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N.34 PDF Numero 3 PDF - anno 2013 2013 PDF DIRETTORE RINO PAVANELLO CO-DIRETTORE STEFANO MAGLIA Manuale Tecnico-giuridico di In-formazione e Documentazione per RSPP, RLS, Giuristi, Operatori, Tecnici e Medici della Prevenzione AUA: IN VIGORE DAL 13 GIUGNO a cura di: Stefano Maglia SOTTOPRODOTTO: NORMALE PRATICA INDUSTRIALE a cura di: Stefano Maglia DDL DI MODIFICA AL TUA Rivista Ambiente e Lavoro a cura di: Miriam Viviana Balossi ACQUE REFLUE DOMESTICHE E INDUSTRIALI a cura di: Stefano Maglia EMISSIONI DI COV NEL TUA a cura di: Leonardo Benedusi PRELIEVI E ANALISI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI a cura di: Ettore Sassi RESPONSABILITÀ PRODUTTORE DEL RIFIUTO a cura di: Miriam Viviana Balossi LINEE GUIDA SOTTOPRODOTTI ORIGINE ANIMALE a cura di: Monica Taina CSS: A CHE PUNTO SIAMO ? a cura di: Chiara Zorzino In collaborazione con Rivista Ambiente e Lavoro Febbraio 2011 IN QUESTO NUMERO INDICE 2 NORMATIVA Dal 13 giugno in vigore l’Autorizzazione Unica Ambientale 1 (S.Maglia) 3 INDICE SALUTE E SICUREZZA Sottoprodotto: ancora sul concetto di “normale pratica Gli apparecchi e la protezione delle vie respiratorie industriale” (S.Maglia) (Virginio Galimberti) COMMENTI DDL di modifica al TUA: si riparte? (M.V. Balossi) 25 6 L’azione di rivalsa dell’INAIL ARIA E ACQUA (Giovanni De Luca) SALUTE E SICUREZZA Differenze tra acque 25 reflue domestiche e industriali Spazi Confinati: Sicurezza del lavoro e sistema di gestione (S.Maglia) (Eugenio Ferioli) Emissioni diAgenti COV chimici nel TUA (L.Benedusi) D.Lgs. 81/08: e protezione delle vie respiratorie (Graziano Frigeri) Prelievi e analisi di acque reflue industriali (E.Sassi) 7 10 50 12 33 COMMENTI COMMENTI La manutenzione come elemento di garanzia della sicurezza di macchine e impianti (Alessandro Mazzeranghi e Rossano Rossetti) Fin dove arriva la responsabilità del produttore del rifiuto COLLABORATORI E CORRISPONDENTI in caso di sub-appalto? (M.V. Balossi) Approvate le Linee Guida per la gestione dei sottoprodotti di origine animale (M.Taina) Combustibili solidi secondari: il punto della situazione (C.Zorzino) COLLABORATORI E CORRISPONDENTI Rivista Ambiente e Lavoro 2013 58 64 15 16 17 20 Ambiente DAL 13 GIUGNO IN VIGORE L’AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE di Stefano Maglia* Sulla Gazzetta Ufficiale n. 124 del 29 maggio 2013 Suppl. Ordinario n. 42 è stato finalmente pubblicato il Decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59 (Regolamento recante la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell’articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35): il Regolamento, atteso ormai da mesi, entrerà in vigore il prossimo 13 giugno. Con il D.P.R. 59/2013 viene data attuazione a quanto disposto dall’art. 23, del D.L. 5/2012 (Decreto Semplificazioni) conv. con modifiche nella L. 35/2012 e si applica alle piccole – medie imprese (P.M.I.), ovvero quelle imprese di cui all’art. 2 del D.M. 18 aprile 2005, oltre che agli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). Invece il Decreto non si applica ai progetti sottoposti alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), laddove la normativa statale e regionale disponga che il provvedimento finale di V.I.A. comprende e sostituisce tutti gli altri atti di assenso, comunque denominati, in materia ambientale, ex art. 26, c. 4, D.L.vo 152/06 (T.U.A.). Ex art. 2, per autorizzazione unica ambientale (A.U.A.) s’intende il provvedimento rilasciato dallo sportello unico per le attività produttive (S.U.A.P.) che sostituisce tutti gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale. Si rammenta che i provvedimenti che vengono sostituiti dall’A.U.A. sono: - autorizzazione agli scarichi (D.L.vo 152/06, art. 124 ss.); - comunicazione preventiva per l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e dalle acque reflue delle medesime aziende (D.L.vo 152/06, art. 112); - autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti (D.L.vo 152/06, art. 269); - autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli impianti e le attività in deroga (D.L.vo 152/06, art. 272); - il nulla osta di cui all’art. 8, cc. 4 e 6, della L. 447/95 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali; - autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura (D.L.vo 99/92, art. 9); - comunicazioni in materia di autosmaltimento e recupero di rifiuti (D.L.vo 152/06, artt. 215 e 216). In ogni caso, le Regioni e le Provincie Autonome possono individuare altri atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale che possono essere ulteriormente compresi nell’A.U.A. La procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale è dettagliatamente descritta nell’art. 4, mentre il successivo art. 5 precisa le modalità per procedere al suo rinnovo. Tutto ciò premesso, si segnalano alcune criticità. L’art. 3, c. 1 dispone: “salvo quanto previsto dall’articolo 7, comma 1, i gestori degli impianti di cui all’articolo 1 presentano domanda di autorizzazione unica ambientale nel caso in cui siano assoggettati, ai sensi della normativa vigente, al rilascio, alla formazione, al rinnovo o all’aggiornamento di almeno uno dei seguenti titoli abilitativi …”. “Presentano” significa che devono presentare, ma di solito un obbligo è usualmente assistito da una sanzione: in questo caso no. Peraltro, l’art. 3, c. 3 dispone: “è fatta comunque salva la facoltà dei gestori degli impianti di non avvalersi dell’autorizzazione unica ambientale nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell’istanza per il tramite del SUAP”. Alla luce di questa disposizione è evidente che si tratta di un obbligo e non di una facoltà di presentare la domanda di autorizzazione unica ambientale, fermo restando il ricorrerne dei presupposti. Quindi abbiamo il precetto. Ma la sanzione? Ad avviso di chi scrive non è possibile ritenere valide le sanzioni per le singole precedenti autorizzazioni settoriali, perché l’attività (di gestione rifiuti piuttosto che di scarico di acque reflue industriali) senza autorizzazione è sanzionata penalmente, e nel nostro ordinamento la sanzione penale non può