gemellinuovo a4 - Policlinico Gemelli

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gemellinuovo a4 - Policlinico Gemelli
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QRcode: come si usa?
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Parto sicuro e senza dolore
con l’ analgesia epidurale
L’ IMPORTANZA DI
NON SOTTOVALUTARE
I TUMORI
EPITELIALI CUTANEI
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CAMBIA IL POLICLINICO GEMELLI
IL PERCORSO DEL PAZIENTE
CON PIEDE DIABETICO
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QUALITÀ E SICUREZZA
ALIMENTARE IN OSPEDALE
ECCO COME VIENE GARANTITA
AL GEMELLI
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LE FEBBRI RICORRENTI
EREDITARIE
NEL BAMBINO:
COME RICONOSCERLE
La moderna anestesiologia offre metodiche di
parto-analgesia efficaci e sicure che consentono
di controllare il dolore del travaglio e del parto.
L’ analgesia epidurale è la tecnica di riferimento: è efficace, poiché rende le contrazioni uterine percepibili in modo non doloroso; sicura
per la mamma e per il bambino; flessibile per
la possibilità di modulare l’analgesia; rispettosa
delle dinamiche fisiologiche del travaglio.
Nella Sala Parto del Policlinico Gemelli la parto-analgesia viene garantita alle gestanti 24 ore
su 24 e viene eseguita da un’ equipe di anestesisti dedicati.
La gestione assistenziale alla gravidanza ha come obiettivo primario la sicurezza della salute
della madre e del nascituro. Ciò modernamente si ottiene attraverso l' individuazione e la cu-
ra specifica dei casi ad alto rischio e la preparazione fisica e psicologica al parto. La donna si
deve sentire al centro di un percorso che la vede alleata dei sanitari e della struttura dove ha
deciso di farsi assistere.
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CURARE COL SOTTOVUOTO
LE FERITE PIU’ DIFFICILI
OCCHIO: CURA-CALORE
PER IL CHERATOCONO
La ricerca medica è giunta ad una scoperta all’apparenza incredibile: le ferite aperte, quelle
che non guariscono da sole e le ulcere infette,
possono essere trattate mettendole “sottovuoto”. Il VAC team al Gemelli è specializzato in
questa tecnica, che oggi è anche resa più pratica nell’applicazione grazie ad un apparecchio
grande come una scatola da scarpe e alimentato a batteria, che permette al paziente in terapia di spostarsi agevolmente dal proprio letto
senza pregiudicare l’efficacia del trattamento
La Clinica Oculistica del Policlinico Gemelli,
una tra le strutture assistenziali italiane con
maggiore esperienza riguardo la diagnostica e
il trattamento del cheratocono e delle patologie
corneali, sta sperimentando una nuova terapia.
Una ”mappa geografica” dettagliatissima della
cornea accoppiata a un duplice trattamento,
termico e coi raggi UV, rappresenta la nuova
speranza per coloro che, affetti dal cheratocono, hanno già la visione danneggiata o irrimediabilmente compromessa.
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TECNOLOGIE EMERGENTI E NUOVE SINERGIE
TRA LA FISICA E LA RADIOTERAPIA
La ricerca della fisica applicata nel campo delle radiazioni ionizzanti in medicina, al Gemelli, sta dando risultati eccezionali
sia per l’efficacia delle terapie sia per il controllo diretto delle
dosi di raggi assorbite.
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Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Tecnologie emergenti e nuove sinergie
tra la fisica e la radioterapia
Il controllo di qualità delle tecnologie utilizzate
in campo medico rientra tra gli impegni fondamentali di un Centro Ospedaliero, sia nella fase di nuova acquisizione che durante il loro
impiego. Questo aspetto è particolarmente avvertito nel campo dell’Oncologia Radioterapica, dove sono presenti numerose e complesse
tecnologie (basti pensare agli acceleratori lineari per la produzione di fasci di radiazioni
ionizzanti) finalizzate al raggiungimento di
un’elevata accuratezza nella somministrazione
della dose in paziente. A tal fine, le linee guida
nazionali ed internazionali prevedono un elevato numero di controlli compresi quelli durante l’esecuzione del trattamento radioterapico, cioè in vivo, al fine di ridurre le variazioni
tra le dosi pianificate e somministrate.
La ricerca della Fisica applicata nel campo dell’impiego delle radiazioni ionizzanti in medicina ha dato in questi ultimi decenni risultati eccezionali: basti pensare all’impiego della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e la Tomografia ad Emissione Positronica (PET) in
campo diagnostico e lo sviluppo di complessi
acceleratori di particelle per la realizzazione di
fasci radioterapici altamente conformati per la
Radioterapia.
Tra i progetti finalizzati al corretto impiego di
queste tecnologie, il progetto DISO finanziato
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, INFN
(di cui si è dato notizia l’anno scorso proprio
su questo giornale), ha permesso la realizzazione di una procedura computerizzata per il
controllo in vivo della dose radioterapica in
paziente. Basandosi sui risultati del progetto, la
Best Medical Italy ha avviato la commercializzazione del software “Softdiso” per il controllo
in vivo della dose al paziente. Il software fa uso
delle immagini ottenute, durante il trattamento, dai sistemi EPID posizionati a valle del paziente. Le immagini ottenute sono analizzate
da algoritmi di calcolo che simulano l’interazione radiazione-materia biologica, per ricostruire la dose assorbita dal paziente durante le
frazioni dei più complessi trattamenti radiote-
QR code: inquadratelo col cellulare
Il simbolo di forma quadrata che trovate in prima pagina è un "QR code".
