Undici allunaggi possibili, catalogo mostra, Ed.L`affiche
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Undici allunaggi possibili, catalogo mostra, Ed.L`affiche
UNDICI ALLUNAGGI POSSIBILI Progetto di martina cavallarin Mostra a cura di martina cavallarin auroraMeccanica Alessandro Bergonzoni Francesco Bocchini Mauro Ghiglione Robert Gligorov Gianni Moretti Ester Maria Negretti Gino Sabatini Odoardi Ekaterina Panikanova Tamara Repetto Eric Winarto coordinamento culturale e scientifico s c a t o l a b i a n c a © 2012 - Edizioni della Galleria l'Affiche, Milano Artisti e curatore per le proprie immagini e testi scatolabianca www.scatolabianca.com Centro progetti: [email protected] Art Director: Federico Arcuri, [email protected] PR & Comunicazione: Roberta Donato, [email protected] Web Agency: www.immediatic.it ISBN 9788890659232 Edizioni della Galleria l’Affiche via Nirone 11 - 20123 Milano [email protected] Fotografie di Pierluigi Buttò: [email protected] patrocinio COMUNE DI VENEZIA PROVINCIA DI VENEZIA REGIONE VENETO COLLEGIO ARMENO MOORAT RAPHAEL CA’ ZENOBIO Ca’ Zenobio • Venezia • 11 maggio / 26 luglio 2012 1 2 7 3 6 4 5 8 9 10 11 Ca’ Zenobio - Fondamenta del Soccorso, 2596 Dorsoduro - Venezia - Ph: +39 041522 8770 www.collegioarmeno.com 1 Gianni Moretti 2 Robert Gligorov 3 auroraMeccanica 4 Alessandro Bergonzoni 5 Ester Maria Negretti 6 Ekaterina Panikanova 7 Mauro Ghiglione 8 Eric Winarto 9 Tamara Repetto 10 Gino Sabatini Odoardi 11 Francesco Bocchini allunaggi possibili di martina cavallarin Il faut être nomade, traverser les idées comme on traverse les pays et les villes. (1) Se la creazione dell’artista nella sua fase germinale abita la stanza privata dell’arte, quando tale creazione si sviluppa si mette in relazione con lo spettatore in una stanza pubblica, il luogo dello scambio e dell’ascolto, il luogo del possibile e dell’incantesimo reale. La stanza diviene, nell’inciampo tra sguardo a li- bellula, prismatico, dell’artista mutante (2) e sguardo solitamente orizzontale dello spettatore, un al- lunaggio possibile, forma di negoziazione interumana che Marcel Duchamp chiamava “coefficiente d’arte”, tra narrazione e comprensione che genera questo humus fertile, pallido, apparentemente lontano, ma appunto possi- bile come qualsiasi allunaggio inteso come bisogno di espansione del pensiero e del pensare, del rovesciamento del gioco delle parti. Ogni stanza di un’esposizione, di questa esposizio- ne d’allunaggi possibili, è una stanza che mi piace pensare come un territorio di sospensione non silenzioso per forza, non chiassoso per forza. Uno spazio confidenziale dell’opera che convive e dialoga con i singoli luoghi prendendo per mano il visitatore che condivide un percorso. Nell’arte contemporanea ritengo che l’allunaggio non sia morbido né forse duro, perché la macchina che lo rende plausibile non è un congegno meccanico di pistoni e metalli, ma è quella indefinibile della creazione e dell’epifania dell’opera. L’allunaggio possibile è il mio apporto di scrittura espositiva che permette l’incidente tra l’intromissione dell’estraneo atteso, il viandante solitamente sul bilico della soglia, con l’opera e lo stupore della sua presenza. In questa mostra il progetto tenta di essere una casuale armonia attraverso la quale prova a porsi come segno naturale di un artificio programmato, quello strutturato da ogni singolo artista che in maniera gestaltica si relaziona con lo spazio ed entra in meccanismo empatico attraverso opere struggenti e mai contenute. Se il liminale è un fatto o fenomeno alla so- glia della coscienza e della percezione sono gli accostamenti tra i limiti valicabili ed espandibili che undici allunaggi possibili connette attraverso i presupposti linguistici impiegati dagli artisti per le loro opere e che innestano l’idea della complessità esecutiva. Le stanze sono camere delle meraviglie delle appropriazioni calde e degli avvicinamenti freddi, wunderkammer, territorio accessibile allo sguardo attraverso le transizioni orizzontali dei nostri passi e gli sguardi verticali e ancor più, complessi, tra parete e pavimento, soffitto e il prossimo angolo ancora da metabolizzare. L’ingresso della mostra è un vibrare ossessivo e rutilante di mille campanellini, un allarme innestato da Gianni Moretti nella sua La Seconda Stanza, installazione fragile ed energetica, costruzione poverista che cattura le esperienze della paura e della protezione, svela con abbagli di luce lo sfavillio del metallo dorato delle sfere impazzite sotto la spinta di piccoli motori che imprimono ritmo ai legni incrociati solo quando qualcuno si avvicina, grazie all’allerta di sensori attenti. Quello che compie Gianni Moretti Moretti in questo lavoro e in questo La seconda stanza, 2012, campanellini, legno, fascette autobloccanti, piccoli motori vibranti, sensore di movimento, filo di nylon, 387x350x295 cm allunaggio è un atto di segnalazione d’esistenza, un portare la sua dimensione privata in relazione con il mondo non senza armarsi di strumenti, The second room, 2012, small bells, wood, self-locking cable tiles, small vibrating engines, motion sensor, nylon wire, 387x350x295 cm nella stessa misura in cui metaforicamente il lavoro richiama i bastoni dotati di tintinnii che i contadini usano nei campi per allontanare dal loro percorso serpenti e pericoli. Il movimento, il suono, lo scintillio accecante dell’oro e la danza epilettica degli elementi appesi a invisibili fili di nylon nella tensione centrifuga esasperata, conduce al punto limite di collasso l’intera struttura. Le sottili ossature lignee che formano angoli e impercettibili filamenti laterali sono i depositari di un esercito tremante e chiassoso, un universo saturo e condensato in cui il senso della perdita è una previsione necessaria e auspicabile. La delimitazione studiata da Moretti corrisponde al Raum heideggeriano - Rum anticamente significava “un posto reso libero per un insediamento di coloni o per un accampamento” - (3), un limite quindi che come intendono i greci con la parola péras non è la fine di qualcosa, bensì un inizio, un ambiente soggettivo in cui l’uomo impara a convivere con se stesso e a conoscersi. All’interno lo spazio è vuoto, disarmante nelle sua trasparenza, luogo sacro e inaccessibile di cui è difficile comprendere il significato della difesa se non accettando il presupposto che quel luogo è proprio il Raum, quindi corrispondenza meta- forica del corpo dell’artista, del suo esistere nella vita come nell’arte. Lì vige sicurezza ed emarginazione, lontananza dal vedere e dal sentire, immersione nella privata visione, nel territorio lunare del pensiero in cui forse è sempre possibile entrare, in cui forse è sempre possibile uscire, per un viaggio che costituisce un pericolo come tutte quelle rotte che solo il coraggio permette di tracciare distanti dalla costa (4), per affrontare le acque abissali dell’arte, universali e senza coordinate, laddove esiste la scoperta e le sue incognite, laddove l’arte culla e inabissa, bagna e brucia. 6 Gianni Moretti Gianni Moretti è nato a Perugia nel 1978. Vive e lavora tra Milano e Berlino. Disegno, installazioni e mixed media sono le tecniche impiegate da Gianni Moretti per una ricerca che si concentra sul tentativo di arrivare al massimo punto di comprensione del limite e della rottura della struttura di vari tipi di organismi. Le sue installazioni sono ossature precarie e volatili portate fino al limite del collasso, ma sempre in stato di controllo. Attraverso segno e assemblaggi attua processi che inducono reazioni concatenate nello sforzo di generare, attraverso la reiterazione di gesti che incidono, disgregano e dissestano, delle forme in stato di perenne smantellamento e ricomposizione. Nel 2011 è stato invitato a partecipare a “Round the Clock”, evento collaterale della 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, a cura di Martina Cavallarin Ha partecipato a residenze artistiche internazionali a New York, Seoul e Berlino e collaborato con il teatro. tra i riconoscimenti ottenuti: “Premio Nazionale delle Arti 2003”, Roma; “Premio Iceberg 2005”, Bologna; “Premio Accademia Olimpica Nazionale 2006”, Roma; “XXIII Premio Oscar Signorini 2006”, Milano; “Premio San Fedele 2007”, Milano; “Premio d’Arte Rugabella 2011”, Milano. Dal 2010 è socio fondatore dell’associazione di promozione sociale scatolabianca. tra le personali: 2012 “Manuale per la perfetta gestione delle emozioni”, MARS, Milano 2011 “Inventario perenne”, a cura di Martina Cavallarin, Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro; “{to} PUZZLE”, a cura di Alberto Zanchetta, Otto gallery, Bologna 2010 “Intermittenza”, a cura di Martina Cavallarin, Changing Role-move over gallery, Napoli; “Paper Heroes”, a cura di Martina Cavallarin, Gaya Art Space, Bali (Indonesia) 2009 “Poena Cullei”, a cura di Alberto Zanchetta, Basilica Palladiana, Vicenza 2008 “Settantasette centesimi”, a cura di Martina Cavallarin, Galleria Michela Rizzo Project Room, Venezia tra le recenti collettive: 2012 “undici allunaggi possibili”, a cura di Martina Cavallarin, Palazzo Zenobio per l’arte, Venezia 2011 “Round the Clock”, a cura di Martina Cavallarin, evento collaterale della 54ª Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Spazio Thetis, Venezia 2010 “Show V”, MMX, Berlino (Germania); “Open”, a cura di Jiyae Choi, Mongin Art Space, Seoul (Corea del Sud) 2009 “Big in Japan”, a cura di Doreen Uhlig e Alida Speler, Arcus Studio, Ibaraki (Giappone); “Italian Artists New York”, ISCP, New York (USA); “The Goldberg’s Variations”, a cura di Martina Cavallarin, 91mQ, Berlino (Germania) Gianni Moretti was born in Perugia in 1978. He lives and works between Milan and Berlin. Drawing, installation and mixed media techniques are used by Gianni Moretti in a research focused on trying to reach the highest point of understanding the limits and breaking the structure of various kinds of organisms. His installations are frames precarious and volatile flows up to the edge of collapse, but always under control. Through sign and implement processes that generate assembly reactions linked in an effort to generate, through repetition of actions that affect, disrupt and break up, the forms in a state of perpetual dismantling and reassembling. In 2011 he was invited to participate in “Round the Clock”, a collateral event of the 54th Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, curated by Martina Cavallarin. He have been invited in internationals artist in residency program in New York, Seoul and Berlin; He has collaborated with theater. Prizes: “Premio Nazionale delle Arti 2003”, Roma; “Premio Iceberg 2005”, Bologna; “Premio Accademia Olimpica Nazionale 2006”, Roma; “XXIII Premio Oscar Signorini 2006”, Milano; “Premio San Fedele 2007”, Milano; “Premio d’Arte Rugabella 2011”, Milano. Since 2010 he is a founding member of the no profit association scatolabianca. selected solo exhibitions: 2012 “Manuale per la perfetta gestione delle emozioni”, MARS, Milan 2011 “Inventario perenne”, curated by Martina Cavallarin, Visual Art center La Pescheria, Pesaro; “{to} PUZZLE”, curated by Alberto Zanchetta, Otto gallery, Bologna 2010 “Intermittenza”, curated by Martina Cavallarin, Changing Role-Move Over Gallery, Naples; “Paper Heroes”, curated by Martina Cavallarin, Gaya Art Space, Bali (Indonesia) 2009 “Poena Cullei”, curated by Alberto Zanchetta, Basilica Palladiana, Vicenza 2008 “Settantasette centesimi”, curated by Martina Cavallarin, Galleria Michela Rizzo Project Room, Venice selected group exhibitions: 2012 “Undici allunaggi possibili”, curated by Martina Cavallarin, Palazzo Zenobio per l’arte, Venice 2011 “Round the Clock”, curated by Martina Cavallarin, a collateral event of the 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Spazio Thetis, Venezia 2010 “Show V”, MMX, Berlin (Germany), “Open”, curated by Jiyae Choi, Mongin Art Space, Seoul (South Korea) 2009 “Big in Japan”, curated by Doreen Uhlig and Alida Speler, Arcus Studio, Ibaraki (Japan), “Italian Artists New York”, ISCP, New York (USA), “The Goldberg’s Variations”, curated by Martina Cavallarin, 91mQ, Berlin (Germany) www.giannimoretti.com La prima stanza, 2011, tessuto, carta, carta velina, forex, metallo / fabric, paper, tissue paper, forex, metal, dimensioni variabili / variable dimensions Monumento al mantenimento delle regole della casa, 2011, collages, legno, plexiglas / collages, wood, plexiglas, 760x81x98 cm, photo by davidelovatti.com Primo esercizio di approssimazione al grande amore, 2010, Foglia d’oro zecchino su plexiglas / pure gold leaf on plexiglas, 28 x 2 cm l’uno / each Quindici esercizi di salvataggio, 2009, carta velina / tissue paper, 160 x 280 cm, photo by davidelovatti.com L’incontro con l’imponente Mobydick di Robert Gligorov è un continuo circuitare lo sguardo tra altezza e ampiezza dell’arco dell’animale che giace molle e inerte, concavo, sul parallelepipedo dorato di 3 metri. La forma ha una storia artistica sviluppata dall’artista macedone che controlla un arco temporale in cui la sua nascita e la sua crescita, le variazioni di scala, di colori e di rapporto con lo spazio si sono evolute dalla serie Endo del 1998 passando per una gamma di varianti e approdare con Mobydick - selfportrait Robert Gligorov (il peso delle cose), piedistallo in Mobydick – selfportrait (il peso delle cose), 2012, piedistallo in legno di 280x70x70 cm e scultura in ferro con 200 kg di argilla polimerica di vari colori, 380 x 200 cm. legno e armatura in ferro ricoperta di materiale gommoso polimero, nella straripante sala degli specchi di Cà Zenobio a maggio 2012. Un allunaggio Mobydick – selfportrait (the weight of things), 2012, wooden stand of 280x70x70 cm and iron sculpture with 200 kg of various colors polymer clay, 380 x 200 cm. non programmato eppure evidente, muto quanto invadente e macro. La linea della Carpa mutuata da un codice che appartiene all’architettura di Frank O. Gehry è una struttura dinamica che secondo Gligorov rappresenta la tipologia scultoria ideale. Se la corazza metallica del Golem è la naturale immagine plastica che Gligorov ha ossessivamente modellato e riformulato tra tentativi e materiali, i colori impiegati stendendo differenti panetti di pongo rappresentano valori segnici. Ciascuna zona di colore notifica un interesse peculiare o la percentuale di valore che Gligorov associa a cose, impegni, hobby, persone della sua vita. Si tratta quindi di un vero e proprio grafico tridimensionale costituito da sport, arte, amore, amicizie, cultura, cinema, musica, denaro. Tale presupposto rende questo elemento monumentale una mappa biografica esplicata attraverso un’estetica ta relazionale basa- sull’intersoggettività che s’instaura tra artista e opera creata mentre le connessioni controllano e alimentano le percezioni dello spettatore che è portato a circumnavigare con seducente e diffusa curiosità intorno all’installazione. L’organismo Golem procede senza indugi verso la sua destinazione entropica che si esplica nello scuoiamento della superficie pellicola- re per lasciare territori di spazio ferito sempre più ampio e non arginabile in cui l’armatura in ferro traluce in tutta la sua evidente nudità. Attratto da sempre da una ricerca sistematica e meticolosa sulla relazione tra immagine e artificio, sull’impatto culturale e il potere che l’iconografia ha sulla coscienza umana, Gligorov ancora una volta sceglie di mettersi in gioco in prima persona unificando sguardo prismatico dell’artista a quello del fruitore dell’opera per una partita sempre aperta tra zone chiare e ombre, allucinazioni programmate e focus preciso, condizione termica alta e bassa. 