essere oggetto di applicazione “per relationem”. Quindi, se entro il prossimo 13 giugno non interviene un atto ad hoc, ci si può trovare nella situazione di avere un obbligo non assistito da sanzione. Come rimediare? Al momento l’iter istituzionale del D.D.L. “Semplificazioni bis” è ancora “in itinere” e, siccome sarà un atto avente forza di legge, si potrebbe valutare di inserire in quella sede le sanzioni per il D.P.R. 59/2013. * Prof. Stefano Maglia, univ. Parma, Titolare StudioMaglia e Pres. TuttoAmbiente Rivista Ambiente e Lavoro 2013 3 Ambiente SOTTOPRODOTTO: ANCORA SUL CONCETTO DI “NORMALE PRATICA INDUSTRIALE di Stefano Maglia* In un mio articolo1 di un anno fa mi chiedevo “come si fa in una medesima pronuncia … affermare in un punto che la normale pratica industriale non può comportare «trasformazioni radicali … che ne stravolgano l’originaria natura» e poche righe sotto affermare che si devono escludere da tale concetto solo «gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati»?”, in quanto è incomprensibile che quelli “ordinariamente” necessari nella “normale” pratica industriale non possano consistere anche in “trasformazioni radicali”. E chiudevo l’articolo auspicando un futuro intervento, maggiormente coerente, della Suprema Corte di Cassazione che, in effetti, si è - almeno parzialmente - avuto con la recente pronuncia Cass. III Pen., n. 20886 del 15 maggio 2013. A distanza di due anni e mezzo dalla riforma operata dal D.L.vo 205/2010 sulla Parte IV – rifiuti del TUA, con particolare riguardo alla distinzione tra “trattamento” e “normale pratica industriale”, interviene questa nuova sentenza in merito al concetto di sottoprodotto. Inoltre, nonostante numerose prese di posizione della dottrina2 che insistono nello scindere questi due concetti - che, effettivamente, non c’entrano nulla l’uno con l’altro -, gli effetti “nefasti” dell’originaria sentenza Cass. II Pen. n. 17453 del 10 maggio 2012 si sono trascinati fino ad oggi: rimane, infatti, l’impostazione di fondo che prosegue nel dare una visione talmente restrittiva a quanto disciplinato dall’art. 184-bis, c. 1, lett. c) a tal punto da limitare la normale pratica industriale ai soli interventi minimali che potrebbero essere effettuati sullo scarto. Fa, peraltro, ben sperare il fatto che, in chiusura della sentenza di Cass. Pen. 20886/2013, viene riportata quella parte di motivazione della citata Cass. Pen. 17453/2012, l’unica alla quale si aderisce perché considera “conforme alla pratica industriale quella serie di operazioni che l’impresa normalmente effettua sulla materia prima che il sottoprodotto va a sostituire, escludendosi di conseguenza, tutti quegli interventi manipolativi del residuo che siano diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene utilizzato”. Detti interventi possono anche essere ampi, estremamente articolati e complessi: l’importante è che siano quelli necessari e sufficienti per generare l’altro sottoprodotto alla luce della normale pratica industriale. E, come giustamente sostiene Luca Prati, “nei casi dubbi dovrebbe ritenersi rientrare nella normale pratica industriale ogni operazione effettuata sulla sostanza o sull’oggetto preventivamente al suo utilizzo che, nel settore industriale di riferimento, viene condotta anche su materie prime, intermedi o prodotti, senza che derivi un maggior rischio in termini di impatto ambientale per il fatto che venga impiegato un sottoprodotto”3. Insomma, è opportuno sempre ricordare la prima delle priorità nella corretta gestione dei rifiuti (Dir. 98/08/CE): riutilizzare e produrre di meno. Non dimentichiamolo. * Prof. Stefano Maglia, univ. Parma, Titolare StudioMaglia e Pres. TuttoAmbiente 1 S. MAGLIA, Normale pratica industriale: la contraddittoria e “pericolosa” interpretazione della Cassazione (nota a Cass. n. 17453/2012), in Ambiente & Sviluppo, n. 7/2012 2 Si vedano: S. MAGLIA, Normale pratica industriale: la contraddittoria e “pericolosa” interpretazione della Cassazione (nota a Cass. n. 17453/2012), op. cit.; A. MURATORI, Sottoprodotti: la Suprema Corte in difesa del sistema Tolemaico? (nota a Cass. n. 17453/2012), in Ambiente & Sviluppo, n. 7/2012; L. PRATI, Rifiuti, sottoprodotto e normale pratica industriale: necessità di una interpretazione che tenga conto della finalità della norma, in http://www.lexambiente.it; P. GIAMPIETRO, I trattamenti del sottoprodotto e la normale pratica industriale, in http://www.tuttoambiente.it 3 L. PRATI, Rifiuti, sottoprodotto e normale pratica industriale: necessità di una interpretazione che tenga conto della finalità della norma, op. cit. Rivista Ambiente e Lavoro 2013 5 Riciclaggio DDL DI MODIFICA AL TUA: SI RIPARTE ? di Miriam Viviana Balossi* La versione più recente del disegno di legge (n. 121) recante “Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e altre disposizioni in materia ambientale” è stato comunicato alla Presidenza lo scorso 15 marzo. Detto DDL, pur riproducendo il testo già approvato dal Senato in data 9 maggio 2012, si propone di disciplinare con maggior precisione ed efficacia una serie di aspetti legati alla legislazione ambientale. Tra gli aspetti più significativi, si segnalano gli articoli 3 e 4 relativi agli sfalci provenienti dall’attività di manutenzione del verde pubblico e privato urbano. L’ipotesi di riforma propone che qualunque residuo dell’attività di potatura di “alberi” - a prescindere dalla provenienza - possa “anch’esso” essere ricondotto nella categoria dei “sottoprodotti” ex art. 184 bis, se utilizzato per produrre energia da tale biomassa. Oltre a sottolineare il fatto che “sfalci e potature” sono termini introdotti dal Legislatore italiano, mentre nella corrispondente norma della Dir. 98/08/CE non ve n’è alcuna traccia, si segnalano due aspetti critici: nel presente DDL ci si limita solo al “materiale derivante dalla potature degli alberi” e, in secondo luogo, si crea confusione tra “non rifiuti” ex art. 185 (come sarebbe corretto) e sottoprodotti ex art. 184 bis (come riportato nel testo, ma sostanzialmente errato). Il successivo art. 5 dispone in tema di miscelazione di rifiuti: in considerazione del fatto che in passato è stata