Il ruolo del dirigente nel dipartimento delle

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Il ruolo del dirigente nel dipartimento delle
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI
SANITARIE TECNICHE-DIAGNOSTICHE
TESI DI LAUREA
IL RUOLO DEL DIRIGENTE NEL
DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI
SANITARIE
Relatore:
Chiar.mo Prof. ANGELO MOSCO
Laureando:
ANTONIO ALEMANNO
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
a Grazia
2
INDICE
INTRODUZIONE
Capitolo 1
L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE.
1.1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE.
1.2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE.
1.3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE
Capitolo 2
L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE.
2.1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO.
2.2. IL PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA “ARTE AUSILIARIA” ALLA DIRIGENZA.
Capitolo 3
IL DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE AZIENDE SANITARIE
PER GESTIRE L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E PROFESSIONALE.
3.1.ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO
3.2.TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA.
3.3 IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO
3.4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.
Capitolo 4
IL
RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN
SCIENZE
DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICO-
DIAGNOSTICHE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.
4.1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA
4.2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne.
BIBLIOGRAFIA
RIFERIMENTI LEGISLATIVI
3
INTRODUZIONE
Alle professioni sanitarie, dal punto di vista formativo, è stata data
nuova dignità dalla riforma universitaria iniziata nel 1999 e che sta per
concludersi proprio in questo anno, con i conferimenti della laurea
specialistica.
Tali
professionisti
hanno
assunto
sempre
maggior
importanza nell’ambito dell’organizzazione del lavoro nelle aziende
sanitarie.
Contemporaneamente anche l’azienda sanitaria, a partire dal
decreto legislativo 502 del 1992, ha subìto un’evoluzione organizzativa
che ne ha fatto un organo decisamente complesso.
Il seguente lavoro è un tentativo di connessione, tra queste due
riorganizzazioni, attraverso lo strumento organizzativo che meglio si
presta a questo scopo: il modello dipartimentale.
Nel primo capitolo si descrive l’evoluzione dell’assetto organizzativo
nelle aziende sanitarie, sia dal punto di vista teorico, secondo le teorie di
Henry
Mintzberg,
sia
in
base
all’aspetto
legislativo.
Infatti,
l’organizzazione sanitaria diventa aziendale soprattutto dietro la spinta
del contenimento della spesa pubblica, implicitamente affermato dall’art.
97
della
Costituzione
sul
buon
andamento
della
Pubblica
Amministrazione.
4
Tipica forma organizzativa in campo sanitario è quella del potere
professionale, caratterizzata da personale cui sono richiesti elevati livelli
di competenza e che, anche in virtù delle responsabilità riconosciute
dalla normativa, opera in condizioni di rilevante autonomia.
Sui professionisti non medici è incentrato il secondo capitolo. Il
rispettivo percorso di professionalizzazione partito alla metà del secolo
scorso, ha avuto un’accelerazione e si è quasi completato con la legge
251/00 “Disciplina delle professioni sanitarie (…)”, che istituisce la
dirigenza e la laurea specialistica.
Negli ultimi due capitoli il campo degli argomenti si è ristretto intorno
al modello dipartimentale, scegliendo l’ambito ospedaliero rispetto a
quello territoriale.
Il
dipartimento
è
riconosciuto
da
numerosi
autori
come
l’organizzazione adatta, quando si lavora per processi. Anche a livello
legislativo, la legge 229/99 riconosce l’organizzazione dipartimentale
come modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle
aziende sanitarie.
Sempre in ambito legislativo, la legge 251/00 non obbliga le aziende
ad istituire una modello organizzativo per le professioni sanitarie, ma ne
concede solo la possibilità. Per questo motivo, in quelle regioni dove già
c’era una certa cultura organizzativa, sono nati numerosi esempi di
5
strutture organizzate a tale scopo. Gran parte della bibliografia
sull’argomento nasce in quelle realtà.
Soprattutto, un dipartimento che prevede la gestione di tutte le
professioni sanitarie
è ancora una realtà da costruire nella maggior
parte dei sistemi sanitari regionali italiani.
Il quarto capitolo prova a tracciare quali competenze spetterebbero
al professionista laureato in Scienze delle professioni tecnichediagnostiche se operasse in un “Dipartimento delle professioni sanitarie”
a livello d’azienda ospedaliera.
Infine, il paragrafo conclusivo cerca di comporre un discorso sulla
tecnica, intesa come possibile caratteristica comune ai professionisti
dell’area tecnico-diagnostica, al pari di quello che rappresenta
l’assistenza per gli infermieri e la diagnosi e cura per i medici. La classe
delle “professioni sanitarie tecniche” rappresenta la categoria più
eterogenea dei quattro gruppi in cui sono divise le professioni sanitarie, e
questo è un altro motivo per accrescerne le competenze comuni in vista
di un prossimo sviluppo organizzativo.
A conclusione di questo lavoro, desidero ringraziare il Professor
Angelo Mosco, ispiratore di questa tesi, che mi ha sempre dimostrato
grandissima disponibilità.
6
Capitolo 1
L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE.
1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE.
Il termine “organizzazione” è qui inteso come quella disciplina che
studia i criteri di divisione del lavoro e le sue necessarie modalità di
coordinamento, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal
vertice. L’assetto organizzativo realizza in particolare un collegamento
tra le persone e la tecnica, rappresentata dagli strumenti utilizzati e dalle
conoscenze necessarie nello svolgimento delle attività.
Secondo il modello proposto da Henry Mintzberg1, le parti che
compongono una qualsiasi organizzazione sono:
- il vertice strategico;
- il nucleo operativo;
- la linea intermedia (tra nucleo operativo e vertice strategico);
- la tecnostruttura (posta all’esterno della gerarchia costituita dalla
linea intermedia);
- i servizi di supporto (unità che forniscono specifici servizi indiretti).
I collegamenti verticali costituiscono la line, essi coordinano le azioni
tra il vertice e la base dell’organizzazione e sono finalizzati al controllo
della stessa.
1 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, il Mulino, Bologna, 1985
7
I collegamenti orizzontali si riferiscono al coordinamento tra unità
organizzative preposte a compiti diversi, ma allo stesso livello
gerarchico, all’interno di questa tipologia rientrano i ruoli di staff. Questi
sono caratterizzati da un potere “professionale” e hanno funzione di
supporto, consulenza e sostegno alle decisioni assunte dalla line.
Fig. 1 Le cinque parti fondamentali dell’organizzazione2
Il nucleo operativo è composto dagli operatori che svolgono l’attività
fondamentale che si materializza nella produzione di beni o
nell’erogazione di servizi, rappresenta il cuore dell’organizzazione e al
suo interno opera con procedure molto standardizzate.
Il vertice strategico, invece, è formato da soggetti che sono investiti
allo stesso tempo del binomio potere-responsabilità: le persone che lo
compongono devono controllare che il perseguimento dell’obiettivo
2 Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op.cit. ,pag. 48
8
aziendale si realizzi concretamente, attraverso strategie decise ex-ante e
nel rispetto dei vincoli economico-finanziari.
Vertice strategico e nucleo operativo sono collegati da un binario
diretto di potere formale che va a formare la linea intermedia.
Infine la tecnostruttura e le unità di supporto sono accomunate dal
fatto di non essere direttamente coinvolte dal flusso di lavoro operativo.
Si distinguono perché la prima ha funzioni di controllo e la possibilità di
attuare forme di standardizzazione, mentre le seconde devono svolgere
solo ed esclusivamente funzioni specifiche, in piena indipendenza dal
nucleo operativo principale.
Il potere, inteso non come assoluto, ma come elemento che nasce
da una relazione fra gli attori coinvolti nell’attività dell’azienda, è
distribuito seguendo le linee gerarchiche tracciate dal vertice ed è
fondamentale
distinguere,
all’interno
di
una
rappresentazione
organizzativa, una struttura accentrata da una decentrata.
Si tratta di vedere dove (inteso come luogo strategico) sono prese le
decisioni che risultano rilevanti per la definizione delle modalità d’azione.
