarono. Era pallido, ma se non altro era vivo e non sembrava ferito.
Mi rilassai leggermente.
Quando Rome si fermò bruscamente, non rimasi dietro di lui, ma mi spostai al suo
fianco. Mi lanciò uno sguardo sorpreso – come se non riuscisse a credere che preferivo
combattere con lui anziché stare al riparo – e al contempo orgoglioso. Poi concentrò la sua
attenzione sull’intruso. Lo imitai e rimasi a bocca aperta davanti alla visione che mi si
presentò.
Era un angelo caduto dritto dal cielo. L’uomo più bello che avessi mai visto sedeva
nell’unica poltrona della stanza. I suoi capelli biondi erano così chiari da sembrare
argentei. Gli occhi erano ancora più sorprendenti: avevano un bagliore metallico e
sembravano... scintillare. I lineamenti erano perfettamente proporzionati: naso diritto,
zigomi alti, labbra piene e rosate.
«Non è armato» sussurrai a Rome tra i denti.
«Oh, lo è, ma la sua arma è molto peggiore di una pistola.» Rome fece un cenno del capo
in segno di saluto e disse: «Cody. Vorrei poterti dire che è un piacere rivederti».
Così si conoscevano. Non sapevo se rallegrarmi o no. Per quel che ne sapevo,
quell’uomo poteva odiare Rome e volerlo morto.
«Ho parcheggiato un po’ lontano e ho ripulito le tracce» disse Cody. «Spero che non ti
dispiaccia.»
«Si dà il caso che dispiaccia a me» intervenni, incrociando le braccia sul petto con
quella che speravo fosse un’aria dura e minacciosa.
Le sue labbra angeliche si piegarono in un sorriso feroce. «Peccato.» Riportò
l’attenzione su Rome e riprese: «Sono contento che abbiate finalmente deciso di
raggiungerci. Stavamo per venirvi a cercare. Perché non vi sedete accanto al ragazzo». Era
un ordine, non una domanda.
Guardai Rome, che mi rivolse un impercettibile cenno del capo. Aveva la mascella
contratta e le labbra tirate. Non sapevo se attendere un suo segnale più chiaro per entrare in
azione. Se avessi creato un diversivo, lui e Tanner sarebbero potuti fuggire.
«Devo appiccare un incendio?» mormorai. In realtà non ero nemmeno sicura di avere
l’energia per farlo.
Quell’uomo, Cody, scoppiò in una breve risata priva di ogni allegria. «Se vuoi un fuoco,
tesoro, posso procurartelo io.»
«Siediti» mi disse Rome. «Non fare niente.»
Mi lasciai cadere controvoglia sul divano accanto a Tanner, che si strinse al mio fianco
e mi prese per mano. «Scusami per prima» mormorai.
Fece un cenno del capo. «Conosci quel tipo?» mi chiese in tono pacato.
Scossi il capo. «Rome e io lavoriamo insieme» ci informò Cody, come se Tanner avesse
rivolto a lui la domanda.
Oh, oh! Non era per niente un buon segno. Molto probabilmente era venuto lì per
prendermi in consegna e portarmi da John. Un nodo mi si formò in gola (quanti ne avevo
dovuti mandare giù negli ultimi giorni?). Mi liberai dalla stretta di Tanner e nascosi
entrambe le mani tra le ginocchia, stiracchiando le dita di nascosto. Sarebbe stato difficile
ricorrere alle mie emozioni: mi sentivo svuotata; tuttavia ero decisa a non lasciare quel
posto senza lottare. Al diavolo gli ordini di Rome.
Cody si alzò e si parò di fronte a Rome, naso contro naso. «John vuole vederti. Sono
stato incaricato di trovare prima te e poi la ragazza, ma vedo che mi hai risparmiato un po’
di fatica.» Indicò nella mia direzione con il mento, poi si voltò nuovamente verso Rome.
«È da un po’ che non chiami. Eravamo preoccupati, anche se ora mi rendo conto che non
era il caso» disse in tono accusatorio.
«Non permetterò che la prendiate.» La voce di Rome era minacciosamente calma.
Cody inarcò un sopracciglio. Stranamente era scuro, in netto contrasto con il colore
chiaro dei capelli. «Allora è così che stanno le cose?»
Rome annuì. «Proprio così. Non voglio che venga arruolata.»
«Conosci le regole. Sai come vanno le cose. Hai accettato l’incarico e ora devi portarlo
a termine oppure lo farà qualcun altro al tuo posto.»
«Lei non si è offerta volontaria come noi, Cody.»
«Questo non cambia i termini del tuo incarico.»
«Lei resta qui.»
«Non le faranno niente che non abbiano già fatto a noi» replicò Cody, esasperato.
«Te l’ho già detto: noi eravamo consenzienti, lei noi.»
«Non importa. Gira voce che sia pericolosa. Che possa scatenare degli incendi.»
«Come chiunque armato di un accendino» ribatté Rome.
«Gli accendini non possono scatenare temporali. E nemmeno congelare gli edifici.»
«Se continui a parlare, ti congelerà qualcos’altro» intervenne Tanner.
Gli uomini lo ignorarono.
Io mi spostai nervosa sul divano, indecisa tra l’attacco e la pazienza. Stavano discutendo
di me come se non fossi presente e la cosa non mi piaceva affatto.
«Rome, non farmi perdere la pazienza» sbottò Cody. «I miei ordini sono di portarvi
entrambi da John e questo è tutto. Se non passa dalla nostra parte e non viene addestrata,
sarà solo questione di giorni prima che Vincent e i suoi uomini la trovino. Tutto quello che
vuole John è sottoporla a qualche test per poi metterla in campo. Renderà un grande
servizio al mondo, combattendo contro i cattivi.»
Forse avrei dovuto provare a congelarlo, dando così a Rome il tempo di decidere che
cosa fare di lui. Una gabbia di ghiaccio non lo avrebbe comunque ucciso. «Rome» li
interruppi.
Lui intuì quello che stavo per chiedergli. «No» disse. «Non fare niente.»
«Forse non è nemmeno in grado di farcela» borbottò Tanner. Gli diedi una gomitata allo
stomaco e udii un humph.
Cody sorrise. «Sono un elettrofilo, dolcezza, e Rome teme che ti faccia del male.» Di
fronte al mio sguardo perplesso mi spiegò: «So come maneggiare e controllare l’elettricità
e se cerchi di usare i tuoi poteri contro di me, ti procurerò un elettroshock che ti ricorderai
per tutta la vita».
«Ricordi quel taser che hai usato su di me?» chiese Rome, senza voltarsi a guardarmi.
«Cody può procurarti una scossa più intensa di mille volt.»
Il sorriso di Cody si allargò. «Ti ha immobilizzato?»
Rome annuì.
«Complimenti, dolcezza» disse il bellissimo traditore.
«Non dirai più così quando avrò fatto lo stesso con te» replicai con una sicurezza che
ero ben lungi dal possedere.
Cody rise. «Capisco perché vuoi tenerla con te, Rome. Non ce ne sono molte di così
folli e coraggiose. È perfetta per il SIP.»
Rome non rispose.
«Finora John non ha capito che avevi intenzione di fuggire. Vuole solo che tu e la
ragazza gli veniate consegnati sani e salvi.»
«Che cosa accadrebbe se Rome rifiutasse?» domandai.
Cody scrollò le ampie spalle. «Ammesso che gli consenta di farlo.»
«Sarò braccato» mi disse Rome. «E anche tu.»
«Il governo non può permettere che individui come noi vadano in giro liberamente, senza
qualcuno che li controlli» aggiunse Cody. «O lavoriamo per loro o contro di loro. E
lavorare per loro non è poi così male. Una volta dovetti neutralizzare una donna che aveva
succhiato l’anima da un uomo durante l’orgasmo. Letteralmente.»
«L’hai uccisa?» ansimai.
Aggrottò la fronte. «No, l’ho fatta addormentare e poi è stata rinchiusa a Château Villain
con i suoi simili. Comunque, se ti comporti bene e fai un po’ di gavetta dando la caccia a
qualche falso sensitivo e cavolate del genere, alla fine potrebbe capitarti qualche perla
rara, come quell’assatanata del sesso. Il miglior incarico della mia vita. Se invece continui
a fuggire, be’...» Si strinse nelle spalle. «Non possiamo permettere che tu finisca nelle
mani di qualcun altro.»
Rome sarebbe stato braccato se non avessi collaborato. Non mi importava di me stessa.
Cioè, sì, ma non tanto quanto mi importava di lui. Se Rome era in pericolo, Sunny lo
sarebbe stata ancora di più. Rome probabilmente se lo aspettava, forse l’aveva perfino
accettato, ma...
Forse il modo migliore per aiutarlo a raggiungere il suo scopo era consegnarmi, così non
sarebbe stato incolpato della mia fuga. Questo gli avrebbe dato più libertà d’azione. Chiusi
gli occhi per una frazione di secondo, incapace di credere a quello che stavo per fare. Ma
alla fine mi costrinsi a pronunciare le fatidiche parole. «Verrò con te.»
Rome si voltò di scatto verso di me, distogliendo l’attenzione da Cody. I suoi occhi
sprizzavano lampi di collera. «Non dire un’altra parola» disse bruscamente.
«Andrò con lui.» Mi alzai raddrizzando le spalle, senza staccare lo sguardo da Cody.
«Devi ammanettarmi o qualcosa del genere?»
I suoi occhi argentei mandarono un luccichio malizioso. «Se proprio vuoi, dolcezza.»
«Non devi farlo, Belle» intervenne Rome. «E per l’amor del cielo, Cody, non metterti a
flirtare con lei!»
«Già» ribadì Tanner, piazzandosi dietro di me. «Rome ha ragione.»
«Voglio farlo» ribadii con calma. Quei due avevano già fatto tanto per me. Rome mi
aveva messa davanti al suo lavoro e mi aveva aiutata a introdurmi nella casa del dottor
Roberts. Adesso aveva bisogno di me e io non l’avrei abbandonato. «Cody dice che non
sarà poi tanto male» aggiunsi in un tentativo di tranquillizzarlo.
Rome sospirò. «Allora verrò con te.»
«Anch’io.» Tanner assunse una posizione d’attacco, allargando le gambe e puntando le
mani sui fianchi.
«Eccellente.» Il tono di Cody era soddisfatto, ma la sua espressione tradiva la sorpresa
e la confusione. «Festeggeremo per strada.»
«Non ci porterai al quartier generale» disse Rome, voltandosi nuovamente a guardarlo.
«Non voglio che Belle si avvicini al laboratorio.»
L’angelo biondo perse il suo sorriso. «So che cosa stai cercando di fare...»
«Chiudi quella bocca e chiama John. A meno che tu non voglia lo scontro, questi sono i
miei termini.»
Ci fu una lunga pausa, carica di tensione, poi Cody si strinse nelle spalle. «Bene.»
«Digli che ci incontreremo nel parco vicino a casa sua fra due ore. E niente agenti.
Capito?»
«Nessuno sa dove vive» disse Cody, inarcando un sopracciglio.
«Io sì.»
Cody lo guardò con ammirazione, poi annuì. «D’accordo, lo chiamerò.»
Viaggiammo per un’ora. Tanner e io eravamo seduti sul sedile posteriore di una
confortevole berlina. Gli interni erano in pelle nera, che sembrava il colore preferito da
tutti i tipi di agenti. Nell’insieme piuttosto elegante, per quanto può esserlo un veicolo per
carcerati.
«Come l’ha presa John?» chiese Rome, guidando lungo una strada tortuosa.
Cody ridacchiò. Aveva obbligato Rome a guidare in modo da avere le mani libere per
poterci tenere sotto controllo. «Non l’ho mai sentito così infuriato. Come hai scoperto dove
abita? È così prudente che dubito persino che sua moglie sappia dove vive.»