modificata la nozione di miscelazione e quella di rifiuto pericoloso, la citata norma stabilisce che gli effetti delle autorizzazioni in essere relative all’esercizio degli impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione restano in vigore fino alla revisione delle autorizzazioni stesse. In tema di organizzazione territoriale del ciclo di gestione rifiuti, l’art.6 introduce la nuova lett. f-bis) all’art. 200, prevedendo che l’azienda costituta da soli enti locali, derivante dalla trasformazione di consorzi o aziende speciali, tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di bacino, può costituire ambito territoriale ottimale, purché la popolazione servita sia pari o superiore a 250.000 abitanti: in tal caso l’azienda diventa autorità d’ambito a tutti gli effetti e l’affidamento dei servizi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti avviene direttamente. Si segnala l’introduzione del nuovo art. 213 bis, al fine di disciplinare il trattamento dei rifiuti tramite il compostaggio aerobico e la digestione anaerobica. L’obiettivo è quello di semplificare tutte le procedure autorizzative relativamente agli impianti di compostaggio c.d. di prossimità (impianti di piccole dimen* Dott.ssa Miriam Viviana Balossi, Consulente StudioMaglia e TuttoAmbiente 6 Rivista Ambiente e Lavoro 2013 sioni che servono un massimo di qualche decina di utenze), oggi sottoposti allo stesso iter autorizzativo dei grandi impianti. L’art. 10 modifica l’art. 228 del TUA: il contributo ambientale per i pneumatici fuori uso costituisce parte integrante del corrispettivo di vendita, è soggetto ad Iva e deve essere riportato in modo chiaro su ciascuna fattura nell’importo vigente alla data della cessione del prodotto. In tema di terre e rocce da scavo, l’art. 13 stabilisce che i materiali da scavo provenienti da miniere dismesse o esaurite, collocate all’interno dei S.I.N., possono essere utilizzati nelle medesime aree minerarie per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, etc … Un’altra norma d’interesse è rappresentata dall’art. 17 relativo ai RAEE: questa disposizione prevede che rientrino nella fase della raccolta il raggruppamento di AEE finalizzato al loro trasporto presso i centri di raccolta. Gli articoli 24 e 25 prevedono alcune misure destinate ad ampliare il campo delle imprese beneficiarie dei previsti interventi normativi e regolamentari di semplificazione e riduzione dei controlli a livello ambientale, facendo rientrare tra queste le imprese certificate EMAS. Infine, l’art. 26 dispone misure di semplificazione ambientale volte a ridurre gli oneri di trattamento dei residui e scarti di produzione e di consumo. Inoltre, viene prevista la possibilità che i rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture, o comunque, di lavorazione industriale, siano conferiti direttamente agli impianti di smaltimento o recupero in condizione di soddisfare i requisiti ambientali previsti. Ambiente LE DIFFERENZE TRA ACQUE REFLUE DOMESTICHE E INDUSTRIALI* di Stefano Maglia** Le tre tipologie di acque di scarico delineate dal D.L.vo 152/06 ripropongono quelle precedenti previste dal D.L.vo 152/99, ovvero le acque reflue domestiche, le acque reflue industriali, le acque reflue urbane. Le “acque reflue domestiche” sono le “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche” (art. 74, c. 1, lett. g) e sono caratterizzate da alcune parole chiarissime: - residenziale - servizi; - metabolismo umano; - attività domestiche. Tutte queste terminologie sono unite da una “e” e non da una “o”. La sinergia di comune denominatore tra queste terminologie limita il concetto al campo residenziale; il termine di “servizi” estende il campo applicativo della definizione a una realtà diretta verso criteri esterni, ma pur sempre connessi agli altri due punti cardine seguenti. Infatti, la fonte di questo scarico deve essere prevalente come metabolismo umano il quale resta comunque inderogabilmente legato a una funzione di fisiologia naturale umana. Ulteriore concetto di identificazione della definizione è “l’attività domestica”, la quale è legata anche essa al circuito chiuso con la precedente identità di qualificazione da una “e” e non da una “o”. Il che significa che non solo a livello di componente tale scarico deve derivare prevalentemente da un metabolismo umano strutturalmente inserito in una realtà socialmente classificabile come residenziale o al massimo di servizio come sopra esposto, ma tutto ciò deve essere caratterizzato da una fisionomia connessa alle attività domestiche. La seconda importante definizione riguarda lo scarico di “acque reflue industriali”. La norma, come modificata dal D.L.vo 4/2008, recita che tale scarico è caratterizzato da “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diversi dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento …” (art. 74, comma 1, lett. h). Il concetto di “attività commerciali o industriali”, fortemente sinergico perché rappresenta la fonte delle acque reflue industriali, è delineato da “qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell’allegato 5, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico”. Si tratta di due ipotesi di cui la prima si articola a sua volta in due punti distinti. Tale definizione si riferisce dunque, in primo luogo, sia alle attività commerciali che industriali. In altre sedi abbiamo sostenuto, e qui lo confermiamo, che la definizione precedente alle modifiche del D.L.vo 4/2008 fondava la diversità delle acque reflue industriali dalle acque reflue domestiche su un criterio di differenza qualitativa (si leggeva infatti “differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”); al riguardo si rammenta che secondo Cass. III Pen., n. 21119 del 29 maggio 2007, ric. B. nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Dopo l’intervento della novella del 2008, il nuovo criterio è senza dubbio quello della differenza della “provenienza”, proprio perché la caratteristica delle acque industriali è quella di essere scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni. Da ultimo, si ricorda che il concetto di assimilabilità (di cui si dirà più avanti), lungi dal