3 DOC PROPEDEUTICO PROG

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3 DOC PROPEDEUTICO PROG
SISTEMA MUSEALE SESTRI LEVANTE – CASTIGLIONE CHIAVARESE
DOCUMENTO PROPEDEUTICO ALLA PROGETTAZIONE
MUSEOLOGICA
Committenti:
Amministrazione Comunale di Sestri Levante
Amministrazione Comunale di Castiglione Chiavarese
A cura di TerraMare s.c.a r.l.:
dott.ssa Raffaella Cecconi, dott.ssa Paola Chella
Con la consulenza di:
prof.ssa Anna Maria Visser, Università di Ferrara
dott.ssa Raffaella Fontanarossa
30 Giugno 2010
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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INDICE
1. Definizione del Sistema Museale…………………………………………………………..… pag.3
2. Definizione degli spazi a disposizione del Sistema Museale …………………………..…. pag.7
3. Questioni logistiche……………………………………………………….………………….... pag.9
4. Omogeneizzazione della progettazione elaborata dalle due Amministrazioni comunali;
individuazione di collegamenti, trasversalità, percorsi comuni........................................... pag.10
5. I contenuti del Sistema Museale……………………………………………………..……….. pag.12
6. Memoria verde: la spiegazione del paesaggio e delle sue trasformazioni nel tempo….. pag.13
7. L’oro rosso: il rame, le miniere, il lavoro, le attività produttive artigianali e industriali….... pag.29
8. Percorsi di terra e di mare…………………………………………………………….… ……. pag.36
9. Le famiglie: organizzazione sociale, forme di vita comunitaria, culti e riti………………. pag.54
10. Appendice I ai contenuti: Il Cavalier Vincenzo Fascie e Sestri Levante………………… pag.61
11. Appendice II ai contenuti II: Riepilogo Iconografia Sestri Levante ……………………… pag.62
12. Una proposta di collocazione dei contenuti del Sistema Museale…………………… …pag.64
13. I percorsi sul territorio………………………………………………………………………… pag.65
14. I servizi…………………………………………………………………………………… …… pag.66
15. Modelli per il funzionamento del Sistema Museale……………………………………….. pag.69
16. Il piano di Comunicazione…………………………………………………………………… pag.70
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1. Definizione del Sistema Museale
Tipologia – I Comuni di Sestri Levante e di Castiglione Chiavarese intendono realizzare un’offerta
museale integrata, costituta da due sedi espositive e da itinerari culturali attrezzati nel territorio, fra
loro complementari. L’insieme, frutto di accordi fra i due Comuni, si configura quindi come un
Sistema Museale, che dovrà valorizzare le testimonianze archeologiche di questi luoghi, il
paesaggio culturale, le emergenze monumentali, la memoria delle comunità locali della costa e
della Val Petronio, fino ai giorni nostri.
Il Sistema Museale dovrà pertanto risponde alla definizione che l’ICOM fornisce per il “Museo
territoriale”, vale a dire: “Museo che illustra un territorio tale da costituire un’entità storica, culturale,
etnica, economica o sociale, le cui collezioni si riferiscono più a un territorio specifico che non a
uno specifico tema o soggetto”.
Obiettivi e finalità – Il Sistema Museale si pone l’obiettivo principale di presentare il quadro
ambientale di Sestri Levante e di Castiglione Chiavarese, quale prodotto dell’interazione dinamica
e complessa tra componenti naturali e componenti antropiche, che hanno prodotto
un’organizzazione unica e irripetibile di questa porzione del territorio ligure. Attraverso la
musealizzazione, si intende affinare la percezione di tale territorio, fornire chiavi di lettura e di
interpretazione, favorire la comprensione del patrimonio culturale locale e promuoverne
l’attenzione, la cura e l’attaccamento.
L’accesso al patrimonio da parte dell’intera collettività appare come una finalità fondamentale, per
rendere fruibili oggetti e luoghi fino ad ora rimasti poco noti o poco visibili, nel contesto dei centri
abitati e del territorio.
In questo senso il Sistema, attraverso le sedi museali di Sestri Levante e di Castiglione
Chiavarese, con i reperti, gli oggetti e le opere esposte, deve essere premessa e nel contempo
sintesi dell’intero territorio. Per questo deve rinviare all’esterno: all’ambiente, ai percorsi, ai beni
culturali, alla storia, alle tradizioni e alla popolazione: si può affermare sostanzialmente che in
realtà “il Museo è fuori”.
Il percorso espositivo deve quindi rappresentare un repertorio della conoscenza, deve fornire gli
indirizzi, gli strumenti, le suggestioni per comprendere il passato e, attraverso il passato e le sue
trasformazioni, deve interpretare il presente, le sue contraddizioni, le sue criticità.
Per motivi storici diversi, e con tempi leggermente sfalsati, le comunità sia di Sestri Levante che di
Castiglione Chiavarese si sono trovate ad affrontare una profonda trasformazione sociale ed
economica, che è andata a toccare il modo stesso con cui le persone si percepiscono e si
rappresentano rispetto al territorio.
Castiglione ha vissuto recentemente, come tutto l’entroterra ligure, un fenomeno di indebolimento
del proprio rapporto con il territorio, mentre le persone spostavano verso la costa il baricentro della
loro vita per motivi economici e professionali; ha reagito al rischio di perdere memoria di sé e del
proprio ruolo attraverso una illuminata politica di recupero e di riscoperta dei paesaggi culturali,
che ha saputo farsi chiave di lettura di tutte le strategie di sviluppo, sia urbanistico che economico.
Sestri Levante, nel corso di poco più un ventennio, ha visto impoverirsi una solida tradizione di
città operaia, ormai arroccata quasi esclusivamente attorno al nodo rivano Fincantieri – Arinox; una
profonda trasformazione che ha investito il tessuto economico ma anche lo sviluppo urbanistico, e
che ha visto la città rivolgersi alla riqualificazione turistica del territorio, attraverso un processo non
ancora completamente metabolizzato dalla comunità locale.
Per questo motivo la valorizzazione, che si intende perseguire con la creazione del Sistema
Museale, deve rendere estrinseca la qualità e il significato dei beni, nel loro legame con il territorio.
Deve sviluppare un’azione non solo informativa, ma pienamente educativa nei confronti dei
visitatori e dei residenti. Deve promuovere globalmente il territorio diventando fattore di sviluppo economico, sociale e civile - favorendo la cooperazione fra i diversi soggetti istituzionali pubblici,
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privati e produttivi, con riferimento non solo al turismo, ma anche ad attività e servizi collegati
all’intera filiera del patrimonio culturale.
La creazione di un sistema di esperienze di grande qualità nelle sedi museali e sul territorio,
rappresenterà anche un efficace strumento di promozione del tessuto attuale; nella
consapevolezza che gli interventi sul patrimonio culturale acquisiscono significato laddove sono
capaci di coinvolgere la comunità locale e di supportare il suo sviluppo e la sua economia.
Occorre quindi costruire una concezione di paesaggio culturale come elemento dinamico, che lega
gli abitanti di un luogo a un insieme di caratteristiche territoriali, indispensabile sia per consolidare
la memoria locale sia come premessa per qualsiasi azione di sviluppo che voglia essere durevole
e compatibile.
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Il Sistema Museale sarà naturalmente rivolto all’esterno, indirizzando la sua attenzione a:
le istituzioni dell’istruzione e della formazione: dagli istituti scolastici, alle sedi di Università, dai
centri di ricerca alle associazioni culturali (es. Università di Nottingham per le campagne di scavo
nella val Petronio);
le altre istituzioni museali locali, dal Museo per la Preistoria e Protostoria del Tigullio di Chiavari al
Museo Mineralogico Parma Gemma di Casarza, alla Miniera di Gambatesa di Ne per le evidenti
continuità tematiche e territoriali; oltre ovviamente a riservare un’attenzione di primo piano alla
relazione con le realtà presenti nei due comuni, la Galleria Rizzi a Sestri Levante ed il Museo di
Cultura Contadina a Castiglione Chiavarese.
le istituzioni religiose, a partire da parrocchie e confraternite
le realtà aggregative ed associative del territorio, sia per il loro ruolo di produttori di cultura sia
come strumenti per costruire comunità, identificazione e senso di appartenenza attorno al Sistema
Museale, che deve essere il luogo di riferimento e la sede naturale di espressione e condivisione
per la ricerca e la memoria; le associazioni del territorio dovranno quindi essere consultate e
coinvolte nella realizzazione della programmazione culturale, avere accesso agli spazi del Sistema
per le proprie attività e, quando possibile, coinvolte nella gestione e nell’erogazione di servizi. In
prospettiva, il Sistema Museale potrà dotarsi di una propria Associazione Amici del Museo, che
possa farsi strumento della partecipazione alla sua vita ed alle sue attività delle comunità locali e
non solo.
il Sistema dovrà inoltre connettersi col tessuto economico, produttivo locale e regionale, che deve
essere portato a percepirlo come una grande opportunità per accrescere l’attrattività e la qualità
dell’offerta turistica del territorio.
infine, si rammenta che il Sistema Museale fa parte del Progetto Integrato Tematico “Musei in rete:
il lavoro dell’uomo e le trasformazioni del territorio”, promosso dalla Provincia di Genova come
strumento di integrazione delle diverse proposte presentate sul territorio provinciale in occasione
della presentazione dei progetti al bando di finanziamento regionale su fondi F.E.S.R.
Metodi e funzioni - La narrazione delle sedi espositive e dei percorsi del Sistema si deve
sviluppare dall’assunto irrinunciabile secondo cui la rappresentazione del passato si basa sulle
fonti materiali, sulle fonti scritte ed iconografiche e sulle testimonianze orali, con le quali si elabora
la ricostruzione del tessuto storico, sociale, economico ed antropologico che le ha prodotte,
evidenziando il loro diverso ruolo e funzione.
Si deve porre come luogo di integrazione tra saperi, discipline, epoche storiche diverse, con
l’obiettivo di restituire la complessità del territorio e delle sue trasformazioni nel corso del tempo.
Si deve proporre peraltro di recuperare la memoria del territorio e della sua comunità. Per questi
motivi si intende attribuire al Sistema Museale una forte funzione educativa, dalla quale far
scaturire la costruzione del senso di appartenenza ed una adesione piena e consapevole, quasi
affettiva, da parte della comunità locale.
Da questo punto di vista diventa fondamentale che, nell’elaborazione delle soluzioni espositive,
vengano individuati spazi e predisposte soluzioni per una o più illustrazioni di sintesi, in grado di
fornire uno sguardo complessivo sul territorio interessato e sullo stratificarsi dei temi di interesse.
Il Sistema Museale vuole essere uno strumento vivo di produzione di conoscenza; sarà quindi
promotore di continui ed ulteriori studi, e punto di riferimento per future campagne di ricerca, a
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partire dalle campagne di scavo. In questo senso, la predisposizione a Masso di spazi per una
Scuola di Alta Formazione per l’Archeologia Mineraria permette di prevedere un ruolo di rilevanza
internazionale per il polo culturale rappresentato dal Sistema.
Dal punto di vista delle strategie e delle scelte espositive, si sottolinea come la complessità delle
problematiche che reperti, rilevazioni e studi dell’archeologia ambientale fanno emergere; e d’altro
canto per l’origine spesso documentaria delle informazioni storiche, non sempre supportate da
beni materiali, il percorso museale dovrà porre particolare cura all’elaborazione degli apparati di
contestualizzazione ed approfondimento.
Nel Sistema Museale dovrà essere sviluppato un percorso espositivo nell’ottica della relazione fra
musei e pubblico, comunicando contenuti di rigore scientifico, ma in forme chiare, coinvolgenti,
anche emozionanti; sempre con l’obiettivo di perseguire una divulgazione di qualità, e prevedendo
di diversificare i livelli comunicativi in funzione delle diverse età e dei diversi livelli di conoscenza di
partenza dei visitatori.
Inoltre, nella proposta di dettaglio, testi ed apparati di supporto al percorso (pannelli, schede visita,
testi per dispositivi multimediali o quant’altro) dovranno essere elaborati differenziando, anche
graficamente, diversi livelli comunicativi, permettendo di percepire agevolmente un percorso di
lettura e comprensione più generale e rivolto a tutti, cui accostare approfondimenti più complessi.
In generale, il linguaggio degli apparati dovrà essere piano e leggibile, evitando periodi troppo
lunghi ed articolati, utilizzando in maniera sorvegliata il linguaggio tecnico, privilegiando la
comprensibilità pur senza impoverire la qualità scientifica delle informazioni.
Tutti i testi e gli apparati di cui sopra, dovranno essere presentati (eventualmente in forma
riassuntiva) almeno in lingua inglese, ponendo attenzione anche in questo caso alla qualità del
linguaggio utilizzato.
Pur rifuggendo la spettacolarizzazione fine a sé stessa ed i facili effetti folkloristici, nelle scelte di
allestimento si potranno accostare i linguaggi grafici e scenografici, la multimedialità, il virtuale, la
creazione di paesaggi sonori, e tutti i più aggiornati linguaggi di comunicazione al servizio del
proprio progetto culturale, pur nella consapevolezza della rapida obsolescenza e dei problemi di
manutenzione degli apparati più sofisticati.
Si dà per inteso che tutte le soluzioni espositive dovranno garantire le migliori condizioni di
sicurezza e conservazione per opere, manufatti e documenti esposti; e rendere possibile la
periodica rotazione delle collezioni, per permettere lo svilupparsi di un percorso narrativo che
possa rinnovarsi nel tempo.
Pubblico/pubblici di riferimento – Il Sistema Museale si rivolge quindi primariamente a tre grandi
categorie di pubblico:
- le scuole
- la comunità locale, che attraverso l’esperienza del Sistema Museale può sviluppare senso
di appartenenza, attaccamento alla propria terra ed alle sue vicende storiche, e di
conseguenza senso di cittadinanza
- quella parte di ospiti e di visitatori, che manifestino una attenzione specifica alla possibilità
di interpretare correttamente, ed in tutta la sua complessità, il territorio in cui si trovano o
che si propongono di visitare; o che decidono esplicitamente di visitare proprio perché il
Sistema Museale offre loro gli strumenti per una comprensione profonda ed efficace di
elementi originali o unici/rari. E’ evidente la potenzialità turistica aggiuntiva di quest’ultimo
aspetto (comprendendo in questa categoria il turismo scolastico)
Volendo schematizzare, si può proporre la seguente identificazione dei pubblici di riferimento:
Residenti nel bacino di utenza
30%
Turisti culturalmente orientati
30%
Turismo scolastico (locale, regionale, nazionale)
30%
Visitatori nazionali e internazionali che decidono una visita a
10%
Sestri Levante – Castiglione Chiavarese per motivo del Sistema
Museale
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Accanto a queste valutazioni, che riflettono gli obiettivi che il Sistema Museale si pone riguardo alla
propria capacità di attrarre pubblico di qualità, è del tutto evidente che una buona fascia di pubblico
del Sistema Museale sarà rappresentata da visitatori mossi da motivazioni diverse
dall’approfondimento culturale, che potranno approcciare il Sistema in maniera occasionale o
meno consapevole, anche in considerazione della rilevanza del turismo di villeggiatura sul territorio
della Val Petronio.
Nella costruzione delle soluzioni comunicative, però, si dovranno evitare semplificazioni o
banalizzazioni che possano sembrare più opportune per attrarre un pubblico generico e meno
motivato: la strategia del Sistema Museale rimane l’alta divulgazione di qualità, che si rivolge a
qualsiasi pubblico nell’ottica del coinvolgimento e della creazione di conoscenza, rispettando la
possibilità e la capacità di tutti di fruire di contenuti e suggestioni culturali accurati ed interessanti.
Questo anche nella logica, ben presente nelle strategie amministrative, di promuovere, sostenere
e far crescere un’offerta turistica sostenibile e qualitativamente alta, in grado di far comprendere e
non consumare il proprio territorio.
Quadro normativo di riferimento
Il Sistema Museale nasce e si sviluppa nell’ambito di quanto normato dal Decreto Legislativo 22
gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e al Decreto Ministeriale 10 maggio
2001 (Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei
musei); fa inoltre riferimento alla normativa regionale vigente (L.R.31.10.2006, n. 33 Testo unico in
materia di cultura e successive modifiche e integrazioni in DGR n.202 del 5 febbraio 2010; Piano
triennale di valorizzazione culturale 2008-2010, approvato con deliberazione del Consiglio regionale
17.12.2007, n. 54 ; e deliberazione della Giunta regionale 19.6.2008 n. 696;). Si sottolineano in
particolare gli Standard regionali di qualità dei musei, che si propongono integralmente in allegato.
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2. Definizione degli spazi a disposizione del Sistema Museale
Sestri Levante
Palazzo Fascie, piani terzo e quarto, per complessivi mq 970 + spazio d’ingresso e scale
Il progetto riguarderà il completamento dei lavori di restauro edile e il completo allestimento degli
spazi espositivi, secondo la strutturazione di contenuti presentata in altra sezione della presente
relazione e seguendo le indicazioni di carattere tecnico illustrate negli elaborati tecnici.
Si precisa che il progetto dovrà comprendere:
- l’identificazione di un’area per le esposizioni temporanee di circa 100 mq, concepita in modo
tale da garantire la massima flessibilità di allestimento e fornita delle attrezzature necessarie per
poter essere agilmente adattata ad esigenze espositive diverse; o in alternativa un sistema di
strutture flessibili ed integrabili lungo il percorso permanente, finalizzate allo stesso scopo. L’area
dovrà integrarsi con la sala polivalente del secondo piano, attualmente destinata anche ad attività
espositive e che svolgerà la funzione di sala conferenze – presentazioni anche per il costituendo
Museo;
- l’identificazione di un’area per le attività organizzative, amministrative e di ricerca del
Sistema Museale, e per il centro di documentazione interno (attività di inventario e catalogo,
biblioteca interna, fototeca), con relativi arredi ed attrezzature, ivi compreso l’allestimento di tre
postazioni di lavoro, pari a circa 40 mq.
- l’ideazione e l’arredo dell’area all’ingresso del Palazzo, strutturata per poter accogliere i servizi
di accoglienza, bigliettazione e book/gift shop
- ideazione di spazi didattici al secondo piano, in integrazione con le attività didattico-laboratoriali
della Biblioteca Civica Fascie-Rossi.
Riva Trigoso, edificio di prossima costruzione area “Cantierino”, per complessivi mq 430
L’Amministrazione Comunale di Sestri Levante, nell’ambito del proprio progetto di riqualificazione
del fronte mare di Riva Trigoso, ha progettato la realizzazione di un nuovo edificio con finalità
culturali e ricreative sull’area del litorale attualmente identificata come “Cantierino”.
Una porzione del nuovo edificio, pari a 430 mq, sarà destinata alla prosecuzione del percorso
espositivo del Sistema Museale, e destinata ai contenuti legati alla storia delle costruzioni navali,
come specificato in altra sezione della presente relazione.
L’edificazione della nuova struttura non rappresenta parte dell’intervento oggetto di gara; i
concorrenti dovranno però mettere a disposizione linee guida ed indicazioni di massima
finalizzate alla musealizzazione anche di questo spazio.
A questo fine il progetto preliminare dell’intervento viene messo a disposizione per la
consultazione.
Riva Trigoso, Biblioteca Civica, sala conferenze
A seguito della realizzazione dell’intervento sul fronte mare di Riva Trigoso, lo spazio attualmente
adibito a sala conferenze della Biblioteca Civica di via Caboto verrà destinato ad ospitare, nelle
opportune condizioni di conservazione, parte dei depositi del Sistema Museale.
Lo spazio, adeguatamente arredato e munito dei necessari sistemi di sicurezza, potrà conservare
parte dei materiali non esposti in sede di primo allestimento e disponibili per rotazioni e mostre
temporanee, oltre a prevedere la disponibilità di spazio per ricoverare materiali provenienti da
campagne di ricerca svolte sul territorio o da acquisizioni di diversa natura successivamente
all’apertura del Sistema Museale.
L’intervento di adattamento dello spazio di via Caboto non è oggetto della presente gara d’appalto.
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Castiglione Chiavarese
Masso, ex edificio scolastico, per complessivi mq 270 oltre a mq 200 circa di pertinenze
esterne
Il progetto prevede la sistemazione e l’allestimento degli spazi dell’ex edificio scolastico in località
Masso; come indicato in fase preliminare, l’intervento dovrà riguardare la realizzazione di:
- un’area espositiva, da collocarsi al piano terra dell’edificio, dedicata principalmente ai
contenuti di carattere archeominerario e alla vicenda moderna della miniera XX Settembre,
come dettagliati in altra sezione della presente relazione.
- una sala polivalente, da collocarsi al primo piano, dedicata ad attività culturali,
promozionali e ricreative, a disposizione del Sistema Museale e della comunità di Masso.
- un’area destinata a deposito, da collocarsi al piano terra, per i materiali secondari e per i
risultati delle campagne di scavo collegate alla prosecuzione della ricerca nell’area
archeomineraria, pari a circa 30 mq, messo a disposizione del Ministero per i beni e le
attività culturali per i fini istituzionali di tutela connessi allo sviluppo del sistema museale.
- una foresteria destinata ad ospitare ricercatori e studiosi, da collocarsi al secondo piano,
per come descritta nella progettazione preliminare
- un’area di accoglienza, bigliettazione e book/gift shop all’ingresso.
Nella sistemazione delle aree esterne all’edificio dovrà essere prevista un’area all’aperto per
attività didattiche di archeologia sperimentale (per circa 100 mq).
E’ inoltre parte dell’intervento la sistemazione dell’area di parcheggio poco distante dall’edificio,
per come specificato negli elaborati allegati.
Castiglione Chiavarese – Area archeomineraria di Monte Loreto (nei due siti dell’Età del
Rame identificati con le lettere B e C in planimetria); miniera ottocentesca “XX Settembre”.
Il progetto prevede:
- la messa in sicurezza della galleria della miniera moderna per come descritta negli allegati
tecnici;
- la sistemazione e messa a punto dei percorsi di accesso all’area mineraria
- la realizzazione del punto di accoglienza nei pressi della miniera ottocentesca
Si specifica che nell’ambito della dotazione della struttura di arredi ed accessori dovranno essere
previsti anche i dispositivi di sicurezza necessari ai visitatori per l’accesso alla galleria.
Nota: In relazione a tutti gli spazi ed ai loro allestimenti, i concorrenti dovranno indicare le linee
guida del Piano di Manutenzione Programmata, da svilupparsi poi in fase esecutiva.
Si rimanda alla documentazione tecnica elaborata dalle due Amministrazioni in occasione della
presentazione del progetto P.O.R. Liguria 2007 – 2013 Asse 4 per tutti i materiali e le specifiche
tecniche non comprese nella presente relazione.
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3. Questioni logistiche
Sestri Levante
Accessibilità
generale
Raggiungibilità
con mezzi
pubblici
Accesso
diversamente
abili
Accesso
ciclabile
Raggiungibilità
con bus turistici
Possibilità
parcheggio bus
turistici
Disponibilità
parcheggi per
auto private
Necessità di
segnaletica di
indirizzo
Agevole – la sede
si trova nel centro
storico di Sestri
Levante, ai
margini dell’area
pedonale
La sede museale
si trova a 300 m.
dalla stazione
ferroviaria e a 100
m. dalle fermate
delle principali
linee del trasporto
pubblico urbano
ed extraurbano
Sì
La sede museale
si trova a circa
100 m. dal
tracciato della
pista ciclabile che
interessa la
passeggiata a
mare
Con sosta per
carico e scarico
passeggeri
presso fermate
servizio pubblico
Non
contestualmente
– necessario
trasferimento del
pullman in area di
parcheggio
riservata
Attualmente non
è prevista un’area
di parcheggio
riservata per la
sede museale
Nei principali
punti di snodo
della circolazione
Riva Trigoso
Castiglione
Ex scuola di
Masso
Castiglione
Area
archeomineraria
di M.Loreto
L’accesso all’area
sarà possibile
attraverso un
percorso
pedonale
escursionistico
No
Agevole - sulla
passeggiata a
mare di Riva
Trigoso
Agevole -
La sede museale
si troverà a circa
un km dalla
stazione
ferroviaria, e a
50/100m. dalle
fermate delle
principali linee
del trasporto
pubblico urbano
ed extraurbano
Sì
La sede museale
si trova lungo una
linea del servizio
pubblico, per
quanto non
particolarmente
frequente
Sì
Non accessibile
La sede museale
si troverà lungo
la pista ciclabile
parte integrante
del progetto di
riqualificazione
dell’area
No
No
Con sosta per
carico e scarico
passeggeri
presso fermate
servizio pubblico
Non
contestualmente
– necessario
trasferimento del
pullman in area
di parcheggio
riservata
Attualmente non
è prevista
un’area di
parcheggio
riservata per la
sede museale
Nei principali
punti di snodo
della circolazione
In via di
definizione
No
In previsione
No
Negli spazi
pertinenziali
esterni
No
Nei principali
punti di snodo
della circolazione
Nei principali punti
di snodo della
circolazione
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4. Omogeneizzazione della progettazione elaborata dalle due Amministrazioni
comunali; individuazione di collegamenti, trasversalità, percorsi comuni
Elementi fondanti il Sistema Museale
Si ritiene che il Sistema Museale, che vede collaborare le due amministrazioni di Sestri Levante e
Castiglione Chiavarese, al di là di una evidente continuità geografica e storica, possa fondarsi su
elementi tematici di grande rilevanza. Le tematiche unificanti possano essere identificate in quattro
aree:
1) memoria verde: la spiegazione del paesaggio e delle sue trasformazioni nel tempo
2) l’oro rosso: il rame, le miniere, il lavoro, le attività produttive artigianali e industriali
3) i percorsi di terra e di mare
4) le famiglie: organizzazione sociale, forme di vita comunitaria, culti e riti
Questo sistema per aree rappresenta naturalmente una fra le molte strutture possibili per
organizzare i contenuti, che si propone come suggerimento ma che potrà essere oggetto di
motivate modifiche.
Accanto a questo, compito dei concorrenti sarà riuscire a dare il senso dello scalarsi nel tempo di
temi e siti su un periodo molto lungo, permettendo al visitatore di avere percezione della distanza
temporale rispetto agli elementi più antichi, e sottolineando nel contempo gli elementi di
discontinuità e di svolta
AREA 1 - Memoria verde: la spiegazione del paesaggio, le sue trasformazioni nel tempo
Il territorio della Val Petronio è il frutto di una continua interazione fra il contesto ambientale e le
attività antropiche svolte lungo i millenni: il paesaggio è un manufatto, per quanto questo possa
non essere immediatamente percepibile.
L’archeologia ambientale spiega i processi, le pratiche ed i saperi elaborati nel corso dei millenni,
gli errori, con i quali i gruppi umani hanno attivato (=fatto diventare fruibili) le risorse presenti
nell’ambiente allo stato potenziale. Ogni “modo” di utilizzare le risorse determina un paesaggio: ad
es. pastorizia = prati-pascolo, percorsi d‘alpeggio, ricoveri ...; arboricoltura = alberi gestiti (a
capitozzo, a ceduo, a scalvo...), “boschi” terrazzati, essiccatoi, ricoveri per prodotti; agricoltura =
terrazzamenti , ecc., che hanno costruito il paesaggio nelle sue caratteristiche.
Fino ad una generazione fa, il fatto che il bosco sia un manufatto era perfettamente evidente a tutti
(soprattutto a chi lo usava); le fonti, a partire da quelle archeologiche, archeologico ambientali, fino
a quelle scritte (statuti medievali), ci restituiscono forme e strumenti della sua gestione.
A partire da questa considerazione, il paesaggio conserva e documenta lo scorrere del tempo e le
trasformazioni sociali ed economiche.
Si ricorda inoltre, in questo senso, che il Sistema è parte della rete provinciale “Musei in rete : il
lavoro dell’uomo e le trasformazioni del territorio”.
AREA 2 - L’oro rosso: il rame, le miniere, le attività produttive, artigianali e industriali
Lo sfruttamento dei minerali di rame: dai siti archeominerari di Monte Loreto a Castiglione
Chiavarese e di Libiola a Sestri Levante (che, rammentiamo, sono le più antiche dell’Europa
Occidentale, ed hanno quindi una significativa rilevanza internazionale), alle sporadiche ma
affascinanti notizie sullo sfruttamento in età moderna, fino alle attività otto/novecentesche ed al
ruolo che hanno avuto nel condizionare la nascita, proprio su questo territorio, di grandi
insediamenti industriali come il Cantiere di Riva e la FIT, il metallo rosso disegna un filo conduttore
attraverso le epoche.
Non va poi dimenticato che la zona ha avuto un ruolo anche nell’estrazione dell’oro. All’inizio del
XX secolo da Monte Loreto si estraeva il 15% dell’oro nazionale. Con meno evidenza che per il
rame, ma suggestione anche maggiore, alcuni elementi porterebbero ad identificare Monte Loreto
come la più antica miniera d’oro conosciuta nell’Europa Occidentale; la verifica dell’ipotesi potrà
essere uno dei filoni di ricerca della Scuola di Alta Formazione per l’Archeologia Mineraria.
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AREA 3 - Percorsi di terra e di mare
Pur traendo il suo nome dal torrente Petronio, la vallata trova il suo elemento unificante non tanto e
non solo nel corso d’acqua, quanto nel fascio di percorsi di viabilità e traffici che qui si sono
sviluppati; una vallata di strade e itinerari, quindi, lungo cui Sestri Levante e Castiglione
Chiavarese svolgono ruoli di peso e rilevanza per molti versi analoghi.
Peraltro, la ricostruzione della presenza umana in questo come in altri territori dimostra come le
montagne abbiano rappresentato ben di rado un ostacolo o una separazione fra le genti, quanto
piuttosto un’occasione di incontro e confronto. La montagna univa prima della costruzione di
infrastrutture stradali, quando i percorsi migliori (se non unici) erano quelli di crinale. La montagna
ha unito perché il sistema agro-silvo-pastorale (IV millennio a.C. – metà del XX secolo) ha costruito
pascoli in montagna, raggiungibili da tutti i versanti.
Allo sbocco dei percorsi terrestri, la grande apertura delle vie marittime, che dalle più antiche
citazioni degli itinerari romani alle trasformazioni del porto dell’Ottocento ha fatto di Sestri Levante
una tappa importante dei viaggi e dei traffici del Mediterraneo.
AREA 4 - Le famiglie: organizzazione sociale, forme di vita comunitaria, culti e riti
A partire dalla prima affascinante testimonianza dell’esistenza di un clan famigliare nella grotta
sepolcrale della Val Frascarese, fino ad arrivare alle famiglie dell’aristocrazia, locale e genovese, e
alle famiglie dei minatori di Castiglione, il territorio si racconta anche attraverso la presenza umana
e le sue organizzazioni sociali, che lo trasformano e lo modellano. Le vicende familiari quindi
diventano un’efficace chiave di lettura per illustrare le trasformazioni e le forme organizzative del
territorio, sia nel contesto urbano che nella gestione delle risorse.
Questo, naturalmente dando a “famiglia” un significato simbolico e generale, considerato il valore
diverso che può essere attribuito al termine nel corso del tempo, per richiamare più latamente
l’idea delle forme dell’organizzazione sociale .
In questo senso si utilizza inoltre quest’area per introdurre le tematiche relative alla vita religiosa e
comunitaria.
Una proposta interpretativa
E’ ormai un concetto acquisito quello secondo cui, da un punto di vista geografico, il territorio ligure
non si comprende se lo si continua a considerare come una successione di fasce orizzontali costa
– collina – montagna (laddove il concetto di “montagna”, inteso come diversa organizzazione
nell’utilizzo del territorio, entra in gioco ad altitudini anche limitate ma ad alta pendenza); e non
piuttosto un insieme di “spicchi verticali” nella loro configurazione di piccoli sistemi basati prima sui
crinali e poi sulle valli, che hanno da sempre determinato le diverse “isole” liguri.
In questo senso, quindi, presentare il territorio della Val Petronio da Sestri a Castiglione come
un’unità, geografica, storica e sociale, non solo è naturale ma permette un’interpretazione corretta
e coerente
Il Sistema Museale, nell’ambito della funzione educativa che si attribuisce, vuole inoltre mettere in
evidenza il metodo di ricerca che ha ispirato la costruzione dei contenuti; lungo il percorso
espositivo si dovranno quindi trovare gli strumenti e gli spazi per illustrare la metodologia della
ricerca archeologica e della ricerca storica, per permettere al visitatore di capire in che modo le
competenze disciplinari costruiscono conoscenza a partire dalle fonti materiali e documentarie,
interpretandole e riconducendole al contesto che le ha create.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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5. I contenuti del Sistema Museale
Presentiamo di seguito i contenuti ed i materiali a disposizione per la strutturazione dei percorsi
espositivi, organizzati secondo le quattro grandi aree presentate poco sopra come elementi
fondanti del Sistema.
All’interno di ognuna delle quattro aree vi sono esposizioni dedicate al singolo tema ed elenchi dei
materiali a disposizione, con riferimento ai singoli siti archeologici (con letteratura relativa) per
quanto riguarda i contenuti archeologici, ai materiali disponibili di varia natura per i contenuti
storici.
In alcuni casi vengono messi a disposizione approfondimenti testuali e riproduzioni di documenti.
Vengono inoltre sottolineati i collegamenti con i relativi percorsi sul territorio (cfr.oltre).
Per gli approfondimenti rispetto ai singoli temi, all’identificazione delle fonti documentarie ed
all’ampia bibliografia di riferimento, si rimanda a:
- per i contenuti di carattere archeologico, come anticipato, i dossier dedicati alle quattro
aree portanti, che contengono documentazione e letteratura sui singoli siti (oltre ai
riferimenti dei referenti tecnico scientifici per ogni sito), predisposti su incarico del Ministero
per i beni e le attività culturali
- Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante - Studio preliminare di fattibilità museale
- Sistema Museale Archeologico Minerario di Monte Loreto. Progetto preliminare
Si forniscono inoltre:
- cronologie generali di orientamento.
- un file riepilogativo delle caratteristiche, delle condizioni di conservazione e dell’attuale
collocazione dei reperti archeologici
- una bibliografia integrata, rispetto a quanto contenuto nello Studio Preliminare, relativamente ai
contenuti storici
Quando possibile, si allegano riproduzioni digitali dei materiali disponibili per l’esposizione; molto
spesso si sono indicate esemplificazioni o campionamenti di fondi più ampi (ad esempio una
selezione di immagini ad esemplificazione di un grande archivio fotografico); sarà poi facoltà del
concorrente scegliere, motivandolo, tipologia e quantità dei materiali da usare effettivamente nella
proposta di percorso.
Si rammenta, con particolare riferimento ai materiali iconografici relativi a Sestri Levante, che le
immagini fornite sono riproduzioni in bassa definizione finalizzate alla sola progettazione, che non
possono essere utilizzate in nessun altro contesto; a seguito della selezione delle scelte espositive
e dei materiali definitivi, sarà necessario richiedere i diritti di riproduzione relativamente alla singola
opera o collezione ai soggetti che li detengono.
Le immagini iconografiche e di materiali relative a Castiglione Chiavarese sono nella disponibilità
del Comune.
I contenuti presentati di seguito sono l’elaborazione di quanto svolto da un gruppo di lavoro
composto da: Paola Chella, Raffaella Cecconi, Raffaella Fontanarossa (TerraMare); dai membri
del Comitato Scientifico: Fausto Figone e Fabrizio Benente, Roberto Maggi, Nadia Campana e
Alessandra Frondoni.
