Il ruolo del dirigente nel dipartimento delle
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Il ruolo del dirigente nel dipartimento delle
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICHE-DIAGNOSTICHE TESI DI LAUREA IL RUOLO DEL DIRIGENTE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE Relatore: Chiar.mo Prof. ANGELO MOSCO Laureando: ANTONIO ALEMANNO ANNO ACCADEMICO 2005-2006 a Grazia 2 INDICE INTRODUZIONE Capitolo 1 L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE. 1.1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE. 1.2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE. 1.3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE Capitolo 2 L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE. 2.1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO. 2.2. IL PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA “ARTE AUSILIARIA” ALLA DIRIGENZA. Capitolo 3 IL DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE AZIENDE SANITARIE PER GESTIRE L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E PROFESSIONALE. 3.1.ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO 3.2.TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA. 3.3 IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO 3.4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE. Capitolo 4 IL RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICO- DIAGNOSTICHE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE. 4.1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA 4.2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne. BIBLIOGRAFIA RIFERIMENTI LEGISLATIVI 3 INTRODUZIONE Alle professioni sanitarie, dal punto di vista formativo, è stata data nuova dignità dalla riforma universitaria iniziata nel 1999 e che sta per concludersi proprio in questo anno, con i conferimenti della laurea specialistica. Tali professionisti hanno assunto sempre maggior importanza nell’ambito dell’organizzazione del lavoro nelle aziende sanitarie. Contemporaneamente anche l’azienda sanitaria, a partire dal decreto legislativo 502 del 1992, ha subìto un’evoluzione organizzativa che ne ha fatto un organo decisamente complesso. Il seguente lavoro è un tentativo di connessione, tra queste due riorganizzazioni, attraverso lo strumento organizzativo che meglio si presta a questo scopo: il modello dipartimentale. Nel primo capitolo si descrive l’evoluzione dell’assetto organizzativo nelle aziende sanitarie, sia dal punto di vista teorico, secondo le teorie di Henry Mintzberg, sia in base all’aspetto legislativo. Infatti, l’organizzazione sanitaria diventa aziendale soprattutto dietro la spinta del contenimento della spesa pubblica, implicitamente affermato dall’art. 97 della Costituzione sul buon andamento della Pubblica Amministrazione. 4 Tipica forma organizzativa in campo sanitario è quella del potere professionale, caratterizzata da personale cui sono richiesti elevati livelli di competenza e che, anche in virtù delle responsabilità riconosciute dalla normativa, opera in condizioni di rilevante autonomia. Sui professionisti non medici è incentrato il secondo capitolo. Il rispettivo percorso di professionalizzazione partito alla metà del secolo scorso, ha avuto un’accelerazione e si è quasi completato con la legge 251/00 “Disciplina delle professioni sanitarie (…)”, che istituisce la dirigenza e la laurea specialistica. Negli ultimi due capitoli il campo degli argomenti si è ristretto intorno al modello dipartimentale, scegliendo l’ambito ospedaliero rispetto a quello territoriale. Il dipartimento è riconosciuto da numerosi autori come l’organizzazione adatta, quando si lavora per processi. Anche a livello legislativo, la legge 229/99 riconosce l’organizzazione dipartimentale come modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie. Sempre in ambito legislativo, la legge 251/00 non obbliga le aziende ad istituire una modello organizzativo per le professioni sanitarie, ma ne concede solo la possibilità. Per questo motivo, in quelle regioni dove già c’era una certa cultura organizzativa, sono nati numerosi esempi di 5 strutture organizzate a tale scopo. Gran parte della bibliografia sull’argomento nasce in quelle realtà. Soprattutto, un dipartimento che prevede la gestione di tutte le professioni sanitarie è ancora una realtà da costruire nella maggior parte dei sistemi sanitari regionali italiani. Il quarto capitolo prova a tracciare quali competenze spetterebbero al professionista laureato in Scienze delle professioni tecnichediagnostiche se operasse in un “Dipartimento delle professioni sanitarie” a livello d’azienda ospedaliera. Infine, il paragrafo conclusivo cerca di comporre un discorso sulla tecnica, intesa come possibile caratteristica comune ai professionisti dell’area tecnico-diagnostica, al pari di quello che rappresenta l’assistenza per gli infermieri e la diagnosi e cura per i medici. La classe delle “professioni sanitarie tecniche” rappresenta la categoria più eterogenea dei quattro gruppi in cui sono divise le professioni sanitarie, e questo è un altro motivo per accrescerne le competenze comuni in vista di un prossimo sviluppo organizzativo. A conclusione di questo lavoro, desidero ringraziare il Professor Angelo Mosco, ispiratore di questa tesi, che mi ha sempre dimostrato grandissima disponibilità. 6 Capitolo 1 L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE. 1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE. Il termine “organizzazione” è qui inteso come quella disciplina che studia i criteri di divisione del lavoro e le sue necessarie modalità di coordinamento, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal vertice. L’assetto organizzativo realizza in particolare un collegamento tra le persone e la tecnica, rappresentata dagli strumenti utilizzati e dalle conoscenze necessarie nello svolgimento delle attività. Secondo il modello proposto da Henry Mintzberg1, le parti che compongono una qualsiasi organizzazione sono: - il vertice strategico; - il nucleo operativo; - la linea intermedia (tra nucleo operativo e vertice strategico); - la tecnostruttura (posta all’esterno della gerarchia costituita dalla linea intermedia); - i servizi di supporto (unità che forniscono specifici servizi indiretti). I collegamenti verticali costituiscono la line, essi coordinano le azioni tra il vertice e la base dell’organizzazione e sono finalizzati al controllo della stessa. 1 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, il Mulino, Bologna, 1985 7 I collegamenti orizzontali si riferiscono al coordinamento tra unità organizzative preposte a compiti diversi, ma allo stesso livello gerarchico, all’interno di questa tipologia rientrano i ruoli di staff. Questi sono caratterizzati da un potere “professionale” e hanno funzione di supporto, consulenza e sostegno alle decisioni assunte dalla line. Fig. 1 Le cinque parti fondamentali dell’organizzazione2 Il nucleo operativo è composto dagli operatori che svolgono l’attività fondamentale che si materializza nella produzione di beni o nell’erogazione di servizi, rappresenta il cuore dell’organizzazione e al suo interno opera con procedure molto standardizzate. Il vertice strategico, invece, è formato da soggetti che sono investiti allo stesso tempo del binomio potere-responsabilità: le persone che lo compongono devono controllare che il perseguimento dell’obiettivo 2 Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op.cit. ,pag. 48 8 aziendale si realizzi concretamente, attraverso strategie decise ex-ante e nel rispetto dei vincoli economico-finanziari. Vertice strategico e nucleo operativo sono collegati da un binario diretto di potere formale che va a formare la linea intermedia. Infine la tecnostruttura e le unità di supporto sono accomunate dal fatto di non essere direttamente coinvolte dal flusso di lavoro operativo. Si distinguono perché la prima ha funzioni di controllo e la possibilità di attuare forme di standardizzazione, mentre le seconde devono svolgere solo ed esclusivamente funzioni specifiche, in piena indipendenza dal nucleo operativo principale. Il potere, inteso non come assoluto, ma come elemento che nasce da una relazione fra gli attori coinvolti nell’attività dell’azienda, è distribuito seguendo le linee gerarchiche tracciate dal vertice ed è fondamentale distinguere, all’interno di una rappresentazione organizzativa, una struttura accentrata da una decentrata. Si tratta di vedere dove (inteso come luogo strategico) sono prese le decisioni che risultano rilevanti per la definizione delle modalità d’azione. Di conseguenza, in base alle modalità di sviluppo dei processi decisionali con riferimento al contenuto di discrezionalità, è possibile distinguere fra struttura accentrata e struttura decentrata. 