Inquadrato con la fotocamera del
cellulare, collega direttamente alla
versione pdf, scaricabile e stampabile, che si ottiene dal sito www.policlinicogemelli.it. Perché funzioni, il telefono deve potersi collegare ad internet,
avere la fotocamera ed il programma (scaricabile
gratis dalla rete) che riesce a "vedere" e leggere i
QR code.
Per maggiori informazioni:
http:/ /bit.ly/QRistruzioni
La ricerca della fisica applicata nel campo delle radiazioni ionizzanti
in medicina ha dato in questi ultimi decenni risultati eccezionali
per l’efficacia delle terapie e il controllo diretto delle dosi di raggi assorbite
rapici come la 3D CRT, l’intensità modulata
IMRT e la cinetica VMAT.
Questo efficace e pratico “feedback” è in grado
di intercettare le cause anche di piccole variazioni dosimetriche e quindi applicare mirati
controlli di qualità.
Ma le differenze di dose osservate con questa
procedura possono essere causate anche da
modifiche anatomiche dei tessuti del paziente
durante il trattamento radioterapico. In questo caso si può parlare di “adaptive radiotherapy” cioè una moderna strategia radioterapica che prevede, dopo un accurato controllo
radiologico e clinico della malattia, l’adeguamento del piano radioterapico.
La praticità e l’efficacia offerta dal sistema Softdiso, oggi in uso presso la Divisione di Radio-
Ge me lliinforma - Bollettino a diffusione interna
per il Policlinico "A. Gemelli" di Roma
Testata in attesa di registrazione
Direttore: Nicola Cerbino
Board editoriale: A. Giulio De Belvis, Luca Revelli,
Giorgio Meneschincheri, Carla Alecci, Francesca Russo,
Emiliana Stefanori
Consulenza giornalistico-e ditoriale:
Value Relations srl - Enrico Sbandi
Redazione tecnico-scientifica: Alessandro Barelli,
Christian Barillaro, Ettore Capoluongo, Ivo Iavicoli,
Roberto Iezzi, Gaetano Lanza, Federica Mancinelli,
Marco Marchetti, Mario Rigante, Carlo Rota.
Stampa: Cangiano Grafica
via Palazziello 80040 Volla (Na)
terapia del Policlinico Gemelli, sono i due
aspetti fondamentali per un suo impiego in
campo radioterapico dove è fondamentale un
lavoro fortemente interdisciplinare.
In base ai risultati preliminari raggiunti, i rispettivi direttori delle UOC di Radioterapia,
prof. Vincenzo Valentini, e di Fisica Sanitaria,
prof. Angelo Piermattei, hanno esteso l’impiego di questa nuova procedura nella convinzione che il corretto impiego delle nuove tecnologiche, ottenuto dal sempre maggiore sinergismo tra medici, fisici e tecnici di radiologia,
sia fondamentale per il miglioramento della
qualità del piano radioterapico (nella foto, alcuni componenti del Team dei Fisici, Medici
Radioterapisti e Tecnici di Radiologia del Policlinico Gemelli).
Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Importante non sottovalutare l’ aggressività
dei tumori epiteliali cutanei
Al Gemelli un gruppo
multidisciplinare
per diagnosi e terapia
I carcinomi epiteliali cutanei non melanoma
(“non-melanoma skin cancer”, NMSC) sono i
tumori più frequenti nell’uomo e comprendono la cheratosi attinica, il carcinoma basocellulare e il carcinoma squamocellulare. Recenti
studi epidemiologici mostrano che la loro incidenza è in aumento in tutti i Paesi Europei,
particolarmente negli individui di età <40 anni.
Il carcinoma basocellulare (denominato anche
epitelioma basocellulare o basalioma) si presenta clinicamente come una macchia, papula
o nodulo, talvolta ulcerati, di colore variabile
dal rosa al marrone scuro-nerastro, che si localizza preferenzialmente alla regione testa/collo o al dorso. Anche se nella grande
maggioranza dei casi il carcinoma basocellulare è di facile diagnosi e cura, alcune varianti
(carcinoma basocellulare morfeiforme, micronodulare, infiltrativo e basosquamoso) sono
caratterizzate da un’elevata aggressività locale
e capacità di invadere sia i tessuti vicini che
quelli sottostanti. Il potenziale metastatico è
estremamente basso (<1% dei casi), con rischio più alto per lesioni di grandi dimensioni
o nelle varianti aggressive ed ulcerate.
La cheratosi attinica si manifesta come una
macchia o papula rosa-rosso a superficie rugosa
con squame grigio-biancastre localizzata al volto e alle braccia; considerata per molti anni come un precursore del carcinoma squamocellulare, viene attualmente ritenuta a tutti gli effetti
un carcinoma squamocellulare in fase iniziale.
