cinema e follia

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cinema e follia
CINEMA E FOLLIA
“Perché la follia in un cineforum?”. Per differenti ragioni. Innanzitutto credo che la follia sia uno
dei più importanti soggetti drammatici della letteratura occidentale.
In effetti molti degli avvenimenti cruciali di molte trame romanzesche appaiono come il risultato di
atti folli, sconsiderati: si pensi a tutta la serie degli atti efferati, alle ambizioni smodate, alla stessa
passione amorosa, nei suoi esiti estremi. L’idea è che la follia sia una potenza drammatica
originaria, un motore archetipico della narrazione stessa.
Ma se la follia è un tema drammatico lo è soprattutto perché dispiega sempre una situazione di
conflitto e non si dà narrazione senza conflitto. Tale conflitto consiste nella relazione polemica fra
individuo e società. La follia in questo senso, prima ancora di essere inquadrata nell’ottica della
patologia organica, può essere esperita come il risultato di una mancata adeguazione dell’individuo
ai ruoli, ai compiti, alle pratiche e ai codici imposti dalla società: nella fiction, sia essa cinema o
letteratura, è spesso originata dal tentativo dei personaggi di fuggire dai limiti angusti delle loro
esistenze.
Ma come è resa nel cinema l’esperienza della follia? Innanzitutto si deve precisare che con il
termine-ombrello “follia” si fa riferimento ad un ambito di disordini mentali abbastanza eterogeneo.
Non è questa la sede per abbozzare un inventario esaustivo delle principali patologie psichiatriche
che sono state rappresentate lungo la storia del cinema1. Ci limiteremo a delucidare una
classificazione relativamente ai film proposti nella presente rassegna:
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Rimandiamo all’ottima trattazione di Glen O. e krin Gabbard “Cinema e psichiatria”, Raffaello Cortina Editore, 2000
e alla succinta trattazione di G. Grossini “Cinema e Follia”, Edizioni Dedalo, 1984.
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1)la schizofrenia, caratterizzata nel cinema soprattutto da allucinazioni visive e uditive: tali fantasmi
affliggono gli eroi bergmaniani come in “L’ora del lupo” (Vartigmen) - dove il pittore Johan Borg è
perseguitato da allucinazioni visive che finiscono col contagiare anche la moglie – e in “Come in
uno specchio” (Säsom i en spegel) – dove assistiamo alle farneticazioni della schizofrenica Karin
che sente delle voci che gli profetizzano la venuta di Dio. Ma l’allucinazione si insinua anche nella
mente dello scrittore Jack Torrence, in “Shining” di Kubrick, portandolo ad attentare alla vita del
figlioletto Danny e della moglie. Sicuramente la schizofrenia2 è qualcosa di molto più complesso
del semplice stato allucinatorio, ma il cinema lo affronta molto spesso in questi termini (che sono
consoni del resto al suo medium espressivo, che è per l’appunto l’audio-visivo) con un sapiente uso
delle soggettive.
2)il disturbo da dissociazione di identità il voyeurismo e il travestitismo in Psycho di A. Hitchcock;
3)il delirio e monomania3, che nei film di W. Herzog accomunano sia il capitano “Lope de Aguirre”
(degenerando fino ad un vero e proprio psicotico delirio di onnipotenza, in cui il protagonista vive
una percezione distorta della realtà ma non ne é inconsapevole) e Fitzcarraldo. Quest’ultimo è in
realtà, contrariamente ad Aguirre, lucidissimo, ma si prefigge un obiettivo così difficile e bizzarro
da non poter essere che definito prima facie “visionario-delirante”. Il fatto che sia Aguirre che
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Senza nessuna pretesa di esaustività, ma solo per fornire qualche linea guida su cosa è la schizofrenia: “insiemi di
sindromi, gravi e frequenti, appartenenti alle psicosi endogene. Essendo la genesi della schizofrenia molto oscura , la
sua definizione è controversa e sostanzialmente legata ai sintomi: dissociazione della mente (pensiero bizzarro,
incongruo, sconnesso, afinalistico).dell’affettività (ambivalenza, dissintonia tra emozioni e comportamento, labilità
emotiva), e della volontà (disarmonia di atteggiamenti, inadeguatezza, improduttività”. Altrove si legge “ambivalenza
generalizzata e intensa verso persone situazioni o oggetti; l’alterazione dell’attenzione e in particolare della capacità
di concentrazione; le allucinazioni percettive (soprattutto uditive) e psichiche (nelle quali il malato in uno stato di
coscienza lucida percepisce direttamente, quasi per “telepatia”, idee, ordini e commenti relativi al suo
comportamento); il delirio”. Esordisce tra i 20 e i 40 anni con una metamorfosi della personalità, che regredisce a livelli
infantili e disgregati: spesso si ha una chiusura radicale (autismo), viene perso il sentimento di sé e del mondo
(depersonalizzazione e derealizzazione) , la realtà resta confusa e mescolata con il regno della fantasia, prevale il
pensiero magico e l’onnipotenza. Sintomi caratteristici sono il delirio e le allucinazioni. Tutto ciò riduce la capacità di
organizzare la propria vita e la produttività, e rende il soggetto incostante, velleitario e distraibile. La disinibizione e
riduzione del controllo dell’Io porta a comportamenti anomali (bulimia, anoressia, aggressività, anomalie della
sessualità ecc..).