9 La discriminazione è fatta in base alle modalità d’attribuzione dell’autorità: quando il diritto di prendere decisioni è riposto nelle mani di una sola persona abbiamo una struttura accentrata, decentrata se ci troviamo di fronte ad una diffusione di tale potere fra più persone. Il decentramento3 può verificarsi lungo due direzioni: verticale, nel caso di delega di potere in senso discendente lungo la linea gerarchica d’autorità (la line) orizzontale, nel caso l’attribuzione del controllo sui processi decisionali si sposta dai manager di line ai responsabili delle unità di staff e agli operatori. Queste tipologie di decentramento rappresentano due parametri fondamentali nell’organizzazione della struttura e possono essere visti anche gli estremi di un continuum: un accentramento sia orizzontale sia verticale porta alla concentrazione del potere nel vertice, mentre un decentramento in entrambe le direzioni conduce alla detenzione dell’autorità direttamente da parte degli operatori. Ognuna delle cinque parti costituenti un’organizzazione (vertice strategico, nucleo operativo, linea intermedia, tecnostruttura e staff di supporto) esercita l’organizzazione un stessa maggior in potere cinque sulle direzioni altre diverse, orientando ciascuna 3 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit., pag.165 10 riconducibile ad una delle sue parti. In base all’azione dominante si delineano cinque configurazioni differenti4: 1) emerge la struttura semplice, quando il vertice strategico esercita una spinta verso l’accentramento. Questo gli consente di mantenere il controllo sulle decisioni esercitando la supervisione diretta. 2) Per contro, i membri del nucleo operativo possono cercare di minimizzare l’influenza della direzione sul loro lavoro, promovendo il decentramento verticale e orizzontale. Se conseguono questo risultato, essi operano in modo relativamente autonomo, raggiungendo il coordinamento necessario attraverso la standardizzazione delle capacità. Di conseguenza, gli operatori esercitano una spinta verso la professionalizzazione, vale a dire verso il ricorso ad una formazione esterna che sviluppi le capacità necessarie. Nella misura in cui i fattori situazionali favoriscono quest’azione, emerge la configurazione denominata burocrazia professionale. 3) Anche i manager della linea intermedia ricercano l’autonomia, ma la possono raggiungere sottraendo potere o al vertice strategico oppure al nucleo operativo: si privilegia, perciò, 4 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag.243 e ss. 11 un decentramento verticale limitato, chiamato soluzione divisionale. 4) Se invece la tecnostruttura esercita una forte standardizzazione, in particolare verso i processi di lavoro (la forma più vincolante di standardizzazione), limita la spinta orizzontale. Questa è la burocrazia meccanica, molto vicina al modello burocratico di Max Weber caratterizzato da un controllo dei risultati attraverso un rigido controllo dei processi5. In tale modello organizzativo la gerarchia, certa e definita, si unisce ad una divisione del lavoro chiara e ben disciplinata. 5) Infine, il servizio di supporto esercita la massima influenza non quando i suoi membri hanno piena autonomia ma quando, in forza della loro competenza, ne sono richiesti la collaborazione e l’intervento nel processo decisionale. In questa situazione è intesa l’adhocrazia. 5 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, McGrawHill, Milano, 2000, pag. 9 12 Fig. 2 Le cinque spinte sull’organizzazione6 Ritornando al fine perseguito dall’organizzazione, secondo Richard L.Daft7, l’obiettivo generale di un’organizzazione è spesso chiamato anche “missione”. Questa rappresentazione ne riassume la visione, le convinzioni e i valori condivisi. Essa ha anche l’obiettivo di comunicare all’interno (dipendenti) e all’esterno (clienti) le finalità che il progetto organizzativo si pone. La comprensione degli obiettivi e delle strategie organizzative costituisce un primo passo verso l’efficacia organizzativa intesa come misura in cui si realizzano gli obiettivi prefissati. Si tratta di un concetto ampio, che prende in considerazione una gamma di variabili sia a livello generale sia a livello delle unità organizzative. 6 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag 245 7 Richard L.Daft, “ Organizzazione aziendale ”, Apogeo, Milano, 2004, pag. 50 13 L’efficienza è un concetto più limitato, che attiene al funzionamento interno dell’organizzazione: l’efficienza è l’ammontare di risorse utilizzate per produrre un’unità di output e può essere misurata come rapporto tra input e output. Se un’organizzazione raggiunge un certo livello di output con minore ammontare di risorse rispetto ad un’altra organizzazione, è descritta come più efficiente. A questi concetti rimanda anche l’articolo 97 della Costituzione Italiana quando, con il principio del buon andamento, impone che l’azione amministrativa debba svolgersi secondo regole di buona amministrazione. Pertanto, la stessa dovrà attenersi ai criteri di efficacia e di efficienza. L’efficienza è determinata dal rapporto intercorrente tra i risultati raggiunti dall’azione amministrativa e la quantità delle risorse impiegate. L’efficacia concerne invece la capacità di conseguire gli obiettivi che si erano preventivamente fissati. Efficacia ed efficienza costituiscono perciò due parametri distinti e non coincidenti. Potrebbe infatti sussistere l’ipotesi di un’amministrazione efficiente in relazione alle poche risorse attribuite, ma non efficace. Viceversa, un’amministrazione che raggiungere gli obiettivi prefissati (efficacia) non è detto che lo faccia in maniera efficiente. Proprio la riduzione di risorse attese e la pressione dei livelli di governo per la riduzione delle spese generano tensioni nel valutare le 14 modalità di allocazione e di utilizzo delle risorse. Queste pressioni determinano la necessità di dotarsi di sistemi di valutazione dei risultati e d’impiego delle risorse. Ecco che emerge nelle aziende sanitarie il controllo di gestione inteso come un processo attraverso cui ci si assicura che, all’interno di un’azienda, siano perseguite l’efficacia e l’efficienza in modo continuo8. 8 Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “ Qualità e valutazione delle strutture sanitarie ” Etas, 2004, pag. 38 15 2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE. Applicando la teoria di Mintzberg alle aziende sanitarie, non avremo una figura d'insieme rigida, in cui ad ogni livello corrisponde una struttura, bensì alcuni elementi organizzativi possono svolgere la loro funzione in più parti dello schema teorico. Il vertice strategico comprende gli organi responsabili dei risultati finali e del governo economico dell’azienda. Ha funzione sia di rappresentanza esterna sia di leadership, ha il compito di definire la strategia aziendale e di procedere all’allocazione delle risorse tra le diverse parti componenti l’azienda. Il vertice strategico nelle aziende sanitarie può configurarsi secondo due modalità: a) è rappresentato dal solo Direttore Generale, che “è responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell’azienda” (art. 2 decreto legislativo 229/99); b) è rappresentato dal Direttore Generale, dal Direttore Amministrativo e dal Direttore Sanitario, secondo una configurazione più allargata. 