Il carcinoma squamocellulare (denominato
anche carcinoma spinocellulare o epitelioma
spinocellulare o spinalioma) rappresenta il
25% circa di tutti i tumori epiteliali della pelle
e appare clinicamente come una papula o
placca ispessita con una base eritematosa. Si
manifesta più di frequante sul volto e sulle
mani, ma può insorgere anche sulle mucose.
Le lesioni cutanee nel tempo tendono ad ulcerarsi e, nelle fasi più avanzate, distruggono i
tessuti vicini e invadono i piani sottostanti interessando muscoli e strutture ossee. Ha potenziale metastatico relativamente basso, che
però aumenta significativamente quando il tumore è >5 cm, se la sede coinvolta è il labbro
o l’orecchio e in pazienti immunodepressi. La
terapia chirurgica è il trattamento di prima
scelta in tutti i tipi di tumori epiteliali cutanei,
preservando la funzionalità e l’aspetto cosmetico, mentre la terapia medica e la radioterapia
vanno riservate a casi in cui la terapia chirurgica è inappropriata o, nel caso della terapia
medica, a tumori molto superficiali.Il vismodegib, un nuovo farmaco capace di inibire
specificamente una proteina che è alterata nel
90% dei carcinomi basocellulari, ha mostrato
buoni risultati di efficacia e tollerabilità nel
trattamento di questi tumori in fase avanzata.
Dal 5 al 30% dei casi, dopo la terapia sono possibili recidive: dipende dall’aggressività intrinseca del tumore, alla sede della lesione e dal tipo
di terapia effettuata. I pazienti già trattati devono quindi sottoporsi a controlli clinici ogni 3-6
mesi per i primi 5 anni nei tumori ad alto rischio e nelle forme localmente avanzate, mentre
è sufficiente una visita annuale nei tumori a
basso rischio. Inoltre, nelle forme aggressive o
ad alto rischio, che possono dare metastasi linfonodali, è consigliabile eseguire un’ecografia
dei linfonodi ogni 6 mesi per i primi 5 anni.
E’ stato recentemente istituito, all’interno del Policlinico Gemelli, un gruppo
multidisciplinare per la diagnosi e terapia dei pazienti affetti da carcinomi cutanei in stadio avanzato. Il team include
gli specialisti che più spesso sono coinvolti nella gestione di casi particolarmente complessi, in particolare i dermatologi (professori Ketty Peris, nella
foto, Rodolfo Capizzi, Giuseppe Guerriero e dott.ssa Barbara Fossati), chirurghi plastici (prof. Mar zia Sa lg ar ell o,
dott. Stefano Gentileschi, dott.ssa Marcella Sturla), otorinolaringoiatri (professori Gaetano Paludetti, Giovanni Almadori, Francesco Bussu), radiologici e radioterapisti (professori Vincenzo Valentini, Stefano Luzi) e l’anatomo-patologo
(prof. Guido Massi). Nella fase iniziale
sono state ampiamente discusse e condivise le più recenti linee guida internazionali sui tumori epiteliali cutanei.
I fattori di rischio per lo sviluppo di
tali carcinomi comprendono l’esposizione alle radiazioni solari, l’età avanzata, il sesso maschile, il fototipo I-II
(capelli rossi/biondi e occhi celesti/verdi), la presenza di alcune malattie genetiche (e.g albinismo e xeroderma pigmentoso), e condizioni di immunodepressione.
La diagnosi precoce è possibile nella
grande maggioranza dei casi attraverso
la visita clinica e l’esame in epiluminescenza, una metodica non invasiva che
permette di osservare criteri non altrimenti visibili ad occhio nudo.
Gli obiettivi del gruppo multidisciplinare sono quelli di aumentare la sensibilità della popolazione ad una diagnosi sempre più precoce dei carcinomi epiteliali cutanei, indirizzare il paziente alla terapia chirurgica o medica
più adeguata, ed enfatizzare l’importanza di eseguire visite di controllo periodiche per identificare precocemente
eventuali recidive. Infine, la discussione di casi particolarmente difficili sarà
svolta in un contesto collegiale che
mette insieme diverse competenze
specialistiche finalizzate ad offrire la
migliore cura possibile a ciascuno dei
nostri pazienti.
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Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Qualità e sicurezza alimentare in ospedale
Ecco come viene garantita al Gemelli
Negli anni recenti uno dei problemi che ha attirato su di sé un’ attenzione crescente da parte
dei consumatori e della comunità scientifica è
quello della sicurezza alimentare. La sempre
maggiore diffusione della ristorazione collettiva
e la frequente abitudine di acquistare e consumare alimenti già “pronti al consumo” hanno
fatto sì che tali aspetti diventassero un fenomeno prioritario non soltanto dal punto di vista sociale ed economico, ma anche dal punto di vista
igienico-sanitario. Attualmente è noto che circa
dieci milioni di Italiani ogni giorno consumano
un pasto in migliaia di ristoranti all’interno di
fabbriche, scuole, università, ospedali, case di
riposo ed altre collettività.