trovare una sua definizione nella normativa vigente, rimane comunque un’alternativa ampiamente sfruttata, anche se non sempre nella maniera opportuna: infatti, l’art. 101, c. 7, D.L.vo 152/06 individua sì un elenco tassativo di casi in cui determinate tipologie di acque reflue sono assimilate ex lege alle domestiche, ma poi alla lett. e) lascia un ampio margine di autonomia alla potestà normativa regionale, la quale, di fatto, può vanificare il suesposto principio giuridico. Infatti, detta norma (il c. 7 della lett. e) dell’art. 101, D.L.vo 152/06 cit.) prevede che “sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue … aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”. Al riguardo, le differenti disposizioni regionali che si possono rinvenire nel ns. panorama normativo sono la conseguenza di quel concetto, non definito, ma facilmente oggetto di interpretazioni più o meno estensive da parte delle Regioni, di “equivalenza” previsto dall’art. 28, c. 7, D.L.vo 152/99, prima, e dall’art. 101, c. 7, D.L.vo 152/06, poi: “si tratta dunque, … di una vera e propria norma bianca di apertura verso la disciplina regionale che sostanzialmente diventa arbitra in tutta questa delicata materia”. * Tratto da “Diritto e gestione dell’ambiente” di Amedeo Postiglione e Stefano Maglia, Ed. Irnerio ** Prof. Stefano Maglia, univ. Parma, Titolare StudioMaglia e Pres. TuttoAmbiente Rivista Ambiente e Lavoro 2013 7 Riciclaggio EMISSIONI DI COV NEL TUA* di Leonardo Benedusi** L’art. 275 del D.Lgs. 152/06 e l’allegato III alla parte quinta disciplinano i composti organici volatili, indicando: - i limiti di emissione; - le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni; - i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite; - le modalità di redazione del piano di gestione dei solventi. Per comprendere di quali sostanze si tratti, si deve ricorrere alla definizione di composto organico volatile. A seconda delle diverse finalità delle normative attualmente vigenti, vengono fornite più definizioni. Nonostante il titolo I consideri solo i COV così come definiti dall’art. 268 del D.Lgs. 152/06, è opportuno richiamare anche le definizioni fornite da altre normative, in quanto possono esservi implicazioni per quanto riguarda gli aspetti prettamente tecnici in tema di emissione di COV. L’art. 268 del D.Lgs. 152/06 definisce: - composto organico: “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, alogeni, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio o azoto, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”; - composto organico volatile (COV): “qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso”, ai fini della parte quinta del decreto, “è considerata come COV la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa”. Il D.Lgs. 155/10, già analizzato nel capitolo precedente fornisce, per le sue finalità, la seguente definizione di COV: “tutti i composti organici diversi dal metano provenienti da fonti antropogeniche e biogeniche, i quali possono produrre ossidanti fotochimica reagendo con gli ossidi di azoto in presenza di luce solare”. Tale definizione, tuttavia, non influisce direttamente sulla disciplina di cui al titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06, pur avendo il medesimo obiettivo di riduzione dell’inquinamento atmosferico, in particolare di origine fotochimica. Il D.Lgs. 27.3.2006 n. 161, con cui è stata recepita la direttiva 2004/42/CE, ha l’obiettivo di prevenire e limitare l’inquinamento atmosferico derivante dall’effetto dei COV sulla formazione dell’ozono troposferi- co, pertanto introduce disposizioni specifiche per le pitture, le vernici e i prodotti per carrozzeria, con implicazioni sugli stabilimenti ricadenti, in generale, nel titolo I della parte quinta del D.Lgs. 152/06. Le definizioni fornite dal D.Lgs. 161/06, seppur valide solo per le finalità del decreto stesso, sono le seguenti: - composto organico: “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio o azoto, cloro, bromo e fluoro, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”; - composto organico volatile: “qualsiasi composto organico avente un punto di ebollizione iniziale pari o inferiore a 250°C misurato ad una pressione standard di 101,3 kPa”. Come si vede, tra il D.Lgs. 152/06 e il D.Lgs. 161/06 vi sono due differenze: - il D.Lgs. 152/06 prevede che possano essere composti organici i composti contenenti tutti gli elementi alogeni (ossia fluoro, cloro, bromo, iodio e astato, quest’ultimo, peraltro, è radioattivo), mentre il D.Lgs. 161/06 riconosce composti organici solo quelli contenenti gli alogeni fluoro, cloro e bromo; - il principio di classificazione dei COV presente nelle due normative si basa su diverse proprietà chimiche. La prima differenza sembra essere poco rilevante, per il fatto che i prodotti a livello industriale contenti iodio sono marginali. Essa deriva da una errata trasposizione della direttiva 2004/42/CE, che definisce composto organico “qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio, azoto od un alogeno, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici”. Definizione sostanzialmente coincidente con quella della direttiva 1999/13/CE1 e recentemente ripresa nella direttiva 2010/75/UE. La seconda differenza è più sostanziale in quanto possono esservi composti considerabili COV sulla base di un criterio, ma non dell’altro. Senza dubbio, la maggior parte dei composti comunemente in uso soddisfa entrambe le condizioni, ma ciò non deve essere dato per scontato. Per meglio comprende le differenze tecniche occorre richiamare i concetti di pressione di vapore e di punto di ebollizione. * Tratto da L. BENEDUSI, Guida pratica alle emissioni in atmosfera e alla qualità dell’aria, Irnerio Editore, 2011. ** Ing. Leonardo Benedusi, Funzionario Provincia Piacenza e autore del volume “Guida pratica alle emissioni in atmosfera e alla qualità dell’aria” (Ed. Irnerio) 1 La direttiva 1999/13/CE è stata recepita con il DM 16.1.2004 n. 44, confluito nella parte quinta del D.Lgs. 152/06. 