16 Queste tre figure, che rappresentano il vertice di primo livello con funzioni d’indirizzo e coordinamento, sono affiancate nello svolgimento della loro attività da organi strategici di secondo livello: • il Collegio di Direzione strategica, con funzione di supporto al direttore generale per il governo delle attività cliniche. Nell’attuale configurazione dipartimentale ed imprenditoriale delle aziende, tale struttura è un’opportuna sede di raccordo e coordinamento per l’elaborazione dei programmi, per lo sviluppo dei servizi e per l’utilizzo delle risorse umane9; • il Nucleo di Valutazione, organo responsabile finale dell’efficacia dei processi di valutazione annuale delle prestazioni e di erogazione della retribuzione di risultato10. La linea intermedia ha invece la funzione di collegare il vertice al nucleo operativo, cui adempie attraverso figure manageriali alle quali è attribuita la responsabilità gerarchica di tradurre gli obiettivi generali in obiettivi specifici. Essa è rappresentata dai dirigenti dei dipartimenti e, in secondo ordine, dai dirigenti delle unità operative. Il nucleo operativo è rappresentato dall’insieme delle unità operative e svolge le funzioni di produzione ed erogazione delle prestazioni sanitarie. Composto da professionisti, rappresenta la componente 9 Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005, pag. 200 10 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, McGraw Hill, 2005, Milano, pag. 301 17 fondamentale dell’organizzazione aziendale. In tal senso si considerano nucleo operativo le strutture complesse e semplici in cui si articolano i dipartimenti. Le tecnostrutture, o staff, comprendono gli organi responsabili dell’analisi, controllo e standardizzazione delle funzioni aziendali. Rappresentano uffici di supporto al vertice aziendale e ai professionisti. Per questo motivo si possono dividere in due tipologie: • TECNOSTRUTTURA SANITARIA, che ha un ruolo di coordinamento tecnico-scientifico, con compiti di elaborazione di linee-guida e di protocolli tecnici; • TECNOSTRUTTURA AMMINISTRATIVA, che soprattutto con il Nucleo Controllo Gestione supporta la direzione con strumenti di programmazione, controllo e regolazione del funzionamento aziendale. Infine, i servizi di supporto sono gli organi che forniscono all’azienda un sostegno non direttamente riferibile all’attività caratteristica, ma che comunque ne facilitano il funzionamento11. Con riferimento ad articolazioni organizzative, possiamo avere classici servizi come l’Economato, la Farmacia, ecc. 11 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 157-160 18 Dal punto di vista del governo organizzativo, nel settore sanitario prevale una forma definita “burocrazia professionale”12. Questo modello è quello che meglio si applica ad organizzazioni che svolgono attività stabili ma complesse, che richiedono un comportamento standardizzato e un controllo diretto da parte degli operatori, quale appunto è l’azienda sanitaria. Di conseguenza, mentre la burocrazia classica si fonda sull’autorità di natura gerarchica (il potere della posizione), la burocrazia professionale pone l’accento sull’autorità di natura professionale (il potere della competenza). Il carattere di professionalità deriva dalla presenza di attività che richiedono notevoli conoscenze da parte degli operatori e comporta che il meccanismo di coordinamento principale sia la standardizzazione delle capacità, attraverso la definizione di standard e la presenza di percorsi formativi e comuni. Nonostante ciò, permangono in ogni modo dei margini di discrezionalità all’interno dei quali il professionista sanitario può agire come più ritiene opportuno. A queste differenze vuol far riferimento il paragrafo successivo. 12 H. Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pagg. 291-295 19 3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE Con la legge 833/78 il legislatore, nel progettare il nuovo sistema sanitario, aveva istituito le unità sanitarie locali. Le norme che le costituivano erano così rigide e restrittive da determinare lo sviluppo di strutture organizzative di tipo burocratico. La dirigenza medica e amministrativa era completamente deresponsabilizzata dalla discrezionalità gestionale e non era chiamata a rispondere dei risultati indotti dalle proprie scelte e comportamenti. Questo avveniva sia in termini di livelli quali-quantitativi di erogazione dei servizi ottenuti, sia in termini di consumo di risorse economiche13. Negli anni successivi, l’incapacità di tale approccio di governare l’intero sistema ha determinato l’esigenza di decentrare maggiore autonomia e responsabilità a livello regionale e locale. L’attenzione si è focalizzata sulla progettazione di strutture organizzative più adeguate a sviluppare meccanismi di coordinamento, e di sistemi operativi che supportassero i fabbisogni di governo economico e d’integrazione tipici del settore sanitario. In quest’ambito s’inserisce il processo di riforma che ha avuto origine con i decreti legislativi 502/92 e 517/93. L’obiettivo di questo primo riordino del Servizio Sanitario Nazionale è stato ridare efficienza al sistema e contenere la spesa sanitaria. 13 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 22-24 20 Per cui, in seguito, le USL e alcuni ospedali che presentavano specifiche caratteristiche vengono riconosciuti aziende, sono governate da un Direttore generale nominato dalle Regioni ed hanno autonomia giuridica, patrimoniale, contabile, organizzativa, gestionale e tecnica. L’innovazione continuerà poi con il D.Lgs.229/99 che accelera i processi di cambiamento già in atto. Se si considerano gli aspetti che più vanno ad incidere sull’organizzazione, il decreto 229/99: - introduce il concetto di “autonomia imprenditoriale” delle USL e degli ospedali. Essi si costituiscono in azienda con “personalità giuridica pubblica” attraverso un atto aziendale di diritto privato che disciplina la loro organizzazione e funzionamento; - rafforza l’introduzione di sistemi di responsabilizzazione sui risultati, e collega la linea del “potere organizzativo” con il principio della responsabilità dei risultati e non più delle responsabilità per gli atti o dei poteri legati al ruolo; - crea un unico livello dirigenziale sanitario che, se sarà applicato secondo logiche adeguate, potrà consentire di articolare le responsabilità professionali e gestionali molto più di quanto non sia avvenuto in passato, offrendo l’opportunità di creare percorsi di carriera orizzontali in una logica di maggiore flessibilità e dinamicità per l’azienda. 21 Dal punto di vista organizzativo, l’evoluzione avvenuta nel sistema sposta l’attenzione dalla dimensione istituzionale a quella del governo delle singole aziende, in coerenza con il binomio autonomiaresponsabilità professionale. Riconoscere quest’elevato livello d’autonomia professionale significa riprogettare l’organizzazione dell’azienda sanitaria, passando proprio da una forma burocratica ad una professionale. Nella forma professionale le cinque componenti dell’assetto organizzativo dovrebbero caratterizzarsi per i seguenti elementi14: • il vertice strategico dovrebbe fungere da promotore e attivatore delle professionalità e delle relative autonomie presenti nel nucleo operativo e nei quadri intermedi, evitando in ogni modo stili direzionali di tipo gerarchico-censori; • gli staff della direzione dovrebbero contribuire alla crescita professionale diffusa e allo sviluppo di capacità imprenditoriali decentrate, riuscendo a farsi percepire dai quadri intermedi e dai rispettivi nuclei operativi come reali servizi di supporto alle unità operative; • i servizi di supporto amministrativi e tecnico-logistico-alberghieri dovrebbero caratterizzarsi per il loro ruolo di servizio nei confronti del 14 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 176 22 nucleo operativo, attenti a presidiare anche la qualità percepita da parte dell’utente. Ma la relazione più complessa da analizzare e da strutturare è quella tra quadri intermedi e nucleo operativo. In questo rapporto si scontrano i poteri della linea gerarchica con l’autonomia del professionista sanitario. Soprattutto quando il professionista non si riconosce (per appartenenza di competenze) nel quadro intermedio, la collaborazione incontra resistenze. Altre difficoltà sembrano nascere anche tra la “gestione attiva del personale” (nei quadri che si stanno managerializzando) e le resistenze verso questa trasformazione manifestate da parte del nucleo operativo. Probabilmente dietro questi attriti resiste una rigida cultura del dipendente pubblico, restia ai cambiamenti. Pertanto, per governare il nucleo operativo s’impongono sempre più stili direzionali dei quadri intermedi coerenti con una logica professionale: partecipativi, coinvolgenti, basati sul rispetto e la valorizzazione dell’autonomia professionale (Borgonovi, 1996)15. Queste dinamiche saranno l’argomento del prossimo capitolo. 