L’ esigenza di qualità e sicurezza si amplifica in
ospedale dove si verifica il 2% dei casi di tossinfezioni alimentari notificate ed è un obbiettivo
quotidiano per la Direzione Sanitaria di un Policlinico particolarmente complesso come il nostro in cui il Servizio di Igiene Ospedaliera (SIO)
diretto dal prof. Walter Ricciardi, in accordo con
la Direzione Rischio Clinico ed Igiene (DRCI) diretta dal dott. Fabrizio Celani, effettua interventi
e verifiche periodiche presso la mensa sita al 1°
piano del Policlinico Gemelli. Con ispezioni mirate si verifica periodicamente che quanto definito dal piano dell’autocontrollo aziendale
(HACCP), sia stato correttamente recepito e
messo in atto dagli operatori della mensa e si
condividono azioni correttive, se necessario, a
garanzia della sicurezza del servizio erogato.
Durante l’ ispezione vengono anche effettuati
campionamenti microbiologici di superfici,
utensili e attrezzature opportunamente sanificate e di alimenti pronti al consumo secondo
quanto indicato dal Regolamenti Europei.
Anche sui latti per lattanti distribuiti a tutti i
piccoli pazienti ricoverati presso le differenti
UO Pediatriche del Policlinico Gemelli vengono effettuate verifiche periodiche atte a definire
l’ igiene del Processo produttivo e la sicurezza
del prodotto finale.
L’ attività a tutela della sicurezza alimentare si
svolge infine attraverso l’attuazione di iniziative
di formazione del personale per cui l’obbligo
della formazione, ha sostituito l’obbligo del libretto di idoneità sanitaria, che è stato abrogato
in tutto il Paese per la sua ormai documentata
inefficacia e inefficienza.
Ogni anno ha luogo il Corso di aggiornamento
ECM, coordinato dalla prof.ssa Patrizia Laurenti: “HACCP: controllo e autocontrollo dei prodotti alimentari” a cui partecipa anche il personale del Policlinico Gemelli.
Le febbri ricorrenti ereditarie
nel bambino: come riconoscerle
Le febbri ricorrenti in età pediatrica costituiscono un problema percepito con disagio profondo
da molti genitori: talora gli episodi febbrili si
presentano puntuali ogni mese associandosi a
dolori articolari, dolori addominali o eruzioni
cutanee, ma anche a segni più complessi se i
meccanismi di controllo dell’infiammazione sono sovvertiti. Quasi sempre, l’origine di queste
febbri è legata ad una fisiologica immaturità del
sistema immunitario, ma in rarissimi casi può
essere riconducibile a alterazioni genetiche.
In termini generali le febbri ricorrenti di tipo
“ereditario” sono contraddistinte dal ripetersi di
episodi febbrili che durano pochi giorni o settimane e da segni infiammatori che si localizzano
a cute, mucose, intestino e articolazioni. I difetti
genetici che ne sono alla base impediscono il
controllo dell’infiammazione e per tale ragione
le malattie che ne derivano vengono denominate
“autoinfiammatorie”. Gli attacchi febbrili si ripetono con un periodismo variabile e si alternano
a fasi di pieno benessere. La sovrapposizione di
molti segni infiammatori non consente però un
facile inquadramento diagnostico, che pertanto
può avvalersi di test genetici specifici. La correttezza della diagnosi orienta il follow-up, caratterizza la prognosi e definisce il rischio di complicanze. Alcune di queste condizioni sono state
osservate maggiormente in talune realtà geografiche (il bacino del mare Mediterraneo per la
febbre Mediterranea familiare, l’Europa centrosettentrionale per la sindrome da iper-IgD e la
sindrome periodica associata al recettore del fattore di necrosi tumorale): tuttavia, attraverso le
migrazioni della storia, come la diaspora degli
Ebrei, la colonizzazione della Grecia e le conqui-
ste del mondo Arabo, tali malattie si sono diffuse in tutto il pianeta.
All’interno del Policlinico Gemelli opera il Centro di Ricerca delle Febbri Periodiche diretto dal
prof. Raffaele Manna con il compito di gestire i
casi
adulti
di
febbre
ricorrente
([email protected]). La sezione pediatrica è invece coordinata dal dott. Donato Rigante, afferente
all’Unità Operativa Complessa di Pediatria, diretta dal dott. Piero Valentini nell’ambito del Dipartimento per la tutela della salute della donna,
della vita nascente, del bambino e dell’adolescente, diretto dal prof. Giovanni Scambia.
E’ in corso la promozione di una rete collaborativa per lo studio di queste malattie autoinfiammatorie con il fine di definire le linee-guida per
l’utilizzo ottimale dei test genetici e di migliorare
le attuali possibilità di trattamento.
Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
L’ analgesia epidurale è la tecnica sicura
per partorire naturalmente e senza dolore
Una scelta mirata
per il sollievo
e l’ aiuto della donna
La gestione assistenziale alla gravidanza ha come obiettivo primario la sicurezza della salute della madre e del nascituro. Ciò modernamente si ottiene
attraverso l'individuazione e la cura
specifica dei casi ad alto rischio e la
preparazione fisica e psicologica al parto. La donna si deve sentire al centro di
un percorso che la vede alleata dei sanitari e della struttura dove ha deciso
di farsi assistere.
La moderna anestesiologia offre metodiche di
parto-analgesia efficaci e sicure che consentono
di controllare il dolore del travaglio e del parto.