Di conseguenza, in base alle modalità di sviluppo dei processi
decisionali con riferimento al contenuto di discrezionalità, è possibile
distinguere fra struttura accentrata e struttura decentrata.
9
La discriminazione è fatta in base alle modalità d’attribuzione
dell’autorità: quando il diritto di prendere decisioni è riposto nelle mani di
una sola persona abbiamo una struttura accentrata, decentrata se ci
troviamo di fronte ad una diffusione di tale potere fra più persone.
Il decentramento3 può verificarsi lungo due direzioni:
verticale, nel caso di delega di potere in senso discendente
lungo la linea gerarchica d’autorità (la line)
orizzontale, nel caso l’attribuzione del controllo sui processi
decisionali si sposta dai manager di line ai responsabili delle unità di
staff e agli operatori.
Queste tipologie di decentramento rappresentano due parametri
fondamentali nell’organizzazione della struttura e possono essere visti
anche gli estremi di un continuum: un accentramento sia orizzontale sia
verticale porta alla concentrazione del potere nel vertice, mentre un
decentramento in entrambe le direzioni conduce alla detenzione
dell’autorità direttamente da parte degli operatori.
Ognuna delle cinque parti costituenti un’organizzazione (vertice
strategico, nucleo operativo, linea intermedia, tecnostruttura e staff di
supporto)
esercita
l’organizzazione
un
stessa
maggior
in
potere
cinque
sulle
direzioni
altre
diverse,
orientando
ciascuna
3 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit., pag.165
10
riconducibile ad una delle sue parti. In base all’azione dominante si
delineano cinque configurazioni differenti4:
1)
emerge
la
struttura
semplice,
quando
il
vertice
strategico esercita una spinta verso l’accentramento. Questo gli
consente di mantenere il controllo sulle decisioni esercitando la
supervisione diretta.
2)
Per contro, i membri del nucleo operativo possono
cercare di minimizzare l’influenza della direzione sul loro lavoro,
promovendo
il
decentramento
verticale
e
orizzontale.
Se
conseguono questo risultato, essi operano in modo relativamente
autonomo, raggiungendo il coordinamento necessario attraverso la
standardizzazione delle capacità. Di conseguenza, gli operatori
esercitano una spinta verso la professionalizzazione, vale a dire
verso il ricorso ad una formazione esterna che sviluppi le capacità
necessarie. Nella misura in cui i fattori situazionali favoriscono
quest’azione, emerge la configurazione denominata burocrazia
professionale.
3)
Anche i manager della linea intermedia ricercano
l’autonomia, ma la possono raggiungere sottraendo potere o al
vertice strategico oppure al nucleo operativo: si privilegia, perciò,
4 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag.243 e ss.
11
un
decentramento
verticale
limitato,
chiamato
soluzione
divisionale.
4)
Se
invece
la
tecnostruttura
esercita
una
forte
standardizzazione, in particolare verso i processi di lavoro (la
forma più vincolante di standardizzazione), limita la spinta
orizzontale. Questa è la burocrazia meccanica, molto vicina al
modello burocratico di Max Weber caratterizzato da un controllo
dei risultati attraverso un rigido controllo dei processi5.
In tale
modello organizzativo la gerarchia, certa e definita, si unisce ad
una divisione del lavoro chiara e ben disciplinata.
5)
Infine, il servizio di supporto esercita la massima
influenza non quando i suoi membri hanno piena autonomia ma
quando, in forza della loro competenza, ne sono richiesti la
collaborazione e l’intervento nel processo decisionale. In questa
situazione è intesa l’adhocrazia.
5 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, McGrawHill, Milano, 2000, pag. 9
12
Fig. 2 Le cinque spinte sull’organizzazione6
Ritornando al fine perseguito dall’organizzazione, secondo Richard
L.Daft7, l’obiettivo generale di un’organizzazione è spesso chiamato
anche “missione”. Questa rappresentazione ne riassume la visione, le
convinzioni e i valori condivisi. Essa ha anche l’obiettivo di comunicare
all’interno (dipendenti) e all’esterno (clienti) le finalità che il progetto
organizzativo si pone.
La comprensione degli obiettivi e delle strategie organizzative
costituisce un primo passo verso l’efficacia organizzativa intesa come
misura in cui si realizzano gli obiettivi prefissati. Si tratta di un concetto
ampio, che prende in considerazione una gamma di variabili sia a livello
generale sia a livello delle unità organizzative.
6 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag 245
7 Richard L.Daft, “ Organizzazione aziendale ”, Apogeo, Milano, 2004, pag. 50
13
L’efficienza è un concetto più limitato, che attiene al funzionamento
interno dell’organizzazione: l’efficienza è l’ammontare di risorse utilizzate
per produrre un’unità di output e può essere misurata come rapporto tra
input e output. Se un’organizzazione raggiunge un certo livello di output
con minore ammontare di risorse rispetto ad un’altra organizzazione, è
descritta come più efficiente.
A questi concetti rimanda anche l’articolo 97 della Costituzione
Italiana quando, con il principio del buon andamento, impone che
l’azione amministrativa debba svolgersi secondo regole di buona
amministrazione. Pertanto, la stessa dovrà attenersi ai criteri di efficacia
e di efficienza. L’efficienza è determinata dal rapporto intercorrente tra i
risultati raggiunti dall’azione amministrativa e la quantità delle risorse
impiegate. L’efficacia concerne invece la capacità di conseguire gli
obiettivi che si erano preventivamente fissati. Efficacia ed efficienza
costituiscono perciò due parametri distinti e non coincidenti. Potrebbe
infatti sussistere l’ipotesi di un’amministrazione efficiente in relazione alle
poche risorse attribuite, ma non efficace. Viceversa, un’amministrazione
che raggiungere gli obiettivi prefissati (efficacia) non è detto che lo faccia
in maniera efficiente.
Proprio la riduzione di risorse attese e la pressione dei livelli di
governo per la riduzione delle spese generano tensioni nel valutare le
14
modalità di allocazione e di utilizzo delle risorse. Queste pressioni
determinano la necessità di dotarsi di sistemi di valutazione dei risultati e
d’impiego delle risorse. Ecco che emerge nelle aziende sanitarie il
controllo di gestione inteso come un processo attraverso cui ci si
assicura che, all’interno di un’azienda, siano perseguite l’efficacia e
l’efficienza in modo continuo8.
8 Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “ Qualità e valutazione delle strutture sanitarie ” Etas, 2004, pag. 38
15
2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE.
Applicando la teoria di Mintzberg alle aziende sanitarie, non avremo
una figura d'insieme rigida, in cui ad ogni livello corrisponde una
struttura, bensì alcuni elementi organizzativi possono svolgere la loro
funzione in più parti dello schema teorico.
Il vertice strategico comprende gli organi responsabili dei risultati
finali e del governo economico dell’azienda. Ha funzione sia di
rappresentanza esterna sia di leadership, ha il compito di definire la
strategia aziendale e di procedere all’allocazione delle risorse tra le
diverse parti componenti l’azienda.
Il vertice strategico nelle aziende sanitarie può configurarsi secondo
due modalità:
a) è rappresentato dal solo Direttore Generale, che “è
responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili
delle strutture operative dell’azienda” (art. 2 decreto legislativo
229/99);
b) è rappresentato dal Direttore Generale, dal Direttore
Amministrativo e dal Direttore Sanitario, secondo una configurazione
più allargata.
16
Queste tre figure, che rappresentano il vertice di primo livello con
funzioni d’indirizzo e coordinamento, sono affiancate nello svolgimento
della loro attività da organi strategici di secondo livello:
•
il Collegio di Direzione strategica, con funzione di supporto al
direttore generale per il governo delle attività cliniche. Nell’attuale
configurazione dipartimentale ed imprenditoriale delle aziende, tale
struttura è un’opportuna sede di raccordo e coordinamento per
l’elaborazione dei programmi, per lo sviluppo dei servizi e per l’utilizzo
delle risorse umane9;
•
il
Nucleo
di
Valutazione,
organo
responsabile
finale
dell’efficacia dei processi di valutazione annuale delle prestazioni e di
erogazione della retribuzione di risultato10.