10 Rivista Ambiente e Lavoro 2013 Riciclaggio PRELIEVI E ANALISI DI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI* di Ettore Sassi** Prelievi ed analisi dei campioni costituiscono un aspetto nevralgico nel campo dell’applicazione del D.L.vo 152/06 in materia di inquinamento idrico: è, infatti, inevitabile nella maggior parte dei casi ricorrere a questa procedura per integrare il sistema probatorio delle violazioni di legge nel campo specifico. Per la misurazione ed il controllo degli scarichi valgono le regole base stabilite dall’art. 101, c. 3: “tutti gli scarichi ad eccezione di quelli domestici e di quelli assimilati ai sensi del comma 7, lett. e) devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto a riferimento per il campionamento, che, salvo quanto previsto dall’art. 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo”. Sussiste tuttavia un’eccezione a questa regola-base sul punto di prelievo stabilita dall’art. 108, c. 5, che prevede in deroga al principio-base così espresso che “per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5 alla Parte III del presente decreto, il punto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale di cui al D.L.vo 18 febbraio 2005, n. 59, e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo”. In ordine all’importante tema del punto di prelievo, la giurisprudenza della Cassazione aveva già stabilito in precedenza che, al fine di conseguire la prova del superamento del limite tabellare da parte di un insediamento produttivo, il prelievo deve essere effettuato sul sistema di scarico immediatamente prima del riversamento del refluo sul corpo ricettore. Infatti, l’insediamento deve essere munito di pozzetto di ispezione per operare il prelievo; ove l’insediamento non disponga di un pozzetto, il punto ideale sarà scelto dall’operatore di vigilanza che esegue il prelievo. E’ fuorviante effettuare il prelievo dopo il riversamento dello scarico sul corpo ricettore per ricercare la violazione tabellare specifica. In particolare, precisa la sentenza n. 4648 del Consiglio di Stato, Sez. V, 9 settembre 2005, che “ai fini dell’esatta individuazione del punto di prelievo dei reflui dell’impianto di smaltimento, rilevante ai fini del controllo sull’eventuale superamento dei limiti tabellari, l’art. 34, comma 3, del D. Lgs. n. 152/1999 fissa inequivocabilmente il punto posto “subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento”. Ove lo stabilimento sia costituito da un complesso ed articolato sistema di depurazione, composto da una pluralità di passaggi intermedi prima dell’immissione delle acque nel corpo ricettore, il punto di misurazione va pertanto individuato nei tratti terminali del canale di scarico, immediatamente precedenti lo sbocco nel corpo ricettore. La provincia, ove intenda qualificare una parte dell’impianto (nello specifico, la cokeria) come funzionalmente autonomo, è tenuta a imporre preventivamente la separazione dello specifico scarico dalle acque di raffreddamento o di lavaggio, configurandolo al contempo come “parziale” ai sensi del D. Lgs. n. 152/99 oppure fissando, in sede di autorizzazione, ulteriori e più stringenti prescrizioni tecniche ex art. 45, comma 9, all’insegna della migliore tecnologia disponibile (da descriversi esattamente e, soprattutto, da individuarsi alla stregua dei principi di proporzionalità e di precauzione)”. La norma prevede espressamente che gli scarichi devono essere resi accessibili e l’autorità competente al controllo è autorizzata ad accedere ai luoghi degli stessi ed ancora che “l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che essa ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi” (art. 101, c. 4). Non si dimentichi che, peraltro, l’art. 129 prevede come “il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico”. Il c. 4 dell’art. 101 prescrive quanto segue: “l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale”. Tale previsione riguarda il potere di controllo da parte dell’autorità competente in materia di scarichi e, pur essendo una disposizione d’indubbia utilità, va considerato che il potere ispettivo di tipo preventivo amministrativo e repressivo penale era già individuabile nei principi generale dell’ordinamento. * Articolo tratto da LA GESTIONE DEGLI SCARICHI, di M.V. Balossi – E. Sassi, Irnerio Editore, 2011 ** Dott. Ettore Sassi, chimico, già Responsabile del Servizio Territoriale presso ARPA Piacenza, Consulente ambientale. 12 Rivista Ambiente e Lavoro 2013 Ambiente FIN DOVE ARRIVA LA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE DEL RIFIUTO IN CASO DI SUB-APPALTO? di Miriam Viviana Balossi* Nel caso in cui una ditta si sia aggiudicata, tramite un affidamento diretto da un privato, un’attività di demolizione di un edificio e conseguente trasporto a smaltimento/recupero dei rifiuti, quale soggetto deve essere identificato come produttore sul formulario di rifiuti qualora questa ditta sub-appalti il lavoro ad un’altra impresa? L’art. 183, c. 1, D.L. vo 152/06 individua il produttore dei rifiuti nel “soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”. Dalla sopraccitata nozione di produttore discendono tre ipotesi: 1) il produttore iniziale (la persona la cui attività ha prodotto rifiuti); 2) il produttore secondario (la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti); 3) il non produttore (la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che non hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti). La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto occasione in numerose pronunce di prendere posizione ed esprimersi sulla corretta individuazione della nozione di produttore e detentore del rifiuto. In particolare si è precisato che “per produttore di rifiuti deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile…l’obbligo di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti” (Cass. III Pen., 4957 del 21 gennaio 2000)1. Tale concetto si ricava dall’analisi complessiva della disciplina da cui emerge con chiarezza la volontà del Legislatore di estendere il campo dei soggetti obbligati e di prevedere norme di chiusura tali da impedire comodi trasferimenti di responsabilità. Quindi, in sintonia con la lettera della norma e la ratio del sistema giuridico ambientale, si ipotizza una lettura testuale del dettato