L’ analgesia epidurale è la tecnica di riferimento: è efficace, poiché rende le contrazioni uterine percepibili in modo non doloroso; sicura
per la mamma e per il bambino; flessibile per
la possibilità di modulare l’analgesia; rispettosa
delle dinamiche fisiologiche del travaglio.
Nella Sala Parto del Policlinico Gemelli la parto-analgesia viene garantita h 24 ed è eseguita
da un’ equipe di anestesisti dedicati coordinati
dal prof. Gaetano Draisci, afferente al Dipartimento Emergenza e Accettazione diretto dal
prof. Rodolfo Proietti.
Per usufruire dell’analgesia la paziente deve sottoporsi dopo la 34° settimana di gravidanza alla
Visita Anestesiologica. Lo scopo è verificare lo
stato di salute della paziente, illustrare la procedura e acquisire il consenso informato in un
contesto privo di condizionamento emotivo.
Oltre all’anamnesi ed all’esame obiettivo vengono valutati l’ECG. l’Esame Urine e gli esami
ematochimici (Emocromo, Prove di coagulazione, principali metaboliti ed enzimi).
L’ analgesia epidurale, pur essendo il gold standard, non è tuttavia esente da controindicazioni
(malattie emorragiche, terapie anticoagulante,
infezioni al sito di puntura, pregressi interventi
sulla colonna vertebrale) e possibili complicanze. Nelle pazienti in cui risulti controindicata
l’analgesia epidurale è possibile effettuare tecniche alternative di analgesia endovenosa.
La tecnica
Il “timing” dell’esecuzione dell’analgesia epidurale può variare da donna a donna, tuttavia è
sempre da preferire l’inizio della fase attiva del
travaglio. È comunque una decisione condivisa
insieme alla paziente, dal ginecologo, dall’ostetrica e dall’anestesista, in base allo stato di salute della paziente, alla progressione del travaglio ed alle condizioni del feto. La tecnica consiste nel posizionamento di un sottile cateterino attraverso un ago introduttore, nello spazio
epidurale. Tutto ciò richiede pochi minuti ed
avviene con procedura sterile ed in anestesia
locale a livello delle ultime vertebre lombari.
Attraverso il cateterino si iniettano i farmaci
analgesici il cui effetto inizia dopo circa 10’ e
permane per tutta la durata del travaglio senza
compromettere la deambulazione e la partecipazione attiva nella fase espulsiva del parto.
L’ effetto antalgico si accompagna inoltre ad un
miglioramento della respirazione materna e
conseguentemente ad una migliore ossigenazione fetale.
Dato il controllo ottimale del dolore, l’analgesia epidurale è particolarmente indicata in pazienti ipertese, diabetiche o con altre patologie
in cui risulti utile il controllo dello stress. Il cateterino epidurale consente anche di convertire
l’analgesia in una vera e propria anestesia per
un eventuale taglio cesareo.
La tecnica è sicura e le complicanze neurologiche con sequele, sicuramente attribuibili alla
tecnica, sono molto rare (1:250.000). Alcuni
effetti collaterali, come la cefalea o la dolenzia
lombare, sono transitori e reversibili in pochi
giorni.
Per informazioni:
CUP: 06 88805560
ALPI: 800 262272 - 800 602337
“Il dolore del partorire - spiega il prof.
Alessandro Caruso, direttore dell’ Unità
Operativa Complessa di Ostetricia - Sala
parto, afferente al Dipartimento per la
tutela della salute della donna, della vita
nascente, del bambino e dell’adolescente - è un fattore ricorrente nei pensieri
della donna fino a condizionarne, spesso, la gioia dell’attesa dell’evento. Grazie
ai progressi e all’esperienza di molti anni l’analgesia peridurale è oggi un valido
aiuto per ridurre fortemente le sensazioni dolorose delle contrazioni uterine e
della nascita. L’ équipe ostetrica può
quindi rasserenare la paziente gestante
e, con opportuni colloqui, prepararla alla scelta di questa medicalizzazione del
parto che è mirata al sollievo e all’aiuto
della donna”.
Eseguita in modo corretto e al momento giusto (inizio della fase attiva del
travaglio di parto), questa tecnica tranquillizza la donna, che accetta la fase
delle contrazioni e collabora con l’Ostetrica. Da ciò risulta, nella maggior
parte dei casi, una migliore e più rapida progressione della fase attiva del
travaglio di parto: talvolta il periodo
espulsivo può essere un po’ più lungo
perché alla gestante mancano gli stimoli dolorosi, ma tutto ciò può e deve
svolgersi in grande sicurezza.
Il risultato che sperimentiamo tutti i
giorni è quello della gioia della donna
per il vissuto del travaglio e del parto
che è stato più facile e molto meno doloroso dell’ atteso: tutto ciò dà alla donna una nuova forza e sicurezza delle
proprie capacità.
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Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Il “VAC Team” grazie al sottovuoto
riesce a curare le ferite più difficili
Una tecnica avviata
con le spugne prese
al supermercato
Al Policlinico Gemelli la tecnica della
“medicazione in depressione” è stata
introdotta dal gruppo della Chirurgia
d’ Urgenza, diretta dal prof. D ani ele
Gui, già prima che fosse disponibile il
sistema commerciale.