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per delirio si può intendere succintamente uno stato di alterazione psichica, nel quale la mente insegue acriticamente
costruzioni senza nesso con la realtà: le idee infatti non vengono associate tra loro secondo un ordine logico e su di esse
non viene esercitato alcun controllo: le idee quindi si succedono confusamente e spesso rapidamente (fuga delle idee),
oppure tendono ad organizzarsi in una determinata direzione, coordinandosi su un elemento delirante di base (delirio
sistematizzato). A questo appartengono i deliri di grandezza, persecuzione, gelosia, colpa, tipici di alcune psicosi
(paranoia , schizofrenia). Oppure per delirio si legge “convinzione erronea che non cede di fronte alla logica né
all’evidenza: è segno di disturbo psichico, e come tale è di competenza della psichiatria. Più precisamente, si parla di
delirio quando un soggetto esprime una radicale credenza, di importanza centrale nella sua visione della realtà, ma
inspiegabile secondo il senso comune e la cultura a cui appartiene il soggetto stesso. Le convinzioni e le idee deliranti
sono quindi espressione di un distacco dalla realtà sociale. Si distingue un delirio in senso proprio, o delirio lucido, in
cui permane uno stato integro di coscienza, da un delirio confuso, in cui lo stato di coscienza è alterato, onirico. I deliri
di grandezza si hanno quando il soggetto è convinto di essere al centro di un destino glorioso; i deliri religiosi o di
gelosia o di morte vengono così denominati per il loro contenuto , che verte su temi religiosi, sulla gelosia e sulla morte.
I deliri fantastici hanno spesso un contenuto incoerente e poco strutturato; altre volte si osservano convinzioni deliranti
assai coerenti, articolate secondo una logica estranea al buon senso ma apparentemente inaccettabile. […] In generale
esso è conseguenza di una insufficienza degli strumenti di elaborazione e di controllo dei dati dell’esperienza. Questa
insufficienza può derivare da un disturbo organico ma anche da situazioni interindividuali.
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Fitzcarraldo abbiano solo una idea (la “conquista dell’Eldorado” e “far catare Caruso in un teatro
edificato nel cuore dell’amazzonas”) che inseguono a tutti i costi li accomuna strettamente
nell’ambito della monomania.
4) La follia dissimulata: topos letterariamente nobile (si pensi ad “Hamlet” di Shakespeare o al
“Riccardo IV” di Pirandello) che viene ripreso nei film di Fuller e Forman. Entrambi i protagonisti
delle vicende dei due film, il giornalista Johnny Bennet e il galeotto McMurphy , si fanno internare
in un manicomio per raggiungere determinati obiettivi: rispettivamente, condurre un’inchiesta
giudiziaria su un omicidio, e, in negativo, evitare di essere incarcerato in una prigione per detenuti.
Inventario molto limitato che potrebbe estendersi a dismisura se si prendesse in considerazione
come griglia di riferimento, ad esempio, il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders”, compilato dalla “American Psychiatric Association”.
