disponibile - comprensorio alpino valle brembana

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Periodico di cultura venatoria e gestione faunistico-ambientale del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana - Poste italiane S.p.A spedizione in A.P. - 70% - DCB Bergamo - Cod. ISSN 1723-5758 - contiene IP
Riflessioni in merito
all’evoluzione delle forme
d’interazione tra fauna a vita
libera e animali domestici
L’habitat della starna
Il roccolo
Gennaio 2009
Anno XIII - n. 35
Prima sagra
venatoria estiva per
uccelli da richiamo
La donna e la caccia
Dalla caccia di selezione
all’etica venatoria
Gennaio 2009
Sommario
L’EDITORIALE
Enrico Bonzi
La donna e la caccia
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G.B. Gozzi
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Ancora sulle “collaborazioni”
Flavio Galizzi
Direttore responsabile: Enrico Bonzi
Coordinatore: Flavio Galizzi
Redazione:
Flavio Galizzi, Lino E. Ceruti, Giambattista Gozzi, Luigi
Capitanio, Piergiacomo Oberti
Hanno collaborato:
Tiziano Ambrosi, Umberto Arioli, Martino Bianchi Marzoli,
Gianantonio Bonetti, Angelo Bonzi, Carlo Calvetti, Luigi
Capitanio, Lino E. Ceruti, Annibale Facchini, Sergio
Facchini, Flavio Galizzi, Gianbattista Gozzi, Alessandra
Gaffuri, Lara Leporatti, Cristian Midali, Piergiacomo
Oberti, Graziella Palazzi, Stefania Pendezza, Romano
Pesenti, Luigi Poleni, Pier Giorgio Sirtori, Eugenio Testa,
GianBattista Vitali
Direzione e redazione
Lenna (Bg) - Piazza IV Novembre, 10
Tel. e Fax 0345/82565
www.comprensorioalpinovb.it
e-mail comprensorio: [email protected]
Progetto grafico: Manuele Anghileri
Impaginazione e stampa:
Diliddo Grafica&Stampa, San Pellegrino Terme
Editore:
Comprensorio Venatorio Alpino
Valle Brembana
Registrazione presso il Tribunale di Bergamo, n° 29/97
del 22/07/97
Rivista dei Soci del Comprensorio Venatorio Alpino Valle
Brembana
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Piergiacomo Oberti
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Lepre
Cristian Midali
Ripopolabile
Luigi Poleni
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Educazione Faunistica
Stefania Pendezza
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guito con volontà e passione, spero sia stata per tutti una stagione piena
di soddisfazioni, malgrado l’anticipo della neve e nonostante alcune problematiche e difficoltà che hanno caratterizzato la “tipica di monte”.
L’assegnazione di 4 roccoli è stato un successo per i capannisti, soddisfatti per il numero di presicci
sono svolte con regolarità e correttezza. Magari fosse tutti gli anni così!
più partecipi e coinvolti, ricordando di porre attenzione, in particolare, affinché vengano rispettate le
peculiarità della Zona Alpi, perché i suoi delicati equilibri non vengano stravolti.
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Un’altra auspicata modifica riguarda il decreto ministeriale sulle ZPS, che insistono su gran parte del
nostro territorio; si facciano carico tutti di esercitare le necessarie pressioni attraverso le Associazioni
e i parlamentari bergamaschi, così che non si debba ripetere il posticipo dell’apertura alla migratoria
rispetto al calendario provinciale.
Siamo tutti fiduciosi che l’iter delle modifiche possa completarsi con il concorso di tutte le Associa-
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zioni, e l’impianto risponda anche alle nostre specifiche esigenze.
Comitato di Gestione, per un sereno Natale e un felice Anno nuovo.
Il Presidente del Comprensorio
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Enrico Bonzi
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Pagine d’Autore
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Racconti
Romano Pesenti, Lino E. Ceruti,
Lara Leporatti
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In cucina
Carlo Calvetti
Avvenimenti e iniziative
Il roccolo
Prima sagra venatoria estiva
per uccelli da richiamo
Visto l’impegno del C.T.G. per una corretta gestione, un obiettivo perse-
Rivolgo un augurio di cuore a tutti i cacciatori e alle loro famiglie, a nome mio e dei componenti del
Annibale Facchini
Flavio Galizzi
alla programmazione per la prossima stagione.
attenzione a quanto si sta muovendo, attraverso le rispettive Associazioni, affinché si sentano quanto
L’habitat della starna
GiovamBattista Vitali
gione venatoria, e subito bisogna pensare ai bilanci economici e
Si parla molto della modifica della legge nazionale 157/92. Invito quindi tutti i cacciatori a porre
Riflessioni in merito
all’evoluzione delle forme
d’interazione tra fauna a vita
libera e animali domestici
Dr. Eugenio Testa
U
n po’ a malincuore, ma siamo ormai giunti al termine della sta-
messi a disposizione; nonostante alcuni disagi le cose si sono presto sistemate e le assegnazioni si
Curiosità
Flavio Galizzi
ARTICOLI
Angelo Bonzi
CACCIAINVALBREMBANA
La ricarica
Martino Bianchi Marzoli
Foto:
Andrea Galizzi, Flavio Galizzi, Fulvio Manzoni, Francesco
Cuffaro, Lino Ceruti, Archivio “Olimpia”, Archivio Di
Liddo, Archivio Provincia
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Armi e balistica
Sergio Facchini
La rivista si avvale della collaborazione di tutti i Soci,
con scritti e materiale grafico fotografico, senza impegni
da parte della Redazione, che si riserva di vagliare ed
eventualmente modificare quanto pervenuto, e tratterrà
il materiale nel proprio archivio. La riproduzione anche
parziale è vietata, salvo il consenso degli autori e del
Comitato di Gestione
Foto copertina:
A. Galizzi
Foto retro copertina:
Renato Scaglia
Appunti di biologia animale
Tiziano Ambrosi
Capanno
Umberto Arioli
Premio speciale per la tesi di
dottorato di Luca Pellicioli
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RUBRICHE
Ungulati
Gianantonio Bonetti
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8° Convegno dell’associazione
europea delle malattie gella
fauna selvatica (EWDA)
Flavio Galizzi
COMMISSIONI
Tipica Alpina
Pier Giorgio Sirtori
Alessandra Gaffuri
Incidenti per transito di cervi
a Scalvino
Flavio Galizzi
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Dalla caccia di selezione all’etica
venatoria
ATTUALITÀ
Modifiche alla legge 157/92
Luigi Capitanio
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Lino E. Ceruti
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U N A L E G G E N O N A N C O R A M A G G I O R E N N E M A C O N E S T R E M A N E C E S S I TÀ
D I E S S E R E R I N N O VATA
- G.B. Gozzi
Vedo se riesco ad annoiarvi una
volta tanto, senza polemizzare con
la nostra gestione venatoria, ma
parlandovi del confronto che si è
aperto per le modifiche che sono
state proposte alla legge 157/92.
Questa, meglio conosciuta come
la “Legge quadro della caccia”, ossia l’attuale Legge dello Stato che ci
permette di esercitare l’attività venatoria, è stata approvata nel 1992
e per quei tempi segnò un vero e
proprio stravolgimento dell’attività
venatoria. Era nata da una forte volontà da parte delle forze ambientaliste ed anticaccia di assestare un
duro colpo al popolo dei cacciatori,
con il preciso scopo di decimarne i
praticanti. La sua approvazione fu
il risultato di asprissime lotte parlamentari che videro impegnate allo
spasimo le Associazioni venatorie
e tutte le “lobby” favorevoli alla
caccia per far fronte ai violentissimi
attacchi degli anticaccia che a quei
tempi erano molto ben rappresentati in parlamento. Alla fine si trovarono le giuste mediazioni ed i giusti
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Attualità
Attualità
Modifiche alla legge 157/92
CACCIAINVALBREMBANA
compromessi ma tutti i contendenti
persero qualche cosa. Gli anticaccia
raggiunsero solo parzialmente (ma
lo raggiunsero) il loro scopo di dissuadere buona parte dei cacciatori
a continuare ad esercitare l’attività
venatoria, mentre i cacciatori in pochi anni, nel tempo di applicazione
della legge, passarono come numero complessivo da circa un milione
a 800.000. E questo era il risultato
di alcuni provvedimenti che prevedeva la Legge, in particolare per
la prima volta il cacciatore doveva
fare una scelta precisa e vincolante
(almeno per 3 anni) su quale tipo di
caccia voleva esercitare, in secondo
luogo il cacciatore veniva pure vincolato al territorio attraverso la costituzione degli Ambiti Territoriali
e dei Comprensori Alpini. Insomma
uno stravolgimento delle abitudini
e se vogliamo anche dello spirito
stesso della caccia che è soprattutto
uno spirito di libertà senza confini
obbligati.
Il lato positivo era costituito dal
fatto che finalmente la caccia veni-
va gestita in prima persona dai cacciatori attraverso i Comitati di Gestione, sia dei Comprensori alpini
che degli Ambiti territoriali. Naturalmente questa è solo una estrema
sintesi di quello che era la Legge,
poiché, ad esempio, veniva anche
introdotto il principio di “danno
allo Stato” e quindi l’applicazione
del procedimento penale per alcune sanzioni venatorie. Inizialmente
tutti provammo un grande senso di
disagio nel dover scegliere una forma di caccia, in modo particolare i
capannisti si vedevano penalizzati
e costretti ad una forma di caccia assolutamente sedentaria, ma anche
la vagante prevedeva delle specializzazioni e quindi dei vincoli. I sopravvissuti alla 157 si adeguarono
alle nuove condizioni ed in pochi
anni si trovarono i giusti equilibri
grazie anche ad alcune innovazioni meno restrittive introdotte dalle
leggi regionali.
Naturalmente prevalse anche il
buon senso, su un territorio disponibile alla caccia che andava sempre
più riducendosi e sotto le notevoli
pressioni ambientaliste, non solo
italiane ma anche europee, quella
legge col senno di poi possiamo
dire che fu una buona legge, ed è
per questo che anche ora importanti giuristi ed esperti consulenti
venatori ritengono che la struttura portante della 157 debba essere
mantenuta.
Credo sia giusto che i cacciatori
siano informati anche su quello che
succede al di fuori dello stretto ambito venatorio provinciale, e che le
novità (se novità ci saranno) siano
rese a conoscenza di tutti, magari
con uno spazio specifico sul bancone del nostro ufficio, dove potrebbero essere visionate tutte le informazioni relative alle problematiche
e le relative proposte delle diverse
Associazioni.
Per ora siamo solo alla formulazione delle proposte di modifica,
naturalmente dal punto di vista
politico non vi è migliore occasione
per apportare quegli aggiustamenti
che le mutate condizioni ambientali italiane ed europee richiedono. Dico che politicamente vi sono
le migliori condizioni perché nelle
aule parlamentari sappiamo tutti
che non siede uno, e dico uno solo,
anticaccia “dichiarato”. Attenzione
però, perché come la caccia è sempre stata trasversale ai partiti (vi
sono cacciatori di sinistra, di centro
e di destra) anche gli anticaccia sono
un po’ trasversali, ed addirittura
troviamo anche qualche ministro
che non è del tutto convinto della
bontà della caccia…….ma lasciamo
stare, rimaniamo nel campo generale dove sicuramente le condizioni
esistono e sono molto forti.