«Un giorno l’ho seguito.» Il tono di Rome suggeriva che non era stata una grande
impresa, ma io avvertivo il suo orgoglio.
«Così impara a creare uomini pantera, giusto?»
L’alba colorava il cielo di rosa e di porpora. Sbadigliai. Non dormivo da... quanto? Non
riuscivo nemmeno a ricordarlo. Gli ultimi giorni non erano stati esattamente tranquilli, ma,
se non altro, ero troppo stanca per essere spaventata dal confronto che mi attendeva.
«Fermati qui» ordinò Cody.
Seguendo le sue indicazioni, Rome arrestò l’auto nei pressi di un bellissimo parco. I
prati in fiore erano una distesa di giallo, rosso e blu. C’erano due altalene, una giostra e
diversi scivoli per bambini.
Non c’era nessuno.
Tuttavia avvertivo uno strano pizzicore alla nuca, come se qualcuno ci stesse
osservando. Probabilmente John. Iniziai a slacciare la cintura di sicurezza.
«Siamo stati individuati» disse a un tratto Rome. «E non da John. Vedi quei due Suv
neri, con i finestrini fumé?»
Cody guardò dallo specchietto laterale. «Vincent. Dio, quell’uomo è così prevedibile.»
«Vuole Belle tanto quanto la vuole John» osservò Rome.
«Bene, non possiamo lasciare che si avvicini a John. Se gli facesse del male, il SIP si
troverebbe nel caos e Vincent potrebbe cercare nuovamente di assumerne il controllo.»
«È solo un vigliacco» borbottò Tanner in tono spavaldo, come se potesse sconfiggere
Vincent senza sforzo.
Rome si passò una mano tra i capelli e strinse il volante con l’altra. «Maledizione. Sei
pronta per un altro giro sulle montagne russe, Belle?»
«Vai!» dissi, anche se ero in preda al terrore dalla testa ai piedi. E dire che credevo di
essere troppo stanca per avere paura. Alzai gli occhi al cielo. Grazie mille per avermi
dimostrato il contrario. Dal mio punto di vista, questo provava al di là di ogni dubbio che
Dio è di sesso maschile.
21
Fu un inseguimento in auto spettacolare. Rischiammo più volte di finire contro auto
parcheggiate, veicoli in movimento, alberi ed edifici. Niente era al sicuro dalla nostra
corsa sfrenata. Ero sorpresa che la polizia non fosse ancora intervenuta. Forse Vincent
l’aveva convinta a non intromettersi, come era successo al caffè. Non lo sapevo. Ero certa
però di una cosa: avevo lo stomaco in subbuglio ed ero molto vicina a vomitare.
Mentre sfrecciavamo lungo l’autostrada, un Suv nero ci raggiunse. «Ehi, ragazzi,
guardate alla vostra sinistra.»
«Non posso» disse Cody, ridacchiando. Non aveva smesso di ridere da quando era
incominciato l’inseguimento. O era un maniaco del pericolo o era completamente pazzo.
Forse entrambe le cose. Si sporse dal finestrino, puntò la pistola che aveva estratto dalla
fondina allacciata alla caviglia, e sparò qualche colpo. «Ne abbiamo uno anche a destra.»
«Cosa?» Mi girai di scatto e ansimai. Un altro Suv nero ci stava stringendo dal lato
opposto.
Il fragore degli spari, a cui mi ero ormai abituata, fu seguito da un cozzare di metallo.
Non mi vergogno di dire che mi misi a piagnucolare come una bambina. Ma dovevo tenere
sotto controllo la paura se non volevo rischiare di congelare il motore.
A livello razionale, sapevo che avrei dovuto scatenare un temporale che ci nascondesse
alla vista dei nostri inseguitori, solo che non ci riuscivo. La paura era troppo forte perché
potessi concentrarmi sulla tristezza. Anche se mi avessero offerto un milione di dollari e un
biglietto di sola andata per il paradiso, non sarei stata in grado di far piovere.
«Andrà tutto bene» disse Rome, schiacciando il pedale del freno.
L’impatto mi scaraventò in avanti, ma la cintura di sicurezza mi trattenne, salvandomi la
vita. I Suv ci superarono e Cody sparò ancora mentre Rome sterzava bruscamente,
immettendosi nella carreggiata contraria.
«Qualcuno avrebbe potuto tamponarci» strillai, isterica. «Potevamo restare uccisi.»
«Ho controllato prima di frenare, piccola, e non c’era nessuno dietro di noi. Abbi un po’
di fiducia.»
«Già, abbi un po’ di fiducia» ripeté Tanner. Parole coraggiose, peccato che il pallore
del suo viso e il tremito delle mani lo tradissero.
Diverse auto ci sfiorarono, suonando il clacson e sterzando bruscamente per evitare di
centrarci mentre procedevamo contromano. Strizzai le palpebre per impedirmi di guardare.
«Come ha fatto Vincent a trovarmi?» Bene. Fai conversazione. Forse posso fingere di
essere a casa mia, con mio padre, a bere cioccolata calda e guardare cartoni animati.
«Sono certo che ha sguinzagliato i suoi uomini in tutta la città; uno di loro ci ha visti e ha
chiamato gli altri» disse Rome.
«Non voglio che parli, Rome» replicai. «Voglio che ti concentri sulla guida. Può
rispondermi Cody.»
«Sono certo che ha sguinzagliato i suoi uomini in tutta la città» ripeté Cody con la sua
risatina. Quel suo dannato vizio di ridacchiare! «Qualcuno ha visto la nostra auto, ha
immaginato che ci fossi anche tu dentro ed ecco questa scena degna di un film di serie B.»
«Stanno guadagnando terreno» intervenne Rome, distruggendo la scena domestica che
stavo creando nella mia mente. «Usa i tuoi dannati poteri, Cody, e facciamola finita.»
«Se lo faccio, provocherò un black out nell’intera area.»
«E allora?»
Silenzio, poi: «Bene». Cody si sporse dal finestrino e allungò un braccio. L’elettricità
scaturì dai pali vicini e fluì verso di lui in fasci giallo aranciati. Dopo aver raccolto
quell’energia crepitante nel palmo, la scagliò contro i Suv. Le luci della strada, che già si
erano attenuate dopo il sorgere del sole, si oscurarono completamente.
Crash!
Le auto esplosero come uno spettacolo di fuochi d’artificio degno del 4 luglio. Una delle
due si rovesciò fuori strada. A quel punto chiusi nuovamente gli occhi e nascosi la testa fra
le ginocchia. Respira: dentro, fuori...
Grazie al cielo li avevamo finalmente seminati e potemmo tornare al parco dove
avremmo dovuto incontrare John. Quando dissi a Rome e a Cody che erano degli stupidi a
tornare lì, risero entrambi.
«Vincent non penserà mai che siamo così stupidi da tornarci, così non si farà vedere» fu
la giustificazione di Rome.
«Tutto bene, Tanner?» chiesi. «Sei così silenzioso.»
«Stavo solo pensando alle ragazze» rispose con un sorriso nervoso.
Cody tirò fuori dalla tasca un cellulare e compose il numero di John. Lo informò
brevemente di quello che era successo e gli disse dove ci trovavamo. Quando chiuse la
comunicazione, si voltò verso Rome e disse: «È per strada. Verrà con la scorta».
Mezz’ora più tardi, un’auto parcheggiò accanto alla nostra. Stessa marca, stesso
modello. Ne uscirono quattro individui. Scendemmo anche noi. Subito Rome mi si avvicinò
e mi prese per mano. C’erano dei bambini sulle altalene, non molto lontano, sotto l’occhio
vigile dei genitori.
«Ti fidi di me?» sussurrò Rome.
«Sì, grazie per averlo chiesto» disse Tanner in tono sarcastico e non del tutto tranquillo.
«Sì» mormorai in risposta. Osservai l’uomo che era indubbiamente il capo: era l’unico
che non sembrasse appena uscito da un calendario di palestrati. Era alto poco più di un
metro e settanta, con radi capelli grigi, occhiali e un po’ di pancia. Però emanava molto più
potere dei suoi compagni.
«Belle Jamison. Finalmente ci incontriamo» mi disse.
«Sì.» Ecco in carne e ossa uno degli uomini che volevano controllarmi. In qualche modo
appariva più minaccioso degli agenti che gli stavano intorno, tutti alti e muscolosi, e dotati
di una forza misteriosa. Uno di loro aveva i capelli rossi, un altro neri e il terzo biondo
castano. Il rosso stava fumando e soffiava il fumo verso di me. Tossii, la gola irritata dalle
ceneri.
«Buttala subito» sbottò Rome. Non contento di aspettare che l’altro obbedisse, gli
strappò il mozzicone dalle labbra e lo gettò al suolo, schiacciandolo con lo stivale.
Lentamente la tosse si placò. John aveva osservato la scena con interesse.
«Una forte avversione agli inquinanti» osservò. «Sei sempre stata così?»
Com’era possibile che quella figura paterna avesse ordinato di sottopormi a terribili
esperimenti? «No» risposi in tono esitante. «Solo di recente.»
«Interessante.» I suoi occhi assunsero un’espressione distante, come se stesse eseguendo
mentalmente il calcolo di un’equazione.
«Facciamola finita al più presto» tagliò corto Rome.
«Come vuoi.» I lineamenti del vecchio si alterarono per la collera, consentendomi di
intravedere il tiranno che sarebbe stato pronto a farmi del male senza battere ciglio.
«Perché non mi dici come mai non hai consegnato Belle dopo che l’avevi trovata? Perché
non mi dici come mai hai tagliato tutti i contatti con noi?»
Con espressione indecifrabile, Rome si spostò davanti a me. «Hai sempre voluto che
Vincent uscisse di scena, ma il governo non ti permette di eliminarlo. Bene, sarò io a
occuparmene, e farò in modo che niente ti colleghi a lui, ma ho bisogno di Belle come
esca.»
John aggrottò la fronte. All’unisono, le sue guardie del corpo incrociarono le braccia sul
petto e si strinsero al suo fianco. «Non posso correre il rischio. Inoltre voglio che prima
venga testata.»
«Non c’è tempo per questo. Devi scegliere se liberarti di lui o no.»
«Che cosa ti fa pensare di poterlo eliminare senza che la colpa ricada su di me?»
«Non rimarrà alcuna prova se Belle sarà al mio fianco. Gliela consegnerò e lei raderà al
suolo il suo laboratorio con un incendio.»
Finalmente la conversazione era arrivata alla parte che mi riguardava da vicino. «Hai
davvero intenzione di usarmi come esca per adescare quel pazzo?» chiesi, inorridita prima
di serrare le labbra di scatto. Fidati di lui. Se non altro non aveva accennato al messaggio
del dottor Roberts.
Allungando una mano dietro la schiena, Rome prese la mia e la strinse. «Vogliamo
introdurci nel suo laboratorio stanotte» disse. «Credimi, Vincent abboccherà.»
Seguì una lunga pausa, riempita solo dal fruscio del vento e dal ronzio degli insetti. Poi,
in lontananza, udii il rumore di un elicottero. Santo cielo. Non sarebbe mai finita? I cattivi
dovevano aver capito che eravamo in zona e non intendevano darci tregua.
«Sì o no, signore?» Rome tese entrambe le braccia in avanti. «Non possiamo restare qui,
ci individueranno. Scegli se prendere Belle o lasciarci fare a modo nostro.»
Mi fidavo di Rome, davvero. Ma Cristo santo, stava giocando d’azzardo con la mia vita!
Un muscolo si contrasse sulla guancia di John. «Al momento non ho uomini disponibili.
Sono tutti impegnati e io non posso rinunciare alle mie guardie del corpo con Vincent così
vicino.»
«Ce la faremo da soli» gli assicurò Rome.