Questo perché il tema della follia e dei comportamenti devianti si declina nel cinema in modi molto
diversificati (si pensi ai collegamenti con la criminologia e quindi al generi del “thriller” e del
“noir”) ed è presente, in modo centrale o secondario, in un vasta parte della produzione
cinematografica mondiale. I film proposti, diretti da alcuni dei massimi registi del cinema europeo e
americano – come S. Kubrick, I. Bergman, W. Herzog, M. Forman e A. Hitchcock, ma potrebbero
rientrarvi tanti altri registi fondamentali come R. Weine4, O. Welles5, F. Lang6, C. T. Dreyer7 ecc… affrontano il tema della follia in modo centrale (presentando protagonisti schizofrenici, deliranti,
incentrando l’azione in manicomi, mostrando delitti non commessi per calcolo utilitaristico)
naturalmente dialogando con altri temi classici (come il soprannaturale, in “Psyco” e “Shining”, il
tema religioso in Bergman, la natura selvaggia in Herzog, il carattere repressivo della istituzione
manicomiale e il razzismo in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, l’intolleranza e la scienza non
controllata dalla morale in “Shock corridor” di Fuller ). Pur nella loro eterogeneità questi film
consentono di rinvenire almeno due tendenze ricorrenti:
- La follia condivide con l’isolamento un rapporto molto stretto e singolare: l’isolamento può
favorirne la nascita, ma può anche essere l’esito della sua comparsa (il risultato della disomogeneità
fra individuo e società si risolve spesso nella marginalizzazione, nell’internamento di quest’ultimo
in appositi luoghi che fanno capo a istituzioni di controllo). Nei film proposti il tema
dell’isolamento è tutt’altro che collaterale. In “Shining” l’emergere della follia è proprio causata
dall’isolamento coatto cui si sottopone lo scrittore Jack Torrence con la sua famiglia, alloggiata per
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“Il gabinetto del dott. Caligari” (1920)
“Don Chisciotte” (1964)
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“M - il mostro di Düsseldorf” (1931)
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“Ordet” (1954)
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tutto il periodo invernale nell’incredibilmente spazioso quanto desolato Overlook Hotel, residenza
tagliata fuori, per via delle condizioni atmosferiche, da ogni comunicazione col mondo esterno se
non attraverso le capacità medianiche del figlio Danny 8
In “Vargtimmen” (“L’ora del lupo”) e in “Come in uno specchio” (Säsom i en spegel) di Bergman
la follia emerge sempre dall’isolamento, essendo l’azione ambientata nelle isole dell’arcipelago
delle Frisonne, dove i protagonisti della vicenda agiscono nel più completo isolamento.
In Psyco l’insanità mentale di Norman, impersonato dall’indimenticabile Antony Perkins, è un
tutt’uno con il suo isolamento sociale, con la sua vita confinata nella vecchia casa della madre
defunta9.
Infine, in ambedue i films di Herzog, l’azione insensata, folle, estrema, che coinvolge gruppi di
individui guidati da visionari come il capitano “Lope de Aguirre” o il barone del caucciù “Brian
Sweeney Fitzgerald”, è associata all’inoltrarsi nella profondità della giungla, facendo corpo quindi
con la natura più remota e selvaggia.
- Nel cinema al tema della follia è spesso concatenato nella narrazione un finale tragico, dove morte
violenza disperazione incombono sui principali personaggi della vicenda. In “Shining” Jack non
riuscirà a uccidere la sua famiglia e morirà assiderato,. sperduto nel labirinto adiacente alla
residenza alberghiera, (ingegnosa metafora visiva di una mente che non ritrova se stessa), e al
contempo, per l’evasione della madre e del figlio, sarà cruciale l’atto sacrificale del cuoco accorso
dopo essere stato contattato telepaticamente dal piccolo Danny, poiché consegnerà il “gatto delle
nevi”, ossia il mezzo attraverso cui fuggire dall’Overlook Hotel. In Psyco Norman ucciderà la
fuggiasca Marion con un coltello da cucina, in una delle scene più celebri del cinema di tutti i
tempi. In “L’ora del Lupo” (Vargtimmen) è mostrato un gratuito quanto efferato omicidio, anche se
non compiuto nella realtà ma nel delirio allucinato del pittore John Borg, mentre un eventuale
uxoricidio è scampato solo per caso; in “Come in uno specchio” (Säsom i en spegel) l’esito dell’
“isteria religiosa” di Karin sarà, anche se non scorrerà sangue, un altro tipo di delitto, l’infrazione di
un tabù, cioè il rapporto incestuoso col fratello Minus. Sconvolta dall’incesto e dalla ambiguità del
padre – del quale legge di nascosto il diario in cui è palesata l’intenzione di utilizzare la pazzia della
figlia come materia letteraria per un romanzo - Karin precipita sempre più nella pazzia, credendo di
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Il tema dell’isolamento è esplicitato in un dialogo paradigmatico “Come lavoro non è pesante, l’unica cosa è che si
può sentire un forte senso di isolamento durante l’inverno” “Bah, se può farle piacere è proprio quello che sto
cercando, un po’ di isolamento, perché sono lì lì per partorire un romanzo e cinque mesi sono proprio quello che mi ci
vuole” “Mi preoccupavo perché per molte persone l’isolamento e la solitudine, a volte, possono rappresentare un
problema”.