Come al solito però sono gli stessi
cacciatori a decidere il loro destino,
e le spaccature esistenti tra le varie
rappresentanze e le rispettive correnti di pensiero, e le relative proposte di modifica, rischiano ancora
una volta di vanificare ogni sforzo
unitario e di rendere impossibile
qualsiasi intervento di modifica.
Non entro nel merito delle proposte vere e proprie perché conosco
solo quelle formulate dalla mia Federazione, e non sarebbe corretto
evidenziare solo quelle, anche se
ritengo che l’esperienza ed il buon
senso che ci hanno sempre contraddistinto ci abbiano ancora una volta
guidato nel proporre delle modifiche “sostenibili”, come deve essere
sostenibile tutta la caccia praticata.
Stravolgere ora le basi della 157 cancellando quegli strumenti che servono a far coagulare tutte le forze a
vario titolo interessate alla gestione
del territorio, significherebbe sicuramente non conquistare maggiore
libertà, ma cadere in un rovinoso
isolamento.
CACCIAINVALBREMBANA
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- Flavio Galizzi
Più volte ho avuto modo di sottolineare come, in un contesto socio – culturale moderno, nel rapporto uomo
– ambiente, la figura del Cacciatore
debba trovare una propria collocazione che renda merito, quando lo merita, del suo ruolo importante nel contesto ambientale, e ne possa valorizzare
le competenze e le conoscenze specifiche e del tutto peculiari che possiede,
e di cui possa far partecipi anche tutti
gli altri fruitori della montagna.
In questa ottica un sguardo privilegiato va rivolto alla scuola, ai giovani
e a quanti abbiano desiderio di approfondire alcune conoscenze specifiche
sulla fauna tipica dei nostri territori.
Affinché ciò possa avvenire servono naturalmente alcune competenze
che sono imprescindibili: una approfondita conoscenza della fauna e
dell’aspetto eco–ambientale dentro la
quale vive, e una competenza comunicativa che ne sappia valorizzare le
conoscenze.
Un tale obiettivo se lo è dato anche
la nostra rivista, che dallo scorso anno
ha introdotto una nuova rubrica, affidata all’Esperta Ambientale Stefania Pendezza, dal titolo “Educazione
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CACCIAINVALBREMBANA
Faunistica”, curata con estrema competenza e scientificità.
Certo non tutti i cacciatori possono vantare conoscenze approfondite,
ma molti non perdono occasione per
raggiungerle, anche oltre il campo
specifico della fauna “cacciabile”, arricchendo le loro conoscenze di aspetti legati alle tematiche ambientali ed
ecologiche, ampliandole anche oltre il
campo dei mammiferi e degli uccelli,
notoriamente i più affascinanti per
loro, fino al mondo acquatico e degli
invertebrati e della flora.
Questa finalità se la era proposta
anche il progetto di allestire una Biblioteca del Comprensorio, che però,
nonostante alcune donazioni, non è
ancora riuscita a decollare. Speriamo
che il Comitato ne colga l’importanza
e che nei prossimi programmi riesca
veramente a darle corpo e funzionalità. Il campo delle conoscenze è
assai vasto e il progetto necessita di
un programma correttamente strutturato e funzionale agli obiettivi che si
propone, quello di offrire una valida
opportunità per approfondire ed allargare le conoscenze scientifiche dei
soci cacciatori riguardo all’ambiente,
alla fauna e alle tradizioni legate al
mondo venatorio.
Nel mese di settembre, ancora in
fase sperimentale e quindi in un contesto non ancora completamente definito, alcuni di noi cacciatori, tutti accompagnatori esperti iscritti all’Albo
provinciale e con ruoli di responsabilità all’interno della gestione venatoria della Caccia di Selezione, sono stati coinvolti in qualità di “esperti” in
un progetto didattico sviluppato dal
Liceo Scientifico Lussana e da Legambiente di Bergamo.
Il Progetto, denominato “Fattoria
d’analisi di ambiente a Mezzoldo”,
consisteva in un soggiorno di 3 giorni per gli studenti del 2° e 3° anno, in
due turni, con un nutrito programma
scientifico di osservazioni e di analisi del territorio: faunistico, geologico,
vegetazionale e storico, per promuovere la complessa e articolata conoscenza dell’ambiente montano e del
turismo sostenibile.
Dentro questo progetto, che ha
avuto una valutazione conclusiva
estremamente positiva sia da parte
degli studenti che dei docenti, il nostro compito è stato quello di accompagnare per gruppi gli studenti per
l’osservazione degli Ungulati selvatici presenti sul territorio, offrendo loro
l’opportunità di approfondirne la conoscenza.
Per tutti i gruppi c’è stata una prima
presentazione dell’argomento “fauna”; le successive uscite sono state
molto interessanti e tutti hanno potuto osservare dal vivo caprioli e camosci, mentre per un secondo gruppo si
sono dovute svolgere attività alternative (quella mattina, nonostante fossimo a settembre, nevicava) comunque
ben organizzate e interessanti per
l’approfondimento della conoscenza
di queste importanti specie presenti
nel nostro territorio.
Incidenti per transito
di cervi a Scalvino
Attualità
Attualità
ANCORA SULLE “COLLABORAZIONI”
- Flavio Galizzi
Ogni anno, nel corso delle stagioni, si registrano incidenti a causa del transito di Cervi sulla Provinciale della Valle Brembana,
all’altezza del Piani di Scalvino, in comune di Lenna.
Fino ad oggi, fortunatamente dobbiamo dire, si sono avuti solo
danni alle auto, anche di grave entità, senza feriti gravi.
Qualcuno giustamente dice, anche in base a fredde statistiche,
che col tempo potrebbe capitare anche qualcosa di più grave, e
tutti siamo un po’ preoccupati.
La Provincia, già alcuni anni fa, aveva provveduto a fare istallare dei catarifrangenti speciali ai lati della strada, che a seguito dei
lavori di sistemazione e allargamento della strada stessa sono poi
stati rimossi e non più sostituiti.
Oggi ci si chiede cosa fare.
La proposta che pare avere più consensi sembra essere quella di:
a) pulire dagli arbusti una larga fascia incolta e boscata a margine della strada (almeno 4/5 metri), sul lato della montagna,
da dove escono i cervi,
b) illuminare il tratto interessato agli attraversamenti,
c) trattare il terreno con liquidi speciali repellenti, che in altre
zone hanno dato buoni risultati con i cervidi.
Ciò permetterebbe, in caso di transito degli animali, di vederli
a distanza e non essere sorpresi dalla loro improvvisa comparsa. I
limiti della velocità, già presenti, e la visione dell’ostacolo a debita
distanza, costituirebbero certamente un forte e significativo elemento di prevenzione per possibili incidenti futuri, permettendo
al contempo la mobilità agli animali.
Un mattone nella costruzione di
questa complessa rete di collaborazioni avviata da anni, collocato con la
dovuta discrezione e per questo apprezzato da quanti, docenti, studenti
e collaboratori, hanno avuto modo e
occasione di apprezzarne il giusto valore, realizzato con una notevole competenza e passione da parte dei nostri
Accompagnatori.
A tutti loro un doveroso grazie per
la disponibilità, la competenza dimostrata e lo spirito di collaborazione.
Mi auguro di cuore che l’esperienza si possa consolidare, così come la
necessaria collaborazione con gli Enti
che l’hanno progettata. Un particolare
ringraziamento alla Prof.ssa Marcella
Jacono Quarantino, coordinatrice del
progetto per il Liceo Lussana, e a Paolo Locatelli, responsabile di Legambiente Bergamo.
CACCIAINVALBREMBANA
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Commissione
Ungulati
Commissione
Tipica Alpina
Com’è ormai diventata
consuetudine, nel mese di Dicembre
della nostra rivista, la Comissione tipica traccia il bilancio sull’andamento
della stagione venatoria alla selvaggina tipica di monte.
I presupposti favorevoli per sperare in un’annata “normale”, che per
noi significa tre o quattro giornate di
caccia, e un teorico mezzo capo per
cacciatore ammesso a questo tipo di
caccia, partono all’inizio dell’estate,
quando le chiocce iniziano il processo riproduttivo, indicativamente dal
20 di Giugno, per proseguire fino a
Settembre con il completamento dello
sviluppo dei giovani. In questo frangente gioca un ruolo determinante il
fattore tempo, inteso come “bel tempo”. Le condizioni meteorologiche
quest’anno sono state negative; temperature fredde, prolungate piogge,
grandinate e anche nevicate fuori stagione hanno penalizzato il buon fine
della nidiate.
Il riscontro numerico delle consistenze verificato con i censimenti estivi ha purtroppo evidenziato il calo
della selvaggina tipica di monte.
I rilevamenti effettuati su circa l’80%
delle Aree Campione vocate alle specie hanno riscontrato un calo del 30%
del Gallo Forcello, e del 20% della Coturnice, che per il 2008 si traduce in
123 Forcelli maschi (183 nel 2007), e
365 Coturnici (448 nel 2007).
A tal proposito si ribadisce che i
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gnati nelle operazioni di censimento,
in particolare i Responsabili di settore
e i Capi squadra, per la disponibilità
dimostrata a coordinare le uscite.
Nell’imminenza delle festività a
CACCIAINVALBREMBANA
dati raccolti si riferiscono esclusivamente a soggetti involati/avvistati, nessuna valutazione viene
fatta su consistenze presunte o
stimate.
La veridicità delle risultanze dei
censimenti viene puntualmente confermata dalla Vigilanza Venatoria
provinciale.
Come noto, la predisposizione del
piano di prelievo è di esclusiva competenza provinciale; la commissione
ha comunque fornito un parere in merito, attenendosi a parametri e criteri
finora usati (percentuale inferiore al
15% sulla consistenza reale autunnale, in quanto specie in calo.) Le nostre
valutazioni per tanto ritenevano compatibile un piano di prelievo di n. 20
Forcelli e 50 Coturnici, con l’impegno
di sospendere i prelievi all’approssimarsi del piano, e/o al verificarsi
di catture di esemplari adulti oltre il
30%.
L’Amministrazione
provinciale, giunta alla fine del suo mandato
quinquennale, ha ritenuto opportuno
in fase di stesura dei piani di prelievo della tipica adeguarsi ai contenuti
del documento tecnico dell’ I.S.P.R.A.
(Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale, ex I.N.F.S.), “Criteri Orientativi per la determinazione del periodo
sostenibile a carico delle popolazioni
del Fagiano di Monte e Coturnice nei
comprensori alpini”, che pone il successo riproduttivo annuale alla base
per la determinazione del prelievo.