Si ringraziano inoltre Giovanni Mennella per i preziosi consigli e la disponibilità dimostrata e tutti i
membri del Comitato Scientifico che hanno collaborato alla redazione del presente documento.
Infine, si rammenta che il presente lavoro è stato sottoposto alla validazione del Comitato
Scientifico del Sistema Museale.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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AREA 1 – Memoria verde: la spiegazione del paesaggio e delle sue trasformazioni
nel tempo
1.1 L’ultima glaciazione e i cambiamenti del paesaggio vegetale e l’occupazione
diffusa del territorio alla fine della glaciazione
Negli ultimi due milioni di anni la temperatura globale della terra è andata diminuendo
irregolarmente, con un susseguirsi di pulsazioni fredde (glaciazioni) alternate a più brevi periodi
caldi (interglaciali). Le differenze fra le temperature medie sono dell’ordine dei 6 gradi centigradi.
All’interno di ogni periodo glaciale o interglaciale temperature e umidità hanno oscillato con
frequenze diseguali ma con valori sempre inversamente proporzionali (freddo = secco; caldo =
umido); con dirette ripercussioni sulla copertura vegetale. Nell’Europa temperata prevalevano
praterie e conifere nei periodi glaciali e foreste di latifoglie negli interglaciali.
Da circa undicimila anni viviamo in quello che viene considerato il periodo interglaciale
susseguente l’ultima glaciazione, detta di Würm, dal nome del fiume omonimo in Baviera, dove si
conservano le morene più evidenti prodotte dal fronte di avanzata dei suoi ghiacciai.
Se i ghiacciai alpini della glaciazione di Würm hanno raggiunto potenze impressionati (come noto il
bacino in cui ha sede il lago di Garda è generato dalle morene di fondo di uno dei ghiacciai alpini
che si protendevano a valle), sull’appennino i fenomeni glaciali erano ovviamente assai più ridotti;
c’erano piccoli ghiacciai o circoli nivali. Affacciandosi dal passo del Bocco di Maissana si scorge
sul versante nord una piccola morena che descrive una sorta di circolo, sede di uno dei piccoli
ghiacciai/nevai appenninici.
Sul lato mare, poco più a monte verso il Monte Roccagrande, attorno a 40.000 anni fa un colluvio
di versante ha sbarrato l’incisione di una vallecola trasversale, determinando le condizioni per la
formazione di un invaso dove si è impostata una zona umida tuttora esistente col nome di Pian del
Lago. In questo invaso si sono accumulati sedimenti con processi influenzati dalle condizioni
ambientali e dalle attività umane svolte nei dintorni. Il polline e le caratteristiche dei sedimenti
riflettono le condizioni ambientali della loro sedimentazione, essi costituiscono un archivio
biostratigrafico della storia ambientale e per certi aspetti colturale e culturale della zona.
Le zone umide sono concentrazioni di biomassa di indubbio interesse per le popolazioni umane,
tanto che spesso nelle loro vicinanze si rinvengono resti e tracce di frequentazione e “uso” in ogni
tempo. L’intreccio dei dati archeologici con quelli ambientali produce la storia del territorio e della
sua percezione visiva: il paesaggio.
La serie di Pian del Lago è rappresentativa della storia del paesaggio del versante dove ha sede la
Val Petronio. Il polline ci fa vedere nell’ultimo glaciale una copertura forestale dominata dal pino
nero, con presenza di essenze di clima freddo quali betulle. Negli episodi meno freddi il pino
subisce forti riduzioni a favore dell’abete bianco, o, in quelli decisamente più caldi a favore di faggi,
querce e noccioli. La maggiore umidità degli episodi più caldi è ben contrassegnata da livelli di
torba, indice di formazioni lacustri/palustri.
Circa 11.000 anni fa Il rapido aumento della temperatura e dell’umidità alla fine della glaciazione
implicò il declino del pino a favore dell’ abete bianco sulla fasce più alte, e di latifoglie, in primis
querce, sulle fascie più basse. La riduzione del polline di erbe indica l’addensamento in senso
forestale della vegetazione.
Si tratta di un fenomeno generalizzato e sincrono, registrato in molti diagrammi pollinici ottenuti
nell’appennino settentrionale, perciò attribuibile a cause climatiche connesse appunto alla fine
della glaciazione, che fu piuttosto rapida, con sensibili aumenti della temperatura e dell’umidità nel
giro di pochi secoli.
Successivamente a quello fra foresta aperta a pino/foresta più densa ad abete bianco verificatosi
alla fine della glaciazione, i diagrammi pollinici registrano un altro macro-cambiamento: la caduta
dell’abete a favore del faggio. Lungamente interpretato anch’esso come risposta a cambiamento
climatico, man mano che aumentano i dettagli delle indagini palinologiche e sedimentarie, il
numero di casi studiati e le datazioni radiocarboniche di dettaglio delle serie, emerge sempre più
chiaramente che:
- lo switch abete/faggio, pur generalizzato, non è sincrono: risultano sfasamenti plurimillenari
- lo switch è spesso collegato a indicatori di attività antropica quale incendi ripetuti della
copertura vegetale seguiti da colluvio minerale, indice di non occasionalità degli incendi
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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stessi, o, come a Pian del Lago, di evidenze di agricoltura nelle vicinanze (polline di
cereali), o di altre attività antropiche (es. estrazione del diaspro in Valle Lagorara).
I due casi di bacini umidi indagati con metodo archeologico (con scavi stratigrafici): Prato Mollo e
Moglie di Ertola, dimostrano l’ipotesi che alcuni bacini siano stati “costruiti”, intendendo con ciò che
siano l’esito di progetti di uso del territorio da parte di comunità che ben conoscevano, per via
empirica, i comportamenti di vegetazione e suolo.
Il progetto di ampio respiro attuato in montagna fra IV e III millennio a.C. sarebbe consistito nell’
impiego dello strumento “fuoco controllato” per un intervento integrato di:
- riduzione dell’abetina a favore del prato-pascolo alberato a faggio, che offre le migliori
condizioni foraggere in termini qualitativi
- sigillatura delle antiche conche nivali-glaciali, in modo da ottenervi acquitrini utili
all’abbeverata delle mandrie.
Il IV millennio a.C. registra il passaggio dall’allevamento stanziale alla pastorizia. Il progetto
avrebbe costruito le condizioni per l’alpeggio, ovvero per brevi transumanze fra i pascoli invernali
sulla costa e i pascoli estivi in montagna Nacque così quel sistema agro-silvo-pastorale i cui
sviluppi sono giunti fin quasi a giorni nostri.
1.1.1 Dossier Area 1 scheda sito Bosco delle Lame
L'area del Bosco delle Lame si trova su un crinale a circa 1300 metri s.l.m., tra il Monte degli Abeti
e il Pian delle Moglie, al limite Meridionale del Parco demaniale delle Lame; i manufatti, oggetto di
rinvenimenti di superficie, sono distribuiti su un’ampia area: un migliaio di questi appartengono ad
epoca mesolitica, anche se non mancano testimonianze di frequentazioni (occasionali) posteriori,
quali un trapezio a tranciante trasversale attribuibile al Neolitico antico e 4 punte di freccia, di cui 3
frammentarie, attribuibili all’Età del Rame/Bronzo Antico.
Il sito di Bosco delle Lame rappresenta il più ricco complesso mesolitico conosciuto fino ad oggi in
Liguria sia per l’ampio numero di nuclei (ben 240) che di manufatti (ben 1200).
I numerosi nuclei attestano che gli strumenti venivano prodotti in loco; gli strumenti sono oltre 200,
fra i quali grattatoi, troncature, un perforatore diritto, una punta a dorso, 4 trapezi scaleni, un
microbulino; appartengono alla tradizione litica castelnoviana del Mesolitico Recente.
Probabilmente il sito veniva occupato nella buona stagione da tutto il gruppo, che svolgeva varie
attività; da lì partivano le battute di caccia sulle vette.
1.1.2 Dossier Area 1 scheda sito Ferrada
Il sito, che si trova sulla sulla sponda sinistra del torrente Lavagna, è stato scoperto nel 1982 da
Augusto Nebiacolombo, che in occasione dello scavo per lavori edili raccolse alcuni manufatti in
diaspro rosso e in selce.
Le indagini archeologiche portate avanti dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria misero in
luce le tracce di un sito che, per la tipologia dei manufatti, può essere ascrivibile ad una fase antica
del Mesolitico. E’ emerso inoltre che, alla fine della glaciazione, il torrente Lavagna scorreva 12
metri al di sopra del livello attuale, proprio in corrispondenza del sito che è da interpretarsi quale
accampamento di cacciatori mesolitici.
Nel corso delle indagini è stata rinvenuta anche una perlina in steatite, a testimonianza di una
frequentazione anche nell’Età del Rame/Bronzo Antico.
Lo scavo ha evidenziato anche la sistemazione fasce degli orti avvenuta nel XVIII-XX secolo.
1.2 7000 anni fa l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento
L’ invenzione dell’agricoltura è, con la conquista del fuoco, l’evento che più ha cambiato l’umanità.
Se la conquista del fuoco, avvenuta circa un milione di anni fa ad opera di forme umane primordiali
precedenti la nostra, si confonde nel processo di ominazione, l’invenzione dell’agricoltura è molto
più recente. 600 generazioni fa nessuno zappava, metteva a dimora semi, irrigava.
600 generazioni fa la nostra specie, che noi chiamiamo homo sapiens, era da tempo l’unica specie
umana rimasta sulla terra. Eravamo gli unici umani ed eravamo pochi, 10 o 20 milioni, massimo
30. Incontrare un umano era occasione rara, se immaginiamo di spargere su tutto il globo meno
della metà della popolazione italiana.
Le ossa delle sepolture di quei tempi ci informano che non c’erano gravi problemi alimentari: la
maggior parte degli individui risulta robusta, di taglia talora atletica e generalmente ben nutriti salvo
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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stress temporanei. Malattie come la tubercolosi, l’anemia, la carie dentarie e molte altre non
esistevano. La dieta era bilanciata, 100% biologica si direbbe oggi, con pochi grassi, selvaggina,
pesce, molluschi e molti vegetali, crudi (frutti e leguminose spontanei, erbe, foglie giovani) o tostati
(semi ricchi di amidi, fra cui cerali spontanei). Nei boschi aperti della fascia temperata
abbondavano i cereali spontanei, antenati del riso in Cina, del mais in Messico, del miglio e del
sorgo in Etiopia, di grano, orzo, segale e avena in Medio Oriente, su quell’arco collinare che va
dalla Palestina, all’Anatolia ai monti Zagros in Iran, circondante la piana mesopotamica che va
sotto il nome di Mezzaluna fertile.
Gli umani della zona conoscevano bene queste graminacee a ciclo annuale, ne raccoglievano gli
abbondanti, piccoli e coriacei semi, assai nutrienti, facili da conservare e trasportare, che
tostavano e macinavano per cuocerli impastati con acqua e farne un cibo sofisticato da offrire agli
amici importanti; sapevano come farli fermentare per ottenere bevande alcoliche consumate nelle
feste e dagli sciamani.
La fine della glaciazione determinò un aumento generalizzato della biomassa e delle praterie
alberate dove abbondavano i cereali spontanei. La maggiore disponibilità di questa risorsa
pregiata e ben conservabile, associata all’aumento nelle stesse zone di animali predisposti
all’addomesticazione come capre e pecore, mise a disposizione di alcuni piccoli gruppi la
possibilità di ridurre il nomadismo a favore di una vita più sedentaria, più “comoda” e più favorevole
a condurre a termine gravidanze ed alla sopravvivenza infantile.
La profonda, empirica (non certo scientifica) conoscenza delle risorse ambientali, accumulatasi in
millenni di osservazioni, mise quei gruppi in condizione di selezionare i semi più grandi, meno
coriacei, più adatti alla mietitura, e di selezionare gli esemplari più mansueti di capre e pecore
selvatiche. In altre parole, scienziati che conoscevano la legge di Mendel 12.000 anni prima che
questa venisse formalizzata, introdussero l’agricoltura e l’allevamento e da allora si chiamarono
contadini.
Il risvolto prolifico della “comoda” sedentarietà rende il processo irreversibile: risorse sicure a
portata di mano favoriscono la sedentarietà, che favorisce l’aumento demografico, che richiede di
aumentare la disponibilità di cibo sicuro e programmabile: quello fornito dai campi e dalle stalle.
Appena nata l’agricoltura divenne un obbligo (la condanna biblica?). Quello che un tempo era cibo
speciale per le feste divenne necessità quotidiana, e sempre più braccia divennero necessarie per
produrlo. Era nata una nuova civiltà, una nuova era, l’era Neolitica, basata su agricoltura e
allevamento. I primi campi non richiedevano molto lavoro: bastava incendiare un tratto di prateria o
di bosco e poi mettere a dimora i semi nella terra morbida e leggera delle coline con un bastone o
una zappetta. La terra vergine e fertile assicurava alcuni raccolti facili e abbondanti. Ben presto
però la diminuzione di fertilità e l’aumento della popolazione imposero due risposte poi divenute
“classiche”: emigrazione ed aumento della produttività. Quest’ultima si ottenne con l’aratro e con
l’irrigazione. L’emigrazione significava esportare la tecnologia agricola su nuove terre. Ci volle del
tempo per selezionare varianti adatte a nuovi ambienti, ma nel giro di alcuni millenni tutto il
Mediterraneo e la valle del Danubio erano neolitizzati, in parte ad opera di ”pionieri” neolitici, molto
ad opera dei locali che si appropriavano della nuova tecnologia.
In Europa mancavano i progenitori naturali dei cereali delle capre e delle pecore, tutto fu portato da
fuori. Intorno al 6.000 a.C. alcuni pionieri neolitici provenienti dalla Provenza o dalle isole tirreniche
introdussero in Liguria il “kit neolitico” (pecore, semi di cerali e la conoscenza delle pratiche
agricole e di allevamento, l’ossidiana) e si stabilirono dapprima nel Finalese, le cui numerose
caverne erano ottime stalle. Che i pionieri su muovessero via mare è suggerito da diversi fattori,
tra cui soprattutto dal fatto che sementi e pecore raggiunsero la costa ligure insieme all’ossidiana,
vetro vulcanico reperibile solo sulle isole (Palmarola, Sardegna, Lipari).
Dal Finalese e da altri luoghi pionieri, il neolitico si diffuse capillarmente in Liguria, così come, sia
pure con cronologie e processi diversificati, in tutte le regioni del Mediterraneo.
Benchè invisibile, il polline dei cereali è grosso e pesante, il vento non lo trasporta lontano. Perciò,
quando nel 1987 la palinologa Gillian Macphail vide nel suo microscopio polline di cereali nei
vetrini dei sedimenti, datati a 5.500 a.C. circa, della torbiera di Pian del Lago, capì di aver trovato
la prova che campi di cerali, oltre che disseminati lungo la costa, si trovavano anche sulla fascia
collinare. Suggestivamente Gillian Macphail identificò nello stesso livello anche polline di vitis
vinifera. Il polline della vite selvatica spontanea del Mediterraneo occidentale non si distingue da
quella domestica, tuttavia anche gli acini della vite selvatica contengono zuccheri che,
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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opportunamente trattati (appassiti), diventano commestibili e sono suscettibili di produrre una
bevanda alcolica (eventualmente corretta con miele, come le fonti dicono gli antichi Liguri
facessero coi loro aspri vini).
Resti archeologici materiali (strumenti di pietra, recipienti di ceramica) dei neolitici del Tigullio sono
stati rinvenuti nella piccola caverna/rifugio Tana delle Fate in Val Frascarese ed al Castellaro di
Uscio. Non lontano, in Alta Val di Vara, la Pianaccia di Suvero (Rocchetta Vara – SP) è il più
consistente insediamento neolitico all’aperto trovato finora in Liguria. Sia qui che a Uscio si è
trovata ossidiana proveniente da Palmarola, indicatore di una rotta dei pionieri neolitici (vedi Area 3
- Percorsi di terra e di mare).
1.2.1 Dossier Area 1 scheda sito Pian del Lago
Pian del Lago si trova a 830 m s.l.m., a 9 km circa dalla costa, sul versante marittimo del Monte
Roccagrande. La torbiera di Pian del Lago è stata oggetto, negli ultimi venti anni, di una notevole
serie di indagini di archeologia ambientale svolte da studiosi dell’Università di Londra,
dell’Università di Genova e della Soprintendenza Archeologica della Liguria.
Le indagini hanno visto lo studio dei microfossili, analisi geoarcheologiche, datazioni
radiocarboniche, scavi archeologici e ricerche di superficie.
Inoltre, uno scavo condotto nel 1994 nel taglio stradale a monte di Pian del Lago, hanno
individuato una superficie di erosione, coperta da deposito colluviale, sulla quale sono rinvenuti
219 frammenti di ceramica appartenenti ad un unico vaso e strumenti e schegge di diaspro
attribuibili al periodo tra il Neolitico Medio e l’Eneolitico.
Da una decina di anni prima delle indagini paleoambientali, il sito era noto ad alcuni appassionati e
ricercatori locali – O. Baffico, A. Nebiacolombo, S. Nicora – che durante ricerche di superficie
avevano rinvenuto manufatti litici e ceramici.
Dall’ampia conca di Pian del Lago provengono reperti attribuibili al Paleolitico Medio, al Neolitico
Medio e Recente, all'Età del Rame e all'inizio dell'Età del Bronzo.
Le indagini paleoambientali consentono di ricostruire per Pian del Lago le seguenti vicende: i
sedimenti indicano che verso la fine dell’ultima glaciazione il bacino ospitava un piccolo lago, poco
profondo, circondato - secondo i diagrammi pollinici – da pini, abeti e querce. La foresta divenne
poi più densa e attorno al 7500 BC era formata prevalentemente da Abeti bianchi, che
prediligevano i suoli umidi circostanti il laghetto, mentre querce, olmi e tigli erano più numerosi sui
versanti. Sulla superficie del lago, diventato quasi una palude, crescevano piante palustri.
Della frequentazione antropica della zona, attestata dal ritrovamento di manufatti, soprattutto per il
periodo compreso tra il Neolitico e l’Età di Metalli, si trova traccia anche nei diagrammi pollinici
tramite evidenze di pratica del pascolo rappresentati dal declino dell'Abete bianco e del Tiglio, dei
cui germogli sono ghiotte le greggi. L'incremento di spazi aperti è confermato dall'aumento del
nocciolo, e dall'aumento di felci, dei piccoli arbusti e delle erbacee in genere. Tre o più secoli prima
del 5000 a.C. compaiono i primi pollini di cereali: questi testimoniano la pratica della cerealicoltura
entro un raggio massimo di un chilometro. È anteriore al 5000 a.C. anche la comparsa di Vitis.
Attorno al 4200 a.C., che è l'epoca in cui si afferma in Liguria la Cultura Chassey (Neolitico
Recente) di provenienza francese, diventano più abbondanti e continui i pollini di Olea, probabili
indicatori di forme in via di domesticazione, la cui eventuale coltivazione è comunque da
localizzarsi verso la bassa valle.
Un altro albero coltivato, il noce, appare nei primi secoli dell'Età del Rame, fra il 3500 ed il 3000
a.C. Durante l'Età del Bronzo ed i primi secoli dell'Età del Ferro (dal 2000 al 500 a.C. circa), si
registra il ritorno ad un bosco più denso, caratterizzato da lecci e faggi e perciò ben diverso da
quello dei periodi più antichi. La pratica dell’uso intenso del fuoco per controllare la vegetazione è
attestato durante la seconda parte dell'Età del Ferro, a partire dal 500 - 400 a.C., e continua
durante il periodo romano. Il disboscamento risulta più incisivo, si diffonde la brughiera. Le specie
domestiche registrano incrementi, segno di un’avanzata verso l’alto dei campi coltivati.
L’incremento del Noce dal V secolo, di Olea dal III secolo e la comparsa del Castagno
suggeriscono d’altra parte lo sviluppo dell’arboricoltura.
Una fase di disturbo, caratterizzato da 80 - 90 cm di colluvio, che ha seppellito definitivamente la
torbiera determinandone l'aspetto attuale, si è registrata nel basso Medioevo fra due e quattro
secoli dopo il 1000, a conclusione un ciclo di oltre 10000 anni di sedimentazioni.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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1.2.2 Dossier Area 1 scheda sito Tana delle Fate (Val Frascarese)
Questa piccola cavità fu utilizzata come rifugio in diversi periodi negli ultimi 6.000 anni,
probabilmente grazie alla sua conformazione interna: l’accesso al cunicolo immette infatti in una
camera lunga e stretta, che interseca sul fondo un pozzo di collegamento con l’esterno, il quale
consente la fuoriuscita del fumo di eventuali fuochi accesi all’interno.
Le campagne di scavo svolte dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria negli anni 1980-81
hanno messo in luce una stratigrafia contenente materiali alto-medievali, ceramica dell’Età del
Rame e del Neolitico Medio (Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata) . Da testimonianze orali inoltre sia
sa che essa offrì rifugio ad alcuni giovani del vicino centro di San Pietro di Frascati durante i
rastrellamenti nel corso della II Guerra Mondiale.
1.2.3 Dossier Area 1 scheda sito Castellaro di Uscio
Il sito, posto sulla sommità del Monte Borgo a 720 metri di quota, è stato sottoposto ad indagini da
parte della Soprintendenza Archeologica della Liguria dal 1982 al 1985.
E’ ubicato in posizione strategica all’incrocio di due crinali alle spalle del promontorio di Portofino.
Occupato fin dal Neolitico, come evidenziato da industrie litiche e ceramiche rinvenute in giacitura
secondaria, fu oggetto di occupazione intense e ripetute nel corso dell’Età del Rame/Bronzo
Antico, testimoniate anche dalla presenza di scorte alimentari agricole (cereali e legumi), da attività
di lavorazione di vari materiali e da disboscamenti. La mancanza di resti ossei, dovuta all’acidità
del terreno, impedisce una conferma diretta di attività pastorali, ma tutto fa supporre che,
nell’economia delle comunità insediate sul Castellaro di Uscio, la pastorizia dovesse avere un
ruolo primario.
Il sito venne poi abbandonato all’inizio del Bronzo Medio, probabilmente a causa di fenomeni
erosivi del suolo innescati dalla pressione antropica.
Dopo alcuni secoli di abbandono, il sito venne rioccupato nelle ultime fasi dell’Età del Bronzo (XI-X
secoli a.C.) con un insediamento stabile esteso oltre 2000 metri quadrati. In questa fase, per
prevenire l’erosione del versante furono costruiti terrazzamenti con blocchi non squadrati di calcare
locale a formare rozzi muretti a secco. Tali strutture in parte potenziate fra V e IV secolo a.C.
hanno assolto egregiamente alla loro funzione e ancora oggi si possono ancora intuire osservando
con attenzione la morfologia del sito.
L’abitato del Bronzo Finale era organizzato attorno ad un’area centrale destinata ad attività
produttive e domestiche collettive; ai suoi margini, su terrazzi di minori dimensioni si trovavano
piccole capanne; altri terrazzi più distanti erano destinati alla coltivazione e/o alla stabulazione di
animali domestici; vaghi di collana di vetro e di ambra baltica sono evidenze di commerci anche a
largo raggio, a riflesso di un’economia che ha superato il livello di sussistenza .
Dopo un nuovo periodo di abbandono il sito venne rioccupato nella seconda Età del Ferro. Nel IV
secolo a.C. fu attuata una ristrutturazione nella stessa area del terrazzo più grande del Bronzo
Finale. Le indagini hanno messo in luce i resti di una struttura abitativa, intonacata, il cui muro a
secco perimetrale costituiva lo sbarramento a valle di un ampio terrazzo, sul quale si trovavano un
focolare ed altre strutture da fuoco.
Vennero anche risistemati i due terrazzi soprastanti costruiti nel Bronzo Finale. La capanna fu
distrutta da un incendio e venne abbandonata. La frequentazione del Castellaro proseguì a non
oltre il II secolo a.C.
1.3 L’origine del sistema agro-silvo-pastorale e suo sviluppo: i pascoli d’altura
Uno dei maggiori cambiamenti che i diagrammi pollinici dell’Appennino ligure e più in generale
dell’Appennino settentrionale registrano nel corso dell’Olocene concerne la caduta dell’abete a
favore del faggio. Lungamente interpretato come risposta a cambiamento climatico, man mano che
aumentano i dettagli delle indagini palinologiche e delle indagini sedimentarie collegate, il numero
di casi studiati e le datazioni radiocarboniche di dettaglio delle serie, emerge sempre più
chiaramente che:
- lo switch abete/faggio, pur generalizzato, non è sincrono, risultano infatti sfasamenti anche
millenari
- lo switch è spesso collegato a indicatori di attività antropica quale incendi ripetuti della
copertura vegetale, seguiti da altrettanti episodi colluvio minerale, indice di non
occasionalità degli incendi stessi, o, come a Pian del Lago, di evidenze di agricoltura nelle
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vicinanze (polline di cereali), o di altre attività antropiche (es. estrazione del diaspro in Valle
Lagorara)
I due casi di bacini umidi indagati con metodo archeologico (con scavi): Prato Mollo e Mogge di
Ertola, sostengono l’ipotesi che alcuni bacini siano stati “costruiti”, intendendo con ciò che siano
l’esito di progetti di uso del territorio da parte di comunità che ben conoscevano, per via empirica, i
comportamenti di vegetazione e suolo.
Il progetto di ampio respiro attuato in montagna fra IV e III millennio a.C. sarebbe consistito nell’
impiego dello strumento “fuoco controllato” per un intervento integrato volto a:
- ridurre l’abetina favore del prato-pascolo alberato a faggio, che offre le migliori condizioni
foraggiere in termini qualitativi
- sigillare le antiche conche nivali-glaciali in modo da ottenervi acquitrini utili all’abbeverata
delle mandrie
L’archeologia ligure informa che nel IV millennio a.C. all’allevamento stanziale si aggiunge la
pastorizia. si delinea dunque un progetto integrato di ampio respiro, che manipolando le risorse
vegetali ed i suoli della fascia montana più alta, là dove l’erosione riduce le pendenze, costruisce
pascoli e abbeveratoi, condizione essenziale per lo sviluppo dell’alpeggio, ovvero di transumanze
di breve periodo fra i pascoli invernali presso la costa ed i pascoli estivi in montagna.
La nuova forma economica ebbe grande successo: sono numerosi i rinvenimenti di reperti del IV e
III millennio a.C. E’ evidente che ne conseguì un sensibile aumento demografico. La disponibilità di
dispense viaggianti (definizione data da Juliet Clatton-Brock agli erbivori addomesticati) e di
surplus di risorse di sussistenza rese possibile l’attivazione della grande cava di diaspro rosso di
valle Lagorara, atta a soddisfare la grandemente accresciuta richiesta di manufatti silicei. Non solo,
di lì a breve gli stessi gruppi iniziarono la coltivazione delle risorse minerarie di rame del bacino di
Sestri Levante.
La precocità con cui la pastorizia transumante è emersa in Liguria si riflette nella precocità
mineraria: Monte Loreto e Libiola sono le più antiche miniere di rame finora conosciute in tutta
l’Europa occidentale. Non si sono finora conseguite prove, ma non si può escludere che a Monte
Loreto, oltre al minerale di rame si estraesse oro. All’inizio Novecento Monte Loreto contribuiva col
15% alla produzione italiana d’oro, e da qui proviene la più grossa “pepita” d’oro trovata in Italia
(oltre 800 grammi).
Nel corso dell’Età del Bronzo (2000 – 1000 a.C.) si misero a gestione zone della fascia intermedia,
sotto i 1.000 metri, dominata da bosco misto a latifoglie. L’attestazione dell’uso del fuoco
controllato anche in questa fascia (Case Cordona, Pian Damigia, Suvero) combinata però, a
differenza che nella fascia alta, con stabilità del consorzio forestale, indica disboscamenti
circoscritti, seppur praticati anche disgiunti dagli abitati, e suggerisce la produzione di foraggio
fogliare mediante la pratica della scalvatura, originata in Liguria fin dal Neolitico (Arene Candide,
Genova Piazza Brignole).
In un paesaggio ripido e accidentato, boscoso, con fiumi torrentizi non regimentati, i migliori
percorsi per movimentare uomini e mandre erano quelli di crinale. All’incrocio di crinali, lungo di
essi in pozione strategica per il controllo di pascoli i itinerari, sorsero quegli insediamenti d’altura
noti come Castellari. Gli scavi del Castellaro di Zignago, del Castellaro di Uscio, del Castellaro di
Camogli documentano la loro organizzazione, basata sulla introduzione del terrazzamento dei
versanti, che sostenevano spazi comuni, capanne, stalle e piccoli orti, dove i pastori coltivavano
cereali e fave.
L’uso e l’abitazione dei crinali, per quanto in certi casi solo stagionale, enfatizza che durante
l’Età del Bronzo la montagna univa piuttosto che dividere. Ai pascoli d’altura ed ai castellari si
accedeva da entrambi i versanti. La tipologia dei reperti archeologici evidenzia chiaramente che il
confine fra i gruppi pastorali di montagna ed i gruppi di agricoltori/artigiani emiliani (i cosiddetti
Terramaricoli) si trovava nel pedeappennino, entrambi gli alti versanti appenninici, quello ligure e
quello emiliano appartenevano alle tribù montane dei pastori.
La Tavola del Polcevera, sentenza incisa sul bronzo promulgata dal Senato romano nel 117 a.C.
informa che il sistema socio-territoriale ed economico formatosi nell’Età del Bronzo perdurò in
quella del Ferro e pervenne all’età romana. Informa altresì che benché fosse imperniato su abitati
piccoli e sparsi, privi di siti urbani, questo sistema era capace, all’occorrenza di aggregazioni
sociali di sorprendente efficienza. Avvenne infatti, ci spiega la tavola, che gli urbanizzati Genuates,
federati con Roma e ad essa fedeli nelle guerre puniche, vennero a contrasto con la tribù dei
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Viturii che praticavano un’economia agro-silvo-pastorale nell’interno, sui monti dell’attuale
Pontedecimo, a causa di un compascuo, presumibilmente un pascolo pubblico, utilizzato a
rotazione, precursore delle sub-attuali comunaglie, oggi gestite col sistema dei beni frazionali.
Alcuni Viturii finirono imprigionati a Genova, ma la tribù fu capace di “arrivare” fino a Roma. Due
inviati, Quinto e Marco Minucio Rufo, svolsero indagini sul posto ed escussero testimonianze. La
sentenza fu pronunciata a Roma, alla presenza di rappresentanti delle parti, e non fu sfavorevole
ai montanari Viturii contro i cittadini genuati, se non altro i prigionieri vennero rilasciati e i confini
vennero precisati e contrassegnati, ove necessario da “pietrefitte”. La dice lunga sulla
organizzazione territoriale dei Viturii il fatto che delle tre copie bronzee conformi della sentenza,
una fu trattenuta per l’archivio del senato, una fu destinata al municipium dei Genuates, mentre i
Viturii, che non disponevano di un nucleo urbano con minicipium, furono autorizzati a conservare
la loro copia nel castelum (un castellaro?).
Dunque una organizzazione sociale che neppure comprendeva un luogo fisico di aggregazione
giuridica fu capace di organizzare una difesa, sostenerne le spese, e quasi vincere (o comunque
non perdere) la causa.
Indizi di continuità del sistema sono le fattorie apprestate in Età romana in corrispondenza di
paleofrane o altri luoghi drenanti adatti all’agricoltura, già sedi di occupazione nell’Età del Rame e
del Bronzo.
I lavori di Emilio Sereni e di altri geografi storici suggeriscono che gli sviluppi del sistema agrosilvo-pastorale orioginato nel IV millennio a.C. sono pervenuti fino ai nostri nonni/padri. L’ultima
transumanza (con autocarri) fra le colline di Recco e Ottone nell’alta Val Trebbia piacentina data al
1951.
1.3.1 Dossier Area 1 scheda sito Prato Mollo
Il sito di Prato Mollo, situato a circa 1500 metri slm, è uno dei più ampi e meno profondi bacini
intorbati presenti nell'Appennino Ligure. Si trova sul versante sud-est del Monte Aiona (1702 metri
slm) e dista circa un chilometro dal pianoro sommitale.
Attente ricerche di superficie qui effettuate hanno messo in luce alcune punte di freccia a
peduncolo e alette attribuibili all’Età del Rame/Bronzo Antico.
Nel 1986 una campagna di indagini multidisciplinari ha dimostrato che la torba ha iniziato ad
accumularsi dopo che il bosco dominato dall’Abete bianco venne diradato con l’utilizzo del fuoco.
Lo scavo ha messo in luce ad una profondità di circa un metro un deposito di sabbie dovute
all’alterazione delle serpentiniti, sulla cui superficie si è formato uno strato di particelle argillose,
colluviate.
Questo ampio pianoro acquitrinoso è la conseguenza di un radicale mutamento della copertura
vegetale e dei suoli causato dall'uomo durante l'Età del Rame. Infatti, in quel periodo a Prato Mollo
vi era un'estesa foresta di abete bianco, ma i cacciatori e i pastori preistorici che frequentavano la
zona attaccarono e diradarono la foresta per creare nuovi pascoli. Con l'utilizzo della pratica del
fuoco controllato vennero creati nuovi spazi erbosi, poi colonizzati dal faggio; nel pianoro si formò
un acquitrino in cui gli animali al pascolo potevano andare ad abbeverarsi, e lentamente cominciò
l'accumulo di torba.
1.3.2 Dossier Area 1 scheda sito Mogge di Ertola
Il sito si presenta come un ampio pianoro (circa 12.000 mq) a 1115 metri di altitudine adibito
attualmente al pascolo del bestiame. Il sito è costituito da un bacino intorbato posto sotto il suolo
erboso.Tra il 2001 e il 2005 il sito è stato oggetto di numerose indagini che hanno evidenziato una
complessa stratigrafia della torbiera, attestazione di una altrettanto complessa storia dei processi
formativi del sito, che testimoniano un’interazione tra fenomeni naturali ed attività umane. La
torbiere di Mogge di Ertola, analogamente a tutte le altre torbiere appenniniche, quali ad esempio
Pian del Lago e Prato Mollo possono essere considerate come veri e propri archivi della storia e
dell’archeologia ambientale ligure. Il deposito, profondo in alcuni punti fino a oltre 6 metri, conserva
decine di alberi quasi interi (prevalentemente abete bianco, faggio e ontano), e perfettamente
conservati con la loro corteccia e i rami, oltre a semi, frutti, pigne e pollini datati a diverse epoche.
Il livello contenente i tronchi d’albero, datato al IV millennio a.C. dimostra come, nel bacino,
impaludatosi, ceddero numerosi alberi, alcuni attaccati dalle malattie, altri forse oggetto di pratiche
di disboscamento tramite l’uso controllato del fuoco nel corso dell’età del Rame.
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1.3.2 Dossier Area 1 scheda sito Cian di Tenenti
A Calvari (S.Colombano Certenoli) in prossimità del fondovalle del torrente Lavagna, in loc. Cian
dei Tenenti, in occasione di lavori edilizi è stato effettuato un intervento di archeologia preventiva
che ha messo in luce, in una sequenza stratigrafica profonda 4-5 metri, due strati scuri sepolti
corrispondenti ad altrettanti suoli antichi, estesi oltre un ettaro.