15 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 177 23 Capitolo 2 L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE. 1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO. Il discorso sui modelli organizzativi fino ad ora espresso non può trascendere da un dato di fatto: sono le persone che si muovono all’interno delle organizzazioni e le costruiscono in conformità a modelli più o meno teorici. Il personale sanitario costituisce, quindi, l’elemento centrale del patrimonio aziendale. Attitudini individuali, conoscenze professionali, motivazione, responsabilità di donne e uomini che prestano la loro opera per numerose ore al giorno, ne determinano in modo fondamentale funzionalità e risultati. Nelle aziende sanitarie tali aspetti sono messi in risalto dai seguenti motivi16: a. quelle assistenziali sono attività di servizio, in cui l’apporto dell’uomo è molto più importante che in attività di tipo manifatturiero in cui i processi d’automazione hanno spesso fatto sparire le persone. Rispetto alle attività di produzione dei beni, la possibilità di standardizzare le prestazioni sanitarie risulta più limitata e le persone continuano a svolgere ruoli difficilmente sostituibili dalle macchine; 16 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op. cit., pag. 12 24 b. si tratta d’attività di servizio ad alta intensità di contatto con l’utenza, e ciò amplifica la valenza delle qualità personali, evidenziando l’importanza delle capacità d’ascolto, comunicazione ecc. Le qualità personali non hanno impatti solo interni, organizzativi, ma sono percepibili direttamente dagli utenti finali del servizio, con conseguenze importanti sulla capacità di comprensione dei bisogni, di risposta rispetto ad essi, di soddisfazione e fidelizzazione degli utenti, soprattutto in un contesto nel quale la qualità della relazione tra professionista e utente è spesso una determinante importante dell’efficacia finale dei servizi; c. l’autonomia professionale implica decisioni discrezionali dei professionisti, il che lascia spazio a processi produttivi meno proceduralizzati rispetto ad altri settori, rende difficile definire controlli automatizzati e collega la qualità dei servizi a quella dei professionisti che li erogano. Oltre all’autonomia professionale, un altro aspetto caratteristico del mondo sanitario – in grado che non ha pari nell’intero mondo del lavoro – è la presenza di professioni codificate e organizzate in ordini e collegi professionali. 25 Sono proprio le professioni sanitarie le unità elementari che costituiscono l’ossatura del sistema di divisione del lavoro, con combinazioni che sono frutto di negoziazioni e scontri tra gruppi professionali. Come osserva W. Tousijn (2000)17: “il funzionamento di un qualsiasi reparto ospedaliero non può essere analizzato […] solo come il risultato di una determinata logica organizzativa. In quel reparto si confrontano professioni organizzate; le logiche non sono soltanto quelle organizzative, ma sono logiche professionali”. 17 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op.cit., pagg. 56-57 26 2. IL PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA “ARTE AUSILIARIA” ALLA DIRIGENZA. A partire dagli anni ’80, la posizione di dominanza, che in campo sanitario era stata tradizionalmente attribuita alla professione medica sulle altre occupazioni professionali, è stata messa in discussione dai cambiamenti che si sono verificati nel sistema. L’avvento del management, l’attenzione ai costi e all’efficienza, l’introduzione dei meccanismi concorrenziali hanno portato ad un superamento del modello tradizionale centrato sulla figura del medico. In alternativa viene proposto un assetto organizzativo multiprofessionale, che valorizza il contributo di tutti gli operatori del settore, introducendo maggiore parità18. Le professioni sanitarie sono state istituite nel 1934, dall’articolo 99 del Regio Decreto n. 1265, che suddivideva le professioni sanitarie in: -professioni sanitarie cosiddette principali, rappresentate dal medico chirurgo, dal veterinario, dal farmacista e dall’odontoiatra; -professioni sanitarie ausiliari, rappresentate dalla levatrice, dall’assistente sanitaria visitatrice e dall’infermiere diplomato e, fino al febbraio 1999, da tutte le professioni che hanno avuto la pubblicazione di un profilo professionale; 18 W. Tousijn, “ Le professioni sanitarie non mediche: una riflessione sociologica ”, in Luca Benci, “ Le professioni sanitarie (non mediche). Aspetti giuridici, deontologici e medico-legali ”, McGraw Hill, Milano, 2002 27 -arti ausiliarie delle professioni sanitarie, rappresentate per esempio dall’odontotecnico, dall’infermiere generico, dall’ottico e dal tecnico sanitario di radiologia medica. Negli anni successivi, il processo di professionalizzazione, la formazione universitaria, le leggi di riorganizzazione e d’inquadramento professionale, hanno raggruppato le professioni sanitarie in modo più omogeneo. Il processo è stato avviato nel 1991, anno in cui si istituiscono i diplomi universitari per la formazione infermieristica. Nel 1992, con il decreto 502, sono istituiti i rispettivi profili professionali: il Ministero della Sanità individua con proprio decreto le figure da formare e le relative competenze. Le due leggi fondamentali per la riforma del sistema delle professioni sono: 1) la legge 26 febbraio 1999, n. 42, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”, che all’articolo 1 stabilisce l’abrogazione del Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934 e fissa che le figure professionali devono essere qualificate come professioni sanitarie, eliminando il concetto di ausiliarità. Profilo professionale, codice deontologico e ordinamento didattico della formazione universitaria diventano così i riferimenti concreti per l’individuazione delle competenze di ciascuna specifica professione; 28 2) la legge 10 agosto 2000, n. 251, “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica”, che istituisce la dirigenza infermieristica e delle altre professioni sanitarie e la laurea specialistica. È evidente che la trasformazione che si è verificata nell’ordinamento delle professioni sanitarie non mediche abbia delle ripercussioni a livello organizzativo, soprattutto per quanto riguarda la gamma dei ruoli e delle posizioni. Il modello che scaturisce come risposta all’introduzione delle novità in tale ambito e alla crescente complessità delle organizzazioni sanitarie, è la necessità di una gestione trasversale delle attività. La legge 251/00, infatti, all’art. 7, stabilisce che “al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio”. Questo passaggio rappresenta una tappa fondamentale in quanto conduce all’istituzione - all’interno dell’assetto organizzativo - di un nuovo organo, basato sull’appartenenza professionale, che taglia trasversalmente la struttura dell’azienda e che ha il compito di gestire l’offerta di competenze professionali specialistiche. 29 Da quest’esigenza prende piede un’organizzazione più complessa del Servizio Infermieristico: il Dipartimento delle professioni sanitarie. E’ proprio il dipartimento che rappresenta una configurazione organizzativa particolarmente adatta in ambiti di tipo professionali, qual è appunto il settore sanitario 19. 