L’applicazione di questa direttiva non
solo ha determinato una percentuale applicabile al censito dell’8%, con
conseguente piano di prelievo di n. 8
Forcelli (detratto anche il numero di
due capi prelevati in esubero nel 2007)
e 29 Coturnici, ma ha anche introdotto due nuove ulteriori limitazioni. La
prima inerente all’arco temporale di
caccia, e cioè tre giornate fisse, il 5 – 8
– 12 Ottobre, indipendentemente dal
raggiungimento del piano, e l’altra
modifica riguarda il carniere stagionale per cacciatore, che passa dai 3
capi a scelta (fino al raggiungimento
del piano), ad un capo per cacciatore
a scelta.
Di questi nuovi parametri adottati
dalla Provincia, la commissione ne è
venuta a conoscenza solo all’ultimo
momento, praticamente a giochi fatti.
Ora, senza avere la pretese di invadere un campo non di nostra competenza, è mancato il tempo per formulare un giudizio ponderato sulla
bontà o meno della scelta, pertanto
non ritengo opportuno in questa sede
azzardare pareri o valutazioni sui
“Criteri Orientativi” emanati dall’I.
S.P.R.A. e adottati dalle Provincia, che
comunque hanno significato rilevanti
cambiamenti rispetto al passato.
Inviterei piuttosto tutti i cacciatori
interessati a prenderne debita conoscenza, per dire poi serenamente “la
loro” nelle sedi opportune.
Nella giornata di apertura sono stati prelevati n. 6 Forcelli e n. 19 Coturnici.
La Commissione ha quindi ragionevolmente proposto la chiusura anticipata al Gallo e la continuazione della
caccia alla Coturnice.
Nella seconda e ultima giornata
I lavori della Commissione Ungulati hanno, durante
il periodo autunnale, un naturale
rallentamento per avvicendare alla
caccia parlata quella praticata. L’impegno profuso è quindi indirizzato al
controllo dei prelievi in tutte le sue
sfaccettature, partendo dal grosso lavoro prestato dagli accompagnatori,
per finire col prezioso impegno di
raccolta dati di quanti lavorano presso il Centro di Verifica. Sono tutte
attività che ci appassionano molto e
che, quindi, svolgiamo volentieri.
Quello che, purtroppo, ci pesa è il
troppo tempo speso per redimere le
piccole controversie che spesso si creano fra cacciatori, sovente causate da
chiacchiere “da bar”. Situazioni, queste, quasi sempre prive di fondamenta, che potrebbero esser facilmente
superate con un po’ di vicendevole
sopportazione e con la disponibilità
a piccoli chiarimenti. Spiace vedere
Cacciatori guardarsi “in cagnesco”
per banali malintesi!
I dati del prelievo del capriolo di
quest’anno, che vi espongo nello
specchietto sottostante, denotano,
tutti i cacciatori e alle loro famiglie
rivolgol’augurio di Buone Feste.
Le Commissioni
Le Commissioni
sono state prelevate 14 Coturnici, per
cui il piano non solo è stato raggiunto, ma superato di 4 esemplari.
Concludo ringraziando tutti i cacciatori della tipica che si sono impe-
Il Presidente
Piergiacomo Oberti
Commissione
Capanno
ancora una volta, lo stato di difficoltà
della specie. I censimenti primaverili
ci avevano fatto ben sperare, ma le
percentuali di prelievo non depongono certamente a nostro favore. Va
rimarcata, per la verità, l’assoluta
mancanza “d’impegno venatorio” da
parte di alcuni cacciatori che, assegnatari di prelievi di capi femmine o
kitz, non si sono minimamente impegnati per arrivare al loro abbattimento. Di questo ne dà conferma anche il
controllo delle chiamate d’uscita.
Basse percentuali di prelievo = bassa consistenza faunistica??????
Scusate queste piccole riflessioni
che rimarcano alcune situazioni “che
non vanno”; le cose positive ce le teniamo per noi.....e la caccia di positività ce ne offre tante!
Un Buon Natale ed un Felice Anno
Nuovo a tutti voi, alle vostre famiglie
ed a quanti ci capiscono e condividono con noi questo grande amore per
la natura e per l’arte venatoria.
WAIDMANNSHEIL!.
Il Presidente
Gianantonio Bonetti
Come sapete, il lavoro della
Commissione quest’anno si è
concentrato principalmente
nell’organizzazione della 1° Sagra
Estiva per Uccelli da Richiamo.
Finalmente siamo riusciti nel nostro intento: quello di organizzare a
livello nazionale la 1° Sagra in assoluto nel nostro Comprensorio. Trattandosi della prima volta, per ognuno
di noi è stata un’esperienza di lavoro
nuova, sperando di poterla continuare negli anni a venire.
La Sagra si è svolta a Piazza Brembana il 16 Agosto presso la colonia
“Luigi Selmo”; abbiamo avuto molta
soddisfazione nel costatare la presenza di molti espositori con un numero
di richiami intorno alle 200 iscrizioni
e, per essere la prima volta, ci riteniamo più che soddisfatti.
Così mi auguro anche per tutti coloro che l’hanno visitata.
Soddisfatti sia per la presenza di
molti nostri cacciatori sia per l’affluenza di visitatori estranei al mondo venatorio, che hanno goduto di
un ambiente sicuramente adatto per
questo tipo di manifestazione, per
l’allestimento degli stands, la disposizione degli uccelli canori in un contesto ideale e per il tempo, che per l’occasione ci ha risparmiato la pioggia in
un periodo non certo dei migliori.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno messo a disposizione il loro tempo, la Commissione vuole sottolineare in particolare la disponibilità del
Comitato di Gestione, i soci cacciatori
Calvi Piero (PIERELLO) e Regazzoni
Alessio per il grande lavoro svolto, il
Gruppo giovani di Piazza Brembana
e tutti gli Sponsor.
Purtroppo, a causa delle nuove disposizioni di legge riguardanti le ZPS,
l’apertura ha avuto un calendario di
apertura diverso per i capanni collocati fuori dalle ZPS e quelli inclusi
CACCIAINVALBREMBANA
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Le Commissioni
in tali territori: i primi hanno goduto
dell’apertura a partire dal 21 settembre, mentre i secondi a partire dal primo di ottobre, e nello stesso tempo si
è avuta l’apertura dei Roccoli.
“CHISSÀ SE I POLITICI VORRANNO FARE QUALCOSA”; naturalmente ci aspettiamo dei “fatti”,
perché di chiacchiere ne abbiamo già
sentite troppe.
In questa stagione venatoria ci sono
stati assegnati 3 roccoli, divenuti successivamente 4.
Questi sono i roccoli che hanno potuto funzionare:
* Meschino, in comune di Roncobello.
* Zeb, in comune di Roncobello.
* Costa Palera, in comune di Lenna.
* Ceresola, in comune di Valtorta.
Alla chiusura sono stati catturati:
* n° 1072 Tordi bottacci,
* n° 434 Merli,
* n* 477 Tordi sasselli,
* n° 496 Cesene.
Anche quest’anno nel corso della
distribuzione dei presicci abbiamo
constatato il permanere, da parte di
alcuni, di un atteggiamento di maleducazione, rendendo difficoltoso
il lavoro che svolgono i responsabili
del Centro di distribuzione.
Ricordiamo, al fine di evitare futili
discussioni, che vi sono norme ben precise che tutti sono tenuti a rispettare:
- Presentarsi sempre con l’autorizzazione ORIGINALE, e con la ricevuta
del versamento dell’anno in corso.
- Controllare presso l’ufficio del Comprensorio i propri numeri telefonici
(non più di 2).
- Eventuali reclami debbono essere
inoltrati per scritto alla Commissione da parte dell’autorizzato, e consegnati esclusivamente all’ufficio
del Comprensorio.
Auguro a tutti, a nome mio e della
Commissione, buone feste.
Il Presidente
Umberto Arioli
Commissione
Lepre
La stagione venatoria 2008 si è conclusa con
il prelievo di 118 lepri, di cui
61
maschi, 54 femmine e 3 soggetti indeterminati.
Sono 22 in meno rispetto al piano di
abbattimento, che quest’anno era stato
portato a 140 capi.
Si è comunque mantenuto un numero di abbattimenti congruo al prelievo
che si affettua ormai da qualche anno
intorno ai 120 capi.
Ciò significa che in questi anni abbiamo mantenuto una popolazione
costante e abbastanza omogenea su
tutto il territorio del Comprensorio.
Fra qualche giorno verrà effettuato
il solito lancio invernale di lepri, con la
speranza che sia una buona stagione.
A tutti un augurio di buone feste, anche a nome di tutta la Commissione.
Il Presidente
Cristian Midali
Commissione
Ripopolabile
Dicembre tempo di bilanci!
La commissione nel corso del 2008 si
è impegnata per garantire il lancio di
1.500 capi suddivisi in 3 sessioni, la
prima tardo estiva, la seconda e la terza nel pieno dello svolgimento della
stagione venatoria.
L’operazioni di lancio di fine agosto
sono state caratterizzate da esiti tre loro
contrastanti, con risultati soddisfacenti
in alcune zone e totalmente deludenti
in altre. Ciò è dipeso dalla presenza di
nocivi che nel breve periodo hanno decimato i capi immessi.
Per quanto riguarda i lanci “pronta
caccia” questi hanno avuto un discreto
successo, sensazione peraltro confermata ai membri della commissione dai
cacciatori incontrati nel corso della stagione venatoria.
Auspichiamo che alla parole seguano
….i numeri indicati sulle schede riepilogative!
Con rammarico dobbiamo altresì inserire l’immancabile nota negativa. Nello
specifico dobbiamo, nostro malgrado,
portare a conoscenza che in alcuni (per
fortuna pochi) comuni il lancio dei capi
è stato fatto in zone diverse da quelle
segnalate alla Commissione.
Nella speranza che simili fatti non trovino seguito nel futuro, la Commissione cercherà di trovare e fare attuare
tulle le misure possibili per prevenire
questo tipo di inconvenienti.
Certi di aver messo in campo tutto
l’impegno necessario per soddisfare
al meglio le attese della maggior parte
dei cacciatori praticanti la caccia con
il cane da ferma, consapevoli del fatto
che molto resta da fare per attuare al
meglio una efficiente strategia di ripopolamento della selvaggina, restiamo
sempre a disposizione per recepire
suggerimenti e proposte al fine di migliorare quanto fatto sino ad oggi.
Doveroso il ringraziamento al Presidente del C.A., ai membri del C.T.G,
alla Segretaria Alba, alla Redazione che
ospita le nostre note, ai “colleghi” delle
altre commissioni e a tutti i volontari
che, con la loro disponibilità, collaborazione e supporto, hanno permesso
alla Commissione di attuare quanto
prefissato ad inizio anno.
A nome mio e di tutti i componenti
della commissione auguro a tutti i cacciatori e alle rispettive famiglie buon
Natale e felice Anno nuovo..