La linea intermedia ha invece la funzione di collegare il vertice al
nucleo operativo, cui adempie attraverso figure manageriali alle quali è
attribuita la responsabilità gerarchica di tradurre gli obiettivi generali in
obiettivi specifici. Essa è rappresentata dai dirigenti dei dipartimenti e, in
secondo ordine, dai dirigenti delle unità operative.
Il nucleo operativo è rappresentato dall’insieme delle unità operative
e svolge le funzioni di produzione ed erogazione delle prestazioni
sanitarie. Composto da professionisti, rappresenta la componente
9 Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005, pag. 200
10 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, McGraw Hill, 2005, Milano, pag. 301
17
fondamentale dell’organizzazione aziendale. In tal senso si considerano
nucleo operativo le strutture complesse e semplici in cui si articolano i
dipartimenti.
Le tecnostrutture, o staff, comprendono gli organi responsabili
dell’analisi, controllo e standardizzazione delle funzioni aziendali.
Rappresentano uffici di supporto al vertice aziendale e ai professionisti.
Per questo motivo si possono dividere in due tipologie:
•
TECNOSTRUTTURA SANITARIA,
che ha un ruolo di coordinamento
tecnico-scientifico, con compiti di elaborazione di linee-guida e di
protocolli tecnici;
•
TECNOSTRUTTURA
AMMINISTRATIVA,
che soprattutto con il
Nucleo Controllo Gestione supporta la direzione con strumenti di
programmazione,
controllo
e
regolazione
del
funzionamento
aziendale.
Infine, i servizi di supporto sono gli organi che forniscono all’azienda
un sostegno non direttamente riferibile all’attività caratteristica, ma che
comunque ne facilitano il funzionamento11. Con riferimento ad
articolazioni organizzative, possiamo avere classici servizi come
l’Economato, la Farmacia, ecc.
11
Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 157-160
18
Dal punto di vista del governo organizzativo, nel settore sanitario
prevale una forma definita “burocrazia professionale”12. Questo modello
è quello che meglio si applica ad organizzazioni che svolgono attività
stabili ma complesse, che richiedono un comportamento standardizzato
e un controllo diretto da parte degli operatori, quale appunto è l’azienda
sanitaria.
Di conseguenza, mentre la burocrazia classica si fonda sull’autorità
di
natura
gerarchica
(il
potere
della
posizione),
la
burocrazia
professionale pone l’accento sull’autorità di natura professionale
(il
potere della competenza).
Il carattere di professionalità deriva dalla presenza di attività che
richiedono notevoli conoscenze da parte degli operatori e comporta che
il meccanismo di coordinamento principale sia la standardizzazione delle
capacità, attraverso la definizione di standard e la presenza di percorsi
formativi e comuni. Nonostante ciò, permangono in ogni modo dei
margini di discrezionalità all’interno dei quali il professionista sanitario
può agire come più ritiene opportuno. A queste differenze vuol far
riferimento il paragrafo successivo.
12
H. Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pagg. 291-295
19
3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE
Con la legge 833/78 il legislatore, nel progettare il nuovo sistema
sanitario, aveva istituito le unità sanitarie locali. Le norme che le
costituivano erano così rigide e restrittive da determinare lo sviluppo di
strutture organizzative di tipo burocratico.
La dirigenza medica e amministrativa era completamente deresponsabilizzata dalla discrezionalità gestionale e non era chiamata a
rispondere dei risultati indotti dalle proprie scelte e comportamenti.
Questo avveniva sia in termini di livelli quali-quantitativi di erogazione dei
servizi ottenuti, sia in termini di consumo di risorse economiche13. Negli
anni successivi, l’incapacità di tale approccio di governare l’intero
sistema ha determinato l’esigenza di decentrare maggiore autonomia e
responsabilità a livello regionale e locale. L’attenzione si è focalizzata
sulla progettazione di strutture organizzative più adeguate a sviluppare
meccanismi di coordinamento, e di sistemi operativi che supportassero i
fabbisogni di governo economico e d’integrazione tipici del settore
sanitario.
In quest’ambito s’inserisce il processo di riforma che ha avuto
origine con i decreti legislativi 502/92 e 517/93. L’obiettivo di questo
primo riordino del Servizio Sanitario Nazionale è stato ridare efficienza al
sistema e contenere la spesa sanitaria.
13
Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 22-24
20
Per cui, in seguito, le USL e alcuni ospedali che presentavano
specifiche caratteristiche vengono riconosciuti aziende, sono governate
da un Direttore generale nominato dalle Regioni ed hanno autonomia
giuridica, patrimoniale, contabile, organizzativa, gestionale e tecnica.
L’innovazione continuerà poi con il D.Lgs.229/99 che accelera i
processi di cambiamento già in atto.
Se si considerano gli aspetti che più vanno ad incidere
sull’organizzazione, il decreto 229/99:
- introduce il concetto di “autonomia imprenditoriale” delle USL e
degli ospedali. Essi si costituiscono in azienda con “personalità giuridica
pubblica” attraverso un atto aziendale di diritto privato che disciplina la
loro organizzazione e funzionamento;
- rafforza l’introduzione di sistemi di responsabilizzazione sui
risultati, e collega la linea del “potere organizzativo” con il principio della
responsabilità dei risultati e non più delle responsabilità per gli atti o dei
poteri legati al ruolo;
- crea un unico livello dirigenziale sanitario che, se sarà applicato
secondo logiche adeguate, potrà consentire di articolare le responsabilità
professionali e gestionali molto più di quanto non sia avvenuto in
passato, offrendo l’opportunità di creare percorsi di carriera orizzontali in
una logica di maggiore flessibilità e dinamicità per l’azienda.
21
Dal punto di vista organizzativo, l’evoluzione avvenuta nel sistema
sposta l’attenzione dalla dimensione istituzionale a quella del governo
delle singole aziende, in coerenza con il binomio autonomiaresponsabilità professionale.
Riconoscere quest’elevato livello d’autonomia professionale significa
riprogettare l’organizzazione dell’azienda sanitaria, passando proprio da
una forma burocratica ad una professionale.
Nella forma professionale le cinque componenti dell’assetto
organizzativo dovrebbero caratterizzarsi per i seguenti elementi14:
• il vertice strategico dovrebbe fungere da promotore e attivatore
delle professionalità e delle relative autonomie presenti nel nucleo
operativo e nei quadri intermedi, evitando in ogni modo stili direzionali di
tipo gerarchico-censori;
• gli staff della direzione dovrebbero contribuire alla crescita
professionale diffusa e allo sviluppo di capacità imprenditoriali
decentrate, riuscendo a farsi percepire dai quadri intermedi e dai
rispettivi nuclei operativi come reali servizi di supporto alle unità
operative;
• i servizi di supporto amministrativi e tecnico-logistico-alberghieri
dovrebbero caratterizzarsi per il loro ruolo di servizio nei confronti del
14
Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 176
22
nucleo operativo, attenti a presidiare anche la qualità percepita da parte
dell’utente.
Ma la relazione più complessa da analizzare e da strutturare è
quella tra quadri intermedi e nucleo operativo. In questo rapporto si
scontrano
i
poteri
della
linea
gerarchica
con
l’autonomia
del
professionista sanitario. Soprattutto quando il professionista non si
riconosce (per appartenenza di competenze) nel quadro intermedio, la
collaborazione incontra resistenze.
Altre difficoltà sembrano nascere anche tra la “gestione attiva del
personale” (nei quadri che si stanno managerializzando) e le resistenze
verso questa trasformazione manifestate da parte del nucleo operativo.
Probabilmente dietro questi attriti resiste una rigida cultura del
dipendente pubblico, restia ai cambiamenti.