19 Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria ”, Tesi di laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia aziendale, Università di Pisa, anno accademico 2003-2004. 30 Capitolo 3 IL DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE AZIENDE SANITARIE PER GESTIRE L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E PROFESSIONALE. 1. ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO Il termine dipartimento deriva dal francese “departir”, verbo che sta ad indicare la divisione in parti omogenee: in Francia fu utilizzato per la prima volta nel 1790 nel suo significato amministrativo per designare i nuovi raggruppamenti territoriali in sostituzione delle province. In Italia, le prime norme riguardanti l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi ospedalieri contenenti un riferimento all’organizzazione di tipo dipartimentale risalgono al DPR 128 del 1969 “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”. Tale legge prevedeva la possibilità di realizzare “strutture organizzative di tipo dipartimentale tra divisioni, sezioni e servizi complementari, al fine della loro migliore efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico e scientifico”. Nascevano così dipartimenti improntati sui servizi generali e amministrativi, di diagnosi e cura e igienico-organizzativi. 31 I principi del DPR 128/69 furono ripresi dalla leggi 148/75 e 595/85; quest’ultima trattava disposizioni sulla programmazione sanitaria nazionale e prevedeva l’aggregazione funzionale di tipo dipartimentale effettuata per aree funzionali omogenee costituite in applicazione dell’art.17 della legge 833/78. I successivi decreti legislativi 502/92 (art. 4) e 517/93 e la legge 549/92 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” hanno reso obbligatoria l’attuazione – che doveva avvenire entro il 1996 – dell’organizzazione interna degli ospedali secondo il modello dipartimentale. In seguito, servizi affini e complementari cominciarono ad operare in forma coordinata, ma nonostante la presenza normativa, le iniziative riguardanti l’attuazione dei dipartimenti furono sporadiche. Nell’ultima riforma, con il D.Lgs. 229/99 (art.17 bis), l’organizzazione dipartimentale è riconosciuta come modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie. Il dipartimento deve avere un proprio direttore di dipartimento e un nucleo di gestione rappresentato dal Comitato, la cui funzione e composizione è disciplinata dalle Regioni20. Inoltre, sempre la legge 229/99 prevede l’attribuzione di responsabilità ai dipartimenti, sia di tipo professionale (in materia clinico- 20 Patrizia Indigeno e Fatima Parravano “ Il responsabile infermieristico di dipartimento: ruolo e funzioni ” , nella rivista “Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni. 32 organizzativo e della prevenzione), sia di tipo gestionale (riguardo alla corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi). Infine, in termini d’obbligatorietà dell’organizzazione dipartimentale, il comma 2 dell’art. 4 del suddetto decreto, richiama il principio secondo cui l’organizzazione dipartimentale è un requisito necessario per la costituzione o la conferma di un presidio ospedaliero in azienda ospedaliera. Considerando che la produzione di prestazioni ospedaliere non è basata solo sulle articolazioni organizzative specialistiche, ma su un sistema di processi intesi come un complesso di attività tra loro interrelate e volte al conseguimento di obiettivi assistenziali e diagnostico-terapeutici, il modello dipartimentale permette proprio di superare questa concezione parcellizzata dell’organizzazione ospedaliera. In generale, adottare strutture dipartimentali significa ridisegnare l’assetto organizzativo ospedaliero in modo da accorpare le unità operative che rispondono a specializzazioni complementari o strettamente interrelate, producendo, laddove possibile, una condivisione delle risorse umane, fisiche e di know-how professionale21. 21 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 197 33 2. TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA. Secondo le linee-guida redatte dall’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR, 1997), il dipartimento deve essere costituito da: “unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono comuni finalità e sono quindi tra loro interdipendenti, pur mantenendo la propria autonomia e responsabilità professionale. Le unità operative costituenti il Dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai compiti assegnati, e a tal fine adottano regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico”. Rispetto a questa definizione, Mara Bergamaschi (op. cit.) precisa che la complementarietà, affinità o meno delle attività svolte è un requisito che discenderà dal criterio d’aggregazione utilizzato, di volta in volta, per istituire i dipartimenti, e che ovviamente può cambiare nel tempo. Per cui, secondo i fabbisogni organizzativi, i criteri di aggregazione tra unità operative possono tendere a privilegiare: - l’integrazione clinica, dove si enfatizzano i fabbisogni di coordinamento su temi affini o complementari; - gli aspetti organizzativo-gestionali, dove si focalizza l’attenzione su contenuti di più efficiente impiego di risorse. 34 L’ASSR, rifacendosi al D.M. 8.11.76, prevede i possibili criteri d’aggregazione: - per intensità e gradualità delle cure (dipartimento del dayhospital, day-surgery ecc.); - per fasce d’età (dipartimento materno-infantile e geriatrico); - per settori nosologici (per esempio, dipartimento onco- ematologico, AIDS e malattie infettive, salute mentale); - per aree specialistiche (diagnostica per immagini, medicina, chirurgia); - per organo o apparato (quello delle neuroscienze, di gastroenterologia ecc.); - per momento d’intervento sanitario (si pensi al DEA, dipartimento d’emergenza e accettazione, o a quello di riabilitazione). Questi criteri sembrano privilegiare l’integrazione clinica, mirano a coordinare il processo di cura del paziente e tentano di incidere sulla qualità e sui costi variabili legati al trattamento del paziente. Altre soluzioni dipartimentali potrebbero favorire invece l’integrazione organizzativa, ad esempio coordinando l’utilizzo delle risorse attraverso l’attivazione di servizi dipartimentali a gestione: - di poliambulatori, con riferimento all’utilizzo degli spazi, dei percorsi e gestione del personale; 35 - dell’ospedalizzazione domiciliare; - dei servizi alberghieri, con funzione di programmazione dei servizi economali come lavanderia, la pulizia degli spazi comuni e la mensa (a gestione diretta o affidati all’esterno); - del servizio infermieristico e tecnico, con funzioni di coordinamento di tutto il personale attribuito ai diversi dipartimenti ospedalieri e ai centri servizi. Considerando invece il dipartimento rispetto al ruolo, occorre classificarlo in dipartimento strutturale o funzionale, e forte o debole. Quello strutturale è costituito da più unità operative omogenee sotto il profilo dell’attività, delle risorse umane e tecnologiche impiegate. Si colloca lungo la linea verticale e gestisce risorse specificatamente assegnategli. Il dipartimento funzionale è costituito da unità operative che concorrono ad obiettivi comuni, sono posizionati lungo la linea orizzontale, hanno funzioni di coordinamento e dispongono solo di risorse condivise. La divisione fra forte o debole nasce invece dal grado di delega organizzativa: un dipartimento forte ha poteri d’intervento sulle unità operative che lo compongono e responsabilità di carattere economico che un dipartimento debole non ha, se non in misura molto limitata. 36 Inoltre, il dipartimento forte ha finalità esplicite di razionalizzazione delle risorse quali personale, attrezzature e spazi che gestisce direttamente. Il dipartimento debole invece si limita a focalizzare l’attenzione sull’integrazione delle competenze professionali (Federico Lega, 2000)22. Concludendo l’excursus sulle caratteristiche dipartimentali, ancora una volta, occorre rilevare che esse dipendono soprattutto dagli obiettivi strategici posti dall’azienda e dal contesto regionale in cui opera. 