John rimase in silenzio, e dopo un sospiro borbottò: «E va bene, ma Cody viene con te.
Entra nel laboratorio, uccidi Vincent e portami Belle. Capito?». I suoi occhi lampeggiarono
minacciosi, avvertendo Rome di quali sarebbero state le conseguenze nel caso non avesse
obbedito.
Io deglutii.
Lui annuì.
Senza aggiungere una parola, tornammo alla nostra auto e questa volta Cody reclamò il
posto del guidatore. Premette l’acceleratore e schizzò in direzione di una macchia d’alberi
vicina. Mi voltai a guardare, ma l’auto di John era già sparita.
«Il laboratorio di Vincent ha un sistema di sicurezza interna che non dipende dalla
centrale elettrica» spiegò Rome a Cody.
Sapevo che il laboratorio di Vincent era il luogo dove aveva lavorato il dottor Roberts,
l’edificio di fronte al Caffè Utopia. Ormai la notte era calata, purtroppo, il che significava
che stavamo per introdurci nella tana del lupo. Dritti nel pericolo. In quel momento ci
trovavamo ancora a diversi isolati di distanza, a un incrocio deserto. Avevo già la nausea:
il pericolo ha un pessimo gusto.
«Non sarà un problema.» Cody batté la mano sul palo della luce vicino. «Ma le luci
dipendono dalla centrale elettrica. Sarò dentro prima che ve ne accorgiate.»
Non sto scherzando: Cody si arrampicò sul palo, allungò la mano e afferrò due fili. Le
scintille si sprigionarono tutt’intorno al suo corpo prima che lui stesso si disintegrasse. Da
terra, lo osservai a occhi spalancati mentre trasformato in corrente avanzava lungo i fili
fino a scomparire.
«Mio Dio» ansimai.
«È un buon alleato da avere al nostro fianco.»
«Cercheremo davvero di attirare fuori Vincent e di ucciderlo?»
«Sì. Prima però dobbiamo trovare la formula che Roberts ha lasciato nell’edificio, così
la useremo come esca al tuo posto. Riesci a far piovere?» mi chiese senza neppure
riprendere fiato.
«Sì.» Forse. Quante emozioni poteva sopportare una ragazza prima di finire bruciata per
autocombustione? O, ancora meglio, prima di suicidarsi?
In quel momento non volevo altro che mettere a tacere il mio stomaco e lasciarmi andare
al torpore. Sperimentare un’anestesia totale. Perfino il pensiero della felicità era troppo;
volevo solo l’oblio.
Tanner mi prese una mano e mi diede una pacca di conforto. «Puoi farcela. So che ce la
puoi fare.»
Presto l’avremmo scoperto. Evocai dei pensieri tristi, ma le emozioni non mi toccavano.
Era come se stessi a guardare sul limite di un sogno, incapace di intervenire. Rome
intrecciò le dita alle mie, così da formare un triangolo insieme a me e a Tanner.
Improvvisamente mi raggiunse una corrente di forza; si udì un tuono. Mi raddrizzai. Un
momento. Non ero triste, ero semplicemente... oddio! Questo significava che non avevo
bisogno di essere triste per creare una tempesta? Forse... forse bastava la forza
dell’emozione. Come quando vediamo un arcobaleno in lontananza ma non abbiamo
bisogno di toccarlo per percepirne la bellezza.
Ci sono riserve di emozioni in ognuno di noi. Forse, se fossi riuscita ad attingere a
determinate sensazioni e sperimentare il loro effetto a distanza... Speranzosa, cercai la
tristezza sepolta nel profondo di me e la trovai. Senza lasciare che mi pervadesse, ne
sfruttai la potenza.
Un altro tuono rombò sopra di noi. Sorrisi. Sì! I fulmini saettavano nel cielo che, già
scuro, si fece ancora più cupo e carico di tempesta. La pioggia incominciò a cadere a
dirotto.
«Sei stata brava» si congratulò Tanner.
«Dobbiamo entrare nel laboratorio, piccola» disse Rome. «Cerca di mantenere la
pioggia costante.»
Annuii. Ero eccitata dalla mia scoperta, ma sarei stata più che felice di farla finita
subito.
Avanzammo sotto la pioggia, facendo del nostro meglio per rimanere nell’ombra,
evitando le luci della strada e il traffico. C’erano poche auto in circolazione. Ben presto i
vestiti bagnati mi si incollarono alla pelle e l’acqua cominciò a colarmi negli occhi.
Passando davanti al caffè, lanciai una rapida occhiata al mio ex posto di lavoro. Mi
sembrava che fosse passata una vita dall’ultima volta che ci ero entrata, il giorno in cui
avevo bevuto quel fatidico caffelatte. Che cosa avrebbe pensato Ron, il vecchio pervertito
del mio capo, se avesse potuto vedermi ora?
Quando arrivammo al laboratorio, ero ormai fradicia. Davanti alla porta d’ingresso,
Rome estrasse dei fili da una scatola metallica con una mano e con l’altra tirò fuori dalla
tasca una carta magnetica. Avvolse insieme un filo blu e uno rosso e appoggiò la carta a
uno scanner. Era chiaro che non era la prima volta che faceva una cosa simile.
La porta scorrevole si aprì.
Lui entrò e io lo seguii, con Tanner alle calcagna. L’ingresso era spoglio e anonimo. Mi
aspettavo di vedere dei computer, forse un robot e sicuramente delle guardie armate.
«L’ufficio del dottor Roberts è da questa parte.» Rome mi strinse la mano, io afferrai
quella di Tanner, e in fila indiana incominciammo a percorrere un corridoio tutto curve.
Lungo il tragitto Rome si fermò a strappare le videocamere dalle pareti. All’ultima, si
bloccò, annusando l’aria. «Sta arrivando qualcuno.»
«Sì, ed è armato!» gridò Tanner. «Giù.»
Simultaneamente Rome e io ci gettammo a terra; nel cadere, lui si buttò sopra di me.
L’uomo sparò e ci mancò. Tanner aveva già puntato la pistola e premuto il grilletto. Un
sibilo e uno schiocco mi arrivarono alle orecchie, attutiti dal rombo del sangue che mi
pulsava alle tempie. Il proiettile colpì la guardia in uniforme, che crollò al suolo a pochi
passi dal punto in cui eravamo stesi Rome e io.
«Andiamo.» Rome si rialzò, mi prese per un braccio e mi aiutò a rimettermi in piedi.
Forse ero sul punto di svenire, perché scintille e lampi di luce mi abbagliavano... poi Cody
si materializzò di fronte a me. Battei le palpebre, scuotendo il capo. Avevo ancora il
battito affrettato per quello che era appena successo e vederlo apparire così
all’improvviso non fece nulla per migliorare la situazione.
«Allora?» gli chiese Rome.
«Ho fatto centro. Sono stato dannatamente bravo» dichiarò Tanner.
«Non dicevo a te, ragazzino. Quante guardie ci sono, Cody?»
«Ne ho contate solo tre e ne ho già sistemate due...» Lo sguardo argenteo di Cody si
posò sulle piastrelle insanguinate e sulla pistola nella mano di Tanner. «A quanto pare, il
ragazzo si è occupato del terzo, quindi possiamo andare. L’edificio è stato evacuato. Forse
Vincent aveva paura di essere scoperto ed è fuggito. Il posto è sotto videosorveglianza,
comunque.»
«Ho pensato io alle videocamere» disse Rome. «Ma tutto questo non mi convince.
Troppo facile.»
«Perquisiamo l’ufficio e andiamocene di qui al più presto.» Prima di aver completato la
frase, Cody si era già avviato lungo il corridoio.
Lo seguimmo, percorrendo corridoi deserti finché non entrammo in un vasto locale dove
il suono dei nostri respiri era perfettamente udibile. Le pareti erano ricoperte di scritte in
gesso. Alcuni erano simboli che non conoscevo, altri rappresentavano chiaramente i
quattro elementi. C’era anche una tavola periodica. Diverse assi del pavimento erano state
divelte. Vincent e i suoi uomini avevano passato al setaccio quel posto in cerca di
qualcosa. L’avevano trovata? Girai su me stessa, chiedendomi che cosa fare, dove cercare
quando non c’era alcun posto dove cercare.
«Qui non c’è niente» dissi, delusa.
Il volto di Rome era corrucciato mentre studiava le pareti. Sembrava incuriosito,
incredulo e sgomento allo stesso tempo. «No, c’è qualcosa. Credevo che sarebbe stato
facile trovarlo perché Roberts è solo un uomo e non è più molto giovane, ma è decisamente
astuto. Il regalo è nascosto. Belle, usa i tuoi poteri.»
«Come? Perché?»
«Usa i tuoi poteri, piccola. Per favore.»
«Uh, certo. Okay.» Non capivo, ma non c’era tempo per discutere. Tanner si avvicinò e
intrecciò le sue dita alle mie, offrendomi conforto. «Quale? Pioggia? Fuoco? Ghiaccio?»
«Qualcuno vuole spiegarmi che cosa succede?» domandò Cody, alzando le braccia al
cielo. «Rome sa qualcosa che io non so e la cosa non mi piace.»
Rome girò su se stesso, indicando le pareti tutt’intorno. «La formula è qui, in questa
stanza, e aspetta solo Belle.» Si fermò, guardandoci con espressione determinata. «Se gli
individui normali non possono vederla, dev’esserci bisogno di una sorta di catalizzatore
per renderla visibile.»
«E tu credi che un cambiamento climatico possa essere questo catalizzatore?» La voce
di Cody era velata di scetticismo. «Questo vorrebbe dire che Roberts vuole che Belle trovi
la formula.
«Proprio così» annuì Rome.
«Perché dovrebbe volerla aiutare?» chiese Cody.
«Per fare ammenda.» Lo sguardo penetrante di Rome si posò su di me. «Prova. Fallo per
me.»
Avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Chiusi gli occhi. Concentrati, Belle. Okay. Quale
elemento avrebbe utilizzato con più probabilità il dottor Roberts? Non certo il fuoco, che
avrebbe distrutto l’intero edificio. L’acqua? Forse. Valeva la pena di provare con la
pioggia.
Anche questa volta non ebbi bisogno di evocare la tristezza, ma solo il potere insito
nell’emozione, rimanendone distaccata. Attinsi alle mie riserve più profonde, proiettandole
fuori di me. Un tuono echeggiò nella stanza, confondendosi con il rumore del temporale che
infuriava ancora all’esterno. Piegai le labbra in un sorriso orgoglioso. Visto che aveva
funzionato per ben due volte, ormai non avevo dubbi sul fatto di avere ragione.
«Rilassati un po’» mi consigliò Tanner. «Sta diventando troppo forte.»
Rome intervenne e assorbì mentalmente parte dell’energia. Fisicamente mi prese la
mano libera nella sua e io mi rilassai all’istante.
«Bene, bene» disse Tanner.
La pioggia incominciò a cadere nella stanza; grosse gocce mi bagnarono il viso e i
vestiti già inzuppati.
«Merda» imprecò Cody, correndo fuori per evitare la pioggia. «Chi l’avrebbe mai
immaginato?» Scosse il capo, sbalordito dal primo assaggio delle mie capacità. «Con
questi poteri, potrebbe farmi fuori in un baleno. L’acqua ha un effetto disastroso su di me.»
Aggrappandomi al mio ottimismo, mi guardai intorno. La pioggia continuava a cadere,
ma non si vedeva ancora alcun indizio. «La pioggia non è la risposta giusta. Bene. Che
cosa posso provare ora? Di sicuro il dottore non voleva che ricorressi al fuoco» dissi,
dando voce ai miei pensieri. «Niente potrebbe salvarsi.» Mi interruppi, aggrottando la
fronte. «O forse è proprio quello che voleva far credere agli altri.»