10 Robert Gligorov L’opera di Robert Gligorov (Macedonia 1960) è un’accattivante miscela d’impatto visivo e delicatezza estetica, il tutto unificato da una decisa vena ironica. Utilizza il video, la fotografia, l’installazione e la pittura piegandoli alle esigenze di una ricerca che sempre si misura con i limiti e le ambiguità della rappresentazione e, attraverso questi strumenti, Gligorov conduce una ricerca sistematica e meticolosa sulla relazione tra immagine e artificio, e sull’impatto culturale e il potere che l’iconografia ha sulla coscienza umana. Ha tenuto mostre personali nelle principali città europee come Parigi, Berlino, Madrid, Milano e Roma. Le sue opere sono presenti nelle maggiori collezioni pubbliche e private. Gligorov, dopo un lungo studio di disegno e pittura, è arrivato alla conclusione che un media ideale per lui non esiste. I suoi due punti fermi sono: che l’opera non sembri un’opera d’arte (intesa in senso tradizionale) e il secondo, quello più importante, è di non avere una cifra stilistica e non riconoscere le sue opere per un’ossessiva ripetizione di un modulo, ma che lo stile sia la forza e l’efficacia penetrativa della singola opera da scollegare a qualsiasi sua passata o futura produzione. L’arte per Gligorov non può e non deve diventare un lavoro ma un puro gesto di lucida ed eroica follia. Robert Gligorov’s artwork (Macedonia 1960) is a captivating blend of visual impact and aesthetic delicacy, all united by a strong vein of irony. He uses video, photography, installation and painting by bending them to the demands of a search that must measures itself against the limits and ambiguities of representation and by these means, Gligorov conducts a systematic and meticulous investigations into the relationship between image and artifice, and into the cultural impact and the power iconography holds over the human conscience. He has held solo exhibitions in major European cities like Paris, Berlin, Madrid, Milan and Rome. His works are in major public and private collections. Gligorov after a long study of drawing and painting has come to the conclusion that there is not an ideal medium for him. His two fixed points are, that artwork should not seem a work of art (in the traditional sense) and the second and more important is not to have a signature style and not recognize his work for obsessive repetition of a module, but the style is the strength and effectiveness of individual penetrating work disconnected by any of his past or future production. Art for Gligorov cannot and must not become a job but a pure and lucid gesture of heroic folly. “Gligorov’s ideas, shimmer like bright shoals of fish in an ocean, turning this way and that way, swirling, transforming, evolving in the unforeseen, the unexpected. The master of disguise hastricked and delighted us once again, and surprise is the essence of his art.” www.galleriapack.com Endo, 1999, c-print Dalla terra alla luna, 2007, scultura in corda c-squared bianca e blu di 16.000 mt. intrecciata / sculpture made of c-squared white and blue rope, 16.000 mt. long ceres, 2003, c-print big one, 2008, c-print <Il primo Novembre 2011 il deputato del Partito Democratico Giapponese (DPJ) Yasuhiro Sonoda ha bevuto un bicchiere d’acqua proveniente dai reattori 5 e 6 della Centrale di Fukushima. L’atto è stato compiuto davanti agli obiettivi di una gremita sala stampa, con i giornalisti di tutto il mondo pronti a immortalare l’atto scenico; si è trattato di una vera e propria performance con tanto di bicchiere vuoto alzato a conclusione dell’impresa.> Entrare nell’atmosfera semibuia abitata dagli auroraMeccanica significa rimbalzare in una porzione di mondo in cui il confron- auroraMeccanica to tra realtà e virtualità, comprensione e Come bere un bicchiere d’acqua, 2012, Videoinstallazione interattiva, cemento, vetro, luci e ombre. apparenza, opera fisica e rimando del suo significato nel filmato che scorre in un piccolo schermo, è qualcosa che dissocia e Like drinking a glass of water, 2012, interactive video installation. concrete, glass, lights and shadows. sprofonda. Collettivo torinese composto da Fabio Alvino (classe 1988) Roberto Bella (classe 1983) e Carlo Riccobono (classe 1982), auroraMeccanica, dopo un’accurata formazione storica incentrata sulla genesi della video arte e lo studio dei suoi padri fondatori, ha cominciato a focalizzare la sua ricerca sul concetto di mistificazione e di falsa percezione che ciascuna immagine o azione può generare sulle persone. La riflessione sull’utilizzo della materia - che nel caso di Come bere un bicchiere d’acqua è costituita da un tavolino che accoglie un bicchiere riempito a metà - e la sua commistione con l’immaterialità del video - che rimanda a un fatto realmente accaduto - diviene il punto di partenza per “un pensiero responsabilmente artistico”. Il risultato finale di tale processo si concretizza nella realizzazione di un’opera interattiva in cui l’intervento degli spettatori diviene fondamentale per il completamento del lavoro. La tecnologia da un lato e la presenza fisica degli oggetti si compenetrano per assurgere a simbolo di un’adesione condivisa sotto il segno della partecipazione cosciente, un allunaggio dedicato a una coscienza civica nella quale lo spettatore è chiamato a essere garante e presente. In “Come bere un bicchiere d’acqua” il processo di rielaborazione della realtà è reinterpretato nel rapporto tra l’oggetto reale e la sua ombra: l’oggetto metonimico è proprio un bicchiere d’acqua poggiato al centro di un piccolo tavolo. Il bicchiere è illuminato dall’alto da una non definita fonte luminosa mentre l’ombra visibile sul tavolo si comporta in modo eccentrico: è instabile, si muove e si frastaglia. L’ombra del bicchiere risponde costantemente alle variazioni di emissioni di radiottività rilevate nei dintorni di Fukushima Daiichi. Il dato preciso e oggettivo - rilevato in Giappone e diffuso in tempo reale tramite la rete - viene reinterpretato per fornire una versione della rappresentazione del vero che si trasforma ad ogni minima variazione. Il caso del deputato Sonoda è soltanto un esempio concreto di come ogni giorno la realtà venga raccontata e teatralizzata in molteplici maniere. La volontà di approfondire è il punto di partenza per l’analisi critica dei dati, per tentare di sfuggire alla mistificazione condotta dai media e dall’informazione globale, per avvicinarsi al bicchiere e scoprire che le ombre possono anche scomparire. 14 auroraMeccanica auroraMeccanica Vive e lavora a Torino. collettivo composto da: Fabio Alvino (1988), Roberto Bella (1983) e Carlo Riccobono (1982). Nel 2012 vince il Premio PAV 2012 ed è chiamato a partecipare a Hidden Places and Identities, Parallel Events di Manifesta9 tra le personali: 2012 “Dance me to the end of love / Artefiera OFF”, Spazio Blue, Bologna 2011 “Svegliare le idee”, Weber & Weber, Torino 2010 “Bolle d’aria”, Ohne Tilel Lab, Torino tra le collettive: 2012 “Undici allunaggi possibili”, Palazzo Zenobio per l’arte, Venezia 2011 “Nei Limiti”, Castiglia di Saluzzo, Saluzzo (CN); “Shingle22”, Biennale di Anzio e Nettuno, Anzio (ROMA) 2010 “Guardiani del tempo”, Gemine Muse, Museo arte orientale, Torino 2008 “Terre e Cieli”, Invideo 2008, Spazio Oberdan, Milano auroraMeccanica Lives and works in Turin. collective formed by Fabio Alvino (1988), Roberto Bella (1983) and Carlo Riccobono (1982). In 2012 auroraMeccanica has won the 2012 PAV Prize and is invited to participate in Hidden Places and Identities, Parallel Events of Manifesta9. selected solo exhibitions: 2012 “Dance me to the end of love /Artefiera OFF”, Spazio Blue, Bologna 2011 “Svegliare le idee”, Weber & Weber, Torino 2010 “Bolle d’aria”, Ohne Tilel Lab, Torino selected group exhibitions: 2012 “Undici allunaggi possibili”, Palazzo Zenobio per l’arte, Venezia 2011 “Nei Limiti”, Castiglia di Saluzzo, Saluzzo (CN); “Shingle22”, Biennale di Anzio e Nettuno, Anzio (ROMA) 2010 “Guardiani del tempo”, Gemine Muse, Museo arte orientale, Torino 2008 “Terre e Cieli”, Invideo 2008, Spazio Oberdan, Milano www.aurorameccanica.it www.affiche.it George 1.0, 2011, installazione interattiva / interactive installation, 150x75 cm E se ti regalassi la luna?, 2010, videoinstallazione interattiva / interactive video installation, 400x300 cm La Gabbia, 2012, videoinstallazione interattiva, dimensioni dettate dall’ambiente / interactive video installation, site specific dimensions George 1.0, 2011, installazione interattiva / interactive installation, 150x75 cm Nelle opere scultorie e installative di Alessandro Bergonzoni permane una solitudine perdita bensì immobile, che una non un produce meccanica luogo della sottrazione, gestaltica nella quale “il tutto è più della somma delle singole parti”. In questo dedalo di materiali - separati in frammenti e ridati a nuova vita attraverso altre forme e altri anfratti dell’esistere - materiali provenienti da una memoria privata e insistita, ciò che più interessa all’artista Alessandro Bergonzoni è ciò che non si vede, è il portare come un traghettatore contemporaneo il dolore nella sfera del possibile e il possibile TELI DEI RESUSCITANTI PER SVENTOLAR BANDIERA BIANCA, RITROVATI SOTTOSUOLO, 2012, materiali vari, dimensioni variabili. in tutte le sfere, attraverso un processo artistico in cui la scrittura accompagna sempre il lavoro anche quando è celata. I suoi organismi si alimentano dell’espansio- SHEETS OF RESURRECTED TO WAVE WHITE FLAG, UNDERGROUND RECOVERED, 2012, various materials, variable dimensions. ne dell’errore sia nella fase realizzativa, che in quella espositiva, quando tutto appare fermo eppure è soggetto a un costante, pro- Dei resuscitanti: come Dei appunto, che stanno ritornando e che hanno cucito, passato e futuro (a sutura memoria). Due bandiere su cui posare e riposare, posare e riposare. La terra cicatrizza luna e l’altra. Ecco l’incombenza: portare sulla luna tutto ciò, che “incombe”, che è posato sopra. Nessun muro sulla luna? Se ce ne sono ancora, crepano, si stanno sgretolando a vista, ma vi si può leggere riflesso, l’elenco dei reperti trovati sulla e nella terra: il ritrovato, cavato e ricavato. Il ricavato sarà devoluto alla causa: l’evoluto. gressivo e inesorabile processo. Se covare e allacciare la dimensione del dubbio è compito dell’arte contemporanea, in ogni era e stagione, così nelle sue opere il dubbio è, come in TELI DEI RESUSCITANTI PER SVENTOLAR BANDIE- RA BIANCA, RITROVATI SOTTOSUOLO, installazione di accumulo di terra, reperto, archivio intriso di emerso, cavato impuro, visione dell’arte per trovare nella semi-autobiografia di questa stanza l’acrobatica sperimentazione di ellissi e iperboli gergali del pensare. Nello studiato compimento Alessandro Bergonzoni dell’installazione, sublimazione di ufficio archivistico d’esperienza vissuta in altra dimensione, bisogno di oltrepassare i confini anche dell’atmosfera terrestre, allucinazione programmata di un esule, l’artista porta sulla sua Luna una bandiera bianca deposta sotto un cumulo di terra, e un’altra bandiera bianca che accoglie gli oggetti reperti, sempre superfici ruvide e contaminate, ritrovati affioranti tra polvere e uno sguardo pronto a cogliere l’inciampo con il prossimo incontro. Ciascuno di questi residui è catalogato e la scoperta, l’atto che lo spettatore è portato a compiere, è quello di andare a ritrovare la corrispondenza tra l’oggetto numerato su bandiera e il suo significato scritto sulla “lavagna bianca” a parete, cartongesso a muro che interconnette i fili del senso, per tracciare una mappa di mondi che s’incrociano e dimensioni intercambiabili. Quella com- piuta da Bergonzoni è l’epifania della rivelazione dei contenuti, un’autopsia eseguita nella e sulla stanza e le cui tracce sono verificate dalle sculture, ma anche dai punti di sutura che dalla parete sconnessa scendono a pavimento per arginare il flusso della polvere che sgorga dalle viscere stesse del terreno lunare. In questo spazio si verifica l’incontro tra arte e vita, tra spettatore e opera, tra sguardo orizzontale e sguardo prismatico. Nell’opera di Bergonzoni l’impressione è che non sarà mai dato modo di tornare a una presenza tranquilla essendo estremamente labili i confini tra entità ed eventi. La natura indeterminata della polvere solleverà altri spazi e altri intervalli, la percezione sarà sempre allertata e le potenzialità estese in una disarmonia jazzistica continua e battente. Il disagio da “Memorie dal sottosuolo” (5) che l’installazione di Bergonzoni contiene nell’imbuto della progressiva scoperta che intercorre tra lo svelare e lo svelato, è consapevolezza di poter convertire i fattori, squadernare il vero e il falso, è consapevolezza di “un umano da moltiplicare al sovrumano” e che l’incidente con l’arte può aumentare o spingere a suturare. L’artista non teme l’inazione che tale estrema consapevolezza può apportare e ci sposta oltre, ci incoraggia all’inevitabile e allo stupefacente, ci spinge a guardare senza preoccuparsi di pressione, temperatura, altitudine, tempo. Senza indugio Bergonzoni compie l’allunaggio e non soffre l’andata o il ritorno perché riconosce essere, questi, la stessa cosa, essere un’unica vasta possibilità. Molti vorrebbero semplicemente dimenticare il tempo, perché il tempo nasconde il “principio di morte” (tutti i veri artisti lo sanno). In questa corrente temporale fluttuano i resti della storia dell’arte, con un “presente” che non può difendere né le culture dell’Europa né tantomeno le civiltà primitive o arcaiche; e deve, in compenso, esplorare lo spirito pre- e post-storico, andando là dove i lontani futuri incontreranno i lontani passati. (6) 18 Alessandro Bergonzoni Alessandro Bergonzoni, Bologna 1958 Autore, Attore, Artista / Author, Actor, Artist mostre personali / solo exibitions: 2011 “Maceria prima (accuse mosse)”, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Pordenone Armando Pizzinato, a cura di / curated by Marco Minuz; “Grembi: soglie dell’inconcepibile”, Sala delle Colonne, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; “Ai tuoi piedi (gli appallottolati)”, installazione / performance all’interno della notte bianca di Arte Fiera off 2010 “Proporzioni occulte (gli antipodi)”, Otto Gallery, Bologna 2008 “Cardanico”, Galleria Mimmo Scognamiglio, Napoli mostre collettive / group exibitions: 2012 “undici allunaggi possibili”, Cà Zenobio, Venezia, a cura di / curated by Martina Cavallarin; “Arte Fiera Bologna”, Galleria Michela Rizzo 2011 “Arte Fiera Bologna”, Otto Gallery 2010 “Mostra Installazione, Bologna si rivela - Artefiera”, San Giorgio in Poggiale, a cura di / curated by Philippe Daverio; Mostra Installazione, Festival Poiesis, Spedale Santa Maria del Buon Gesù, Fabriano; “fortu-nati”, Festivalfilosofia, Galleria Paggeriarte, Sassuolo 2008 “Arte Fiera Bologna”, Galleria Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea 2007 “Arte Fiera Bologna”, Galleria Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea 2006 “Fresco Bosco”, Certosa di Padula, a cura di / curated by Achille Bonito Oliva 2005 “il Ritratto interiore, da Lotto a Pirandello”, Museo Archeologico di Aosta, a cura di / curated by Vittorio Sgarbi teatro / theater: 2010 URGE 2007 NEL 2004 Predisporsi al micidiale 1999 Madornale 33 1997 Zius 1994 La cucina del frattempo 1992 Anghingò 1989 Le balene restino sedute 1987 Non è morto né Flic né Floc 1985 La saliera e l’ape Piera 1984 La regina del Nautilus 1983 Chi cabaret fa per tre 1982 Scemeggiata libri / books 2009 Bastasse grondare 2005 Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa 1999 Opplero Storia di un salto 1997 Silences - Il teatro di Alessandro Bergonzoni 1995 Il Grande Fermo e i suoi piccoli andirivieni 1992 Motivi di soddisfazione accampati nel deserto 1992 E’ già mercoledì e io no 1989 Le Balene restino sedute premi / prizes 2009 Premio UBU 2009 per la migliore interpretazione maschile nel teatro Italiano 2008 Premio Hystrio-Teatro Festivale di Mantova 2004/2005 Premio della Critica dell’associazione nazionale critici di teatro www.alessandrobergonzoni.it www.michelarizzo.net www.ottogallery.it www.mimmoscognamiglio.com Testa prima dell’invenzione del volto, 2011, legno, acciaio / wood, steel, Courtesy Museo della Città di Bologna Maceria prima (accuse mosse), 2011, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Pordenone “Armando Pizzinato”, Pordenone Veduta della mostra / exhibition view Frantum, 2011, terra battuta, biglie d’acciaio / clay, steel balls, Courtesy dell’artista Grembi: soglie dell’inconcepibile, 