normativo dell’art. 183, c. 1, lett. f) del D.L. vo 152/06 sulla nozione di produttore che, ribadiamo ancora, riferisce tassativamente tale figura a colui la cui attività ha prodotto dei rifiuti. Il fatto che tale attività possa essere intesa in senso sia materiale che giuridico consente di ritenere come tale, per esempio, non solo chi materialmente opererà (p.es., il sub-appaltatore), ma anche colui che (p.es., l’appaltatore) da un lato ha un obbligo contrattuale di realizzazione di un’attività che produrrà rifiuti e contemporaneamente un obbligo di vigilanza su un soggetto “delegato” a tal fine. A chiusura del sistema, ovvero nel caso in cui colui che decide di far effettuare un’operazione (ad es., il committente, il quale resta escluso “direttamente” dall’applicazione della norma sulle responsabilità ex art. 188) che presumibilmente genererà rifiuti, sia eventualmente a conoscenza (o, ancora peggio, colluso) di attività illecite commesse dall’effettivo produttore (per alcuna giurisprudenza è sufficiente che non abbia verificato le autorizzazioni del soggetto la cui attività ha prodotto rifiuti)2, soccorre e completa, per l’appunto, il regime di responsabilità di cui all’art. 178 D.L.vo 152/06 (già art. 2, c. 3, D.L.vo 22/97). In conclusione, quindi, nella fattispecie in premessa alla voce produttore del formulario andrà inserito il nome della ditta a cui è stato sub-appaltato il lavoro, in quanto è l’impresa che materialmente procede alla demolizione dell’edificio ed è quindi dalla sua attività che si generano i rifiuti. Eventualmente si potrà riportare nelle annotazioni che l’attività di demolizione è stata svolta a seguito di regolare contratto di sub-appalto con la società aggiudicataria del lavoro. * Dott.ssa Miriam Viviana Balossi, Consulente StudioMaglia e TuttoAmbiente 1Concetto che si ritrova in successive pronunce: Cass. III Pen., 1303 del 12 ottobre 2005, Cass. III Pen., 6443 del 11 febbraio 2008. Giurisprudenza citata in RAMACCI L., La nuova disciplina dei rifiuti, CELT, 2008, pag. 58. 2Ex multis, si veda Cass. Pen., III, n. 8018 del 1 marzo 2012, ric. Celino, secondo cui l’affidamento di rifiuti a soggetti terzi, al fine del loro smaltimento, comporta per il soggetto che li conferisce precisi obblighi di accertamento (in particolare, la verifica sia dell’affidabilità del terzo che dell’esistenza in capo al medesimo delle necessarie autorizzazioni e competenze per l’espletamento dell’incarico), la cui violazione giustifica l’affermazione della responsabilità penale per il mancato controllo a titolo di culpa in eligendo. Rivista Ambiente e Lavoro 2013 15 Riciclaggio APPROVATE LE LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEI SOTTOPRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE di Monica Taina* Il 7 febbraio scorso la Conferenza Unificata ha approvato le Linee Guida per la gestione dei S.O.A. Il documento costituisce un atto di indirizzo circa l’applicazione del Regolamento n. 1069/2009 sui S.O.A., con risvolti sui profili sia sanitari che ambientali, avente valore sull’intero territorio, che dovrà formalmente essere recepito dalle singole Regioni e Provincie autonome, ma che possiamo ritenere già significativo per gli operatori del settore, pur trattandosi di “Linee Guida” che quindi non devono contrastare con la disciplina di rango primario nazionale (ed a maggior ragione con quella europea)1. Il documento approvato lo scorso 7 febbraio è sostanzialmente identico rispetto alla prime versioni che erano state rese note agli addetti ai lavori nella primavera scorsa, ed in relazione alla fase del trasporto, conferma che se S.O.A. e derivati sono destinati a impianti di incenerimento e coincenerimento o a discariche autorizzate sono da trasportarsi obbligatoriamente con FIR, anche nel caso in cui si abbia il conferimento a siti intermedi di stoccaggio (art. 10 delle LG). Le LG quindi non entrano nel merito della classificazione giuridica dei S.O.A. ma dispongono in ordine al loro trasporto. Nonostante il documento sia stato approvato con l’accordo del MATTM, le norme inerenti il trasporto dei S.O.A. sembrano ignorare la vigente legislazione nazionale in tema di trasporto rifiuti, ovvero quanto previsto dall’art. 193 del TUA2. Tale norma prevede che il FIR sia validamente sostituito dal DDT ex Regolamento 1069/2009, mentre le LG di fatto pongono una regola “più restrittiva” per il caso in cui i S.O.A. siano destinati ad essere gestiti “certamente come rifiuti”, ovvero avviati a incenerimento e coincenerimento o in discarica. La scelta di un regime più severo per il trasporto dei S.O.A. potrebbe essere giustificata delle finalità di tutela ambientale che caratterizzano usualmente i trasporti dei rifiuti ovvero la tutela dell’ambiente e della salute umana, ma senz’altro tale scelta poteva essere meglio motivata nelle LG, a favore degli operatori del settore che da tempo aspettavano indicazioni in tal senso, e che oggi si troveranno ancora in dubbio sulla corretta documentazione per il trasporto3. Senza contare che lo stesso MATTM ha recentemente reso pubblica una proposta di “Regolamento recante criteri e modalità di impiego delle biomasse a fini energetici ai fini dell’articolo 184-bis comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, la quale passa in rassegna i criteri di cui all’art. 184 bis per classificare i residui come prodotti e che nell’allegato 1 e tra le biomasse combustibili indicate nell’atto vi sono numerosi riferimenti ai S.O.A. ad esempio: stallatico, contenuto del tubo digerente e farine animali. Ancora una volta, quindi, penalizzati saranno gli operatori, pur a fronte di un documento che voleva essere di supporto e chiarimento alle modalità pratiche di gestione. * Avvocato, consulente esterno presso Tuttoambiente srl 1Nella gerarchia delle fonti, le Linee Guida si collocano ad un livello inferiore rispetto ai principi fondamentali della materia che, nelle ipotesi di legislazione concorrente come quella ambientale, l’articolo 117, comma 3, ultimo periodo, della Costituzione, rimette «alla legislazione dello Stato». Peraltro nella fattispecie la legislazione competente sarebbe quella europea. Tuttavia, avendo funzione attuativa dei medesimi principi fondamentali, le linee guida rappresentano disposizioni interposte tra le norme statali o europee di principio e la legislazione di (ulteriore) dettaglio regionale, sicché, ove quest’ultima si dovesse porre in contrasto con le prime, sarebbe sostanzialmente violato l’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Come pure incostituzionale sarebbe una legge nazionale lesiva delle linee guida (quale intesa tra lo Stato, le regioni ed il sistema delle autonomie locali), per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione, cui devono improntarsi i rapporti fra i vari soggetti dell’ordinamento che, a livelli diversi, operano nella medesima materia. 