«Lo terremo per ultimo.» Rome mi posò un bacio sul dorso della mano. «Che cosa ne
dici del vento? Un mulinello d’aria potrebbe funzionare.»
Vento, chiamai mentalmente, senza abbandonare la concentrazione. Come prima, attinsi
alla mia riserva di emozioni. Il vento rispose immediatamente, spazzando via la pioggia.
Raffiche violente mi sferzavano addosso i vestiti bagnati. Rabbrividii per il freddo. Le assi
precarie del pavimento vibrarono; la vernice si scrostò dalle pareti.
Ancora niente.
«Prova la neve» suggerì Tanner, gridando per farsi sentire sopra il boato del vento.
Rinchiusi il vento e immaginai una tempesta di neve. «Non filtrare» dissi a Rome,
allontanando dalla mente la sua presenza. «Non ancora. Lascia che infuri per un po’.»
L’aria gelò e io fui assalita da un altro brivido che attraversò tutto il mio corpo. Grossi
fiocchi di neve caddero dal soffitto. Il pavimento bagnato si trasformò in uno strato di
ghiaccio. Sono sicura che sul mio naso si formarono dei ghiaccioli.
Trascorsero così diversi secondi. Bagnata com’ero, il freddo divenne intollerabile. Ero
scossa da brividi continui e sentivo il sangue cristallizzarsi. L’aria cominciò a solidificare.
Rome imprecò a bassa voce. «Dovrai ricorrere al fuoco, Belle. Ma non avere paura,
fuggiremo prima che il fumo possa farti male.»
Stavo per evocare le fiamme, quando le pareti cambiarono colore, virando dal bianco
all’azzurro. Come per magia, incominciarono a comparire delle parole. «Guarda, Rome.
Guarda!» esclamai, elettrizzata.
«Mio Dio» mormorò, producendo una nuvola di vapore con il suo fiato caldo. «Deve
aver usato qualche composto chimico che reagisce al freddo.»
Se non altro, non avrei dovuto radere al suolo l’edificio con un incendio. «Che cosa
dice?» chiesi, facendo del mio meglio per mantenere il livello di freddo.
«Dice: “Sei sorvegliato e mi dispiace per questo. Il legno potrebbe esserti d’aiuto”.»
Tanner aggrottò le sopracciglia. «Sappiamo di essere sorvegliati, ma che cosa significa che
il legno potrebbe esserci d’aiuto?»
«Potrebbe esserci un componente nel legno in grado di farmi tornare normale?»
azzardai.
Dato che l’acqua era ormai ghiacciata e non poteva danneggiarlo, Cody rientrò nella
stanza. Rise chinandosi a terra. «Guardate!» Il freddo aveva alterato anche le assi del
pavimento, che ora apparivano coperte di scritte.
Ci affollammo tutti intorno a Cody. «È la formula» disse Rome. Il suo tono conteneva
una nota indecifrabile. Felicità? Rassegnazione? Una combinazione di entrambe? «Forse
possiamo riprodurla e trovare un antidoto per Belle.»
Benché fino a poco tempo prima non fossi sicura di voler rinunciare ai miei poteri ora
che avevo imparato a dominarli, in quel momento mi resi conto che dovevo farlo. Avevo
bisogno di un antidoto, così Rome si sarebbe liberato delle pressioni di John, mio padre
sarebbe stato al sicuro e io non sarei stata più inseguita.
Era crudelmente ironico. Se fossimo riusciti a trovare un antidoto, molto probabilmente
avrei perso sia i miei poteri sia Rome nel giro di una settimana. Nascondi Sunny. Dai il
bacio d’addio a Rome. Prendi l’antidoto. Yin e Yang: bene e male. Non era questo
l’equilibrio del mondo?
«Solleviamo tutte le assi.» Mi chinai e ne divelsi due, tenendo in mano il legno pesante.
«Le porteremo con noi.»
Udii Rome imprecare a bassa voce. Mi fermai e alzai lo sguardo. Lui era in piedi e stava
studiando la parete, tastando un piccolo puntino scuro. «Un’altra telecamera.»
«Liberiamoci di quel dannato aggeggio e filiamocela al più presto» disse Tanner,
raccogliendo altre assi.
«Troppo tardi.» Rome si voltò verso di noi con il viso stravolto dal dolore. «Siamo
caduti in una trappola.»
«Proprio così.» Una voce divertita ci raggiunse dalla soglia. «Lasciate pure le assi a
terra. Ce ne occuperemo noi.»
22
Gli uomini armati che mi ero aspettata di vedere quando eravamo entrati nell’edificio si
riversarono improvvisamente nelle stanza ad armi spianate. Naturalmente Vincent era con
loro, come sempre, bello da mozzare il fiato. Oltre che giovane per essere un tale bastardo.
Era alto e snello e i suoi lineamenti angelici rivaleggiavano con quelli di Cody. Solo gli
occhi ne tradivano la natura malvagia. Privi di qualsiasi emozione, rendevano la sua
bellezza minacciosa e inquietante.
«Ce ne hai messo di tempo ad arrivare» disse con un ghigno crudele. Senza aggiungere
un’altra parola, tese il braccio e sparò a Rome. Mi coprii la bocca con mani tremanti,
fissando a occhi spalancati l’unico uomo che avevo amato. Era rimasto in piedi e non
vedevo sangue, ma aveva un piccolo dardo conficcato nel collo. Con un gesto convulso se
lo strappò e lo gettò al suolo. Ma già vacillava.
Evocai il fuoco e le fiamme mi si sprigionarono dalle dita, ma invece di dirigerle verso i
cattivi, le puntai verso il pavimento. Volevo la formula, ma ancor di più volevo impedire a
Vincent di impossessarsene. Non avrebbe vinto, non doveva per nulla al mondo acquisire
quei poteri.
Al contatto con il legno, le fiamme avvamparono all’istante, sciogliendo lo strato di
ghiaccio e propagandosi furiose. Qualcuno gridò. Cody approfittò della distrazione
generale per correre verso un interruttore, si trasformò in scintille e sparì all’interno del
sistema elettrico nel giro di pochi secondi. Nessuno si era accorto della sua scomparsa.
Rome barcollò in avanti, cercando di trasformarsi. Piccole chiazze di pelo gli spuntarono
sulla pelle.
«Spegni il fuoco, Belle» mi ordinò Vincent con voce piatta. «Altrimenti uccido tuo
padre.» Proprio in quel momento, mio padre venne sospinto nella stanza, seguito a poca
distanza da Lexis. Era pallido e aveva le guance incavate. I suoi abiti erano sporchi e
stropicciati, ma non sembrava ferito.
«Belle, tesoro» disse in tono di scusa. Era spaventato.
Mi fermai. Rome si bloccò e i caratteri felini svanirono. «Papà, non muoverti» gli dissi,
cercando di mettere a tacere il panico. «Andrà tutto bene.»
Le ginocchia di Rome cedettero e lui crollò al suolo. Sussultai e mi chinai su di lui.
«Non pensare neppure di aiutarlo» mi avvisò Vincent. «Spegni l’incendio.»
Nonostante il calore intenso, il respiro mi si gelò in gola. Mi raddrizzai. Pioggia,
chiamai mentalmente. Pioggia, vieni subito da me. Sentii le dita raffreddarsi, ma non
accadde nulla. La paura e la collera erano più intense di qualsiasi altra emozione e mi
impedivano di attingere alle mie riserve interiori. Mi consumavano, spingendomi a creare
ghiaccio e altro fuoco, una combinazione che non produceva risultati efficaci. Avevo
bisogno della pioggia, dannazione.
Pioggia! Le lacrime mi riempirono gli occhi e scesero lungo le guance. Guardai mio
padre. Sembrava confuso, invecchiato. «Pioggia» gridai in preda alla disperazione. Entrai
così profondamente dentro di me da provare un vero dolore fisico. Un crampo mi stringeva
lo stomaco. «Ti ordino di cadere!» Lentamente, cominciarono a scendere le prime gocce.
Strizzai gli occhi con più forza, ordinando alla pioggia di infittirsi e aumentare. Obbedì,
inondandomi il viso.
Le fiamme crepitarono e finalmente si arresero. Spesse volute di fumo si levavano
nell’aria, irritandomi la gola e facendomi tossire.
«Bene. La formula è ancora intatta.» Vincent annuì, soddisfatto.
Tossii ancora, incapace di fermarmi. «Belle» mi chiamò mio padre, ma io non fui in
grado di rispondere.
«Mi dispiace tanto» gridò Lexis. «Avrei dovuto capire che stavano arrivando, ma
avevano un specie di scudo mentale. Mi dispiace.»
«Prendeteli tutti.» Vincent indicò il nostro gruppo con un gesto della mano. «Avrò
bisogno di loro più tardi. E tenete una pistola alla tempia del vecchio, nel caso Belle
decida di scatenare un altro incendio.» Inclinò il capo di lato e lanciò un’occhiata a Rome.
«Se l’agente Masters mette fuori un solo ciuffo di pelo, uccidetelo. Dato che ora possiedo
sia la sensitiva sia la portatrice della formula, non ho più bisogno di lui. Chiaro?»
«Sì, signore» risposero all’unisono i suoi uomini.
«Gli altri raccolgano le assi del pavimento e le portino al laboratorio.»
Alcuni uomini presero Tanner, Lexis e mio padre. Io mi protesi verso di lui, ma subito
lasciai ricadere il braccio lungo il fianco. Non volevo che facesse l’eroe e cercasse di
avvicinarsi. Fa’ quello che ti dicono, gli comunicai con lo sguardo. Altri uomini tirarono
su Rome, ancora svenuto. Io continuavo a tossire, più terrorizzata di quanto non fossi mai
stata in vita mia. «Per favore» riuscii ad articolare. «Allontanate... la pistola... da mio
padre. Non farò nulla.»
Uno degli scagnozzi di Vincent mi afferrò per un braccio, ma a un cenno del suo capo mi
lasciò andare. «Mi occuperò io di lei.»
Rimasi a guardare impotente mentre l’uomo che amavo, ancora privo di sensi, mio padre
e i miei amici venivano scortati lontano da me. Collera e paura continuavano la loro lotta
selvaggia dentro di me e io riuscivo a stento a controllarle. Avrei voluto gridare, piangere,
inveire. Avrei voluto uccidere.
«Da questa parte, Belle.» Vincent mi condusse fuori dalla stanza e mi sospinse lungo il
corridoio, lontano dal fumo. Più ci allontanavamo, più la tosse diminuiva.
«Dove stiamo andando?» chiesi con la gola dolorante.
«Il laboratorio è sottoterra» rispose senza esitazione perché era sicuro che non sarei mai
riuscita a fuggire e a utilizzare quell’informazione contro di lui. Era un pensiero che mi
dava i brividi. «Voglio raccogliere i dati preliminari su di te, un’operazione che avrei
dovuto fare giorni fa.»
Non aveva un cuore? Un briciolo di compassione? Sospettavo di scoprirlo presto.
«Lascia andare mio padre e farò qualsiasi cosa vorrai. Lo giuro.»
«Farai comunque qualsiasi cosa voglia.»
«È cardiopatico e ha bisogno delle sue medicine.»
«Tu fai la brava e collabora, e io farò in modo che abbia le sue medicine. Comportati
male e lo lascerò morire. Ti piace questo accordo?»
Almeno quanto mi piaceva lui. Bastardo! Quell’uomo era freddo e privo di sentimenti
come rivelavano i suoi occhi. Se mai ne avessi avuto l’opportunità, ero sicura che l’avrei
ucciso senza alcun senso di colpa. Avrei perfino ballato sulla sua tomba. «Che cos’hai
intenzione di fare di me?»