Si ricorreva alla costruzione artigianale, per trattare i pazienti con le ferite
più gravi che - oltre alla malattia per la
quale erano stati ricoverati - soffrivano
per le ferite maleodoranti, difficilissime da gestire con i metodi tradizionali, che bagnavano medicazioni, tamponi, lenzuoli ed anche i materassi, con
disagi facilmente immaginabili.
Si acquistavano le spugne al supermercato e si sterilizzavano nell’acqua
bollente, si assemblavano tubi, pellicole adesive create per altri scopi e
grandi boccioni di vetro. Per il vuoto
si usava il sistema centralizzato dell’ospedale, con rudimentali regolatori. Il
paziente, con questo trattamento così
organizzato, restava però impossibilitato a muoversi dal posto letto.
Oggi molto è cambiato, per merito di
questa tecnica, diventata oltretutto
portatile. La pressione negativa aiuta
anche ad avvicinare i lembi della ferita
e promuove la formazione del tessuto
di cicatrizzazione, oltre a migliorare
sensibilmente la qualità della vita del
paziente. In passato gli inventori di
questa tecnica sono stati proposti due
volte per il premio Nobel!
Nell’ ultimo anno sono stati trattati 99
pazienti ottenendo risultati in termini
di sopravvivenza e di guarigione della
ferita che prima erano realmente impensabili. Attualmente il “Gruppo
VAC” della Chirurgia d’Urgenza (da
notare che il nome non ha niente a
che vedere con il marchio registrato)
ha in dotazione sette macchine. La Direzione del Policlinico ha recentemente realizzato una equipe infermieristica
cui ha affidato la gestione di queste
medicazioni avanzate.
Avvalendosi di un apparecchio grande come una scatola da scarpe
e alimentato a batteria, il paziente in terapia può spostarsi agevolmente
dal proprio letto senza pregiudicare l’efficacia del trattamento
Ma è vero che è possibile che le ferite vengano
messe “sottovuoto?” Sì, proprio sottovuoto!
La ricerca medica è giunta ad una scoperta
che, all’apparenza, è incredibile: le ferite aperte, quelle che non guariscono da sole e le ulcere infette, possono essere trattate mettendole “sottovuoto”.
Il sistema denominato VAC® (Vacuum Assisted Closure) è un metodo attraverso il quale
una ferita che non guarisce, soprattutto se
particolarmente estesa, viene trattata e riempita con una spugna di colore nero, coperta da
un foglio di cellophane perfettamente adesivo.
Attraverso un foro sul cellophane in corrispondenza della lesione si realizza il “sottovuoto”, applicando un tubicino (della lunghezza di un paio di metri) collegato ad un
apparecchio che crea il vuoto e raccoglie le secrezioni da eliminare.
Attraverso questo sistema, il vuoto aspira le
secrezioni che si raccolgono nella spugna a
contatto con le pareti della ferita; così la ferita
resta sempre pulita, il materiale infetto non ristagna e si determinano le condizioni affinché
la guarigione possa avvenire con maggiore rapidità. Ma, di che tipo di vuoto si tratta?
Niente di speciale in realtà, qualcosa del tutto
simile a quello che può essere prodotto dall’ aspirapolvere di casa. Naturalmente la macchina per uso biomedicale, che ha le dimensioni
di una scatola da scarpe e che sta agganciata al
bordo del letto, è molto silenziosa e svolge il
suo lavoro in maniera professionale con numerosi regolatori della pressione ed allarmi
per ogni evenienza.
L’ apparecchio è alimentato da batterie ed è
quindi trasportabile dallo stesso paziente che
voglia andare a spasso per il reparto. La cura
con il vuoto è continuativa, dura alcuni giorni
e nei casi più gravi anche settimane o mesi.
I risultati sono molto buoni. La medicazione
deve essere rinnovata ogni 2 o 3 giorni, sia
perché la spugna si sporca e le sue celle si
ostruiscono e quindi deve essere sostituita, sia
perché, mano a mano che procede la guarigione della ferita, le dimensioni della spugna devono essere ridotte.
Fin dalla sua introduzione nel 1995 (U.S.A.
ed Europa), la medicazione “sottovuoto” ha
cambiato il modo di curare le ferite più gravi e
vi è ormai un elevatissimo numero di evidenze
cliniche pubblicate.
La medicazione in depressione (questo è il termine tecnico) è stata infatti finora prescritta
per il trattamento di oltre 8 milioni di ferite in
tutto il mondo. Nella foto, ecco schierata parte
del “VAC Team” del Policlinico Gemelli. Da sinistra Sabina Magalini, Claudio Lodoli, Sandro Priori, Daniele Gui, Gilda Pepe, Armando
Mottola e Marta Di Grezia.
Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Mappare e riparare con il calore
l’ occhio danneggiato dal cheratocono
La cornea viene
rimodellata tramite
una terapia termica
L’ idea è quella di accoppiare al crosslinking una terapia termica mirata, per
modellare la cornea nei punti in cui è
danneggiata. Per farlo, ci si muove sulla
superficie corneale seguendo una mappa della cornea che indichi i punti danneggiati. “Il trattamento topografico offre un buon risultato funzionale ed è in
corso la richiesta al nostro comitato etico l’autorizzazione per iniziare le sperimentazioni su’ pazienti”, spiega il prof.