22 Federico Lega , “ Il funzionamento del dipartimento : scelte applicative ”, contenuto in Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag.221 37 3. IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO L’organizzazione di un dipartimento configura sia l’assetto interno sia il modo con cui esso si armonizza nel contesto aziendale. I meccanismi operativi preposti al funzionamento del dipartimento sono l’atto aziendale e il regolamento interno, mentre fra gli strumenti di gestione troviamo il budget. Gli organi di governo sono costituiti dal Comitato di Dipartimento (organo collegiale strategico) e dal direttore dello stesso (organo monocratico). I compiti del direttore sono essenzialmente: - il coordinamento e il supporto delle attività delle singole unità operative per la realizzazione degli obiettivi assegnati dalla direzione generale; - la predisposizione del piano annuale delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, rispettando la programmazione generale; - programmazione, realizzazione, monitoraggio e verifica, in collaborazione con gli altri dirigenti e operatori, dello svolgimento delle attività dipartimentali. Mentre nell’atto aziendale troviamo la collocazione del dipartimento nel piano dell’azienda, il regolamento interno individua: 38 - il sistema decisionale, ossia chi prende le decisioni, quali sono gli organi e responsabilità affidate ai diversi organi; - le modalità di attribuzione e di gestione delle risorse; - le relazione all’interno del dipartimento, tra differenti dipartimenti, tra Direzione Generale e dipartimento, tra gli organi di staff e dipartimenti ecc. La stesura del regolamento si può rifare ad un unico modello “aziendale” oppure ogni dipartimento, in piena autonomia, ne crea uno proprio. Il regolamento rappresenta lo strumento applicativo principale in cui si riflette la natura forte o debole del dipartimento. La sua articolazione deve soprattutto definire gli organi dipartimentali di potere: Direttore e Comitato di dipartimento, (con i rispettivi ruoli e durata della carica), poi occorre precisare le relazioni interdipartimentali e intradipartimentali. Nelle prime rientra anche stabilire l’eventuale presenza di una Conferenza interdipartimentale, nelle seconde sono fissati i rapporti tra strutture semplici e complesse. Un altro strumento di gestione che riveste fondamentale importanza è il budget dipartimentale: occorre infatti far riferimento alle risorse che sono distribuite e assegnate sia alle singole unità operative, sia al dipartimento in generale, come risorse in comune o necessarie per il 39 funzionamento dello stesso. In base al decreto legislativo 229/1999, l’attività economica deve essere improntata alla razionale utilizzazione delle risorse e per questo presuppone un sistema di gestione budgetaria. La procedura di definizione di un budget di dipartimento è complessa, sia nel momento di determinazione sia per le sue ricadute su tutto il sistema aziendale nel suo complesso. Sono coinvolti il direttore di dipartimento, il direttore generale e i responsabili delle singole unità operative. I dirigenti, ciascuno per gli aspetti di competenza, presentano le proprie proposte per l’esercizio di riferimento, i programmi e gli obiettivi da raggiungere: dopo la discussione all’interno del comitato di dipartimento, la proposta complessiva è portata dal direttore di dipartimento all’attenzione del direttore generale, a cui spetta la decisione finale. Una volta approvato il regolamento, i singoli dirigenti diventano responsabili della quota assegnata alla struttura cui sono a capo, mentre per la quota assegnata al dipartimento è direttamente responsabile il direttore dello stesso. In conclusione, le attività del dipartimento sono di due tipi: - quelle finalizzate a migliorare la qualità e l’efficacia della prestazione sanitaria, incentrate sulla figura del paziente; 40 - e quelle volte ad aumentare il livello d’efficienza attraverso l’uso ottimale delle risorse disponibili23. 23 Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria ”, op. cit. 41 4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE. Prima di iniziare questo paragrafo occorre chiarire un aspetto: il dipartimento delle professioni sanitarie non è ancora una realtà estesa sul tutto il territorio nazionale. Al momento, non esiste una struttura simile per tutte le quattro aree previste dalla legge 251/00 (professioni sanitarie infermieristiche e ostetrica, professioni sanitarie riabilitative, professioni tecnico-sanitarie, professioni della riabilitazione). All’art. 6, la legge prescrive che la disciplina concorsuale per l’accesso ad una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario è demandata ad un successivo regolamento governativo. Le Regioni possono (non è, quindi, obbligatorio) istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario attivando un meccanismo di compensazione nella pianta organica. Così come le Regioni hanno la facoltà, e non l’obbligo, di prevederne l’istituzione, le Aziende Sanitarie possono, e non devono, istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario. Ad oggi, solo alcune regioni hanno previsto -come norma programmatica- quest’organizzazione dipartimentale estesa a tutte le quattro classi di professioni. Altre regioni invece prevedono l’applicazione della 251/00 attraverso tipologie organizzative che fanno capo a servizi o “servizi dipartimentali”, a volte riferiti solo alla professione infermieristica. 42 La Puglia, ad esempio, in una prima stesura dell’ultimo Piano Sanitario Regionale, ha previsto solo il Servizio Infermieristico come modello organizzativo delle professioni sanitarie. Quanto detto è a conferma che le organizzazioni in generale, presentano un certo grado di coerenza con l’ambiente e la cultura organizzativa circostante, perciò occorrerà del tempo affinché le altre professioni sanitarie non mediche siano “percepite” dalla direzione strategica egualmente importanti come gli infermieri. Per l’area tecnico-diagnostica c’è però da fare una considerazione: le aziende ospedaliere sono finanziate con tariffe per DRG, a differenza delle ASL che hanno come criterio la quota capitaria. Questo comporta che, soprattutto in ospedale, l’efficienza dei servizi diagnostici diventa molto importante per contenere i tempi di degenza entro il DRG corrispondente alla patologia del ricovero. Diventa perciò un importante obiettivo dell’azienda ospedaliera avere un’ottimale organizzazione dei servizi diagnostici, capace di ottimizzare le risorse disponibili riducendo i tempi per la diagnostica. Ad ogni modo, la laurea specialistica che si conseguirà in quest’anno, mette fine alle “Disposizioni transitorie”, contenute nell’art. 7 della legge 251/00, poste in essere fino al conseguimento del suddetto titolo di studio. 43 In questi sei anni successivi alla legge, poche regioni hanno colto l’invito ad emanare norme per l’attribuzione della funzione di direzione relativa alle attività della specifica area professionale. Si aspettano in tal senso le linee giuda dal Ministero della Salute, per definire la riorganizzazione determinata dalle innovazioni descritte. Tra le opinioni sull’articolazione della dirigenza di questo dipartimento, il giurista Luca Benci24, dopo l’ultimo accordo del CCNL integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa, auspicava: “Forse questa –cioè la predisposizione di una sorta di regolamento che, oltre a definire le norme concorsuali [per l’accesso all’incarico], attribuisca il ruolo all’interno delle aziende da parte del nuovo dirigente sembra la soluzione più coerente da un punto di vista di coerenza e uniformità legislativa”. In alternativa, le possibili soluzioni per conferire la dirigenza del dipartimento sono sostanzialmente due: la definizione delle competenze tramite atto aziendale, soluzione tipica del diritto privato, oppure tramite il riferimento alla fonte pattizia del CCNL. Oggi si può constatare che i ritardi della forma contrattuale hanno suffragato la prima ipotesi di Benci, perciò la tendenza è quella al riferimento all’atto aziendale. 