Il Presidente
Luigi Poleni
Riflessioni in merito all’evoluzione
delle forme d’interazione tra fauna
a vita libera e animali domestici
- Dr. Eugenio Testa
Responsabile Servizio Sanità Animale ASL della Provincia di Bergamo
Storicamente i rapporti esistenti tra
animali a vita libera ed animali allevati
sono stati di aperta e radicata competizione.
- competizione nell’utilizzo del foraggio tra animali a vita libera ed animali allevati
- competizione nel controllo del territorio e nelle interazioni ambientali
- predazione da parte di predatori naturali nei confronti degli animali liberi ed allevati
Competizione nell’utilizzo del
foraggio tra animali a vita libera
ed animali allevati
Tale tipo di rivalità, e tutto sommato
di malcelata ostilità, nei confronti degli ungulati a vita libera proprio per i
danni dagli stessi causati in periodi di
estrema scarsità di foraggio ancora non
molto tempo fa si manifestava a spots,
tramite spiacevoli episodi di uccisione
o ferimento di camosci, cervi e caprioli
10
CACCIAINVALBREMBANA
colti nell’atto di saccheggiare, a volte effettivamente in modo più che sensibile,
le riserve di fieno necessarie nei primi
periodi di pascolamento dei bovini agli
inizi della primavera successiva.
In particolare ciò avveniva in zone
disagevoli e, conseguentemente, con
un’oggettiva impossibilità al trasporto
di nuovo foraggio presso quelle baite.
Situazioni ed episodi che si ponevano
spesso al limite tra bracconaggio vero
e proprio e difesa della propria attività
economica, spesso con peculiarità non
da tutti conosciute e, di conseguenza,
non correttamente comprese.
Oggi, grazie anche allo sviluppo notevole della viabilità agro – silvo – pastorale degli ultimi anni, in particolare
volta a servire le zone di pascolo e di alpeggio, tali fenomeni sono ormai scomparsi o sono limitati a situazioni di vero
e proprio degrado socio economico o di
evidente disturbo comportamentale. Il
mutato assetto produttivo anche della
zootecnia montana e le migliorate con-
dizioni sociali, nonché il maggior livello culturale contestualmente raggiunto
dagli allevatori montani, hanno mutato
tale tipo di atteggiamento per cui gran
parte dell’ostilità, prima ben presente ed
accesa, si è a volte tramutata nell’atteggiamento opposto di totale accettazione
se non, spesso, di messa a disposizione
delle scorte di foraggio all’aperto anche
per gli ungulati a vita libera.
Tale mutamento di atteggiamento,
di per sé stesso più che positivo, segno
di un’evoluzione culturale a lungo auspicata ed auspicabile, ha comportato
però, in particolari condizioni oro geografiche, una eccessiva facilità di avvicinamento degli ungulati in cerca di
nutrimento ai centri antropizzati più
marginali, ma ormai anch’essi sede di
doppie case e giardini con specie vegetali non autoctone. Da ciò ne sono
derivati gravi episodi di intossicazione
mortale da ”Laurone” ( o Lauroceraso,
pianta velenosa e tossica), inopinatamente presente a costituire siepi anche
CACCIAINVALBREMBANA
11
in piccole frazioni montane poco o per
nulla abitate, e la maggior frequenza di
infezioni da toxoplasma grazie all’oggettiva probabilità che in tali ambienti
gli ungulati a vita selvatica vengano
molto più facilmente a contatto con feci
di gatti domestici.
Tale possibilità appare oggi aggravata dall’imperante e sempre più diffusa
sensibilità animalistica che sta in qualche modo generalizzando, in modo del
tutto inopportuno e, peraltro, di dubbia
legalità, un fenomeno esclusivamente
tipico dell’ambiente fortemente urbanizzato, e cioè quello delle colonie feline
urbane, tutelate dalla legge e dal comune sentire.
Già agli inizi. degli anni 90, in uno studio svolto sui caprioli abbattuti in caccia
di selezione nell’ATC Prealpino, segnalavo un picco di siero positività per toxoplasma proprio in soggetti abbattuti
in ambiente montano comunque antropizzato, noto per la presenza invernale
degli ungulati a ridosso dei piccoli centri abitati o delle frazioni saltuariamente abitate ma comunque frequentate da
una più che consistente popolazione felina (spesso per il deprecabile fenomeno dell’abbandono proprio nei nuclei di
edifici rurali più marginali, forse anche
con la speranza di una maggior possibilità di sopravvivenza per l’animale
comunque abbandonato).
Competizione nel controllo del
territorio e nelle interazioni
ambientali
Da sempre la presenza di animali a
vita libera disturba l’attività di pascolo
del bestiame allevato, non fosse altro
perché fonte di distrazione dei cani da
pastore e motivo della probabile presenza di cacciatori, a volte accompagnati da ausiliari non del tutto rispettosi
delle greggi.
Oggi la competizione è bidirezionale
e, frequentemente, il bestiame mal custodito diviene fonte di disturbo dell’attività venatoria esercitata in forma
di caccia di selezione, e quindi caratterizzata da lunghi appostamenti. Siamo
oggi di fronte a forme di utilizzo del
territorio molto meno razionali e capillari di quanto non fosse un tempo: l’abbandono di gran parte del territorio, in
particolare delle zone meno redditizie e
più scomode, sostanzialmente identificabili nella fascia di territorio al limite
12
CACCIAINVALBREMBANA
inferiore degli alpeggi, ha reso tali aree
spesso più ricche di ungulati selvatici di
quanto non sia la fascia superiore, ma di
fatto si tratta sempre più di una terra di
nessuno; regno incontrastato di pascolo
anomalo, spesso totalmente incustodito
ed incontrollato, nonché prolungato al
di fuori di ogni tradizione e ragionevole
previsione.
L’omesso controllo di queste micro
popolazioni di ungulati domestici e
l’assenza del tradizionale rispetto nei
confronti delle diverse proprietà, un
tempo principio radicato e fortemente
rispettato, rischia di creare zone franche
ove le interazioni etologiche e sanitarie
tra ungulati a vita libera ed ungulati domestici, o originariamente tali, divengono la regola per tempi molto superiori a quelli del tradizionale alpeggio.
Inoltre proprio l’esclusione di tali zone
dalle zone di pascolo estivo classificate
come”alpeggi” riduce considerevolmente le precauzioni ed i requisiti sanitari necessari alla salita degli animali
domestici perché, in realtà, non vi è una
vera e propria salita al monte né, soprattutto, una certa e completa demonticazione.
Il protrarsi di tale pascolo incontrollato anche nel periodo invernale favorisce e potenzia tale anomala e pericolosa
forma di promiscuità, per il vero conseguenza di una zootecnia improvvisata
che nulla ha a che vedere con la tradizione ed ancor meno con le nuove e più
razionali tecniche di allevamento, in
particolare degli ovini e dei caprini.
strumento realmente in grado di cogliere eventuali problematiche sanitarie e,
soprattutto, quale unico supporto ad
eventuali provvedimenti coercitivi, ivi
incluso l’obbligo di trattamento terapeutico e/o limitazioni alla movimentazione degli animali, salita all’alpeggio
in primo luogo.
Permangono però problemi notevoli
nel far sì che tale strumento svolga il
suo insostituibile ruolo.
Predazione da parte dei
predatori naturali
La predazione da parte dei predatori
naturali nei confronti di animali a vita
libera è intuitivamente un importante
meccanismo spontaneo efficace nell’impedire 1a diffusione di molte patologie
infettive e/o infestive: il soggetto, più o
meno defedato a causa dell’azione del
patogeno, è facile vittima del predatore
ed ha cosi meno possibilità di diffondere ulteriormente l’agente eziologico
della malattia stessa. La predazione da
parte dei predatori naturali nei confronti di animali allevati ha anch’essa avuto
un’importanza notevole, sia pur indiretta: il rischio di predazione impediva
la piaga del pascolo incontrollato; la
presenza di guardiani e di cani addetti
alla protezione delle greggi da lupi ed
orsi scoraggiava anche gli anomali fenomeni di stretta promiscuità che troppo spesso si vengono a realizzare per
lunghi periodi.
In definitiva proprio l’assenza del
rischio di predazione, per esempio ancora ben presente in alcune regione
del centro sud italiano, l’assenza della
piaga dell’abigeato (anche per il valore
pressoché risibile degli animali allevati),
l’improvvisazione di alcuni soggetti che
allevatori non sono ed attuano un poco
Progressiva sottovalutazione
dell’accertamento clinico
Il sempre maggior ricorso ad accertamenti diagnostici di laboratorio ha inevitabilmente portato ad una certa sottovalutazione dell’atto clinico: per il vero,
per patologie onnipresenti o quasi, e
denunciabili solo se clinicamente manifeste, l’accertamento clinico è ancora
oggi efficace e poco costoso.
razionale tentativo di utilizzare aree
marginali sempre più degradate tramite
il pascolo di bestiame ovi-caprino, nonché la marginalità economica di detta
attività anche per coloro che la attivano,
sono tra le cause fondamentali di questo
recente, se non recentissimo, fenomeno
di interazione eccessiva che pone interrogativi non solo di carattere sanitario
ma anche ecologico ed ambientale.
La normativa in materia di
“Alpeggio”
Il Regolamento di Polizia Veterinaria,
e le successive modifiche ed integrazioni anche di carattere esclusivamente regionale, stabilisce i seguenti obb1ighi:
- visita clinica nelle 72 ore antecedenti
la monticazione
- rilascio di apposita certificazione
veterinaria (mod. 7) attestante la qualifica sanitaria della mandria o del gregge
nei confronti delle malattie sottoposte a
piani di profilassi e bonifica obbligatori.
Essenzialmente la certificazione è rivolta alla tutela degli animali domestici che
trascorreranno il periodo di alpeggio in
stretta promiscuità tra loro: Tubercolosi
bovina, Brucellosi bovina, Leucosi Bovina Enzootica, malattia respiratoria da
herpervirus nei bovini; Brucellosi per
gli ovini e caprini; Peste Suina Classica
e Malattia Vescicolare del Suino per i
suini.
Tutte patologie infettive essenzialmente riguardanti gli animali domestici
e per le quali sono attuati piani di risanamento ed eradicazione obbligatori.
Esistono però altre patologie infettive
e/o infestive per le quali non sussistono
specifici obblighi di accertamento preventivo per la salita al monte. In particolare sono patologie infettive virali o
batteriche (ad esempio: Virus Respiratorio Sinciziale, Cheratocongiuntivite
infettiva) o infestive (rogna, infestazioni
da strongili, distomi, paramphistomi,
ecc.) per le quali scatta l’obbligo di denuncia, ed i conseguenti provvedimenti
restrittivi previsti dal Regolamento di
Polizia Veterinaria, non solo e semplicemente alla singola ed isolata identificazione dell’agente patogeno ma, bensì, al manifestarsi delle sintomatologia
correlata (e cioè a malattia clinicamente
manifesta). Inoltre sono, in genere, patologie frequentemente presenti ma caratterizzate da un sostanziale equilibrio
tra patogeno ed ospite che si vengono
a manifestare solo nel momento in cui
tale equilibrio dinamico viene in qualche modo alterato dall’insorgenza di
altre patologie, infettive e non, o dalla
concomitanza con fattori stressanti di
un certa entità (ed anche 1a monticazione può essere un fattore stressante).