Il suolo più profondo conserva in un contesto colluviale, abbondanti frustuli di carboni di legna, e
relitti di suoli bruni forestali, a testimonianza dell’utilizzo sistematico del fuoco per diradare la
copertura boschiva del versante soprastante, fino ad innescare un processo di erosione del suolo
forestale, i cui relitti sono stati trasportati a valle.
A questi episodi di disboscamento e colluvio è seguita una fase di stabilità che ha consentito il
riaddensamento del bosco e la formazione del suolo, che è stato successivamente ricoperto dallo
strato pietroso soprastante, un deposito quasi torrentizio formatosi a causa dell’azione del
disboscamento e di trasformazione dei suoli.
Lo strato scuro immediatamente soprastante, presenta caratteristiche analoghe al suolo più
profondo: il periodo di stasi con ripresa della copertura forestale fu interrotto da un nuovo ciclo di
fuoco controllato che è tornato a disboscare e, indirettamente a formare colluvi; sul materiale
depositato a valle è stato depositato materiale organico, dovuto ad attività agro-pastorali non
meglio definite, è poi cresciuta la vegetazione e si è formato un nuovo suolo, datato all’Età del
Rame. Il suolo più antico non è ancora stato datato. Inoltre la presenza in entrambi i suoli, di
frammenti ceramici mediamente fluitati indicano che i relativi abitati dovevano essere ubicati a
breve distanza. Gli strati superiori indicano l’applicazione di pratiche diverse dalle precedenti, con
la messa in coltura probabilmente più diffusa, stabile e continua, testimoniata dall’apporto di colluvi
più fini ed omogenei, fino alla formazione del suolo tuttora utilizzato. In posizione intermedia fra il
suolo attuale ed il suolo sepolto più recente si rinvengono laterizi di epoca romana.
Il sito di Cian di Tenenti è testimonianza della pratica del fuoco controllato.
1.4 Cenni sull’uso del territorio in epoca romana, nel medioevo e postmedioevo
Il territorio del Tigullio in età romana vede l’assenza di municipia e insediamenti urbani: ad oggi
non sono state rivenute ville urbano-rustiche e la rete stradale è basata sullo sfruttamento di
percorsi naturali piuttosto che su “strade costruite” secondo i canoni delle strade consolari romane.
Le fonti materiali e le fonti storiche testimoniano un territorio in cui sembra prevalere un abitato
sparso, organizzato in piccoli insediamenti, fattorie e case rurali localizzate nelle valli interne, in
vici posti lungo la linea di costa in prossimità degli approdi e in insediamenti stradali (mansiones,
stationes, ecc.), posti in prossimità dei nodi di collegamento della viabilità (In Alpe Pennino, Ad
Monilia).
Le indagini archeologiche hanno ampliato il quadro delle attestazioni degli abitati rurali di età
imperiale: i siti di Porciletto e di Statale delineano un modello di occupazione delle campagne
rappresentato da insediamenti a bassa capacità demografica, caratterizzati da un’economia agrosilvo-pastorale legata allo sfruttamento delle risorse disponibili in loco e da strutture costruite con
una tecnica edilizia piuttosto semplice con l’impiego di legno, argilla, pietre e tegoloni. La
documentazione archeologica ha dimostrato che nel territorio di tutta la Liguria Orientale doveva
essere presente una rete di insediamenti sparsi e case, forse legati alla gestione di proprietà
fondiarie e collegati comunque a una rete organizzata di approvvigionamento e di commerci con i
siti costieri anche delle regioni limitrofe. Tutti i siti rurali sono ubicati su ripiani di mezza costa, con
un’altitudine in genere compresa tra i 200 e i 600 metri sul livello del mare, ben esposti al sole e
facilmente coltivabili.
I siti rurali finora indagati possono essere accomunati da una prima fase di occupazione riferibile
all’età repubblicana o imperiale, dovuta forse a un’esplosione demografica. Dopo una piccola crisi,
questi insediamenti vengono recuperati in età tardoantica, proprio nel periodo in cui abbiamo la
testimonianza degli itineraria picta e adnotata, come la Tabula Peutingeriana e l’Itinerarium
Maritimum, che per il momento permettono soltanto di intuire la presenza di scali e abitati
organizzati, ma forse anche di alcune “fattorie” o insediamenti rurali.
L’età bizantina e longobarda e i secoli centrali del Medioevo nel Tigullio risultano ancora oggi
piuttosto sconosciuti, per la carenza di testimonianze materiali e testuali, agiografiche o narrative.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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La documentazione disponibile suggerisce un uso del territorio basato su forme di produzione
agricola fondate principalmente su olivo, vite, castagno e semina dei cereali e sullo sfruttamento
delle risorse minerarie disponibili. Basti ricordare, per l’arco cronologico compreso tra V e X
secolo, lo sfruttamento dell’area mineraria di Monte Loreto ascrivibile ai secoli VI e VII (Dossier
Area 2), un’epigrafe paleocristiana rinvenuta a Ruta di Camogli, in prossimità della chiesa di San
Michele di Bana (V secolo d.C.), il diploma di Carlo Magno del 774, noto come “donazione
dell’Alpe Adra” (dove viene ricordata la “via publica” di Pietra Corice), un “breve” e due inventari
bobbiesi della seconda metà del IX secolo, che citano, tra le corti adibite a provvedere al vitto del
monastero e dei monaci, Comorga presso Carasco e Castellionem (Castiglione Chiavarese),
nonché un frammento di pluteo altomedievale, murato sotto l’architrave del portale laterale della
chiesa di San Nicolò dell’Isola a Sestri Levante.
Il popolamento bizantino/longobardo dell’area del Tigullio è probabilmente legato a diversi fattori,
come il ruolo di evangelizzazione portato dai monaci di Bobbio, il ruolo organizzativo dei vescovi di
Genova, il ruolo svolto da altri enti monastici (come S. Fruttuoso, S. Maria di Patrania e Brugnato)
e dai poteri locali laici. In base alla scarsa documentazione disponibile l’XI secolo sembra essere il
momento in cui si definiscono ruoli gerarchici all’interno di una società locale che è ancora
prevalentemente rurale ed agricola; viene per esempio testimoniata la concessione in livello, da
parte del potere religioso, di alcuni fondi, dotati di strutture rurali organizzate per la produzione
agricola e per lo sfruttamento del bosco. E’ poi nel secolo successivo che assumono sempre più
importanza le oligarchie locali e i poteri signorili: è possibile rilevare sul territorio una distribuzione
di domini signorili distribuiti “a macchia di leopardo”, organizzati in castelli o dimore fortificate con
chiesa gentilizia e posti in zone ben difese, a controllo del territorio. La base patrimoniale di queste
signorie è, infatti, fondata sulla riscossione di decime, diritti signorili consuetudinari e pedaggi
stradali.
Nel XIII secolo la maggior parte dei domini locali entrarono nell’orbita genovese o si svilupparono
nuovi centri di potere sorti sotto la spinta di Genova: l’interesse di Genova per questa zona, e in
particolare per l’area del Bracco, per la Val di Vara e per la costa, era legato alla presenza di
naturali vie di collegamento tra la costa e, attraverso l’Appennino, la Pianura Padana. Le forme di
occupazione del territorio in epoca medievale possono dunque essere legate prevalentemente alla
forte attrazione esercitata dai tracciati viari.
Il tardo Medioevo e l’età moderna vedono il definirsi e lo sviluppo politico del territorio sotto il
controllo politico ed amministrativo della Repubblica di Genova, con lo sviluppo di nuclei abitati la
cui vita era basata sullo sfruttamento delle risorse del territorio (in particolare il castagneto):
esemplificativi in questo senso i siti di Anteggi e Pian dei Costi.
1.4.1 Dossier Area 1 scheda sito Statale
Il sito dell’insediamento abbandonato di Statale si trova su un ripiano causato da una paleofrana,
poco sotto al paese attuale di Statale di Ne, a circa 510 metri slm. E’ stato oggetto di indagini
archeologiche, analisi geologiche, geomorfologiche, paleobotaniche negli anni ’90 che hanno
permesso di comprendere le fasi insediative dell’area a partire dall’Età del Ferro.
Nel sito sono state infatti individuate una fase di frequentazione di Età del Ferro, una fase
ascrivibile all’età romana (I secolo d.C.), una fase di età tardo-imperiale e una di frequentazione
tardo antica (IV-V secolo d.C.).
Alla fase di Età del Ferro è stato collegato il ritrovamento di alcuni frammenti di ceramica grezza,
prevalentemente costituita da olle per la cottura dei cibi.
Alle fasi di età romana sono invece collegate alcune murature e sistemazioni pavimentali di un
edificio con copertura laterizia, la cui costruzione può essere datata al I secolo d.C. Si tratta di una
struttura realizzata con muri a secco impostati su terreno sterile e rivestiti con intonaco. Il piano
pavimentale risulta costituito da un acciottolato costituito da pietre, ghiaia e alcuni laterizi. Lo scavo
ha inoltre permesso di individuare buche di palo che dovevano accogliere i sostegni per la
copertura, che doveva essere formata da travi lignee e tetto in tegole e coppi.
Riferibile all’età tardo-imperiale romana è stato indagato uno strato di crollo del tetto e delle
murature, che poi viene seguito da una fase di frequentazione di epoca tardoantica, come attestato
da alcuni frammenti ceramici e numerosi frammenti di laterizi.
Altri frammenti ceramici e di laterizio di datazione incerta sono stati recuperati sempre lungo la
strada per Statale, dopo il bivio per le miniere della Scrava.
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1.4.2 Dossier Area 1 scheda sito Porciletto,
Il sito di Porciletto si trova su un ripiano di mezzacosta, a circa 250 metri slm, sul versante
settentrionale di una valle secondaria della Valle Sturla, in comune di Mezzanego, ed è stato
oggetto di scavi archeologici nel 1988 e nel 1994. Alcuni reperti archeologici rinvenuti durate gli
scavi sono attualmente in esposizione presso la “Mostra storico-archeologica permanente” di
Cicagna.
Le indagini archeologiche hanno documentato le varie fasi di vita di un insediamento rustico,
abitato a partire dal I secolo a.C. fino almeno al V secolo d.C.: su ampi terrazzamenti artificiali
realizzati appositamente su un’antica frana, vennero costruiti alcuni edifici in pietra con copertura
in laterizi. Questo insediamento ebbe una vita piuttosto lunga anche se subì delle trasformazioni
nel tempo, finché nel IV-V secolo d.C. l’area fu spianata e le vecchie strutture, ormai in disuso e
crollate, vennero sostitute da nuovi edifici in pietra e da una capanna lignea con pavimentazione in
pietra. Gli scavi archeologici sono stati affiancati da analisi polliniche, geoarcheologiche e
pedologiche e hanno permesso di fare luce sulle forme di popolamento e le fasi di vita di epoca
romana nell’Appennino ligure.
In base ai dati archeologici emersi è stato possibile stabilire che si può registrare all’età imperiale il
momento di massima frequentazione del sito, quando doveva trattarsi di una fattoria in cui si
svolgevano diverse attività che garantivano una relativa prosperità e autosufficienza, con
l’importazione di prodotti come salsa di pesce, vino e olio provenienti dall’Africa e dalla Spagna. La
scelta di edificare in quel sito un abitato non avvenne ovviamente a caso, ma fu determinata
dall’esposizione, dalla presenza di risorse idriche e da una buona fertilità del suolo su una porzione
di versante appositamente sistemato per la costruzione di edifici in pietra. Il materiale da
costruzione risulta reperito in loco, così come risultano prodotti in situ anche gli elementi in
laterizio, per lo più costituiti da grandi tegole a doppia “aletta”, coppi e mattoni. Il ritrovamento di
numerose scorie indica, inoltre, le produzione artigianale di oggetti di metallo. L’analisi dei reperti
rinvenuti durante gli scavi ha infatti permesso di ricostruire alcune delle attività che si svolgevano
nell’insediamento di Porciletto durante le sue fasi di vita. I reperti rinvenuti, tra cui numerose
macine e macinelli in pietra, dimostrano che in quest’area venivano coltivati e lavorati cereali. La
coltivazione della vite è invece documentata dal ritrovamento di carboni. La presenza di fusaiole ha
permesso di determinare anche la pratica di alcune attività domestiche come filatura e tessitura.
Sono stati ritrovati anche vasellame fine da mensa, monete e una gemma in diaspro.
Le importazioni di derrate alimentari e ceramica sono documentate dal ritrovamento di frammenti
di anfore e di dolia, ascrivibili anche alla fase finale dell'insediamento, nel periodo tardoantico.
Nel sito non sono stati rinvenuti elementi riferibili all'età medievale; nuove tracce di frequentazione
risalgono al XVI-XVII secolo quando fu impiantata una fornace da calce, forse funzionale all'abitato
tuttora esistente.
1.4.3 Dossier Area 1 scheda sito Anteggi
Le indagini archeologiche ebbero luogo negli anni 1974-75 a seguito della messa in luce di un
manufatto nello scavo della strada di servizio dell’Acquedotto Vasca-Bracco.
I resti murari individuavano un edificio di forma rettangolare a vano unico, con dimensioni interne di
16x6 metri e con ingresso a nord in uno dei lati corti. Le murature non presentavano tracce di
intonaco ed erano costituite da strati irregolari di pietra locale, messi in opera con un legante di
terra argillosa. Furono rinvenuti 3 focolari interni alla struttura ed un forno esterno a cupola,
destinato alla cottura degli alimenti.
Tra i reperti rinvenuti prevalevano i recipienti da fuoco: i “testelli”, costituiti da ceramica grezza
locale, e graffita arcaica tirrenica, che ha permesso di ascrivere la frequentazione dell’edificio a un
periodo compreso tra il XIII e la metà del XIV secolo.
Il ritrovamento all’interno della struttura di una notevole quantità di frammenti di ceramica d’uso
comune, di un battuto e di più focolari permette di capire che potesse trattarsi di un’abitazione a un
solo piano, anche se è possibile ipotizzare la presenza di un soppalco o di un graticcio utilizzato
come seccatoio. E’ inoltre possibile supporre che nella stessa struttura coesistessero persone e
animali, come peraltro è testimoniato ancora nel XIX secolo in altre zone della Liguria montana.
1.4.4 Dossier Area 1 scheda sito Pian dei Costi
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Su un pianoro tra Case Dorbora e Monte Pezze, a circa 500 metri slm, indagini archeologiche della
fine degli anni ‘90 hanno permesso di individuare l’insediamento abbandonato di Pian dei Costi,
sviluppatosi in relazione alla forte vocazione viaria del territorio avuta tra XV e XVIII secolo. Tutta
l’area insediativa è stata successivamente trasformata in area di coltura del castagno sfruttando
per il terrazzamento i salti di quota già presenti. Ricognizioni integrali nell’area di Costi hanno
consentito di identificare una superficie di circa 100 mq. in cui risultano dispersi frammenti di
tegoloni e di ceramica grezza e comune ascrivibili all’epoca romana e tardoantica: questi
ritrovamenti attestano una precedente fase insediativa romana/tardoantica.
Gli edifici messi in luce nell’insediamento di Pian dei Costi, che occupa una superficie totale di oltre
300 mq., sono case di pendio a pianta rettangolari e ad un unico piano, con ingresso su uno dei
lati corti.
Il paramento murario è a corsi irregolari di pietra locale, di medie e grosse dimensioni, la messa in
opera è realizzata con legante povero, ovvero terra argillosa. La pavimentazione di tre degli edifici
scavati è in acciottolato, in uno di essi sono stati individuati due focolari che lasciano presupporre
attività di fuoco o panificazione. La pavimentazione di un altro edificio messo in luce è invece in
terra battuta, con un’ampia soglia costituita da scaglie di calcare con rampa di accesso: tali
elementi hanno indotto a pensare che questo fosse un ambiente per la stabulazione del bestiame.
Nello scavo, sono stati rinvenuti notevoli quantità di ceramica, e altri oggetti, tra cui un rosario
femminile in perline di pasta vitrea e osso e alcune medagliette devozionali. I reperti hanno
permesso di confermare una frequentazione pressoché ininterrotta a partire dal XV secolo, mentre
l’abbandono delle funzioni abitative può essere datato alla prima metà del XVIII secolo grazie al
ritrovamento di ceramiche prodotte non oltre la metà del Settecento.
Tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo si registra uno spoglio dei muri e dei
depositi formatisi in seguito al crollo delle strutture a favore dell’impianto del castagneto domestico.
1.5 Mare-laguna- terra: la formazione della piana alluvionale di Sestri Levante
1.5.1 Dossier Area 1 scheda Sestri Levante – area ex Fit
Il territorio ora occupato dalla città di Sestri Levante si è modificato nel corso del tempo e se si
torna indietro a ritroso all’epoca dell'ultima glaciazione, si potrà riconoscere un ambiente
decisamente molto diverso dall’attuale.
Nel corso dell'ultima glaciazione, infatti, la linea di costa era di 100 metri più bassa di quella
odierna, quindi la piana si estendeva alcuni chilometri al di là di quella che ora è la linea di costa.
Con la fine della glaciazione il mare cominciò a risalire e la piana sestrese divenne il luogo
scambio tra apporti marini e apporti fluviali;
Negli ultimi anni sono state svolte indagini rivolte allo studio dell’evoluzione del paesaggio della
piana sestrese: sono state effettuate numerose analisi paleoambientali su alcuni carotaggi
geognostici effettuati in diverse sedi nella piana.
Nell’area dell’ex-FIT, a circa un chilometro dalla linea di costa attuale, le indagini
geoarcheologiche, archeobotaniche e malacologiche associate a datazioni radiocarboniche, hanno
rilevato che l’area è stata interessata per un lungo periodo, tra il 6000 a.C. e il 3000 a.C., da una
serie di depressioni paludose create da un sistema di cordoni sabbiosi litoranei. I sondaggi eseguiti
in zona Lapide e presso il campo sportivo ci danno indicazioni sull’estensione della palude
costiera.
Si tratta di un argomento che deve essere oggetto di approfondimenti, funzionali anche ad
eventuali interessanti sviluppi espositivi.
1.6 Lo sviluppo storico dell’insediamento di Sestri Levante
1.6.1 Segesta Tigulliorum nelle fonti antiche
Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. cita l’esistenza di una Segesta Tigulliorum (Historia Naturalis III:
“Portus Delphini, Tigullia intus, Segesta Tigulliorum”); sempre nel I secolo, Pomponio Mela (II, 4,
72) cita “deinde Luna Ligurum et Tigulia et Genua”. Il toponimo Tigullia compare poi nella
Geografia di Tolomeo.
Troviamo successivi riferimenti negli itinerari marittimi di III-IV secolo d.C., l’Itinerarium
Provinciarum Antonini Augusti cita una Tegulata (ancora di incerta identificazione, ma forse
Lavagna); l’Itinerarium Maritimum cita il toponimo Segesta e la definisce come positio, suggerendo
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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l’ipotesi che l’approdo di Sestri Levante fosse un vero e proprio scalo con infrastrutture portuali
essenziali.
Più in generale, è attestato dalle fonti il toponimo Tigullia, variamente deformato: un Saltus
praediaque Tigulliae (CIL XI, 1147,6,69) è presente nell’elenco dei fundi obbligati dai coloni
Lucenses, probabilmente ad indicare il nome di un territorio abitato dai Tigulli, nel II secolo d.C; un
documento epigrafico rinvenuto in Marocco e databile al II secolo d.C., ricorda un Lucius Minicius
Pulcher, comandante di un contingente di cavalleria, originario domo Tigullis: si tratta quindi di
un’importante attestazione dell’esistenza di un territorio identificato con il nome della popolazione
dei Tigullii.
Secondo Mennella può essere interpretato come Tigulata anche il toponimo Tigtila che compare
della Tabula Peutingeriana.
I testi antichi rimangono comunque di difficile interpretazione e lasciano aperti dubbi sull’esatta
collocazione ed identificazione delle diverse località, anche se i recenti ritrovamenti di reperti di età
imperiale (II-III secolo d.C.) nell’area ex-Fit avvalorano l’esistenza di Segesta Tigulliorum.
1.6.2 Fonti archivistiche, storiografia antica e descrizioni
Si segnala come i più antichi statuti della città siano sostanzialmente inediti, e quindi attualmente
non utilizzabili per il percorso espositivo se non in riproduzione fotografica, che si allega per
permetterne una valutazione.
Sono invece disponibili diverse descrizioni antiche della città, che si riportano integralmente in
allegato.
Si rammenta che la città era suddivisa amministrativamente nei tre Terzieri di Borgo, Santa Vittoria
e San Giovanni, a loro volta articolati nelle diverse ville. Si fornisce fra gli allegati cartacei una carta
che permetta l’identificazione delle ville, rammentando come il terziere di San Giovanni
corrisponda in gran parte all’attuale territorio del comune di Casarza Ligure, e come Santa Vittoria
comprendesse alcune ville – Statale, Arzeno, Cassagna, Nascio – oggi in comune di Ne.
Riportiamo le diciture delle ville (fonte il Catasto del 1467):
Borgo: Burgus (Burgo), Sorlanne (Sorlana), Trigaudii (Trigoso);
Santa Vittoria: Villa Rovereti, Libiolle (Libiola), Montedominici (Montedomenico), Sancti
Quillicis (San Quirico), Monasterii, Lotti (Loto), Statallis (Statale), Cazaniae, Nasii (Nascio),
Arzeni;
San Giovanni: Ville Pontis (Ponte), Carmelli, Zinestre (Ginestre), Fosselupariae (Fossa
Lupara), Salle (Sara), Veraci (Verici), Maraschi (Massasco), Cassariae (Casarza), Sancti
Johannis (San Giovanni), Bargoni (Bargone).
Per quanto riguarda poi le fonti cartografiche e le altre fonti iconografiche relative allo sviluppo ed
alle trasformazioni dell’abitato, si rimanda alla sezione conclusiva “Iconografia”.
• Materiali a disposizione
Allegato cartaceo > Descrizioni antiche
Allegato cartaceo > Mappa (Robin)
Allegato digitale > Materiali > Iconografia C1, C2, C3 e C7
1.6.3 L’isola e il borgo
Lo sviluppo di quello che oggi percepiamo come l’insieme del centro storico di Sestri Levante si
articola attorno alla dicotomia fra l’Isola (oggi Penisola), nucleo abitato più antico e
tradizionalmente prestigioso, ed il Borgo, che coincide con l’area attorno all’attuale via XXV Aprile,
e che inizia a consolidarsi con il XV secolo, man mano che l’istmo che lo unisce all’Isola si
stabilizza (anche se ancora in pieno Cinquecento ed oltre, in caso di mareggiate, il mare torna ad
impadronirsi del punto più stretto fra le due Baie – cfr. foto Borasino a cavallo fra Otto e
Novecento).
Una prima presentazione testuale delle caratteristiche del tessuto urbanistico, a partire dalle
indicazioni del Catasto del 1467 e da altri documenti notarili fra Quattro e Cinquecento, è riportata
nel testo di Robin, la si riporta in sintesi negli allegati.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
24
Per l’evoluzione del tessuto abitativo nell’area, con particolare riferimento ai principali beni storico
artistici, si rimanda alle schede di approfondimento prodotte in occasione della candidatura della
Baia del Silenzio al Patrimonio dell’Umanità Unesco ed alla bibliografia relativa (cfr allegati).
Sono poi presenti presso l’Archivio Comunale documenti relativi alle trasformazioni dell’area
dell’attuale Viale Rimembranza fra Otto e Novecento, come l’apertura della strada verso il porto
(oggi via Pilade Queirolo), la creazione dei giardini pubblici sull’area acquistata nel 1888 dai
marchesi Sertorio a valle della primitiva linea ferroviaria, la vicenda stessa della prima e poi della
seconda linea ferroviaria, la nascita dei grandi alberghi e dei primi stabilimenti balneari.
Dal punto di vista iconografico, oltre alla cartografia generale, si segnala:
- una rappresentazione grafica proveniente dall’Archivio Storico del Comune di Genova, per
quanto ingenua e strumentale, di una casa di Sestri nel 1604: disegno e pianta sono
allegati agli atti di una causa per un abuso edilizio (Cfr. Allegati, iconografia).
- parte della documentazione relativa al Piano Regolatore redatto nei primi anni Trenta da
Bruno Bellati, e documentazione progettuale e fotografica relativa alla scomparsa Casa
Littoria, opera dello stesso architetto, conservata presso l’archivio della Fondazione
Wolfsoniana di Genova. Riguardo alla Casa Littoria, si segnala inoltre un lungo filmato
sull’inaugurazione, alla presenza di Mussolini, fra i fondi dell’Archivio Luce
• Materiali a disposizione
Allegato cartaceo > Descrizioni antiche
Allegato digitale > Approfondimenti > VIII. Schede tematiche
Allegato digitale > Approfondimenti > XVI. Il territorio di Sestri L. (Robin)
Allegato digitale > Materiali > Iconografia C1, C2, C3, C 7, C8, C10 e C13
Allegato digitale > Materiali > Allegato F (Video e filmati)
1.6.4. Il sistema delle ville
Il tessuto abitativo di Sestri Levante, in passato come oggi, non si esaurisce nel Borgo, ma si
articola in un sistema di aree suburbane e frazioni, che le fonti antiche identificano come “ville”: dai
primi agglomerati presso il borgo, come l’area della Domus Ferrariorum – Cà di Ferrè e
l’importante borgo di Santo Stefano alla corona di insediamenti che, attraverso la piana e sulle
colline, vanno a costituire l’insieme della città.
Nella ricostruzione della vita quotidiana nelle “ville” rivestono un ruolo particolare la memorialistica
ed i testi di ricostruzione storica promossi dagli abitanti delle diverse frazioni, spesso con
interessanti corredi iconografici; i testi sono richiamati in un’apposita sezione della bibliografia.
• Materiali a disposizione
Allegato cartaceo > Mappa (Robin)
Allegato cartaceo > Descrizioni antiche
Allegato digitale Materiali > Iconografia C1, C2, C3 e C4
1.6.5 Le produzioni agricole
Come è stato affermato più volte, l’idea presente nell’immaginario dei sestresi, che identifica la
città come di mare e di fabbriche, è parzialmente inesatta. Se infatti diamo uno sguardo alla storia
anche recente di Sestri, almeno fino al primo dopoguerra, appare subito evidente come questo sia
stato anche un territorio a fortissima vocazione contadina, e come l’agricoltura abbia rappresentato
il pilastro fondamentale dell’economia della maggior parte delle famiglie almeno fino a metà del
secolo scorso; per cui anche quando era possibile avere un impiego sul mare, e più tardi in
fabbrica, si manteneva anche l’attività nei campi, considerata una integrazione irrinunciabile (non a
caso F.A.Y. Brown, titolare della miniera di Libiola nel secondo Ottocento, notava “Il minatore
ligure, laborioso, disciplinato, provvido quanto altri mai, finiti i lavori della miniera trova ancora il
tempo di coltivare il suo terreno e mette da parte la maggior parte della sua paga” – 1876)
Dati ed informazioni, soprattutto per i periodi più antichi, sono essenzialmente documentari; si
rimanda quindi allo Studio di Fattibilità Museale (con particolare attenzione ai dati elaborati
dall’amministrazione napoleonica per il Dèpartement des Appenins, riportati in allegato, e
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
25
dell’Inchiesta agraria promossa dalla Società Economica di Chiavari nel 1879); oltre che alle
descrizioni della città e del territorio presentate in apertura, nonché all’interpretazione delle fonti
cartografiche indicate per il sistema delle ville suburbane.
La cartografia elaborata dal Vinzoni per i Fieschi a metà Settecento ci restituisce una
rappresentazione particolarmente vivida dell’organizzazione dei poderi e delle loro coltivazioni.
Si sottolinea inoltre come debba essere proposto un collegamento con il Museo della Civiltà
Contadina di Velva (Castiglione Chiavarese), che potrà efficacemente essere indicato come
integrazione di informazioni e conoscenze sulla vita rurale nella val Petronio; e come possa
rappresentare un elemento di interesse per la progettazione del Sistema la recente creazione di
una struttura informativo – didattica presso la sede della Cooperativa Olivicoltori Sestresi.
• Materiali a disposizione
Allegato digitale > Materiali> Fonti Archivistiche Inedite B5
Allegato digitale > Approfondimenti > XVI.Il territorio di Sestri L. (Robin)
Allegato digitale > Materiali >Iconografia C4
1.6.6 Contesto agrario e strutture produttive e di trasformazione nel territorio di Castiglione
Chiavarese (Fausto Figone, Il Comune di Castiglione – Fra storia e memoria ©, in stampa )
Il mondo agrario.
Il processo di distribuzione sociale delle proprietà immobiliari – tanto nei terreni che nei fabbricati –
è stato determinato fondamentalmente, nel contesto locale, da due fattori di tendenza opposta: da
un lato si assiste ad un progressivo frazionamento a seguito della spartizione ereditaria dell’asse
patrimoniale, e dall’altro ad un accentramento dovuto alla cooptazione dei piccoli appezzamenti da
parte dei principali possidenti, anche a seguito di procedimenti di confisca determinati da gravami
ipotecari costituiti a garanzia di prestiti in denaro.
A fianco di questi fattori agisce, ovviamente, anche una situazione di accresciuta mobilità fondiaria
basata sulla compravendita e resa più dinamica a partire dalla seconda metà del secolo XIX,
quando il rientro di parecchi emigranti del primo flusso emigratorio immise sul mercato una
maggiore capacità di acquisto resa possibile dal capitale in danaro accumulato negli anni di
espatrio.
Di notevole importanza è poi il processo di privatizzazione dei beni comunitari, sia appartenenti ad
Enti pubblici che ad organismi religiosi; i primi rappresentati da quel che ancora restava delle
antiche Comunaglie di proprietà comunale ed i secondi costituiti dai beni fondiari delle Mense
Parrocchiali e delle Confraternite .
Queste alienazioni sono principalmente dovute alla necessità da parte degli Enti proprietari di
reperire i fondi necessari in un caso alla realizzazione delle strutture primarie di urbanizzazione, di
Polizia sanitaria e di scolarizzazione imposte dalla nuova normativa di legge introdotta dallo Stato
unitario e, nell’altro, dalla urgenza di opere di consolidamento, manutenzione e ristrutturazione
richieste dagli edifici di culto, in quasi tutti i casi ancora allo stato di precarietà dei secoli
precedenti. Nel caso degli Enti ecclesiastici, nel contesto delle alienazioni di beni parrocchiali
figurano in larga misura gli affrancamenti di appezzamenti tenuti a titolo di enfiteusi perpetua – le
cosiddette Perpetue – che i conduttori riscattano dietro pagamento di una somma pattuita a titolo
di estinzione della quota annua dovuta. Parecchie di queste “terre” non appartengono direttamente
alla Chiesa, ma sono di spettanza di Confraternite o Compagnie; nel caso specifico della
Parrocchia di Castiglione, ad esempio, quelle delle Anime Purganti, del Carmine, del Rosario e di
San Bernardino.
L’alienazione delle “terre” di pertinenza pubblica – operazione presa in esame fin dai primi tempi
della costituzione del Comune avvenuta con la nascita della Repubblica Ligure – vede la sua fase
centrale nella seconda metà del secolo XIX, ed in particolare a partire dagli anni ’70, quando
l’Amministrazione Comunale provvede ad una lottizzazione delle Comunaglie, di cui è dato
incarico all’architetto Pontello nel 1872, al fine di procedere alla vendita attraverso asta pubblica
degli appezzamenti così suddivisi.
L’argomento dei Beni Comuni, a cui resta strettamente connesso quello degli Usi Civici, porta
all’esame di una vicenda particolarmente importante, che costituisce un esempio significativo dei
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
26
rapporti che venivano via via instaurandosi – e via via sempre più a favore della seconda – fra gli
usi consuetudinari e la nuova legislazione statale a proposito della gestione dei terreni comunali.
(Si tratta dell’annosa vicenda tra il Comune di Castiglione e quello di Maissana – e in particolare di
una sua frazione, quella di Chiama – sul possesso e l’uso di una vasta porzione di boschi comuni –
circa 50 ettari – posta sul confine territoriale delle due comunità) .
L’occupazione agricola rappresenta agli inizi dell’ ‘800 la stragrande maggioranza delle attività, con
circa il 95% degli occupati. Il tipo di conduzione dei fondi mostra una tipologia piuttosto varia, che
vede – partendo dagli inizi del secolo XIX – la presenza in misura significativa della conduzione in
proprietà, rappresentata da famiglie di piccoli proprietari, mentre negli altri casi si possono
distinguere, pur nella loro diversità e specificità, due grandi tipologie di contratti agrari, che
manifestano una ormai raggiunta stabilità: la colonia parziaria e l’affitto. Il primo tipo di contratto
comporta la divisione in parti prestabilite dei prodotti raccolti alla fine dell’annata, tra proprietario e
coltivatore (contratto di cui la mezzadria rappresenta un caso particolare); mentre il secondo
comporta un canone fisso, pagato in natura – cioè in prodotti – o in denaro, e comunque
predeterminato.
Si incontrano poi tutto una teoria di contratti affini, o comunque classificabili entro queste due
categorie principali, riguardanti la lavorazione della terra e l’allevamento del bestiame.
In questo contesto, le principali strutture produttive tradizionali ,e comunque sempre in qualche
modo legate al mondo agrario, sono quelle del Mulino ad acqua (inteso in senso lato come
meccanismo che partendo da un moto rotatorio fornito da una ruota mossa da energia idrica mette
in funzione processi lavorativi che vanno dalla molitura di granaglie, alla frangitura di olive, alla
lavorazione del ferro, alla segatura del legno, alla follatura, ecc.), della Fornace da calce e della
Carbonaia.
Mulini e Frantoi
Il nascere e diffondersi dei mulini ad acqua nella vallata del Petronio accompagna e in qualche
modo coincide con l’evoluzione storica delle comunità locali. Dal numero di queste strutture e dalla
loro ubicazione è possibile dedurre la potenzialità produttiva di un determinato territorio e, di
conseguenza, l’importanza dei nuclei abitati in esso situati. In una economia di sussistenza esiste
infatti una stretta relazione fra le quantità di prodotto lavorato e il numero sostenibile di abitanti sul
territorio. La presenza specifica dei frantoi ci permette inoltre di leggere, in particolare, la storia
evolutiva della coltivazione dell’olivo, così come, all’interno dei mulini da macina, la suddivisione
fra mole da castagne e mole da granaglie ci consente di valutare il rapporto fra le produzioni di
questi raccolti facendo luce sul quadro agrario complessivo. La distribuzione delle varie tipologie di
macine varia lungo il corso della vallata, segnando le diverse vocazioni produttive; così mentre
nella parte più montana della valle prevalgono le strutture a mulino da macina con costante
presenza di mole da castagne, via via che si scende il corso del fiume si fanno più numerosi i
frantoi e nei mulini prevalgono le mole per granaglie.
Sul piano cronologico troviamo attestazione della presenza di mulini già in un atto di XI secolo
riguardante terre del chiesale di Massasco e dal secolo XIII per altri luoghi della vallata.
A partire dal XVI secolo – la Descritione del Giustiniani ci supporta – la presenza di mulini si trova
diffusa lungo l’intero corso del Petronio ed anche dei suoi principali affluenti di destra , finchè, agli
inzi del XIX secolo, abbiamo attestazione di circa una trentina di queste strutture funzionanti nella
vallata.