Caporossi.
Una ”mappa geografica” dettagliatissima della
cornea accoppiata a un duplice trattamento,
termico e coi raggi UV: è questa la nuova speranza per coloro che, affetti dal cheratocono,
hanno già la visione danneggiata o irrimediabilmente compromessa. Si tratta di un nuovo
avanzamento della tecnica cosiddetta del
“cross-linking corneale”, che entrerà a breve una volta ottenute tutte le autorizzazioni necessarie - in fase di sperimentazione clinica su alcuni pazienti presso il Policlinico Gemelli.
Il trattamento termico preciso e puntuale va a
modellare la cornea nelle parti già lesionate
dalla malattia, mentre il trattamento coi raggi
UV, unitamente a una molecola attivata proprio
da questi raggi (riboflavina), va a ridare consistenza alla cornea indebolita da questa grave
malattia.
Questa ulteriore potenziale applicazione clinica
nella cura del cheratocono è stata al centro del
convegno intitolato “Cross-linking corneale,
Update”, che è svolto sabato 20 settembre presso il Centro Congressi Europa dell’Università
Cattolica.
“II cheratocono - ha spiegato Aldo Caporossi,
direttore della Clinica Oculistica del Policlinico Gemelli e uno dei pionieri del cross-linking
corneale - è una distrofia ereditaria della cornea, caratterizzata da un progressivo assottigliamento e incurvamento della stessa. Tale
patologia corneale si manifesta tipicamente in
età adolescenziale e giovanile, anche se è frequente l’osservazione di casi a esordio in età
pediatrica”.
Clinicamente si presenta con un astigmatismo
che tende gradualmente ad aumentare fino a
non esser più correggibile con occhiali e lenti a
contatto. Nelle forme così evolute, l’unica possibilità terapeutica per ripristinare la forma e la
struttura corneale e permettere un recupero visivo è il trapianto di cornea.
Il cheratocono è considerato una malattia rara,
con valori di prevalenza riportati che oscillano
tra i 10 e i 600 casi su 100.000 persone con
una prevalenza media di 54,5/100.000.
L’ incidenza del cheratocono è di circa un caso
ogni 2000 persone per anno, sebbene il suo riscontro sia divenuto molto frequente (fino a un
caso ogni 600 soggetti sani), grazie alla diffusione delle procedure diagnostiche quali la topografia e la pachimetria corneale (misura dello
spessore della cornea) che permettono una diagnosi precoce. Nei paesi industrializzati, il cheratocono è la prima causa di trapianto di cornea nei giovani.
Oggi, grazie a una terapia che ha mosso i primi
passi in Germania, ma che si è sviluppata grazie agli sforzi e alla caparbietà di medici italiani
tra cui lo stesso Caporossi e la sua équipe, il
destino dei pazienti è radicalmente cambiato:
con il cross-linking corneale, basato sull’uso di
raggi UV che attivano una molecola chiamata
riboflavina, si migliora la curvatura e la struttura della cornea.
Ma non può bloccare il decorso della malattia:
purtroppo se un danno corneale è già avvenuto, cioè se la malattia non è in fase precoce, il
cross-linking non è in grado di migliorare più
di tanto la vista perduta. Da qui la nuova tecnica, i cui dettagli sono forniti nel box in pagina.
La Clinica Oculistica del Policlinico
Gemelli è tra le strutture assistenziali
italiane con maggiore esperienza riguardo la diagnostica e il trattamento del
cheratocono e delle patologie corneali.
Tra le attività del Servizio Cornea del
Gemelli è presente un Ambulatorio
Cheratocono/Cross Linking corneale
che si occupa esclusivamente della diagnosi e della terapia di questa patologia.
Vi affluiscono circa 130 nuovi pazienti
l’anno affetti da cheratocono per i quali
è stato programmato il cross-linking; e
circa 600 pazienti con tale patologia
vengono visitati annualmente nel Servizio Cornea, il 20-30% dei quali provenienti da fuori Lazio. II Servizio Cornea
è dotato di apparecchiature avanzate
per la diagnostica della cornea quali la
topografia corneale, la tomografia corneale (Orbscan e OCT del segmento
anteriore), la pachimetria corneale (ultrasonica e a scansione), la microscopia
endoteliale e la microscopia confocale
della cornea, e un sistema di acquisizione digitalizzata delle immagini del
segmento anteriore.
Inoltre, il Servizio Cornea del Gemelli
svolge l’attività dedicata mediante l’attuazione di Protocolli diagnostici e terapeutici assistenziali (PDTA) focalizzati
alle patologie corneali in genere e soprattutto al cheratocono per cui è attivo
per il paziente affetto un percorso dedicato con possibilità di prenotazione diretta della valutazione specialistica mediante l’esistenza di un accesso riservato nell'Ambulatorio Cheratocono con
una lista di attesa di 7-15 giorni per la
presa in carico.