Tale serie di considerazioni porta
a rivalutare l’importanza della visita
clinica ante monticazione quale unico
Difficoltà operative oggettive
L’accertamento clinico, anche di massa o su un campione statisticamente
significativo, e realmente difficoltoso
in alcune specie (grossi greggi di ovini,
greggi di caprini), presuppone sempre
una concreta e fattiva collaborazione da
parte del conduttore del gregge che, ovviamente, nel timore di possibili provvedimenti restrittivi e delle gravissime
conseguenze economiche legate ad
eventuali limitazioni o ritardi al permesso di monticazione, non è certamente incentivato in tal senso.
Limiti oggettivi dell’efficacia
dell’accertamento clinico
Laddove si sia in presenza di patologie in cui l’animale domestico sia il serbatoio naturale dell’agente patogeno
(ad esempio cherato-congiuntivite infettiva) l’assenza di una sintomatologia
conclamata è sicuramente un elemento
di rassicurazione, ma non fornisce ogni
garanzia potenzialmente utile. Del resto
la semplice identificazione dell’agente
patogeno in uno o più soggetti, in assenza di sintomatologia clinica, non
consentirebbe l’adozione di provvedimenti restrittivi. Un ausilio fondamentale, ma ancor oggi poco considerato,
viene dall’attuazione sistematica di
trattamenti chemio-terapici a carattere
preventivo. La stragrande maggioran-
CACCIAINVALBREMBANA
13
za degli allevatori professionisti, infatti,
effettua trattamenti preventivi, soprattutto prima della monticazione (bagni
acaricidi, trattamenti antielmintici a
largo spettro e/o mirati). L’allevatore
quindi ben conosce l’utilità di tale prassi, ma ne conosce anche i costi, per altro
piuttosto significativi. Sarebbe opportuno incentivare tale procedura, anche
con contribuzioni economiche ad hoc,
quando la destinazione delle greggi dovesse essere una zona ad alta frequentazione di ungulati selvatici.
La via della coercizione, in assenza
di patologie conclamate, non è percorribile, e potrebbe anche avere effetti
opposti a quelli desiderati. La necessità di concreta collaborazione, più
che di coercizione, è dimostrata dalla
semplice e banale considerazione che
il controllo dei comportamenti tenuti
dal custode degli animali al pascolo in
alpe o, comunque, in zone disagevoli
e lontane dalle vie di comunicazione
e dai centri abitati, non può che essere
saltuario e sporadico.
Appare inoltre importante non limitare il trattamento alla sola zona ad
alta vocazione (alpeggio) perché, proprio durante tale stagione, le maggiori
interazioni etologiche e le più pericolose forme di promiscuità interspecifica
avvengono negli areali più marginali
ove, per altro, è più probabile la presenza di piccoli gruppi di animali appartenenti ad allevatori hobbisti o non
professionisti che, seppur certificati,
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CACCIAINVALBREMBANA
rappresentano un rischio maggiore per
tutte le patologie non soggette a piani
di eradicazione o monitoraggio obbligatori.
Conclusioni
Fatto salvo il rispetto della vigente
normativa in materia di certificazioni
sanitarie previste per la salita all’alpeggio, si ritiene di poter individuare tre
azioni assolutamente importanti nella
gestione dei delicati e complessi meccanismi di interazione tra specie di ungulati a vita libera ed ungulati domestici
al pascolo:
- rivalutazione dell’importanza della visita clinica: sensibilizzare i Veterinari
Ufficiali nel recuperare quello che era
il fondamento della loro professionalità.
- Ottenere nel contempo la necessaria
collaborazione dei conduttori delle
greggi in alpe anche applicando sostanziose riduzioni degli importanti premi economici loro spettanti qualora non sia stata
prestata l’opportuna collaborazione e, soprattutto, qualora non venga immediatamente segnalata l’insorgenza di qualsiasi
sintomatologia conclamata negli animali
al pasco,o a carattere infettivo o infestivo.
- Incentivare l’effettuazione di trattamenti profilattici preventivi: per
“greggi” di ovini e/o di caprini diretti in zone ad alta densità di ungulati
selvatici, e studiare forme di incentivazione economica al conduttore del
gregge affinché provveda a trattare
adeguatamente i suoi animali subito
prima della monticazione.
A tali condizioni si ritiene che l’autorità competente in materia di gestione
del patrimonio faunistico possa imporre l’obbligo di trattamento per l’accesso
a zone di elevato pregio, rammentando
la necessità di provvedere a coprire, con
la massima attenzione possibile, le zone
marginali o immediatamente vicine alla
stessa.
Razionalizzare e riordinare l’intero
settore del pascolo (con particolare riferimento agli ovicaprini, in particolare ai
caprini): non è certamente ipotizzabile
un ritorno alla gestione del territorio
montano allora caratterizzata da miriadi di parcelle di pascolo, gelosamente
custodite dai diversi titolari, né è altrettanto ipotizzabile un ritorno di predatori naturali in numero tale da poter
portare ad uno spontaneo ritorno ad un
pascolo fortemente controllato.
Quindi è assolutamente importante
incentivare il controllo del pascolo in alpeggio, in particolare dei caprini, magari legando a detto controllo una quota
significativa del premio di monticazione previsto per gli ovi-caprini che tanta
importanza ha nella redditività fornita
da tali specie animali.
Vietare e severamente sanzionare
ogni forma di pascolo incontrollato, sia
in alpe che nelle zone ad essa vicine o,
comunque, in zone frequentate non occasionalmente da ungulati a vita libera,
soprattutto nei mesi invernali (da novembre a marzo) ai caprini. Infatti, proprio in tale periodo, stante la penuria di
foraggio, divengono altamente probabili, se non inevitabili, prolungati ed anomali episodi di promiscuità tra ungulati
selvatici a vita libera e soggetti caprini,
formalmente definiti domestici ma, a
volte, oggettivamente liberi di vagare
per la quasi totalità dell’anno.
Diversamente operando, tra pochissimi anni il problema non sarà più quello
di studiare e prevenire le possibili infezioni crociate tra greggi domestiche
ed ungulati selvatici a vita libera, ma
piuttosto quello ben più grave di gestire
popolazioni di animali a vita totalmente libera, sostanzialmente inselvatichiti,
e dallo status giuridico indefinito: certamente non selvatici, e quindi comunque
non a prelievo venatorio, ma nemmeno più
domestici, e quindi a stato sanitario non conosciuto o solo presunto.
L’habitat della starna
- Vitali GiovamBattista
Tecnico forestale e faunista
La starna è una specie a distribuzione
euroasiatica. È sedentaria e nidificante
in quasi tutto l’areale europeo, tranne
in Europa Orientale dove presenta una
certa tendenza alla migrazione. In Italia
è sedentaria e nidificante; la Perdix perdix italica è una sottospecie endemica
della nostra penisola. In Lombardia la
P.p. italica è probabilmente estinta, sostituita da sottospecie alloctone introdotte
con le attività di ripopolamento. Dopo
un periodo di massima abbondanza,
agli inizi del secolo passato, è iniziato
un declino generale che in Europa ha
assunto aspetti drammatici a partire dal
dopoguerra. Questo declino si è manifestato sia con una contrazione delle consistenze delle popolazioni, sia come forte contrazione degli areali di presenza.
La contrazione delle consistenze delle popolazioni a volte è stata eclatante:
in un’area della Francia settentrionale il
carniere annuale è passato da 5.000 capi
nel 1938 a 12 nel 1984.
Anche la consistenza del carniere
mondiale ha evidenziato lo stesso andamento: dai 20.000.000 di capi abbattuti
prima della seconda guerra annuale si
è passati ai 3.800.000 della metà degli
anni ottanta, quest’ultimo dato computa anche tutti i soggetti definiti comunemente “da pronto caccia”Numerosi studi hanno evidenziato
che tale declino è legato alla forte modifica del paesaggio agrario, ovvero il
passaggio da un’agricoltura tradizionale ad un sistema agricolo convenzionale, in cui gli elementi agroforestali (siepi
campestri, filari, incolti ecc..) sono progressivamente scomparsi e l’utilizzo di
fertilizzanti e pesticidi è aumentato fino
a pochi anni fa. Nel sistema agricolo
tradizionale (piccoli appezzamenti, forte presenza di siepi campestri, di cereali
a paglia e prati) la Starna raggiungeva
densità elevate, forse maggiori di quelle
riscontrabili negli ambienti naturali originari.
In Italia le consistenze e le densità
erano talmente elevate che un elevato
prelievo venatorio non influenzava lo
status delle popolazioni.
Oggi la consistenza europea della popolazione di strana è stimata in 2,6-5,1
milioni di copie, di cui la maggior parte
localizzate in Russia. In Italia si stimano
dalle 2.000 alle 4.000 coppie, con una generale tendenza al decremento. In Lombardia la popolazione presente fino alla
metà degli anni 90 nelle zone appenniniche Pavesi si è progressivamente ridotta fino al limite della scomparsa.
Ciclo biologico e
comportamento sociale
La strana è una specie solitaria e territoriale durante la nidificazione, strettamente monogama, e i pulcini sono allevati da entrambi i genitori.
La deposizione avviene tra aprile e
giugno: la femmina depone in media
10-15 uova in un nido posto direttamente sul suolo, l’incubazione dura 23-25
giorni e la schiusa è sincrona.
Il successo riproduttivo, rilevato nelle popolazioni presenti nell’Appennino settentrionale, viene stimato in
3,3 giovani per coppia, ma tale dato è
estremamente influenzato dalla qualità
dell’habitat riproduttivo. Al di fuori del
periodo riproduttivo la specie diventa
gregaria formando gruppi, detti “brigate”, di 5-10 e più individui che compiono limitati spostamenti per la ricerca di
cibo. Normalmente le brigate sono formate dai giovani dell’anno e dai genitori, a cui si possono aggregare soggetti
isolati o coppie non riproduttive.
I giovani restano con i genitori fino a
gennaio, quando le brigate cominciano
a disgregarsi e si formano le coppie.
Esigenze ambientali
La specie è caratteristica degli ambienti aperti, in particolare il paesaggio tipico dell’agricoltura tradizionale,
dove i seminativi a rotazione si alternano ai prati permanenti, alle legnose
agrarie (frutteti, vigneti, pioppeti), alle
aree marginali (incolti e cespuglietti) e a
piccole formazioni forestali (piccoli boschi e siepi campestri).
In ambienti di pianura, con scarso o
nullo equipaggiamento forestale, è di
fondamentale
importanza la presenza di una rete di
siepi campestri o fasce/bande boschive.
Durante la stagione invernale è straordinariamente importante che la starna
possa aver a disposizione delle aree a
vegetazione fitta e coperta da utilizzare
come rifugio.
