ATTO GIUDIZIARIO DIRITTO CIVILE Con accordo di separazione

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ATTO GIUDIZIARIO DIRITTO CIVILE Con accordo di separazione
ATTO GIUDIZIARIO DIRITTO CIVILE
Con accordo di separazione coniugale omologato nel marzo 2016, Caio, sul presupposto
che il reddito familiare prima della separazione ammontasse ad euro 500 mensili che
quello suo personale ad euro 3.200 mensili si è impegnato a corrispondere a Sempronia un
assegno mensile di euro 1.600 per il mantenimento del figlio della coppia, Caietto, nonché
a trasferire a quest’ultimo senza ricevere alcun corrispettivo la piena ed intera proprietà
dell’unico immobile di cui è proprietario. L’accordo tra i coniugi prevede, inoltre, che
Caietto continui a vivere insieme alla madre presso altro appartamento di proprietà d
quest’ultima che fino alla data della separazione aveva costituito l’abitazione coniugale.
Tizio, che vanta nei confronti di Caio un ingente credito in forza di rapporti commerciali
intercorsi con il predetto nell’anno 2015, venuto a conoscenza di tale trasferimento di
proprietà avvenuto nel settembre 2016, e ritenendo che lo stesso possa pregiudicarlo si
reca dal proprio legale di fiducia per conoscere se sono concretamente esperibili delle
azioni
a
tutela
del
proprio
credito.
Il candidato, assunte le vesti del difensore di tizio rediga l’atto giudiziario ritenuto più
utile alla difesa degli interessi di Tizio.
I fatti chiave della traccia sono costituiti da: a) l'accordo di separazione coniugale b) l'ammontare
dell'assegno c) il trasferimento senza corrispettivo di un immobile di proprietà esclusiva del padre
Caio d) la proprietà esclusiva di un appartamento in capo alla madre di Caietto e) il timore di Tizio
di ricevere pregiudizio al proprio credito in conseguenza del trasferimento.
Prendendo le mosse dal timore di Tizio, è evidente che il pregiudizio che subisce il creditore, dagli
atti di disposizione del proprio debitore, è quello alla garanzia patrimoniale generica (art. 2740
c.c.). La garanzia patrimoniale generica, a fronte di atti di disposizione, è tutelata dall'articolo
2901 c.c.
A norma di tale ultima disposizione, " Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a
termine [c.c. 1356], può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di
disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando
concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o,
trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di
pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel
caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono
considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto.
L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede,
salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione".
Nel caso di specie sembrano sussistere tutti i presupposti per un'azione revocatoria piana e lineare,
da introdursi con atto di citazione: l'acquisto del minore è, infatti, a titolo gratuito, quindi non è
necessario provare né la consapevolezza del minore né (trattandosi di atto dispositivo chiaramente
successivo al sorgere del credito) la dolosa preordinazione a pregiudicare il soddisfacimento del
credito. Quanto alla conoscenza del pregiudizio, da parte del debitore, discende dal fatto che lo
stesso si è liberato della "piena ed intera proprietà dell’unico immobile di cui è proprietario". Né
può ritenersi che il trasferimento fosse preordinato a garantire il mantenimento, dal momento che
se lo scopo di quest'ultimo è di conservare il tenore di vita anteriore alla separazione (pari a un
reddito di 5.000 euro), allora la corresponsione di un assegno di 1.600 euro, a fronte di un reddito
(dopo la separazione) di 3200 era ampiamente idoneo a ricostituire il medesimo tenore di vita.
Quindi la cessione dell'immobile era del tutto ultronea e non necessaria ad adempiere alle
obbligazioni di mantenimento.
La Cassazione, poi, ha espressamente riconosciuto che "È ammissibile l'azione revocatoria
ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore della prole in
ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, poiché esso trae
origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene "dovuto" solo in conseguenza
dell'impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore,
sicché l'accordo separativo costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di
obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, co. 3 c.c." (Cassazione Civile, sez. III,
sentenza 22/01/2015 n° 1144) e, in particolare, aveva anche affermato che "È suscettibile di revoca
ai sensi dell'art. 2901 c.c. il contratto con cui un coniuge trasferisca all'altro un immobile, al
dichiarato fine di dare esecuzione agli obblighi assunti in sede di separazione consensuale
omologata. La domanda di revoca del contratto di trasferimento sottopone alla cognizione del
giudice anche l’esame degli accordi preliminari stipulati in sede di separazione, che abbiano dato
causa al trasferimento, senza necessità che sia proposta specifica impugnazione contro gli stessi,
sempre che siano stati dedotti in giudizio i presupposti di diritto e di fatto rilevanti ai fini della
decisione. La valutazione relativa alla sussistenza dei requisiti per la revoca va compiuta con
riferimento sia ai preliminari accordi di separazione, sia al contratto definitivo di trasferimento
immobiliare" (Cassazione Civile, sez. III, sentenza 13/05/2008 n° 11914)
Sul piano processuale, poi la citazione doveva essere rivolta sia al debitore che al minore
rappresentato dalla madre esercente la potestà genitoriale (le parti necessarie del giudizio vanno
individuate nel creditore, nel debitore e nei terzi cui era stato trasferito l'immobile (ex multis, Cass.
n. 8952/2000)).