Pertanto, per governare il nucleo operativo s’impongono sempre più
stili direzionali dei quadri intermedi coerenti con una logica professionale:
partecipativi, coinvolgenti, basati sul rispetto e la valorizzazione
dell’autonomia professionale (Borgonovi, 1996)15. Queste dinamiche
saranno l’argomento del prossimo capitolo.
15
Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 177
23
Capitolo 2
L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE.
1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO.
Il discorso sui modelli organizzativi fino ad ora espresso non può
trascendere da un dato di fatto: sono le persone che si muovono
all’interno delle organizzazioni e le costruiscono in conformità a modelli
più o meno teorici.
Il personale sanitario costituisce, quindi,
l’elemento centrale del
patrimonio aziendale. Attitudini individuali, conoscenze professionali,
motivazione, responsabilità di donne e uomini che prestano la loro opera
per numerose ore al giorno, ne determinano in modo fondamentale
funzionalità e risultati. Nelle aziende sanitarie tali aspetti sono messi in
risalto dai seguenti motivi16:
a. quelle assistenziali sono attività di servizio, in cui l’apporto
dell’uomo è molto più importante che in attività di tipo
manifatturiero in cui i processi d’automazione hanno spesso fatto
sparire le persone. Rispetto alle attività di produzione dei beni, la
possibilità di standardizzare le prestazioni sanitarie risulta più
limitata e le persone continuano a svolgere ruoli difficilmente
sostituibili dalle macchine;
16
Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op. cit., pag. 12
24
b. si tratta d’attività di servizio ad alta intensità di contatto con
l’utenza, e ciò amplifica la valenza delle qualità personali,
evidenziando
l’importanza
delle
capacità
d’ascolto,
comunicazione ecc. Le qualità personali non hanno impatti solo
interni, organizzativi, ma sono percepibili direttamente dagli utenti
finali del servizio, con conseguenze importanti sulla capacità di
comprensione dei bisogni, di risposta rispetto ad essi, di
soddisfazione e fidelizzazione degli utenti, soprattutto in un
contesto nel quale la qualità della relazione tra professionista e
utente è spesso una determinante importante dell’efficacia finale
dei servizi;
c. l’autonomia professionale implica decisioni discrezionali dei
professionisti, il che lascia spazio a processi produttivi meno
proceduralizzati rispetto ad altri settori, rende difficile definire
controlli automatizzati e collega la qualità dei servizi a quella dei
professionisti che li erogano.
Oltre all’autonomia professionale, un altro aspetto caratteristico del
mondo sanitario – in grado che non ha pari nell’intero mondo del lavoro –
è la presenza di professioni codificate e organizzate in ordini e collegi
professionali.
25
Sono proprio le professioni sanitarie le unità elementari che
costituiscono l’ossatura del sistema di divisione del lavoro, con
combinazioni che sono frutto di negoziazioni e scontri tra gruppi
professionali.
Come osserva W. Tousijn (2000)17: “il funzionamento di un qualsiasi
reparto ospedaliero non può essere analizzato […] solo come il risultato
di una determinata logica organizzativa. In quel reparto si confrontano
professioni
organizzate;
le
logiche
non
sono
soltanto
quelle
organizzative, ma sono logiche professionali”.
17
Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op.cit., pagg. 56-57
26
2. IL
PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA
“ARTE
AUSILIARIA” ALLA
DIRIGENZA.
A partire dagli anni ’80, la posizione di dominanza, che in campo
sanitario era stata tradizionalmente attribuita alla professione medica
sulle altre occupazioni professionali, è stata messa in discussione dai
cambiamenti che si sono verificati nel sistema.
L’avvento del management, l’attenzione ai costi e all’efficienza,
l’introduzione dei meccanismi concorrenziali hanno portato ad un
superamento del modello tradizionale centrato sulla figura del medico. In
alternativa viene proposto un assetto organizzativo multiprofessionale,
che valorizza il contributo di tutti gli operatori del settore, introducendo
maggiore parità18.
Le professioni sanitarie sono state istituite nel 1934, dall’articolo 99
del Regio Decreto n. 1265, che suddivideva le professioni sanitarie in:
-professioni sanitarie cosiddette principali, rappresentate dal medico
chirurgo, dal veterinario, dal farmacista e dall’odontoiatra;
-professioni
sanitarie
ausiliari,
rappresentate
dalla
levatrice,
dall’assistente sanitaria visitatrice e dall’infermiere diplomato e, fino al
febbraio 1999, da tutte le professioni che hanno avuto la pubblicazione di
un profilo professionale;
18
W. Tousijn, “ Le professioni sanitarie non mediche: una riflessione sociologica ”, in Luca Benci, “ Le
professioni sanitarie (non mediche). Aspetti giuridici, deontologici e medico-legali ”, McGraw Hill,
Milano, 2002
27
-arti ausiliarie delle professioni sanitarie, rappresentate per esempio
dall’odontotecnico, dall’infermiere generico, dall’ottico e dal tecnico
sanitario di radiologia medica.
Negli anni successivi, il processo di professionalizzazione, la
formazione universitaria, le leggi di riorganizzazione e d’inquadramento
professionale, hanno raggruppato le professioni sanitarie in modo più
omogeneo. Il processo è stato avviato nel 1991, anno in cui si
istituiscono i diplomi universitari per la formazione infermieristica.
Nel 1992, con il decreto 502, sono istituiti i rispettivi profili
professionali: il Ministero della Sanità individua con proprio decreto le
figure da formare e le relative competenze.
Le due leggi fondamentali per la riforma del sistema delle professioni
sono:
1) la legge 26 febbraio 1999, n. 42, “Disposizioni in materia di professioni
sanitarie”, che all’articolo 1 stabilisce l’abrogazione del Testo Unico delle
leggi sanitarie del 1934 e fissa che le figure professionali devono essere
qualificate come professioni sanitarie, eliminando il concetto di
ausiliarità. Profilo professionale, codice deontologico e ordinamento
didattico della formazione universitaria diventano così i riferimenti
concreti per l’individuazione delle competenze di ciascuna specifica
professione;
28
2) la legge 10 agosto 2000, n. 251, “Disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché
della professione ostetrica”, che istituisce la dirigenza infermieristica e
delle altre professioni sanitarie e la laurea specialistica.
È evidente che la trasformazione che si è verificata nell’ordinamento
delle professioni sanitarie non mediche abbia delle ripercussioni a livello
organizzativo, soprattutto per quanto riguarda la gamma dei ruoli e delle
posizioni.
Il modello che scaturisce come risposta all’introduzione delle novità
in tale ambito e alla crescente complessità delle organizzazioni sanitarie,
è la necessità di una gestione trasversale delle attività.
La legge 251/00, infatti, all’art. 7, stabilisce che “al fine di migliorare
l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie
possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica e
possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio”.
Questo passaggio rappresenta una tappa fondamentale in quanto
conduce all’istituzione - all’interno dell’assetto organizzativo - di un
nuovo organo, basato sull’appartenenza professionale, che taglia
trasversalmente la struttura dell’azienda e che ha il compito di gestire
l’offerta di competenze professionali specialistiche.
29
Da quest’esigenza prende piede un’organizzazione più complessa
del Servizio Infermieristico: il Dipartimento delle professioni sanitarie.
E’ proprio il dipartimento che rappresenta una configurazione
organizzativa particolarmente adatta in ambiti di tipo professionali, qual è
appunto il settore sanitario 19.
19
Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità
innovative nell’azienda sanitaria ”, Tesi di laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia
aziendale, Università di Pisa, anno accademico 2003-2004.
30
Capitolo 3
IL
DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE
AZIENDE
SANITARIE
PER
GESTIRE
L’EVOLUZIONE
STRUTTURALE
E
PROFESSIONALE.
1. ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO
Il termine dipartimento deriva dal francese “departir”, verbo che sta
ad indicare la divisione in parti omogenee: in Francia fu utilizzato per la
prima volta nel 1790 nel suo significato amministrativo per designare i
nuovi raggruppamenti territoriali in sostituzione delle province.