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Ottobre 2014 Anno 2 n. 10
Cambia il Policlinico Gemelli
Il Percorso del paziente con piede diabetico
Risposte più pronte, sicure ed efficaci alla sempre crescente domanda di salute, in linea con i
requisiti del governo clinico: per offrirle, il Gemelli ha completamente rivisto l’organizzazione
interna e delle modalità di erogazione delle cure,
concentrando in modo omogeneo e integrato le
varie attività, trasformando di fatto la struttura
da “Policlinico” in “Poli-clinics”. Da questo progetto sono nati infatti cinque Poli: il Polo Cardiovascolare, il Polo Donna, il Polo Emergenza, il
Polo Neuroscienze il Polo Oncologico, che hanno consentito di riorganizzare in modo integrato
professionalità e tecnologie per realizzare luoghi
di cura certi e riferimenti facilmente identificabili. Tutti gli utenti hanno in questo modo la possibilità di accedere ai percorsi clinico assistenziali
dei Poli per affrontare i vari problemi di salute,
trovando le risposte più idonee a soddisfare le
proprie esigenze, che risulteranno sempre prioritarie per tutti gli operatori.
Il Polo Donna nel Policlinico Gemelli ha lo scopo di sviluppare appositi percorsi clinico-assistenziali per la donna. Per molte patologie, l’evidenza scientifica dimostra che tale approccio
consente di ridurre il livello di errore nella pratica medica, migliora e personalizza le terapie, migliora la sopravvivenza e la qualità della vita delle donne, sviluppa una medicina di genere che
sia la più all'avanguardia possibile.
Per informazioni sull'organizzazione
dei Poli assistenziali del Gemelli:
Governo Clinico: 06 3015.5955
email: [email protected]
COSA E’ IL DIABETE
Il diabete è una grave malattia cronica causata da
fattori genetici ed ambientali che si manifesta
con iperglicemia dovuta ad una carenza di azione dell’insulina, ormone deputato al controllo
del glucosio nel sangue. Questa condizione può
essere determinata o da una carenza di produzione dell’insulina (Diabete di tipo I) o da un
cattivo funzionamento dell’insulina sugli organi
bersaglio (Diabete di tipo II).
In Italia la popolazione affetta da diabete mellito
può essere stimata in circa 3 milioni e mezzo di
persone; in particolare ne è affetta oltre l’8% della popolazione adulta (1 persona su 13).
Inoltre l’innalzamento dell’età media, l’obesità, la
vita sedentaria e il cambiamento delle abitudini
alimentari stanno portando di anno in anno ad
un aumento di incidenza del diabete a livello
mondiale, tanto da essere considerata la quarta o
quinta causa principale di mortalità nella maggior parte dei paesi sviluppati.
Complicanze molto gravi affliggono le persone
con diabete tra cui le malattie cardiache, l’insufficienza renale, i danni agli occhi, e le complicanze al piede.
Il paziente con piede diabetico
Per piede diabetico s’intende l’insieme delle alterazioni morfologiche e funzionali (ossee, articolari e cutanee) secondarie alla presenza di arteriopatia e/o neuropatia periferica, tipiche condizioni patologiche della malattia metabolica d'origine. Si caratterizza per la presenza di ulcerazioni, spesso complicate da infezioni cutanee (ulcere infette) e ossee (osteomieliti) che, in assenza
di un trattamento adeguato, possono evolvere
verso la gangrena e rendere l’amputazione l’unica soluzione terapeutica possibile. Nel piede diabetico, spesso, sono contemporaneamente presenti segni legati alla neuropatia diabetica (piede
neuropatico), all’arteriopatia diabetica (piede
ischemico) ed alle infezioni (piede infetto).
Le cause che determinano ulcere al piede nei
diabetici sono complesse e numerosi fattori ne
ritardano la guarigione, e questo fa sì che la terapia corrente è generalmente coadiuvante e richiede l’impegno di diverse figure sanitarie, con
vari interventi e spesso per un periodo di tempo
prolungato, per cui l’obiettivo “guarigione dell’ulcera” dipende da vari interventi terapeutici
integrati.
La costruzione, all’interno del Policlinico Gemel-
li, di un percorso clinico-assistenziale per la cura
del paziente con piede diabetico permette di offrire il migliore processo di cura possibile attraverso un approccio multidisciplinare integrato,
che prevede il coinvolgimento di vari specialisti
tra cui diabetologi, angiologi, radiologi interventisti, chirurghi vascolari, ortopedici, cardiologi,
infettivologi abituati a lavorare in team.
Tale percorso si pone quali obiettivi: migliorare
la qualità dell’assistenza, in coerenza con le linee
guida basate sulle migliori prove di efficacia disponibili; garantire la presa in carico assistenziale
del paziente nelle varie fasi di un percorso integrato e di qualità; ridurre i tempi dell’iter diagnostico e terapeutico; garantire la comunicazione al paziente di una corretta informazione; prevedere la pianificazione dei processi intra- ed extra-ospedalieri a garanzia della continuità assistenziale; attivare un ambulatorio multidisciplinare del piede diabetico in cui tutti i servizi dedicati alla diagnosi e cura e prevenzione secondaria del piede diabetico verranno erogati dagli
specialisti coordinati tra loro, con protocolli condivisi ed in rispetto degli standard assistenziali
più rigorosi.
Per informazioni:
[email protected]
Tel. 06.3015.4071