Avevamo raggiunto la fine del corridoio e Vincent premette una serie di pulsanti. Le
porte di un ascensore si aprirono. Mi spinse dentro e subito dopo mi seguì. «Non vedo
l’ora di scoprire tutto quello che puoi fare.» Aprì un pannello sulla parete e appoggiò una
mano su uno scanner. Una luce blu lampeggiò tra le sue dita e l’ascensore cominciò a
scendere lentamente. «Abbiamo provato la formula su altri soggetti, ma sono morti. Con un
po’ di fortuna, dopo averti analizzata, saremo in grado di scoprire perché tu sei
sopravvissuta.»
Trattenni una smorfia di fronte al quadro raccapricciante che mi aveva appena dipinto.
Forse avrei potuto cercare di ucciderlo in quell’istante. Congelarlo, incenerirlo, qualsiasi
cosa pur di fermarlo.
Riusciresti a salvare gli altri in tempo? Se non dovessi farcela...
La paura mi bloccò, poi l’opportunità passò e le porte dell’ascensore si aprirono,
rivelando un locale pieno di apparecchiature, individui in camice, animali in gabbia e...
esseri umani. Sussultai. Gli esseri umani erano rinchiusi in gabbie e sembravano in
condizioni pietose. Alcuni erano privi di arti e dai moncherini uscivano dei fili. Altri
avevano placche metalliche al posto della pelle. Tutti erano pesti e sanguinanti, e mi
fissavano con sguardi pietosi, come se sapessero quello che mi aspettava.
«Che cosa fai di loro?» chiesi, incapace di nascondere l’orrore nella mia voce.
Vincent si strinse nelle spalle, indifferente. «Lavoro in un settore molto competitivo. Se
non fornisco gli agenti più forti e potenti, i clienti si rivolgeranno altrove. Pagheranno
qualcun altro perché li protegga, perché rintracci un oggetto rubato o perché uccida i loro
nemici. Un giorno le persone che vedi in queste gabbie avranno arti artificiali dai poteri
eccezionali e una corazza indistruttibile. Mi ringrazieranno.»
«Non ti importa di farli soffrire?»
«No.»
Ispezionai con lo sguardo il resto del laboratorio, cercando di non soffermarmi sulle
gabbie. Verso il fondo, vidi i miei amici e mio padre chiusi in una cella di vetro. Deglutii a
fatica e barcollai. Vincent mi sostenne. Anche a quella distanza potevo vedere che mio
padre tremava di paura. Lexis gli teneva un braccio intorno le spalle, offrendogli il
conforto che poteva. Tanner irradiava odio e paura e fulminava con lo sguardo chiunque gli
si avvicinasse. Rome era accasciato contro la parete, indebolito dal sedativo. Il suo viso
non tradiva emozioni di sorta.
Per quanto tempo li avrebbe tenuti in vita? Dannazione! Dovevo salvarli.
Vincent mi affidò a una donna più anziana, linda e azzimata come una bibliotecaria.
«Assicurala su un lettino con le cinghie» disse con lo sguardo acceso dall’impazienza, la
prima vera emozione che avesse mostrato. «E falle un prelievo di sangue.»
«Quanto?» Le dita della donna si strinsero intorno al mio braccio come una morsa.
«Quanto ti serve. Voglio sapere che cosa c’è di particolare nel suo sangue.»
«Non hai bisogno del mio sangue» protestai. «Hai la formula, adesso.»
«Tu sei sopravvissuta e voglio sapere come.»
«Sono sopravvissuta perché la formula è stata perfezionata.» Serrai le labbra di scatto.
Non avevo intenzione di dirlo ad alta voce; non volevo aiutare Vincent in alcun modo, ma
le parole mi erano uscite spontanee, inarrestabili.
Non puoi mentire a Vincent , mi aveva spiegato una volta Rome. Santo cielo, ero
davvero nei guai.
«Lo scopriremo presto» dichiarò. «Voglio condurre qualche test di verifica. E credimi,
non sarà niente di simile a ciò che puoi avere sperimentato finora. Avvisami se ti dà dei
problemi» aggiunse, rivolto alla tecnica dallo sguardo malvagio. Dopo aver pronunciato la
mia sentenza, se ne andò.
Ding, dong. Si dia inizio alla tortura di Belle.
Quelle che seguirono furono ore interminabili di prelievi e analisi, uno più doloroso
dell’altro. Quando ormai mi sentivo prosciugata, Martha, la mia aguzzina linda e azzimata,
decise di lasciarmi in pace. Voleva che fossi fresca per le torture del giorno dopo,
suppongo, quando avrebbe avuto i risultati dei primi test. Nella mia opinione da esperta,
quegli scienziati erano interessati solo ai loro esperimenti. Pietà e senso morale non
avevano alcun valore per loro, e avrei scommesso che le avventure del giorno dopo
avrebbero fatto sembrare una passeggiata quello che avevo subito fino a quel momentio.
Giacevo su una branda, all’interno della mia gabbia di vetro, e fissavo il monitor alla
parete. Per tenermi buona, Vincent voleva che avessi sempre davanti agli occhi mio padre
e i miei amici e sapessi che potevano morire da un momento all’altro. Anche se gli occhi
mi si chiudevano dal sonno, rimasi sveglia. E anche se i miei lividi mi invitavano ad
abbandonarmi all’oblio, ero incapace di staccare lo sguardo dallo schermo.
Come potevo salvarli? Che cosa potevo fare? Mi sentivo annientata dall’impotenza.
Dov’era finita la speranza? Persa, mi diceva la mia mente affaticata, come tutto il sangue
che mi era stato tolto.
A un tratto Rome si portò al centro dello schermo e guardò dritto nella telecamera. In
quel momento fu come se i nostri sguardi si incrociassero. Batté le palpebre. Sorpresa, mi
misi a sedere e lo osservai. Stava cercando di dirmi qualcosa? Batté nuovamente le
palpebre.
Dannazione, che cosa voleva che facessi? Che cosa potevo fare? Pensa, Belle, pensa.
Non potevo appiccare un incendio. Sopra di me c’era un impianto automatico che avrebbe
spento le fiamme all’istante. Mi avrebbero fermata e i miei cari sarebbero stati puniti per
quel tentativo di fuga.
Se Cody fosse stato lì, avrei potuto... Sgranai gli occhi. Cody! Mi ero dimenticata di lui.
Serrai le labbra per trattenere l’esultanza mentre sentivo risvegliarsi un filo di speranza.
Cody poteva essere ancora all’interno del sistema elettrico.
Vincent aveva acceso un generatore che non dipendeva dalla rete elettrica, ma Cody non
aveva bisogno di toccare fisicamente la corrente. Poteva crearla lui stesso dai fili, come
avevo constatato durante l’inseguimento in macchina. E poi c’era la tenue possibilità che
fosse andato a cercare aiuto.
Se fossi riuscita a tornare nel laboratorio e a trovare Cody, insieme avremmo potuto
immobilizzare le guardie. Guardai fuori. Doveva essere ormai notte perché c’erano in giro
poche persone. Adesso è il momento giusto. Mi alzai in piedi; la telecamera seguiva ogni
mio movimento.
Camminai in cerchio, esaminando la stanza in cui ero prigioniera. La branda era fissata
al pavimento; le pareti erano di vetro spesso e il pavimento era di cemento. L’unica porta
d’accesso al locale era quella scorrevole che si apriva con un sensore ottico. Non sarei
mai stata capace di forzarla.
Come potevo uscire? Continuai a camminare avanti e indietro. Se provavo a fondere il
sensore rischiavo di bloccare la porta. Se facevo ghiacciare il vetro... Un momento!
Un ricordo mi lampeggiò nella mente. Qualche settimana prima, avevo deciso di iniziare
una dieta vegetariana. Non che fosse durata molto. Comunque, avevo cucinato delle
verdure nel microonde, in un recipiente di vetro. Quando le avevo tirate fuori e avevo visto
la poltiglia che avevo ottenuto, mi era passato l’appetito, ma avevo messo il tutto nel
frigorifero nel caso avessi cambiato idea più tardi. Lo sbalzo di temperatura dal caldo al
freddo aveva spezzato in due il contenitore.
Potevo provare a fare lo stesso con la gabbia. Riscaldala, raffreddala, il vetro si
spacca e io ho via libera. Dovevo agire rapidamente perché nessuno si accorgesse di
quello che stavo facendo e potesse fermarmi. Per di più dovevo fare attenzione a non
generare troppo calore che avrebbe attivato il sistema antincendio. Guardai verso il
laboratorio e incontrai lo sguardo di diversi scienziati. Mostrai loro il dito medio e vidi
che ne prendevano nota nei loro taccuini. Che cosa stavano scrivendo?, mi chiesi. Il
soggetto mostra un atteggiamento morbosamente impudente?
Potevo riscaldare l’aria evitando le fiamme? Senza Tanner che mi dicesse quando le
emozioni diventavano troppo violente, e senza Rome che facesse da filtro, mi sembrava
un’impresa impossibile. Ma dovevo comunque tentare.
Continuando a camminare, attinsi alle mie emozioni più profonde. Evocai il desiderio
per Rome che impregnava ogni cellula del mio corpo. Mi concentrai su immagini di lui
nudo, di me nuda. Rome che mi copriva di baci su tutto il corpo e si soffermava in mezzo
alle mie cosce.
Mi sentii assalire da un intenso calore. L’aria intorno a me si fece più calda.
Dopo Rome, fu il mio turno. Lo baciai dappertutto, presi in bocca il suo sesso e lo
succhiai. Lui emise un gemito, gridando il mio nome.
Sia l’aria sia io sfrigolammo, aumentando di un altro grado. Piccole fiammelle mi
spuntarono sulla punta delle dita. Nascosi le mani dietro la schiena e mi voltai verso la
parete di vetro, tenendo lo sguardo fisso davanti a me. I capezzoli si erano induriti e le
ginocchia mi tremavano.
Immaginai Rome che mi diceva ti amo.
Venni scossa da un tremito. Il calore che mi usciva dagli occhi si fece più intenso e colpì
la parete. Un sottile strato di vapore ricoprì gli angoli. Raffreddati, gridai tra me.
Raffreddati subito. Cambiai direzione alle mie emozioni e il calore che usciva dagli occhi
si attenuò, facendosi sempre più freddo. Il vapore si trasformò in ghiaccio.
Un crack sonoro echeggiò nella gabbia e una crepa si diffuse sul vetro come una tela di
ragno. Sull’onda del successo, mi avvicinai e tirai un calcio alla parete. Al primo contatto,
il vetro si frantumò, ricadendo intorno a me in minuscole schegge appuntite. Le grida di
panico degli scienziati mi accolsero mentre entravo nel laboratorio.
Qualcuno gridò all’interfono: «È fuggita!».
«Cody!» chiamai. «Cody, siamo qui» ripetei, sperando che potesse sentirmi. Doveva
essere scattato un allarme silenzioso, perché diverse guardie armate si riversarono nel
laboratorio, facendosi strada tra i medici e gli scienziati. Le persone rinchiuse nelle gabbie
gridavano a gran voce e allungavano le braccia oltre le sbarre per afferrare i propri
torturatori.
«Cody!»
Le guardie si stavano dirigendo verso di me. Non sapendo che cosa fare, tesi le mani e li
congelai tutti come avevo fatto con il vetro. Poi, in uno sciame di scintille, Cody si
materializzò da un pannello elettrico. Senza fermarsi un istante, lanciò una raffica di
elettricità contro gli uomini che non avevo visto arrivare alle mie spalle. Caddero al suolo,
scossi dalle convulsioni.
«Libera gli altri» mi gridò Cody. «Non sono riuscito a lasciare l’edificio per chiamare
rinforzi. Mi spiace, dolcezza, ma siamo solo tu e io.»
Mi precipitai verso l’altra gabbia di vetro. Rome era in piedi e aveva ripreso le forze.