2011, Sala delle Colonne, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella, Veduta della mostra / exhibition view pagina accanto / previous page; Incubatoi per libri Innati, 2007, Courtesy dell’artista Oggi, negli anni ’50, l’attenzione di tutti è rivolta verso l’alto, verso il cielo. E’ la vita sugli altri mondi che interessa la gente. Eppure, in ogni momento, il terreno può aprirsi sotto i nostri piedi e razze strane e misteriose possono riversarsi nel cuore del nostro mondo. Vale la pena di farci un pensiero, e proprio qui in California, a causa dei terremoti, la situazione è particolarmente all’ordine del giorno. Ogni volta che c’è una scossa di terremoto io mi domando: “E’ questa Ester Maria Negretti che aprirà una falla nel terreno e che DIALOGO TRA SORDI, 2012, ferro, legno, calcestruzzo, gesso sintetico, catrame, cementite, colori ad olio, colori metallici, cera, resina, dimensioni di ogni scultura pittorica 285x95x95 cm. alla fine rivelerà il mondo interiore? Sarà questa la scossa decisiva?. (7) Il rapporto tra spazio, opera, fruitore s’intensifica nel calore concettuale che pervade l’allunaggio di Ester Maria DIALOGUE BETWEEN THE DEAF, 2012, iron, wood, concrete, synthetic plaster, tar, cementite, oil colors, metallic colors, wax, resin, dimensions of each painting sculpture 285x95x95 cm. Negretti artista lirica, suggestiva, empatica e pittorica pur nella mole imponente delle sue monolitiche sculture. I fasci di luce che ammantano ferro, legno, calcestruzzo, catrame, cemento e pittura a olio di cui trasudano i DIALOGO TRA SORDI si mescolano a un rumore sommesso e ossessivo, un respiro che dialoga in forma d’illusione con l’opera fisica. In questa installazione la sensazione è di trovarsi nel mezzo di una coniugazione perpetuata tra le energie corporali, mentali e morali dell’artista e l’identità del movimento del viandante atteso. La fantasia di Negretti non è una rinuncia al rimescolamento circolare della posizione esistenziale a favore dell’apparire dell’opera, bensì una traccia apparente e affermativa dell’osmosi e del continuo travaso di energia dalla struttura individuale dell’opera a quella del mondo e viceversa. L’allunaggio di Negretti sta nella possibilità di sfuggire al destino entropico attraverso la congiunzione di arte e vita, la loro assoluta permanenza in uno stato di quiete apparente, di finta morte, di atto scenografico che asseconda e aiuta l’inganno necessario di cui si appropria ogni singola esistenza. I tre giganti maestosi e protettivi stringono con la loro presenza ogni flusso, ogni atteggiamento, ogni entrata e uscita memorizzando con la loro circolarità la possibilità di contenere tutti i mondi che solo li sfiorano e mai li attraversano. I lavori di Negretti “suonano” come interrogativi e moniti sociali; nelle sue sculture le idee circolano rumorose, insistenti, insinuanti. Si percepisce un senso di disagio, una consistenza data dalla materia della scultura ma anche da una reale e impegnata partecipazione, una speranza di rianimazione del mondo. Il rimettere in forma i reperti della realtà esalta la necessità di riportare il caos nell’ordine della cultura. Il processo creativo dell’artista è un circuito chiuso che rimanda con nostalgia a un’espansione traumatica della nostra società. Stratificata, bruciata e scolpita la materia della quale è costituita la superficie pellicolare delle sentinelle di ferro racconta di antichi resti riammessi allo sguardo, riaffiorati alla superficie, ma sempre inaccessibili come aculei che respingono il contatto, il dialogo, metafora potente dell’incomunicabilità esistenziale. E qui si fa ancora più presente l’ascolto del respiro di fondo che ci sussurra di un dolore sopito e mai superato, il dolore incommensurabile che ciascuno di noi si porta dentro di sé e che l’artista cerca di esorcizzare attraverso la rappresentazione e la presentazione all’altro della sua nuda opera. Nel caso di Negretti l’allunaggio è un atto di possibile condivisione di un destino che personalmente non ritengo mai casuale e mai misurabile, una manifestazione primordiale di una civiltà che si sente accresciuta senza mai evolvere, almeno non nelle sfere di cui abbiamo bisogno davvero, ma che l’arte può aiutare a colmare non senza contagio, non senza malattia, non senza il virus infetto di un malessere certamente più vertiginoso e dissestante, ma certamente molto più vivo e vitale. 22 Ester Maria Negretti Ester Maria Negretti, 1978, Como. Dopo aver conseguito il diploma presso l’I.T.I.S. Setificio di Como, seguendo la buona tradizione rinascimentale forma la sua tecnica pittorica nella “bottega” di pittori esperti dai quali apprende I segreti del mestiere. Ha partecipato fin da giovanissima a numerosi concorsi tra cui ricordiamo: 2012 finalista Premio Combat Prize; premiata al Premio Bice Bugatti 2010 vince il Premio Brambati 2008 invitata al premio La Fenice et des Artistes, Venezia 2006 vince il 2°premio Carlo dalla Zorza 2006, Milano 2005 finalista al Premio Arte Mondadori Dopo aver lavorato presso diversi studi di disegno tessile, a partire dal 2005 si dedica interamente alla pittura. mostre personali recenti: 2011 “Essenza e Materia”, Palazzo del Broletto, Como 2010 “Landscape”, Galleria Cortina, Milano 2008 “Morte e rinascita della materia”, Palazzo Pretorio, Sondrio 2007 “Ester Negretti”, Libreria Bocca, Milano mostre collettive recenti: 2012 “Undici allunaggi possibili”, Palazzo Zenobio per l’arte, Venezia; “Energheia” Miniartextil, Galerie Lisette Alibert, Parigi e Museo di Palazzo Mocenigo, Venezia 2011 “Energheia” Miniartextil ex chiesa di San Francesco-Fondazione Ratti, Como; “DumpingArt” progetto nell’ambito del Festival della Scienza, Genova 2010 “Artisti della Permanente”, Museo La Permanente, Milano; “Discaricart”, Museo Navale di Genova Pegli 2009 “Ecomondo” Rimini Fiera. Nel 2012 partecipa al “Simposio di pittura”, Austevoll, Norvegia Ester Maria Negretti, 1978, Como. After graduating at the I.T.I.S. of Como, following the good tradition of the Renaissance she works in expert painters’ studios to learn their secrets. Since she was very young, she participated in numerous competitions, among which we remember: 2012 Combat Award Finalist Prize; awarded at the Bice Bugatti Prize 2010 wins the Brambati Prize 2008 invited to the La Fenice et des Artistes Prize, Venice 2006 she wins the 2nd Carlo Zorza Prize 2006, Milan 2005 finalist for the Arte Mondadori Prize After working in different studies of textile design, from 2005 she devoted herself entirely to painting recent solo exhibitions: 2011 “Essence and Matter”, Broletto Palace, Como 2010 “Landscape”, Cortina Gallery, Milano 2008 “Death and Rebirth of matter,” Praetorian Palace, Sondrio 2007 “Ester Negretti” Bocca Library, Milan recent group exhibitions: 2012 “Eleven possible lunar landings” Ca’ Zenobio , Venice; “Energheia” Miniartextil, Lisette Alibert Gallery, Paris and Mocenigo Palace Museum, Venice 2011 “Energheia” Miniartextil former church of St. Francis- Ratti Foundation, Como, “DumpingArt” project by the Science Festival, Genoa 2010 “Artists of The Permanent”, The Permanent Museum, Milan; “Discaricart”, Naval Museum of Genoa Pegli 2009 “Ecomondo” Rimini Fiera In 2012 she takes part in the “Symposium of Painting”, Austevoll, Norway www.esternegretti.com morte e rinascita della materia, 2007, materiali vari / various materials, 100x100 cm. Orizzonti sovrapposti, 2011, materiali vari / various materials, 100x100 cm. Momenti preziosi, 2012, materiali vari / various materials, 120x100 cm. Un’unica stanza vive di sole pareti occupate, fitte e intense, degli ERRATA CORRIGE di Ekaterina Panikanova, artista raffinata, dalla mano intelligenza d’artista, pittrice e disegnatrice di segni controllati tra inchiostri e pagine stampate. La metafora usata per sostenere il lavoro è quella dell’ostrica e della perla: in seguito all’ingresso della sabbia nella conchiglia il granello, l’elemento di stress, innesca l’espulsione attraverso la produzione della capsula, il virus dall’apparenza preziosa. Allo stesso modo l’intrusione del suo segno all’interno delle pagine di libri assemblati e intersecanti tra di loro, condiziona la vi- Ekaterina Panikanova sione dell’opera concentrata prevalentemen- ERRATA CORRIGE, 2012, libri antichi e non, inchiostro, chiodi, legno, 109x129 cm ciascuno. ERRATA CORRIGE, 2012, video, 15 min. te su scene familiari e animali montani tra i quali spicca in prevalenza la figura del cervo. L’insieme di elementi estetizzanti e rimandi concettuali si condensa nel video ERRATA CORRIGE, 2012, antique and new books, ink, nails, wood, 109x129 cm each. ERRATA CORRIGE, 2012, video, 15 min. centrale in cui lo scorrere incessante delle pagine che si srotola danno vita a differenti narrazioni che intervallano i piani e i limiti emotivi. Ciò che distoglie e cattura non sono gli slanci cromatici - il cui salto è minimo e incentrato su poche tonalità, nero, il giallastro delle pagine consunte, accenni di rosso, tranne quando il supporto è un giornalino colorato - quanto la sensazione di avere davanti una storia da classificare ogni volta senza soluzione di continuità. Un lavoro psichico d’indagine su sensazioni e percezioni, un allunaggio da avvicinare con la controllata paura di svolgere un’operazione chirurgica in cui lo scambio di ruoli tra medico e paziente è sconcertante e vertiginoso. Si può cogliere nelle installazioni a parete di Panikanova un’altalena di possibilità sempre sul bilico della soglia, una corrispondenza tra passato e futuro, tra segno contemporaneo di bestiario annerito sulla carta e libro antico, memoria di fogli lisi e riemerso d’immaginario pubblicitario da riviste americane degli anni Cinquanta in cui il papà stringe la figlia, il bambino vestito da marinaretto forse attende una carezza, mentre sta contrito e immobile in un ritratto di famiglia da “lessico familiare” e poco distante casette ossessive stilizzate e senza finestre si ripetono a cicli continui. Altri elementi iconografici sono un cavallo a dondolo con corna d’alce su fondo scuro, le torte che appaiono e scompaiono, dei fiori da tappezzeria vintage per composizioni uniche in cui i singoli elementi si mescolano per ritrovarsi assieme solo nello scorrere del video. Alcune pagine hanno solo gocce provenienti da altri requisiti, altre sono intrise, pregne sino ai confini della capacità di resistenza della materia, quasi sudice di segreti, immobili nell’attesa di mostrare il loro lato nascosto candido o inaccettabile. La capacità di questa interessante e assolutamente originale artista, sta proprio nell’innesto del vi- rus, nell’intrusione silente del principio che infetta la quotidianità apparente, la sicurezza fittizia, la famiglia come simbolo di solidità e bellezza che nasconde tra le sue pieghe bourgeois le più spietate e accanite resistenze dell’essere umano e del suo relazionarsi con il mondo che lo circonda. Lo diceva Leonardo che la “pittura è cosa mentale”. 26 Ekaterina Panikanova Ekaterina Panikanova è nata a San Pietroburgo nel 1975, città dove si è laureata presso l’Accademia di Belli Arti. Attualmente vive e lavora a Roma. principali esposizioni: 2012 “undici allunaggi possibili”, Palazzo Zenobio per l’arte, Venezia 2011 “Mostra dei finalisti Premio Celeste”, The Invisible dog Art Center, New York; “Artisti contemporanei russi a Roma”, Museo della Civiltà Romana, Roma; “SYNTHESIM”, Mostra Centro Elsa Morante, Roma; “Adrenalina 1.2”, Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Roma 2007 “Premio Michetti”, Francavilla al Mare Ekaterina Panikanova was born in St. Petersburg in 1975. City where graduated from the Academy of Fine Arts. She actually lives and works in Rome. selected exibitions: 2012 “undici allunagi possibili”,Ca’ Zenobio,Venice 2011 “Celeste Prize finalist Show”, The Invisible Dog centre, New York; “Contemporary Russian artists in Rome”, Museo della Civiltà Romana, Rome; “SYNTHESIM”, Elsa Morante Centre, Rome; “Adrenalina 1.2”, Capitolini Museums, Rome 2007 “Michetti Prize”, Francavilla al Mare, Italy www.ekaterinapanikanova.com errata corrige 8, 2012, inchiostro di china su libri antichi / china ink on antique books, 110X130 cm. errata corrige 6, 2012, inchiostro di china su libri antichi / china ink on antique books, 110X130 cm. errata corrige 1, 2012, inchiostro di china su libri antichi / china ink on antique books, 110X130 cm. errata corrige 7, 2012, inchiostro di china su libri antichi / china ink on antique books, 110X130 cm. Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio. (8) Il rapporto che si attiva nell’entrare nello spazio di Mauro Ghiglione porta immediatamente a uno stato di disagio silente in cui si cerca di trovare dei punti cardinali necessari all’orientamento. L’installazione è pulita: sulla parete di fondo quattro lavori, stampa digitale su plexiglas, sono montati ciascuno su quattro calibri, strumenti di precisione adoperati con Mauro Ghiglione geometria Debito di Ossigeno, 2010, opera a muro, 40x30x250 cm. “Finalmente mi vedo...”, 2012, installazione, dimensioni variabili. perfetta al centro di ciascun lato, che stringono i supporti e li inchiodano al muro. Debito d’ossigeno è un’installazio- Oxygen Debt, 2010, work on the wall, 40x30x250 cm. “Finally I see myself...”, 2012, installation, variable dimensions. ne che si concentra sul tratto distintivo del percorso artistico di Ghiglione, ovvero l’indagine del rapporto tra l’immagine fotografica e il reale. Interesse che gli consente da un lato di proseguire la sua ricerca sui meccanismi mentali che sottostanno l’opera e dall’altro, di affrontare tematiche maggiormente contemporanee con una ricerca linguistica tesa a sottrarre lo specifico fotografico all’immagine, per affrontare la sua messa in crisi. La figura centrale di ogni pannello è apparentemente una statua - stampata sul Nuovo Testamento assemblato insieme - e posta in differenti angolazioni. In realtà si tratta di uno scatto operato al Tourture Garden, organizzazione inglese itinerante e nomade e in cui è possibile farsi sottoporre a pratiche masochistiche oppure guardare coloro che le subiscono. In questo caso la persona è messa “sotto vuoto” e la respirazione è resa possibile solo da un foro all’altezza della bocca che consente l’entrata all’aria esterna. La fascinazione della merce teorizzata da Guy Debord è tradotta in opera dall’artista genovese attratto dal concetto di feticcio seducente che riguarda il ”prodotto oggetto” allo stesso modo del “prodotto uomo”, allo stesso modo del “prodotto arte”. Nella stanza in cui avveniva questo rituale un uomo stava fermo ed eccitato, sedotto dalla sofferenza, catturato dalla linea estrema tra vita e morte, Eros e Thanatos. In tal modo il rapporto sociale tra individui si sviluppa con una metodica che porta all’alienazione profonda e a un costante inganno. Il medesimo pensiero Ghiglione lo estende nei confronti del Sistema Arte che pur beneficiando di un’indiscussa dimensione umanistica si spinge costantemente e inesorabilmente verso una dimensione funzionale in cui è necessario quindi che l’opera divenga merce. Lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine. (9). Sulle due pareti laterali piccole superfici specchianti moltiplicano la presenza di un teschio umano appeso a soffitto e piombato sulla parte finale del filo che lo regge da un pendolo rosso anch’esso direzionato su un piccolo specchio. L’opera s’intitola Finalmente mi vedo, installazione site specific il cui accento si pone sempre su una falsa percezione, sull’inganno totale di un’entropia che non è elusa non rispondendo più il soggetto estetico a un’affermazione tautologica come accadeva quando l’arte era ciò che si definiva arte. Ora il valore autonomo dell’opera viene a scomparire per lasciare il posto a un valore equiparabile a quello di ciascun mercato applicato a qualsiasi prodotto. Quello lanciato da Mauro Ghiglione è lo spettro del sospetto che l’arte stia divenendo solo un’altra piccola zona del nostro piccolo mondo anziché, in senso davvero esteso, rimanga un allunaggio possibile, quel territorio in cui solo la macchina