Esigenze alimentari
La starna si alimenta preferibilmente
di semi, di germogli e erba, occasionalmente può cibarsi anche di frutti e radici.
La parte animale della dieta è di fondamentale importanza per i giovani di
età fino a tre settimane. La presenza di
insetti, soprattutto uova, larve e adulti
di diverse specie di formica, di afidi,
coleotteri delle famiglie dei Carabidi,
degli Stafilinidi e dei Crisomelidi, larve
di lepidotteri, di imenotteri, delle famiglie dei Tentredini e Collemboli, è un
fattore determinante per la sopravvivenza degli starnotti, infatti l’estinzione
locale della starna è molte volte legata
alla mancanza di aree marginali che
garantiscono un’abbondante presenza
d’insetti.
Diversi studi hanno evidenziato che
nella dieta annuale sono predominanti
i cereali coltivati (grano, orzo e mais),
semi di leguminose (trifoglio, erba me-
CACCIAINVALBREMBANA
15
dica e soja), di graminacee prative (poe,
festuche, lolium ….) ma anche di crocifere, di composite e di labiate.
Durante la stagione invernale la dieta
è caratterizzata soprattutto da graminacee (grano e orzo), mentre con l’inizio
della primavera l’alimentazione si diversifica.
Gli insetti sono importanti soprattutto in estate (10-13% della dieta) ed in
autunno ( 13-15% della dieta), ovvero
quando nella popolazione sono presenti i giovani.
In inverno, con la copertura nevosa,
la strana scava e si infiltra sotto la neve
fino a raggiungere il terreno alla ricerca di cibo. Nei periodi di gelo con copertura nevosa si verificano alti tassi di
mortalità per inedia, quando i soggetti
di starna non possono accedere alle risorse trofiche.
che di Home range, in quanto l’area occupata viene difesa tenacemente.
Il territorio in cui si insedia una coppia è, normalmente, ben equipaggiato
con incolti erbacei, cereali a paglia, medicai, siepi campestri e cespuglietti.
L’ampiezza dell’area vitale aumenta sensibilmente con la presenza della
nidiata, fino ad arrivare a 5-6Ha per
nidiata a 8-10Ha per gruppo durante il
periodo invernale.
Il territorio utilizzato dalla nidiata
è particolarmente caratterizzato dalla
presenza di siepi campestri, da incolti
erbacei e campi di cereali a paglia con
stoppie; in inverno soprattutto i campi
di frumento e orzo che offrono una elevata disponibilità alimentare di grande
qualità, e, in generale, i campi con residui colturali con una copertura di vegetazione spontanea.
Siti di nidificazione e rifugio
I siti di nidificazione sono rappresentati dalle siepi campestri e dalle fasce
erbacee, ma possono essere anche utilizzati i medicai e i seminativi a grano
e orzo.
La localizzazione del nido è fondamentale per la sopravvivenza della nidiata, infatti le siepi, le fasce erbacee e le
aree marginali garantiscono un buona
sicurezza, ed in maniera minore anche
i campi di cereali a paglia, almeno fino
alla mietitura.
I prati stabili e quelli avvicendati, sebbene attraggano la specie, non sono sicuri a causa delle operazioni di sfalcio
periodico.
Home range (area vitale)
L’area vitale di una copia di starne è
dipendente dalla disponibilità di cibo e
dalla presenza di siti idonei per la nidificazione: maggiore è la disponibilità di
cibo e di siti di nidificazione, minore è
l’Home range.
L’ampiezza dell’area vitale è quindi
variabile: da 1Ha/coppia in territori
altamente vocati, a 20Ha/coppia per i
territori caratterizzati da un’agricoltura
convenzionale intensiva.
Nel caso di densità di coppie sarebbe
più opportuno parlare di territorio più
16
CACCIAINVALBREMBANA
Siti di pastura
L’alimentazione avviene preferibilmente in aree aperte e campi coltivati
adiacenti alle siepi, ai cespuglietti, alle
fasce erbacee o incolte, in modo da rifugiarsi rapidamente in caso di pericolo.
Per l’alimentazione degli starnotti è
importante l’altezza della vegetazione,
infatti quest’ultima non deve essere
troppo alta e folta, in quanto gli insetti
tendono ad alzarsi verso la luce.
In generale vengono frequentati soprattutto i seminativi a grano, orzo o
avena, ma dalla primavera i siti di pastura cominciano a diversificarsi: in
primavera sono più utilizzate le zone a
vegetazione spontanea, erba medica e
arati, in estate vengono frequentati anche le ortive in pieno campo, il mais e la
soja; in autunno i siti di alimentazione
sono al massimo della diversificazione,
ma le stoppie di cereali e i terreni arati
sono i più frequentati.
Caratteristiche fondamentali
del mosaico ambientale ottimale
Tipologia della
tessera ambientale
% territoriale
Seminativi a cereali
a paglia
30-40%
Incolti e
fasce erbacee
5-10%
Boschi e foreste
< 25% di cui almeno il
5% rappresentato da
boschetti aventi una
superficie < di 1Ha e
da siepi campestri.
Siepi campestri
e fasce boscate
8-15 Km/Kmq
Qualsiasi progetto di reintroduzione
della starna deve essere preceduto da
un’attenta valutazione dell’ambiente su
cui si andrà ad operare, evidenziandone i fattori positivi e quelli negativi, ricorrendo, se necessario, a programmare
degli interventi di miglioramento ambientale specifici.
Il generale i fattori negativi che possono limitare o far fallire ogni tentativo
di ripopolamento sono essenzialmente
una ridotta complessità dell’agro sistema, una scarsa presenza di cereali a paglia, un’inadeguata densità territoriale
dei sistemi agroforestali, un uso diffuso
di pesticidi e la monocoltura diffusa oppure una boscosità eccessiva.
Gli interventi di miglioramento ambientale che favoriscono la specie e
consentono di ottenere buoni risultati
di ripopolamento sono gli interventi di
riqualificazione degli elementi forestali
lineari (siepi campestri), le colture faunistiche, una gestione dei prati rispettosa
delle cove, la conservazione dei margini
erbacei ed incolti e la realizzazione, in
pianura, di piccoli complessi boschivi.
IL ROCCOLO
- Flavio Galizzi
- Servizio fotografico al Roccolo Bonomi, al “Corone” di Dossena.
I roccoli dislocati in quota, nella nostra Valle, costituiscono una eccezionale
documentazione storico-culturale del
nostro passato, e rappresentano, sotto il
profilo edificatorio, architettonico e artistico, testimonianze di una tradizione
venatoria unica in tutto l’arco alpino, e
anche in Europa.
Definirle solo “testimonianze della tra
dizione e delle cultura venatoria bergamasca” è però forse riduttivo, anche se
l’aspetto venatorio è sicuramente quello
preponderante.
Il Roccolo è stato il luogo dove si svolgeva un’attività complessa, quasi di impresa, che richiedeva l’impegno di diverse persone, in cui l’attività dell’”aucupio”
(questo è il termine tecnico con cui si definisce la cattura degli uccelli con l’ausilio
delle reti), era solo un aspetto, quello della
“raccolta”, di una serie di lavori e piccole
attività che tenevano impegnati i titolari
degli impianti e i loro aiutanti, spesso l’intera famiglia, per tutto l’arco dell’anno.
Un poco di riposo se lo potevano permettere solamente a inverno inoltrato, al
termine del passo delle cesene, quando
la neve copriva col suo candido manto
ogni cosa.
Già all’inizio della primavera si saliva
al Roccolo per l’apertura dei locali, la pulizia delle foglie, ed era subito tempo di
potatura: la potatura di contenimento e
di formazione degli impianti già strutturati, e la messa a dimora di nuove essenze, specie di quelle di pastura.
La doppia corona degli alberi che delimitavano il corridoio dell’anello princi-
pale dell’impianto, “ol sigalér”, dentro il
quale scorre il filo di sostegno delle reti
di cattura, richiedeva una impegnativa e
continua manutenzione.
In certe località piuttosto rocciose, alle
quote più elevate, bisognava addirittura
portare la terra con le gerla se si voleva
piantare qualche pastura, perché anche
gli alberi hanno bisogno di nutrimento.
Oltre il lavoro al Roccolo, a casa c’era
da tenere in ordine il locale degli uccelli
da richiamo, che andava aerato e tenuto
ben pulito per la buona salute degli uccelli tenuti in cattività. Spesso la batteria
degli uccelli allevati per l’intero anno era
ridotta a pochi e buoni esemplari, quelli
da “primavera”, perché il costo per alimentarli era alto; così all’inizio del passo si utilizzavano le prime catture della
stagione, sapientemente “impastellate”
perché potessero ben sopportare la cattività. Un gesto molto significativo di “riconoscenza” nel confronti della cesena
tenuta imbragata come “zimbello”, per
la collaborazione al buon esito dell’attività durante l’ultimo periodo del passo,
era quello di liberarla alla fine della stagione venatoria. Era l’unica a beneficiare di questo gesto simbolico, ma la dice
CACCIAINVALBREMBANA
17
tutta sulla sensibilità e il senso di riconoscenza del roccolatore verso la natura
per quanto gli regalava, e da cui traeva,
nonostante la dura fatica, i frutti.
Gli impianti erano posizionati tutti
sulle principali vie del passo migratorio,
individuate da una sapiente e secolare
osservazione dei principali movimenti
migratori, per la quale i nostri roccolatori erano esperti eccezionali.
Di queste esperienze acquisite sul
campo, fatte proprie e tramandate negli
anni, scrupolosamente annotate, si sono
avvalsi nei secoli i più importanti ornitologi, che nei loro scritti hanno sempre
parlato di questi impianti, fin dal 1700,
che visitavano a dai quali traevano importanti osservazioni e dati relativi ai
calendari annuali del passo delle diverse specie.
18
CACCIAINVALBREMBANA
Anche il Caffi, fondatore del Museo di
Scienze di Bergamo e curatore della pubblicazione “Gli uccelli del Bergamasco”,
la cui prima edizione è del 1913, utilizzò
abbondantemente i dati provenienti dai
cacciatori e roccolatori delle nostre Valli, i
quali si sentivano fieri e orgogliosi di poter collaborare con il mondo scientifico,
il quale, di suo pari, riconosceva loro un
ruolo insostituibile per la crescita e l’approfondimento di questi studi.
Un rapporto che ancora oggi, seppur
da certi settori ancora sopportato con un
certo disagio, continua, e ci auguriamo
possa migliorare.
Grazie al sostegno di pochi amici in
politica (anche se non sempre ne hanno
saputo cogliere la valenza storico culturale, limitandosi all’interesse elettorale),
e all’impegno di molti appassionati nel
quotidiano, in particolare di molti tra noi
cacciatori convinti che non vi è altra strada che quella della collaborazione, previo
reciproco riconoscimento, il periodo delle avversità ad ogni costo sembra essere
in declino. Ad una posizione di emarginazione nei confronti dei cacciatori si va
via via sostituendo un atteggiamento di
attenzione e di riconoscimento di un ruolo insostituibile, grazie alle competenze e
alla disponibilità collaborativa di un ampio settore di cacciatori, per la conoscenza e la conservazione delle specie della
fauna alpina, sotto ogni profilo.