Aveva svegliato tutti e anche gli altri si erano alzati. Ma poco prima che raggiungessi la
porta della gabbia, Martha mi bloccò. Il suo viso rugoso era determinato.
«Non andrà da nessuna parte, Miss Jamison.»
Le sferrai un pugno al naso, facendole uscire il sangue dalle narici. Cadde al suolo.
«Dici?» Chinandomi su di lei, presi il suo tesserino magnetico e con mano tremante lo
posizionai davanti allo scanner. Mi aspettavo che la porta della gabbia si aprisse, ma non
fu così. Dannazione! Probabilmente ci volevano anche le impronte digitali.
Dietro di me sentivo un rumore di passi affrettati, uomini e donne che gridavano. Cody
che rideva. Gli piaceva il suo lavoro. Lo vidi con la coda dell’occhio liberare le cavie
umane, le quali uscirono dalle gabbie e si gettarono sugli scienziati che non erano ancora
fuggiti.
Risuonarono alcuni colpi di pistola attutiti e mi chinai a terra. Lo sguardo mi cadde su
Martha, ancora priva di sensi. Le feci scivolare le mani sotto le ascelle, la sollevai come
meglio potevo e poi le alzai una mano fino al sensore. Una luce blu brillò fra le sue dita e
la porta della cella si aprì.
Lasciai cadere Martha con un tonfo.
Rome si precipitò verso di me e mi affondò le dita tra i capelli. «Stai bene?»
«Mai stata meglio. E tu?»
«Bene. Pronti ad andarcene. Tuo padre ha bisogno di te. Mi occuperò io di Vincent.»
Detto questo, si buttò nella mischia, usando qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano come
arma.
Sollevata, anzi, in estasi, corsi da mio padre e gli gettai le braccia al collo. Il suo cuore
batteva concitato alle mie orecchie, ma il battito era forte. Quando mi strinse tra le braccia,
il mondo mi parve un posto migliore. «Papà, dimmi che stai bene. Dimmi che il tuo cuore è
a posto.»
«Sto bene, bambolina. Sto bene.» Mi posò una mano sulla guancia e con l’altra mi
mostrò il cordino di cuoio che portava al collo. «Porto sempre con me la nitro. E tu? Lexis
mi ha detto quello che è successo. Come stai?»
«Sto bene. Ti racconterò il resto più tardi.» Fissai i suoi occhi nocciola, il viso segnato
dal sole, e sentii le lacrime scorrermi lungo le guance. «Adesso però dobbiamo andarcene
da qui.»
Mi girai e... mi trovai davanti il viso torvo di Vincent. Quando puntò una pistola alla
testa di mio padre, reagii all’istante. Una collera intensa prese vita dentro di me; sollevai
le mani contro di lui e lo colpii con una palla di fuoco. Non avevo avuto bisogno di
chiamarlo. Non avevo dovuto attingere alle mie riserve interne. La mia collera era troppo
violenta. Vincent, però, riuscì a premere il grilletto più volte mentre gridava tra le fiamme
che lo avvolgevano.
Il tempo sembrò rallentare mentre i proiettili mi venivano incontro. Spinsi da parte mio
padre proprio nell’istante in cui Rome balzava di fronte a me. I proiettili lo presero in
pieno.
Dopo, tutto accadde a un ritmo frenetico. Rome cadde a terra con un tonfo pesante. Io
emisi un gemito. Lexis gridò. Entrambe ci gettammo su di lui. Il sangue gli usciva dal petto.
Cercò di parlare, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. I nostri sguardi si incontrarono
per una frazione di secondo, poi chiuse gli occhi.
«Oh, mio Dio» gemette Lexis.
«Rome» lo chiamai. «Rome, apri gli occhi. Parlami!»
Non rispose.
«Apri quegli occhi, dannazione!» gridai.
Niente.
Gli altri accorsero al mio fianco, ma non prima che Cody sparasse in testa a Vincent,
mettendo fine ai suoi lamenti e al suo regno del terrore.
«Dobbiamo portarlo subito all’ospedale» dissi con voce tremante. Sii forte, Belle. Non
crollare. Non ancora.
In preda alla disperazione, premetti le mani sulla ferita. I margini cominciarono a
congelarsi e infine l’emorragia si arrestò. Speravo solo di non provocargli un’ipotermia.
«Ho sistemato le guardie» disse Cody, «e gli scienziati si sono dati alla fuga.» Sollevò
Rome tra le braccia.
Mi voltai verso Lexis. «Vivrà? Dimmi che vivrà.»
«Non... non lo so.» Il mento le tremava e le lacrime scorrevano sulle sue guance come
fiumi di cristallo. «Vedo solo buio.»
«Non erano... solo... proiettili» intervenne a un tratto una voce flebile.
«Rome!» Dio, ti ringrazio! «Adesso ti portiamo all’ospedale, Catman. Andrà tutto bene.
Sono riuscita a congelare la ferita e a fermare l’emorragia.»
«Brava... ragazza. Ma... non erano... proiettili... normali. Che cosa... ha usato?»
«Probabilmente qualche composto chimico» dichiarò Cody in tono grave. «Veleno.»
Mi coprii la bocca con una mano per impedirmi di piangere. No. No! I proiettili si
potevano rimuovere, ma il veleno? Potevo vivere senza Rome se dovevo farlo, ma solo
sapendo che era vivo, al sicuro e felice. Non poteva morire. Era troppo... pieno di vita. Io
avevo bisogno di lui. Era il mio uomo e io ero la sua donna.
Cody dovette vedere la mia espressione sconvolta perché aggiunse: «Ma il ghiaccio
dovrebbe impedire al veleno di diffondersi nel sangue».
Finalmente avevo usato i miei poteri per fare del bene. E per aiutare niente meno che
Rome, l’uomo che mi aveva salvato più volte la vita.
«Belle» ansimò Rome. «Prendi... la formula e poi... brucia tutto.»
«Io rimango con te. Non ti lascio solo.»
«Fallo e basta» insistette con un filo di voce. «Me lo devi...»
Sapevo che cosa mi stava dicendo. Prendi la formula e fuggi. Se fossi rimasta con lui,
Cody avrebbe consegnato la formula a John e probabilmente io non l’avrei più rivista.
Probabilmente non avrei mai potuto usarla per trovare un antidoto. Sicuramente non avrei
potuto servirmene come mezzo di scambio per ottenere che mi lasciassero in pace e che
mio padre fosse al sicuro. Così mi trovavo di fronte a una scelta. Potevo tentare di riavere
indietro la mia vita normale o potevo tentare di salvare quella di Rome, che forse ce
l’avrebbe fatta, forse no.
Non dovetti pensarci su nemmeno un istante. «Cody» dissi, «portiamolo all’ospedale.»
23
Invece di portare subito Rome all’ospedale, Cody guidò fino a un edificio in mattoni e
acciaio ai margini della città. Prima ancora, naturalmente, aveva raccolto tutte le assi del
pavimento e per poco io non l’avevo carbonizzato, tanto ero infuriata per quel ritardo. Il
tempo era nostro nemico.
Durante il tragitto, il polso di Rome si fece più debole e il respiro più affannoso. Smise
di gemere a ogni sobbalzo della strada, ma continuò a oscillare tra la forma umana e quella
felina. Sfortunatamente mio padre, Lexis e Tanner ci seguivano con un’altra auto; mi
sarebbe piaciuto avere il loro sostegno in quel momento.
«Pensa a Sunny» sussurravo a Rome. «Ha bisogno di te.»
Era sdraiato sul sedile posteriore, con la testa posata sul mio grembo. Gli passai le dita
tra i capelli neri. Il mio angelo caduto. Ecco che cos’era: il mio salvatore, il mio amore.
Sì, l’amavo, con tutto il cuore. Era tutto per me.
«Dove siamo, Cody?» Lo stomaco mi si strinse dall’ansia quando vidi l’edificio.
«Questo non è un ospedale. Se non ci porti subito in un dannato ospedale, ti uccido con le
mie mani.»
«I medici che ci sono qui possono aiutare Rome meglio di quelli dell’ospedale.
Guardalo. La gente normale non vorrà nemmeno toccarlo se è in forma felina. Questo è il
laboratorio dove è stato creato.»
«D’accordo, d’accordo. Hai ragione.» Ti prego, Signore, fa’ che Rome viva . Era forte,
era un guerriero. L’auto si fermò e un gruppo di uomini corse verso di noi con una
portantina.
«Li ho avvisati prima» mi spiegò Cody.
Rome venne deposto delicatamente sulla barella e trasportato all’interno dell’edificio.
Quando cercai di seguirlo, Cody mi afferrò per un polso. Senza voltarmi a guardare, tentai
di liberarmi. «Lasciami andare!»
John uscì dalle porte scorrevoli e osservò la scena. «Porta da me Belle, poi prendi il
ragazzo e il vecchio e conducili in un posto sicuro» ordinò. Cody mi spinse avanti mentre
gli altri uscivano dall’auto e accorrevano al mio fianco.
«Noi restiamo con Belle» dissero simultaneamente mio padre e Tanner, cercando di
strapparmi alla presa di Cody.
«Cody, è meglio che mi lasci andare» sibilai. «In questo momento sono infuriata e le mie
dita incominciano già a bruciare.»
«Lo so» borbottò, ma non mollò la presa. Nemmeno Tanner e mio padre mollarono.
«Lexis, puoi andare da Rome» disse John. «Ma tu, Belle, resterai con me. Abbiamo
molte cose di cui discutere.»
«Ti terrò al corrente» mi promise Lexis, correndo verso l’ingresso.
Lanciai uno sguardo torvo a John. Volevo andare con Lexis, ma avevo paura che mio
padre o Tanner venissero puniti per rappresaglia. Così rimasi dov’ero. Per il momento.
«Non parlerò con te né ti permetterò di fare esperimenti su di me finché non saprò che
Rome sta bene.»
Lui aggrottò la fronte. «Mi permetterai?» Sbuffò con disprezzo e mi strinse il braccio in
una morsa d’acciaio. Solo allora Cody mi lasciò andare.
Al diavolo, pensai. Dopotutto, Rome mi aveva detto una volta che John non era un uomo
malvagio, che non infieriva sugli innocenti. L’avrei preso in parola. «Proprio così» dissi.
«Papà, tu e Tanner restate qui, d’accordo?» Loro annuirono. «Adesso dovete lasciarmi
andare» aggiunsi.
Nell’istante in cui lo fecero, congelai la mano di John senza sforzo – stavo diventando
davvero brava! – e appena la sua presa venne meno, senza aggiungere una parola schizzai
nella direzione in cui era sparita Lexis. Rome, gridava il mio cuore, sto arrivando.
Raggiunsi Lexis nell’ascensore. Lei mi tenne la porta aperta e io mi precipitai dentro.
Prima che si richiudesse, ebbi una fugace visione dell’espressione attonita di John, che mi
stava inseguendo.
Lexis sapeva esattamente dove andare e mi condusse lungo un corridoio con un forte
odore di disinfettante. John ci raggiunse quasi subito, scuro in volto, ma non protestò.
Doveva aver capito che l’avrei carbonizzato se avesse cercato di mettersi tra Rome e me.
Lo vidi mentre lo trasportavano in una stanza, poco prima che le pesanti porte d’acciaio
si richiudessero. Non sapevo se fosse una sala operatoria o un laboratorio. Strinsi la mano
di Lexis.
«Andrà tutto bene» disse.
«Ne sei sicura?»
«Io... lo spero.»
Mi sentii stringere il cuore. Passammo delle ore camminando avanti e indietro. John ci
osservava in silenzio. Alla fine aveva persino permesso che mio padre e Tanner
aspettassero con noi. Sedettero insieme sull’unico divano, entrambi con espressione
afflitta.