dell’arte può trasportare, quel progetto possibile di alchimia, immaginazione, ridefinizione moltiplicativa. Scrive un grande critico, il cui pensiero è così affine a Ghiglione: Gli uomini, un giorno, scompariranno, ma resteranno le loro immagini demoltiplicate, che si ricorderanno di loro. E piangeranno senza più sapere perché. (10) 30 Mauro Ghiglione Mauro Ghiglione. Genova 1959. Artista di derivazione concettuale, la sua ricerca dal 1985 al 1993 mira ad indagare le possibilità espressive di materia e simbolo in contrapposizione all’effimero artistico (Galleria Zenith, Torino 1990; Studio Alaya, Genova 1993; Galleria A’PERT, Amsterdam, 1989). In seguito il suo lavoro si fa più mentale e la sua ricerca si focalizza sullo studio dei meccanismi mentali del pensiero e della percezione, in relazione alla spazialità e alla memoria, (Galleria A’PERT, Amsterdam, “Doppio invisibile”, 1994; galleria Leonardi V/Idea, Genova, “Sospensioni tra la memoria e l’oblio”, 1997; Galleria Silvy Bassanese, Biella, “Trasfigura”, 1998; Galleria Martano, Torino, “Sum over histories”, 1999). Dal 2000 entra nel suo lavoro, quale tratto distintivo del suo percorso, il rapporto con l’immagine fotografica, che gli consente da un lato di proseguire la sua ricerca sull’indagine dei meccanismi mentali che sottostanno all’opera e, dall’altro, di affrontare problematiche maggiormente contemporanee. Tratto distintivo, che si trova nelle esposizioni realizzate alla Galleria Bassanese di Biella (“Shhmt – Passencore”, 2000; “My hands, my mind”, 2005), al CACT di Bellinzona (“Sottili Rivelazioni”, 2000) nel Foyer del teatro della Corte di Genova (“My Heart, my shoes”, videoinstallazione 2001), a Torino “Manifest To” manifesto d’artista a cura della GAM, a Milano PAC (“Utopie quotidiane”, 2002), a Modena Galleria S.Salvatore (“Game over”, 2003), Venezia alla Galleria Michela Rizzo (“Fresh and Clean”, 2005). Dal 2005, pur mantenendo intatto il linguaggio individuato, il suo lavoro si orienta al mondo delle idee, testimonianza di questo operare rimangono le mostre a Gavi Ligure (“Polemos”, 2006, a cura di Angela Madesani), Genova Unimediamodern (“Doppio gioco”, 2005; “Sta una fuga fra noi”, 2008; “Autobiografica”, 2011), Venezia Galleria Michela Rizzo (“Paso doble” con Franco Vaccari), a Bellinzona Galleria Balmelli (“Ad est dell’equatore”), Ca’ Zenobio, Venezia (“undici allunaggi possibili”). Mauro Ghiglione. Genoa 1959. Artist of conceptual derivation, his research from 1985 to 1993 aims to investigate the expressive possibilities of matter and symbol, as opposed to artistic ephemeral (Zenith Gallery, Torino, 1990; Studio Alaya, Genova,1993; A’PERT Gallery, Amsterdam, 1989). Subsequently his work becomes more mental, and his research focuses on the study of mental mechanisms of thought and perception, in relation to spatiality and memory, (A’PERT Gallery, Amsterdam, “Doppio invisible”, 1994; Gallery Leonardi V/Idea, Genova, “Sospensioni tra la memoria e l’oblio”, 1997; Silvy Gallery Bassanese, Biella, “Transfigura”, 1998; Martano Gallery, Torino, “Sum over histories”, 1999). Since 2000 the relationship with the photographic image get into his work as a distinguishing feature of his journey. This fact allows Ghiglione to continue his research about the survey of mental mechanisms which underlie the work, and secondly, deal with more contemporary issues. Distinctive trait found in the exhibitions held at the Bassanese Gallery, Biella (“Shhmt - Passencore”, 2000; “My hands, my mind”, 2005), the CACT Bellinzona (“Sottili Rivelazioni”, 2000) in the foyer of the theater of the Court of Genoa (“My Heart, my shoes”, video installation, 2001), in Turin “Manifest To” artist manifest curated by GAM, Milan PAC (“Utopie Quotidiane”, 2002), in Modena S.Salvatore Gallery (“Game Over”, 2003), Venice, Michela Rizzo Gallery (“Fresh and Clean”, 2005). Since 2005, while keeping untouched the identified language, his work orients itself to the world of ideas, evidence of this activity are the exhibitions in Gavi Ligure (“Polemos”, 2006, curated by Angela Madesani), Genoa Unimediamodern (“Doppio Gioco”, 2005; “Sta una fuga fra noi”, 2008; “Autobiografica”, 2011), Venice Michela Rizzo Gallery(“Paso doble” with Franco Vaccari), in Bellinzona Balmelli Gallery (“Ad est dell’equatore”) and Ca’ Zenobio, Venice (“eleven possible lunar landings”). www.galleriamichelarizzo.net Accanimento terapeutico, 2010, installazione site specific, stampe fotografiche su plexiglas, cranio umano / site specific installation, photografic print on plexiglas, human skull, 100 x 270 x 30 cm. Liberté, Difference, Fraternité, 2011, alluminio specchiante inciso a laser, fotografia, compasso / aluminum mirror laser engraved, picture, caliper, dimensioni variabili / variable dimensions Liberté, Fraternité, 2011, multistrato marino inciso a laser, stampa fotografica su piombo / wood laser engraved, photographic print on plumb (Parigi, collezione privata / private collection) Un’improvvisa immersio- ne nel buio e l’incanto di una rivelazione, una caduta libera nello spazio con le sue volte, i suoi vuoti ed espansioni di pieni che dilatano i confini del proprio privato immaginario. Eric Winarto è un pittore che stende molteplici strati di colore non prima di aver studiato con occhio e intelletto da architetto il luogo che la sua opera abiterà. Ciò che Eric Winarto gli interessa è trasportare il BLACKLIGHT SELVA, 2012, acrilico su muro, tubi di luce nera, 190 x 600 cm ca. viandante nella dimensione del visibile quando l’ombra è totale e attraversata solo dalla BLACKLIGHT SELVA, 2012, acrylic on wall, blacklight tubes, 190 x 600 cm around studiata luce nera detta luce di Wood e, al contrario, liquidare l’opera a luci accese, laddove di solito si comprende, si studia, si assapora, s’incespica, si ammala e si dialoga con l’arte. Winarto dipinge degli elementi nodali della scultura della mente nei suoi tatuaggi a parete, elementi e tracce filamentose o dense, spesso simmetriche e precise come se usasse squadra e compasso. La struttura intera del suo allu- naggio si regge su un susseguirsi di fasi, bianco su bianco che poi accoglie blu, azzurro e nero per aprire un vocabolario estetizzante quasi struggente, ma altamente concettuale. Il project specific è la sua cifra stilistica assommata a pazienza da orientale, quale in parte è la sua genia, avendo Winarto un albero genealogico per parte indonesiano e per parte svizzero. In questo incrocio risiede, presumo, una parte importante della sua ossessione, di una necessità reiterata in apnea di lavorare la notte, quando la realtà viene incontro al suo operare, quando il silenzio si sfracella fragoroso su muri che potrebbero non denunciare mai, se non munita la stanza di apposita illuminazione, di accogliere tanto coraggio, tanta minuziosa simmetria mescolata a uno strabismo da artista sincero e assoluto che riconosco sommesso, ma concreto, nel suo passo intellettuale e manuale, lirico e artistico. Il suo allunaggio possibile ha una genesi di nove anni, tanta strada temporale ha percorso il suo ciclo di dipinti fluorescenti Blacklight Selva. Tutto questo tempo, quest’attesa, questo processo inesorabile e ininterrotto per creare un’opera a muro o su tela, non permanente. La sensazione poetica è profondamente ricercata nell’opera ed è sempre riferita alla metafora del destino umano. Il termine Selva deriva dalla Divina Commedia, retaggio europeo forte e presente e significa il labirinto della vita, concetto guida per Winarto in questa serie di lavori. Un labirinto manierista dove il senso della perdita è assoluto, dove non c’è possibilità di intravedere o tornare al centro, dove lo straniamento regna sovrano, dove il ciclo “dell’eterno ritorno” (11) è una possibilità intrapresa con sfida calibrata e inaudita, laggiù dove i limiti dell’assurdo chiamano in gioco il sistema percettivo dello spettatore mettendo in stato di crisi la sua dimensione affettiva e contemplativa. Questa è <l’entificazione del niente>, e questa gigantesca contraddizione è ciò in base a cui sostengo che nel pensiero contemporaneo esiste una capacità inarrestabile di distruggere ogni forma della tradizione filosofica, e cioè ogni modo di evocare e di edificare strutture eterne. (12) 34 Eric Winarto Eric Winarto è nato a Kuala Lumpur (Malesia) nel 1980. Vive e lavora a Ginevra, Svizzera. Eric Winarto is born in Kuala Lumpur (Malaysia) in 1980. LIves and works in Geneva, Switzerland. formazione / education: 2004 - 2011 mentor: Roman Opalka 2000 - 2005 Haute Ecole d’Art et de Design, HEAD, Ginevra mostre personali / solo exhibitions: 2012 “Blacklight Selva”, a cura di / curated by Dominique Truco, Abbaye de Noirlac, Bruère-Allichamps, Francia; “Heidi Linck e Eric Winarto”, Galerie Maurits van de Laar, Den Haag 2011 “Eric Winarto”, Galerie Charlotte Moser, Ginevra; “L’art dans les chapelles”, a cura di / curated by Olivier Delavallade, Emilie Ovaere-Corthay, Karim Ghaddab, Chapelle Saint- Gildas, Bieuzy-les-Eaux, Bretagna, Francia 2010 “Blacklight Selva”, Galerie Metropolis, Parigi; “Eric Winarto”, Galerie Metropolis, Parigi 2008 “Blacklight Selva”, 2008, a cura di / curated by Alexia Turlin, Milkshake Agency, Ginevra 2007 “Blacklight Selva”, 2007”, Initialraum, Stadthausgalerie, Münster, Germania, durante / during Skulptur Projekte Münster ‘07 2006 “Eric Winarto”, Galerie Charlotte Moser, Ginevra tra le recenti collettive / recent group exhibitions: 2012 “Fernelmont Contemporary Art – FCA’12”, Château de Fernelmont, Belgio; “Eternal Tour”: Cosmotopia, a cura di / curated by Donatella Bernardi, Hadrien Dussoix, Ulrich Fischer, BAC, Bâtiment d’art contemporain, Ginevra; “Undici Allunaggi Possibili”, a cura di / curated by Martina Cavallarin, Palazzo Zenobio per l’Arte, Venezia 2011 “Ad Curiosatati”, Galerie Charlotte Moser, Ginevra; “Personality”, a cura di / curated by Martina Cavallarin, Galleria Michela Rizzo, Venezia 2011 “Contre-Façon”, White Canvas Gallery, Nanjing, Cina; “A vos papiers II”, Galerie Charlotte Moser, Ginevra 2009 “Rideau Obscur”, Nord, Ginevra; “ArtBrussels”, Galerie Charlotte Moser, Bruxelles 2007 “Korea International Art Fair”, Galerie Charlotte Moser, Seoul 2006 “Open House”, a cura di / curated by Karine Tissot, Musée Rath, Ginevra 2004 “Lasko: un panorama de wallpainting en Suisse”, a cura di / curated by Gauthier Huber, CAN, Centre d’Art Neuchâtel, Svizzera pubblicazioni / publications: 2012 testi di / texts by Alberto Manguel, Marino Buscaglia, Dominique Truco, Abbaye de Noirlac, Bruère-Allichamps, Francia (catalogo / catalogue) 2011 “L’art dans les chapelles”, Pontivy, Bretagne, Francia (catalogo / catalogue) www.ericwinarto.net September, 2011, Galerie Charlotte Moser, Geneva, Switzerland October, 2011, Gallerie Michela Rizzo, Venice, Italy MAISON BLANCHE, 2011, olio e acrilico su tela, tubi di luce nera / oil and acrylic on canvas, blacklight tubes, 110 x 220 cm. (Geneva, collezione privata / private collection), courtesy Galerie Charlotte Moser, Geneva, Switzerland October, 2011, White Canvas Gallery, Nanjing, China Uno stato di trasparenza, una segnalazione rarefatta di odori mescolati che impregnano le narici e un tintinnio che comincia solo spettatore quando mette in lo al- lerta con il suo passaggio i sensori. La percezione dell’opera sinuosa di Tamara Repetto comincia con queste segnalazioni sinestetiche ventole e quasi totali. vibranti di Le Tamara Repetto Ano- smia, installazione di tubi Anosmia, 2012, plexiglas, ventole, bacchette di vetro, cialde olfattive, cavo, dimensioni variabili. di plexiglass che contengono ciascuno una cascata di bacchette di vetro che si muo- Anosmia, 2012, plexiglas, fans, glass rods, olfactory pods, cable, variable dimensions. ve sotto azione motorizzata scuotendo le cialde olfattive, sono degli “informatori dell’anima”, degli impulsi che inducono le regioni della mente oltre la tautologia del “ciò che si vede, è ciò che si vede” (13), ovvero oltre la realtà stessa. Tale dicotomia abbisogna dell’immaginazione, di una dilatazione che solo l’allunag- gio dell’arte può apportare, per misurarsi con il grado zero e far dialogare con abbandono apparenza e profondità. Dal greco “σημεῖον semeion”, la semiotica è la disciplina che studia i segni e il modo in cui questi formano una significazione, quella relazione che, a memoria, attiva in noi una conoscenza che scatena le sinapsi. Tale processo è insito nell’approccio che l’uomo applica alle cose della vita, ma sfugge ai codici dell’arte che sono allargati e sempre estremamente possibili, elastici sotto la spinta di una potenza inaudita, la forza dell’opera che ci rimbalza di continuo tra istinto e istintualità, tra comprensione e straniamento, in uno spazio in cui il virus della contaminazione altera le incrostazioni statiche in cui tendiamo a barricarci. Identità, connettività e collettività s’incontrano sull’instabilità del frattale per concepire un pensiero necessariamente multiplo, sia dal punto di vista degli incroci del linguaggio multidisciplinare e tecnologico impiegato da Repetto, sia dal punto di vista di un focus puntato su un interesse psichico e sociale che interviene sullo spettatore. Una via lattea che propone procedimenti creativi plurali in bilico tra lirica e technè, tra la temperatura calda del coinvolgimento dei sensi e la temperatura fredda del vetro, della limpidezza, della delicatezza formale e incisiva, quasi statica, degli elementi trasparenti. Installatrice site specific, Tamara Repetto si concentra sulle caratteristiche del luogo con il quale l’opera convivrà, a cominciare dal tracciato degli odori presenti e insiti nel territorio d’accoglienza del lavoro e con il quale instaura un rapporto empatico particolarmente dedicato a una mappa olfattiva e talvolta uditiva. La specificità della sua ricerca verte sulla considerazione del cambiamento che tali accadimenti mettono in atto, sullo sfalsamento delle percezioni mutabili mediante piccoli inserimenti, scarti, progressioni e abilità d’inganno che con complicità disarmante la geometria tra la chimica e l’architettura dell’opera aiuta ad accendere. 