Da ricordare che esistevano poi i cosiddetti “ frantoi a sangue” – forse i più antichi – mossi da
energia umana o animale, e situati quasi sempre all’interno delle borgate.
Per quanta riguarda la meccanica di funzionamento, erano presenti nella vallata due tipi di mulino
ad acqua: a ruota verticale, detto semplicemente “ muin”, e a ruota orizzontale, detto “teragnin”.
Il secondo tipo è sempre stato poco frequente nella valle del Petronio, anche se la sua tecnologia
costruttiva risulta assai più semplice e se era, e continua ad essere, convinzione diffusa che esso
assicura una farina migliore.
La Fornace da calce
Il mondo contadino ha sicuramente rappresentato uno straordinario esempio di integrazione delle
varie attività in una essenziale semplicità strutturale che trova poi rispondenza, quale naturale
esplicazione, nelle varie tipologie costruttive che si incontrano nel contesto rurale.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Nel pieno rispetto di una tradizione lavorativa autoctona, largamente diffusa nel panorama
storico/culturale locale, si inquadra la figura del fornaciaio – “ u furnaxin” - cioè l’addetto alla
fornace – “ a furnaxe”- elemento strutturale per la produzione della calce –“ pe coxe a casin’a”.
Anche la fornace, come la carbonaia, è un’architettura “ alla rovescia”, cioè interrata, che
curiosamente denota una straordinaria similitudine, sia estetica che nella metodologia di
realizzazione, con altre strutture architettoniche mediterranee, quali il Trullo e il Nuraghe.
Così come la carbonaia anche la fornace si realizzava nei boschi o in loro prossimità, cioè in
luoghi dove la reperibilità di notevoli quantità di legna fosse abbastanza agevole e, naturalmente,
in prossimità di presenza di calcare di caratteristiche adatte alla “cottura”- “ a pria casinèa”.
Nel territorio castiglionese ampi affioramenti calcarei adatti a questo scopo sono presenti nel
versante immediatamente soprastante il capoluogo ( zona del Gropparo –“ u Gruppà” ) e nella
zona della media Val Frascarese, ed è proprio in tali località che – oltre il supporto toponomastico
di siti denominati “casinèa” (calcinaia)-ancora ben leggibili troviamo testimonianze della presenza
di antiche fornaci da calce.
La Carbonaia
L’uso del carbone di legna si limitava, nelle abitudini della nostra comunità, alla alimentazione di
fornelli e bracieri da trasportare nei locali diversi da quello della cucina – principalmente le camere
da letto – per il loro temporaneo riscaldamento, mentre il combustibile di base era costituito
universalmente dal legno.
Ciononostante la produzione del carbone appare tra le attività comunitarie già dal periodo
medievale, dove troviamo attestata nelle boscaglie la presenza di carbonaie –“ e carbunee” –
fabbricate e gestite dai – forse improvvisati - carbonai – “ i carbunin”.
L’attività era giustificata dal fatto che essa rappresentava una fonte di reddito, resa possibile da
una richiesta del prodotto sul mercato rivierasco e cittadino, che consentiva di monetizzare –
operazione sempre difficilissima al tempo – una attività legata al mondo agrario.
La carbonaia veniva realizzata all’interno dell’area boscata individuata come più idonea e di
possibile intervento verificandone la possibilità sulla base degli Statuti Rurali, prima, o delle Leggi
Forestali, poi (ricordiamo che i capitoli degli statuti rurali della nostra comunità prevedevano
severe norme di salvaguardia per gran parte dei boschi,proibendo esplicitamente la preparazione
del carbone).
A “ cottura” avvenuta - operazione che richiedeva mediamente una settimana - il prodotto veniva
trasportato fino alla vicina borgata, raccolto nei sacchi o direttamente legato a fasci, a dorso di
mulo.
Da qui esso prendeva la via della Riviera, trasportato sempre a dorso di mulo nei tempi in cui la
strada non era ancora carreggiabile e caricato sui carri poi, fino alla piazza di Sestri Levante, da
dove proseguiva in gran parte verso la città via mare, a bordo dei “ Leudi” o altre imbarcazioni da
trasporto.©.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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AREA 2 - L’oro rosso: il rame, le miniere, le attività produttive artigianali ed
industriali
2.1 Introduzione alla metallurgia
L’origine della metallurgia è molto semplice. Oggetti strani, che luccicano, atti alla manipolazione,
per qualche ragione recondita piacciono agli umani. Adornarsi è un’altra caratteristica
spiccatamente umana, particolarmente della nostra specie (Sapiens). Ci sono dei motivi:
l’adornamento è un linguaggio, comunica situazioni personali, appartenenza ad un gruppo, senza
profferir parola.
Rame nativo, ferro nativo, oro erano impiegati per confezionare ornamenti dagli abitanti dei villaggi
agricoli dell’Anatolia, dell’Iraq e dell’Iran nel VI millennio a.C.
Ben presto l’incremento demografico rese insufficiente le risorse di metallo nativo, perciò fu
necessario inventare la metallurgia, attingendo alle conoscenze pirotecniche già messe a punto
per produrre le belle e valide ceramiche neolitiche. Ci si rivolse al rosso rame, che fonde attorno ai
1.000 gradi.
La necropoli di Varna, in Bulgaria, è strabiliante per quantità di gioielli d’oro offerti nei corredi della
seconda metà del V millennio a.C. (4600 – 4200 a.C.)
Le miniere di minerale di rame apprestate sul finire del V inizio IV millennio a.C. (Rudnik Romania,
Rudna Glava in Serbia) dimostrano che in quel periodo nei Balcani c’era grande richiesta di oggetti
di rame, ornamenti, ma anche oggetti pratici, quali armatura per accette e lame per coltelli, rasoi,
alabarde.
Ridurre minerale di rame in rame non è impresa facile. Superare i 1.000 gradi nelle fornace
richiede ossigeno, ma in presenza di ossigeno la gocciolina di rame appena formata si ossida. E’
necessaria molta abilità nel gestire i rapporti fra temperature e atmosfera del punto di riduzione del
minerale per ottenere rame, abilità che i fabbri del IV millennio avevano acquisito per via empirica,
provando e riprovando.
2.2 Archeologia di miniere, cave e atelier del comprensorio
In nessun’altro territorio in Italia, l’archeologia ha portato alla luce una così elevata concentrazione
di miniere, cave, atelier legate all’estrazione di minerali e rocce, come l’appennino del Tigullio
orientale.
Questo si deve a 2 principali fattori:
1) la geologia estremamente complessa ha determinato la formazione entro brevi distanze di
giacimenti minerari e rocce di diverse qualità e caratteristiche, in condizioni da risultare
accessibili alle tecnologie preistoriche.
2) la conformazione montuosa di questo territorio, che in questo caso si rivela determinante,
perché con l’introduzione della pastorizia, ovvero con l’introduzione delle “dispense
viaggianti” (così definite da Juliet Clatton Brock), si rese disponibile la tecnologia a svolgere
attività lavorative in montagna.
Del IV millennio a.C. conosciamo reperti provenienti soprattutto da contesti funerari: questi oggetti
ci informano che i gruppi umani dell’Europa occidentale hanno iniziato ad usare oggetti di rame
sullo stimolo del vicino Oriente. Di questi oggetti ne sono giunti pochi perché il rame era prezioso e
veniva spesso riutilizzato (per questo motivo si conserva soprattutto nelle tombe).
Ancora meno informazioni abbiamo sull’approvvigionamento della materia prima; miniere dell’inizio
del IV millennio a.C. si conoscono in Serbia (Rudna Glava) e Rudnik (Serbia) e più recenti (III
millennio a.C.) in Francia e nelle isole britanniche (II millennio a.C.)
Alcune di queste miniere sono state lungamente indagate dagli archeologi, nonostante le poche
tracce rimaste in superficie, assai utili per capire la dinamica delle attività svolte, a causa del
perdurare delle coltivazioni in età romana e moderna. .
In questo quadro europeo Monte Loreto riveste carattere di eccezionalità per 4 motivi:
1) insieme a Libiola è la più antica miniera finora rinvenuta in Europa occidentale, risalendo
alla prima metà del IV millennio a.C.;
2) lo spostamento delle successive coltivazioni ha permesso “miracolosamente” la
conservazione dei resti relativi al trattamento del minerale post-estrazione. L’archeologia a
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Monte Loreto ha la possibilità di studiare le “pratiche”, i modi di operare dei minatori
preistorici di valutare la quantità della produzione.
3) Arturo Issel, padre della preistoria ligure, visitò Monte Loreto negli ann’70 dell’ 800 e vide
che i minatori si accorgevano che in alcuni casi le vene di minerale erano già state sfruttate
fino alla profondità di 20 – 20 m. Nei detriti si rinvenivano strumenti preistorici, segno che la
tecnologia di quell’epoca era pur riuscita a raggiungere notevoli profondità.
4) Monte Loreto è stata una miniera d’oro in epoca moderna. Anche nella preistoria? La
galleria aurifera del XIX secolo, la Marsala, ci direbbe di si: alcuni cunicoli furono trovati dai
minatori del secolo scorso, già svuotati, segno di precedenti coltivazioni
Anche a Libiola, l’uomo d’affari e imprenditore minerario inglese F.Y.Brown si accorse che in
alcuni cunicoli già svuotati in antico, i minatori rivenivano strumenti di minatori preistorici.
L’unico oggetto non andato disperso e disponibile per l’esposizione, è un attrezzo di legno di
quercia, uno dei pochissimi manufatti di legno rinvenuti nelle miniere preistoriche di tutto il
mondo e il più antico di tutti (3500 a.C.), in buono stato di conservazione perché mineralizzato.
Si tratta di un manico probabilmente per un’ascia di rame, molto simile a quella posseduta da
Oetzi.
Valle Lagorara è la testimonianza materiale immediatamente percepibile di un fenomeno storico:
l’aumento demografico alla fine del neolitico, conseguente agli sviluppi della gestione delle risorse
animali (pastorizia, alpeggio).
L’aumento della popolazione determinò un maggior fabbisogno di materia prima silicea che si
tradusse nell’apertura di vere e proprie miniere, che andavano a cercare la selce in profondità.
In Valle Lagorara, ci troviamo di fronte ad un imponente affioramento di diaspro rosso. Qui le
tracce di estrazione del IV e del III millennio a.C., impronte in negativo dei colpi inferti con mazzuoli
di pietra per staccare i blocchi di materia prima, sono conservate come se l’estrazione fosse
cessata pochi anni or sono.
Valle Lagorara ha offerto un’importante occasione per conoscere i saperi litotecnici del IV – III
millennio a.C. I mazzuoli sono di diorite, dolerite, ferrogabbro, proprio le rocce che la moderna
geologia indicherebbe oggi per svolgere quel lavoro senza le tecniche moderne. Inoltre i ciottoli da
usare come mazzuoli sono stati prelevati dalle “brecce del Monte Capra” in giacitura primaria,
mentre non risultano utilizzati i ciottoli della stessa litologia rinvenibili nel greto del sottostante
ruscello, dove l’esposizione agli agenti atmosferici e gli stress meccanici del trasporto torrentizio ne
hanno verosimilmente ridotto le qualità meccaniche. I nostri cavatori avevano dunque elaborato
per via empirica una profonda conoscenza delle qualità delle rocce, pari a quella di un ottimo
petrografo odierno (che dispone del microscopio…..)
A breve distanza da Valle Lagorara si trova l’affioramento di Boschi di Liciorno, dove,
analogamente a Valle Lagorara, anche se su scala dimensionale decisamente più ridotta, è stata
riconosciutà un’attività estrattiva risalente all’Età del Rame.
Altro significativo esempio di lavorazione della pietra sono gli atelier di steatite, roccia che ben si
prestava al confezionamento di oggetti di ornamento.
Il maggior atelier è stato rinvenuto alla Pianaccia di Suvero (Rocchetta di Vara, SP), dove la
steatite è stata utilizzata ad imitazione di monili in ambra (steatite= ambra dei poveri). Un più
semplice atelier è stato individuato a Valle Lagorara ed è disponibile per l’esposizione.
2.2.1 Dossier Area 2 scheda sito Monte Loreto
Le preziose e puntuali informazioni che Arturo Issel ci ha trasmesso nei suoi scritti permettono di
identificare un sito archeo-minerario di straordinaria importanza: il sito di Monte Loreto.
Lo scienziato nel suo volume Liguria geologica e preistorica segnalava che “A Monte Loreto la
parte superficiale di parecchi filoni, tra i più ricchi, fu anticamente usufruttata per mezzo di trincee
verticali, profonde 20 o 30 metri e larghe quanto basta perché vi fosse compresa l’intera
incassatura del filone. Ove sussistano siffatti scavi, il minerale più ricco e compatto fu asportato,
tranne che in alcuni punti in cui la roccia è assai dura e tenace…”.
Durante ricognizioni di superficie effettuate nel 1988 sono state rintracciate alcune fenditure che
ben corrispondevano alla descrizione di Issel. A suggerire l’esistenza del minerale (asportato in
antico), la presenza di carbonati di rame sulle pareti interne di queste trincee.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Il filone di minerale che era localizzato nei contatti fra le brecce serpentinitiche e i basalti, fu
sfruttato fino al 1920 con tecniche estrattive a galleria che ne seguivano la vena.
Le campagne di scavo, condotte dal 1996 al 2006, a cura della Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Liguria e del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Nottingham, con la
collaborazione degli speleologi del Centro di Studi Sotterranei di Genova, si sono concentrate sul
versante orientale della collina di Monte Loreto, benchè numerose siano le tracce di estrazione
mineraria, anche preistoriche, su tutta la collina.
Nell’area situata poco al di sotto della sommità sono state individuate due distinte fasi di attività: la
più recente, indagata nel 1998 a cura dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, è caratterizzata da
discariche, muretti a secco e strutture di combustione, a testimonianza di una prima fase di
lavorazione e trasformazione del minerale. La presenza di scorie inoltre suggerisce attività
metallurgiche. I materiali rinvenuti (ceramica comune grezza e depurata, frammenti di anfore di
provenienza mediterranea, pietra ollare) permettono di datare questa fase al VI-VII secolo. Ad
oggi, in attesa che ulteriori ricerche facciano luce su questa fase di frequentazione, si ipotizza che
questi resti di strutture metallurgiche siano da correlarsi all’utilizzazione in epoca bizantina, del
minerale di ferro del cappellaccio abbandonato dai preistorici
La fase tardo antica sigilla il deposito sottostante, più antico, risalente all’Età del Rame, come
attestato da alcune datazioni radiocarboniche, che lo collocano fra la metà del IV ed il III millennio
a.C.
Lo scavo ha messo in luce alcune strutture, tra cui un pozzo (il cui piano d’uso è stato datato al
3645 e 3355 a.C.) per l’estrazione di una vena esauritasi velocemente, una trincea, frutto
probabilmente dell’estrazione di una mineralizzazione diffusa ed un’area, costituita da
numerosissimi episodi di discarica, riconoscibili gli uni dagli altri per l’alternanza di livelli con
materiali di diverse dimensioni. Livelli formati da frammenti di roccia incassante, anche di diversi
centimetri, in cui sono presenti mazzuoli litici molto usurati, si alternano a livelli costituiti da ghiaini
più o meno fini. Nella stratigrafia si possono osservare piani orizzontali, molto compatti per la
presenza di minerale (visibile nelle sezioni sottili) generati dall’arricchimento a secco del minerale
per sminuzzatura. Su questi piani sono impostate piccole strutture di combustione, muretti e buche
di palo. Ai piedi della collina sono state indagate alcune trincee, che Arturo Issel aveva già
osservato essere state ricolmate in antico fino a 20-30 metri di profondità.
Lo scavo di una fenditura, portato avanti fino a 5 metri, ha messo in luce mazzuoli litici utilizzati per
l’estrazione del minerale, frammenti ceramici e livelli estremamente ricchi di carboni.
Il riempimento di un’altra trincea, intercettato da una galleria moderna, mostra diversi e successivi
scarichi di materiale di risulta dell’estrazione. Evidenti nella stratigrafia, un mazzuolo ed un piano di
calpestio con carboni, la cui datazione radiocarbonica inserisce nell’Età del Rame. Campioni di
carboni provenienti da altre trincee hanno fornito datazioni analoghe.
Alcuni incavi nella roccia incassante presenti all’interno di una fenditura, potrebbero essere
interpretati quali alloggiamenti per impalcature. Nel corso delle ricerche sono stati rinvenuti quasi
un migliaio di mazzuoli, numerosi sono quelli in basalto, altri in dolerite ferro-gabbro ed arenaria.
Quasi tutti presentano una solcatura mediana o sono provvisti di tacche laterali per l’immanicatura.
Come avveniva il processo estrattivo a Monte Loreto?
I minatori preistorici, individuata la vena da tracce di mineralizzazione evidenti in superficie,
seguivano il filone demolendo la roccia incassante in cui questo era contenuto, aiutandosi con i
tenaci e compatti mazzuoli, che venivano raccolti sotto forma di blocchi nel greto dei vicini torrenti.
Il minerale veniva sminuzzato, setacciato e probabilmente anche arrostito a basse temperature.
Le caratteristiche delle pareti interne delle trincee, unitamente alla presenza di livelli ricchi di
carboni di legna nei riempimenti indicano l’utilizzo del fuoco nella fase di demolizione della roccia
incassante: probabilmente fuochi vivaci venivano accesi vicino alla roccia da demolire allo scopo di
renderla meno tenace. I fuochi venivano prodotti con legno di corbezzolo e di lantana (tipi di legno
ad alto potere calorifico). Una volta svuotate, le fenditure venivano riempite con materiali di scarto
dell’estrazione stessa: roccia incassante e ganga, questo probabilmente anche allo scopo di
rendere stabili le pareti.
2.2.2 Dossier Area 2 scheda sito Libiola
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Fra la seconda metà del secolo XIX e gli anni ’60 del XX, la miniera di Libiola fu sfruttata a livello
industriale, fatto che ha contribuito alla distruzione di una parte delle tracce di estrazione più
antiche; per un certo periodo, a cavallo fra il XIX e il XX, venne rilevata dalla inglese “Libiola Mining
Company”. Da uno scritto del 1876, lasciatoci dal direttore della miniera Fredric Y. Brown, si
apprende che “nelle vicinanze del Pozzo Brown”, un ampio pozzo scavato verticalmente nel corpo
minerario, si “scoprirono li avanzi di lavori importanti, di un’epoca anteriore all’uso del ferro”.
L’insigne studioso Arturo Issel visitò la miniera e nel 1879 sulla Rassegna Settimanale, scrisse
che “….Più di una volta avvenne che gli odierni minatori s’imbattessero in sotterranei praticati e
ritrovassero perfino gli stromenti che questi avevano adoperato nei loro scavi. Siffatti strumenti
sono di legno o di pietra...”
Nel 1892 Issel pubblicò i disegni di un mazzuolo litico e di una pala; dei numerosi utensili che
Brown e Issel recuperarono, è giunto fino a noi solo un manico di piccone in quercia, molto simile a
quello dell’ascia del Similaun; forse anche l’ascia fissata al manico di Libiola era di rame, anche se
non si può escludere che si trattasse di un picconcino di diaspro o di corno di cervo.
Due datazioni al radiocarbonio, effettuate nel 1985, hanno confermato l’antichità del reperto,
inserendolo in una fase iniziale dell’Età del Rame, fra 3490 e 3120 a.C.
Le fonti scritte riportano notizie di coltivazioni portate avanti anche in periodi più recenti.
G.A. Magini nella sua “Statistica” del 1610, trattando “di miniere che si trovano nel dominio della
Repubblica di Genova “ segnala che “A Sestri ve ne sono parimenti diverse e particolarmente una
di rame e vitriolo in luoco detto Ligiola…” .
2.2.3 Dossier Area 2 scheda sito Valle Lagorara
Valle Lagorara presenta un potente affioramento di diaspro situato sul versante occidentale del
Monte Scogliera, a 750 metri slm. Il sito è stato scoperto nel 1987 da Sergio Nicora ed è stato
oggetto di indagini archeologiche multidisciplinari, a cura della Soprintendenza Archeologica della
Liguria, fino al 1995. L'affioramento di diaspro emerge per oltre 200 metri ed è costituito da una
sequenza continua di migliaia di livelli stratificati, disposti quasi verticalmente, sedimentatisi gli uni
sugli altri. I livelli di cava sono ben riconoscibili e presentano fitte e continue fratture concoidi
generate da martellature inferte con percussori litici. L’attività estrattiva ha prodotto alcune ampie
nicchie emisferiche larghe anche alcuni metri, andando a modificare il profilo del versante. Alla
base delle pareti di cava sono localizzati estesi conoidi detritici, costituiti per lo più dai residui
dell’estrazione e di prima sommaria sbozzatura dei blocchi di diaspro estratti.
Le liste e le schegge di diaspro, estratte dalla parete, venivano poi ulteriormente lavorate nell'area
di cava e nei ripari sotto roccia ubicati al di là del torrente, sul versante orientale della valle. Gli
studi hanno messo in luce una catena operativa quasi standardizzata, che partiva con la
realizzazione di preforme sbozzate e giungeva al confezionamento di “ogive” caratterizzate da un
profilo ovalare, talvolta appuntito, da una sezione biconvessa e da un ritocco quasi sempre
coprente e bifacciale. Le ogive dovevano essere poi trasformate in punte di freccia, pugnali e
picchi, ma questa trasformazione è scarsamente documentata nelle officine dei ripari sotto roccia,
poiché doveva avvenire in altre sedi, principalmente nei siti di abitato.
La grande quantità di manufatti riferibili a preforme a ritocco piatto sommario, quasi esclusive se
paragonate agli altri tipi di elementi ritoccati, evidenzia come queste fossero il prodotto più
importante dell’attività di scheggiatura svolta in Valle Lagorara.
A Valle Lagorara, presso i ripari, era attivo inoltre un piccolo atelier per la lavorazione della steatite,
sono stati qui ritrovati numerosi vaghi di collana, perline e pendagli generalmente di forma
trapezoidale. Lo studio dei manufatti ha consentito di ricostruire il processo di lavorazione e la
tipologia degli ornamenti prodotti.
All’interno di uno dei ripari sotto roccia (riparo Est) sono stati rinvenuti due frammenti di scorie di
riduzione dei minerali di rame che testimoniano pratiche metallurgiche in loco risalenti all’inizio
dell’Età del Rame.
Le datazioni radiocarboniche attestano che l’attività di estrazione del diaspro si distribuisce
soprattutto nel corso dell’Età del Rame fra 4500 ed il 4000 da oggi.
2.2.4 Dossier Area 2 scheda sito Boschi di Liciorno
In località Liciorno, a 850 metri slm, sul versante settentrionale di Monte Zenone, è stata scoperta
nel 1988 una cava di diaspro; questa, di dimensioni ridotte rispetto a Valle Lagorara, è stata
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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oggetto di indagini di superficie. Come a Valle Lagorara è stata individuata un’area di estrazione in
corrispondenza dell’affioramento di diaspro, ed un’area di officina dove la materia prima estratta
veniva trasformata in manufatti. Il diaspro presente nell’affioramento è di qualità inferiore rispetto a
quello di Valle Lagorara, a causa del basso contenuto di silice. Le aree dell’affioramento che
presentano scheggiature concoidi ben riconoscibili sono poche, ma gli accumuli di schegge e
debris localizzati presso la cava sono consistenti. I manufatti rinvenuti sono costituiti da bifacciali a
ritocco piatto sommario: tredici sono stati raccolti nell’area dell’officina, uno solo presso l’area di
cava.
2.3 Miniere minatori nelle fonti storiche
2.3.1 L’attività estrattiva: Libiola in età storica
L’attività di estrazione mineraria, e soprattutto di rame, rappresenta una costante nella storia del
territorio. Le prime notazioni disponibili rispetto all’attività in epoca storica partono da
un’indicazione documentaria del 1479, per quanto non direttamente collegata a Libiola: Damiano
Spinola ottiene una concessione per lo sfruttamento delle vene metallifere di Sestri; una fonte
orale riporta l’esistenza e la leggibilità di strutture estrattive tardo medievali e poi secentesche a
Libiola, poi distrutte dalle coltivazioni contemporanee a cielo aperto.
Ma occorre attendere il 1610 e l’indicazione della Statistica del Magini per ritrovare un riferimento
diretto all’attività estrattiva [“(…)di miniere che si trovano nel dominio della Repubblica di Genova”,
segnala che “a Sestri ve ne sono parimenti diverse, e particolarmente una di rame e vitriolo in
luoco detto Ligiola…” - cfr Allegati, Descrizioni Antiche]; abbiamo poi una fonte secentesca
riportata dal Ferretto a proposito di un impianto per la produzione di vetriolo esistente a Libiola nel
1613. Quindi, le fonti tacciono fino all’Ottocento.
Una suggestione tanto credibile quanto, per il momento, non documentata metterebbe in relazione
l’estrazione del rame anche con la famiglia Durazzo, che a Genova aveva fra le sue attività la
gestione della Zecca. Un altro elemento di grande suggestione riguarda la presenza del toponimo
Domus Ferrariorum poi Cà di Ferrè, già nel 1467, proprio nella zona dove poi sorgerà
l’insediamento metallurgico della FIT.
La vicenda produttiva ottocentesca inizia attorno al 1856, assumendo carattere industriale dal
1859; per giungere alla fase a gestione inglese, a partire dal 1865 fino al 1934, quando la
produzione divenne realmente significativa.
Ulteriori informazioni ed immagini sono reperibili nelle fonti edite (Traversaro Lavaggi 1994,
Antonini 1998, P. Bisso Lavaggi 2000; Gori 2009); ancora negli anni Sessanta, quando si avvia alla
conclusione dell’attività, la maggior parte degli uomini delle “ville” vicine lavora in miniera.
Per i dati di dettaglio si rimanda alla relazione “Il sito minerario di Libiola: notizie storiche” presente
fra gli allegati cartacei.
• Materiali a disposizione
Allegati Cartacei > Materiali > Il sito minerario di Libiola
Allegato digitale > Materiali > Materiali industrializzazione H 4
2.3.2 Lo sfruttamento minerario a Masso in età storica
Il percorso della sede museale di Masso si immagina dedicato principalmente all’archeologia
mineraria ed alla storia delle attività estrattive nell’alta Val Petronio; accanto ai contenuti di
carattere archeologico, è quindi possibile proseguire il percorso con riferimenti all’estrazione del
rame in epoca post-medievale, fino alla nascita delle miniere moderne (si rammenta che Magini,
nella sua Statistica del 1610, che rappresenta una fonte documentaria anche per Libiola a Sestri,
cita una miniera di rame “ritrovata ultimamente” e stabilente attiva a Masso).
Fausto Figone - L’attività mineraria a Monte Loreto nel sec. XIX (da. Il Comune di Castiglione – Fra
storia e memoria ©, in stampa )
La storia dello sfruttamento minerario di Monte Loreto in età industriale – e più specificamente a partire dalla
metà dell’ ‘800 – prende avvio da una memoria, rinvenuta in un archivio privato, la quale riporta come
nell’anno 1851 “ una trina società di investigatori dei frutti della natura, tali Luigi Masi, romano, Carlo
Brocchi, ligure occidentale e Paolo Vannoni, toscano, passando per quei luoghi e gettando uno sguardo
indagatore su quei colli, giudicarono di poter fare una fortuna”.. Continua il cronista. ..” di qui presero avvio le
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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operazioni mineralogiche, non solo in località Acquafresca (sic!) ma in tutti i punti di Monte Loreto (…..)
lavorando in vasta forza centinaia di minatori e operai, accorsi dalla Toscana, Piemonte, dalla Lombardia e
da questi dintorni, e resero queste miniere rinomate e ricche per l’abbondanza del minerale estratto dalle
medesime”. La memoria ci riporta (e i riscontri catastali dell’epoca lo confermano) che la concessione per lo
sfruttamento venne venduta, nel 1859, a Levi Felice, di Torino, associato a Vecchi Candido, toscano “ e
durante questa amministrazione fu scoperta una miniera d’oro più pregevole assai di quello della California,
del quale ne usufruttarono altri indebitamente ed altri appropriandoselo furtivamente….”
Successivamente- nel 1872 - questi vendettero diritti di concessione e strutture alla Monte Loreto Gold and
Copper Mining Company Limited, con sede in Londra, per il prezzo di 250.000 Lire. La concessione ed i titoli
saranno poi acquistati dall’imprenditore locale Lorenzo Gardella, allacciandosi così alle note vicende
successive, fino alla chiusura dell’attività mineraria a Monte Loreto avvenuta negli anni immediatamente
successivi alla fine della prima guerra mondiale. L’attività mineraria interessò direttamente l’economia locale,
rappresentando una ambita fonte di reddito monetizzato, affiancandosi, per oltre mezzo secolo, all’attività
agricola tradizionale, alla quale sottrasse, d’altra parte, forza lavoro e configurandosi quindi – assieme al
processo emigratorio- come elemento condizionante dello sviluppo agricolo.
Occorrerà presentare anche la geologia e mineralogia di Monte Loreto, con esposizione di litotipi e
dei minerali: i minerali utili estratti per il rame erano Calcopirite e Bornite, ma la zona offre una
interessante presenza di altri minerali, che verranno presentati attraverso l’esposizione, completa o
in esemplificazione, di una collezione mineralogica.
L’attenzione del percorso espositivo si concentra soprattutto sul rame, ma non va dimenticato che
sul finire dell’Ottocento a Masso era attiva anche una miniera d’oro di una certa rilevanza, come
dimostra il ritrovamento di una grande pepita d’oro.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali Materiali Allegato E
2.4 I grandi insediamenti industriali
2.4.1 Sestri città operaia e il lavoro
Sestri Levante è tuttora percepita dalla gran parte dei suoi abitanti come una città operaia ed
industriale; ed un elemento forte come la presenza di grandi stabilimenti produttivi, per quanto in
parte sfumatasi nel tempo, rappresenta una componente fondamentale nella definizione
dell’identità stessa di Sestri Levante.
Antonini (1998) presenta una utile sintesi su quantità e collocazione geografica dei principali
stabilimenti produttivi a Sestri Levante, in cui viene restituita una fotografia dell’esistente all’inizio
della seconda guerra mondiale ed una indicazione di massima sulle prime fasi
dell’industrializzazione della città.
Dalla vicenda del cantiere di Riva alla FIT, allo stabilimento di produzione del tannino della Ledoga,
alla OLE, alla Pisca con la sua produzione di conserve alimentari, alle altre realtà più piccole, fra
quelle identificate da Antonini e quelle citate nei documenti (come la Fabbrica di colori minerali San
Giorgio a Riva, o la Società Cotonificio Sestrese documentati negli archivi del Comune, o la
Fabbrica di Reti ed Ami da Pesca F.lli Stagnaro), emerge l’immagine di una presenza ricca e
diversificata, che davvero segna il paesaggio e la vita economica e sociale della città.
Fra i materiali disponibili, esemplificati in allegato in formato digitale o cartaceo, segnaliamo i
documenti di provenienza sindacale reperiti presso il Centro Ligure di Storia Sociale, che conserva
l’Archivio Storico della Camera del Lavoro di Genova (fra cui un estratto del censimento sulle
società operaie di mutuo soccorso; documentazione sull’attacco fascista alla Camera del Lavoro di
Riva del 1922; la corrispondenza fra Camera del Lavoro genovese e sede di Sestri Levante a
proposito della creazione di una sezione staccata a Riva Trigoso, nel 1945 – 1946; diversi articoli
di giornale, dedicati soprattutto alle vicende sindacali negli anni ‘70; diversi numeri di periodici di
partito, come “Il Pungolo” del PCI e “La Riscossa” della DC; documenti relativi ad assemblee
sindacali di fabbrica e testi di accordi sindacali; interessanti documenti sulla contrattazione presso i
cantieri e sulla definizione, a livello di Fiom nazionale, dei “mestieri” della cantieristica; oltre a dati
statistici di varia natura).
Per quanto riguarda la Fit, dopo che la distruzione dell’archivio avvenuta in occasione della
dismissione della fabbrica ci ha privato di una fonte di informazioni ordinata ed organica, notizie
frammentarie e disomogenee sono state identificate in contesti diversi.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Particolarmente interessante la figura di Lorenzo Gardella, controverso fondatore nel 1906 della
Fabbrica Nazionale Tubi (poi FIT), oltre che della Società Ligure Ramifera, cui si deve
l’elettrificazione di Sestri; su iniziativa di Gardella viene creato il cosiddetto Molo Fit del porto, ed è
anche grazie alla disponibilità di elettricità che il gruppo Piaggio sceglierà poi Riva per
l’insediamento del cantiere. Per quanto riguarda la ricostruzione della storia dello stabilimento, si
rimanda alla scheda di approfondimento dedicata. Alcune pubblicazioni aziendali relative agli anni
più recenti della fabbrica e materiale iconografico di varia provenienza, prezioso per quanto non
abbondantissimo, è stato conservato da privati, ed in parte utilizzato per la realizzazione di una
piccola mostra iconografica di cui sono state reperite, e si allegano, riproduzioni a bassa
definizione. Presso l’archivio dell’Ufficio Urbanistica del Comune, nella sede di Viale Dante, sono
documentate tutte le trasformazioni dello stabilimento a partire dal 1942 circa.
Sempre per quanto riguarda la FIT intesa come organismo urbanistico, si richiama il reperimento,
presso il fondo Bellati, di alcune ipotesi progettuali relative alla costruzione di un edificio di grande
impatto visivo per ospitare parte delle strutture della fabbrica, evidentemente mai giunte a
realizzazione (i disegni, di grande formato, non sono attualmente disponibili in copia digitale, che
potrà eventualmente essere richiesta alla fondazione Wolfson che li detiene).
Le vicende conclusive della fabbrica sono narrate nelle memorie del sindacalista Lagostena
(2000), e documentate presso il Centro Ligure di Storia Sociale da verbali di assemblee, volantini e
raccolta di articoli di giornale.
• Materiali a disposizione
Allegati Cartacei > Materiali > Centro Ligure Storia Sociale
Allegati Digitali > Approfondimenti > XII. Storia Fit
Allegati Digitali > Materiali > Allegato H Materiali Industrializzazione
Allegati Digitali > Materiali > Iconografia C 10
Allegati Digitali > Materiali > Fonti archivistiche inedite Sestri L. D 1
NOTA: Il tema della cantieristica, ed in particolare riferimento Fincantieri, può trovare
collocazione sia in questa sezione che nella successiva, dedicata ai Percorsi di terra e di mare,
cui si rimanda per la relativa scheda tematica
2.4.2 La Resistenza a Sestri Levante
L’esperienza della Resistenza rappresenta un momento di primaria rilevanza nella storia della città
e del territorio. Il contributo dei sestresi alla lotta di Liberazione si sviluppa soprattutto nell’ambito
della Brigata Coduri, nata nel settembre 1943 per iniziativa di Giovanni Sanguineti “Bocci” ed
Eraldo Fico “Virgola”; la Coduri inizialmente è attiva attorno al Capenardo, per poi spostarsi verso
Iscioli, in Val Graveglia. Trae il suo nome dal partigiano Giuseppe Coduri “Scioa”, caduto in
combattimento contro gli Alpini della Monterosa nell’agosto 1944.