Dopo un po’ Lexis raggiunse Tanner e gli posò la testa sulla spalla. Quando lui la
circondò con un braccio, si abbandonò al pianto. Tanner la confortò sussurrandole parole
dolci finché lei si calmò. Rialzò il capo e si guardarono a lungo negli occhi, poi lei si
sporse in avanti e lo baciò.
Smisi di camminare abbastanza a lungo da vedere che Tanner rispondeva con foga. Ero
sorpresa ma felice per loro.
John si strinse fra le dita il ponte del naso, proprio come faceva Rome quando era
davvero esasperato. «Cos’altro ancora?»
«Vieni a sederti vicino a me, bambolina» disse mio padre. «Non sei di alcun aiuto a
Rome se ti preoccupi.»
«No, sono troppo agitata.» Ripresi a camminare. Mi sentivo così impotente. Ero in grado
di controllare i quattro elementi, ma non di salvare la vita dell’unico uomo che amavo. Non
potevo fare assolutamente niente per aiutarlo e avrei dato la vita per poterlo fare.
«Lo ami?» mi chiese John.
«Sì.» Dio, sì. Gli avrei dato tutto il mio cuore.
«Belle, tesoro» insistette mio padre. «Siediti, ti prego. Rome starà...»
«Ce la farà» annunciò un uomo, spalancando le porte d’acciaio. Aveva capelli rosso
scuro e il viso coperto da così tante lentiggini da sembrare un’unica macchia bruna, ma in
quel momento era la visione più bella del mondo. «Rome ce la farà. Chiunque abbia
congelato la ferita gli ha salvato la vita. Abbiamo rischiato di perderlo un paio di volte e
se ne sarebbe andato se l’emorragia non fosse stata fermata.»
«Grazie, Dio.» Mi lasciai cadere al suolo. Lexis si staccò da Tanner e mi abbracciò
ridendo. Le lacrime mi riempirono gli occhi, poi gli argini crollarono e mi aggrappai a lei,
singhiozzando. Mio padre e Tanner furono subito al nostro fianco, per offrire conforto.
Nonostante provassi un’intensa tristezza e preoccupazione, non provocai né pioggia né
gelo. Sì, stavo diventando davvero brava a controllare i miei poteri. Solo il giorno prima
ne sarei stata orgogliosa, ma ora non me ne importava nulla.
Quando finalmente mi calmai, John disse: «Parlerai con me, adesso?». La sua voce era
carica di esasperazione.
Lo guardai attraverso il velo di lacrime. «Prima voglio vedere Rome.»
Il silenzio calò come una coltre spessa e opprimente prima che John facesse un cenno al
medico dai capelli rossi. «Lasciaglielo vedere, poi portala nella stanza degli ospiti.»
Qualsiasi cosa avesse in mente per me, non me ne importava un accidenti. Ero troppo
ansiosa di vedere il mio uomo. Lexis rivolse un timido saluto a Tanner, prima che
venissimo condotte lungo un altro corridoio, in cui scienziati e infermieri entravano e
uscivano dalle stanze. Alle pareti c’erano diversi computer e degli strumenti che
emettevano dei beep. Un vero e proprio laboratorio. Un uomo basso e tondo in camice
bianco mi fermò mentre cercavo di entrare nella stanza di Rome e indicò un pannello
d’osservazione.
«Non può ancora entrare. Stiamo sterilizzando l’ambiente.»
Accanto a Lexis, premetti il naso contro il vetro, portandomi le mani alle tempie, e
guardai all’interno. Rome giaceva sul letto, completamente immobile, ma potevo sentire il
beep regolare del monitor cardiaco, vedere le bende che gli fasciavano il petto e la pelle
che stava riprendendo colore. Un’intensa luce azzurra splendeva su di lui dal soffitto.
«Sta bene» ansimai. «Sta bene davvero.»
«Sì» mormorò Lexis con voce tremante.
«Lexis, tu puoi restare» disse il medico dai capelli rossi. «Lei invece deve venire con
me, adesso.»
Avrei voluto rifiutarmi, ma avevo fatto una promessa. Mandai a Rome un bacio sul
palmo della mano e seguii il medico. John mi aspettava in una stanza vuota, appoggiato al
muro di fondo. Quando entrai, incrociò le braccia sul petto. «Chiudi la porta.»
Le mani mi tremavano mentre obbedivo. «Che cosa vuoi esattamente da me?»
Lui inarcò le folte sopracciglia argentee. «Lavoro al SIP da molti anni» esordì. «Ho
visto più male di quanto la gente normale possa immaginare. Là fuori ci sono criminali
dotati di superpoteri, come Vincent, che vogliono conquistare il dominio sul mondo,
incuranti delle persone a cui fanno del male e di quello che distruggono.»
«Credevo che neanche a te importasse» dissi. «Volevi... vuoi fare degli esperimenti su
di me. Farmi del male.»
«Per il bene del mondo» replicò. «Ormai sai che là fuori la realtà non è semplice come
sembra; esistono individui che possiedono poteri letali come i tuoi. E le organizzazioni
come la nostra servono a tenerli sotto controllo. Gli individui come te potrebbero
distruggere il mondo.»
«Io non voglio fare del male a nessuno» protestai.
Mi studiò a lungo in silenzio. «Bene. Cody mi ha detto come hai sconfitto Vincent, un
uomo che è stato una spina nel mio fianco per molti, molti anni.»
«Ho dato una mano» ammisi.
«Saresti disposta a rifarlo?»
Battei le palpebre, confusa. «Rifare cosa?»
«Distruggere un’altra spina nel fianco. C’è una donna... la chiamiamo La Ragazza del
Deserto. Inaridisce tutto quello che trova al suo passaggio, distruggendo ogni forma di
vita.»
Battei nuovamente le palpebre e scossi il capo. «Vuoi che combatta contro di lei?»
Mentre pronunciavo quelle parole, sentivo crescere l’eccitazione dentro di me. Mi ero
divertita con Rome negli ultimi due giorni. Sì, eravamo inseguiti, ci avevano sparato
addosso e avevamo rischiato la vita. A volte avevo detestato dover affrontare pericolo, ma
per la prima volta da molto tempo mi sentivo appagata; ogni traccia di insoddisfazione era
sparita.
Forse avevo scoperto la mia vera vocazione. Forse avevo trovato l’unico lavoro che ero
in grado di conservare.
O forse ero come Cody, che si divertiva in mezzo al pericolo.
«Non vuoi più neutralizzarmi?» chiesi. «E i test?»
«Oh, voglio ancora sottoporti a qualche test. Sei sopravvissuta a un composto che ha
ucciso tutti quelli che l’avevano ingerito e io voglio sapere perché. Quindi eseguirò delle
analisi, ma non c’è bisogno di neutralizzarti o rinchiuderti se lavori per me. Sarai un asso
nella manica per il SIP.»
«Ma non c’è niente di speciale in me! Il dottor Roberts aveva finalmente perfezionato la
formula, tutto qui. Almeno diceva così nel messaggio che mi ha lasciato.»
John esitò qualche istante prima di rispondere: «Ho bisogno di verificarlo».
«Parlando con il dottore o facendo dei test su di me?»
«Entrambe le cose.»
Grr! Non c’era proprio modo di evitare quei dannati test? «Non abbiamo idea di dove si
trovi il dottor Roberts.»
«Non preoccuparti. Non rinunceremo a cercarlo.»
Alzai le braccia al cielo. «Non so nemmeno perché sto qui a discutere con te. La mia
risposta è no.» Avevo cose più importanti di cui occuparmi: mio padre, la promessa che
avevo fatto a Rome. Non intendevo scordarmene.
John aggrottò la fronte. «Sei una supereroina, Belle, e non potresti trovare un lavoro
migliore.»
«C’è la possibilità che si possa produrre un antidoto» dissi a denti stretti.
«Forse. Ho già messo al lavoro i miei uomini. Fino ad allora... ti offro la possibilità di
rendere un servizio al mondo, facendone un posto più sicuro.»
Mi passai la lingua sulle labbra. Dunque Cody gli aveva consegnato le assi con la
formula. Bene. Questo significava che non avevo alcun potere in quella situazione. «Posso
trovare il dottor Roberts da sola e riavere la mia bella vita normale.»
John rise, sinceramente divertito. «Anche se non lavori per me, non riavrai mai la tua
vita normale. Quando gli altri esseri paranormali sentiranno parlare di te – e succederà
inevitabilmente – verranno a cercarti. Forse cercheranno la tua famiglia. I miei agenti
possono proteggerti.»
«E mio padre?»
«Naturalmente proteggeranno anche lui. Forse potresti lavorare in coppia con Rome»
aggiunse quel viscido bastardo.
Wow, mica male . Solo che Rome non voleva più essere un agente, anche se John non lo
sapeva ancora. Rome voleva sparire con la sua famiglia. Un lungo silenzio si protrasse fra
noi mentre John studiava il mio viso e io il suo.
Voleva che lavorassi per lui. Potevo leggere nel bagliore dei suoi occhi una
disperazione che non riusciva a nascondere. Immagino che i miei poteri fossero davvero
allettanti, pur con le loro potenzialità distruttive. A un tratto mi venne un’idea, spaventosa
ma gradita. «Se decidessi di lavorare per te» dissi, «sia ben chiaro che accetterei solo gli
incarichi che voglio io. Sarò io a scegliere, non tu.»
«D’accordo» acconsentì senza discutere.
«Voglio che mio padre venga protetto ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni alla
settimana.»
«Siamo già d’accordo su questo.»
«Voglio che Tanner sia lasciato in pace.»
John esitò. «Da quanto mi ha riferito Cody, il ragazzo è un buon aiuto. Potresti
riconsiderare la cosa.»
Vero, come avrebbe detto Tanner. Se avesse saputo ciò in cui lo stavo coinvolgendo,
probabilmente ne sarebbe stato eccitato. «D’accordo, ci ripenserò, ma voglio che tu lasci
libero Rome.»
«Cosa?» John si irrigidì, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Mi hai sentita.» Sollevai il mento e raddrizzai le spalle. «Lascialo libero. Licenzialo.»
«Credevo che l’amassi» sbottò John.
«Sì, lo amo.» E questo era ciò che lui voleva più di ogni altra cosa. Fuggire dal suo
mondo oscuro e mostrare a Sunny come viveva la gente normale. L’avrei perso, certo. Ma
lui era stato disposto a dare la vita in cambio della mia, non potevo fare di meno. «Sono
sicura che tu sarai in grado di creare un altro Catman, ma sappiamo entrambi che c’è una
sola Wonder Girl.» Almeno per il momento.
Seguì una lunga pausa di silenzio. «Bene» disse finalmente John, seppure con una certa
riluttanza. «Affare fatto. Nient’altro?» aggiunse con una punta di sarcasmo.
«Veramente sì. Non prenderò servizio prima di un mese. Ci sono un paio di cose che
devo fare.» Come mantenere la promessa fatta a Rome, chiudermi in casa con il mio dolore
e strapparmi il cuore per farlo smettere di sanguinare.
«Bene» sospirò John. «Ma devi presentarti almeno due volte alla settimana per i test,
per esaminare i tuoi poteri e la tua composizione chimica.»
Deglutii. «Sarà doloroso?»
«Non troppo» rispose vagamente. «Tutte qui le tue richieste?»
«Sì.» Mi aspettavo quasi che le dita mi si congelassero per la tensione, ma rimasero
calde. Accidenti, ero proprio brava.
John piegò le labbra in un lento sorriso. «Bene. Benvenuta a bordo, Wonder Girl.»
Quando Rome si svegliò, una settimana più tardi, io ero al suo fianco. Il mondo era
tornato a essere normale, se così si può dire. Mio padre era rientrato alla casa di cura, ma
ora era sorvegliato da numerose guardie. Incluso Cody, che era diventato il favorito delle
volpi argentate rovinando la vita sentimentale di mio padre.