38 Tamara Repetto Tamara Repetto nasce a Genova nel 1973. Vive e lavora a Voltaggio (AL). ha studiato all’Istituto d’Arte Jona Ottolenghi di Acqui Terme e alla scuola Arte e Messaggio del Castello Sforzesco di Milano Partire da sé per raggiungere l’altro, mettersi in contatto e a confronto, attraverso la capacità di allargare il campo di operatività formale, ottenuto con l’uso trasversale dei media. L’installazione, attraverso l’uso di odori, suoni, luci, elementi interattivi e cinetici, la scultura, il disegno, le permette di creare ambientazioni multisensoriali dove il fruitore è immerso in mondi percettivi in cui si innescano momenti di consapevolezza Tra le ultime mostre: “Sguardi sull’Italia-dall’immagine al suono contemporaneo”, Fondazione Giovanna Piras Asti; “Volta”, New York; “Inside Outside”, Guidi&Schoen Genova; “Ten”, Guidi&Schoen, Genova; “Soap opera”, al Castello di Rivara Torino; “Condotti Cronoarmonici”, galleria Mario Mazzoli, Berlino; “Selection”, Yvonne Artecontemporanea, Vicenza; “Senso-Orario”, residenza artistica, a cura di Valentina Tanni, Voltaggio (AL) Opere in permanenza: Castello di Rivara, Torino; Museo galleria civica di Alessandria; Biblioteca civica Alessandria; Museo dei lumi Casale Monferrato Tamara Repetto is born in Genoa in 1973. Works and lives in Voltaggio (AL). She graduated at the Jona Ottolenghi Art Institutes of Acqui Terme and studied at the Arte e Messaggio school of Milan, Castello Sforzesco. Starting from oneself in order to join, contact and confront with somebody else, enhancing the field of formal operativeness through a transversal use of media. The installation matches olfactory components, sound, light, interactive kinetic elements, sculpture, drawing, creating multisensory environments, where the visitor is immersed living an experience that provokes moments of consciousness. selected exhibitions: “Sguardi sull’Italia-dall’immagine al suono contemporaneo”, Fondazione Giovanna Piras Asti; “Volta”, New York; “Inside Outside”, Gallery Guidi&Schoen, Genoa; “Ten”, Gallery Guidi&Schoen; “Soap Opera”, Castello di Rivara, Rivara (TO); “Condotti Cronoarmonici”, gallery Mario Mazzoli, Berlin; “Selection” Yvonne Artecontemporanea, Vicenza; “Senso-Orario”, artist in residency program curated by Valentina Tanni, Voltaggio (AL). Works permanently in public and private collections: Castello di Rivara (Turin); Communal Museum of Alessandria; Communal Libray of Alessandria; Museo dei lumi, Casale Monferrato. www.tamararepetto.com Evocazioni Ataviche, 2011, scultura multisensoriale a sospensione, ferro, legno, plexiglas, speaker, cialde olfattive, cavo, MP3, amplificatore / suspended multisensory sculpture, iron, wood, plexiglas, speaker, olfactory pods, cable, MP3, amplifier, diametro / diameter 80 cm. Insonnia, 2010, installazione luminosa interattiva, reti da letto, lampadine, computer, sensori, cavi, microcontrollori / interactive light installation, bed wires, bulbs, computer, sensors, cables, microcontroller, misure variabili / variabile dimensions Inside Outside (Tamara Repetto Roberto Pugliese), 2011, installazione sonora, sfere di vetro, speaker, cavo, computer, amplificatori, microfono / sound installation, glass spheres, speaker, cable, computer, amplifiears, microphone, misure variabili / variable dimensions Il tempo delle piogge, 2011, installazione multisensoriale, acqua, pompa idraulica, tubi, ferro, plexiglas, cialde olfattive / multisensory installation, water, hydraulic pump, cables, iron, plexiglas, olfactory pods, 250x250cm. Penetrare nella stanza lu- minosa e dal pavimento scuro di Gino Sabatini Odoardi proietta in una visione la cui prima sensazione restituita è quella di immergersi in un luogo di culto, inginocchiatoi bianchissimi e senso della perdita. Nella messa a fuoco dello sguardo però il labirinto si fa mentale perché i dodici elementi - Senza titolo in wireless - sono sparpagliati e scompaginati e sopra di essi Gino Sabatini Odoardi un oggetto che si fonde alla Senza titolo in wireless, 2012, termoformatura in polistirene, legno, smalto, olibano, 50x50x85 cad. (12 elementi) struttura lignea attraverso una termoformatura in polistire- ne si rivela essere la copia di un gamepad playstation. L’arti- Untitled wireless, 2012, thermoformed polystyrene, wood, enamel, frankincense, 50x50x85 each. (12 items) sta di Pescara ci ha condotto attraverso l’artificio plastico tecnologicamente avanzato del- la contraffazione dei contenuti reso attraverso la forma, in un inganno perpetrato dalla ricontestualizzazione delle condizioni d’esistenza degli oggetti sim- bolo e degli oggetti giocattolo. Incrementata dalla dislocazione temporale di un luogo asettico e imprevisto, la messa in discussione di temi indiscutibili raggiunge il limite estremo tra elasticità e punto di rottura. L’allunaggio di Sabatini Odoardi si rapporta con la mistificazione e con un innesto di possibilità che la società civile non contempla e il potere rifugge perché incanalare in infinite sfaccettature alternative la sacralità immobile della religione e della secolare tradizione che si trascina appresso, rappresenta uno scardinare le certezze e riabilitare il possibile. Da sempre sul confine pericoloso e pericolante tra sacro e ludico la ricerca di questo interessante artista, cresciuto giovanis- simo alla “bottega” di Fabio Mauri, squaderna ideologie e attiva minuziosi programmi alterati misurandosi con un’opera sempre raffinata e preziosa - fluidità estetica inseparabile da un’interrogazione sull’autonomia dell’opera - (14), contraltare concettuale importante nella sua programmata deterritorializzazione di geografie precostituite e quotidianamente mai in discussione. Una dimensione del dubbio stesa con la grammatica precisa di un atteggiamento agnostico e basato sulla ferma convinzione che l’assoluto in verità sfugge alla mente umana e, di conseguenza, non è plausibile parlare di ciò che non si conosce. L’intenzione per Sabatini Odoardi semmai è quella di mettere in forse le certezze - anche quando si tratta di scomodare la storia - per contestare l’accettazione passiva dei fatti. Sabatini Odoardi innesca attraverso l’arte un processo di metonimia mentale i cui presupposti risiedono nel verosimile e nella verosimiglianza, in piccoli spostamenti parziali che implicano un pack di progressione per derive orizzontali come unica soluzione possibile, come superamento di un darwinismo linguistico e intellettuale immobilizzato e reso vulnerabile da un fare e pensare l’arte solo procedendo in altre direzioni e sconosciute regioni per una reale impresa di allunaggio inteso come territorio esistenziale eterogeneo e fluido. 42 Gino Sabatini Odoardi Gino Sabatini Odoardi, Nato a Pescara nel 1968. Vive e lavora tra Pescara e Roma. Si è diplomato al Liceo Artistico di Pescara e successivamente in Pittura all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Negli anni del Liceo ha conosciuto il lavoro di Ettore Spalletti, docente di Discipline pittoriche. Durante gli studi accademici, determinanti sono stati gli incontri con Fabio Mauri, docente di Estetica (con il quale è stato performer in “Che cosa è il fascismo” nel 1997 alla Kunsthalle di Klagenfurt in Austria e successivamente assistente), Jannis Kounellis (di cui è stato allievo nel 1998 all’Aquila nell’ambito del Seminario-Laboratorio curato da Sergio Risaliti). Nel 2010 è uscito il suo grande volume monografico a cura di Francesco Poli e Massimo Carboni nelle ed. Logos. Nel 2011 è invitato alla 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia. mostre personali selezionate: 2012 “III° Dis/Ordine”, a cura di Martina Cavallarin, Museo Archeologico, Cannara (PG) 2010 “Liturgie dell’ineffabile”, Bastione Romano Torre Bruciata, Teramo 2007 “Senza titolo con fantasmi”, Arte Nova, Fuori Uso, Ex Mattatoio, Pescara; “Via Tacendo”, Sala Petruccioli, a cura di Alessandra Di Clemente e Marianna Fazzi, Facoltà di Architettura Valle Giulia, Università degli Studi “Sapienza”, Roma mostre collettive selezionate: 2012 “Undici allunaggi possibili”, a cura di Martina Cavallarin, Palazzo Zenobio per l’Arte, Venezia 2011 “L’arte non è cosa nostra”, a cura di Vittorio Sgarbi, 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Arsenale, Venezia; “Su Nero Nero – Over Black Black”, a cura di Franz Paludetto, Castello di Rivara, Rivara (TO); “Centocinquanta”, a cura di Daniela Cotimbo, Museo MACO’, Lizzano (TA); “Eppur si muove”, galleria Cesare Manzo, Pescara 2010 “Unbroken beat of soul, Ininterrotto battito d’anima”, Terzo Festival Mediterraneo della Laicità, a cura di Antonio Zimarino, Ex Aurum, Pescara; “Maga Circe” Biennale di Scultura, a cura di Vittoria Zileri Dal Verme, Giardini di Vigna La Corte, San Felice Circeo (LT); “Premiata Officina Trevana”, a cura di Maurizio Coccia, Matilde Martinetti e Mara Predicatori, Centro D’Arte Contemporanea Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (PG) Gino Sabatini Odoardi, Born in Pescara in 1968. Lives and works in Pescara and Rome. He studied at the Pescara school of Art and later graduated in Painting from the Academy of Fine Arts, L’Aquila. When attending High School he met the work of Ettore Spalletti as Art teacher. During his studies at the Academy he met Fabio Mauri, Aesthetics professor and artist, that has been a fundamental encounter (he worked as a performer with him in “What is fascism” in 1997 at the Kunsthalle of Klagenfurt in Austria and later as an assistant), then met Jannis Kounellis (he has been his student in 1998 in L’Aquila, during a seminary-workshop edited by Sergio Risaliti). In 2010 Logos editions released his great monographic book with critical essays by Francesco Poli and Massimo Carboni. In 2011 he was invited to the 54th Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia. selected solo exhibitions: 2012 “III° Dis/Ordine”, Curated by Martina Cavallarin, Museo Archeologico, Cannara (PG) 2010 “Liturgie dell’ineffabile”, Bastione Romano Torre Bruciata, Teramo 2007 “Senza titolo con fantasmi”, Arte Nova - Fuori Uso, Ex Mattatoio, Pescara; “Via Tacendo”, Sala Petruccioli, curated by Alessandra Di Clemente e Marianna Fazzi, Facoltà di Architettura Valle Giulia, Università degli Studi “Sapienza”, Roma. selected group exhibitions: 2012 “Undici allunaggi possibili”, curated by Martina Cavallarin, Palazzo Zenobio per l’Arte, Venezia 2011 “L’arte non è cosa nostra”, curate by Vittorio Sgarbi, 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Arsenale, Venezia; “Su Nero Nero – Over Black Black”, curated by Franz Paludetto, Castello di Rivara, Rivara (TO); “Centocinquanta”, curated by Daniela Cotimbo, Museo MACO’, Lizzano (TA); “Eppur si muove”, galleria Cesare Manzo, Pescara 2010 “Unbroken beat of soul - Ininterrotto battito d’anima”, Terzo Festival Mediterraneo della Laicità, curated by Antonio Zimarino, Ex Aurum, Pescara; “Maga Circe” Biennale di Scultura, curated by Vittoria Zileri Dal Verme, Giardini di Vigna La Corte, San Felice Circeo (LT); “Premiata Officina Trevana”, curated by Maurizio Coccia, Matilde Martinetti e Mara Predicatori, Centro D’Arte Contemporanea Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (PG). www.ginosabatiniodoardi.com Senza titolo + cubo con rumore segreto, 2010, termoformatura in polistirene, mdf, smalto / thermoformed polystyrene, mdf, enamel, 210 x 210 x 16 cm. photo by Gino Di Paolo, Courtesy galleria Oredaria, Roma Senza titolo, 2010, termoformatura in polistirene / thermoformed polystyrene, 70 x 70 cm. cad. (rilievi variabili cm 4/10), photo by Gino Di Paolo, Courtesy galleria Oredaria, Roma Senza titolo, 2010, termoformatura in polistirene / thermoformed polystyrene, Coca-cola, 70 x 70 x 20 cm. photo by Gino Di Paolo, Courtesy galleria Oredaria, Roma Senza titolo con ciotola, 2007, legno, ciotola in alluminio, smalto / wood, aluminum dish, 95 x 105 x 100 cm. photo by Gino Di Paolo, Courtesy galleria Oredaria, Roma Entrando nel refettorio ottocentesco di Cà Zenobio si sente uno stridere di ferro accompagnato da una sorta di belato, una litania conosciuta ma resa irriconoscibile dalla lentezza con la quale è fatta girare, 16 giri anziché 33, del Don Giovanni di Mozart e improvvisa appare la Giostra di Francesco Bocchini che gira, maestosa. Per il suo allunaggio Bocchini ha realizzato una struttura cominciata nel 1991 - ma mai compiuta dato il grande impiego di ferro, lamiere, meccanismi, comples- Francesco Bocchini si ingranaggi e 5 metri di larghezza Giostra, 2012, ferro, smalto, olio, meccanismi, diametro 5 mt. altezza 3.50 mt. per altrettanta altezza - costruita in un capannone di Gambettola in svariati mesi di lavoro. Il codice stilistico Carousel, 2012, Iron, enamel, oil, mechanisms, diameter 5 mt. height 3.50 mt. di Bocchini è inusuale e coraggioso. E’ fuori da mode e tendenze e inflessioni e suggestioni. Il suo segno si propone intenso e incessante rispetto alla realtà dell’opera. Nei suoi lavori le implicazioni sono metafisiche e surreali grazie ad assemblaggi e saldature e la resa finale è una composizione di una complessa, intensa, lucida espressività simbolica. L’ossessione si rivolge a giunzioni, margini, bordi, ingranaggi, tutti i punti in cui una cosa ne tocca un’altra. L’impianto non è mai formale, mai statico o lineare caricandosi di una sorta d’incantamento paradossale e ricco di stimoli, impregnato di memoria, affidato alla stranezza e arbitrarietà degli accostamenti e alla libertà felice dell’invenzione. Quello compiuto dall’artista romagnolo non è però più un ribaltamento e una parodia della scultura tradizionale, ma una pratica del contemporaneo che si avvale per necessità esistenziale di concettualismo impastato di un velato sarcasmo, citazione recondita riferita al sociale, alla politica, all’immaginario teatrale e ad azzardi possibili. André Breton in un noto scritto sul Dadaismo, riferendosi in particolare al Grande Vetro, ne descrive l’abbondanza di trovate come “interpretazione meccanicistica dell’amore”. E riconoscibile sebbene velata, riscontro nei meccanismi di Bocchini, in questa Gio- stra con i cavallini di ferro decorati che girano più a vuoto che per gioco, una carica sensuale, erotica e autoerotica, un confronto che si basa sul dualismo tra maschile e femminile, tra ingranaggio e manovella, ferro e lamiera, scritta e colore, tra opera che sale e circolarità della pedana rotante, essendo, verticale e orizzontale, ancora una volta, parte integrante dei principi maschile e femminile. Bocchini nel suo percorso intellettuale vissuto in maniera totale e sincera, sotto il segno di un codice poetico e artistico preciso, originale, assoluto, aderisce al processo della creazione come il Pollicino sognante di Rimbaud “sgrana rime” per ritrovare la casa paterna. Bocchini allo stesso modo dissemina segni e simboli, traccia degli alfabeti che comprimono storie e racconti, amalgama insieme geografie distanti alle quali, nel tempo, si aggiungono elementi grammaticali trasversali. Ai meccanismi a parete e su scaffali, alle grandi mensole ferrose ora Bocchini somma un altro grado di complessità, una profondità fisica e visuale apportata da superfici specchianti, anch’esse naturalmente “object trouvé” e consumate dal tempo, che offrono e incrementano nuovi punti di vista. In questo senso l’opera “Giostra” si fa hortus conclusus di un’esperienza di tracce e di luoghi in cui sono condensati tutti i tempi antropologici, i cammini di diversi uomini, sconosciuti e famosi scritti sul basamento per un dialogo con il visitatore che plana in una stanza di felliniana memoria e circolare tensione verso il prossimo allunaggio. Il recupero è di documentazioni stratificate e di codici di accesso che sfuggono all’ordinaria interpretazione del riemerso per porsi sul piedistallo di ferro come il cavallo colorato o un re sul suo trono. Ogni lavoro di Bocchini mi sembra un der kommende gott, il dio che deve ar- rivare (15) accompagnato da quel rumore di denti d’ingranaggio che sferraglia e una lirica mozartiana tradotta e traghettante. 