La Brigata, guidata da “Virgola”, si attesta in Val Graveglia, Val Petronio e lungo la riviera del
Tigullio; subisce gravi perdite in combattimento nel dicembre 1944, ed in un rastrellamento del
gennaio successivo, ma ai primi di marzo è riorganizzata nei suoi 1200 uomini, suddivisi in tre
formazioni: la “Longhi” comandata da Paolo Castagnino “Saetta”, la “Dall’Orso” comandata da
Dino Massucco “Tigre” e la “Zelasco”, comandata da Aldo Vallerio “Riccio”; la Dall’Orso si occuperà
della liberazione dell’alta Val Petronio, mentre a Sestri opererà la Zelasco.
Dipende organizzativamente dalla divisione Cichero, protagonista fra l’altro della straordinaria
vicenda della “Repubblica di Torriglia”, il territorio liberato ed autogestito fra le valli Trebbia, Aveto e
Borbera. Informazioni di dettaglio e bibliografia sono reperibili nel Dizionario della resistenza in
Liguria (Genova 2008)
La memoria ed i valori della Resistenza sono mantenuti vivi dall’attività dell’ANPI, che ha sede
proprio in Palazzo Fascie con un proprio spazio di attività e presentazione di materiali e documenti;
il percorso espositivo del Sistema Museale potrà richiamarli attraverso le immagini ed i documenti
esemplificati in allegato e gentilmente forniti dall’ANPI stessa.
• Materiali a disposizione
Allegati Digitali > Materiali > Materiali Industrializzazione H 5
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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AREA 3 - Percorsi di terra e di mare
3.1 Il diaspro rosso: un lusso ai tempi di Neanderthal
La presenza di industria litica musteriana attesta a Pian del Lago e sul sito di Monte Bianco la
presenza dell’uomo di Neanderthal.
Si tratta di siti all’aperto interpetabili come officine litiche, che sfruttavano i vicini affioramenti di
diaspro rosso e accampamenti, legati probabilmente ad attività di caccia (vicinanza con i “passi”).
L’uomo di Neanderthal è “europeo”, perché in Europa si è evoluto per oltre 500.000 anni. E’ tuttora
aperto il dibattito se il lungo “isolamento europeo” abbia fatto del Neanderthal una specie
biologicamente separata dall’uomo Sapiens di provenienza africana, arrivato in Europa 40.000
anni fa.
Al di là dell’aspetto biologico, l’archeologia suggerisce che motivi di separatezza fossero anche
comportamentali, ovvero culturali, ad es. risulta che “l’uomo dai capelli rossi” tendesse ad
approvvigionarsi di materie prime in aree ristrette e che gli scambi e i contatti fra gruppi fossero
ridotti, anche perché la densità di popolazione era bassissima (da studi recenti: 3000 individui in
tutta Italia a generazione).
Fa eccezione il diaspro rosso. Nella metropoli neanderthaliana dei Balzi Rossi (Ventimiglia, IM)
quasi tutta la materia prima silicea è locale, ma manufatti di diaspro rosso arrivano dalla Liguria
orientale e forse proprio dai nostri siti.
Le ricerche condotte presse le caverna dei Balzi Rossi a Grimaldi Balzi Rossi (Ventimiglia, IM) uno
dei luoghi più frequentati dall’uomo di Neanderthal, dimostrano che i Neandertaliani
confezionavano la quasi totalità dei loro attrezzi di pietra utilizzando materia prima raccolta entro il
raggio di 5 chilometri. Inoltre, come tutti i Neandertaliani, anche quelli dei Balzi Rossi non usavano
ornamenti, nè alcun oggetto/manufatto di pregio atto ad essere scambiato con altri gruppi.
Nell’insieme di tratta di indicatori di comportamento opportunistico nell’approvvigionamento delle
materia prime, di stanzialità e di scarsa propensione /esercizio di relazioni con altri gruppi.
L’unica eccezione registrata per il Neanderthal è il diaspro rosso. Una piccola percentuale, meno
dell’1% degli strumenti litici neandertaliani rinvenuti ai Balzi Rossi è scheggiata su diaspro rosso,
una materia prima le cui fonti più vicine si trovano nel Tigullio e sul Monte Lama presso Bardi
(appennino parmense-piacentino).
E’ stata conteggiata la percentuale di strumenti litici scheggiati su diaspro rosso nei siti
neandertaliani del ponente ligure, ed è stata riscontrata una piccola quantità di diaspro rosso che è
attestata in quasi tutti i siti, con percentuali molto basse, tuttavia decrescenti man mano ci si
allontana da Roccagrande/Tregin/Pian del Lago (dove sono quasi il 100%), individuabili pertanto
come zone di approvvigionamento dell’unica materia esotica che Neanderthal sembra apprezzare.
Non essendo nota alcuna evidenza che l’uomo di Neandertal, in alcun luogo da lui frequentato,
usasse il mare, si deve assumere che il diaspro rosso venisse trasportato via terra.
Quando i Balzi Rossi vengono abbandonati dall’uomo di Neanderthal spinto verso ovest, il
Sapiens (con pelle scura e capelli ricci ?) che lo sostituisce, più ancora che per le fattezze fisiche,
è diverso per il comportamento sociale.
Tenendo come riferimento la materia prima, i primi Sapiens del Balzi Rossi 35.000 anni fa,
“maneggiavano”, oltre a nostro diaspro, selce veneta, marchigiana e francese, chiara evidenza di
un’attitudine allo scambio, alla socialità totalmente nuova ed estranea ai Neanderthal.
I Monti Roccagrande e Tregin, nell’immediato entroterra sestrese, sono spettacolari affioramenti di
questa roccia.
I maggiori ritrovamenti di manufatti neanderthaliani sono concentrati attorno a Pian del Lago, sulla
falde del monte Roccagrande e sono compatibili con attività che comprendessero
l’approvvigionamento di materia prima.
A partire da 40.000 anni fa attorno al sito di Pian del lago si è succeduta la presenza dell’Homo
Sapiens, dal Paleolitico superiore, al Neolitico, dall’Età del Rame, all’Età del Ferro,
all’aAtomedioevo, fino ad arrivare agli escursionisti e turisti di oggi.
3.1.1 Dossier Area 3 Scheda sito Monte Bianco
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Il sito denominato anche Monte Bianco I, posto a circa 500 metri slm, è il primo di una serie di siti
individuati nel comprensorio dell’omonimo monte, a seguito di ricognizioni di superficie, effettuate
alla fine degli anni ‘80.
Si tratta di un dosso, degradante a Nord in un ampio terrazzo, adiacente alla rotabile che risale in
località Costa Bianca.
E’ stata rinvenuta una grande quantità di manufatti litici e ceramici sparsi su una superficie molto
ampia, circa 10.000 mq, nel terreno smosso da scavi effettuati a sistemazione dell’area.
I manufatti litici sono per la maggior parte in diaspro rosso, ma non mancano reperti in selce. La
ceramica è di tipo grossolano: oltre a vari e numerosi frammenti di parete sono da segnalare
un’ansa a nastro, un frammento decorato da solcature orizzontali e un frammento di carena.
Dall’analisi dei reperti rinvenuti si possono distinguere diverse fasi di frequentazione: la più antica,
attribuibile al Paleolitico medio, è testimoniata da industria litica musteriana e comprende anche
una grande quantità di scarti di lavorazione e numerosi nuclei in diaspro, traccia di attività di
scheggiatura in loco.
Le fasi più recenti sono testimoniate, oltre che da reperti vascolari, anche dalla presenza di scorie
di fusione di minerali di rame, ad attestare attività metallurgiche probabilmente da mettersi in
relazione con la miniera di Libiola, che dista in linea d’area meno di un chilometro.
3.1.2 Dossier Area 3 Scheda sito Pian del Lago
Pian del Lago si trova a 830 m slm, a 9 km circa dalla costa, sul versante marittimo del Monte
Roccagrande. La torbiera di Pian del Lago è stata oggetto, negli ultimi venti anni, di una notevole
serie di indagini di archeologia ambientale svolte da studiosi dell’Università di Londra,
dell’Università di Genova e della Soprintendenza Archeologica della Liguria.
Le indagini hanno visto lo studio dei microfossili, analisi geoarcheologiche, datazioni
radiocarboniche, scavi archeologici e ricerche di superficie.
Inoltre, uno scavo condotto nel 1994 nel taglio stradale a monte di Pian del Lago, ha individuato
una superficie di erosione, coperta da deposito colluviale, sulla quale sono rinvenuti 219 frammenti
di ceramica appartenenti ad un unico vaso e strumenti e schegge di diaspro attribuibili al periodo
tra il Neolitico Medio e l’Eneolitico.
Già da una decina di anni prima rispetto alle indagini paleoambientali il sito era noto ad alcuni
appassionati e ricercatori locali – O. Baffico, A. Nebiacolombo, S. Nicora – che durante ricerche di
superficie avevano rinvenuto manufatti litici e ceramici.
Dall’ampia conca di Pian del Lago provengono reperti attribuibili al Paleolitico Medio, al Neolitico
Medio e Recente, all'Età del Rame e all'inizio dell'Età del Bronzo.
Le indagini paleoambientali consentono di ricostruire per Pian del Lago le seguenti vicende: i
sedimenti indicano che verso la fine dell’ultima glaciazione il bacino ospitava un piccolo lago, poco
profondo, circondato - secondo i diagrammi pollinici – da pini, abeti e querce. La foresta divenne
poi più densa e attorno al 7500 BC era formata prevalentemente da Abeti bianchi, che
prediligevano i suoli umidi circostanti il laghetto, mentre querce, olmi e tigli erano più numerosi sui
versanti. Sulla superficie del lago, diventato quasi una palude, crescevano piante palustri.
Della frequentazione antropica della zona, attestata dal ritrovamento di manufatti, soprattutto per il
periodo compreso tra il Neolitico e l’Età di Metalli, si trova traccia anche nei diagrammi pollinici
tramite evidenze di pratica del pascolo rappresentati dal declino dell'Abete bianco e del Tiglio, dei
cui germogli sono ghiotte le greggi. L'incremento di spazi aperti è confermato dall'aumento del
nocciolo, e dall'aumento di felci, dei piccoli arbusti e delle erbacee in genere. Tre o più secoli prima
del 5000 BC compaiono i primi pollini di cereali: questi testimoniano la pratica della cerealicoltura
entro un raggio massimo di un chilometro. È anteriore al 5000 BC anche la comparsa di Vitis.
Attorno al 4200 BC, che è l'epoca in cui si afferma in Liguria la Cultura Chassey (Neolitico
Recente) di provenienza francese, diventano più abbondanti e continui i pollini di Olea, probabili
indicatori di forme in via di domesticazione, la cui eventuale coltivazione è comunque da
localizzarsi verso la bassa valle.
Un altro albero coltivato, il Noce, appare nei primi secoli dell'Età del Rame, fra il 3500 ed il 3000
a.C.
Durante l'Età del Bronzo ed i primi secoli dell'Età del Ferro (dal 2000 al 500 a.C. circa), si registra il
ritorno ad un bosco più denso, caratterizzato da lecci e faggi e perciò ben diverso da quello dei
periodo più antichi. La pratica dell’uso intenso del fuoco per controllare la vegetazione è attestato
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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durante la seconda parte dell'Età del Ferro, a partire dal 500 - 400 BC, e continua durante il
periodo romano. Il disboscamento risulta più incisivo, si diffonde la brughiera. Tutte le specie
coltivate registrano incrementi, segno di un’avanzata verso l’alto dei campi coltivati, e incremento
del Noce dal V secolo, dal III sec. invece un aumento dei pollini di Olea e la comparsa del
castagno, sicuramente introdotto dall’uomo.
Una fase di disturbo, caratterizzato da cm 80 - 90 di colluvio, che ha seppellito definitivamente la
torbiera determinandone l'aspetto attuale, si è registrata nel basso Medioevo fra due e quattro
secoli dopo il 1000, a conclusione un ciclo di oltre 10000 anni di sedimentazioni.
3.2 I cacciatori –raccoglitori nomadi
Ebbe grande successo, negli anni ’70, il libro di Tim Ingold Hunters, pastoralism and ranchers. Fra
le altre notizie l’autore riporta un’esperienza fatta presso una comunità di Sumo (Lapponi) che
conduceva un modo di vita consuetudinario. Essi spostavano di tanto in tanto i loro campi in modo
di non allontanarsi troppo da un branco di renne. Un bel giorno, abbisognando di cibo, pelle, ossa
per confezionare strumenti, decisero che era tempo di prelevare una renna dal branco e dopo
breve conciliabolo individuarono esattamente l’animale da abbattere, motivandone le ragioni e
chiamandolo per nome. Erano cacciatori? Inglod propende per il termine ranchers. Certo non
erano cacciatori nella accezione sportiva attuale del termine in occidente, nè in quella diffusa al
cinema e nei fumetti. Queste ultime, in quanto virtuali, è probabile non siano mai esistite così come
vengono rappresentate presso nessuna società umana.
Forse quanto più andiamo indietro nel tempo il rapporto uomo-animale è ben più complesso e
stato stretto di quanto si possa immaginare. Pensiamo ai totem, pensiamo alle leggende
etnografiche, alle pitture preistoriche (Lascaux et) ed alla interpretazione che ne propose ad es.
Leroi Gouran.
A mente quanto sopra, l‘archeologia individua nel pPleolitico medio (Uomo di Neandertal) e molto
di più nel Paleolitico Superiore (homo sapiens) il confezionamento di strumenti atti ad abbattere
piccoli e grandi animali. Ossa rosicchiate e/o scarnificate con coltelli di selce si rinvengono quali
resti di pasto nei focolari abbandonati.
Alla fine del Paleolitico, dopo il 15.000 a.C. compaiono piccole punte (microliti) atte ad armare
arpioni e frecce scagliate con l’arco, che diventano molto comuni nel Mesolitico (10.000 – 7.000
a.C.). Ciò premesso, nell’Appennino ligure le “armature” di frecce sono molto più scarse che
altrove. Si presume che questo possa essere correlato alla scarsità di praterie “naturali” d’altura
dove gli arcieri potevano esercitare la caccia con l’arco. Tale ipotesi non è in realtà molto
convincente. L’insieme degli strumenti di pietra rinvenuti nei siti mesolitici dell’Appennino ligure
denota l’esercizio di una gamma di attività più ampia della sola caccia.
I siti liguri non erano stazioni utilizzate dai cacciatori durante battute di caccia, come per esempio
ampiamente attestato sulle alpi orientali. Bosco delle Lame, a 1.300 metri di quota è il sito
mesolitico italiano che ha restituito il maggior numero di nuclei. Il nucleo è un blocco di materia
prima da cui si staccano i supporti che servono per confezionare gli utensili. Molti nuclei sono un
indice di residenzialità, cioè di un luogo dove un gruppo o comunità trascorre parecchio tempo,
durante il quale confezione una gamma differenziata di utensili di pietra, atti a svolgere le attività
differenziate tipiche di un luogo dove si abita. Bosco delle Lame è stato dunque una sorta di
abitato, ovvero come si dice in termine tecnico un sito residenziale, dove il gruppo di famiglie si
stanziava per un certo periodo di tempo, ripetuto annualmente o comunque ad intervalli di tempo,
verosimilmente in estate considerata la quota. Purtroppo tutti i rinvenimenti di reperti mesolitici
appenninici sono manufatti litici scheggiati raccolti in superficie al di fuori del contesto
deposizionale primario e del contesto bioarcheologico. Mancano pertanto i dati diretti sul rapporto
attività umane – contesto ambientale. Le considerazioni esposte sono forzatamente confinate al
livello di generalizzazioni.
NOTA: alcune delle schede specifiche sui siti archeologici vengono ripetute, perché possono
essere trattate in rapporto a più di una tematica
3.2.1 Dossier Area 1 Scheda sito Ferrada
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Il sito, che si trova sulla sulla sponda sinistra del torrente Lavagna, negli anni ’80, è stato scoperto
nel 1982 da Augusto Nebiacolombo che in occasione dello scavo per lavori edili raccolse alcuni
manufatti in diaspro rosso e in selce.
Le indagini archeologiche portate avanti dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria misero in
luce le tracce di un sito che, per la tipologia dei manufatti, può essere ascrivibile ad una fase antica
del Mesolitico. E’ emerso inoltre che, alla fine della glaciazione, il torrente Lavagna scorreva 12
metri al di sopra del livello attuale, proprio in corrispondenza del sito che è da interpretarsi quale
accampamento di cacciatori mesolitici.
Nel corso delle indagini è stata rinvenuta anche una perlina in steatite a testimonianza di una
frequentazione anche nell’Età del Rame/Bronzo Antico.
Lo scavo ha evidenziato anche la sistemazione fasce degli orti avvenuta nel XVIII-XX secolo.
3.2.2 Dossier Area 3 Scheda sito Areale di Bargone
Nel comprensorio del Bargonasco raccolte di superficie effettuate negli ultimi 30 anni da archeologi
e appassionati locali attestano una frequentazione piuttosto intensa nel corso della Preistoria.
I cacciatori nel Paleolitico Medio e Superiore, percorrevano queste alture alla ricerca di cinghiali,
cervi, orsi ed altri animali selvatici.
Alcune schegge e la punta levallois di diaspro di Case Drina sono le testimonianze evidenti della
presenza di cacciatori neanderthaliani, ad ulteriore conferma dei ritrovamenti di Pian del Lago.
Anche nel Paleolitico superiore, come probabilmente nel Mesolitico questa zona continuò ad
essere frequentata per battute di caccia, da parte di piccoli gruppi che risiedevano a quote più
basse.
3.2.3 Dossier Area 3 Scheda sito Lago di Giacopiane
Sulle sponde del lago di Giacopiane nel corso di ricerche di superficie furono raccolti reperti litici
preistorici a testimonianza di frequentazione durante la preistoria; in occasione dello svuotamento
del lago per la manutenzione della diga è stato condotto un sondaggio stratigrafico di piccole
dimensioni, ancora inedito.
I materiali rinvenuti inquadrano la frequentazione del sito dal Paleolitico superiore al mesolitico.
3.2.4 Dossier Area 3 Scheda sito Passo della Camilla
Sito localizzato a 720 metri di altitudine, nei pressi dell’omonimo passo che unisce la Val Graveglia
alla Valle Sturla.
Le ricerche di superficie hanno qui individuato numerosi manufatti litici in diaspro rosso; l’industria
litica, che comprende oltre 550 manufatti fra cui grattatoi carenati e discoidali, un microbulino,
dorso e troncatura ipermicrolitica, lame e 31 nuclei, è ascrivibile al mesolitico sauveterriano.
A testimonianza di ulteriori frequentazioni, la presenza di una lama a ritocco bilaterale attribuibile al
Neolitico medio-superiore.
Passo della Camilla si trova inoltre in prossimità di affioramenti di diaspro, che dovevano essere
fonte di approvvigionamento per la produzione dei manufatti.
3.2.5 Dossier Area 3 Scheda sito Colmo Rondio
Si tratta di un sito localizzato su un dosso di forma tondeggiante del diametro di circa 250 metri
sulla cui superficie sono stati rinvenuti numerosi manufatti litici in selce e in diaspro: 37 strumenti
fra i quali un bulino, 3 grattatoi, una punta a dorso,un trapezio, lamelle ritoccate, alcuni denticolati,
e 95 manufatti non ritoccati. Si tratta di una stazione all’aperto di epoca mesolitica, forse
accampamento di cacciatori?
3.2.6 Dossier Area 3 Scheda sito Nido del Merlo
Situato ad un centinaio di metri più a valle di Passo della Camilla, è il sito di Nido del Merlo, dove
Augusto Nebiacolombo raccolse numerosi reperti in diaspro rosso, comprendenti 35 strumenti, 32
manufatti interi non ritoccati e 89 frammenti. Sono presenti strumenti ipermicrolitici: troncature, un
triangolo scaleno, un dorso, un micro bulino e un trapezio scaleno, che permette di inquadrare
questa industria in una fase recente del Mesolitico antico.
Si tratta, come tutti i siti appenninici fino ad oggi rinvenuti, di una stazione all’aperto i cui materiali
sono stati portati in superficie da fenomeni erosivi.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Stazione all’aperto mesolitica legata ad attività di caccia (vicinanza del passo?)
3.2.7 Dossier Area 3 Scheda sito Groppo Rosso
Sito di groppo Rosso è localizzato nei pressi dell’omonimo Monte.
Le ricerche di superficie hanno qui individuato numerosi manufatti litici (circa 90) ascrivibili al
Mesolitico Recente
Poco sotto Groppo Rosso è stata rinvenuta una scheggia ritoccata in selce bianca.
Probabilmente si tratta di una stazione all’aperto mesolitica legata ad attività di caccia a quote
medio-alte.
3.2.8 Dossier Area 3 Scheda sito Malga Perlezzi
La Malga Perlezzi si trova poco a circa 1130 metri slm, sopra alla frazione Perlezzi, del comune di
Borzonasca, sul versante Sud del Monte Aiona.
Il sito corrisponde a un'area prativa, tra Colmo Rondio e il Lago di Giacopiane.
In quest'area e lungo la strada che conduce alla Malga sono stati recuperati circa 320 manufatti in
diaspro rosso e selce (bianca), tra cui una ventina di strumenti: 3 grattatoi, 2 troncature, un
frammento di lama a ritocco unilaterale, un triangolo isoscele, diverse lame ritoccate e alcuni
denticolati.
I reperti rinvenuti sono stati datati al Mesolitico recente e l'area, per l'abbondanza di manufatti litici,
può essere interpretata come una stazione di caccia.
3.3 Il ripostiglio di metalli di Loto (X secolo a.C.) Dossier Area 3 scheda sito Loto
Arturo Issel nel suo “Liguria Preistorica” del 1908 ci racconta che intorno alla fine dell’Ottocento fu
rinvenuto, a Loto, un ripostiglio contenente “un puntale di lancia di forma conica, una piastrella
peduncolata a foggia di bottone” e “un pane di rame greggio”, e un’armilla, un braccialetto, che è
stata da Issel riprodotta in un disegno. Il lingotto di rame suggerisce la circolazione di metallo
grezzo, ed è da collegarsi con l’attività mineraria portata avanti a partire dall’Età del Rame nella
zona. Loto si trova nella stessa valle del Gromolo su cui si affaccia, ma sull’opposto versante, il
giacimento di rame di Libiola
Il braccialetto, a nastro carenato, è stato tipologicamente riconosciuto come del “tipo Zerba”
(dall’omonima località in Val Trebbia), e attribuito al X secolo a.C.
Tutti questi reperti, purtroppo, ad oggi risultano dispersi. Il ripostiglio di Loto mette in evidenza che
l’attività di estrazione dei minerali di rame, portata avanti a partire dagli inizi dell’Età del Rame,
perdurò anche nelle fasi dell’Età del Bronzo.
Questo rinvenimento è testimonianza, oltre che di una diffusione del metallo, anche di un’attiva ed
estesa rete di collegamenti commerciali, in quanto la tipologia del braccialetto (armilla a nastro
carenato) è attestata in una vasta area che va dalla Toscana Settentrionale alle Alpi Francesi. Loto
quindi rappresenta il terminale minerario (e marittimo) di un percorso commerciale che poteva fare
capo ai giacimenti metalliferi della Toscana e della Liguria di levante, dove i braccialetti a nastro
carenato, monili probabilmente di prestigio, considerata la loro ampia diffusione nelle regioni
settentrionali, potevano confluire come elementi di scambio.
3.4 La lunga durata del percorso di crinale sul Bracco/ San Nicolao: dal Paleolitico
al Neolitico, all’Età del Rame, all’ospitale medievale Dossier Area 3 scheda sito San
Nicolao
Sul Monte San Nicolao, in prossimità del Passo del Bracco, a 792 metri slm, si trova il sito
dell’ospitale medievale “di passo” di San Nicolao di Pietra Colice.
Il sito è stato oggetto di campagne di scavo archeologico, avviate da Leopoldo Cimaschi tra il 1956
e il 1959, di interventi della Soprintendenza Archeologica della Liguria negli anni ’80 e ’90 e di altre
campagne di scavo tra il 2001 il 2008. Le indagini hanno permesso di approfondire le fasi di
costruzione, di vita e di abbandono definitivo della chiesa e dell’hospitale medievale e di
evidenziare fasi di frequentazione ancora più antiche.
La chiesa, costruita con pietra calcarea non locale e di piccole dimensioni, ha una particolare
planimetria, definita a croce latina commissa o “a tau”, con navata unica e transetto triabsidato.
All’abside di sinistra del transetto si addossa una piccola struttura rettangolare, nella quale sono
state rinvenute ossa pertinenti a una decina di individui, e che è interpretabile come campanile con
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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la funzione di aumentare la “visibilità” e la possibilità di “richiamo” di tutto il complesso. Al di sotto
della struttura del campanile è stato individuato un basamento che può essere interpretato come
struttura di fondazione di un piccolo ambiente a navata unica, absidato, preesistente e quindi più
antico.
Al fianco Sud dell’edificio di culto si addossa un’altra struttura rettangolare che, in base alla
stratigrafia e alla tecnica costruttiva, risulta posteriore alla costruzione della chiesa e dell’ospitale.
Il primo documento che, secondo la maggior parte degli studiosi, testimonierebbe la presenza di
un insediamento religioso risale al 1160, quando viene citata una “Gisle monache de Petra Colexi”.
Mentre le prime attestazioni scritte direttamente riferite all’ospitale di San Nicolao risalgono al XIII
secolo. In base alle fonti scritte e alle testimonianze archeologiche rinvenute durante le diverse
campagne di scavo la costruzione della chiesa e dell’ospedale possono essere inserite nell’ambito
dell’attività politica e dell’evergetismo dei Conti di Lavagna. La crisi della funzione ospitaliera del
complesso è parzialmente documentata nel XV secolo, mentre persiste più a lungo l’uso
dell’edificio di culto, ancora utilizzato come luogo di sepoltura alla fine del XV secolo.
Alle spalle delle absidi della chiesa è invece stata rilevata l’area cimiteriale: le sepolture risultano
tutte entro fossa terragna, e riferite ad almeno quattro fasi di inumazione, comprese in un periodo
tra il XIII e il XV secolo.
Anche lungo i muri perimetrali della chiesa sono state rinvenute inumazioni, così come all’interno
dell’edificio di culto. Nel terreno di riempimento di una delle sepolture, ubicata nell’abside laterale
Sud, è stata rinvenuta una moneta emessa a Pisa nel 1494, importante elemento post-quem per la
datazione delle ultime fasi di utilizzo della chiesa.
L’ospitale risulta costruito con blocchi di pietra di provenienza locale che, a differenza di quelli della
chiesa (sbozzati, squadrati), sono soltanto spaccati e posti in opera con malta di terra. Gli scavi
hanno permesso di delineare una struttura di forma quadrangolare con un’ampiezza di circa 120
metri quadrati, divisa in tre ampi locali di forma rettangolare allungata e in un ambiente più piccolo
sul lato Sud, probabilmente frutto di progressive riduzioni e ripensamenti dell’organizzazione dello
spazio interno. La costruzione dell’edificio è sicuramente preceduta da una sistemazione generale
dell’area e la presenza di due lunghe trincee di spoliazione con relative stratigrafie d’uso hanno
permesso di ipotizzare una struttura più antica anteriore alla costruzione dell’ospitale.
Le fonti scritte post-medievali documentano l’abbandono del complesso tra la fine del XIV secolo e
l’inizio del XV, in quel periodo si verificano parziali episodi di riutilizzo della chiesa. La struttura ha
continuato ad essere frequentata come luogo di rifugio occasionale, così come testimoniato dalla
presenza di focolai accesi sui crolli del tetto e, in epoca più recente, sui crolli delle murature
perimetrali.
Le indagini archeologiche hanno evidenziato che gli strati d’uso medievali erano poggiati in gran
parte direttamente sulla roccia, nel settore sud invece le strutture medioevali insistevano su un
deposito ascrivibile ad epoche più antiche.
Le campagne di scavo del 2007 e 2008 hanno messo in luce una stratigrafia articolata; al di sotto
dell’ospitale, uno strato ricco di frustuli di carbone di legna, associato a chiazze di terreno
combusto e pietre alterate dal fuoco testimonia l’esito di un incendio precedente la costruzione
dell’ospitale, e viene datato da un frammento ceramico diagnostico qui rinvenuto, fra il XII e il XIII
secolo.
Nello strato soggiacente sono stati rinvenuti minuti reperti ceramici, attribuibili ad anfore di III-I
secolo a.C.. La loro presenza, supportata da quella di altri frammenti ceramici e di una moneta di
età repubblicana rinvenuti in giacitura secondaria, permette di ipotizzare una fase di
frequentazione del sito in età repubblicana.
Lo strato inferiore, dove si sono conservate alcune buche di palo e piccole fosse, ha restituito
schegge di diaspro, selce e quarzo e frammenti ceramici tra cui alcuni “campaniformi” che
collocano questa fase di frequentazione del sito tra il 2500 e il 2200 a.C.
Nello strato sottostante a questo livello sono state portate in luce due fosse di combustione
contenenti pietre calcinate a causa del contato diretto con il fuoco. Ciò richiama l’esercizio di
pratiche volte a garantire un fuoco costante e prolungato. Datazioni radiocarboniche effettuate
recentemente inquadrano questo momento di frequentazione intorno al 4000 a.C. nel Neolitico
recente.
Il più ampio complesso ospitaliero medievale della Liguria, situato in un crocevia di strade; sito
unico nel suo genere perché conserva tracce di frequentazione dalla preistoria all’età moderna.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
41
E’ di estremo interesse il fatto che sulle vie comunicazioni medioevali sia stato individuato un luogo
di sosta e di snodo proprio nello stesso punto già occupato millenni prima (4000 a.C.-2500 a.C.).
3.5 Strade, rotte e vie di comunicazione
Lo svilupparsi di una rete viaria articolata attorno a Sestri Levante, documentata fin dai tempi più
antichi, determina la funzione del porto di Sestri quale accesso al mare per le persone e le merci e
rappresenta di per sè una vicenda di grande fascino, considerata l’attenzione dedicata da parte del
governo della Repubblica di Genova e dagli amministratori di Sestri Levante, lungo i secoli, alla
questione di tentare di migliorare la percorribilità di strade e passi.
La scarsità di certezze archeologiche e documentali, soprattutto per i tempi più antichi, non deve
mettere in ombra l’importanza di questo tema per la storia del territorio, e quindi la sua centralità
nel percorso narrativo del Sistema Museale.
I primi riferimenti storici al ruolo di Sestri Levante lungo il sistema di vie terrestri e rotte marittime
risalgono alla piena età romana.
Si rimanda al paragrafo dedicato a Segesta Tigulliorum nelle fonti antiche per una completa
rassegna delle citazioni di toponimi in qualche modo ricollegabili a Sestri, molto spesso connessi
ad itinerari ed indicazioni legate alla viabilità
L’effettivo tracciato della stessa Via Aemilia Scauri fra Luni e Genova è ancora lontano dall’essere
definito. Si allegano quindi alcune proposte cartografiche che individuano le alternative possibili
rispetto alla collocazione di Sestri Levante lungo il tracciato.
I riferimenti alle strade non devono far pensare ad ampie vie carrabili, simili all’immagine che
tradizionalmente si ha della tipica strada consolare romana; le caratteristiche del nostro territorio
infatti fanno sì che ci si possa servire sempre ed unicamente di percorsi più angusti e ripidi, in
genere mulattiere.
Gli assi viari principali restano, a Ovest, quello che scavalca il promontorio di Sant’Anna verso
Genova; a Est, il sistema di strade che attraverso la Va Petronio raggiunge la Val di Vara e
Centrocroci, e quello che attraverso il passo del Bracco (identificabile probabilmente con il
toponimo “ad Alpe Pennino” della cartografia antica, a partire dalla Tabula Peutingeriana) giunge
alla Spezia con un percorso più vicino alla costa, da sempre percepito come scomodo e
pericoloso. (Montesquieu nel 1728 afferma: “E’ impossibile andare da Genova a Portovenere
altrimenti che per mare, a meno che non si vada su un mulo, tanto le montagne sono aspre e
scoscese”).
L’utilizzo e la frequentazione della viabilità attorno a Sestri e Castiglione sono documentati con
continuità lungo il Medioevo ed oltre, ma occorre attendere il XVII secolo per ritrovare fonti
iconografiche, nella cartografia elaborata dalla Repubblica anche contestualmente ai progetti di
miglioramento del sistema viario (almeno cinque diverse carte all’Archivio di Stato, scalate fra
secondo Seicento e metà Settecento). Disponiamo di un dato statistico per il periodo 1732-1737,
che identifica Sestri Levante come la stazione di transito più importante per le merci verso
Piemonte e Lombardia dopo Genova, con un valore economico doppio, e in alcuni anni triplo,
rispetto a Savona.
Assume poi particolare interesse l’iniziativa presa dal Senato Genovese nel 1751: dopo le guerre
contro l’Austria, e il rafforzarsi della rivalità con i Savoia, la strada di Sestri Levante verso Cento
Croci diventa l’unica che la Repubblica può controllare completamente, senza incappare nei dazi
sabaudi. Per questo Genova torna a porre attenzione alla manutenzione della strada,
contestualmente con il ripristino del Portofranco a Sestri (cfr. Il porto).
La più celebre fra i viaggiatori che hanno transitato per Sestri Levante è sicuramente Elisabetta
Farnese, in viaggio verso la Spagna nel 1714 per andare in sposa al re Filippo V: si allega una
vivacissima descrizione dell’accoglienza riservata dalla nobiltà sestrese alla futura regina, riportata
in Ferretto 1928, dove non viene citata la fonte.
La futura regina avrà forse seguito”a ritroso” lo stesso percorso fatto 2700 anni prima dal
braccialetto di Loto (vedi Dossier Area 3 scheda Loto)?
La via che unisce Sestri a Castiglione era anche quella percorsa dai grandi tronchi delle foreste
della Val di Vara, utilizzati per realizzare i remi delle navi genovesi. I tronchi venivano trasportati
trainati lungo la strada da coppie di buoi, e sostavano nel porto di Sestri Levante in attesa di
essere imbarcati verso la capitale.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
42
• Materiali a disposizione
Allegato cartaceo > Descrizioni antiche
Allegato digitale Materiali > Iconografia C1 e C2
•
PERCORSI: Antiche vie
3.5.1 Il Tigullio fra Liguri, Etruschi e Greci: approdi costieri e rotte preromane.
La Liguria, caratterizzata soprattutto nella riviera di levante, da coste dal profilo articolato e
frastagliato, offriva insenature e baie riparate dai venti, favorevoli all’approdo; da questi scali con
funzioni di approdi e tappe di sosta che erano inseriti in percorsi marittimi effettuati
prevalentemente con navigazione di piccolo cabotaggio, si dipartivano vie di collegamento dirette,
attraverso l’Appennino, verso la Pianura Padana. Queste vie di penetrazione tra il mare e la
pianura si sviluppavano, non solo lungo gli assi viari usati poi in età storica (ad esempio la Via
Postumia lungo la Val Polcevera), ma anche attraverso percorsi appenninici spesso di crinale.