Per quanto bizzarro sembrasse, Lexis e Tanner continuavano a vedersi e non la
smettevano di baciarsi. Una volta cominciato, sembrava che non riuscissero a fermarsi.
Lexis mi disse che lo stava istruendo nell’arte di amare, aiutando l’uomo a maturare.
Tanner la metteva in un altro modo: ci davano dentro alla grande. Comunque fosse,
entrambi sembravano felici e io ero contenta per loro.
Avevo parlato a Sherridan dei miei superpoteri. In realtà, avevo dovuto darle una
dimostrazione, asciugandole i capelli a cinquanta passi di distanza, e lei ne era rimasta
entusiasta. «Pensa agli uomini che puoi congelare sul posto per poi toccarli» aveva detto.
«Devo procurare uno stock di frustini.»
Lei e le sue manie...
Brittan e Sunny erano tornati dal loro rifugio temporaneo e Sunny non mi considerava
più un’estranea. Ora ero “l’amica di papà”. Il cuore mi si riscaldava ogni volta che quel
piccolo angelo mi chiamava così. Forse un giorno mi avrebbe chiamata Belle. Oppure...
Non osavo neppure pensare all’altra parola, quella che inizia per m...
Lexis si era presa un periodo di vacanza dal SIP per trascorrere più tempo con la figlia
e, ne ero certa, per prepararsi a nascondersi con Rome. Mi veniva da piangere al solo
pensiero.
Dal suo letto d’ospedale, Rome emise un gemito.
«Stupido» lo rimproverai. Anche se mi aveva salvato la vita mettendo a rischio la
propria, dal momento che gli avevo congelato la ferita, eravamo pari; così potevo
chiamarlo come volevo.
Lui mi guardò con i suoi occhi cristallini pieni di tenerezza. Aveva ancora il petto
fasciato ed era attaccato ai monitor da un intrico di fili.
«Belle» mormorò con voce malferma. «La mia Ragazza con Tendenze Omicide.»
«Ehi, Catman» dissi con un sorriso. A un tratto ero così felice da non riuscire quasi a
respirare. Era sopravvissuto e stava guarendo. «Come ti senti?»
«Uno schifo.»
Ridacchiai. «Sei vivo, questo è ciò che conta.»
«Grazie a te.» Sollevò la mano con uno sforzo e intrecciò le dita alle mie. «L’hai
preso?» mi chiese.
Sapevo che si riferiva a Vincent. «L’abbiamo preso, tesoro.» Avevo contribuito a
uccidere quel bastardo e ne ero felice. Chiunque minacciasse la vita di Rome meritava una
morte dolorosa. «Grazie per aver preso tutti quei proiettili al mio posto» aggiunsi. Gli
occhi presero a pizzicarmi. «Mi hai salvato la vita, ma mi hai anche spaventata a morte.
Avrei preferito prenderli io.»
«Non potrei mai lasciare che qualcuno ti faccia del male. Mai.»
Mi chinai su di lui e gli sfiorai le labbra. Provai immediatamente una fitta al petto e un
nodo allo stomaco. «Devi sbrigarti a guarire. È ora di portare al sicuro Sunny.»
Sollevò un braccio tremante e mi accarezzò la guancia. «Che cosa c’è che non va?»
«Credo che sia un momento come un altro per dirti che John ti ha licenziato.»
Aggrottò la fronte e l’incredulità si dipinse sul suo viso. «Cosa? Perché avrebbe dovuto
farlo?»
«Io... ehm... in un certo senso prenderò il tuo posto.» Distolsi lo sguardo.
«Cosa!»
«Tu, Sunny e Lexis potete andarvene, adesso. Sarete una vera famiglia normale. Ma
probabilmente dovrete portare con voi anche Tanner, visto che lui e Lexis sembrano
inseparabili» dissi, sforzandomi di usare un tono allegro.
«Tanner e Lexis... stanno insieme?» Alzò lo sguardo al cielo, forse invocando un
intervento divino? «E tu, senza consultarmi, hai accettato di lavorare per John. L’hai fatto
perché io potessi lasciare l’organizzazione.»
Okay. Sembrava sorpreso dalla prima notizia ma decisamente incavolato per la seconda,
quando invece avrebbe dovuto riempirmi di baci in segno di ringraziamento.
«Sì a tutte e due le domande.»
Silenzio.
«Non ho intenzione di soffermarmi sul perché la mia ex moglie esca con un adolescente.
In questo momento lo shock potrebbe uccidermi. Quello che voglio sapere è perché vuoi
che me ne vada a tutti i costi» disse infine in tono sorprendentemente calmo.
«Io non voglio che te ne vada. Volevo solo... be’, era quello che volevi tu. È quello di
cui ha bisogno tua figlia. E prendendo il tuo posto al SIP, rispetto la mia parte
dell’accordo. Tu hai aiutato me, io aiuto te.»
Sollevò la mano per stringersi il ponte del naso, ma fece una smorfia di dolore appena
ebbe alzato il braccio e rinunciò subito. «Non posso crederci. Sei completamente
imprevedibile oltre che un’incredibile rompiscatole.»
«Ehi, grazie mille. Era proprio la reazione che speravo.» Le lacrime mi spuntarono
nuovamente agli occhi. «Non credi che sia stato difficile per me? Io non voglio perderti.»
«E allora non farlo» disse in tono improvvisamente brusco. «Vieni con noi.»
Spalancai gli occhi. Mi aveva appena offerto tutto ciò che desideravo: lui, una vita
insieme, come una vera famiglia. «Non posso.» Fu la cosa più difficile che avessi mai
detto. «Se ritiro la mia parola, John si aspetterà che tu lavori per lui. Probabilmente
manderà Cody a cercarci entrambi.»
«Dannazione, Belle. Non ho mai pianificato di innamorarmi di te.» Rome allungò un
braccio per asciugarmi le lacrime. «Ma tu sei riuscita a distruggere tutte le mie difese.»
«Cosa?» mormorai. Era la prima volta che sentivo parlare d’amore.
«Ti amo, okay? Ho sospettato di essermi innamorato di te la prima volta che sei svenuta
dopo l’incendio in casa di Lexis. Non mi ero mai sentito così preoccupato per un’altra
donna in tutta la mia vita, nemmeno per Lexis. Ma ne sono stato sicuro quando hai assistito
alla mia trasformazione e non hai battuto ciglio.»
«È la cosa più dolce che abbia mai sentito» dissi, coprendomi gli occhi con una mano.
Ma non volevo sentire altro. Non in quel momento. Non quando non potevo accettare
quello che mi stava offrendo. Ma gli dovevo almeno la verità. «Anch’io ti amo.» La voce
era roca e incrinata dalle lacrime. «Ti amo tanto.»
«Non so perché tu sia così sconvolta. Non ho intenzione di lasciarti sola a badare a te
stessa.»
Rimasi a bocca aperta. «Cosa?»
«Ti sei guadagnata un socio, baby. Dovrai abituartici. Per niente al mondo ti lascerei
sola con i tuoi poteri. Hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a controllarli.»
«Ma... ma...»
«Vincent è morto ed era la minaccia più grave per Sunny. E poi ci sarai tu ad aiutarmi a
tenerla al sicuro dal resto del mondo. E se qualcuno può prepararla a una vita normale,
quella sei tu.» Il suo tono era ironico, ma colmo d’affetto.
Omioddio omioddio omioddio. Rome voleva stare con me, sarebbe rimasto con me.
Tutti i miei sogni si stavano realizzando. E se non fossi tu la donna che gli è destinata?
Lexis non lo era. Quel pensiero mi attraversò la mente, ma io lo allontanai rapidamente.
Non potevo predire che cosa ci avrebbe portato il futuro; l’unica cosa certa era che
l’amavo e ora sapevo che anche lui amava me.
«E se ti dicessi che anche Tanner lavorerà con noi?»
«Vorrei comunque restare con te. Saremo una grande famiglia felice.»
Lacrime di gioia mi rigarono le guance mentre salivo sul letto e mi stendevo al suo
fianco. Facendo attenzione a non sfiorare la ferita, nascosi il viso nell’incavo della sua
spalla. «Ti amo tanto» ripetei.
«Anch’io ti amo. Che Dio mi aiuti.» Sospirò. «Hai già accettato una particolare
missione?»
Gli disegnai un otto sul petto con la punta delle dita. «John ha accennato a una
paranormale chiamata Ragazza del Deserto che dev’essere neutralizzata.»
«Vedo che hai già imparato il gergo del mestiere.»
«Già, e ho imparato anche a neutralizzare i parastri.»
Mi guardò come se fossi impazzita. «Parastri?»
«Mai sentito? È un neologismo che sta per disastri paranormali.»
Rome scosse il capo, ma mi abbracciò forte. «Dove diavolo mi sono andato a ficcare?»
«In paradiso» dissi e lui rise. «Dobbiamo trovare un nome per la nostra società»
aggiunsi. «Forse potremmo chiamarci i Wonder Cats.»
Sbuffò e subito sul suo volto comparve una smorfia di dolore. «Non farmi ridere.»
«Non lasciarmi» mormorai, improvvisamente seria.
«Mai.» Mi baciò sulla tempia. «Una cosa è certa. La vita sarà piena di emozioni, ma
apparteniamo l’uno all’altra.»
Sì, appartenevamo l’uno all’altra. Nessuna ragazza, nemmeno Wonder Girl, avrebbe
potuto chiedere di più. E io ero impaziente di scoprire che cosa ci avrebbe riservato il
futuro.
Curriculum Vitae di Belle Jamison, alias Wonder Girl (stesura definitiva)
OBIETTIVI:
Liquidare il maggior numero di criminali; salvare il mondo dai parastri; fare da mentore al
mio socio Tanner; rintracciare il dottor Roberts e... ehm... imparare a controllare le palle
di terra che colpiscono misteriosamente ogni donna che posi gli occhi su Rome.
ESPERIENZE LAVORATIVE:
• Innumerevoli ore di addestramento pesante con Rome, alias Catman
• Eliminazione del criminale denominato il Ragazzo Carino
• Cottura di marshmellow a mani (e occhi) nude
• Annaffiatura dei fiori alla casa di cura di mio padre (con canna per innaffiare)
• Orchestrazione di una battaglia a palle di neve in piena estate (così Tanner ha avuto la
sua lezione!)
STUDI:
• La scuola di Rome
• Promossa a pieni voti, dopo aver superato brillantemente tutti gli incarichi extra
INTERESSI:
Lunghe camminate sulla spiaggia (con Rome), tramonti (insieme a Rome), romanzi d'amore
(per ripetere le scene d'amore con Rome), fredde notti d'inverno (rannicchiata a letto con
Rome), Rome in kilt/uniforme/da calendario (o anche niente) e massaggi (praticati da
Rome).
REFERENZE:
"Se siete in cerca di guai, Belle è la ragazza che fa per voi. P.S. Fatele del male e vi
uccido."
– Mr. Rome Masters, alias Catman
"Avete bisogno di una ragazza che può incenerire i cattivi ma anche asciugarvi alla
perfezione i capelli? Wonder Girl fa al caso vostro!"
– Miss Sherridan Smith, amica del cuore
"Non troverete mai una ragazza più dolce e una lavoratrice assidua come la mia bambina
Belle."
– David Jamison, padre
"Una volta che l'avete conosciuta, non è più un'estranea."
– Sunny Masters, amica e forse futura figliastra
"Predico che farà grandi cose. Solo non uscite di casa senza impermeabile, estintore e
fazzoletti umidificati."
– Lexis Bradley, alias So-tutto-io
"Non ho mai incontrato una donna più carina e in gamba, con un fantastico incavo tra i
seni!"
– Tanner Bradshaw, alias Mr. Empatia
Indice
Copertina
Colophon
Frontespizio
Paranormal Love
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