ATTO GIUDIZIARIO DIRITTO PENALE
Tizio e Caio si accordano per commettere una rapina ai danni del gioielliere Sempronio del
quale hanno studiato le abitudini. Nel giorno prefissato, dopo aver atteso a volto coperto
che quest’ultimo, chiuso il negozio, salga sulla propria autovettura, entrano in azione:
mentre Tizio fa da palo all’angolo della strada, a circa duecento metri di distanza, Caio
entra nell’auto di Sempronio e, dopo averlo colpito al viso con diversi pugni, si impossessa
della sua valigetta per poi darsi alla fuga seguito da Tizio. Le indagini successive
consentono di individuare in Tizio e Caio gli autori del fatto. Sottoposti a processo
vengono entrambi condannati alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione ed euro 2000,00 di
multa per il reato di rapina aggravata in quanto commesso da più persone riunite e con il
volto travisato, ritenuta la sussistenza della recidiva reiterata specifica ed
infraquinquennale contestata dal pubblico ministero in considerazione dei precedenti a
carico di entrambi risultanti dal certificato penale.
Nel determinare il trattamento sanzionatorio il Tribunale ha fissato la pena base in anni 4 e
mesi 6 di reclusione ed euro 1200 di multa di cui all’art. 638, comma 3, n. 1 c.p. e su questo
ha applicato l’aumento per la recidiva.
Tizio si reca immediatamente dal proprio legale e lo incarica di assumere immediatamente
la propria difesa. In tale veste il candidato rediga l’atto ritenuto più opportuno
evidenziando le problematiche sottese alla fattispecie in esame e soffermandosi anche, in
particolare, sulla natura giuridica della recidiva di cui all’art. 99, comma 4, c.p. e sulle
conseguenze in punto di pena.
POSSIBILE SOLUZIONE:
1)INSUSSISTENZA DELL’AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 628, COMMA 3 N. 1 C.P.
“VIOLENZA O MINACCIA COMMESSA DA PIU’ PERSONE RIUNITE”
Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 628, III comma, n. 1 c.p. è necessaria la
simultanea presenza di almeno due soggetti nel luogo di consumazione del delitto di talché, anche
qualora la violenza o minaccia sia esercitata da uno solo di essi, la presenza di altri concorrenti vale
quale sostegno e incoraggiamento all’esecutore materiale dell’opera. Infatti, la ratio dell’aggravante
va ravvisata non tanto nella maggiore pericolosità insita nella partecipazione di più soggetti nel
medesimo reato, quanto nel maggiore effetto intimidatorio che la presenza di più persone esercita
anche in modo indiretto sulla libertà di autodeterminazione della vittima, nel senso che la stessa
percepisce che l’atteggiamento minaccioso promana non dal singolo ma dall’intero gruppo, da cui la
maggiore efficacia persuasiva. (Cfr. ex multiis Cass. Pen. Sez. II 24.06.2016 n. 30273).
Nel caso di specie, essendo Tizio lontano circa duecento metri dal luogo di materiale esecuzione del
delitto, la sua presenza non poteva essere in alcun modo percepita dalla vittima, e pertanto non deve
ritenersi integrata quella particolare forza intimidatrice prevista dalla circostanza aggravante.
2)
ERRONEA QUANTIFICAZIONE DELLA PENA:
Il calcolo della pena effettuato dal giudice di primo grado ai fini della condanna di Tizio e Caio non è
corretto. Postulando l’esclusione della circostanza aggravante di cui al motivo sub 1), occorre
effettuare il calcolo degli aumenti di pena risultante dall’applicazione della seconda aggravante
prevista ex art. 628 III comma, n. 1 c.p. e della recidiva infraquinquennale specifica.
A tal proposito occorre ricordare che entrambe le aggravanti contestate rientrano tra quelle ad
effetto speciale, poiché importano – ai sensi della’rt. 63 III comma - un aumento di pena superiore
ad un terzo.
Infatti la pena base prevista per il reato di rapina è compresa tra i 3 e i 10 anni, mentre la pena
prevista per l’ipotesi aggravata di cui al III comma, n. 1 è da 4 anni e 6 mesi a 20 anni, dunque si
deve classificare tra quelle ad effetto speciale.
La recidiva specifica infraquinquennale, di cui all’art. 99, IV comma c.p., invece, prevede un
aumento fino alla metà e dunque superiore ad 1/3.
A tal proposito dispone l’art. 63, IV comma c.p. che, se concorrono più circostanze aggravanti ad
effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può
aumentarla. Dunque il calcolo effettuato dal giudice sarebbe dovuto partire dalla pena base di 3
anni, con un aumento fino alla metà, quindi fino a 4 anni e sei mesi, dovuto all’applicazione della
recidiva infraquinquennale specifica, ed eventualmente aumentato in misura ulteriore, ex art. 63,
IV comma c.p., ma in ogni caso non avrebbe mai potuto raggiungere i 7 anni e 6 mesi.