In Italia, le prime norme riguardanti l’organizzazione ed il
funzionamento
dei
servizi
ospedalieri
contenenti
un
riferimento
all’organizzazione di tipo dipartimentale risalgono al DPR 128 del 1969
“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”. Tale legge prevedeva la
possibilità di realizzare “strutture organizzative di tipo dipartimentale tra
divisioni, sezioni e servizi complementari, al fine della loro migliore
efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico e
scientifico”.
Nascevano così dipartimenti improntati sui servizi generali e
amministrativi, di diagnosi e cura e igienico-organizzativi.
31
I principi del DPR 128/69 furono ripresi dalla leggi 148/75 e 595/85;
quest’ultima
trattava
disposizioni
sulla
programmazione
sanitaria
nazionale e prevedeva l’aggregazione funzionale di tipo dipartimentale
effettuata per aree funzionali omogenee costituite in applicazione
dell’art.17 della legge 833/78.
I successivi decreti legislativi 502/92 (art. 4) e 517/93 e la legge
549/92 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” hanno reso
obbligatoria l’attuazione – che doveva avvenire entro il 1996 –
dell’organizzazione
interna
degli
ospedali
secondo
il
modello
dipartimentale. In seguito, servizi affini e complementari cominciarono ad
operare in forma coordinata, ma nonostante la presenza normativa, le
iniziative riguardanti l’attuazione dei dipartimenti furono sporadiche.
Nell’ultima riforma, con il D.Lgs. 229/99 (art.17 bis), l’organizzazione
dipartimentale è riconosciuta come modello ordinario di gestione
operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie.
Il dipartimento deve avere un proprio direttore di dipartimento e un
nucleo di gestione rappresentato dal Comitato, la cui funzione e
composizione è disciplinata dalle Regioni20.
Inoltre,
sempre
la
legge
229/99
prevede
l’attribuzione
di
responsabilità ai dipartimenti, sia di tipo professionale (in materia clinico-
20
Patrizia Indigeno e Fatima Parravano “ Il responsabile infermieristico di dipartimento: ruolo e
funzioni ” , nella rivista “Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni.
32
organizzativo e della prevenzione), sia di tipo gestionale (riguardo alla
corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la
realizzazione degli obiettivi).
Infine, in termini d’obbligatorietà dell’organizzazione dipartimentale, il
comma 2 dell’art. 4 del suddetto decreto, richiama il principio secondo
cui l’organizzazione dipartimentale è un requisito necessario per la
costituzione o la conferma di un presidio ospedaliero in azienda
ospedaliera.
Considerando che la produzione di prestazioni ospedaliere non è
basata solo sulle articolazioni organizzative specialistiche, ma su un
sistema di processi intesi come un complesso di attività tra loro
interrelate e volte al conseguimento di obiettivi assistenziali e
diagnostico-terapeutici, il modello dipartimentale permette proprio di
superare
questa
concezione
parcellizzata
dell’organizzazione
ospedaliera.
In generale, adottare strutture dipartimentali significa ridisegnare
l’assetto organizzativo ospedaliero in modo da accorpare le unità
operative
che
rispondono
a
specializzazioni
complementari
o
strettamente interrelate, producendo, laddove possibile, una condivisione
delle risorse umane, fisiche e di know-how professionale21.
21
Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 197
33
2. TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA.
Secondo le linee-guida redatte dall’Agenzia per i Servizi Sanitari
Regionali (ASSR, 1997), il dipartimento deve essere costituito da:
“unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono
comuni finalità e sono quindi tra loro interdipendenti, pur mantenendo la
propria autonomia e responsabilità professionale. Le unità operative
costituenti il Dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia
organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive,
razionali e complete rispetto ai compiti assegnati, e a tal fine adottano
regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca,
etico, medico-legale ed economico”.
Rispetto a questa definizione, Mara Bergamaschi (op. cit.) precisa
che la complementarietà, affinità o meno delle attività svolte è un
requisito che discenderà dal criterio d’aggregazione utilizzato, di volta in
volta, per istituire i dipartimenti, e che ovviamente può cambiare nel
tempo.
Per cui, secondo i fabbisogni organizzativi, i criteri di aggregazione
tra unità operative possono tendere a privilegiare:
-
l’integrazione clinica, dove si enfatizzano i fabbisogni di
coordinamento su temi affini o complementari;
-
gli aspetti organizzativo-gestionali, dove si focalizza l’attenzione
su contenuti di più efficiente impiego di risorse.
34
L’ASSR, rifacendosi al D.M. 8.11.76, prevede i possibili criteri
d’aggregazione:
- per intensità e gradualità delle cure (dipartimento del dayhospital, day-surgery ecc.);
- per fasce d’età (dipartimento materno-infantile e geriatrico);
- per
settori
nosologici
(per
esempio,
dipartimento
onco-
ematologico, AIDS e malattie infettive, salute mentale);
- per aree specialistiche (diagnostica per immagini, medicina,
chirurgia);
- per
organo
o
apparato
(quello
delle
neuroscienze,
di
gastroenterologia ecc.);
- per momento d’intervento sanitario (si pensi al DEA, dipartimento
d’emergenza e accettazione, o a quello di riabilitazione).
Questi criteri sembrano privilegiare l’integrazione clinica, mirano a
coordinare il processo di cura del paziente e tentano di incidere sulla
qualità e sui costi variabili legati al trattamento del paziente.
Altre
soluzioni
dipartimentali
potrebbero
favorire
invece
l’integrazione organizzativa, ad esempio coordinando l’utilizzo delle
risorse attraverso l’attivazione di servizi dipartimentali a gestione:
- di poliambulatori, con riferimento all’utilizzo degli spazi, dei
percorsi e gestione del personale;
35
- dell’ospedalizzazione domiciliare;
- dei servizi alberghieri, con funzione di programmazione dei
servizi economali come lavanderia, la pulizia degli spazi comuni e
la mensa (a gestione diretta o affidati all’esterno);
- del
servizio
infermieristico
e
tecnico,
con
funzioni
di
coordinamento di tutto il personale attribuito ai diversi dipartimenti
ospedalieri e ai centri servizi.
Considerando invece il dipartimento rispetto al ruolo, occorre
classificarlo in dipartimento strutturale o funzionale, e forte o debole.
Quello strutturale è costituito da più unità operative omogenee sotto
il profilo dell’attività, delle risorse umane e tecnologiche impiegate. Si
colloca lungo la linea verticale e gestisce risorse specificatamente
assegnategli.
Il dipartimento funzionale è costituito da unità operative che
concorrono ad obiettivi comuni, sono posizionati lungo la linea
orizzontale, hanno funzioni di coordinamento e dispongono solo di
risorse condivise.
La divisione fra forte o debole nasce invece dal grado di delega
organizzativa: un dipartimento forte ha poteri d’intervento sulle unità
operative che lo compongono e responsabilità di carattere economico
che un dipartimento debole non ha, se non in misura molto limitata.
36
Inoltre, il dipartimento forte ha finalità esplicite di razionalizzazione delle
risorse quali personale, attrezzature e spazi che gestisce direttamente. Il
dipartimento
debole
invece
si
limita
a
focalizzare
l’attenzione
sull’integrazione delle competenze professionali (Federico Lega, 2000)22.
Concludendo l’excursus sulle caratteristiche dipartimentali, ancora
una volta, occorre rilevare che esse dipendono soprattutto dagli obiettivi
strategici posti dall’azienda e dal contesto regionale in cui opera.
22
Federico Lega , “ Il funzionamento del dipartimento : scelte applicative ”, contenuto in Mara
Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag.221
37
3. IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO
L’organizzazione di un dipartimento configura sia l’assetto interno
sia il modo con cui esso si armonizza nel contesto aziendale.
I meccanismi operativi preposti al funzionamento del dipartimento
sono l’atto aziendale e il regolamento interno, mentre fra gli strumenti di
gestione troviamo il budget. Gli organi di governo sono costituiti dal
Comitato di Dipartimento (organo collegiale strategico) e dal direttore
dello stesso (organo monocratico).