2Si rammenta che ai sensi del combinato disposto dei cc. 1 e 2 dell’art. 16 del D. L.vo 3 dicembre 2010, n. 205, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’articolo 12, comma 2 del decreto del MATTM in data 17 dicembre 2009, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 2010, e successive modificazioni, (sospensione del SISTRI) l’art. 193 sarà sostituito da una nuova versione di testo che NON conterrà più il criterio dell’equipollenza. 3Si potrebbe osservare che le LG sono in un qual modo in linea con il Regolamento Comunitario 1069/2009 che, come detto, distingue il regime giuridico degli impianti che gestiscono i S.O.A. come rifiuti o meno (ovvero come combustibile). 16 Rivista Ambiente e Lavoro 2013 Ambiente COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE di Chiara Zorzino* Allo stato attuale, in virtù delle recenti novità normative, il quadro inerente i CSS si caratterizza per una maggior chiarezza in termini di definizioni e gestione di quanto non fosse in precedenza. Gran parte del merito è da attribuire a due recenti atti normativi: il DM n. 22/2013 e il DM 20 marzo 2013. Il primo, “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni”, stabilisce i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario (CSS), cessano di: essere qualificate come rifiuto, come definito all’articolo 183, comma 1, lettera cc), del sopracitato D. L. vo. Infatti l’art. 183, c.1, alla lettera cc), come modificato dal D.L. vo n. 205/2010, che aveva superato la distinzione tra CDR e CDR-Q, recita <<“combustibile solido secondario (CSS)”: il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l’applicazione dell’articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale>>. Poiché l’art. 184-ter, che altro non è che il recepimento dell’art. 6, c.1, della direttiva 98/2008/CE, definisce le condizioni affinché sussista la cessazione della qualifica di rifiuto1, in base a quanto appena esposto, si può dedurre che il “CSS” è un rifiuto speciale2, che rispetta le caratteristiche di classificazione e specificazione delle UNI CEN 15359, a meno che non si ravvisi un’ipotesi di “end of waste”. A questo riguardo, il Prof. Stefano Maglia sottolinea che il sopracitato art. 184-ter, al c. 2, recepisce quanto disposto anche dal c. 4 dell’art. 6, della dir 98/2008/CE, ossia <<2. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente..>>. La disciplina comunitaria ha da tempo stabilito i criteri per due precise tipologie di rifiuto: alcuni tipi di rottami metallici, mediante il Reg. (UE) n. 333 del 31 marzo 2011, e i rottami di vetro, a mezzo del Reg. (UE) n. 1179 del 10 dicembre 2012. Il citato DM 22/2013 viene a delinearsi quindi come il primo atto normativo sul piano nazionale, in tema di “end of waste”. Il Prof. Maglia chiarisce inoltre la differenza esistente tra CSS (rifiuto speciale), come definito dall’art. 183, c. 1 , lettera cc) del T.U.A. (cfr. sopra) e CSS – combustibile (E.o.W.) come definito dall’art. 3, c. 1, lettera e) del DM 22/13, ovvero << “CSS-Combustibile”: il sottolotto di combustibile solido secondario (CSS) per il quale risulta emessa una dichiarazione di conformità nel rispetto di quanto disposto all’articolo 8, c. 2 >>. Analizzate anche le responsabilità, per le quali si rammenta l’esistenza della “231-ambiente”, che affianca a una responsabilità penale anche una amministrativa, e le sanzioni, conseguenti ad una <<..attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione..>> come sancito dall’art. 256 del T.U.A. La Dott.ssa Claudia Mensi di Fise-Assoambiente ripercorrendo la genesi del DM 22/2013, premette ciò che è già noto ai più, e cioè che alcuni Stati membri, sfruttano a proprio vantaggio l’incapacità italiana di gestire grandi quantità di rifiuti che quindi vengono a loro ceduti, con un costo triplo per l’Italia: uno per l’esportazione, uno per l’incenerimento/trattamento e uno, indirettamente, per l’energia da essi derivata e che il nostro Paese acquista proprio da tali Stati, appaiono scontati i numerosi pareri contrari di questi ultimi, recapitati a Bruxelles a seguito dell’invio, da parte del Ministero dell’ambiente, della bozza del decreto, il 10 agosto 2012. Nel novembre 2012 l’Europa ci rispose con qualche osservazione, che lo Stato italiano ha diligentemente accolto e, dopo aver provveduto alle modifiche necessarie, ha ottenuto in gennaio un parere positivo della * Dott.ssa Chiara Zorzino, Consulente StudioMaglia e TuttoAmbiente 1 Art. 184-ter, c.1 : << Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.>> 2In base alla norma UNI CEN 15359 i CSS sono combustibili solidi ottenuti da rifiuti non pericolosi, preparati per essere avviati a recupero energetico in impianti di incenerimento o co-incenerimento; essi possono essere prodotti a partire da rifiuti urbani e rifiuti speciali quali scarti da flussi specifici di produzione, rifiuti da costruzione e demolizione, fanghi da acque reflue. Di concerto, l’art.6, c. 1, Tit. II, DM 22/2013 prevede “per la produzione del CSS-Combustibile sono utilizzabili solamente i rifiuti urbani e i rifiuti speciali, purché non pericolosi. (..)non sono ammessi i rifiuti non pericolosi elencati nell’Allegato 2.” Rivista Ambiente e Lavoro 2013 17 Hanno collaborato: Guido ANELLI, Giovanni ACHILLE, Miriam Viviana BALOSSI, Eginardo BARON, Leonardo BENEDUSI, Paola BERTOLI, Rosa BERTUZZI, Carlo BISIO, Enrico BONAFINI, Olivia BONARDI, Enrico BONADIO, Renata BORGATO, Marco BOTTAZZI, Mercedes