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21/03/2013
Ecco i primi istanti dell’universo
cartoline dal satellite europeo Planck
L’Agenzia Spaziale Europea svela
le foto inedite dal satellite Planck
a 300 mila anni dal Big Bang.
È il più sensibile ricevitore radio
realizzato per studiare il cosmo
ANTONIO LO CAMPO
Scrutare indietro nel tempo, con un viaggio
spazio-temporale in grado di farci vedere la fase
iniziale della formazione dell’universo. Può
sembrare la breve trama di un film di
fantascienza, ma è realtà. Non è possibile farlo con l’occhio umano naturalmente, ma tramite i sofisticati
occhi elettronici di uno strumento scientifico realizzato da un gruppo di ricercatori italiani, che si trova a
bordo del satellite europeo “Planck”, nello spazio dal 2009.
Questo apparato, che ha la sigla LFI (“Low Frequency Instrument - Strumento a bassa frequenza”), è il
più sensibile ricevitore radio fino ad ora realizzato per studiare la radiazione cosmica di fondo e
tracciarne una mappa dettagliata.
Assieme all’apparato ad alta frequenza realizzato da ricercatori francesi, LFI rappresenta la parte più
consistente, in termini scientifici, della missione, che negli ultimi tre anni ha “scrutato” nello spaziotempo per avere informazioni sempre più precise sulla nascita dell’universo, e sui primi istanti della sua
formazione, 300 mila anni dopo il big bang. Che sembrano tanti, ma in termini cosmologici, si tratta della
prima luce dell’universo subito dopo la “grande esplosione” iniziale!
Questa mattina, presso la sede ESA a Parigi, sono stati presentati i nuovi risultati e la nuova mappa
dell’universo da parte del satellite europeo Planck.
Un satellite che “scruta” nella radiazione di fondo a microonde
E’ stato un po’ come togliere il velo sull’universo. La nuova mappa di Planck è più dettagliata rispetto a
quella elaborata precedentemente, nell’estate 2010. E c’è anche la carta d’identità: l’Universo ha 13,81
miliardi di anni.
A presentare i nuovi dati cosmologici di Planck, questa mattina, con l’introduzione di Jean Jaques
Dordain, Direttore Generale dell’ESA, c’era George Efstathion , Direttore del Kavli Institute for
Cosmology dell’Università di Cambridge.
Assieme a loro, un team di ricercatori, tra i quali il nostro Nazzareno Mandolesi, dell’Istituto di
Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell’INAF di Bologna, che è anche a capo del team (di 22 istituti e
centri di ricerca) che ha realizzato lo strumento LFI a bassa energia.
Eccone i risultati. Per la nostra galassia, la Via Lattea, è stata realizzata una mappa dell’ emissione delle
polveri, prodotte dalle stelle alla fine della loro vita, e poi sparse nel mezzo interstellare. Sempre per la
nostra galassia, è stata realizzata una mappa dell’ emissione degli elettroni liberi presenti tra le stelle. Per
il cosmo intergalattico è stata realizzata una mappa della radiazione diffusa dal gas caldissimo degli
ammassi di galassie, anche da quelli talmente lontani da non essere mai stati osservati prima. Infine, è
stata separata anche la mappa della radiazione prodotta nei primi istanti dopo il big bang, il fondo
cosmico di microonde, la cui immagine permette di stabilire la geometria, la composizione e l’ evoluzione
dell’ universo a grande scala.
“E’ un po’ come analizzare le acque alla foce di un grande fiume, e farlo talmente bene da poter risalire
precisamente ai contributi di ciascuno dei suoi affluenti. Le nuove mappe di Planck permettono di
stabilire per la prima volta esattamente quanta radiazione proviene dalla nostra galassia, quanta dall’
universo extragalattico, quanta dall’ universo primordiale” riferisce il prof. Paolo de Bernardis,
responsabile delle attività Planck presso l’Università La Sapienza di Roma..