La documentazione archeologica testimonia che l’attivazione a partire dal VII secolo a.C. di
“regolari” rotte commerciali e marittime nel Tirreno settentrionale fu comunque preceduta da
importanti contatti di medio o lungo percorso; sono indiscutibilmente marittime le rotte che, con i
primi neolitici, intorno al 6.000 a.C. portarono in Liguria l’ossidiana (vetro vulcanico) che si trova
soltanto sulle isole di Pantelleria, Lipari, Sardegna (Monte Arci) e Palmarola. Le più vicine fonti
terrestri di ossidiana si trovano in Turchia e sul monte Tokai in Ungheria. Dunque l’ossidiana è
pervenuta in Liguria esclusivamente via mare, come confermato da tutte le analisi chimico-fisiche
condotte sui reperti. Ossidiana di Palmarola è attesta nel Tigullio al Castellaro di Uscio e non
lontano, in Val di Vara alla Pianaccia di Suvero (Rocchetta di vara, Sp), il più consistente
insediamento neolitico all’aperto finora rinvenuto in Liguria.
Nel III millennio a.C. contatti tirrenici sono indiziati dal vaso della Tana delle Fate in Val Frascarese,
confezionato con uno stile tipo Rinaldone/Gaudo (nome di due siti eponimi della Toscana
meridionale e della Campania), da una lama di rame arsenicato della Tana Da Prima Ciappa della
Val Frascarese, i cui modelli sono diffusi a Sud. Addirittura si ipotizza che i giacimenti di minerale di
rame (e forse d’oro) della Val Petronio possano essere stati attivati da esperti provenienti da
meridione e che il minerale venisse trasportato via mare verso le zone del Sud metallurgicamente
più avanzate (non si sono finora rinvenute evidenze di riduzione del minerale nei dintorni delle
zone estrattive).
Nella Tarda Età del Bronzo (XIV-XIII secolo a.C.) contatti fra Liguria Orientale e Provenza sono
indiziati da analogie nelle forme di alcuni vasi, mentre nell’Età del Ferro spille di produzione o di
stile chiavarese del VII secolo a.C. si ritrovano parimenti in Provenza. Anche se non abbiamo dati
per scrivere di “rotte”, è chiaro che il mare veniva correntemente usato almeno dal 6000 a.C..
Purtroppo non conosciamo le imbarcazioni. Per il Neolitico dobbiamo rifarci alla piroga con
bilancieri rinvenuta nel Lago di Bracciano, nel sito La Marmotta, esposta al Museo Pigorini di
Roma. Per l’età del Bronzo il relitto di Uluburun sulle coste meridionali della Turchia non molto
informa sulla tipologia dell’imbarcazione ma molto illumina sulla intensità e la complessità dei
traffici mercantili dell’epoca. Nell’Età del Bronzo gli scambi via mare fra l’Egeo, Creta, l’Egitto, la
penisola italiana e l’Occidente mediterraneo erano frequenti. Ricordiamo a proposito i molti
rinvenimenti di ceramiche micenee nell’Italia meridionale e centrale e i “popoli del mare” che poco
prima del 1200 a.C. assaltarono l’Egitto di Ramesse II, tra i quali sembrano riconoscibili Tusci,
Sardi, Siculi e forse Liguri. Ciò premesso è quasi ovvio quanto l’archeologia suggerisce circa
l’emergere, in corrispondenza e relazione della spinta commerciale e militare etrusca, di scali
commerciali lungo le coste liguri alla fine dell’VIII secolo a Chiavari, a Genova dalla fine del VII
(con precedenti del X secolo a.C.), ad Ameglia dalla fine del VI secolo a. C.
Le comunità liguri della costa stabilirono rapporti collaborativi con gli Etruschi, con i Greci e forse
con i mercanti punici e iberici, facendo da tramite con la pianura Padana.
Nel golfo del Tigullio, la necropoli di Chiavari e la tomba di Rapallo ci restituiscono un’immagine
dell’arco costiero punteggiato di piccoli agglomerati e scali marittimi gravitanti nel VII secolo a.C.
nell’orbita culturale etrusca.
Nel 600 a. C un gruppo di coloni greci aveva fondato Massalia alle bocche del Rodano, in poco
tempo Marsiglia assunse il controllo dei traffici marittimi del Mediterraneo occidentale. Il porto di
Marsiglia era un porto commerciale frequentato anche dagli Etruschi, che, dalla fine del VII secolo
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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a.C., raggiungevano le coste della Francia con le loro imbarcazioni per smerciare i loro prodotti, in
particolare il vino, che era molto apprezzato dai Celti e dai Liguri, e ceramiche; anche i Greci
scambiavano, vino, olio, profumi e ceramiche, ambra e schiavi.
Successivamente i contatti commerciali furono ampliamente influenzati dai difficoltosi equilibri
politici fra gli Etruschi, i Fenici e i Greci che si contendevano il dominio dei traffici nel Mediterraneo
e che portarono ad un riassetto delle aree di influenza nel Tirreno, a discapito degli Etruschi.
Nel IV secolo a.C i commerci etruschi cessano quasi del tutto sostituiti da una forte presenza di
Marsiglia e dal crescente controllo di Roma. Con il III secolo a.C. la Liguria sembra ruotare
nell’ottica di Roma, Genova divenne civitas foederata, punto di appoggio navale in vista della
conquista romana del Mediterraneo occidentale e perno logistico nelle operazioni militari durante il
conflitto romano-ligure e nel corso della seconda guerra punica. Significativo indizio della presenza
di navi da guerra nello specchio acqueo portuale di Genova, è offerto da un controrostro in bronzo
databile al III secolo a.C.
3.5.1.1 Dossier 3 Scheda sito La tomba di Rapallo
La sepoltura venne alla luce fortuitamente nel 1911, nel corso di escavazioni per l’estrazione di
argilla. Non è possibile indicare con esattezza quale fosse il luogo del rinvenimento, che dovrebbe
essere circoscritto ad un’area pianeggiante lungo il rio Boate.
Pare che essa non fosse isolata ma facesse parte di una vera e propria necropoli ad incinerazione,
visto che nel 1913 venne in luce, nella stessa località, un’altra sepoltura il cui corredo è andato
definitivamente disperso in un’alluvione. Se ciò venisse confermato, analogamente a Chiavari, la
necropoli di Rapallo indicherebbe il sorgere di un insediamento marittimo-commerciale.
La tomba, rinvenuta a metri 3,65 di profondità, era costituita da una cassetta litica, formata da 4
lastre confitte nel terreno (già asportata in precedenza la lastra di copertura); la cassetta era
racchiusa all’interno di un recinto rettangolare composto anch’esso da lastre litiche. Questa
sepoltura doveva probabilmente fare parte di un vera e propria necropoli ad incinerazione, infatti, il
corredo doveva essere contenuto all’interno della cassetta litica (ad eccezione di un nodulo di
pirite) ed era composto da alcuni oggetti: l’urna cineraria che conteneva terra, carboni e frammenti
d’ossa, era coperta dalla sua ciotola - coperchio, un’olla, una punta di lancia, un braccialetto in oro,
un cilindretto in osso ed il nodulo di pirite già citato, testimonianza di sfruttamento delle risorse
minerarie del comprensorio.
Tutti questi reperti risultano già dispersi nel 1939, ma nel 1996, a seguito di circostanze fortunate,
sono stati recuperati i 3 vasi la cui analisi permette di inquadrare cronologicamente la tomba nel
VII- inizi VI secolo a.C.
La tipologia dei materiali presenti nella tomba di Rapallo (ceramica italo-geometrica sovra dipinta)
offre ulteriore conferma (già fornita dalla necropoli di Chiavari) degli stretti legami culturali che
univano le popolazioni del litorale della Liguria di levante con l’area pisano-versiliese e restituisce
un’immagine dell’arco costiero punteggiato di piccoli agglomerati e scali marittimi gravitanti nel VII
secolo a.C. nell’orbita culturale etrusca. Le popolazioni liguri devono aver attivato con gli Etruschi,
forme di integrazione culturale ed anche economica.
3.5.1.2 Dossier Area 3 Scheda sito Necropoli di Chiavari
Scoperta nel 1959 e scavata tra il 1960 ed il 1969, la vasta necropoli ad incinerazione di Chiavari
era organizzata in un articolato e monumentale sistema di recinti litici e tombe a cassetta,
contenenti le sepolture (in totale 126 tombe).
I recinti, di forma circolare e quadrangolare, contenevano una o più cassette litiche (con 4 lastre
laterali ed una di copertura) entro cui venivano deposte le urne cinerarie con gli elementi di
corredo. I recinti risultavano aggregati in 3 gruppi: nello spazio libero tra 2 di essi sono venute in
luce le tracce dei roghi funebri, che dovevano superare la temperatura di 700 °C.
I corredi sono ricchi di oggetti metallici per i quali si suggerisce la provenienza locale. I corredi
sono nettamente distinguibili in maschili, contraddistinti da oggetti di ferro, soprattutto armi da
difesa (punte e puntali di lancia, coltelli, un’accetta ...), rasoi, oggetti di ornamento e femminili,
ricchi di oggetti di bronzo (spille, collane e pendagli, borchie di varia forma), ornamenti in oro e
argento, perline in pasta vitrea, fusaiole.
L’arco cronologico di utilizzo della necropoli va dal 750-720 a.C (seconda metà VIII secolo a.C.),
fino al 625 a.C. (terzo quarto del VII secolo a.C.).
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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La presenza, all’interno dei corredi della necropoli, di numerosi oggetti d’importazione provenienti
dall’area medio-tirrenica (soprattutto ceramiche di bucchero di provenienza pisano-versiliese, ma
anche dall’Etruria merdionale), testimoniano una significativa e intensa frequentazione da parte
degli Etruschi, forse anche residenti. Non mancano imitazioni in impasti a gabbri (di provenienza
locale) di ceramiche etrusche. Una tazza (kylix) di produzione o imitazione protocorinzia e gioielli
d’oro di stile fenicio allargano l’orizzonte commerciale, benché allo stato attuale sia impossibile
discernere fra contatti diretti e mediazione etrusche.
La presenza nei corredi sepolcrali di numerose armi di ferro, tra cui lance da campo inadatte al
territorio locale, e finimenti di cavallo, suggerisce l’esercizio del mercenariato.
L’abbondanza di oggetti in bronzo di buona fattura indica un buon standard manifatturiero,
compatibile con l’estrazione del rame dai giacimenti della Val Petronio (vedi siti di Libiola e Monte
Loreto). La necropoli è stata costruita su una spiaggia che si affacciava su un braccio di mare,
riparato da una barra costiera, situazione ideale per l’alaggio di barche da cabotaggio per il
carico/scarico merci. Inoltre, la necropoli è stata costruita sopra uno strato contenente migliaia di
frammenti di recipienti di terracotta dell’Età del Bronzo Tarda e Finale (XIII-X secolo a.C.).
Sembra quindi che, fin dalla Tarda Età del bronzo, prima del sorgere della civiltà etrusca e della
sua rete commerciale, il particolare ambiente naturale, formatosi a Chiavari con la risalita
postglaciale del mare, consistente in un braccio di mare lagunare protetto da una duna costiera,
sia stato utilizzato per l’alaggio di barche da cabotaggio.
3.5.2 I rinvenimenti da archeologia subacquea nelle acque della riviera di levante e l’approdo di
Sestri Levante (Dossier Area 3)
Numerosi sono stati i rinvenimenti di reperti sui fondali prospicienti Sestri Levante: nel 2006 al
largo di Punta Manara è stato rinvenuto un ceppo d’ancora di età romana in piombo, pesante quasi
mezza tonnellata; datato tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., probabilmente faceva parte delle
dotazioni di bordo di una nave da carico lunga oltre 20 metri; serviva ad appesantire l’ancora e a
far affondare le marre nel fondale marino, così da impedire qualsiasi movimento dell’imbarcazione.
Altri rinvenimenti, avvenuti nel passato sempre al largo di Sestri Levante, consistono in due ceppi
d’ancora, un puntale, un’anfora del I secolo d.C., un tappo d’anfora (datato tra il I secolo a.C. e il I
secolo d.C.), mentre al largo di Riva Trigoso sono stati rinvenuti un’anfora di tipo gallico del II
secolo d.C. e un orlo e collo d’anfora del I secolo a.C.
Il Museo di Sestri potrebbe ospitare anche un'esposizione più ampia di quelli che sono i
ritrovamenti subacquei nelle acque della riviera di levante dal promontorio di Portofino a Punta del
Mesco.
Si tratta di un'anfora di età tardo repubblicana proveniente dalle acque antistanti Punta del Mesco,
anforacei dal mare di Levanto e una pelvis da quello di Bonassola, un ceppo d'ancora in piombo
databile a II-III secolo d.C. recuperato al largo di Moneglia ed infine più consistenti ritrovamenti
provengono da San Michele di Pagana, testimonianza di uno scalo in funzione di una villa
marittima (di cui non ci sono però giunte testimonianze) o più probabilmente di un approdo
connesso al complesso portuale di Portus Delphini, che doveva essere quindi articolato in più
bacini. I reperti rinvenuti a San Michele di Pagana indicano che l’attività commerciale durò a
lungo, dal III secolo a.C al III secolo d.C.; nelle acque antistanti Rapallo fu recuperata un'anfora di
tipo Dressel 1, numerose anfore di tipo greco-italico, forse pertinenti ad un relitto provengono dalle
profondità marine prospicienti la scarpata a nord del fanale rosso di Portofino ed, infine copiosi
reperti archeologici, frammenti di anfore e materiali fittili provengono con buona probabilità dal
porticciolo dello stesso borgo.
Questi reperti sono la testimonianza del fatto che il golfo del Tigullio è sempre stato inserito nella
rete dei traffici commerciali marittimiIl ritrovamento di numerosi reperti di epoca romana, medioevale e postmedioevale nei fondali della
“Baia del Silenzio” a Sestri Levante suggerisce l'esistenza di una approdo in quest'area.
Un altro importante porto è testimoniato anche a Levanto da testimonianze architettoniche tutt’ora
conservate, da importanti rinvenimenti archeologici, oltre che dalle fonti di età medievale (Annales
Ianuenses); da più labili indizi è suggerita l'esistenza di approdo risalente almeno al I-II secolo
d.C. Le prime fonti storiche sull’insediamento di Sestri Levante risalgono alla piena età romana:
Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. ci dà notizia dell’esistenza di una Segesta Tigulliorum,
successivamente anche l’Itinerarium provinciarum Antonini Augusti e l’Itinerario marittimo di III-IV
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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secolo d.C. citano i toponimi di Segesta e Tigullia. Ad oggi è difficile identificare l’ubicazione e la
posizione reciproca di questi due siti, ma è possibile ipotizzare per il primo la natura di sito costiero
di approdo e per il secondo la funzione di mansio lungo l’asse viario.
Possono confermare l’esistenza della romana Segesta Tigulliorum anche i reperti rinvenuti nel
corso dell’assistenza archeologica nell’area dell’ex-FIT: frammenti di anfore, di ceramica da mensa
africana, di tegoli e di laterizi ascrivibili ad una fase di frequentazione di età imperiale (II e III secolo
d.C).
3.5.3 Il porto di Sestri
L’analisi dello sviluppo, anche fisico ed architettonico, del porto di Sestri, parte della stesse fonti
cartografiche e geografiche antiche, e dalle stesse descrizioni del borgo, già presentate nelle
sezioni dedicate allo sviluppo urbanistico e, poco sopra, alle vie di comunicazione; mentre, per
quanto riguarda naviglio, rotte e tipologie di commerci, accanto a quanto ricostruito relativamente
ai leudi più sotto, si riporta il riferimento ad alcune fonti documentarie, che si allegano in formato
cartaceo o digitale:
- nel 1503 gli spagnoli catturano alla famiglia Bernabò una caravella carica: negli atti relativi alla
lunghissima causa di risarcimento che ne seguì, possediamo la descrizione del carico ed una
gustosa serie di atti processuali, comprese testimonianze in italo-genovese, che raccontano aspetti
della navigazione e della vita di bordo.
- nel 1695 viene redatto un inventario relativo al brigantino “S.Antonio da Padova e le Anime del
Purgatorio”, fatto costruire ad Arenzano da Pietro Dal Pino di Sestri Levante, pubblicato da L.Gatti
nel 1999
- nello stesso anno, un contratto documenta il rapporto di cambio marittimo di patron Giacomo
Tealdo: il suo Santa Caterina riceve 400 lire in “pannine” (tessuti), da portare in Sardegna, in tre
mesi e al 6% di interesse. Il cambio marittimo era una forma di prestito per l’acquisto e la
successiva vendita di merci, che spesso nascondeva operazioni di usura.
- presso l’archivio della Diocesi di Brugnato è disponibile un “Inventario delle robbe della barchetta
di capitan Durante – sequestro”, del 1799, cioè ancora una volta un atto di polizia che ci fornisce
informazioni sulle tipologie di carico e sulle attrezzature di bordo.
- nel suo testo del 1939 su capitani di mare e bastimenti del secolo XIX, Gio Bono Ferrari pubblica
un ricco elenco di imbarcazioni, proprietari e comandanti di imbarcazioni del porto di Sestri e di
Riva.
Come già riportato più sopra, rammentiamo come il porto di Sestri acquisisca un ruolo
particolarmente importante con la legislazione varata dalla Repubblica di Genova nel 1751 e il
ripristino del portofranco, che liberava le merci in transito dai dazi.
Il porto entra poi in crisi, come tutta la marineria ligure, con l’età napoleonica, e poi con
l’annessione ai domini sabaudi. Disponiamo di un dato statistico datato 1804 e proveniente
dall’amministrazione napoleonica: in quell’anno risultano transitati per Sestri una tartana, un pinco,
16 liuti (identificabili con i leudi, cfr sotto), 3 feluche e 12 battelli non altrimenti identificati. Un
traffico abbastanza limitato, visto che nella stessa statistica il porto di Chiavari risulta toccato da
oltre 115 leudi.
Per venire a tempi più recenti, presso l’archivio del Comune è custodita una documentazione
piuttosto ricca dei lavori svolti sul molo e per il porto, spesso corredata da estratti dei progetti: il
porto è infatti stato oggetto di diverse campagne di intervento fra la metà dell’Ottocento ed il primo
Novecento.
Nella pur scarna documentazione sulla Fabbrica Italiana Tubi (cfr oltre) è possibile trovare traccia
della costruzione del molo metallico dedicato alla movimentazione di materiali per la fabbrica,
promossa dal fondatore Gardella; in Antonini (1998) si trova documentazione anche fotografica
riguardo ai danni causati dai bombardamenti durante l’ultimo conflitto mondiale.
• Materiali a disposizione
Allegati cartacei > Approfondimenti > Gatti Inventario del brigantino
Allegati digitali > Materiali > Fonti archivistiche inedite B 4
Allegati digitali > Materiali > Fonti archivistiche Sestri L. D 1
3.5.4 Il commercio
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Un’altra attività, tradizionale per la città e correlata alla posizione al centro di uno snodo viario,
dalla quale Sestri Levante ricava il proprio sostentamento è naturalmente il commercio, tanto
interno quanto rivolto all’esterno.
Richiamiamo le fonti descrittive e catastali antiche per la descrizione generale del tessuto
commerciale e mercantile della città; segnaliamo un documento particolarmente interessante, il
“Regolamento per le mercanzie procedenti della Lombardia, del Levante di là dal monte di
Portofino tanto per via di mare che di terra, loro transito, destino, travaso e pagamento” del 1798,
conservato presso l’archivio della Diocesi di Brugnato, che si riproduce in allegato.
Si segnala poi un’ipotesi di ricerca che identificherebbe l’antica loggia mercantile, citata dalle fonti
e precisamente indicata da Vinzoni nella sua carta della città realizzata per i Fieschi nel 1749,
nell’edificio corrispondente oggi al civico 54 di Piazza Matteotti, in considerazione del fatto che alte
arcate di loggia sono ancora leggibili sulla facciata verso Piazza Matteotti.
Un’ultima annotazione riguarda il fatto che presso l’Archivio del Comune sono presenti diversi
documenti, prevalentemente ottocenteschi, rispetto alle licenze per esercitare il mestiere di oste,
oltre a registri più generali rispetto alla presenza di pubblici esercizi e a materiale relativo alle
periodiche fiere del bestiame..
• Materiali a disposizione
Allegati digitali Materiali > Fonti archivistiche inedite B 4
Allegati digitali Materiali > Fonti archivistiche inedite Sestri L. D 1
3.6 Le fortificazioni a controllo del territorio
Nel territorio ligure si trovano un gran numero di opere fortificate, costituite prevalentemente da
castelli e torri. La grande maggioranza dei castelli costruiti in Liguria risalgono a un periodo
compreso tra il XII il XIV secolo. In genere le fortificazioni vengono costruite in posizione
strategica, dominante sul territorio, da cui avere vedute anche molto estese. La presenza di un
castello o fortificazione in un territorio risponde, infatti, a esigenze di difesa e generalmente di
controllo delle vie percorse da truppe e da merci dirette ai porti e ai centri di smistamento e
commercio.
A partire dal XII secolo si assiste, infatti, allo sviluppo di oligarchie locali e di poteri signorili,
conseguenza di un riordinamento sia di natura ecclesiastica sia di carattere politico, con
l’accrescere dell’interesse di controllo del territorio da parte del Comune di Genova. Prendono così
forma nel territorio aree di controllo signorile, organizzate sotto forma di castelli o dimore fortificate
o chiese gentilizie e fondate generalmente sulla riscossione delle decime e dei pedaggi stradali.
Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, i castelli e le dimore fortificate vengono ricollocati in
ambito genovese: Genova occupa punti nodali del territorio favorendo la costruzione di capisaldi
militari (come Rivarola, Monte Frascati e Sestri Levante) e di nuovi borghi difesi da castelli (come
Chiavari), spostando le famiglie signorili a ruoli all’interno del governo podestarile o nell’orbita
urbana.
Le indagini archeologiche nell’area del Tigullio hanno dimostrato che fra la fine del XIII e il XV
secolo è attivo, ad opera della Repubblica di Genova, un sistema di fortificazioni sui diversi rilievi
della Liguria Orientale, tra costa e vallate interne: tale sistema risulta articolato su castelli posti a
controllo diretto della viabilità di crinale, a difesa delle vie di accesso ai borghi costieri e a controllo
indiretto del crinale appenninico.
Il colle di Rivarola, posto in posizione nodale, nel punto di congiunzione di tre sistemi di valli
(Fontanabuona, Graveglia, Sturla) e al centro di un’area di forte sviluppo di poteri locali, viene
fortificato a partire dal XII secolo, per controllare tutta la rete viaria tra la costa e l’entroterra
passante per il fondovalle. Anche il castello di Frascati risulta menzionato per la prima volta alla
metà del XII secolo.
Questi castelli diventano infatti caposaldi militari e politici genovesi nel Levante, fino alla seconda
metà del XV secolo.
I reperti provenienti dalle indagini archeologiche in questi castelli documentano approvvigionamenti
di ceramica dall’area mediterranea, confrontabili per lo più con ambiti urbani e signorili genovesi e
con quelli restituiti dagli altri contesti fortificati di questo periodo (Castrum Rapallinum, tra Rapallo e
Zoagli, Castrum Lasaniae tra Rapallo e la Val Fontanabuona, etc.).
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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A partire dalla seconda metà del XV secolo e soprattutto nel XVI secolo iniziano invece a
diffondersi sulle alture lungo la costa fortificazioni con la funzione di postazioni militari di
avvistamento e di eventuale ricetto per la popolazione dei dintorni in caso di attacchi dal mare,
come nei casi del colle di Bardi sopra a Riva Trigoso e di Monte Castello a Sestri Levante, nel
comprensorio di Punta Manara.
3.6.1 Dossier Area 3 scheda sito Monte Frascati
Il castrum di Frascati si trova su un’altura a circa 360 metri slm, poco sopra l’attuale paese di San
Pietro di Frascati, frazione di Castiglione Chiavarese.
E’ stato oggetto di indagini storiche e archeologiche nell’ambito di un progetto sulle fortificazioni del
territorio di Sestri Levante negli anni 2008-2009, precedute da ricerche parziali avvenute negli anni
’70. Il castrum Frascarium è testimoniato nelle fonti d’archivio a partire dal 1131-1132, con turrem
seu domignorum e burgum, concesso in feudo dai consoli del Comune di Genova ai Signori da
Passano, successivamente il castello passa ai conti di Lavagna, che lo occupano per quasi un
anno, e poi di nuovo a Genova. In base alle fonti scritte il castello risulta costituito da torre e/o
dongione, con curia e borgo sottostanti, e con presidio militare fino alla metà del XIII secolo; risulta
poi ripristinato nella prima metà del XV secolo, fino alla definitiva distruzione avvenuta secondo le
fonti scritte, dopo il 1447.
Le indagini archeologiche più recenti hanno permesso di confermare la presenza di una struttura
sulla sommità del Monte Frascati, consistente nel ridotto fortificato e di un’altra struttura,
identificata come piccolo edificio di culto, situato su un ripiano a una quota leggermente
sottostante.
Dalle indagini storiche e archeologiche emerge che il sito è stato interessato da una originaria
occupazione preromana, documentata da una fase di buche per palo tagliate nella roccia e da
reperti ceramici; una frequentazione altomedievale o di XII secolo, documentata da una sequenza
di buche per palo e la traccia in negativo di una palizzata lignea; e infine un’occupazione
bassomedievale (prima metà del XV secolo), come documentato sia dalle fonti scritte, sia dai resti
del muro di cinta e delle due strutture rettangolari individuate, forse corrispondenti alle torri del
castrum genovese posto a controllo del territorio.
Il castello si trova sulla sommità del Monte Frascati, che risulta appositamente spianata e
accessibile dal lato Ovest. In epoca medievale risultava difeso a Nord-Ovest e a Nord da un muro
di cinta, mentre a Sud e a Est era difeso naturalmente da uno strapiombo sulla valle.
Sul lato Sud del pianoro si trova la traccia di fondazione di una struttura quadrangolare, forse
corrispondente al basamento di una torre. I materiali rinvenuti in quest’area sono ascrivibili al XV
secolo (frammenti di maiolica arcaica).
Nell’area Nord-Est del pianoro, un saggio di scavo di circa 30 mq. ha rilevato la presenza dei resti
in fondazione di due lati di una struttura, costruita con spezzoni di calcare posti in opera con malta
friabile.
Sulla base dei reperti ceramici rinvenuti durante lo scavo (maiolica arcaica e ceramica ingobbiata
monocroma) la costruzione e la frequentazione di questa struttura, forse una torre posta a controllo
della Val Frascarese, possono essere riferite al XV secolo.
Sono state inoltre individuate più di dieci buche per palo e la traccia in negativo, nella roccia, di
una struttura orientata Nord-Sud. I reperti trovati nei riempimenti delle buche indicano una fase
ascrivibile all’altomedioevo e una precedente fase preromana.
L’edificio di culto non è documentato nelle fonti scritte medievali genovesi e nemmeno nelle fonti
ecclesiastiche di età moderna e contemporanea. Si trova su un ripiano poco al di sotto della
sommità, sulla quale si trova il castello, e risulta di dimensioni piuttosto modeste, con navata unica
e orientato Est-Ovest. La struttura rimane conservata soltanto alla quota di fondazione; dell’abside,
di forma semicircolare, si conserva soltanto il primo filare di blocchetti appoggiati direttamente al
taglio della roccia basale, realizzato appositamente per la costruzione. I blocchetti con cui è
costruita l’abside sono in calcare argilloso legati con malta, risultano sbozzati e lavorati in maniera
accurata. All’interno dell’abside sono ancora riconoscibili il basamento dell’altare e parte del piano
pavimentale costituito da roccia spianata, malta e scaglie litiche.
In base alla tecnica muraria e ai confronti tipologici con la vicina chiesa di San Nicolao, l’edificio
può essere datato al XII-XIII secolo, mentre i materiali presenti negli strati di crollo della copertura
indicano una datazione al XV secolo per la posa in opera della pavimentazione e per la
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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realizzazione del basamento dell’altare e il definitivo crollo/abbandono nel XVI secolo: alla luce di
quanto emerso, si può dunque ipotizzare che la chiesa sia stata costruita nel XII secolo e sia stata
interessata da una seconda fase costruttiva nel XV secolo, probabilmente legata al ripristino del
castello, come documentato nelle fonti scritte.
3.6.2 Dossier Area 3 scheda sito Monte Castello
Monte Castello è un’altura che si trova a 264 metri slm sul promontorio di Punta Manara a Sestri
Levante. L’area è stata interessata da un progetto di ricerca storica e di ricognizioni archeologiche
che ha riguardato le fortificazioni del territorio di Sestri Levante, negli anni 2008-2009.
Le ricognizioni archeologiche più recenti hanno permesso di confermare la presenza di strutture
parzialmente conservate in elevato, pertinenti per lo più a resti di postazioni militari, e la presenza
di frammenti ceramici riferibili all’epoca post-medievale (XVIII-XX secolo).
Il toponimo Castella compare nelle fonti scritte a partire dalla seconda metà del XV secolo; all’inizio
del Novecento la zona era conosciuta dai locali come “Cà Ruta” o “Cà Vegia” ed era occupata da
una famiglia di contadini. Durante la seconda guerra mondiale fu installato un presidio della Milizia
Territoriale, con una postazione di avvistamento costituita da una struttura di quattro vani.
Nel comprensorio di Punta Manara, a seguito di ricognizioni di superficie, sono state rinvenute
alcune schegge di diaspro rosso che potrebbero essere ascritte a frequentazioni molto più antiche.
Approfondimenti futuri aiuteranno molto probabilmente a capire meglio il quadro dell’occupazione
umana sull’altura di Monte Castello, permettendo di verificare la frequentazione preistorica e/o la
datazione dei resti delle strutture post-medievali ed eventuali preesistenze.
3.6.3 Dossier Area 3 scheda sito Castello di Rivarola
Lo scavo archeologico e la ricerca storica sul castello di Rivarola sono state effettuate negli anni
’90 grazie alla collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica della Liguria e la sezione Tigullia
dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Un insediamento fortificato genovese, alla luce delle fonti scritte, risultava essere il più importante
nell’area del Tigullio nella prima metà del XII secolo: la storiografia erudita del secolo scorso fa
risalire la fondazione del castello di Rivarola al 1089, per volere dell’esule parmense Guglielmo de’
Rossi, il quale sembra l’abbia chiamato con lo stesso nome del castello da cui era stato scacciato.
Nel 1132, secondo le fonti scritte genovesi, il colle viene conquistato dalla Repubblica di Genova.
Il colle di Rivarola, posto in posizione nodale e strategica, domina un’ansa del torrente Lavagna
prima della sua confluenza con il torrente Graveglia e quindi le vie d’accesso alla Val Graveglia,
alla Valle Sturla ed alla Val Fontanabuona.
L’area presenta una interessante continuità insediativa: lo scavo ha, infatti, restituito labili tracce di
una frequentazione della sommità del colle databile all’Età del Bronzo, testimoniate da reperti
ceramici e manufatti litici in giacitura secondaria e da un lembo di stratigrafia conservato in situ, in
una depressione del piano roccioso, posta in prossimità del limite del saggio di scavo; a metà
collina, nell’area di terrazzamenti agricoli posti al di sopra della chiesa di San Quirico, sono state
identificate alcune tracce ascrivibili all’età romano-imperiale.
Il castello di Rivarola fu dunque eretto in un punto di antica frequentazione ed in posizione centrale
rispetto ad un insediamento preesistente piuttosto articolato, in chiara posizione strategica a
controllo della viabilità che collegava la costa all’entroterra.
Il castello risulta dotato di cinta muraria e torrione, ed è stato costruito sfruttando la morfologia del
suolo e le risorse disponibili in loco.
Le indagini archeologiche hanno evidenziato diverse fasi di occupazione, databili rispettivamente
al XII secolo, quando avviene la costruzione della torre e dei lati est ed ovest di un “palatium”
fortificato, e al XIV-XV secolo, quando si registra un rialzamento generale dell’intera cortina. Dai
confronti con altri edifici coevi, le strutture a pianta rettangolare possono essere interpretate come
palatium fortificato, difeso da una torre esterna, di forma irregolarmente pentagonale. La tecnica
costruttiva documentata nella fase edilizia del XII secolo è “mista” e può trovare spiegazione in
fattori di tipo economico. Sui due lati conservati dell’edificio sono presenti tre feritoie rettangolari
atte a garantire la scarico delle acque all’esterno dell’edificio.
Alla seconda fase edilizia, databile al XIV-XV secolo, sono ascrivibili in generale il rialzamento di
tutta la cinta muraria, correlato ad una ripresa d’uso del fortilizio. Il torrione nord, sulla base dei
risultati dell’indagine archeologica e grazie alle indicazioni fornite dalle fonti scritte, può essere
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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datato alla prima metà del XV secolo (1431). In questa fase di utilizzo postmedievale viene anche
ricostruito l’intero lato sud del fortilizio; l’accesso rimane sempre sul lato est.
Le indagini archeologiche condotte in estensione hanno evidenziato una riconduzione ad uso
agricolo dell’area interna del castello, caratterizzata dalla presenza di stratigrafie formatesi in
seguito all’attività di spoglio dei crolli interni: la riconduzione ad uso agricolo dell’area interna al
castello, dopo l’abbandono, è stata preceduta da una serie di interventi di recupero di materiale
lapideo.
La struttura e i reperti ceramici trovati durante lo scavo, per lo più di produzione savonese e di
importazione islamica, trovano confronti in ambiti urbani e sottolineano proprio il ruolo politico,
strategico e militare di questo fortilizio. I ritrovamenti ceramici di produzione ligure trovano invece
ampi confronti nella documentazione di altri scavi archeologici in strutture fortificate coeve.
3.6.4. Le fortificazioni dell’Isola e di Riva Trigoso: la vicenda degli attacchi dei pirati
La funzione delle fortificazioni a protezione delle strade, degli approdi e delle vie di accesso, porta
a collocare in questo punto della narrazione lo sviluppo del tema.
Si ritiene di doversi basare principalmente su un itinerario sul territorio, che tocchi sia il Comune di
Sestri che quello di Castiglione; richiamiamo peraltro fonti e materiali che potranno permettere di
riprendere il tema anche lungo il percorso espositivo.
Una panoramica completa sullo sviluppo del sistema di fortificazioni attorno a Sestri Levante, a
partire dall’insediamento genovese sull’Isola del XII secolo (che determinò lo svilupparsi
dell’abitato in quel contesto) fino all’abbandono durante il XIX secolo, è presente nella relazione
curata da Fabrizio Benente per l’Istituto Internazionale di Studi Liguri relativamente alle campagne
di studio e di scavo svolte sul territorio di Sestri e Castiglione, cui si rimanda per i riferimenti
cartografici, documentali e materiali.
Si fa poi riferimento al rinnovamento delle fortificazioni nel 1549, che fu oggetto di un vivace
dibattito in città ed in funzione del quale venne istituito un prelievo fiscale specifico, l’”Avaria
straordinaria Insulae ed Artalariae”, legata alla costruzione di opere di rafforzamento delle
fortificazioni dell’isola (di cui è conservato l’intero regolamento d’appalto in italiano).
L’aspetto del sistema di mura attorno all’Isola può essere parzialmente ricostruito anche attraverso
le più antiche immagini fotografiche della città, alcune delle quali sono precedenti alla costruzione
della villa Gualino, oggi Grand Hotel dei Castelli, che reinterpretò, distruggendole, le fortificazioni
genovesi.