24 Luca Benci, “ Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002 44 Da un’analisi delle regioni che hanno applicato questo modello organizzativo, si evince che il Dipartimento delle Professioni sanitarie, in ambito ospedaliero, si pone come strumento per la razionalizzazione organizzativa e per l’implementazione della qualità dell’assistenza infermieristica, delle tecniche-diagnostiche e riabilitativa. Esso ha caratteristiche interdipartimentali e intradipartimentali. A livello interdipartimentale ritroviamo: - la posizione di staff rispetto al “vertice strategico”, qui inteso come Direttore Generale oppure come Direttore Sanitario; - lo svolgimento della funzione di “tecnostruttura professionale” quando standardizza le linee guida operative, si occupa di formazione e di sistemi qualità. A livello intradipartimentale, per delineare un organigramma, oggi si deve ricorrere alle “posizioni organizzative” (pre-dirigenziali) previste dal CCNL del comparto 1998-2001 e successive modificazioni. Il Direttore del dipartimento dovrebbe essere nominato dal Direttore Generale a seguito delle procedure di “avviso pubblico” per un incarico della durata per lo più triennale, sempre nelle more dell’emanazione dell’apposita disciplina concorsuale per l’accesso alla qualifica di dirigente. 45 Sono organi decisionali e di direzione strategica del Dipartimento: -il Direttore di dipartimento -il Comitato di Dipartimento rappresentato dai “Dirigenti d’area professionale”. Allo stato attuale, l’incarico di Direttore del dipartimento delle professioni sanitarie, spetta ad un infermiere professionale dirigente con laurea specialistica o diploma di dirigente dell'assistenza infermieristica rilasciato dalle ex scuole rette ai fini speciali o diploma di formazione manageriale, conseguito in corsi di perfezionamento o similari, rilasciato da Università o da altre istituzioni pubbliche od equiparate. Il Comitato di Dipartimento potrebbe essere costituito dai dirigenti con laurea specialistica delle aree tecnico-sanitarie, riabilitativa e della prevenzione. Il Direttore di Dipartimento e i “Dirigenti d’area professionale”, ognuno per la propria area di competenza ma attraverso il lavoro di gruppo, propongono strategie di sviluppo delle attività professionali e politiche di gestione delle risorse umane direttamente alla Direzione. In base alle dimensioni dell’azienda ospedaliera, ai “Dirigenti d’area professionale” faranno riferimento direttamente i rispettivi “Coordinatori dipartimentali” degli altri dipartimenti oppure, per ospedali più piccoli, i coordinatori delle unità operative attinenti. 46 In realtà aziendali molto complesse, altre figure potrebbero affiancarsi per seguire determinati processi come la gestione della qualità o la formazione. La configurazione interna di questo dipartimento è di tipo funzionale per motivi d’aggregazione professionale (le quattro aree) e si rifà alla componente direzionale dell’adhocrazia, composta da manager di line (il direttore di dipartimento), da esperti di staff (le quattro aree professionali e i relativi responsabili) e da membri del nucleo operativo (i coordinatori di unità operativa) che lavorano insieme25. 25 Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. pag.377 e ss. 47 DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE AREA INFERMIERISTICA OSTETRICA COORDINATORI DI U.O. AREA TECNICO SANITARIA COORDINATORI DI U.O. AREA DELLA RIABILITAZIONE COORDINATORI DI U.O. AREA DELLA PREVENZIONE COORDINATORI DI U.O. Fig. 3 Struttura intradipartimentale (elaborazione personale). Prendendo esempio da altre realtà regionali26, le funzioni dipartimentali definiscono: - gli indirizzi organizzativi e gestionali per il governo delle attività di competenza degli operatori delle singole aree; - la qualità e dell’efficienza tecnica ed operativa delle attività assistenziali, tecniche e riabilitative nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione; 26 legge regionale Marche13/03 art. 8 comma 3 48 - lo sviluppo organizzativo e tecnico-professionale; - il governo clinico-assistenziale e dei processi organizzativi di competenza delle singole aree; - l’individuazione dei bisogni formativi degli operatori afferenti alle quattro classi. Sarebbe opportuno formalizzare tali attività attraverso linee guida contenute nel “Regolamento di dipartimento”. Il Direttore del dipartimento, rispetto ai Dirigenti d’area professionale, avrà funzioni più specifiche come la definizione: - degli obiettivi del dipartimento, - delle linee d’attività, di specifica competenza e di funzione, - del coordinamento delle attività stesse. Occorre affermare che il dipartimento delle professioni sanitarie non è l’unico modo di organizzare i professionisti non medici. In alcune aziende non sarà neanche il migliore, ad esempio rispetto a forme più snelle come i “servizi dipartimentali” (strutture complesse in posizione di line rispetto alla Direzione Sanitaria) o addirittura rispetto ai semplici “servizi infermieristici e tecnici” (SIT). Qualunque diventi la struttura organizzativa attuata per raggiungere l’obiettivo, la cosa importante rimane far crescere comunque una cultura organizzativa delle 49 professioni che, ponendo al centro il paziente-persona, sviluppi dei percorsi efficienti ed efficaci di diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione. 50 Capitolo 4 IL SCIENZE DELLE PROFESSIONI DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN SANITARIE TECNICO-DIAGNOSTICHE NEL SANITARIE. 1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA Il modello dipartimentale del capitolo precedente ha diritto d’espressione in quanto non esistono riferimenti legislativi in merito, perciò ogni azienda ospedaliera può, nell’atto aziendale, indicarne l’organizzazione. Comunque sia pianificata l’attività del dipartimento delle professioni, rimane prerogativa delle singole aree professionali definire le modalità attraverso cui raggiungere gli obiettivi assegnati. I concetti che caratterizzano le quattro aree delle professioni sanitarie sono: - competenza - responsabilità - autonomia professionale. Le competenze specifiche di ogni area professionale sono definite dal corrispondente profilo professionale e codice deontologico. Mentre il profilo professionale delimita una serie d’attività specifiche, il codice 51 deontologico richiama le norme etiche alla base dei rapporti con i pazienti, i colleghi e gli altri professionisti. Viene a crearsi così un’area dove il professionista ha competenza, responsabilità individuale e non è sottoposto ad un superiore gerarchico: questa è l’area dell’autonomia professionale. L’autonomia professionale si concretizza rispettando il comportamento organizzativo definito dalla regolamentazione aziendale. Invece, la gestione organizzativa di un’area professionale consiste nella ricerca di condizioni d’equilibrio tra autonomia di quel gruppo e limiti imposti dall’organizzazione generale. L’area tecnico-diagnostica appartiene alla classe delle professioni tecnico-sanitarie, (insieme all’area tecnico-assistenziale). I professionisti che ne fanno parte “svolgono, con autonomia professionale, le procedure tecniche necessarie alla esecuzione di metodiche diagnostiche su materiali biologici o sulla persona…” (art. 3 legge 251/00). Dell’area tecnico-diagnostica fanno parte: tecnici audiometristi, tecnici sanitari di laboratorio biomedico, tecnici sanitari di radiologia medica e tecnico di neurofisiopatologia. Un’area così eterogenea si presta bene ad interagire con le altre competenze, soprattutto quando il modello organizzativo si fonda sul 52 “percorso del paziente”. Questo processo di gestione orizzontale centrato sull’utente, forma gruppi di lavoro trasversali alle professioni, deputando a quest’area principalmente la medicina diagnostica e lo screening. Anche la gestione dei “sistemi di qualità” fa parte di una moderna strategia di crescita aziendale che coinvolge diverse competenze, soprattutto a livello di unità operativa. Ad esempio, per tutta la diagnostica radiologica, l’applicazione del “manuale di qualità” è un obbligo di legge (decreto legislativo 187/00) a cui ogni tecnico di radiologia dovrebbe attenersi. Assicurarne l’applicazione, rappresenta per il “Dirigente d’area tecnico-diagnostica” il primo passo verso quella cultura organizzativa a livello di nucleo operativo. Ultimo aspetto, di questi esempi tesi ad ipotizzare la collaborazione con le altre aree, è la formazione aziendale. L’ “Educazione Continua in Medicina” (E.C.M.), se fatta per eventi formativi che sottendono alla logica dell’ “organizzazione per processi” rappresentano un importante momento di crescita organizzativa. Attività più specifiche del “Dirigente dell’area tecnico-diagnostica” all’interno del “Dipartimento delle professioni sanitarie” si rifanno a tre diverse funzioni organizzative: Pianificazione, Gestione e Valutazione. 