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Lo sceriffo Archibald dice esplicitamente “Quel ragazzo vive come un eremita, dovreste ricordare il fattaccio che
successe laggiù dieci anni fa”
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scorgere Dio dietro un armadio, ma non vedendovi altro che un ragno orrendo: finirà i suoi giorni in
un manicomio.
Nei lungometraggi di Fuller e Forman, affini perché ambientati entrambi nelle strutture di
internamento, i protagonisti pagheranno a proprie spese l’imprudenza di ricoverarsi nel luogo in cui
la follia è confinata dalle istituzioni: L’ambizioso giornalista Bennet finirà con l’impazzire
seriamente, mentre Mcmurphy, entrato nel manicomio per scampare al carcere, finirà con l’essere
lobotomizzato e reso un vegetale.
In “Aguirre furore di Dio”, il progetto folle e visionario di un uomo si allarga come una epidemia
infettando tutti i membri della spedizione, accecati da potere e ricchezze promesse, spingendola la
spedizione stessa nel vortice di un epilogo fatale. Se, d’altra parte, in “Fitzcarraldo” una volta tanto
un progetto genuinamente folle - portare il teatro dell’opera nel centro dell’Amazzonia
- è
coronato, dopo fatiche degne di un Sisifo, dal successo, ciò è ottenuto solo a prezzo di disgrazie
nella lavorazione stessa del film: il livello di realtà della fiction si confonde con la rappresentazione
filmica e questo fa di “Fitzcarraldo” un film unico e irripetibile nel suo genere. In altre parole, la
follia che è mostrata nella rappresentazione filmica non può che essere la controparte di una follia
reale: affinché l’impresa di “Fitzcarraldo” (interpretato dall’indimenticabile e “folle” Klaus
Kinski10) risultasse agli occhi dello spettatore autenticamente “titanica” è stato infatti necessario
uno sforzo immane poiché piogge torrenziali, malattie, e altri imprevisti hanno allungato la
lavorazione per quasi 4 anni, portando alla disperazione sia il regista che la troupe e gli attori. Senza
contare poi la morte di un Indios annegato, nonché l'incidente aereo di alcuni membri della troupe e
gli infortuni avvenuti durante le riprese. Un film, quindi, costato molto non solo a livello finanziario
e che, a detta dello stesso Herzog, non lo ripagherà mai delle fatiche, anche se allo spettatore che lo
gusta comodamente in poltrona regala un'emozione veramente intensa.
Dario Dall’Agata
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K. kinski trovò in Werner Herzog un regista congeniale: questi gli affidò personaggi di profonda intensità e di
tormentata follia, in grado di consegnarlo alla storia del cinema, da Aguirre (1972) a Nosferatu (1978), al Woyzeck
(1979), Fitzcarraldo (1982) e Cobra verde (1987). Spesso definito “genio matto”, Werner Herzog lo descrisse come un
"autentico maniaco". Kinski fu un attore di grande impegno, sempre alla ricerca della perfezione nella performance
recitativa, ma fu molto spesso anche in contrasto con i propri collaboratori e registi, e raramente mostrò di possedere nel
suo lavoro il cosiddetto “spirito di squadra”. In una spiacevole circostanza Kinski dalla scena scagliò un candelabro
contro il pubblico, considerandolo troppo tiepido nell’apprezzare la recitazione, causando quasi l’incendio del teatro.
Sicuramente uno degli attori più folli del cinema di tutti I tempi.
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