I compiti del direttore sono essenzialmente:
- il coordinamento e il supporto delle attività delle singole unità
operative per la realizzazione degli obiettivi assegnati dalla direzione
generale;
-
la
predisposizione
del
piano
annuale
delle
attività
e
dell’utilizzazione delle risorse disponibili, rispettando la programmazione
generale;
- programmazione, realizzazione, monitoraggio e verifica, in
collaborazione con gli altri dirigenti e operatori, dello svolgimento delle
attività dipartimentali.
Mentre nell’atto aziendale troviamo la collocazione del dipartimento
nel piano dell’azienda, il regolamento interno individua:
38
- il sistema decisionale, ossia chi prende le decisioni, quali sono gli
organi e responsabilità affidate ai diversi organi;
- le modalità di attribuzione e di gestione delle risorse;
- le relazione all’interno del dipartimento, tra differenti dipartimenti,
tra Direzione Generale e dipartimento, tra gli organi di staff e dipartimenti
ecc.
La stesura del regolamento si può rifare ad un unico modello
“aziendale” oppure ogni dipartimento, in piena autonomia, ne crea uno
proprio.
Il regolamento rappresenta lo strumento applicativo principale in cui
si riflette la natura forte o debole del dipartimento. La sua articolazione
deve soprattutto definire gli organi dipartimentali di potere: Direttore e
Comitato di dipartimento, (con i rispettivi ruoli e durata della carica), poi
occorre precisare le relazioni interdipartimentali e intradipartimentali.
Nelle prime rientra anche stabilire l’eventuale presenza di una
Conferenza interdipartimentale, nelle seconde sono fissati i rapporti tra
strutture semplici e complesse.
Un altro strumento di gestione che riveste fondamentale importanza
è il budget dipartimentale: occorre infatti far riferimento alle risorse che
sono distribuite e assegnate sia alle singole unità operative, sia al
dipartimento in generale, come risorse in comune o necessarie per il
39
funzionamento dello stesso. In base al decreto legislativo 229/1999,
l’attività economica deve essere improntata alla razionale utilizzazione
delle risorse e per questo presuppone un sistema di gestione budgetaria.
La procedura di definizione di un budget di dipartimento è
complessa, sia nel momento di determinazione sia per le sue ricadute su
tutto il sistema aziendale nel suo complesso.
Sono coinvolti il direttore di dipartimento, il direttore generale e i
responsabili delle singole unità operative. I dirigenti, ciascuno per gli
aspetti di competenza, presentano le proprie proposte per l’esercizio di
riferimento, i programmi e gli obiettivi da raggiungere: dopo la
discussione all’interno del comitato di dipartimento, la proposta
complessiva è portata dal direttore di dipartimento all’attenzione del
direttore generale, a cui spetta la decisione finale.
Una volta approvato il regolamento, i singoli dirigenti diventano
responsabili della quota assegnata alla struttura cui sono a capo, mentre
per la quota assegnata al dipartimento è direttamente responsabile il
direttore dello stesso.
In conclusione, le attività del dipartimento sono di due tipi:
- quelle finalizzate a migliorare la qualità e l’efficacia della
prestazione sanitaria, incentrate sulla figura del paziente;
40
- e quelle volte ad aumentare il livello d’efficienza attraverso l’uso
ottimale delle risorse disponibili23.
23
Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità
innovative nell’azienda sanitaria ”, op. cit.
41
4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.
Prima di iniziare questo paragrafo occorre chiarire un aspetto: il
dipartimento delle professioni sanitarie non è ancora una realtà estesa
sul tutto il territorio nazionale. Al momento, non esiste una struttura
simile per tutte le quattro aree previste dalla legge 251/00 (professioni
sanitarie infermieristiche e ostetrica, professioni sanitarie riabilitative,
professioni tecnico-sanitarie, professioni della riabilitazione). All’art. 6, la
legge prescrive che la disciplina concorsuale per l’accesso ad una nuova
qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario è demandata ad un
successivo regolamento governativo. Le Regioni possono (non è, quindi,
obbligatorio) istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario
attivando un meccanismo di compensazione nella pianta organica.
Così come le Regioni hanno la facoltà, e non l’obbligo, di
prevederne l’istituzione, le Aziende Sanitarie possono, e non devono,
istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario.
Ad oggi, solo alcune regioni hanno previsto -come norma
programmatica- quest’organizzazione dipartimentale estesa a tutte le
quattro
classi
di
professioni.
Altre
regioni
invece
prevedono
l’applicazione della 251/00 attraverso tipologie organizzative che fanno
capo a servizi o “servizi dipartimentali”, a volte riferiti solo alla
professione infermieristica.
42
La Puglia, ad esempio, in una prima stesura dell’ultimo Piano
Sanitario Regionale, ha previsto solo il Servizio Infermieristico come
modello organizzativo delle professioni sanitarie.
Quanto detto è a conferma che le organizzazioni in generale,
presentano un certo grado di coerenza con l’ambiente e la cultura
organizzativa circostante, perciò occorrerà del tempo affinché le altre
professioni sanitarie non mediche siano “percepite” dalla direzione
strategica egualmente importanti come gli infermieri.
Per l’area tecnico-diagnostica c’è però da fare una considerazione:
le aziende ospedaliere sono finanziate con tariffe per DRG, a differenza
delle ASL che hanno come criterio la quota capitaria. Questo comporta
che, soprattutto in ospedale, l’efficienza dei servizi diagnostici diventa
molto importante per contenere i tempi di degenza entro il DRG
corrispondente alla patologia del ricovero. Diventa perciò un importante
obiettivo dell’azienda ospedaliera avere un’ottimale organizzazione dei
servizi diagnostici, capace di ottimizzare le risorse disponibili riducendo i
tempi per la diagnostica.
Ad ogni modo, la laurea specialistica che si conseguirà in
quest’anno, mette fine alle “Disposizioni transitorie”, contenute nell’art. 7
della legge 251/00, poste in essere fino al conseguimento del suddetto
titolo di studio.
43
In questi sei anni successivi alla legge, poche regioni hanno colto
l’invito ad emanare norme per l’attribuzione della funzione di direzione
relativa alle attività della specifica area professionale. Si aspettano in tal
senso le linee giuda dal Ministero della Salute, per definire la
riorganizzazione determinata dalle innovazioni descritte.
Tra
le
opinioni
sull’articolazione
della
dirigenza
di
questo
dipartimento, il giurista Luca Benci24, dopo l’ultimo accordo del CCNL
integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa, auspicava:
“Forse questa –cioè la predisposizione di una sorta di regolamento
che, oltre a definire le norme concorsuali [per l’accesso all’incarico],
attribuisca il ruolo all’interno delle aziende da parte del nuovo dirigente sembra la soluzione più coerente da un punto di vista di coerenza e
uniformità legislativa”.
In alternativa, le possibili soluzioni per conferire la dirigenza del
dipartimento sono sostanzialmente due: la definizione delle competenze
tramite atto aziendale, soluzione tipica del diritto privato, oppure tramite il
riferimento alla fonte pattizia del CCNL.
Oggi si può constatare che i ritardi della forma contrattuale hanno
suffragato la prima ipotesi di Benci, perciò la tendenza è quella al
riferimento all’atto aziendale.
24
Luca Benci, “ Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle professioni sanitarie non mediche dopo
l’accordo del CCNL integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di
Diritto delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002
44
Da un’analisi delle regioni che hanno applicato questo modello
organizzativo, si evince che il Dipartimento delle Professioni sanitarie, in
ambito ospedaliero, si pone come strumento per la razionalizzazione
organizzativa e per l’implementazione della qualità dell’assistenza
infermieristica, delle tecniche-diagnostiche e riabilitativa. Esso ha
caratteristiche interdipartimentali e intradipartimentali.
A livello interdipartimentale ritroviamo:
-
la posizione di staff rispetto al “vertice strategico”, qui inteso
come Direttore Generale oppure come Direttore Sanitario;
-
lo svolgimento della funzione di “tecnostruttura professionale”
quando standardizza le linee guida operative, si occupa di formazione e
di sistemi qualità.