“Grazie all’ utilizzo di diverse tecnologie (radiometri e bolometri) e temperature molto basse (230 gradi
sotto zero per il telescopio, e solo un decimo di grado sopra allo zero assoluto per i rivelatori) Planck ha
MARE
MONTAGNA
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lavorato con sensibilità, stabilità e affidabilità senza precedenti. E grazie alla copertura delle alte
frequenze con i bolometri è stato possibile è stato possibile ottenere risultati che i satelliti precedenti non
erano in grado di fornire” - afferma Federico Nati, giovane ricercatore presso il Dipartimento di Fisica di
Sapienza.
“Avendo a disposizione dati multifrequenza, è stato possibile studiare la materia calda presente negli
ammassi di galassie ed in filamenti che collegano tra loro gli ammassi di galassie. Infatti queste particelle
veloci cedono energia alla radiazione proveniente dall’ universo primordiale, diminuendone l’ intensità a
basse frequenze ed aumentandola ad alte frequenze. Con questo metodo si possono studiare gli ammassi
ed i superammassi di galassie più lontani e più grandi, e Planck ha prodotto un catalogo di più di 1200
ammassi distribuiti su tutto il cielo: in un certo senso l’ ossatura dell’ universo” - spiega Silvia Masi, del
Dipartimento di Fisica de La Sapienza, coinvolta in Planck fin dalla realizzazione dell’ hardware di
missione - “Il prossimo esperimento, che misurerà con precisione ancora migliore questi effetti, è il
nostro OLIMPO, un grande telescopio da pallone stratosferico, finanziato dall’ Agenzia Spaziale Italiana,
che osserverà il cielo a microonde simultaneamente in 30 bande spettrali, e con nitidezza ancora migliore
di quella ottenuta da Planck”.
Il satellite Planck dell’ESA europea
Il progetto per il prezioso LFI è stato realizzato da un consorzio di nazioni e agenzie spaziali con il
contributo scientifico dei ricercatori italiani dell’INAF (l’Istituto Nazionale di Astrofisica), con il
coordinamento e il finanziamento dall’Agenzia Spaziale Italiana.
I due Principal Investigator della missione, cioè i responsabili scientifici, sono il francese Jean-Loup
Puget, e l’italiano Nazzareno Mandolesi,
Il protagonista è il satellite Planck dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), Si tratta di un grande satellite a
forma di tamburo, sormontato dal suo grande telescopio.
Il lancio avvenne il 14 maggio 2009 a bordo di un razzo vettore Ariane 5 dalla base europea della Guyana
Francese, insieme ad un altro importante satellite scientifico europeo, l’Osservatorio Spaziale Hershel.
“Planck osserva fino quasi ai confini estremi del tempo” - precisa Nazzareno Mandolesi - “per cogliere la
prima istantanea possibile dell’Universo: quella “scattata” 350.000 anni dopo il Big Bang, quando
l’Universo divenne “trasparente”. E dunque, per la prima volta, osservabile”.
“Sono circa sessanta i ricercatori dell’INAF coinvolti nell’esperimento” - aggiunge Mandolesi - “tra le
Università di Milano, Roma Tor Vergata, Pisa e Bologna, che studiano i dati ricevuti. Dati che sono dieci
volte più dettagliati rispetto a quelli ricevuti negli anni scorsi dal suo predecessore, il satellite americano
COBE”. Dopo il lancio, una volta raggiunta l’orbita terrestre, l’ultimo stadio di Ariane aveva rilasciato
nello spazio sia Planck che il satellite Herschel, ed entrambi i satelliti puntarono, assieme, verso la
regione dello spazio chiamata L-2 . Planck in particolare, dopo sei mesi accese i propri razzi di
trasferimento, per andarsi a posizionare nell’”orbita Lissajous” a circa 1 milione e mezzo di chilometri
dalla Terra; il punto è considerato “strategico” poiché in L-2 non arrivano emissioni dalla Luna, dalla
Terra o dal Sole, che possono creare inconvenienti alle osservazioni del satellite.
Il satellite, per permettere ai suoi strumenti di operare correttamente, funziona con una temperatura
interna di -253 gradi centigradi, quindi prossima allo zero assoluto. Si tratta di quella sorta di
“membrana” molto sensibile, capace di rivelare i segnali testimoni della nascita dell’universo.