46 Francesco Bocchini Francesco Bocchini, Nato a Cesena (Italia) nel 1969. Vive e lavora a Gambettola (Cesena). La sua operatività si è concentrata su latte e ferri smaltati per produrre macchine di marchingegni elementari. Meccanismi, installazioni, teche e altro: lamiera di ferro dipinta a olio, un lavoro in equilibrio tra ironia, mistero e dramma. Dalla metà degli anni ’90 il suo lavoro è stato esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2011 è stato invitato a partecipare a “Round the Clock”, Evento Collaterale della 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, a cura di Martina Cavallarin. Negli anni precedenti, tra le mostre collettive in spazi pubblici ricordiamo: “Playstation”, Kunstart, Merano, a cura di Valerio Dehò (2009); “Steellife”, Triennale di Milano, a cura di Elisabetta Pozzetti (2008); “Fresco Bosco”, Certosa di Padula, Salerno, a cura di Achille Bonito Oliva (2008); “15ª Quadriennale d’Arte”, Roma (2008);”Bologna Contemporanea 1975 - 2005”, Galleria d’Arte Moderna, Bologna, a cura di Peter Weiermair (2005); “XIV Quadriennale, Anteprima”, Promotrice delle Belle Arti, Torino (2004). Mostre personali selezionate: 2010 “La Storia Naturale”, Galleria l’Affiche, Milano, testo di Roberta Bertozzi 2010 “Tutti vivi, tutti morti, tutti rivivi, tutti rimorti”, AndreA Arte Contemporanea, Vicenza, a cura di Martina Cavallarin, testi di Martina Cavallarin e Alberto Zanchetta 2009 “Un braccio ruminante”, Galleria Il Segno, Roma, testo di Roberta Bertozzi 2008 “Domino Blumen Falene”, Mel Gallery Contemporary, Vienna, testo di Roberta Bertozzi 2007 “Gloriette”, Galleria L’Affiche, Milano, a cura di Martina Cavallarin 2006 “Francesco Bocchini”, Galleria Scilla Cicognani, Colonia, testo di Roberta Bertozzi 2003 “I primi asini pensavano per conto proprio”, Galleria De’ Foscherari, Bologna, testi di Valerio Dehò e Alberto Zanchetta 2001 “Lés funenbrés”, Galleria L’Affiche, Milano, testo di Rosalba Paiano 1998 “Anima Patata”, Galleria L’Affiche, Milano, testo di Enzo Fabbrucci 1996 “Partito preso”, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, a cura di Anna Mattirolo Francesco Bocchini, Born in Cesena, Italy, 1969. He lives and works in Gambettola (Cesena). His work has been focused on tin and enamelled irons, to produce machines of elementary devices. Mechanisms, installations, cabinets and more: iron tin oil painted, a working balance between irony, mystery and drama. Since 1996 his work has been exhibited in solo and group shows in Italy and abroad, in private galleries and public spaces. In 2011 he was invited to participate in “Round the Clock”, Collateral Event of the 54th Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, curated by Martina Cavallarin. In previous years, among the most interesting group exhibitions in public spaces: “Playstation”, Kunstart, Merano, curated by Valerio Dehò (2009); “Steellife”, Triennale di Milano, curated by Elisabetta Pozzetti (2008); “Fresco Bosco”, Certosa di Padula, Salerno, curated by Achille Bonito Oliva (2008); “15ª Quadriennale d’Arte”, Roma (2008); “Bologna Contemporanea 1975 - 2005”, Galleria d’Arte Moderna, Bologna, curated by Peter Weiermair (2005); “XIV Quadriennale, Anteprima”, Promotrice delle Belle Arti, Torino (2004). selected solo exhibitions: 2010 “La Storia Naturale”, Galleria l’Affiche, Milano, essay by Roberta Bertozzi 2010 “Tutti vivi, tutti morti, tutti rivivi, tutti rimorti”, AndreA Arte Contemporanea, Vicenza, curated by Martina Cavallarin, essays by Martina Cavallarin and Alberto Zanchetta 2009 “Un braccio ruminante”, Galleria Il Segno, Roma, essay by Roberta Bertozzi 2008 “Domino Blumen Falene”, Mel Gallery Contemporary, Vienna, essay by Roberta Bertozzi 2007 “Gloriette”, Galleria L’Affiche, Milano, curated by Martina Cavallarin 2006 “Francesco Bocchini”, Galleria Scilla Cicognani, Colonia, essay by Roberta Bertozzi 2003 “I primi asini pensavano per conto proprio”, Galleria De’ Foscherari, Bologna, essays by Valerio Dehò and Alberto Zanchetta 2001 “Lés funenbrés”, Galleria L’Affiche, Milano, essay by Rosalba Paiano 1998 “Anima Patata”, Galleria L’Affiche, Milano, essay by Enzo Fabbrucci 1996 “Partito preso”, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, curated by Anna Mattirolo www.affiche.it www.galleriamichelarizzo.net Blumen, 2010, ferro, vetro, specchio, colore a olio / iron, glass, mirror, oil paint, 200 x 210 x 40 cm. Particolare dell’opera esposta a Round the Clock - evento collaterale / collateral event 54ª Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia. Spazio Thetis, Venezia Carnera, 1997/2000, installazione a parete. Smalto sintetico e olio su lamiera di ferro / wall installation, synthetic enamel and oil paint on iron sheet, 300 x 450 cm. Artefiera, Bologna, 2002 (con Galleria l’Affiche) Limbo Pink, 2010, meccanismo a parete, smalto su lamiera di ferro / mechanism on wall, enamel on iron sheet, 220 x 125 x 29 cm. Tutti vivi, tutti morti. Tutti rivivi, tutti rimorti, 2010. meccanismo a parete, smalto su lamiera di ferro / mechanism on wall, enamel on iron sheet, 220 x 150 x 27 cm. Opere esposte alla mostra personale / exhibited on solo show “La Storia Naturale”, Galleria l’Affiche, Milano, 2010 Un cervello così aguzzo, 2008, meccanismo a parete, lamiera di ferro, colore a olio / mechanism on wall, iron sheet, oil paint, 300 x 250 x 28 cm. Opera esposta alla / exhibited on 15ª Quadriennale d’Arte, Roma, 2008 La qualità sostanziale della nuova e appropriata ricerca contempora- UNDICI ALLUNAGGI POSSIBILI nea che la mia predisposizione di critica sta approfondendo in questi anni, risiede nel presupposto stesso delle più variegate pratiche artistiche impiegate come un coro di voci sole in questa esposizione di artisti mutanti. Infatti, se il Allunaggi Possibili | Possible Lunar Landings by Martina Cavallarin critico si esprime attraverso i tre livelli di scrittura (16) - scrittura Il faut être nomade, traverser les idées comme on traverse les pays et les villes. (1) saggistica, scrittura comportamentale, scrittura espositiva - è quest’ultima che è stata da me impiegata per While the artist’s creation inhabits a private art room during its germinal phase, when it is finished it is placed in relation to the viewer in a public room, a place of exchange and listening, a place of possibilities and real enchantment. In the encounter between the dragonfly-like, prismatic perspective of the changing artist (2) and the generally horizontal perspective of the viewer, the room becomes a possible lunar landing, a form of human negotiation between narrative and understanding, described by Marcel Duchamp as the “art coefficient”. This negotiation generates a fertile, pale and seemingly distant humus, but one which is as possible as any lunar landing interpreted as a need to expand thought and thinking, to overturn the game of parts. I like to think of every room in an exhibition, particularly in this exhibition of possible lunar landings, as a place of suspension, not necessarily silent and not necessarily noisy. It is the confidential space of the work of art, which coexists and communicates with the individual places, taking the visitor by the hand along a shared path. In contemporary art, I believe that the lunar landing is neither soft nor perhaps hard, because the machine that makes it plausible is not a mechanical device comprised of pistons and metal, but that undefinable machine that leads to the creation and epiphany of the work. The possible lunar landing is my expository writing contribution, permitting the accidental interference of the expected stranger, the traveller on the edge of a threshold, with the work and the amazement generated by its presence. This exhibition attempts to establish a casual harmony, seeking to put itself forward as a natural sign of a planned artifice, the one developed by each artist, with its gestaltist relationship with space, entering into an empathic mechanism through all-consuming and unrestrained works of art. While the liminal is a fact or phenomenon on the threshold of consciousness and perception, the eleven possible lunar landings connect the combinations of surpassable and expandable limits through the linguistic assumptions employed by artists in their works and engage with an idea of executive complexity. The rooms are halls of wonders, featuring warm appropriations and cold approaches; they are wunderkammer, a region accessible to the eye through the horizontal transitions of our steps and our even more complex vertical perspectives of the wall and floor, the ceiling and the next corner which is yet to take shape. intercettare gli allunaggi possibili tra presenza dell’opera e attenzione dello spettatore. Occorre lavorare, pur nella apparente disgiunta resa formale che rende ciascun artista autentico e imprevisto, sulla trasparenza e sul bilico dell’inframince (17) - spazio estremo, incatalogabile e impercettibile - esplorando una zona irrintracciabile che si avvale attraverso l’ossimoro agnettiano del dimenticare a memoria di vertiginosa simulazione ed eccessi di verità. L’invenzione di undici allunaggi possibili è scaturita quindi proprio dalla scrittura espo- sitiva, che nella sua fase di assemblaggio di una collettiva complessa di personalità specifiche e distinte, mi ha incanalato nel mio allunaggio che il tradimento - nel senso etimologico, di tradere, tradurre, traghet- tare - operato dagli undici artisti protagonisti della mostra e dell’inciampo tra le loro opere e lo sguardo dello spettatore, ha reso compiuto e vitale, e possibile. 1. Francis Picabia, bisogna essere nomadi, at- traversare le idee come si attraversano i paesi e le città 2. Artisti Mutanti, dalla conferenza sulla Transavanguardia Italiana, MART di Trento e Rovereto, 11.11.2011, intervento di Martina Cavallarin 3. Martin Heidegger, L’arte e lo spazio, Il Nuovo Melangolo, Genova, 1997 4. André Gide 5. Fëdor Michailovic Dostoevski, Memorie dal sotto- suolo, Feltrinelli[1864], 1995: l’uomo, sofferente e antilluminista di Dostoevskij, recita: <Vi giuro, signori, che l’esser troppo consapevoli è una malattia, un’autentica, assoluta malattia> 6. Robert Smithson 7. Philip k. Dick, Confessions of a Crap Artist, 1959 8. Guy Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2001 9. Guy Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2001 10. Jean Claire The entrance to the exhibition is marked by the obsessive, glittering vibration of a thousand little bells, an alarm created by Gianni Moretti in his “La Seconda Stanza” [“The Second Room”]. This fragile and energy-packed installation is a Poor Art construction that captures the experiences of fear and protection. Flashes of light reveal the shiny gold metal of the spheres driven wild by the thrust of small motors that only impress their rhythm on the intersecting pieces of wood when someone approaches, triggering the sensors. What Moretti manages to achieve in this work and in this lunar landing is an act of indicating existence, bringing its private dimension into relation with the world, although not without being armed with tools. The work metaphorically recalls the sticks equipped with jingling bells used by peasants to drive away serpents and other dangers as they walk through the fields. The movement, the sound, the blinding flash of gold and the epileptic dance of the elements hanging on invisible nylon threads subjected to exaggerated centrifugal tension, take the entire structure to the very point of collapse. The slim wooden bones which form the corners and the 11. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, tr. di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1968 12. Emanuele Severino, Tratto dall’intervista Nietzsche e l’eterno ritorno - Brescia, abitazione Severino, venerdì 16 dicembre 1994 13. Georges Didi-Huberman, Il gioco delle evidenze. La dialettica dello sguardo nell’arte contemporanea, Fazi editore, 2008 14. Nicolas Bourriaud, Estetica relazionale, Postmedia Books, 2010, pg 92 15. Dioniso di Friedrich Hólderlin 16. Achille Bonito Oliva 17. Marcel Duchamp 50 imperceptible lateral filaments are the repositories of a trembling and noisy army, a saturated and condensed universe in which the sense of loss is a necessary prediction and something to be hoped for. The delimitation studied by Moretti corresponds to Heidegger’s “Raum” (Rum traditionally meant “a cleared out space fit to receive a settlement of colonists or a camp” (3)). Just as the Greeks understood the word “péras”, this limit does not mark the end of something, but a beginning, a subjective environment in which man learns to live with himself and get to know himself. Inside the space is empty, disarming in its transparency, a sacred and inaccessible place regarding which it is difficult to understand the meaning of the defence without accepting the assumption that this place is the Raum, metaphorically corresponding to the body of the artist, his existence in life as in art. Here reigns security and marginalisation, distance from seeing and hearing, immersion in private vision, in the lunar region of thought into which it is perhaps always possible to enter and which it is perhaps always possible to leave. This journey poses a hazard like all those routes that lose sight of the shore and only courage permits us to follow (4), taking on the abyssal, universal and uncoordinated waters of art, where discovery and its unknown quantities exist, where art cradles and sinks, washes and burns. The encounter with Robert Gligorov’s imposing “Mobydick” demands the eyes of the viewer to travel continuously around the height and breadth of the animal, which lies slack and inert, concave, on a gilded parallelepiped of 3 metres high. Its form has its own artistic history developed by the Macedonian artist, covering a period of time during which its birth and growth, variations of scale, colours and its spatial relationship evolved out of the “Endo” series of 1998. It progressed through a range of different variants, culminating in “Mobydick -self-portrait (il peso delle cose) [the weight of things]”, a wooden pedestal and iron framework clad in a rubbery polymer material, installed in the stunning hall of mirrors in Cà Zenobio in May 2012. An unplanned and yet evident lunar landing, which is both as silent as it is invasive and large. The line of the Carpa [Carp] borrowed from the architecture of Frank O. Gehry is a dynamic structure that represents the ideal sculptural type according to Gligorov. The metallic armour of the Golem is the natural plastic image obsessively modelled and reformulated by Gligorov during various attempts in different materials, while the colours achieved by rolling out several blocks of plasticine represent symbolic values. Each area of colour signifies a particular interest or the degree of importance Gligorov associates with things, commitments, hobbies and people in his life. It is a real piece of three-dimensional graphics comprised of sport, art, love, friendships, culture, cinema, music and money. This assumption makes this monumental element an explicit biographical map through relationship aesthetics based on the intersubjectivity installed between the artist and the created work, while the associations control and fuel the viewer’s perceptions, leading him to circulate the installation with seductive and pervasive curiosity. The Golem organism proceeds without delay towards its entropic fate, explicated in the flaying of the skin to leave increasingly large and unbridgeable wounds, in which the iron framework can be seen in all its evident nudity. Ever drawn by systematic and meticulous research into the relationship between image and artifice, cultural impact and the power of iconography on human consciousness, Gligorov once again chooses to put himself into play, combining the prismatic perspective of the artist with that of the viewer in an open match between illuminated and shady zones, deliberate hallucinations and precise focus, high and low thermal conditions. ’On 1 November 2011, Yasuhiro Sonoda, MP for the Democratic Party of Japan (DPJ), drank a glass of water from reactors 5 and 6 at Fukushima nuclear plant. He did so in full view of a packed press room, occupied by journalists from all over the world ready to immortalise this dramatic deed. At the end of this great performance, the empty glass was raised for all to see.’ Entering the semi-dark atmosphere inhabited by the auroraMeccanica means coming into contact with a portion of the world in which the encounter between the real and the virtual, understanding and appearance, physical work of art and reference to its meaning in the film played on a small screen, is something that both disorientates and bewilders. Following detailed historical training focused on the genesis of video art and the history of its founding fathers, the Turin-based collective auroraMeccanica, comprised of Fabio Alvino (born in 1988), Roberto Bella (born in 1983) and Carlo Riccobono (born in 1982), began to focus its research on the concept of mystification and false perception that each image or action can generate in people. The reflection on the use of the material – which, in the case of “Come bere un bicchiere d’acqua” [“How to Drink a Glass of Water”], consists of a small table supporting a half-filled glass – combined with the intangibility of the video - which refers back to an actual event - is the starting point for a “responsibly artistic thought”. The end result of this process materialises in the creation of an interactive work in which the contribution of the viewer is fundamental in order to complete it. Technology, on the one hand, and the physical presence of the objects, on the other, permeate one another to create a symbol of a shared adhesion marked by conscious participation, a lunar landing dedicated to a civic conscience in which the viewer is called upon to be a guarantor and witness. In “Come bere un bicchiere d’acqua” the process of reworking reality is reinterpreted in the relationship between the real object and its shadow: the metonymic object is a glass of water placed in the middle of a small table. The glass is lit from above by an undefined light source, while the shadow visible on the table behaves eccentrically: it is unstable, it moves and it breaks up. The shadow of the glass constantly responds to the variations in radioactivity emissions detected in the areas around Fukushima Daiichi. The accurate and objective measurements, made in Japan and published on the web in real time, are reinterpreted to provide a version of the truth which is transformed with the slightest change. The case of the Japanese MP Sonoda is simply a concrete example of how reality is conveyed and dramatised in many different ways on a daily basis. The desire to examine things more closely is the starting point for the critical analysis of the data, in an attempt to escape the mystification implemented by the media and global information, drawing closer to the glass and discovering that the shadows can even disappear. A motionless solitude lingers in the sculptures and installations by Alessandro Bergonzoni; a place of loss that does not lead to subtraction, but instead to a gestaltist mechanism in which “everything is more than the sum of the individual parts”. In this labyrinth of materials from a private and emphatic memory, separated into fragments and given new life through other forms and other recesses of existence, that which most closely concerns the artist is what is not seen, transporting pain into the sphere of the possible and the possible into all spheres like a contemporary ferryman, by means of an artistic process in which writing always accompanies the work even when it is concealed. Its organisms are fuelled by the expansion of error both during the creative phase, and during the expository phase, when everything appears still and yet is subject to a constant, progressive and inexorable process. While harbouring and establishing the dimension of doubt has always been one of the tasks of contemporary art, in every era and season, in his works doubt is a vision of art, finding the acrobatic experimentation with ellipses and jargon-based hyperboles of thought in the semiautobiography of this room. This is certainly true of TELI DEI RESUSCITANTI PER SVENTOLAR BANDIERA BIANCA, RITROVATI SOTTOSUOLO [Waving the White Flag with the Sheets of the Resurrected, Underground Finds], an installation comprised of a mound of earth, finds, an archive infused with what has surfaced, been excavated and is impure. In the studied completion of the installation, the sublimation of archives of experience in another dimension, the need to overstep the boundaries of the terrestrial atmosphere, and the deliberate hallucination of an exile, the artist takes a white flag to his Moon and places it beneath a mound of earth, while another white flag is laid out with the found objects, all with rough and contaminated surfaces, discovered sticking up out of the dust by a chance glance ready to grasp the association with the next encounter. Each of these residual items is catalogued and the discovery, the act that the viewer is driven to make, is one of uncovering the association between the numbered object on the flag and its meaning written on the “whiteboard” on the wall. The wall-mounted plasterboard brings the threads of meaning together, tracing out a map of interconnected worlds and interchangeable dimensions. Bergonzoni achieves an epiphany of the revelation of the contents, an autopsy performed in and on the room, the traces of which are verified by the sculptures, but also by the stitches that descend from the disconnected wall to the floor to shore the flow of the dust that rises up from the very bowels of the lunar terrain. In this space we can observe the encounter between art and life, between viewer and work of art, between horizontal perspective and prismatic perspective. In Bergonzoni’s work, we have the impression that we will never again have the opportunity to return to a calm presence, the boundaries between entities and events being extremely transient. The indeterminate nature of the dust will raise other spaces and other intervals, perception will always be alert and the potential extended in a jazz-like discord that continues to beat. The unease generated by “Notes from Underground” (5), echoed by Bergonzoni’s installation in the funnel-like process of progressive discovery that unfolds between the act of revealing and the revealed, is an awareness of being able to convert the factors, to display the true and the false, it is an awareness of a “man in need of a superhuman being”, which can be increased or locked away as a result of the encounter with art. The artist does not fear the inaction that this extreme awareness can bring and moves us beyond, encouraging us towards the inevitable and the amazing, forcing us to look without worrying ourselves about pressure, temperature, altitude or time. Bergonzoni makes the lunar landing without delay and does not suffer the outward journey or the return, because he recognises that they are the same thing, a single vast opportunity. “Many would like to forget time altogether, because it conceals the “death principle” (every authentic artist knows this). Floating in this temporal river are the remnants of art history, yet the “present” cannot support the cultures of Europe, or even the archaic or primitive civilisations; it must instead explore the pre- and post-historic mind; it must go into the places where remote futures meet remote pasts.” (6) “Today, in the 1950s, everyone’s attention is turned upward, to the sky. Life on other worlds preoccupies people’s attention. And yet, any moment, the ground may open up beneath our feet, and strange and mysterious races may pour out into our very midst. It’s worth thinking about, and out in California, with the earthquakes, the situation is particularly pressing. Every time there’s a quake I ask myself: is this going to open up the crack in the ground that finally reveals the world inside? Will this be the one?”“ (7) The relationship between space, work of art and viewer is intensified in the conceptual heat that pervades the lunar landing of Ester Maria Negretti, a lyrical, evocative, empathic and pictorial artist even in the imposing mass of her monolithic sculptures. The beams of light that cloak the iron, wood, concrete, tar, cement and oil paint which form the “Dialogo tra sordi” [“Dialogue of the deaf”] are mixed with a subdued and obsessive noise, a breath which dialogues in the form of an illusion with the physical work of art. In this installation the sensation is one of finding oneself in the middle of a conjugation perpetuated between the bodily, mental and moral energies of the artist and the identity of the expected traveller’s movement. Negretti’s creation does not renounce the circular reworking of the existential position in favour of the appearance of the work, but instead displays an apparent and affirmative trace of the osmosis and ongoing brimming-over of energy from the individual structure of the work to that of the world and vice versa. Negretti’s lunar landing lies in the possibility of escaping entropic fate through the conjunction of art and life, their absolute permanence in a state of apparent calm, fake death, a dramatic act that supports and aids the necessary deception appropriated by every single existence. The three maje- stic and protective giants encompass every flow, every attitude, every entrance and exit with their presence, while their circular design memorises the possibility of containing all the worlds that simply touch upon them and never pass through them. Negretti’s works “sound” like questions and social admonitions. Noisy, insistent and insinuating ideas circulate in her sculptures. We can perceive a sense of unease, a consistency generated by the material of the sculpture but also by a real and committed participation, a hope for the reanimation of the world. Restoring form to the findings of reality highlights the need to restore chaos to the order of culture. The artist’s creative process is a closed circuit which looks back with nostalgia at a traumatic expansion of our society. Layered, burnt and sculpted, the material used to create the film-like surface of the iron sentinels tells of ancient remains brought to light, emerging on the surface, but ever inaccessible like spines that reject contact and dialogue, in a powerful metaphor of existential incommunicability. Listening to the undercurrent of breathing becomes even more evident here, whispering of a pain suffered and never overcome, the incommensurate pain that each of us carries within and which the artist seeks to exorcise through the representation and presentation of her naked work of art to the other. In Negretti’s case, the lunar landing is an act of possible sharing of a fate that I personally do not believe to be ever random or measurable. It is a primordial manifestation of a civilisation that feels itself to have grown without ever evolving, at least not in the spheres we really need, but which art can help to bridge. However, this cannot be achieved without contagion, illness, the infected virus of a malaise that, while it is staggering and upsetting, is also very much alive and dynamic. A single room is brought to life solely by the packed and intense walls of “Errata Corrige” by Ekaterina Panikanova, a sophisticated artist, with the intelligent hand of an artist, painter and designer of controlled symbols formed by ink and printed pages. The work is based on the metaphor of the oyster and the pearl: after the sand enters the shell, the grain of sand, the element of stress, triggers its expulsion through the production of a capsule, a virus with an attractive appearance. In the same way, the intrusion of her mark into the pages of books, assembled together and intersecting one another, conditions the vision of the work concentrated primarily on family scenes and mountain animals, particularly the figure of the deer. The ensemble of embellishments and conceptual references are condensed in the central video, in which the incessant flicking through the unrolling pages gives life to different narratives which break up the planes and the emotive limits. That which distracts and captures the attention are not the chromatic outbursts - whose differences are minimal and focused on a few tones, such as black, the yellow of the worn pages, and hints of red, except when the support is a colour magazine - as much as the sensation of being faced with a story to be seamlessly classified each time. A psychic investigation into sensations and perceptions, a lunar landing to be approached with the controlled fear of performing surgery in which the roles of doctor and patient are disconcertingly swapped. Panikanova’s wall installations reveal a seesaw of possibilities always poised on the very edge of the threshold, a correspondence between past and future, between the contemporary image of a blacked-in creature on paper and an old book, memories of worn pages and the re-emergence of advertising images from 1950s American magazines in which the father hugs his daughter, while the boy in a sailor suit perhaps awaits a caress, standing contrite and motionless in a “familiar style” family portrait, with obsessively stylised, windowless houses repeated in endless cycles nearby. Other iconographic elements include a rocking horse with moose horns against a dark background, cakes which appear and disappear, vintage tapestry flowers in unique compositions in which the individual elements merge to reappear together only in the running of the video. Other pages have only drops commandeered from others, others still are soaked, impregnated to the very limits of resistance of the material, almost drenched with secrets, motionless as they wait to display their pure or inacceptable hidden side. The ability of this interesting and highly original artist lies precisely in the grafting of the virus, in the silent intrusion of the principle that infects apparent everyday life, the fictional security, the family as a symbol of solidity and beauty which conceals beneath its bourgeois folds the most pitiless and relentless aspects of the human being and his relationship with the world around him. Leonardo himself said that “painting is a mental occupation”. “The more he contemplates, the less he lives; the more he identifies with the dominant images of need, the less he understands his own life and his own desires.” (8) The relationship formed upon entering Mauro Ghiglione’s room leads immediately to a state of silent unease, in which one searches for cardinal points in order to orientate oneself. The installation is clean cut: four works - digital prints on Plexiglas - are mounted on the rear wall, each by means of four calibres, precision instruments employed with perfect geometry in the middle of each side, gripping the supports and securing them to the wall. “Debito d’ossigeno” [“Oxygen Debt”] is an installation that concentrates on the distinctive traits of Ghiglione’s artistic process, that is to say the examination of the relationship between the photographic image and what is real. On the one hand, this interest permits him to pursue his research into the mental mechanisms underlying the work, while on the other to tackle more contemporary themes with linguistic research designed to subtract the photographic details from the image, in order to face its moment of crisis. The central figure in each panel is apparently a statue - printed on pages of the New Testament assembled together - and positioned at different angles. In reality, it is a picture taken at the Torture Garden, a travelling and nomadic English organisation which allows people to subject themselves to masochistic practices or watch others undergoing them. In this case, the person is placed in a “vacuum” and breathing is only made possible only by a hole at the level of the mouth which allows the external air to enter. The fascination of the commodity theorised by Guy Debord is translated into a work of art by the Genoese artist attracted by the seductive fetish concept that regards “object products” in the same way as the “human product” and the “art product”. In the room in which this ritual was performed, a man stood still and excited, seduced by the suffering, captured by the extreme line between life and death, Eros and Thanatos. In this way, the social relationship between individuals is developed with a method that leads to profound alienation and constant deception. Ghiglione extends the same thought to the Art System which, while benefitting from an undisputed humanist dimension, is driven constantly and inexorably towards a functional dimension in which the work of art necessarily becomes a commodity. “The spectacle is capital accumulated to the point that it becomes image.” (9). On the two side walls, small mirrored surfaces create multiple images of a human skull hanging from the ceiling, with a red pendulum plumbed on the end of the string that supports it, also directed over a small mirror. The work is entitled “Finalmente mi vedo” [“Finally I See Myself”] and is a sitespecific installation, focused entirely on false perceptions, the total deception of an entropy which is not eluded by the fact that the aesthetic subject no longer responds to a tautological affirmation as was the case when art was what was defined as art. The autonomous value of the work now disappears, making way for a value comparable to that which each market applies to any given product. Maurio Ghiglione has created the ghost of a suspicion that art is becoming just another small part of our small world rather than, in a truly extended sense, remaining a possible lunar landing, that region to which only the art machine can transport us, that possible project of alchemy, imagination and multiple redefinition. A great critic, whose pattern of thought is very close to that of Ghiglione, wrote: “Men will one day disappear, but their simplified images will remain, recalling them. And they will cry without any longer knowing