BRESSO, Carlo CALABRESI, Maria Adele CAMERANI CERIZZA, Maria Pia CANCELLIERI, Michele CANDREVA, Riccardo CANESI, Marco CARLETTI, Renato CASCINO, Mauro CATINO, Luigi CATTERINA, Marco CERRI, Gabriella CHIELLINO, CGIL-CISL-UIL, Flavio COATO, Linda COLLINA, Daniela COLOMBINI, Sergio COLOMBO, Massimo COMINI, Flavio CORSINOVI, Manuela COSTA, Oriano CROSIGNANI, Cesare DAMIANO, Beniamino DEIDDA, Lorenzo DE AMBROSI, Alessandro A. DE LEONARDIS, Giovanni DE LUCA, Elena DEL FORNO J., Lelia DELLA TORRE, Gianmario DELUCCHI, Michele DI LECCE, Fulvio D’ORSI, Rolando DUBINI, Umberto FANTIGROSSI, Luigi FAVINO, Domenico FEDELE, Eugenio FERIOLI, Pasquale FIMIANI, Laura FINOCCHIARO, Sara FIORAVANTI, Ilenia FOLLETTI, Cinzia FRASCHIERI, Marco FREY, Donatella FREZZOTTI, Graziano FRIGERI, Rosaria FRISINA, Edoardo GALATOLA, Virginio GALIMBERTI, Giulia GASPARINI, Luigi GASPERINI, Paride GIANGIACOMI, Michela GIANNINI, Bruno GIORDANO, Angelo GIOVANNAZZI, Celsino GOVONI, Elena GORGITANO, Carlo Maria GRILLO, Anna GUARDAVILLA, Chiara Maria INVERNIZZI, Fabio IRALDO, Maria Anna LABARILE, Elisa LANZI, Eugenio LANZI, Nunzio LEONE, Antonio LEONARDI, Stefano LEONI, Carlo LUCCHINA, Giuseppina LUVARA', Stefano MAGLIA, Domenico MARCUCCI, Renato MARI, Dario MARIOTTI, Alessandro MAZZERANGHI, Massimo MEDUGNO, Massimo MENEGOZZO, Rosella MENGUCCI, Antonio MONTAGNINO, Antonio NOCERA, Enrico OCCHIPINTI, Eugenio ONORI, Attilio PAGANO, Stefania PALLOTTA, Elena PANNI, Antonio PANZERI, Gianpaolo PATTA, Valeria PERRUCCI, Patrizia PERTICAROLI, Aldo PETTINARI, Anna PIAZZA, Barbara PILLON, Paolo PIPERE, Giuseppe PIRILLO, Gerardo PORRECA, Luca RAMACCI, Elsa RAVAGLIA, Paola RIVA, Giorgio ROILO, Francesco ROSSETTI, Daniela ROTA, Sergio ROVETTA, Guido SACCONI, Carlo SALA, Maurizio SANTOLOCI, Ettore SASSI, Giulio SESANA, Monica TAINA, Rita TAZZIOLI, Silvano TERRANEO, Luca TOBIOLA, Oreste TOFANI, Giuseppina VIGNOLA, Rocco VITALE, Vincenzo ZAFFARANO, Chiara ZORZINO, Thomas WATERS Rivista Ambiente e Lavoro Manuale Tecnico-Giuridico di In-Formazione e Documentazione © Editore e proprietà Associazione Ambiente e Lavoro – Iscrizione al R.O.C. al n. 5443 del 30 novembre 2001 Direttore Responsabile: Rino Pavanello Co-Direttore: Stefano Maglia Direzione Amministrativa, Segreteria Abbonamenti, Pubblicità e Redazione: c/o Associazione Ambiente e Lavoro Viale Marelli, 497, 20099 Sesto San Giovanni (MI) Tel: 02.27007164 - 02.26223120, Fax: 02.25706238 - 02.26223130 ([email protected]) (www.amblav.it) Spedizione in PDF – Riservata agli abbonati 2013. 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D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1 - DCB MILANO - Contiene I.P. Livello 3 C CM a Carlo Nav 10.13 carta riciclata 100% 4 numeri a cura di 06/04/11 II Trimestre 2011 anno XXIV Dossier Ambiente 2013 RO E SUL LAVO 1 Trimestrale della Associazione Ambiente e Lavoro - Copia € 30,00 - arretrato € 45,00 - carta riciclata 100% COPERTINA DOSSIER_94.pdf Abbonamento a: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1 - DCB MILANO - Contiene I.P. RT E P EX co-promosso con nell’ambito di LIVELLO 3 Viale Marelli 497 20099 Sesto San tel. 02 26223120 Giovanni (MI) - 02 26223130 - www.amblav.it I nuovi abbonati riceveranno in omaggio: Accesso area riservata 16 genn 08 CD code 2008.pdf 16 genn 08 CD code 2008.pdf 16-01-2008 16-01-2008 • Poster delle emergenze 17:24:04 17:24:04 Viale Marelli 497 20099 Sesto San Giovanni (MI) tel. 02 2700 7164 - 02 2622 3120 fax 02 2570 6238 - 02 2622 3130 www.amblav.it e-mail: [email protected] - [email protected] C M Viale Marelli 497 20099 Sesto San Giovanni (MI) tel. 02 2700 7164 - 02 2622 3120 fax 02 2570 6238 - 02 2622 3130 www.amblav.it e-mail: [email protected] - [email protected] CM SICU REZZ CY Y CMY CM K CMY 16 genn 08 CD code 2008.pdf CODICE DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO CODICE 17:24:04 17:24:04 C M COD ICE 16-01-2008 16-01-2008 DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO K 16 genn 08 CD code 2008.pdf E DELL A E' vietata la riproduzione anche parziale. CY SALU TE MY E' vietata la riproduzione anche parziale. MY DELL A M A SUL L AVOR O Y C la e Rino Euro 25,00 Viale tel. 02 2700 Marelli 497 20099 7164 - 02 Sesto San 2622 www.amb lav.it - e-mail: 3120 - fax 02 2570Giovanni (MI) 6238 info@am blav.it - dossier@- 02 2622 3130 amblav.it CODICE E' vietata la riproduzione anche parziale. CY CMY K CODICE Pavanello E' vietata la riproduzione anche parziale. CY K CM MY MY CMY DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO 4 CD Rom - 2013 “Codice Sicurezza Lavoro” 1 Viale Marelli 497 20099 Sesto San Giovanni (MI) tel. 02 2700 7164 - 02 2622 3120 fax 02 2570 6238 - 02 2622 3130 www.amblav.it e-mail: [email protected] - [email protected] Y TE E DELLA SI CU SUL LAVOREZZA RO VOLU ME M 1 8.a edizion e aggiorn delle più rece ata e arricchita con nti senten ze della Cas le massime sasione a cura di Anna Gu ardavil Viale Marelli 497 20099 Sesto San Giovanni (MI) tel. 02 2700 7164 - 02 2622 3120 fax 02 2570 6238 - 02 2622 3130 www.amblav.it e-mail: [email protected] - [email protected] Y CM C VOLUME COD DELLA SA ICE LU Codice edizione 2013 “Sicurezza Lavoro” R OSTE I L PP O S T E R LLLE IE E D L E G E N ZZ A E D E LE R GE NZ EM ERN E E MM E R G E 118 .. ............ D’ ............A .......... SO ...... FO NI CI .............. ...... .. GE NZ SOCCORER .............. .............. ...... 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PONS CD Rom ChemicaLex 2013 Abb. 2013 CD Rom - “Fire-Lex” 2013 CD Rom - “Rischi Fonti e Misure” 2013 € 189,00 Iva assolta dall’editore Abb. 2012+2013 € 294,00 Iva assolta dall’editore Per informazioni e acquisti consultare il sito: www.amblav.it Tel. 02.27007164 - 02.26223120 - Fax 02.25706238 - 02.26223130 - Mail: [email protected] Per acquisti e abbonamenti effettuare il versamento sul c.c.p. n. 10013209 IBAN: IT 74 B 07601 01600 000010013209 (Iva assolta dall’editore-Art.74 Comma 1 Lett. C del DPR 633/72) intestato a: Associazione Ambiente e Lavoro - Viale Marelli 497 - 20099 Sesto S. Giovanni (MI) specificando la causale del versamento e indicando generalità e recapito Oppure effettuare l’acquiso online direttamente dal sito.