53 Nella Pianificazione possono rientrare: - coadiuvare il Direttore del dipartimento nella definizione degli obiettivi di budget; - promuovere la definizione di procedure diagnostiche omogenee; - rilevare il fabbisogno formativo del personale afferente all’area diagnostica; - definire percorsi per l’inserimento guidato dei nuovi assunti. Fanno parte della Gestione: promuovere incontri e riunioni tra i tecnici, finalizzate all’attuazione delle attività proposte dal dipartimento; gestire la mobilità del personale; promuovere l’applicazione di linee guida per definire i carichi di lavoro; individuare sistemi premianti e di motivazione del personale. Infine, attività di Valutazione sono: - valutare le proposte dei coordinatori di unità operative sull’impiego delle risorse; - partecipare alla definizione dei criteri per la scelta delle apparecchiature diagnostiche. 54 Applicando i modelli e le teorie organizzative al Dipartimento delle professioni sanitarie si deduce che esso è un organo di staff al “vertice strategico”, con funzioni di “tecnostruttura professionale” quando standardizza competenze e conoscenze del “nucleo operativo”. Questa funzione organizzativa è più evidente nel settore tecnicodiagnostico perché ad un'unica area fanno capo unità operative diverse tra loro come la diagnostica per immagini, i laboratori biomedici, le indagini di neurofisiopatologia e l’audiometria. Mintzberg però ci ricorda che, essendo le aziende sanitarie delle burocrazie professionali, la spinta maggiore sull’organizzazione proviene proprio dalle unità operative afferenti. Di conseguenza, i coordinatori giocano un ruolo fondamentale verso la riuscita del modello dipartimentale stesso. A loro spetta accogliere le esigenze dei professionisti e farle diventare progetti per il dipartimento delle professioni sanitarie. In fondo, a tutt’oggi, essi sono le sole certezze di un’organizzazione che non può fare più a meno di adeguarsi alle nuove esigenze organizzative. 55 2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne. Probabilmente una conclusione non dovrebbe solo concludere, chiudere, delimitare un discorso. Forse dovrebbe rimandare ad altre domande e a nuove riflessioni. In effetti la bibliografia prodotta sull’organizzazione del lavoro in campo sanitario, fa notare che medici e infermieri hanno una maggiore base teorica rispetto ai tecnici sanitari. Se infatti al medico spetta la diagnosi e la cura della malattia e all’infermiere compete l’assistenza infermieristica, a livello organizzativo, entrambe le professioni continuano a sperimentare schemi teorici esclusivi della rispettiva professione, spesso rifacendosi a realtà inglesi e statunitensi. Ad esempio, il “case management infermieristico” e l’ “Evidence-based Nursing” sono solo gli ultimi modelli, in ordine di tempo, di questa tendenza che sta caratterizzando l’infermiere professionale rispetto al tecnico sanitario. E’ pur vero che queste due figure professionali nascono in momenti diversi e hanno storie profondamente differenti, ma cosa accomuna i tecnici dell’area tecnico-diagnostica tanto da farne un tratto tipico di quest’area professionale? Credo che non sia solo la parte d’autonomia giocata nella diagnostica strumentale, quanto invece il rapporto con la tecnologia. 56 Non è semplicemente affermare che, essendo tecnici, sono caratterizzati appunto dalla tecnica. Quando il medico, in piena autonomia, effettua un’ecografia o l’infermiere professionale esegue un elettrocardiogramma, ambedue fanno un’indagine strumentale diagnostica, solo che queste attività rappresentano una modesta parte delle loro competenze. Invece, per i tecnici dell’area diagnostica, la tecnica è la costante quotidiana con cui hanno a che fare nel rispondere ai bisogni di salute della popolazione. E’ il mezzo attraverso cui loro interagiscono con l’utente. La tecnica ha delle caratteristiche precise: analizzarle, discuterne, parlarne tra tecnici, delimita un’area di sapere specifico. Ad esempio, la velocità con cui la tecnologia si rinnova non ha eguali rispetto al lavoro medico o infermieristico. In ambito della diagnostica per immagini, mediamente, ogni cinque anni il progresso rivoluziona gran parte delle competenze acquisite. Questo potrebbe spiegare perché in questo campo è più difficile accrescere un sapere specifico che rimanga stabile nel tempo, e pone l’accento sull’importanza di un aggiornamento professionale che, rispetto ad altri operatori sanitari, bisogna adeguare più velocemente. 57 In altre sedi il discorso si potrebbe allargare, ma qui è importante ricordare che anche l’organizzazione del lavoro è influenzata dalla tecnica. Umberto Galimberti in “Psiche e techne”, un saggio critico sulla tecnica27, ci avverte di un rischio: “A paralizzare la nostra forza d’immaginazione non è solo la grandezza delle prestazioni tecniche, ma anche l’infinita parcellizzazione dei processi lavorativi, meglio nota come divisione del lavoro, dove, dopo un certo numero di passaggi, in qualsiasi prestazione […] ci troviamo, non siamo più in grado di seguirne la trama, con conseguente destituzione di senso rispetto a quanto andiamo facendo”. Chi lavora con la tecnica in ambito sanitario non deve perdere di vista il senso del suo lavoro, che rimane la persona. Così come l’organizzazione deve garantire che questo senso non vada perso. 27 Umberto Galimberti, “ Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999, pag. 712 58 BIBLIOGRAFIA Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “Qualità e Valutazione delle strutture sanitarie” Etas, 2004. Carlo De Pietro, “Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane”, McGraw Hill, Milano, 2005. Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005. Henry Mintzerberg, “La progettazione dell’organizzazione aziendale”, il Mulino, Bologna, 1985. Luca Benci, “Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002 Luca Benci, “Le professioni sanitarie (non mediche). Aspetti giuridici, deontologici e medico-legali”, McGraw Hill, Milano, 2002. Mara Bergamaschi, “L’organizzazione nelle aziende sanitarie”, McGraw Hill, Milano, 2000. Patrizia infermieristico Indigeno di e Fatima dipartimento: ruolo Parravano e funzioni” “Il , responsabile nella rivista “Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni. 59 Richard L.Daft, “Organizzazione aziendale”, Apogeo, Milano, 2004. Roberta Luzi, “Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria”, Tesi di laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia aziendale, Università di Pisa, anno accademico 2003-2004. Umberto Galimberti, “Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999. 60 RIFERIMENTI LEGISLATIVI ■ Legge 42/99, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” ■ Legge 251/00. “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica”. ■ Legge Regionale della Regione Marche 13.2003, “Riorganizzazione del Servizio sanitario regionale”. ■ Decreto Ministeriale 29 marzo 2001, “Definizione delle figure professionali di cui all’art. 6, comma 3, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere nelle fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della legge 10 agosto 2000, n. 251”. ■ Decreto MIUR del 2 aprile 2001, “Determinazione delle classi delle lauree specialistiche universitarie delle lauree specialistiche”. 61