Noi cacciatori abbiamo quindi un com-
pito da continuare a portare avanti: quello di impegnarci per meglio conoscere e
riconoscere sul territorio queste tracce del
nostro passato, della nostra storia e della
nostra specifica cultura venatoria, oltre
che ricostruire con le istituzioni scientifiche e di ricerca quel clima collaborativo
indispensabile per una nostra crescita
personale, di gruppo e collettiva.
Dobbiamo imparare a rispettare e leggere queste testimonianze del nostro
passato nella giusta dimensione storicoculturale-documentaria, perché tornino
a rivivere in una ricollocazione idonea ai
tempi moderni.
Su questi nostri territori montani, luoghi di fatiche e di “vita dura”, dove si
formava il carattere del bergamasco forse un poco rude, ma onesto e lavoratore,
è stata disegnata una fitta rete di sentieri
che costituiscono una risorsa di straordinaria importanza ambientale, frutto
del lavoro di secoli e di generazioni di
valligiani i quali, mentre altri per necessità hanno dovuto andare a guadagnarsi il pane quotidiano altrove, sono
rimasti “custodi” della loro terra e delle
tradizioni dei loro avi. Questi sentieri
sono il respiro del bosco, sono i canali
attraverso i quali possiamo accedere ai
suoi segreti, che permettono alla montagna di esserci vicina e di comunicare
con noi, e noi con lei.
Nei roccoli d’alta quota, come in molti
capanni, è trascorsa la vita di centinaia
di persone che nella montagna hanno
trovato una ragione di vita, accettandone lo spirito e la durezza, godendo delle poche risorse che poteva offrire. La
montagna diveniva per loro come una
seconda sposa, un’amante discreta che
a volte li negava per mesi alla famiglia,
ma li ricompensava con i suoi frutti. Per
il conduttore il roccolo era una seconda
casa, un ambiente di lavoro da cui traeva le risorse per mantenere la famiglia; e
lassù, per difendere e mantenere questo
posto di lavoro, alcuni hanno perso anche la vita, lasciando vuoti incolmabili, a
quali ci si rassegnava con estrema sofferenza, ma con grande dignità, sostenuti
dalla solidarietà di tutti.
Anche questi sono segni della cultura
delle nostre valli, che non possiamo dimenticare.
Nuovi spazi culturali per una nuova
collocazione storico documentaria possono essere individuati in progetti di
mappatura e recupero di molte di queste strutture, ma anche di collaborazione
scientifica di ricerca per una valorizzazione del territorio, come il Comprensorio Alpino ha già fatto in questi anni con
il “Progetto Galliformi”.
Le volontà e le risorse vanno individuate nelle Istituzioni territoriali e nelle Associazioni, come la nostra, ma che
non deve essere la sola, che operano
per la salvaguardia e la rivalutazione
degli aspetti storico–culturali della nostra Valle.
Le nostre piccole comunità locali vivono, e possono continuare a vivere,
dentro un tessuto socio-ambientale e
culturale non sostituibile con altri modelli, pena la loro estinzione, e di questo
tessuto devono continuare a nutrirsi,
dentro equilibri delicati, sempre più fragili, degni di più attenzione.
Un impegno forse per alcuni gravoso,
ma che, se vissuto nel giusto spirito, può
ridare una ragione di vita a molti che vogliono continuare ad identificarsi “nella
loro montagna”, con tutta la sua storia
da custodire gelosamente per tramandarla, in compagnia di molti altri che già
si sentono parte viva di questo contesto
culturale dai contorni indefiniti.
CACCIAINVALBREMBANA
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Prima sagra venatoria estiva
per uccelli da richiamo
- Angelo Bonzi
- Fotografie di Gianni Gritti
Sabato 16 agosto nella splendida cornice
del parco Luigi Selmo (ex colonia ENEL)
si è svolta la prima sagra venatoria estiva per uccelli da richiamo organizzata dalla commissione migratoristi del
Comprensori Alpino Valle Brembana.
calendario nazionale delle mostre ornitologiche .
Grazie alla divulgazione dei volantini e
delle locandine esposte,notevole è stato
l’afflusso di pubblico e degli espositori,
giunti da ogni parte della Lombardia,
anche per l’allestimento di un piccolo
impianto di cattura (roccolo) che rientrava come tema culturale all’interno
della manifestazione.
Alle ore 5,30 si è avuta la classica apertura con la gara di canto dove i vari
lo sfondo del campo gara
tranquillamente “infroscato”
la “cùridura”
Quest’anno i cacciatori da appostamento fisso, in collaborazione con il C.A.
hanno deciso di allietare una giornata
estiva del mese di agosto ,con un’inconsueta musica: i canti e i gorgheggi di
centinaia di uccelli canori.
La manifestazione si è svolta in collaborazione con l’ A.M.O.V. e rientrava nel
che hanno messo a confronto i loro soggetti di notevole levatura tecnica avendo, al contempo, modo di apprezzare le
bellezze naturali che circondano il luogo del ritrovo.
Il parco, per l’occasione, grazie al lavoro
di cacciatori volontari, è stato attrezzato
oltre che per l’esposizione degli uccelli
giudici, con molta professionalità e pazienza, dopo alcune ore di osservazioni
hanno individuato i soggetti meritevoli
di encomio.
Le categorie ammesse erano cinque: tordo bottaccio, tordo sassello, merlo, fringuello e tordina per una classifica che di
seguito vi riportiamo.
la “sua” primavera
la ricostruzione del vecchio capanno…
… e il suo spaccato interno
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CACCIAINVALBREMBANA
presenza del Comitato di Gestione
grazie e… arrivederci
premiati, autorità e organizzatori sul palco
CLASSIFICA GARA DI CANTO
TORDO BOTTACCIO
1 AVOGADRO ROBERTO
2 GASPARI BRUNO
3 LANCINI STEFANO
4 PASINETTI MAURIZIO
5 ORIZIO BENIAMINO
6
7
8
9
10
Punti
45
5
30
20
15
Sogg.
33
21
11
25
3
TORDO SASSELLO
1 MASSARI TIZIANO
2 PASINETTI MAURIZIO
3 VENTURINI MIRCO
4 LOCATELLI LUCA
5 ORIZIO BENIAMINO
6 REGAZZONI ALESSIO
7
8
9
10
Punti
40
38
33
28
20
18
Sogg.
28
23
32
11
4
42
MERLO
1 LANCINI STEFANO
2 GAUDENZI SEVERINO
3 ORIZIO BENIAMINO
4 BENEDETTI BRUNO
5 LOCATELLI DARIO
6
7
8
9
10
Punti
24
22
15
13
10
Sogg.
7
3
13
10
2
PRISPOLONE
1 SANTIN FABIO
2 GALIMBERTI F.
3 GAUDENTI LUCIO
4 GEROSA ANTONIO
5 LANCINI STEFANO
6 ALIPRANDI GIULIO
7
8
9
10
Punti
50
48
32
28
26
22
Sogg.
31
32
3
13
7
18
ALLODOLA
1 VALLONCINI MARIO
2 ANCINI STEFANO
3 BENEDETTI BRUNO
4 ORICIO BENIAMINO
5
6
7
8
9
10
Punti
32
28
20
15
Sogg.
9
21
12
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FRINGUELLO
1 CROTTA PAOLO
2 ALLIEVI TIZIANO
3 AVROLI NATALE
4 ALIPRANDI GIULIO
5 BENEDETTI BRUNO
6 LOCATELLI G. CARLO
7
8
9
10
Punti
50
48
47
42
30
26
Sogg.
42
4
20
31
2
32
Sul palco, alla premiazione insieme ai
responsabili, erano presenti diversi rappresentanti delle istituzioni, che oltre
agli elogi di rito, si sono prestati ad un
cordiale e costruttivo dibattito con il numeroso pubblico presente.
Molto applaudito il sindaco del comune di Roncobello che al ricevimento del
premio per il comune con il maggior numero di roccoli, ha evidenziato il grande
radicamento e la grande passione che
anima i suoi concittadini a questa secolare tradizione informando i presenti
che, durante il tragitto per raggiungere
gli impianti situati a volte in zone impervie, hanno trovato la morte alcuni
suoi paesani, rimasti vittime di slavine
o eventi correlati agli stessi.
Verso le ore dodici ha fatto seguito alla
sagra un gustoso e apprezzato pranzo a
base di prodotti locali contornato da abbondanti bevande che hanno, di fatto,
sancito la conclusione della bellissima
giornata.
La manifestazione era alla sua prima edizione ma, considerato il notevole successo, ci auspichiamo che anche nei prossimi
anni i cacciatori interessati promuovano
queste lodevoli iniziative che, se coniugate in un giusto contesto, servono a dimostrare anche agli scettici la bontà e la
professionalità del mondo venatorio.
Gli organizzatori ringraziano tutti quelli
che hanno collaborato alla buona riuscita della manifestazione e colgono l’occasione per augurare a loro e alle loro
famiglie i più sinceri auguri di un buon
Natale e di un felice Anno Nuovo.
CACCIAINVALBREMBANA
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LA DONNA E LA CACCIA
- Luigi Capitanio
“Anche i femne adèss i ndà a càssa, laùr de
macc”.
Con questa affermazione un anziano cacciatore, occasionale avventore del bar, tracanna l’ultimo sorso del suo “bianchino”
e, scuotendo la testa, esce dal locale non
prima di aver aggiunto; “ma che i staghe a cà
a cunsà i solètè”.
Una considerazione la sua, più che una notizia. Anche le donne al giorno d’oggi vanno a caccia! È vero, e questo non appare più
come un fenomeno occasionale al punto da
destare stupore, tant’è che le richieste di rilascio delle licenze di caccia da parte delle
donne sono in deciso aumento.
Va pure detto però che in Italia le donne
che praticano la caccia sono ancora poche rispetto ai colleghi uomini; nel nostro
comprensorio poi si possono addirittura
contare sulle dita di sole due mani. Poco,
in rapporto agli oltre mille cacciatori maschi che praticano l’attività venatoria sulle
nostre montagne. Non va meglio nelle altre
regioni italiane, ad eccezione forse dell’Alto Adige, dove le cacciatrici sono oltre 250,
22
CACCIAINVALBREMBANA
o in alcune città, come Firenze ad esempio,
dove sono in atto iniziative per costituire
club di caccia e cinofilia per sole donne.
In altre regioni d’Europa invece, dove la
tradizione venatoria è fortemente legata
alla cultura e meglio tollerata dal resto della società, le percentuali di presenza femminile in ambiente venatorio sono decisamente superiori. Ne sono buon esempio la
Francia e la Germania, dove il loro numero
ha ormai superato il 10% dei praticanti, e
ancora meglio in Danimarca e in Inghilterra, dove in alcune attività venatorie tradizionali le donne sono presenti con club e
associazioni riservate ed esclusive.