In commercio esistono ormai da molti anni telecamere e macchine fotografiche sensibile alla luce
infrarossa, che permettono di fotografare una persona, per esempio, anche in una stanza buia: “Il segreto
scientifico di questa missione” – aggiunge Paolo De Bernardis, che ha diretto le missioni BOOMERanG,
con apparati inviati nella stratosfera per lo studio della radiazione di fondo a microonde e ha contribuito
allo strumento HFI di Planck - “è che la luce che Planck raccoglie non solo è molto debole, ma
corrisponde a una temperatura di circa -270 gradi centigradi. Se non venissero raffreddati gli strumenti a
temperature così basse, la stessa elettronica che li fa funzionare riscalderebbe il telescopio
sufficientemente da fargli emettere una luce che inquinerebbe i dati da raccogliere”.
I risultati presentati ieri offrono anche nuove percentuali su come è composto l’universo: energia oscura
al 68,3 per cento; materia oscura al 26,8 per cento; e solo il 4,9 per cento di materia ordinaria. Insomma,
c’è ancora molto da fare e da scoprire...
Gli obiettivi scientifici Questa sorta di “macchina del tempo” che è Planck, sta quindi cercando di fornire
diverse risposte a domande quali: l’universo continuerà ad espandersi per sempre, oppure prima o poi
collasserà? Qual’é la vera età dell’universo? Qual’é la natura della famosa (e misteriosa) “materia
oscura”?
“Planck infatti studia le caratteristiche della radiazione cosmica di fondo” – aggiunge De Bernardis – “che
è una conseguenza della nascita stessa dell’universo. Secondo la teoria del Big Bang, infatti, una frazione
di secondo dopo la sua creazione l’Universo era costituito da un brodo di particelle e di radiazione
elettromagnetica in equilibrio: qualsiasi luce venisse emessa, veniva subito riassorbita dalla materia.
L’universo era completamente opaco, ma espandendosi si è andato anche progressivamente
raffreddando, fino a quando non è divenuto trasparente alla radiazione che lo costituiva, poche centinaia
di migliaia di anni dopo il Big Bang”.
“La radiazione che Planck studia” – aggiunge l’astrofisico - “è proprio quella emessa quando l’universo è
divenuto trasparente: figlia diretta, dunque, dell’espansione progressiva dell’universo e del suo
progressivo raffreddamento. Dopo un viaggio di 13 miliardi di anni, ci porta una precisa informazione
sulla temperatura, dell’universo nell’istante in cui è stata rilasciata”.
Planck si inserisce in una linea di ricerca che già ha fruttato diversi premi Nobel per la fisica, tra cui
quello assegnato nell’ottobre 2006 ai due ricercatori americani: oltre a Smoot infatti, il Nobel è stato
assegnato anche a John C. Mather, per i risultati ottenuti con il primo satellite dedicato allo studio della
radiazione cosmica di fondo, il COBE.
“Con questa radiazione, si può osservare un universo senza stelle, senza galassie, senza pianeti, senza
nessuna di quelle straordinarie immagini astronomiche a cui siamo abituati. Si può osservare inoltre un
universo costituito da un miscuglio di particelle e radiazione che, in prima battuta appare essere identica
in tutte le direzioni, una zuppa in ogni punto del quale misuriamo la medesima temperatura”.
“Ma quando lo osserviamo con la sensibilità di Planck” – conclude De Bernardis – “questo universo
apparentemente piatto e poco interessante rivela un volto molto più intrigante. Vi sono, in quella zuppa
vitale che ancora non ha struttura, piccole, piccolissime disomogeneità, differenze di temperatura di
appena qualche milionesimo di grado. Queste fluttuazioni caotiche sono di straordinaria importanza,
perché oggi sappiamo che proprio nelle aree più fredde identificate da questi dati, si sono formate le
prime galassie, le prime stelle e dunque noi stessi. In definitiva, dunque, Planck ha raccolto dati
straordinari sulla nostra origine, mappando con un dettaglio mai raggiunto prima, la distribuzione di
queste disomogeneità”.
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