Allontanandosi poi dall’Isola, rammentiamo che il flagello degli attacchi pirateschi indusse alla
costruzione della Torre di Bardi a Riva, rispetto alla quale è conservata una documentazione anche
iconografica piuttosto completa.
• Materiali a disposizione
Allegato cartaceo > Approfondimenti > Relazione Fortificazioni
Allegati Digitali > Materiali > Iconografia C1, C2, C4 e C 10
•
PERCORSO: Fortificazioni e difese
3.7 La cantieristica
3.7.1 La cantieristica tradizionale e il leudo
Il percorso espositivo dovrà riguardare in primis la vicenda del leudo rivano, imbarcazione utilizzata
soprattutto per il trasporto di merci, dotata di un solo albero inclinato verso prua armato di
un’antenna con vela latina e la tolda particolarmente arcuata, in genere servito da un equipaggio di
5-6 persone. Si tratta della versione locale di una tipologia di imbarcazione estremamente diffusa
nel Mediterraneo (si pensi al Laut catalano, o alla diffusione dell’imbarcazione chiamata liuto ed
evidentemente identificabile con il leudo).
Dovranno essere narrate le rotte, i commerci ed i rapporti economici e sociali che ruotavano
attorno al leudo, soprattutto attraverso fonti di carattere documentale; si dovrà fare riferimento alle
rotte commerciali , particolarmente battute fra Otto e Novecento,verso l’Isola d’Elba e l’arcipelago
toscano, la Sardegna e la Corsica (ed oltre, fino ad Ischia e Pantelleria).
Il commercio del leudo si appoggia sui noli, gestiti da un numero considerevole di famiglie di
“padroni”, proprietarie di una o più imbarcazioni; il trasporto verso Riva riguarda, soprattutto, vino e
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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formaggi, mentre si esportano ardesia, cotone, i velluti e i tessuti di seta di Zoagli e Lorsica,
cordami, pesce sotto sale ed altro; alcune fonti riportano come i marinai sestresi e rivani
commercializzassero anche tessuti di cotone prodotti a Castiglione Chiavarese. La tessitura di
"tele" a domicilio era un'attività - da considerarsi a carattere integrativo rispetto al reddito agricolo,
che compare da fine XVIII secolo fino verso la metà del XIX nei"libri dei conti" di alcune masserie
parrocchiali.
L’attività sembra piuttosto rilevante proprio per la parrocchia di S.Michele di Masso, dove, per circa
mezzo secolo, troviamo che in quattro o cinque famiglie si praticava questa attività, e dove fra gli
operatori compariva talvolta anche il maschio. In questi casi sembrerebbe di capire che il ricavato perlomeno in parte - andava a favore della parrocchia, in quanto una quota viene riportata fra le
entrate della masseria.
Diversamente da molte altre marinerie, a Riva molti proprietari hanno una sola barca, di cui spesso
sono anche comandanti, con un tessuto quindi estremamente frammentato (Gio Bono Ferrari dice
che Riva Trigoso fu il raggruppamento “più individuale d’Italia”; corre l’obbligo di segnalare come
Ferrari parli sempre di bovi, e non di leudi).
E’ disponibile un cospicuo gruppo di immagini fotografiche relative ai leudi ed alla vita di bordo,
nella collezione Borasino, nella collezione Bo; infine, esiste un piccolo lotto di immagini relative ai
leudi nell’archivio fotografico Fincantieri, oltre ad un disegno di costruzione; rammentiamo alcune
immagini provenienti dall’archivio fotografico del Touring Club Italiano; ed un rilievo dettagliato del
leudo “Tre fratelli”, costruito a fine Ottocento, presente fra gli allegati cartacei,
Particolarmente importante la documentazione proveniente dall’archivio della famiglia Lena, che si
presta particolarmente a rappresentare l’evoluzione dell’economia attorno al leudo fra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo
Si rimanda alla sezione “Famiglie”, oltre che all’approfondimento dedicato, per le informazioni
relative alla vicenda di questa famiglia di costruttori di imbarcazioni, e poi di uomini di mare, fra
Otto e Novecento.
Per quanto riguarda più in generale l’attività cantieristica e armatoriale fra Sestri Levante e Riva, si
fa riferimento alla ricerca di L. Gatti sulle statistiche realizzate dall’amministrazione sabauda nella
prima metà dell’Ottocento, per la quale si rimanda alla scheda di approfondimento: ne emerge un
quadro molto ricco dal punto di vista della presenza di imbarcazioni e di proprietari, mentre appare
sfumato il ruolo di Riva quale luogo di costruzione dei leudi (le imbarcazioni risultano acquistate in
altri cantieri, soprattutto Lavagna e Recco ma anche Camogli e perfino Varazze ed Arenzano).
• Materiali a disposizione
Allegati cartacei > Approfondimenti > G.B. Ferrari
Allegati cartacei > Approfondimenti > Inventario del brigantino (Gatti)
Allegati cartacei > Approfondimenti > Rilievo Leudo Tre Fratelli
Allegati digitali > Approfondimenti > XIX. Materiali Famiglia Lena
Allegati digitali > Approfondimenti > XIII. Scheda Libro Gatti
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C 5, C 9, C 10 e C 12
3.7.2 Le costruzioni navali e la grande cantieristica moderna: la vicenda Fincantieri
La vicenda del Cantiere di Riva rappresenta un’esperienza di primissimo piano nella costruzione
dell’identità stessa della città e di Riva in particolare.
Fra i materiali documentali a disposizione, segnaliamo la delibera del Consiglio Comunale relativa
alla fondazione del Cantiere del 1897 e i documenti sindacali provenienti dal Centro Ligure di
Storia Sociale (con particolare riferimento alla definizione di professionalità e condizioni di lavoro
nel cantiere).
Dal punto di vista iconografico, è poi possibile fare riferimento agli imponenti materiali conservati
nell’archivio storico del cantiere, ovvero essenzialmente:
- un significativo archivio fotografico (riprodotto in bassa definizione negli allegati) con immagini
relative ai vari, alle navi in costruzione o in navigazione, a vedute d’insieme del cantiere e delle
officine durante le fasi di lavoro, ed alcuni interni (soprattutto riguardo alla nave Esperia)..
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
51
- il corpus, imponente, dei disegni tecnici, prodotti a migliaia per ogni singola imbarcazione
costruita, e dei quali è in corso la completa digitalizzazione: una stima non definitiva porta ad
identificare un patrimonio di oltre 110.000 fogli. Una piccola esemplificazione dei disegni è
presentata negli allegati.
Sono inoltre disponibili immagini filmate, principalmente di vari, occasionalmente di navigazione,
fra i fondi dell’archivio dell’ Istituto Luce.
Si richiama infine la disponibilità di un lavoro di ricerca dedicato all’esame dei giornali di bordo; e
quindi alle cronache quotidiane della vita sulla nave. Nella scheda di approfondimento dedicata
alla storia del canteire è presente un elenco delle navi passeggeri prodotte a Riva ed immatricolate
nel porto di Genova di cui sono disponibili le cronache puntuali dei viaggi.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Approfondimenti > XI. Storia Fincantieri
Allegati digitali > Materiali > Fonti archivistiche inedite Sestri L. D 1
Allegati digitali > Materiali > Industrializzazione H 1 e H2
Allegati digitali > Materiali > Allegato F (Video e filmati Istituto Luce)
•
•
PERCORSO Riva Trigoso
PERCORSO: Lungo le due Baie
3.8 Pescatori e marinai a Sestri Levante
Una grande quantità di dati relativi alla pesca ed alla vita dei pescatori e dei marinai è disponibile,
nella documentazione antica identificata nel corso della ricerca preliminare: sarà necessario
recuperarne i contenuti per presentarli principalmente attraverso gli apparati.
Robin (cfr. allegati) riferisce dell’esistenza di un regolamento quattrocentesco a proposito delle
modalità di suddivisione, fra le diverse squadre di pesca, delle aree più redditizie davanti alla costa
sestrese; ed i documenti relativi alla famiglia Bernabò ci spiegano come il pesce venisse fritto e poi
conservato per essere commerciato con le regioni vicine; mentre Antonini (2004 a) riporta il
regolamento relativo all’imbarco ed ai ruoli a bordo dei gozzi, a fine Settecento.
Una rappresentazione iconografica minuta, ma di grande suggestione, è presente nel rilievo di
Matteo Vinzoni della proprietà Fieschi nel 1749: nel raffigurare Riva, anima la spiaggia di pescatori
intenti a ritirare una sciabica, a stendere le reti al sole e, forse, a sistemare il pescato nei barili.
G.B. Ferrari (al cui testo si rimanda per la ricchezza e la vivacità di aneddoti e storie narrate)
documenta poi della stagione in cui i pescatori sestresi si spostavano lungo le coste africane per
lunghe ed importanti campagne di pesca; a partire da una spedizione “esplorativa” di un
equipaggio di 4 persone, partito in cerca di acciughe nel 1820, si arriva a veri e propri convogli, che
coinvolgono fino a 30 imbarcazioni alla volta e fino a 160 imbarcazioni all’anno, da dopo Pasqua
all’inizio della cattiva stagione. Questa attività prospera almeno fino al 1860, e comunque continua
fino al 1885, quando un legislazione francese più restrittiva rispetto alle modalità di accesso alle
coste, e l’inizio delle attività di salagione industriale in Spagna, la renderanno impraticabile.
Venendo a tempi più recenti, è disponibile una cospicua documentazione fotografica: in primo
luogo il folto gruppo di immagini di pescatori al lavoro o in riposo scattate da Emmy Andriesse alla
fine degli anni Cinquanta, oltre alle immagini dell’archivio Borasino e ad alcune immagini
provenienti dall’archivio del Touring Club Italiano
La pesca è ancora oggi un’importante attività presente in città, per cui si rimanda al percorso
urbano che tocca i luoghi di sosta delle imbarcazioni dei pescatori ed il mercato del pesce.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Approfondimenti > XVI. Il territorio di Sestri L. (Robin)
Allegati digitali > Approfondimenti > XX. Scheda famiglia Bernabò
Allegati digitali > Materiali > Fonti archivistiche inedite B4
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C4, C5, C9 e C10
•
PERCORSO Riva Trigoso
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
52
•
PERCORSO: Lungo le due Baie
3.9 Emigranti: da Riva e Trigoso verso le Americhe
A partire dalla metà dell’Ottocento anche Sestri Levante, come tutto il territorio ligure e a maggior
ragione considerata la sua forte vocazione agricola, ha conosciuto un significativo flusso di
emigrazione verso paesi lontani e migliori fortune; laddove si parli di viaggiatori lungo le vie di terra
e di mare, sarà quindi necessario fare riferimento anche a questo fenomeno.
L’archivio del Comune conserva materiali interessanti, sia richieste di documentazione per
l’espatrio o per richiedere la residenza nel nuovo paese, che richieste di chi cercava informazioni
su propri congiunti dispersi, attraverso il Comune e poi i consolati italiani nei paesi di destinazione;
atti relativi alle agenzie che organizzavano i viaggi e a chi svolgeva questo ruolo abusivamente;
circolari ministeriali con linee di indirizzo per gli amministratori.
E’ diventato comune poi fare riferimento alle grandi banche dati internazionali create attorno a
numeri e documenti della grande emigrazione italiana verso le Americhe. Un esempio è
rappresentato dall’archivio della Fondazione Ellis Island, completamente accessibile in rete
(www.ellisisland.org):
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Materiali > Fonti Archivistiche Sestri L. D 1
3.10 Turisti a Sestri Levante
Anche il turismo è un’attività tradizionale per Sestri Levante, in considerazione del fatto che viene
praticata in città da almeno due secoli, che si può riconnettere all’idea del viaggio e del viandante.
L’attività può essere documentata attraverso i materiali promozionali e pubblicitari conservati
presso l’Archivio Storico della Pubblicità di Genova, e i nuclei di fotografie dedicate alle estati
sestresi presenti nelle raccolte note (a partire dal fondo Cresta dell’Archivio Fotografico del
Comune di Genova – non disponibile in riproduzione in questa fase, ma che potrà essere richiesto
al Comune di Genova, che lo detiene, cfr sezione “Iconografia” e dai materiali, fotografici e
giornalistici, presenti presso l’archivio del Touring Club Italiano); oltre ad una serie di brevi filmati
dell’Istituto Luce.
Inoltre, gli atti tanto del Comune quanto dell’Ente Morale Fascie conservano documentazione
relativa all’apertura ed alle modificazioni di strutture alberghiere e balneari, oltre a notizie
sull’apertura e l’attività di cinema e teatri.
Si fa infine riferimento a due ulteriori elementi:
- il fatto che, soprattutto ma non solo a partire dal secondo dopoguerra, Sestri Levante sia stata
visitata da personalità rilevanti del mondo della cultura, dello spettacolo e della politica (si ricordi
quantomeno il lungo soggiorno a Trigoso di Giovannino Guareschi)
- il ruolo rappresentato da alcuni eventi turistici di lunga tradizione, dalla Barcarolata alla Sagra del
Bagnun,(che nel 2010 giunge alla cinquantesima edizione, cfr. www.bagnun.it)
3.10.1 Il Premio e il Festival Andersen
Nel raccontare la storia di Sestri Levante città turistica, ma anche città di cultura e di attenzione al
mondo dei bambini, non si può non citare il Premio Letterario H.C. Andersen, dedicato allo scrittore
danese a seguito di un suo breve soggiorno sestrese, del quale lasciò una descrizione
entusiastica.
Il Premio Hans Christian Adersen - Baia delle Favole per fiabe inedite si svolge a Sestri Levante
dal 1967. In passato, il Premio Andersen ha visto protagonisti e giurati del calibro di Italo Calvino,
Alberto Moravia, Sergio Zavoli, Peppino De Filippo, Mario Soldati e Emanuele Luzzati.
A partire dal 1996, al Premio letterario si è affiancato un importantissimo Festival dedicato alla
narrazione ed alla fantasia, attraverso le esibizioni delle più importanti compagnie di artisti di
strada e di nouveau cirque.
Attorno ad uno dei bozzetti creati da Emanuele Luzzati per il logo ufficiale del Festival, sarà
possibile accedere all’archivio di immagini e filmati del Festival per documentare questo
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
53
appuntamento centrale nella vita della città. E’ a disposizione un’amplissima documentazione
fotografica e filmata.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C5, C 9, C 10, C14
AREA 4 - Le famiglie: organizzazione sociale, forme di vita comunitaria, culti e riti
4.1. Rituali funerari nell’Età del Rame: un clan famigliare in Val Frascarese
Nell’arco comprendente la liguria e la Toscana settentrionale sono documentate sepolture collettive
entro cavità, generalmente di piccole dimensioni (da cui la definizione tecnica di “grotticelle
sepolcrali”). Tali grotticelle venivano utilizzate esclusivamente per scopi funerari e ospitavano
deposizioni successive, essendo state rimaste in funzione per secoli.
Il sepolcreto della Tana Da Prima Ciappa in Val Frascarese è esemplare, poiché documenta
chiaramente il lungo uso e suggerisce che la cavernetta fosse luogo di sepoltura di un gruppo
legato da fattori di consanguineità.
Le grotticelle sepolcrali rappresentano una decisa discontinuità rispetto alla tradizione funeraria
neolitica, con tombe singole, con cadavere fortemente flesso e deposto sul fianco sinistro, con il
volto rivolto ad oriente, collocato all’interno di una cista litica.
Pur in mancanza di reperti culturali diagnostici, la Tana del Bandito, una grotticella situata in Valle
Lagorara, ha restituito una datazione radiocarbonica riferibile a livelli pertinenti i resti di almeno 4
individui, che attesta che queste inumazioni risalgono ad una fase finale del Neolitico (cultura di
Chassey). Le testimonianze archeologiche sembrerebbero accertare che il rito sepolcrale dentro
grotticella sia stato introdotto in epoca Chasseana, per svilupparsi nella forma più completa nel
corso dell’Età del Rame, perdurando intensamente fino alla fine dell’Antica Età del Bronzo (circa
1600 a.C.) per venire sostituito dal rito incineratorio durante le successive fasi dell’Età del Bronzo.
4.1.1 Dossier Area 4, scheda sito Tana Da Prima Ciappa (Val Frascarese)
Nella parte alta della valle del rio Frascarese la natura calcarea delle rocce ha dato origine a
diverse cavità che rappresentano uno dei rari esempi di carsismo nella Liguria orientale.
Sono state in gran parte esplorate fino ad alcuni decenni or sono dai cacciatori e dai carbonai che
frequentavano la zona e almeno due di queste numerose grotte sono state frequentate dall’uomo,
che vi ha lasciato tracce del suo passaggio fin da tempi assai remoti.
La caverna Da Prima Ciappa fu indagata con due campagne di scavo dalla Soprintendenza
Archeologica della Liguria fra il 1977 e il 1978.
Agli occhi dei primi scopritori, alcuni appassionati di speleologia, la cavità si presentava quasi
completamente interrata, e pertanto difficilmente accessibile, ma successivamente le indagini
stratigrafiche hanno messo in luce tre piccole gallerie comunicanti, due delle quali si prolungano in
stretti cunicoli (galleria E e galleria D).
Sono stati qui rinvenuti i resti di almeno una decina di individui, fra cui due adolescenti; alcune
analogie fra i reperti cranici sono indicatori di un legame di parentela.
I resti umani sono stati rinvenuti in giacitura secondaria antica, le ossa di cinque individui, ad
esempio, sono stati ammonticchiati con due calve craniche nel centro rivolte verso l’imboccatura;
tali resti erano quasi tutti concentrati nella galleria B, sebbene alcuni elementi di corredo siano stati
rinvenuti anche negli altri cunicoli.
Il corredo funerario che accompagnava i defunti era costituito da recipienti in ceramica (prodotta
con terre locali), vari utensili, fra cui numerose punte di freccia peduncolate ad alette quasi tutte in
diaspro rosso, una lama di pugnale di selce a ritocco piatto coprente bifacciale, alcuni oggetti di
rame (lamina metallica rettangolare con chiodetti di immanicatura e “ago” ) e vari ornamenti, fra cui
numerose perline di collana. Le datazioni radiocarboniche effettuate sono circoscritte all’Età del
Rame, per un periodo piuttosto lungo dal 3035 e 2340 a.C.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
54
Dal risultato delle ricerche emerge che la grotta fu utilizzata come sepolcreto collettivo nel corso
dell’Età del Rame, con deposizioni in momenti successivi e per alcuni secoli, da parte
probabilmente di un unico gruppo familiare (ossificazione supplementare a lambda nelle due calve
meglio conservate: indice di consanguineità).
4.1.2 Dossier Area 4, scheda sito Grotta del Bandito
Questa piccola cavità carsica si apre a 920 metri slm nei Calcari a Calpionella del versante
meridionale del Monte Scogliera. La grotta di difficile accesso è composta da un corridoio
discendente lungo circa 20 m. terminante in una camera e che si articola in 3 piccoli ambienti
separati da stretti passaggi.
La stratigrafia è composta da livelli di stalattiti alternati a sedimenti colluviali, contenenti carboni,
indicanti fasi di maggiore stabilità dei versanti ed episodi di erosione.
La più antica testimonianza di frequentazione umana è fornita da carboni di grosse dimensioni la
cui datazione inserisce nel Mesolitico antico l’accensione di fuochi all’interno della cavità. E’
testimonianza di una frequentazione datata al Neolitico antico, un piccolo focolare acceso a
ridosso della parete ovest della Sala 2, parzialmente inglobato da una concrezione stalagmitica. Si
tratta probabilmente di un bivacco temporaneo.
L’impatto antropico si fa più marcato con il Neolitico medio e recente, come testimoniato dai
numerosi carboni colluviali all’interno della grotta in seguito all’erosione di suoli esterni; questa fu
innescata da probabili disboscamenti intenzionali, finalizzati all’ottenimento di aree aperte per il
pascolo.
Datano al Neolitico recente i resti umani qui rinvenuti, attribuibili ad un minimo di 4 individui, fra cui
almeno un adulto, due adolescenti ed un bambino.
Lo scavo ha restituito scarsi manufatti fra cui 3 frammenti ceramici pertinenti ad un unico recipiente
di piccole dimensioni, con piccoli fori passanti, interpretabile come colino. Tale reperto trova
analogie con forme analoghe rinvenute in livelli pertinenti al Neolitico recente (livelli cultura
Chassey delle Arene Candide- Finale Ligure, Sv), associato alla datazione delle ossa umane,
confermerebbe la cronologia fornita dalle datazioni delle ossa umane.
4.2 Aristocrazia locale, aristocrazia genovese, percorsi di promozione sociale:
4.2.1 I Fieschi
Una delle più importanti famiglie dell’aristocrazia, e della storia, della Liguria, lega il proprio nome a
quello di Sestri Levante fin dall’inizio della sua storia; fonti antiche segnalano una giurisdizione
diretta della famiglia sul territorio sestrese già dal XII secolo, mentre è abbondantemente
documentata la vicenda dell’insediamento di Trigoso. L’abbazia di Sant’Adriano e la villa, poi
proprietà del Conservatorio dei Fieschi, rappresentano un segno forte nella gestione del territorio
sestrese, mentre va delineandosi in maniera netta un ruolo della famiglia nella costruzione e
gestione dell’ospitale di San Nicolao, a Castiglione.
Uno studio minuto relativo al costituirsi delle proprietà Fieschi attorno alla villa ed all’abbazia di
Sant’Adriano è presente nel testo di Firpo 2007, compresa la trascrizione di un regesto
duecentesco di atti legati alle proprietà fondiarie.
Una rappresentazione visiva di grande impatto e dettaglio è poi fornita dalla mappatura realizzata
da Matteo Vinzoni nel 1749 per conto di Domenico Fieschi: si tratta di un cabreo composto da 20
tavole (di cui una dedicata alla pianta della villa di Trigoso), e di una grande carta di Sestri, con
evidenziate le proprietà fliscane, materiali conservati presso il Conservatorio dei Fieschi e di cui si
mettono a disposizione alcune riproduzioni digitali.
La presenza fliscana a Trigoso è oggetto di una delle proposte di percorso sul territorio.
4.2.2 I Durazzo
Per quanto riguarda l’insediamento a Sestri di molte delle più importanti famiglie dell’aristocrazia
genovese, la famiglia Durazzo rappresenta l’esempio forse più caratteristico, per importanza dei
possedimenti e per ruolo nelle vicende cittadine, oltre che sulla scena politica genovese.
Si rimanda agli approfondimenti delle schede Unesco (Allegati digitali – Schede tematiche) sia per
ricostruire la genealogia della famiglia, e soprattutto del ramo presente a Sestri, sia per un’analisi
delle proprietà immobiliari e fondiarie in città.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
55
Anche l’attuale Palazzo Comunale è passato attraverso la proprietà Durazzo; uno studio recente
ha collegato alla famiglia i due grandi dipinti con scene veneziane attualmente esposti presso la
sala del Consiglio Comunale. Si propone quindi in via ipotetica in questa sede di collegare anche
altre opere d’arte conservate a palazzo con la committenza Durazzo; o comunque, anche qualora
si dovesse documentare una diversa provenienza dei beni, si intende presentare il frammento di
quadreria conservata (ma anche altri beni, come i pochi arredi o il sovrapporta Brignole
attualmente conservato in Sala Ocule) come un’efficace esemplificazione di un modo di abitare
nelle grandi residenze di villa (in questo senso, questi materiali sono funzionali anche al tema
generale delle ville aristocratiche).
4.2.3 I Bernabò
I Bernabò rappresentano una vicenda paradigmatica rispetto a come una famiglia di mercanti di
provincia riesca, passo dopo passo, ad aspirare e poi raggiungere i più alti livelli della scala sociale
della repubblica genovese; vicenda particolarmente interessante dal momento che prende le sue
mosse a Sestri Levante, e mantiene una relazione con la città fino al XX secolo.
Per questo motivo si presenta una sintesi testuale della storia della famiglia, che potrà essere
narrata attraverso gli apparati ed una identificazione della presenza sul territorio.
La si presenta inoltre come modello metodologico rispetto all’utilizzo della documentazione
d’archivio.
4.2.4
I Lena “Merica”
La storia della famiglia è incentrata sull’attività armatoriale e sul commercio marittimo di breve,
medio e lungo raggio, attraversa la fase cruciale di passaggio dalla vela al vapore e sfocia infine
nel comando di prestigiose imbarcazioni con rotte per il Sud e per il Nord America all’epoca d’oro
dei transatlantici. La vicenda ha una significativa proiezione nel territorio e nel paesaggio urbano, a
cominciare dalla tomba di famiglia nel cimitero di Riva Trigoso, fino al tondo affrescato nella chiesa
di S. Maria di Nazareth che ricorda uno scampato naufragio e alla lapide dedicata al comandante
Antonio Lena nel borgo rivano.
I materiali provenienti dalle raccolte della famiglia Lena “Merica” possono quindi fornire un
contributo di grande rilevanza alla definizione dei temi da approfondire: come nei secoli precedenti
la storia della famiglia Bernabò, grazie a questa vicenda sarà possibile ripercorrere la
trasformazione economica e sociale che ha attraversato la città nel passaggio dalla fine
dell’Ottocento al dopoguerra.
NOTA: per le caratteristiche della vicenda della famiglia Lena, temi e contenuti sono richiamati
anche nella sezione “Percorsi di terra e di mare”
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Approfondimenti > VIII. Schede tematiche
Allegati digitali > Approfondimenti > XX. Scheda famiglia Bernabò
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C4
Allegati digitali > Materiali > Allegato A (Beni culturali mobili Comune di Sestri Levante)
Allegati digitali > Approfondimenti > XIX Materiali Famiglia Lena
4.3 Dinamiche demografiche e trasformazioni sociali: la vita quotidiana a Sestri
attraverso i secoli
Raccontare la storia di Sestri Levante attraverso quella delle famiglie più celebri originarie della
città o che vi hanno risieduto, pur rappresentando un efficace strumento di lettura, rischia di
lasciare in ombra “gli altri”, le persone che senza percorrere un vertiginoso cursus honorum, senza
accumulare fortune o costruire ville sontuose, hanno condotto la propria fatica quotidiana lungo i
vicoli del borgo, le creuze di campagna, i sentieri fra le fasce attorno al paese.
Sembra quindi importante, attraverso le fonti note e l’interpretazione che ne può essere data,
provare a ricostruire la vita delle persone comuni che nei secoli hanno abitato Sestri.
Al di là dell’interpretazione attraverso gli apparati dei dati documentali e statistici disponibili, per il
quali si rimanda allo Studio di fattibilità museale, dalle prime foto della raccolta Borasino di fine
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
56
Ottocento, al libro di Montanari – Baraldi dei primi anni Ottanta, alle molte raccolte di memorie
familiari e di quartiere, i materiali fotografici possiamo permettere di documentare le “facce dei
sestrini”. In particolare, rispetto al fondo Borasino, si segnala come un cospicuo numero di lastre
relative a ritratti realizzati nello studio del fotografo siano attualmente nelle disponibilità del
Comune.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C5, C6 e C10
4.4 Ville e famiglie a Sestri Levante; il sistema delle ville e loro organizzazione
Come è ormai acquisito dagli studi da tempo, il sistema delle residenze aristocratiche, urbane e
suburbane, rappresenta un elemento di definizione imprescindibile del paesaggio sestrese. Se
infatti la presenza delle grandi residenze “di ozio” nell’area del Borgo e lungo le due Baie segna in
maniera indelebile il tessuto del centro urbano, le ville rurali dell’interno (nel doppio significato di
residenze e di frazioni agricole dell’entroterra), con il loro sistema di poderi e le loro attività di
produzione, non solo determinano l’organizzazione del territorio, ma giocano un ruolo nello
sviluppo economico della città.
Le ville sono ancora prevalentemente di proprietà privata; è quindi possibile proporre un itinerario
sul territorio che le riguardi soprattutto dall’esterno (cfr. allegati, percorsi e documentazione
iconografica relativa; si richiama peraltro il riferimento al testo di Tonini 1983).
Per quanto riguarda le ville del Borgo, e quelle pertinenti la famiglia Durazzo, si rimanda agli
approfondimenti contenuti della documentazione Unesco, con particolare attenzione agli studi di
Susanna Canepa.
Per ricostruire proprietà, fondi, ed in alcuni casi tipologia di produzione agricola, una fonte
iconografia fondamentale rimane il Catasto Napoleonico; si segnala poi l’importante rilevazione
cartografica delle proprietà Fieschi, per la quale si rimanda al paragrafo dedicato alla famiglia.
Un caso particolare è poi quello dell’attuale Palazzo Comunale, che in questo senso diventa tappa
privilegiata per il percorso nel centro storico, (nella consapevolezza che la guerra prima, e i
restauri poi hanno probabilmente compromesso irreversibilmente la possibilità di leggere l’edificio,
e quantomeno i suoi interni, nelle sue componenti originarie): è conservato l’atto di vendita
dall’ultima proprietari, la marchesa Negrotto Cambaso, all’Ente Morale Fascie e quindi al Comune.
Considerato il legame del Palazzo con la famiglia Durazzo, si rimanda al paragrafo relativo per una
ulteriore messa a fuoco del tema.
.
• Materiali a disposizione
Allegato digitale > Approfondimenti > VIII. Schede tematiche
Allegato digitale > Materiali > Iconografia C2 e C4
Allegato digitale > Materiali > Fonti Archivistiche Inedite Sestri l. D1
Allegato digitale > Approfondimenti > IX.Foto Percorsi
•
•
PERCORSO: Famiglie e ville
PERCORSO: Il caso dei Fieschi
4.4.1 Le fiere di cambio
Fra 1692 e primi del Settecento Sestri Levante ha ospitato sovente le periodiche fiere di cambio,
vale a dire, semplificando molto, gli appuntamenti in cui i principali banchieri d’Europa si
incontravano per regolare e riordinare le reciproche competenze. Si trattava di momenti
fondamentali per la vita finanziaria dell’intero continente, durante i quali venivano anche
confermate e consolidate le fortune, ed il prestigio, dei banchieri genovesi.
La figura del banchiere genovese, nell’organizzazione sociale della Repubblica di Genova,
coincide in genere con quella del grande aristocratico; si ritiene quindi opportuno trattare di questo
tema, da cui non si può prescindere, per quanto lo si possa narrare esclusivamente attraverso
documenti ed informazioni testuali; tanto più che è opinione diffusa che il fatto che questi
importanti appuntamenti si siano svolti per un certo periodo a Sestri abbia influito nella scelta della
città, per la costruzione delle proprie residenze di villeggiatura, da parte di molte delle famiglie
dell’aristocrazia genovese.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
57
Si rimanda alla scheda di approfondimento per quanto riguarda i meccanismi di funzionamento
delle fiere.
• Materiali a disposizione
Allegato digitale > Approfondimenti > XXII.Le fiere di cambio
4.5 Minatori a Masso
A Masso, nell’ambito della tematica generale riguardo al ruolo delle famiglie, sarà possibile narrare
la vita in miniera nell’Ottocento, attraverso documenti, testimonianze dirette, oggetti e materiali,
tracciando la storia di una famiglia di minatori, i Minolli.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Approfondimenti > XV.Scheda su Masso; VI.Castiglione Cronologia e XXI.
Scheda Famiglia Minolli
Allegati digitali >Materiali> Iconografia C2 (ASG Catasto Napoleonico)
4.6 Archeologia della religiosità precristiana
In Liguria grandiose sono le testimonianze di culti e riti dal III millennio, basti pensare alle incisioni
del Monte Bego, dove pastori dell’età del Rame hanno lasciato tracce della loro religiosità rivolta
alle divinità celesti e montane, alle statue stele della Lunigiana legate alla marcatura del territorio
da parte delle comunità che lo andavano addomesticando, alle punte di freccia rinvenute sul monte
Aiona, che sono interpretate com offerte alla divinità, alla frequentazione della sommità del monte
Dragnone e di altri rilievi appenninici, dove, le frequentazioni di età protostorica proseguono fino
all’edificazione di santuari cristiani.
Le punte di freccia di Monte Aiona sono prodotte con diaspro rosso; frecce di raffinata fattura, simili
a quelle del Monte Aiona, quasi certamente confezionate con diaspro di Valle Lagorara, fanno
parte del corredo funerario della Tana Da Prima Ciappa di Val Frascarese. Si tratta di una tomba
secondaria, usata per almeno 5 secoli da un gruppo famigliare (o clan).
L’ubicazione particolarmente recondita della grotta è indicatore di una dettagliata conoscenza del
territorio, come dimostrato del resto dalla conoscenza delle materie prime. Si tratta dunque di
comunità persistenti sul territorio.
Non è privo di significato che la grotta sepolcrale sia ubicata in una formazione di calcare
emergente dalla valle, ben visibile dalla miniera di Monte Loreto. Saranno stati qui sepolti i
minatori?
I Liguri preromani, come riferito dagli storici antici avevano le loro divinità sui monti, ciò è
documentato dalle offerte di materiali pregiati rinvenuti sulla sommità di monte Dragnone , cima
non particolarmente elevata, ma ben individuabile e visibile da un ampio territorio e tutt’ora sede
ogni settembre di una festa di 3 giorni dove sacro e profano si mescolano in maniera significativa.
Il più imponente monumento dei Liguri preromani giunto fino a noi nella regione eponima, è la
necropoli di Chiavari (cfr sopra), dove si praticava la cremazione, pratica funeraria caratteristica dei
Liguri preromani fino dalla Tarda Età del Bronzo (la necropoli di Chiavari è in esposizione al Museo
per la Preistoria e Protostoria del Tigullio di Chiavari).
4.6.1 Dossier Area 4 scheda sito Tana Da Prima Ciappa - Val Frascarese, (vedi sopra)
4.6.2 Dossier Area 4 scheda sito Monte Aiona
Durante le indagini condotte sulla sommità del Monte Aiona da Osvaldo Baffico sono state
rinvenute in superficie numerose punte di freccia in diaspro rosso e selce bianca, appartenute ai
cacciatori e pastori dell’età del Rame/Bronzo Antico.
Il rinvenimento di queste punte di freccia ad un’altitudine di quasi 1800 metri slm, lascia aperta la
suggestiva ipotesi di un utilizzo simbolico-rituale di questi manufatti, legato a manifestazioni cultuali
di offerta delle vette.
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4.6.3 Dossier Area 3 scheda sito Necropoli di Chiavari
Scoperta nel 1959 e scavata tra il 1960 ed il 1969, la vasta necropoli ad incinerazione di Chiavari
era organizzata in un articolato e monumentale sistema di recinti litici e tombe a cassetta,
contenenti le sepolture (in totale 126 tombe).
I recinti, di forma circolare e quadrangolare, contenevano una o più cassette litiche (con 4 lastre
laterali ed una di copertura) entro cui venivano deposte le urne cinerarie con gli elementi di
corredo. I recinti risultavano aggregati in 3 gruppi: nello spazio libero tra 2 di essi sono venute in
luce le tracce dei roghi funebri, che dovevano superare la temperatura di 700 °C.
I corredi sono ricchi di oggetti metallici per i quali si suggerisce la provenienza locale. I corredi
sono nettamente distinguibili in maschili, contraddistinti da oggetti di ferro, soprattutto armi da
difesa (punte e puntali di lancia, coltelli, un’accetta, ..), rasoi, oggetti di ornamento e femminili,
ricchi di oggetti di bronzo (spille, collane e pendagli, borchie di varia forma), ornamenti in oro e
argento, perline in pasta vitrea, fusaiole.