A livello intradipartimentale, per delineare un organigramma, oggi si
deve ricorrere alle “posizioni organizzative” (pre-dirigenziali) previste dal
CCNL del comparto 1998-2001 e successive modificazioni.
Il Direttore del dipartimento dovrebbe essere nominato dal Direttore
Generale a seguito delle procedure di “avviso pubblico” per un incarico
della durata per lo più triennale, sempre nelle more dell’emanazione
dell’apposita disciplina concorsuale per l’accesso alla qualifica di
dirigente.
45
Sono organi decisionali e di direzione strategica del Dipartimento:
-il Direttore di dipartimento
-il Comitato di Dipartimento rappresentato dai “Dirigenti d’area
professionale”.
Allo stato attuale, l’incarico di Direttore del dipartimento delle
professioni sanitarie, spetta ad un infermiere professionale dirigente con
laurea specialistica o diploma di dirigente dell'assistenza infermieristica
rilasciato dalle ex scuole rette ai fini speciali o diploma di formazione
manageriale, conseguito
in
corsi di perfezionamento o similari,
rilasciato da Università o da altre istituzioni pubbliche od equiparate.
Il Comitato di Dipartimento potrebbe essere costituito dai dirigenti
con laurea specialistica delle aree tecnico-sanitarie, riabilitativa e della
prevenzione.
Il Direttore di Dipartimento e i “Dirigenti d’area professionale”,
ognuno per la propria area di competenza ma attraverso il lavoro di
gruppo, propongono strategie di sviluppo delle attività professionali e
politiche di gestione delle risorse umane direttamente alla Direzione.
In base alle dimensioni dell’azienda ospedaliera, ai “Dirigenti d’area
professionale” faranno riferimento direttamente i rispettivi “Coordinatori
dipartimentali” degli altri dipartimenti oppure, per ospedali più piccoli, i
coordinatori delle unità operative attinenti.
46
In realtà aziendali molto complesse, altre figure potrebbero
affiancarsi per seguire determinati processi come la gestione della
qualità o la formazione.
La configurazione interna di questo dipartimento è di tipo funzionale
per motivi d’aggregazione professionale (le quattro aree) e si rifà alla
componente direzionale dell’adhocrazia, composta da manager di line (il
direttore di dipartimento), da esperti di staff (le quattro aree professionali
e i relativi responsabili) e da membri del nucleo operativo (i coordinatori
di unità operativa) che lavorano insieme25.
25
Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. pag.377 e ss.
47
DIPARTIMENTO
DELLE PROFESSIONI SANITARIE
AREA INFERMIERISTICA
OSTETRICA
COORDINATORI DI U.O.
AREA TECNICO SANITARIA
COORDINATORI DI U.O.
AREA DELLA RIABILITAZIONE
COORDINATORI DI U.O.
AREA DELLA PREVENZIONE
COORDINATORI DI U.O.
Fig. 3 Struttura intradipartimentale (elaborazione personale).
Prendendo
esempio
da
altre
realtà
regionali26,
le
funzioni
dipartimentali definiscono:
- gli indirizzi organizzativi e gestionali per il governo delle attività di
competenza degli operatori delle singole aree;
- la qualità e dell’efficienza tecnica ed operativa delle attività
assistenziali, tecniche e riabilitative nell’ambito della prevenzione,
cura e riabilitazione;
26
legge regionale Marche13/03 art. 8 comma 3
48
- lo sviluppo organizzativo e tecnico-professionale;
- il governo clinico-assistenziale e dei processi organizzativi di
competenza delle singole aree;
- l’individuazione dei bisogni formativi degli operatori afferenti alle
quattro classi.
Sarebbe opportuno formalizzare tali attività attraverso linee guida
contenute nel “Regolamento di dipartimento”.
Il Direttore del dipartimento, rispetto ai Dirigenti d’area professionale,
avrà funzioni più specifiche come la definizione:
- degli obiettivi del dipartimento,
- delle linee d’attività, di specifica competenza e di funzione,
- del coordinamento delle attività stesse.
Occorre affermare che il dipartimento delle professioni sanitarie non
è l’unico modo di organizzare i professionisti non medici. In alcune
aziende non sarà neanche il migliore, ad esempio rispetto a forme più
snelle come i “servizi dipartimentali” (strutture complesse in posizione di
line rispetto alla Direzione Sanitaria) o addirittura rispetto ai semplici
“servizi infermieristici e tecnici” (SIT). Qualunque diventi la struttura
organizzativa attuata per raggiungere l’obiettivo, la cosa importante
rimane far crescere comunque una cultura organizzativa delle
49
professioni che, ponendo al centro il paziente-persona, sviluppi dei
percorsi efficienti ed efficaci di diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione.
50
Capitolo 4
IL
SCIENZE
DELLE PROFESSIONI
DIPARTIMENTO
DELLE PROFESSIONI
RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN
SANITARIE TECNICO-DIAGNOSTICHE NEL
SANITARIE.
1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA
Il modello dipartimentale del capitolo precedente ha diritto
d’espressione in quanto non esistono riferimenti legislativi in merito,
perciò ogni azienda ospedaliera può, nell’atto aziendale, indicarne
l’organizzazione.
Comunque sia pianificata l’attività del dipartimento delle professioni,
rimane prerogativa delle singole aree professionali definire le modalità
attraverso cui raggiungere gli obiettivi assegnati.
I concetti che caratterizzano le quattro aree delle professioni
sanitarie sono:
- competenza
- responsabilità
- autonomia professionale.
Le competenze specifiche di ogni area professionale sono definite
dal corrispondente profilo professionale e codice deontologico. Mentre il
profilo professionale delimita una serie d’attività specifiche, il codice
51
deontologico richiama le norme etiche alla base dei rapporti con i
pazienti, i colleghi e gli altri professionisti.
Viene a crearsi così un’area dove il professionista ha competenza,
responsabilità individuale e non è sottoposto ad un superiore gerarchico:
questa è l’area dell’autonomia professionale.
L’autonomia
professionale
si
concretizza
rispettando
il
comportamento organizzativo definito dalla regolamentazione aziendale.
Invece, la gestione organizzativa di un’area professionale consiste nella
ricerca di condizioni d’equilibrio tra autonomia di quel gruppo e limiti
imposti dall’organizzazione generale.
L’area tecnico-diagnostica appartiene alla classe delle professioni
tecnico-sanitarie, (insieme all’area tecnico-assistenziale). I professionisti
che ne fanno parte “svolgono, con autonomia professionale, le
procedure
tecniche
necessarie
alla
esecuzione
di
metodiche
diagnostiche su materiali biologici o sulla persona…” (art. 3 legge
251/00).
Dell’area tecnico-diagnostica fanno parte: tecnici audiometristi,
tecnici sanitari di laboratorio biomedico, tecnici sanitari di radiologia
medica e tecnico di neurofisiopatologia.
Un’area così eterogenea si presta bene ad interagire con le altre
competenze, soprattutto quando il modello organizzativo si fonda sul
52
“percorso del paziente”. Questo processo di gestione orizzontale
centrato sull’utente, forma gruppi di lavoro trasversali alle professioni,
deputando a quest’area principalmente la medicina
diagnostica e lo
screening.
Anche la gestione dei “sistemi di qualità” fa parte di una moderna
strategia di crescita aziendale che coinvolge diverse competenze,
soprattutto a livello di unità operativa. Ad esempio, per tutta la
diagnostica radiologica, l’applicazione del “manuale di qualità” è un
obbligo di legge (decreto legislativo 187/00) a cui ogni tecnico di
radiologia dovrebbe attenersi. Assicurarne l’applicazione, rappresenta
per il “Dirigente d’area tecnico-diagnostica” il primo passo verso quella
cultura organizzativa a livello di nucleo operativo.