why.” (10) Sudden immersion into darkness and the enchantment of a revelation, free falling in space with its many aspects, voids and expansions of solids that push the boundaries of our own private imagination. Eric Winarto is a painter who applies multiple layers of colour, although not before having studied the place that his work of art will inhabit with his own eyes and intellect as an architect. He is inte- rested in transporting the traveller into the dimension of the visible when the shadow is total and permeated only by the black light, also known as Wood’s lamp and, on the contrary, in liquidating the work when the lights are on, there where the viewer usually understands, studies, savours, stumbles, falls sick and dialogues with the art. Winarto paints nodal elements of the sculpture of the mind in his wall tattoos, thread-like or dense elements and traces, often as symmetrical and precise as if he had used a set square and compass. The entire structure of his lunar landing is supported by a succession of phases, dominated by white on white and then going on to encompass blue, light blue and black, opening up an almost all-consuming, but highly conceptual aesthetic vocabulary. The project specific is its signature style, pieced together with Eastern patience, which in part is bred into him, Winarto having a part Indonesian and part Swiss ancestry. I presume that this crossover accounts for an important part of his obsession, a reiterated need to work by night, when reality encounters his method of working, when silence is smashed thunderously against the walls that might never report, unless the room is equipped with specific lighting, that it houses so much courage, so much detailed symmetry combined with the strabismus of a sincere and absolute artist whom I recognise as being subdued, yet substantial, in his intellectual, manual, lyrical and artistic touch. His possible lunar landing had a nine-year genesis, which is how long it took to create his cycle of fluorescent paintings “Blacklight Selva” [“Blacklight Forest”]. All this time, this waiting, this inexorable and uninterrupted process to create a temporary work of art on a wall or canvas. The sensation of poetry is profoundly researched in the work and always refers to the metaphor of human destiny. The term Selva [Forest] derives from the Divine Comedy, a strong and omnipresent European legacy, representing the labyrinth of life, a guiding concept for Winarto in this series of works. A Mannerist labyrinth in which the sense of loss is absolute, where there is no possibility to glimpse or return to the centre, where alienation reigns supreme, where the cycle “of eternal recurrence” (11) is a possibility undertaken with calibrated and unprecedented daring, there where the limits of the absurd bring the viewer’s perception into play, placing his affective and contemplative dimension into a state of crisis. “This is the ‘entification of nothing’, and this huge contradiction underlies my insistence that in contemporary thought there is an unstoppable capacity to destroy every form of philosophical tradition, that is to say every way of evoking and building eternal structures.” (12) A state of transparency, a rarefied signal of mixed odours that fill the nostrils and a jangling that only begins when the viewer triggers the sensors with his presence. The perception of this sinuous work by Tamara Repetto begins with these almost synaesthetic and total signals. The vibrant impellers of “Anosmia”, an installation of tubes of Plexiglas each containing a cascade of glass rods that are driven by a motorised thrust, moving the olfactory wafers, are “soul informers”, impulses that drive the regions of the mind beyond the tautology of “what you see is what you get” (13), thereby going beyond reality itself. This dichotomy requires some imagination, an expansion that only the lunar landing of art can provide, in order to measure itself against the zero degree and cause appearance and depth to communicate freely. From the Greek “σημεῖον semeion”, semiotics is the discipline which studies signs and the way in which they form a meaning, that relationship which, through memory, activates an awareness in us that triggers synapses. This process is an inherent part of the approach which man applies to the things of life, but escapes the codices of art which are enlarged and made possible and elastic under the drive of an unprecedented power, the strength of the work which continuously bounces us between instinct and instinctiveness, between understanding and alienation, in a space in which the virus of contamination alters the static incrustations in which we tend to barricade ourselves. Identity, connectivity and collectivity meet in the instability of the fractal object in order to conceive a necessarily multiple thought, both from the point of view of the crossovers of the multidisciplinary and technological language employed by Repetto, and from the point of view of a focus on a psychic and social interest that intervenes in the viewer. A milky way of plural creative procedures poised between lyricism and technology, between the warm temperature of the involvement of the senses and the cold temperature of glass, the clarity and the formal, incisive, almost statistic delicacy of transparent elements. A site-specific installation artist, Tamara Repetto concentrates on the characteristics of the place with which the work will coexist, beginning with the odours present and inherent to the place that will house the work and with which she builds an empathic relationship particularly focused on an olfactory and sometimes auditory map. The specific nature of her research revolves around the consideration of the change that these events bring about, the parrying of changeable perceptions by means of small insertions, omissions and developments and the deceptive ability which the geometry between the chemistry and architecture of the work of art help to create with disarming complicity. Penetrating Gino Sabatini Odoardi’s brightly lit room and dark floor projects one into a vision which generates an initial sensation of entering a holy building, with pure white kneelers and a sense of loss. However, when everything comes into focus, the labyrinth becomes a mental one because the twelve elements Senza titolo in wireless (Untitled wireless) are scattered about and muddled up and above them is a “thermoformed polystyrene” object that blends in with the wooden structure and reveals itself to be the copy of a “PlayStation gamepad”. The artist from Pescara has led us through the technologically advanced plastic artifice of counterfeiting the contents through form, in a deception perpetrated by the re-contextualisation of the existence of the symbolic objects and the gaming objects. Boosted by the temporal dislocation of an aseptic and unexpected location, the questioning of indisputable issues reaches the extreme limit between elasticity and breaking point. Sabatini Odoardi’s lunar landing regards mystification and grafted possibilities that civilised society fails to contemplate and the powers-that-be avoid, because channelling the motionless sacredness of religion and the age-old tradition that drags it along into infinite alternative aspects represents the unhinging of certainties and the restoration of possibilities. Ever poised on the dangerous and perilous verge between sacred and playful, the research carried out by this interesting artist, who grew up from a young age in the “workshop” of Fabio Mauri, displays ideologies and activates detailed and adulterated programmes, measuring itself against an ever sophisticated and beautiful work of art (aesthetic fluidity inseparable from questions regarding the autonomy of the work (14)), an important conceptual counter-attraction in his planned de-territorialisation of established geographies, which are never questioned on a daily basis. A dimension of doubt installed with the precise grammar of agnosticism, based on the firm belief that absolute truth escapes the human mind and, as a result, it is not plausible to talk about what one does not know. If anything, Sabatini Odoardi’s intention is to call certainties into question - even when this means upsetting history - in order to dispute passive acceptance of events. Through his art, Sabatini Odoardi triggers a process of mental metonymy, the prerequisites for which reside in probability and likelihood, in small partial moves that imply progress towards horizontal detours as the only possible solution. This is like overcoming a linguistic and intellectual Darwinism, immobilised and made vulnerable by creating and conceiving art only by means of proceeding in other directions and into unknown regions as part of a real lunar landing, understood as a heterogeneous and fluid existential region. When entering the 19th-century refectory of Cà Zenobio one hears the rasping of iron accompanied by a sort of bleating, the well-known litany of Mozart’s Don Giovanni made unrecognisable by the slowness at which it is played, at 16 rpm rather than 33 rpm. Suddenly Francesco Bocchini’s “Giostra” [“Carousel”] appears, majestic and revolving. For his lunar landing, Bocchini has developed a structure begun in 1991 - but never completed given the huge amount of iron, sheet metal, mechanisms, complex gears and measurements of 5 metres wide by 5 metres high - built in a unit in Gambettola over the course of many months. Bocchini has an unusual and courageous style. It is out of fashion, not matching any of the latest trends, inflections and suggestions. His mark is intense and incessant compared to the reality of the work of art. His works have metaphysical and surreal implications achieved by means of assemblies and soldering, and the final result is a composition of a complex, intense and lucid symbolic expressivity. His obsession is focused on joints, margins, edges and gears, all the points at which one thing touches another. The installation is in no way formal, static or linear, being charged with a sort of paradoxical enchantment packed with stimuli, impregnated with memory, entrusted to the strange and arbitrary nature of the juxtapositions and the happy freedom of invention. However, the artist from Romagna has not overturned and created a parody of traditional sculpture. His is a contemporary practice which avails itself, for reasons of existential necessity, of conceptualism containing a veiled sarcasm, a hidden statement regarding society, politics, the theatrical imagination and possible hazards. In a note on Dada, making particular reference to the “Large Glass”, André Breton describes the abundance of finds as a “mechanistic interpretation of love”. I can observe a recognisable yet veiled sensual, erotic and autoerotic charge in Bocchini’s mechanisms, in this Carousel with its iron horses that revolve emptily rather than for fun. This comparison is based on the dualism between male and female, between gear and crank, iron and sheet metal, writing and colour, the work of art which rises and the circular design of the revolving footboard. Everything is vertical and horizontal, forming an integral part of the male and female principles. Bocchini adheres to the process of creation during his total and sincere intellectual journey, under the auspices of a precise, original and absolute poetic code, just as Rimbaud’s Tom Thumb the dreamer “churns out rhymes” to find his paternal home. In the same way, Bocchini disseminates signs and symbols, traces of alphabets that compress stories and tales, amalgamating distant geographies together and adding transversal grammatical components to them over time. Bocchini adds a further degree of complexity, a physical and visual depth to the mechanisms on the walls and shelves, and to the large iron brackets, in the form of mirrored surfaces, which are naturally also “objets trouvés” and worn by time, offering added new points of view. In this sense, the “Carousel” is the hortus conclusus of an experience of traces and places in which all anthropological times, the journeys of different men, unknown and famous writings are condensed on the pedestal to install a dialogue with the visitor who glides through a Fellini-like room packed with memories and circular tension as regards the next lunar landing. The recovery that takes place here is one of layered documentation and access codes which escape the ordinary interpretation of what has re-emerged, then presenting themselves on the iron pedestal like the coloured horse or a king on his throne. Every work by Bocchini appears to me to be a “der kommende gott, the god who has to arrive” (15) accompanied by that grinding noise of indented gears and an interpretation of an opera by Mozart that ferries one along. The substantial quality of the new and appropriate contemporary research that my predisposition as a critic is furthering over the course of the years, lies in the prerequisite itself of the most varied artistic techniques employed like a choir of individual voices in this exhibition of changing artists. In fact, while the critic expresses himself through three levels of writing (16), namely essay writing, behavioural writing, expository writing, I have used the latter to intercept the possible lunar landings between the presence of the work of art and the focus of the viewer. Work needs to be done, albeit in the apparent disjointed formal result that makes each artist authentic and unexpected, on the transparency and the fulcrum of the inframince (17) - an extreme and imperceptible space which cannot be catalogued - exploring an untraceable zone that avails itself of staggering simulation and excesses of truth through the Agnettian oxymoron of forgetting by heart. The invention of eleven lunar landings therefore arose out of expository writing, which during the assembly of a complex collective of specific and separate personalities, led me to my lunar landing, made complete, vibrant and possible by the translation produced by the eleven artists involved in the exhibition and the link between their works and the perspective of the viewer. 1. Francis Picabia, One must be a nomad, traveling through ideas as one travels through countries and cities. 2. Artisti Mutanti [Changing Artists], from the conference on the Italian Transavantgarde, MART di Trento e Rovereto, 11/11/2011, talk by Martina Cavallarin. 3. Martin Heidegger, L’arte e lo spazio [Art and Space], Il Nuovo Melangolo, Genoa, 1997. 4. André Gide. 5. Fyodor Dostoevsky, Memorie dal sottosuolo [Notes from Underground], Feltrinelli[1864], 1995: Dostoevsky’s suffering and anti-Enlightenmant man recites: “I swear, gentlemen, that to be too conscious is an illness - a real thorough-going illness.” 6. Robert Smithson. 7. Philip k. Dick, Confessions of a Crap Artist, 1959. 8. Guy Debord, La società dello spettacolo [Society of the Spectacle], Milan, Baldini Castoldi Dalai, 2001. 9. Guy Debord, La società dello spettacolo [Society of the Spectacle], Milan, Baldini Castoldi Dalai, 2001. 10. Jean Claire. 11. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra [Thus Spoke Zarathustra], edited by Giorgio Colli and Mazzino Montinari, translated by Mazzino Montinari, Adelphi, Milan 1968. 12. Emanuele Severino, Passage from the interview Nietzsche and the eternal recurrence - Brescia, home of Severino, Friday 16 December 1994. 13. Georges Didi-Huberman, Il gioco delle evidenze. La dialettica dello sguardo nell’arte contemporanea, Fazi editore, 2008. 14. Nicolas Bourriaud, Estetica relazionale [Relational Aesthetics], Postmedia Books, 2010, pg 92. 15. Dionysus by Friedrich Hólderlin. 16. Achille Bonito Oliva. 17. Marcel Duchamp. in collaborazione con *$//(5,$/¶$)),&+( 0LODQR =XULFK 5RPD 9HQH]LD *$/(5,(0(75232/,6 3DULV *HQHYD 0LODQR ringraziamenti &RPR )UDQFHVFR0DQWHUR $QWRQLR0DQFD 1DWDVKD$NKPHURYD *XJOLHOPR0HORGLD 0DULH0DGHOHLQH2SDOND 6SD]LROLQJXH SHUWUDGX]LRQHGHOWHVWR GL0DUWLQD&DYDOODULQ finito di stampare a luglio 2012 9 788890 659232 HXUR &$7$/2*2LQGG