L’arco cronologico di utilizzo della necropoli va dal 750-720 a.C (seconda metà VIII secolo a.C.),
fino al 625 a.C. (terzo quarto del VII secolo a.C.).
La presenza, all’interno dei corredi della necropoli, di numerosi oggetti d’importazione provenienti
dall’area medio-tirrenica (soprattutto ceramiche di bucchero di provenienza pisano-versiliese, ma
anche dall’Etruria merdionale), testimonia una significativa e intensa frequentazione da parte degli
Etruschi, forse anche residenti. Non mancano imitazioni in impasti a gabbri (di provenienza locale)
di ceramiche etrusche. Una tazza (kylix) di produzione o imitazione protocorinzia e gioielli d’oro di
stile fenicio allargano l’orizzonte commerciale, benché allo stato attuale sia impossibile discernere
fra contatti diretti e mediazione etrusche.
La presenza nei corredi sepolcrali di numerose armi di ferro, tra cui lance da campo inadatte al
territorio locale, e finimenti di cavallo, suggerisce l’esercizio del mercenariato.
L’abbondanza di oggetti in bronzo di buona fattura indica un buon standard manifatturiero,
compatibile con l’estrazione del rame dai giacimenti della Val Petronio (vedi siti di Libiola e Monte
Loreto).
La necropoli è stata costruita su una spiaggia che si affacciava su un braccio di mare, riparato da
una barra costiera, situazione ideale per l’alaggio di barche da cabotaggio per il carico/scarico
merci. Inoltre, la necropoli è stata costruita sopra uno strato contenente migliaia di frammenti di
recipienti di terracotta dell’Età del Bronzo Tarda e Finale (XIII-X secolo a.C.).
Sembra quindi che, fin dalla Tarda Età del bronzo, prima del sorgere della civiltà etrusca e della
sua rete commerciale, il particolare ambiente naturale, formatosi a Chiavari con la risalita
postglaciale del mare, consistente in un braccio di mare lagunare protetto da una duna costiera,
sia stato utilizzato per l’alaggio di barche da cabotaggio.
4.7 La cristianizzazione del territorio e la vita religiosa a Sestri Levante
Per l'area del Tigullio le ricerche della Soprintendenza e dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri
hanno evidenziato una “rete” di insediamenti rurali sparsi, in stretto legame con gli abitati costieri e
sorti spesso in età tardo antica, attorno o nelle vicinanze dei principali edifici di culto; in particolare,
attorno alle “ecclesiae baptisimales”, quelle che si denomineranno “pievi” a partire dall'età
medievale.
Per il periodo più antico si ricordano numerose chiese, dalla tipica intitolazione a santi la cui
devozione era particolarmente diffusa in ambito ambrosiano, e tradizionalmente attribuite (senza
tuttavia riscontro archeologico) a una diretta fondazione dei vescovi milanesi, profughi a Genova
dopo l'invasione longobarda nella seconda metà del VI secolo.
E' il caso di S. Ambrogio di Uscio e SS. Gervasio e Protasio a Rapallo e, per quanto riguarda
Sestri Levante, della chiesa di Santo Stefano “del Ponte” (anche se l'ubicazione della chiesa
paleocristiana dovrebbe essere non presso il ponte medievale attuale ma più spostata lungo la
strada “romana”); si tratta peraltro di edifici di culto attestati nei documenti solo a partire dal X - XI
secolo.
Analogamente, su basi toponomastiche o agiografiche, si è dato molto rilievo all'esistenza di una
“maglia” di insediamenti fondati dai monaci bobbiesi, a partire dalla dominazione bizantina della
Liguria (V-VI secolo) e diffusi capillarmente in età longobarda , “cellae” citate dalle fonti scritte a
partire dall'VIII-IX secolo cui non corrispondono certe evidenze archeologiche. Si tratta di chiese
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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spesso “a coppia”, una di dedicazione longobarda, l'altra bizantina, diffuse a seguito delle “correnti
missionarie” dei monaci di Bobbio, con il compito di “evangelizzare” la popolazione dopo
l'invasione longobarda.
A Sestri Levante, oltre al primo abitato di età paleocristiana, che doveva sorgere attornio a S
Stefano del Ponte, restano certi “indizi” di edifici di culto legati all'Altomedievo:
1) la cappella di S. Anna, alle Rocche, dove scavi degli anni ottanta (inediti) hanno rivelato
stratigrafie precedenti al Mille (forse una prima chiesetta legata alla frequentazione altomedievale
della “strada romana”, nel suo tratto originale visibile proprio in quella zona).
2) la chiesa di S. Nicolò dell'Isola, di certa fondazione antica, con un pluteo decorato a crocette ed
elementi floreali, reimpiegato nel portale laterale (VIII-IX secolo)
Vanno inoltre considerate numerose altre fondazioni del primo Medioevo (secc. XI-XII)
dell'entroterra, ad esempio la chiesa e il Convento di S. Lorenzo a Verici (oggi in Comune di
Casarza), collegate ad insediamenti agricoli e piccoli nuclei abitativi rurali.
Dal punto di vista dei documenti, rimandando ai lavori di Belgrano (1867, 1870), Ferretto (1908),
Gatti (1979), Polonio (1988 e 2002): si identificano alcune citazioni antiche riguardanti la città (una
terra in Sestri è citata nel Diploma di Berengario del 909), riferimenti alla data di fondazione o ad
antiche attestazioni documentarie relative alle chiese, alla loro dotazione di terre, alla fondazione di
alcuni insediamenti conventuali, alla presenza in Sestri di terre di proprietà della chiesa genovese
Per venire alla concreta organizzazione sul territorio degli insediamenti religiosi, si è scelto di
indicare l’itinerario sul territorio come via prioritaria alla scoperta di questo patrimonio, indicando un
percorso che tocchi i principali insediamenti religiosi della città. Si rimanda agli allegati di
approfondimento per quanto riguarda le caratteristiche storico artistiche.
L’analisi delle relazioni collegate alle visite pastorali (in gran parte edite) permette poi di identificare
una sorta di mappa di chiese, monasteri, cappelle e oratori, collegati alle confraternite, fra esistenti
e distrutti.
Parlare di vita religiosa in città conduce inoltre inevitabilmente a parlare di celebrazioni religiose.
Al di là delle fonti documentarie disponibili, e di un doveroso richiamo alla devozione verso il Santo
Cristo, conservato nella parrocchiale di Santa Maria di Nazareth, il tema della devozione popolare,
con particolare attenzione alle processioni, è soggetto di interessantissimi nuclei fotografici, sia
nella collezione Borasino che nella Andriesse e nella Bo
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Approfondimenti > IX.Foto Percorsi
Allegati digitali > Approfondimenti > VIII.Schede tematiche
Allegati digitali > Materiali > Iconografia C5 e C10 e C12
•
PERCORSO: Chiese, conventi, oratori: vita religiosa a Sestri Levante
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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10. APPENDICE I: Il Cavalier Vincenzo Fascie e Sestri Levante
Il polo sestrese del Sistema Museale è ospitato nel Palazzo Fascie Rossi, parte del lascito che
Vincenzo Fascie destinò al Comune di Sestri Levante nel 1921.
Oltre al palazzo, il Fascie assegnò al Comune la rendita di tre stabili di appartamenti in Roma, con
il vincolo di usare i proventi per migliorare ed abbellire il centro di Sestri Levante. Il suo testamento
riporta poi una serie di ulteriori note e disposizioni minute e curiose.
Per amministrare il patrimonio, venne creato l’Ente Morale Lascito Fascie, che per anni ha
rappresentato un supporto insostituibile nella vita e nella crescita della città, promuovendo
operazioni urbanistiche, sociali, perfino religiose (dipende dal lascito l’edificazione della nuova
chiesa di Sant’Antonio); è grazie ai fondi del Lascito che il Comune potè acquisire il Palazzo
Durazzo Pallavicni, presso il quale era in locazione da decenni.
Per documentare la vicenda di Vincenzo Fascie sono disponibili due ritratti, un busto ed un dipinto;
il diploma di cavaliere; la copia a stampa del testamento. Sono inoltre disponibili molti documenti
pertinenti le attività dell’Ente Morale.
• Materiali a disposizione
Allegati digitali > Materiali > Allegato A (Beni Culturali Sestri L.)
Allegati digitali > Materiali > Allegato D2
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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11. APPENDICE II: Riepilogo Iconografia Sestri Levante
Si riepiloga in questa sezione conclusiva il patrimonio disponibile rispetto all’immagine di Sestri
Levante nel tempo, anche a completamento delle informazioni presentate in calce alle singole
sezioni tematiche. Si richiama quanto indicato in introduzione rispetto ai diritti di riproduzione delle
immagini.
Si rammenta che il testo di riferimento rimane Sestri Levante, iconografia e fasti, curato da
D.Roscelli nel 1979, i cui risultati si considerano ripresi in toto.
Cartografia
Come già segnalato, si è provveduto a riprodurre le carte conservate presso l’Archivio di Stato di
Genova e non pubblicate nel testo di Roscelli ed in Tonini 1983; a quel corpus va aggiunto il
piccolo numero di vedute reperite presso l’Archivio dell’Istituto Idrografico della Marina, ovvero tre
vedute ottocentesche, di cui almeno un ad un livello di dettaglio sufficiente a permettere un’analisi
approfondita delle modificazioni del tessuto urbano.
Si richiamano poi i due rilievi vinzoniani delle proprietà di Domenico Fieschi, entrambi di
grandissima qualità e dettaglio.
Si tornano quindi a richiamare le carte dell’arch. Bellati relative al piano regolatore degli anni
Trenta.
Dipinti, disegni, acquerelli
Non si intende in questa sede censire ogni rappresentazione relativa a Sestri Levante poiché,
com’è del tutto evidente, esse possono essere moltissime, soprattutto a partire dall’Ottocento.
Ci si limita quindi a segnalare alcuni elementi:
- poiché Sestri Levante, come molte località della riviera, era tappa di passaggio del Grand
Tour, è stata rappresentata più volte dai viaggiatori che, spesso da dilettanti, volevano
portare con sè una memoria dei luoghi visitati. Rientra probabilmente in questo caso la
veduta di Elizabeth Jenkins del 1842, conservata al Victoria and Albert Museum di Londra e
pubblicata in Poleggi 1977;
- se invece facciamo riferimento al vedutismo genovese ottocentesco, Sestri è stata
raffigurata da P.D. Cambiaso nel corso del suo viaggio lungo la riviera di Levante, che ci ha
lasciato immagini di grande bellezza di tutte le località costiere; non fanno eccezione le
vedute di Sestri che è stato possibile rintracciare in riproduzione;
- in alcuni casi Sestri è stata rappresentata da artisti di grande livello; richiamiamo
quantomeno una bellissima veduta del ponte di Santo Stefano di J.H. Fragonard del 1773,
attualmente conservata al Musée des Beaux Arts di Besançon, e una ripresa di un uliveto
di John Ruskin, datata 1845 e conservata presso l’Ashmolean Museum di Oxford.
Una vicenda a parte è quella rappresentata dall’unica edizione del Premio Sestri.
Secondo la formula del premio-acquisto, diffusa specialmente dal secondo dopoguerra su tutto il
territorio nazionale, nel 1952 anche Sestri Levante istituisce il suo Premio di Pittura, per iniziativa
del Comune e dell’Azienda di Soggiorno. Negli intenti originari, comuni ad altri esperienze similari,
il premio avrebbe avuto un seguito nel tempo contribuendo a costituire – nelle intenzioni – il nucleo
di una collezione pubblica. Invece, seguendo il destino comune ad altre rassegne, anche il Premio
di Pittura Sestri Levante resta una caso unico, fermo a una sola annata. Documentano questa
notevole manifestazione, oltre che le testimonianze dei protagonisti di allora, come, per esempio,
quelle del comandante partigiano Giovanni Battista Canepa “Marzo”, scrittore e amico di artisti
(Canepa 1952), un piccolo gruppo di dipinti tra quelli allora premiati e tutt’oggi di proprietà
dell’Amministrazione Comunale di Sestri Levante (cfr. Elenco dei beni culturali …. nn. 31-35). Si
tratta di un corpus di estremo interesse, non solo per la qualità degli autori rappresentati oramai
unanimemente riconosciuti tra i protagonisti dell’arte contemporanea, da Paulucci a Savin, ma
anche per l’inedita iconografia del borgo che essi, attraverso gli scorci rappresentati, ci
suggeriscono e ci riportano alla memoria.
Raccolte fotografiche e filmati
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Il Comune di Sestri Levante può contare sulla disponibilità di alcuni eccezionali fondi fotografici,
che possono rappresentare con una ricchezza non usuale la città e i suoi abitanti fra la fine
dell’Ottocento e almeno gli anni Settanta del secolo scorso.
Il primo riferimento è al corpus delle lastre e delle stampe della collezione Borasino. Si tratta di
circa un migliaio di scatti, che rappresentano con vivo senso veristico la città e i suoi abitanti fra il
1870 e il 1940 circa.
Un blocco di circa duecentocinquanta lastrine, prevalentemente dedicate a ritratti e provenienti da
quel fondo, è ora conservato presso il Comune di Sestri Levante.
Recente acquisizione dell’amministrazione è poi la raccolta di Emmy Andriesse, fotografa olandese
che racconta Sestri Levante e soprattutto i sestrini alla fine degli anni Cinquanta, con un’attenzione
particolare al mondo del lavoro, soprattutto della pesca, e a quello dei bambini.
Due fondi che contengono fotografie della città sono conservati presso l’Archivio Fotografico del
Comune di Genova, fra cui si segnala per l’eccezionale qualità il fondo otto-novecentesco di
immagini di A.Noack.
Infine, è stato possibile identificare alcune immagini di Sestri Levante anche presso il
fondamentale archivio Alinari di Firenze. La ricerca è stata effettuata attraverso alinariarchives.it,
che permette di acquistare a fini non editoriali le immagini; evidentemente in caso di utilizzo delle
immagini per il museo si potrà provvedere a contattare l’Archivio per capire meglio le modalità di
riproduzione.
La ricerca ha prodotto15 risultati, alcuni dei quali riferiti ad altre raccolte note (Noack, TCI); più
interessanti le foto proprie dei Fratelli Alinari, datate 1915 -1920:
• una vista dell’Annunziata da Punta Manara;
• un’immagine della pineta sulla punta della penisola con visibili le mura;
• la Baia di Ponente ripresa dall’Isola, anche in questo caso con visibili le mura.
Per quanto riguarda le immagini filmate, attraverso una facile registrazione è stato possibile
accedere all’archivio, digitalizzato in bassa definizione, dell’Istituto Luce. Per l’elenco integrale dei
filmati reperiti cfr. Allegati
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12. Una proposta di collocazione dei contenuti del Sistema Museale
Si forniscono di seguito alcune indicazioni generali rispetto alla collocazione dei contenuti negli
spazi del Sistema, che potranno essere oggetto di motivate modifiche in sede di progettazione. Si
rammenta che il polo di Riva Trigoso, di futura realizzazione, non è oggetto del presente
intervento, ma andrà tenuto presente come elemento costitutivo del Sistema stesso (cfr. paragrafo
“Spazi a disposizione”).
Nel delineare le soluzioni espositive per ogni singola sede ed ogni singolo tema, sarà peraltro
necessario prevedere strumenti e rimandi che permettano al visitatore di accedere facilmente al
disegno complessivo del progetto culturale e del percorso espositivo proposti, da qualsiasi punto
essi vengano approcciati.
Per coerenza riguardo alla storia di Riva Trigoso, ed alla collocazione della futura sede museale
lungo la spiaggia, si suggerisce di destinare a quella sede i contenuti relativi alla cantieristica, al
leudo, e, quasi inevitabilmente, a Fincantieri. Questa prima indicazione, peraltro, porta a
sottolineare quanto i temi della narrazione museale (e le relazioni fra di essi) siano intrecciati e
sovrapposti: un leudo è presente anche sulla spiaggia di Sestri Levante e Fincantieri, per come
riguarda anche il tema della vita operaia della città, può essere efficacemente trattato o ripreso
anche a Sestri.
Del resto, la resa della pienezza delle relazioni, che sarà evidenziata in sede di progetto,
rappresenterà una delle sfide più interessanti per le soluzioni museografiche.
Sempre per coerenza interna ed omogeneità museologica, si suggerisce di destinare lo spazio di
Masso all’archeologia ed alla storia delle attività estrattive nell’area del sito archeominerario di
Monte Loreto, fra preistorico e moderno.
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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13. I percorsi sul territorio
Il Sistema Museale Sestri Levante - Castiglione Chiavarese si propone di rappresentare uno
strumento di conoscenza ed interpretazione del territorio che fa capo alle sedi museali fisiche, tale
per cui il visitatore dei poli del Sistema dovrà considerare il proseguire la visita al di fuori delle sedi
espositive come il naturale compimento dell’esperienza.
Per questo, si presentano in allegato alcuni percorsi possibili, legati alle tematiche evidenziate
nell’esposizione dei contenuti del Sistema, a partire dai siti archeologici da cui provengono reperti
ed informazioni presentati nelle sedi del sistema.
Informazioni ed approfondimenti sui percorsi potranno essere affidati a supporti di diversa natura: i
concorrenti dovranno fornire delle linee guida e delle indicazioni progettuale per la fruizione dei
percorsi nel loro complesso e per la valorizzazione delle singole tappe.
Nell’individuare i più idonei strumenti di fruizione, i concorrenti potranno tenere presente che il
territorio di Sestri Levante è dotato di una rete wireless pubblica ad accesso gratuito.
Come nel caso dei nuclei espositivi, ci sono percorsi che si prestano ad essere letti sotto più di un
punto di vista, e per questo potranno essere oggetto della interpretazione e della creatività dei
concorrenti, anche superando o modificando i collegamenti proposti.
I percorsi presentati proseguono, quando non coincidono, con la rete sentieristica e naturalistica
che attraversa la Val Petronio; si rimanda in tal senso allo specifico progetto di valorizzazione
promosso dall’Amministrazione Comunale di Castiglione Chiavarese (Cfr. Allegati)
Per ogni sito, o itinerario fra più siti, vengono presentate indicazioni rispetto a:
- sintetiche notazioni di carattere scientifico (cronologia principale e breve descrizione, non
ritenendo necessario in questa sede un maggiore approfondimento);
- tematiche di collegamento con il percorso museale;
- modalità di raggiungibilità attuale dei siti;
- presenza o meno ad oggi di apparati e strutture di fruizione di varia natura e loro condizioni di
conservazione;
- esistenza di recenti materiali divulgativi (esclusa quindi la bibliografia scientifica);
- laddove necessario: proposte di intervento per migliorare o permettere la fruizione dei siti.
Percorsi di carattere archeologico:
1. Itinerario della Val Frascarese (Castiglione Chiavarese)
2. Ospitale di San Nicolao (Castiglione Chiavarese)
3. Miniera di Libiola (Sestri Levante)
4. Itinerario di Bargone - Pian del Lago (Casarza Ligure)
5. L’area estrattiva di Valle Lagorara (Maissana)
Percorsi sul territorio di Sestri Levante:
6. Riva Trigoso
7. Lungo le due Baie
8. Famiglie e ville
9. Il caso dei Fieschi
10. Chiese, conventi, oratori: vita religiosa a Sestri Levante
Percorsi che toccano sia Sestri Levante che Castiglione Chiavarese
11. Fortificazioni e difese
12. Antiche vie
13. Terra di contadini
Per la descrizione dei percorsi e delle loro articolazioni, si rimanda alle schede in allegato
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14. I Servizi
Nell’identificare i servizi di cui il Sistema Museale potrà e dovrà dotarsi, si riprende l’indicazione di
massima (vedi paragrafo precedente “Definizione degli spazi…”) ad individuare presso il polo di
Palazzo Fascie di Sestri Levante la sede più adatta per il management e la programmazione delle
attività comuni.
Ufficio per lo staff del Sistema Museale
In questa sede si potrà prevedere un’area pari a circa 40 mq per le attività organizzative,
amministrative, di ricerca e per il centro di documentazione interno (vedi paragrafo seguente
“Servizi per la conservazione, la ricerca e la comunicazione”), con relativi arredi ed
attrezzature, ivi compreso l’allestimento di tre postazioni di lavoro. Le altre sedi a disposizione
del Sistema e in particolare nell’ex edificio scolastico di Masso (Castiglione Chiavarese) e, in
futuro, il complesso denominato ex canterino di Riva Trigoso, andranno dotate di relative
postazioni di lavoro informatiche, per agevolare il contatto e la sinergia operativa tra questi
diversi poli del Sistema e tra quest’ultimi e le altre realtà del territorio.
Servizi per la conservazione, la ricerca e la comunicazione
- Servizio inventario e catalogo
• Il Sistema dovrà dotarsi in primis di un inventario di tutti i beni mobili che verranno musealizzati;
esso sarà lo strumento giuridico principale del museo, così come normato dal Codice Civile.
• Parallelamente avvierà la catalogazione dei beni. Il catalogo consiste nell’organizzazione
sistematica dei dati materiali, delle conoscenze scientifiche e dello status amministrativo del bene
culturale. Inventario e catalogo sono i due strumenti basilari del Sistema e verranno strutturati
secondo gli standard ICCD (Istituto centrale per il catalogo e la documentazione); verranno quindi
inseriti nel Sistema di Inventario e Catalogo regionale.
Questi servizi saranno agevolmente associati ad una delle tre postazioni informatiche a
disposizione dell’Ufficio per lo staff del Sistema, sito in palazzo Fascie.
- La Fototeca si compone di:
• Sezione corrente (fotografie per studio, catalogo, allestimenti, ecc.)
• Sezione conservazione (fondi antichi relativi alle collezioni del museo, originali, stampe, lastre,
ecc.).
Vista l’entità delle acquisizioni recenti di materiale fotografico da parte dell’Amministrazione
Comunale di Sestri Levante (es. foto E. Andriesse), e la possibilità di avviare collaborazioni con
numerosi e significativi archivi fotografici privati presenti sul territorio, si segnala l’esigenza primaria
di dedicare a questo servizio spazi adeguati, permettendo così di avviarne l’organizzazione nel
rispetto degli standard ICCD. Anch’essi andranno previsti nelle forme modulari e flessibili
includendo, sempre all’interno dei 40 mq circa riservati all’Ufficio dello staff del Sistema, almeno
una cassettiera orizzontale adeguata a ospitare i diversi formati dei materiali fotografici.
- Deposito formati cartacei (cartografia, disegni, lucidi, ecc. relativi al patrimonio delle collezioni
museali)
Almeno nelle fasi iniziali dell’attività, vista l’esigua consistenza di materiali di questa specifica
tipologia pertinenti il patrimonio del Sistema, si potrà prevederne la coabitazione nella porzione di
spazi già dedicata al servizio di Fototeca di cui sopra.
- Archivio
• Istituzione e servizio di protocollo corrente in una delle tre postazioni informatiche, corredate da
relativi registri cartacei, da istituire della sede di palazzo Fascie presso l’Ufficio per lo staff del
Sistema.
- Biblioteca, emeroteca, videoteca, mediateca; servizio documentazione:
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Nell’economia generale degli spazi del Sistema, questo settore, andrà strutturato in coordinamento
con la Biblioteca Civica Fascie Rossi che è già attiva su un analogo servizio.
In particolare, sia i provvedimenti preliminari che caratterizzano questo ambito (ingressatura libri,
riviste, formati digitali e video, catalogazione, servizio riproduzioni, ecc.), sia le politiche di
acquisizione nuovi materiali (campagne acquisto libri, video; accettazione donazioni, ecc.)
andranno vagliate e, previo accordi, eventualmente attuate, in collaborazione con i servizi
bibliotecari comunali.
- Servizio prestiti e mostre temporanee
Nell’organizzazione degli arredi degli spazi destinati all’Ufficio per lo staff del Sistema, e in
particolare nella sede di palazzo Fascie, si raccomanda di tenere presente la massima flessibilità
anche per consentire, nelle occasioni in cui si movimenteranno opere in arrivo e/o in uscita dal
museo, lo svolgimento delle relative procedure. Per esempio, almeno due delle tre postazioni di
lavoro computate in circa 40 mq, se organizzate in strutture modulari e flessibili, potranno essere
momentaneamente spostate su un’unica superficie da utilizzarsi all’uopo, liberando spazio per la
movimentazione opere.
Si potrà procedere analogamente per la registrazione delle opere in uscita e in entrata al museo in
occasione di mostre temporanee, per la verifica delle eventuali autorizzazioni ministeriali e
dell’ente proprietario, per la compilazione delle relative “schede sanitarie”, per l’organizzazione
dell’accompagnamento delle opere (sicurezza, eventuali “scorte armate” e predisposizione
dell’accompagnamento da parte del personale museale delle singole opere), nonché per il
riscontro delle specifiche polizze assicurative (“da chiodo a chiodo”), dell’imballaggio e del sistema
di trasporto.
- Servizi di conservazione e restauro:
• redigono e aggiornano le “schede conservative”;
• monitorano i parametri ambientali e gli standard di conservazione dei singoli beni (controlli
fotometrici, controllo della luce naturale, dei contenitori espositivi, ecc.);
• programmano gli interventi di conservazione e di restauro
Anche l’entità di questo settore andrà calibrata, sia sulla reale selezione di opere destinate alla
musealizzazione, sia ai manufatti dati in deposito al Sistema. Nella fase iniziale dell’attività del
Sistema, il servizio potrà essere identificato in una delle tre postazioni di lavoro informatizzate
previste nell’Ufficio per lo staff di palazzo Fascie.
- Servizi informatici
Anche in considerazione dell’alto livello di competenze espresso dal Servizio Informatica del
Comune di Sestri Levante, si evidenzia la possibilità di condividere ed integrare questo servizio al
fine di ottimizzare l’utilizzo degli strumenti informatici, dai singoli software per le applicazioni
comuni alla gestione e implementazione di data-base legati alla conservazione, alla gestione dei
terminali e delle periferiche; un’attenzione specifica dovrà poi essere dedicata al sito internet del
museo (cfr. paragrafo “Comunicazione”) ed al suo aggiornamento.
Servizi per il pubblico:
Il Sistema Museale intende sviluppare la propria attività come un museo vivo, aperto, coinvolgente,
rivolto al pubblico. Per questo dovrà prevedere e sviluppare un programma di attività di vario
genere, che comprendano:
• Servizi didattici destinati alle scuole, anche prevedendo esperienze e modalità di lavoro
diversificate per le scuole del comprensorio e per quelle provenienti da più lontano, e compresa la
formazione e l’aggiornamento per gli insegnanti;
• Laboratori didattici ludico-sperimentali;
• Didattica “speciale” destinata ai fruitori diversamente abili;
• Servizi didattici destinati al pubblico degli adulti, quali corsi di formazione o cicli di visite guidate
tematiche
• Organizzazione di cicli di conferenze, presentazione di restauri, di libri, ecc., collegati alle
collezioni, alla storia del territorio, ad approfondimenti trasversali
• Organizzazione di eventi culturali multidisciplinari
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• Creazione di postazioni e condizioni che permettano le attività di studio e di approfondimento da
parte di studenti, ricercatori, ma anche visitatori particolarmente motivati, attraverso l’accesso a
banche dati o altri strumenti che diano accesso all’intero corpus delle collezioni e delle conoscenze
del Sistema Museale; situazioni di studio che potranno essere collocate fisicamente al secondo
piano di Palazzo Fascie in continuità ed integrazione con i servizi erogati dalla Biblioteca Civica.
Per la realizzazione di tutte queste attività si prevede di attivare ogni qualvolta sia possibile la
collaborazione con le associazioni presenti sul territorio.
Accanto a questo dovranno essere permanentemente attivi servizi di didattica museale relativa alle
collezioni e ai percorsi tematici (aggiornamento e revisione di pannelli, cartellini, schede di sala,
ecc.).
Per quanto riguarda invece i servizi di accoglienza, essenzialmente si tratterà di:
• area di accoglienza: gestione della biglietteria, del guardaroba, del punto di accoglienza e di
informazione; eventuale area di accoglienza gruppi, ecc.;
• gestione del bookshop con vendita di guide e materiale editoriale di produzione propria, editoria
specialistica, libri per ragazzi, merchandising, riproduzioni d’arte, manufatti dell’artigianato locale e
prodotti del territorio;
• prenotazione di visite guidate
Per quanto riguarda le sedi di cui il Sistema dispone a Sestri Levante e a Riva Trigoso, disposte in
linea di continuità con altre realtà conservative-educative già presenti come le rispettive sedi del
sistema bibliotecario comunale, si evidenzia la necessità di concordare e impostare una
programmazione dell’attività didattica congiunta, considerando anche l’utilizzo dei medesimi spazi.
In particolare, come indicato nella sezione dedicata agli spazi del Sistema, per la sede di palazzo
Fascie si renderà disponibile per le attività didattiche del museo la costituenda sezione
laboratoriale della Biblioteca Civica Fascie Rossi, prevista al secondo piano dello stabile.
Per quanto riguarda la sede di Castiglione Chiavarese, come in parte già anticipato, la sala
polivalente sarà utilizzata per le attività culturali e di approfondimento per gli adulti, mentre potrà
essere realizzato uno spazio all’aperto dedicato in prima istanza ad attività di didattica
dell’archeologia ed archeologia sperimentale; attività per le quali si potrà pensare di integrare
anche spazi all’interno.
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15. Modelli per il funzionamento del Sistema Museale
Nell’identificare i possibili modelli di gestione per il Sistema Museale, si sottolineano alcuni
elementi:
- la necessità di individuare uno strumento che permetta la piena ed integrata collaborazione fra le
due Amministrazioni Comunali, oltre al coinvolgimento del Ministero per i Beni Culturali, come da
intenzioni espresse da tutti i soggetti coinvolti
- l’orientamento a garantire al Sistema la maggior autonomia gestionale ed economica possibile,
accanto alla necessità da parte delle Amministrazioni Comunali di contenere per quanto possibile
la spesa
- la necessità di rispondere agli standard qualitativi previsti da Regione Liguria per i musei, ovvero
la presenza di
• Direttore
• Conservatore (almeno uno)
• Responsabile sicurezza
• Responsabile servizi educativi
• Personale di custodia e vigilanza
La gestione del Sistema verrà quindi realizzata attraverso la creazione di un organismo associativo
fra le due Amministrazioni Comunali (ad es: associazione, consorzio) che permetta al MiBAC di
partecipare alla gestione attraverso strumenti convenzionali e che possa avere autonomia di
budget.
Il personale, individuato attraverso l’integrazione di risorse già presenti in organico presso le
diverse Amministrazioni, cui affiancare eventuali risorse specifiche dedicate, dovrà garantire la
copertura delle seguenti funzioni:
SCIENTIFICA E DI TUTELA: attività di ricerca e studio legate alle collezioni; programmazione ed
esecuzione delle attività di catalogazione, conservazione e restauro; programmazione delle attività
di pubblicazione e divulgazione dei risultati scientifici ottenuti; progettazione di mostre ed eventi in
collaborazione con l’area valorizzazione.
VALORIZZAZIONE: tutte le attività legate all’accoglienza del pubblico ed ai servizi educativi e
didattici; le attività di promozione e comunicazione del polo culturale; organizzazione di mostre ed
altri eventi (di concerto con l’area scientifica).
AMMINISTRAZIONE E GESTIONE: organizzazione operativa delle attività del polo culturale, oltre
che di tutte le attività di carattere gestionale ed amministrativo, della gestione del budget, dei
rapporti con l’esterno.
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16. Piano di Comunicazione
Si propongono in questa sede i primi elementi per la definizione di un Piano della Comunicazione
del Sistema Museale, intendendo con questo la comunicazione promozionale verso l’esterno.
E’ importante che il Sistema Museale, fin dalla sua nascita, sia dotata di una linea grafica
omogenea ed accattivante, da proporre su tutti i materiali divulgativi, informativi e promozionali e
negli apparati esplicativi all’interno ed all’esterno del sito.
Nell’ambito delle procedure concorsuali per la progettazione e la realizzazione del Sistema
Museale, saranno quindi oggetto di gara:
-
L’elaborazione di una denominazione gradevole ed accattivante per il Sistema stesso
-
L’elaborazione di un logo che renda conto della complessità del Sistema Museale, e di
tutta la linea grafica coordinata, ovvero:
o Linea grafica per i supporti informativi, testuali e multimediali, interni ed esterni al
Sistema (cartellini, pannelli ed altri supporti alla visita, eventuali schede di visita e
qualsiasi altro materiale proposto)
o Linea grafica di massima del sito web (almeno home page e modello pagine
interne)
o Linea grafica e modelli per brochure informative e cartografia
o Linea grafica e modelli per locandine/manifesti di presentazione del Sistema
Museale e di promozione per mostre temporanee ed altri eventi
o Linea grafica per le eventuali pubblicazioni scientifiche e divulgative
o Linea grafica per la segnaletica stradale
-
L’ideazione di un logo, un simbolo o una mascotte da abbinare alle attività didattiche,
educative e dedicate al pubblico di bambini e ragazzi
Attorno all’idea grafica generale dovrà svilupparsi l’intera campagna comunicativa del Sistema.
Al momento dell’apertura al pubblico (ma più correttamente qualche tempo prima) il Sistema dovrà
essere dotato di un aggiornato sito internet, allineato con gli standard più avanzati dal punto di
vista dell’interattività e dell’integrazione con tutti gli strumenti dell’informazione (possibilità di
scaricare informazioni e podcast su palmari, smart phones eccetera, anche attraverso il sitema wifi).
Per garantire la bidirezionalità della comunicazione con il pubblico, ed in prospettiva per
semplificare il lavoro gestionale, potrà essere opportuno ipotizzare fin dall’inizio la presenza di
servizi quali una newsletter periodica (o di più newsletter destinate a pubblici mirati) ed un form
che permetta a scuole e gruppi di prenotarsi on line.
Un’ulteriore semplificazione potrebbe venire dalla possibilità di effettuare prenotazioni e
bigliettazioni on line anche attraverso strumenti di e-commerce.
In attesa di poter disporre delle risorse per definire un piano editoriale complessivo per quanto
riguarda pubblicazioni di carattere sia divulgativo che scientifico dedicate al Sistema Museale,
occorrerà prevedere fin dall’avvio la realizzazione di almeno due tipologie di depliant cartaceo
- un depliant illustrativo generale rivolto sia alla promozione all’esterno sia ai visitatori
- un depliant specifico dedicato alle offerte per la scuola, non appena si sarà definito il
programma delle attività didattiche
a cura di TerraMare s.c.ar.l. – Sestri Levante, giugno 2010
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Sarà cura del management del Sistema Museale prevedere fin dall’apertura strumenti di
rilevazione e segmentazione delle caratteristiche, nonché di rilevazione della soddisfazione, dei
visitatori.
Dovranno inoltre essere creati indirizzari tematici (T.O. ed agenzie di viaggio, scuole ed insegnanti,
associazionismo, istituzioni culturali eccetera) per permettere di iniziare per tempo una campagna
mirata e periodica di mailing, cartaceo o digitale.
Potranno essere elaborate iniziative di fidelizzazione quali card (in collaborazione con il tessuto
economico e commerciale del territorio), possibilità di iscrizione all’ eventuale Associazione Amici
del Sistema, eventuale creazione di una struttura associativa, una sorta di Kids Club, dedicata ai
bambini ed ai ragazzi.
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