Ultimo aspetto, di questi esempi tesi ad ipotizzare la collaborazione
con le altre aree, è la formazione aziendale. L’ “Educazione Continua in
Medicina” (E.C.M.), se fatta per eventi formativi che sottendono alla
logica dell’ “organizzazione per processi” rappresentano un importante
momento di crescita organizzativa.
Attività più specifiche del “Dirigente dell’area tecnico-diagnostica”
all’interno del “Dipartimento delle professioni sanitarie” si rifanno a tre
diverse funzioni organizzative: Pianificazione, Gestione e Valutazione.
53
Nella Pianificazione possono rientrare:
- coadiuvare il Direttore del dipartimento nella definizione degli
obiettivi di budget;
- promuovere la definizione di procedure diagnostiche omogenee;
- rilevare il fabbisogno formativo del personale afferente all’area
diagnostica;
- definire percorsi per l’inserimento guidato dei nuovi assunti.
Fanno parte della Gestione:
promuovere
incontri
e
riunioni
tra
i
tecnici,
finalizzate
all’attuazione delle attività proposte dal dipartimento;
gestire la mobilità del personale;
promuovere l’applicazione di linee guida per definire i carichi di
lavoro;
individuare sistemi premianti e di motivazione del personale.
Infine, attività di Valutazione sono:
- valutare le proposte dei coordinatori di unità operative sull’impiego
delle risorse;
- partecipare alla definizione dei criteri per la scelta delle
apparecchiature diagnostiche.
54
Applicando i modelli e le teorie organizzative al Dipartimento delle
professioni sanitarie si deduce che esso è un organo di staff al “vertice
strategico”, con funzioni di “tecnostruttura professionale” quando
standardizza competenze e conoscenze del “nucleo operativo”.
Questa funzione organizzativa è più evidente nel settore tecnicodiagnostico perché ad un'unica area fanno capo unità operative diverse
tra loro come la diagnostica per immagini, i laboratori biomedici, le
indagini di neurofisiopatologia e l’audiometria.
Mintzberg però ci ricorda che, essendo le aziende sanitarie delle
burocrazie professionali, la spinta maggiore sull’organizzazione proviene
proprio dalle unità operative afferenti. Di conseguenza, i coordinatori
giocano
un
ruolo
fondamentale
verso
la
riuscita
del
modello
dipartimentale stesso. A loro spetta accogliere le esigenze dei
professionisti e farle diventare progetti per il dipartimento delle
professioni sanitarie.
In fondo, a tutt’oggi, essi sono le sole certezze di un’organizzazione
che non può fare più a meno di adeguarsi alle nuove esigenze
organizzative.
55
2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne.
Probabilmente una conclusione non dovrebbe solo concludere,
chiudere, delimitare un discorso. Forse dovrebbe rimandare ad altre
domande e a nuove riflessioni.
In effetti la bibliografia prodotta sull’organizzazione del lavoro in
campo sanitario, fa notare che medici e infermieri hanno una maggiore
base teorica rispetto ai tecnici sanitari.
Se infatti al medico spetta la diagnosi e la cura della malattia e
all’infermiere compete l’assistenza infermieristica, a livello organizzativo,
entrambe le professioni continuano a sperimentare schemi teorici
esclusivi della rispettiva professione, spesso rifacendosi a realtà inglesi e
statunitensi. Ad esempio, il “case management infermieristico” e l’
“Evidence-based Nursing” sono solo gli ultimi modelli, in ordine di tempo,
di questa tendenza che sta caratterizzando l’infermiere professionale
rispetto al tecnico sanitario.
E’ pur vero che queste due figure professionali nascono in momenti
diversi e hanno storie profondamente differenti, ma cosa accomuna i
tecnici dell’area tecnico-diagnostica tanto da farne un tratto tipico di
quest’area professionale?
Credo che non sia solo la parte d’autonomia giocata nella
diagnostica strumentale, quanto invece il rapporto con la tecnologia.
56
Non è semplicemente affermare che, essendo tecnici, sono
caratterizzati appunto dalla tecnica.
Quando il medico, in piena autonomia, effettua un’ecografia o
l’infermiere professionale esegue un elettrocardiogramma, ambedue
fanno un’indagine strumentale diagnostica, solo che queste attività
rappresentano una modesta parte delle loro competenze. Invece, per i
tecnici dell’area diagnostica, la tecnica è la costante quotidiana con cui
hanno a che fare nel rispondere ai bisogni di salute della popolazione. E’
il mezzo attraverso cui loro interagiscono con l’utente.
La tecnica ha delle caratteristiche precise: analizzarle, discuterne,
parlarne tra tecnici, delimita un’area di sapere specifico. Ad esempio, la
velocità con cui la tecnologia si rinnova non ha eguali rispetto al lavoro
medico o infermieristico. In ambito della diagnostica per immagini,
mediamente, ogni cinque anni il progresso rivoluziona gran parte delle
competenze acquisite.
Questo potrebbe spiegare perché in questo campo è più difficile
accrescere un sapere specifico che rimanga stabile nel tempo, e pone
l’accento sull’importanza di un aggiornamento professionale che, rispetto
ad altri operatori sanitari, bisogna adeguare più velocemente.
57
In altre sedi il discorso si potrebbe allargare, ma qui è importante
ricordare che anche l’organizzazione del lavoro è influenzata dalla
tecnica.
Umberto Galimberti in “Psiche e techne”, un saggio critico sulla
tecnica27, ci avverte di un rischio:
“A paralizzare la nostra forza d’immaginazione non è solo la
grandezza delle prestazioni tecniche, ma anche l’infinita parcellizzazione
dei processi lavorativi, meglio nota come divisione del lavoro, dove, dopo
un certo numero di passaggi, in qualsiasi prestazione […] ci troviamo,
non siamo più in grado di seguirne la trama, con conseguente
destituzione di senso rispetto a quanto andiamo facendo”.
Chi lavora con la tecnica in ambito sanitario non deve perdere di
vista il senso del suo lavoro, che rimane la persona. Così come
l’organizzazione deve garantire che questo senso non vada perso.
27
Umberto Galimberti, “ Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999, pag.
712
58
BIBLIOGRAFIA
Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “Qualità e Valutazione delle
strutture sanitarie” Etas, 2004.
Carlo De Pietro, “Gestire il personale nelle aziende sanitarie
italiane”, McGraw Hill, Milano, 2005.
Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005.
Henry
Mintzerberg,
“La
progettazione
dell’organizzazione
aziendale”, il Mulino, Bologna, 1985.
Luca Benci, “Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle
professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo
della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di Diritto
delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002
Luca Benci, “Le professioni sanitarie (non mediche). Aspetti
giuridici, deontologici e medico-legali”, McGraw Hill, Milano, 2002.
Mara Bergamaschi, “L’organizzazione nelle aziende sanitarie”,
McGraw Hill, Milano, 2000.
Patrizia
infermieristico
Indigeno
di
e
Fatima
dipartimento:
ruolo
Parravano
e
funzioni”
“Il
,
responsabile
nella
rivista
“Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni.
59
Richard L.Daft, “Organizzazione aziendale”, Apogeo, Milano,
2004.
Roberta Luzi, “Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione
per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria”, Tesi di
laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia aziendale,
Università di Pisa, anno accademico 2003-2004.
Umberto Galimberti, “Psiche e techne. L’uomo nell’età della
tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999.
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RIFERIMENTI
LEGISLATIVI
■ Legge 42/99, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”
■ Legge
251/00.
“Disciplina
delle
professioni
sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione,
nonché della professione ostetrica”.
■ Legge
Regionale
della
Regione
Marche
13.2003,
“Riorganizzazione del Servizio sanitario regionale”.
■ Decreto Ministeriale 29 marzo 2001, “Definizione delle figure
professionali di cui all’art. 6, comma 3, del D. Lgs. 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere nelle
fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della legge 10 agosto
2000, n. 251”.
■ Decreto MIUR del 2 aprile 2001, “Determinazione delle classi
delle
lauree
specialistiche
universitarie
delle
lauree
specialistiche”.
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