Ora, percentuali a parte, visto l’interesse
crescente del gentil sesso verso questa nobile attività, oggi ricreativa ma comunque
vecchia come il cucco, gli interrogativi che
emergono al riguardo sono: “come è vista
la presenza delle donne in un mondo che fino
a poco tempo fa era dominio dei soli uomini?”
e, approfondendo ancor più ci si chiede:
“ma la donna non ha mai praticato la caccia?”,
magari anche solo in tempi remoti per
procurarsi il cibo, o, come probabile, è stata invece costretta a trasformarsi in “non
cacciatrice” a tempo pieno per occuparsi di
faccende domestiche?
Se così fosse, l’attività venatoria al femminile, seppur in circostanze diverse, sarebbe
solo un ritorno alle origini, pertanto non
più un fenomeno nuovo.
Come è considerata dai colleghi maschi questa
presenza? È vista con sospetto?
Per rispondere a questi interrogativi non
basterebbero certo le pagine del nostro
“giornalino”, servirebbe quantomeno un
numero speciale. Chi scrive in questo caso
non merita tanto spazio; l’argomento però,
pur non rappresentando ancora un fenomeno di massa, mi tocca assai da vicino visto
che la nonna paterna, portando la colazione
di metà mattino al nonno nel suo capanno
di caccia, quando ne aveva occasione non
disdegnava di dare un paio di schioppettate ai malcapitati uccelletti che si posavano a
tiro. Anche per questo ne parlo volentieri,
mi ricordano con nostalgia tempi passati,
dove anche la nonna mi insegnava, tra le al-
tre cose, l’arte di pigliare le cince more con
il vischio. E ci sapeva fare credetemi!
Ma ritornando alle domande iniziali; è
ancora tanto diffuso l’ostracismo verso le
donne che praticano la caccia o le condizioni attuali di cultura, benessere e di apertura mentale degli attuali cacciatori maschi,
hanno fatto sì che le barriere del “riservato
ai soli uomini” siano tramontate in modo
definitivo?
Rispondere a questa domanda non è difficile. La presenza della donna nel mondo venatorio in veste di “praticante”, tranne casi
particolari, oggi è ben tollerata dagli uomini, tant’è che in più occasioni questa presenza viene anche stimolata e, a differenza del
passato, dove solo poche di loro, quasi sempre appartenenti al ceto medio-alto della
società, potevano discutere di caccia e cinofilia, oggi non di rado troviamo donne nelle
attività venatorie e cinofile con competenze
da fare invidia a molti uomini; forse anche
per la consapevolezza, tutta femminile, che
per riuscire bene in un mondo dominato dai
maschi (la caccia e la guerra sono state per
secoli di dominio maschile!) devono dare
molto di più in termine di competenza e di
impegno. Va sottolineato come la presenza della donna nella caccia porti sconcerto
ancor più negli ambienti anticaccia che in
quelli venatori. Un noto rappresentante di
un movimento anticaccia interpellato sul
tema ebbe a dire: ”Non è tollerabile l’attività
venatoria in generale, ancor più se praticata da
una donna, essa è nata per dare la vita alle creature non certo per toglierla…… è inaccettabile
e disumano…. Forse hanno dimenticato il loro
ruolo e la loro femminilità….”
Non è certamente il solo a rimanere incredulo e inorridito nel costatare che anche il
gentil sesso è presente nella caccia. E questo non solo per l’impegno fisico che tale
Foto di Francesco Cuffaro
attività comporta; ci sono donne che praticano sport estremi quali l’alpinismo, con
spedizioni e scalate molto impegnative, il
rafting, che prevede discese in canotto di
fiumi tumultuosi, deltaplano, paracadutismo ed altro ancora, dove la fatica e il rischio sono ben più grandi di quelli legati
all’esercizio venatorio.
La vera ragione di tale intolleranza sta
nell’uccisione del selvatico, quale essere vivente, atto ritenuto in forte contraddizione
con la delicatezza dell’animo femminile,
non avvezzo per sua natura all’orrore del
sangue. Questo atteggiamento è spesso la
reazione di chi non conosce, o di proposito vuole ignorare, le realtà rurali delle nostre valli, dove le donne, di frequente con
parecchi figli da tirar grandi, tra le tante
incombenze avevano pure il compito di
sgozzare una gallina o di uccidere un coniglio. Eppure la femminilità di queste don-
ne non era certo in discussione.
Le donne certamente non sono nuove nella
caccia. Oggi, grazie al lavoro di archeologi e paleontologi, sappiamo sempre di più
sulla vita dei nostri antenati preistorici che,
vestiti di pelle animale, (la pelliccia era già
di moda!) piano piano occuparono la terra;
e la caccia, in questo contesto, è universalmente associata ad una prima divisione
sessuale delle mansioni. Che gli uomini
fossero impegnati nella caccia e le donne
più o meno distanziate da questa attività,
dove l’atto violento di uccidere necessitava di maggiore forza è probabile; ma lo
si afferma solo per semplice deduzione,
senza nessuna prova definitiva. Neppure
le pitture rupestri risalenti al Paleolitico
inferiore, dove vengono rappresentate solo
figure maschili in attività di caccia, sono in
grado di risolvere questo dubbio. Va rilevato però che tra i primi ominidi la ricerca
di cibo era perlopiù un’attività individuale
senza distinzione di sesso e, nella fase iniziale, dove prevaleva il recupero di carcasse spesso sottratte ad animali carnivori, è
assai probabile che la divisione dei compiti
tra maschi e femmine ancora non esistesse. È ancora intuibile invece che nelle cacce
iniziali ai grossi animali erbivori, attuate
attraverso la spinta verso trappole predisposte, le donne fossero presenti in ugual
misura, come pure nelle attività di macellazione. Non è poi così importante sapere se
la separazione dei ruoli tra uomini e donne
nella caccia sia avvenuta ad opera dell’Homo erectus o dell’Homo sapiens; lo è invece
il sapere con certezza che migliaia d’anni
dopo, una delle civiltà più evolute, quella
dei Greci, incoronasse Diana, aggraziata
figura femminile, dea della caccia.
Oggi ci si interroga semmai sulle motivazioni che spingono ragazze e donne di ogni
età a diventare seguaci di tale Dea. Spirito
di emulazione dei colleghi maschi? Ricerca
di forti emozioni a diretto contatto con la
natura? Dimostrazione di identico valore
di un sesso considerato frettolosamente
debole in un’attività dove, astuzia, intelligenza e prestanza fisica sono necessariamente tutt’uno? Forse è una, o più d’una di
queste ragioni che le spingono ad alzarsi al
mattino molto presto, le inducono a vestire
comodi abiti di foggia maschile, spesso rinunciando, ma solo temporaneamente, alla
propria immagine, per iniziare l’avventura
di una giornata di caccia.
E allora forza donne, pure voi andate a
caccia!
Trine Glad al recupero di 2 camosci
CACCIAINVALBREMBANA
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8° CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE
EUROPEA DELLE MALATTIE
DELLA FAUNA SELVATICA (EWDA)
- Alessandra Gaffuri
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, sezione di Bergamo
DALLA CACCIA DI SELEZIONE
ALL’ETICA VENATORIA
- Pier Giorgio Sirtori
La caccia nei tempi andati, dalla preistoria
alla storia, è stata intesa come attività per
procurarsi del cibo. Per molti secoli è diventata appannaggio dei Signori proprietari e successivamente anche ritenuta uno
sport.
In modo particolare la caccia agli ungulati,
da una trentina d’anni, con la crescita della
conoscenza e l’aumento, anche in Italia,
delle popolazioni di selvatici, è stata seriamente indirizzata verso una forma di GESTIONE del patrimonio faunistico.
Principi fondamentali di questa gestione
sono l’attenta conservazione e il razionale
utilizzo di quella risorsa rinnovabile costituita dalla fauna selvatica. Si è cosi evidenziata la necessità di una vera specializzazione di questo tipo di caccia da sviluppare
attraverso un cospicuo aumento di conoscenze specifiche, diffuse attraverso corsi
di preparazione conclusi con verifiche ed
esami.
Si é così accresciuta e diffusa la cultura
venatoria migliorando la formazione dei
cacciatori di selezione. Censimenti, valutazione della vocazione faunistica dei territori, controllo sistematico dei prelievi, rilievi
biometrici e dinamica delle popolazioni di
ungulati sono gli elementi di base sui quali
si costruiscono i piani di prelievo e si attua
24
CACCIAINVALBREMBANA
la gestione faunistica.
Tutto questo ha condotto i cacciatori di
selezione a modificare i comportamenti e a superare i vecchi preconcetti. Ma
per ottenere i risultati sperati occorre che
i comportamenti individuali aderiscano
correttamente ai criteri approvati (anche
da Organismi superiori) e alle indicazioni
dei piani di prelievo. ETICA VENATORIA
significa rispetto delle regole, dell’ambiente, della fauna cacciata, dei cacciatori
e delle tradizioni. A questo punto è ovvia
una considerazione: all’interno del gruppo
(Comprensorio alpino, distretto, settore,
squadra…) ci sentiamo tutti fruitori del
Capitale faunistico che ci viene dato in
gestione. Pertanto chi “sgarra” nel comportamento, in qualche modo, danneggia
sempre i suoi soci, e questi, quando riconoscono il trasgressore, tendono ad isolarlo
ed escluderlo perché si sentono danneggiati. Nella mia ormai lunga esperienza di
caccia agli ungulati ho imparato a ritenere
indispensabile la figura dell’accompagnatore formato da esperienza e corsi di preparazione; in montagna particolarmente
l’accompagnatore è motivo di sicurezza in
generale e crea col cacciatore un vincolo di
correttezza.
Quante volte può capitare di scambiare im-
pressioni ed opinioni osservando a lungo
il capo da prelevare per valutarne tutte le
caratteristiche prima di decidere la correttezza de prelievo, la distanza, la posizione,
l’eventuale difficoltà del ricupero. Quattro
occhi esplorano e vedono meglio di due !
Anche con la più buona volontà può tuttavia succedere un errore di valutazione
compiuto veramente in buona fede. In
questo caso la condivisione di responsabilità tra cacciatore e accompagnatore andrà valutata con molta attenzione tenendo
conto di tutte le circostanze.
Quando si parla di comportamento corretto (etica venatoria) la prudenza va posta in
primo piano perché nella caccia agli ungulati si usano armi a palla potenti e pericolose per micidialità e gittata; bisogna quindi
porre la massima attenzione per evitare
possibili gravissimi incidenti. Il maggior
numero di incidenti gravi, secondo alcune statistiche europee, si verifica durante
la caccia al cinghiale. Per questa specie, in
Italia, la forma prevalente di caccia è quella
collettiva in braccata, con numerosa partecipazione di cacciatori alle poste e con
l’utilizzo di mute di cani specializzati. Ma
in Val Brembana questo tipo di caccia non
si pratica.
All’inizio di ottobre si è svolto in Croazia
l’8° Convegno dell’European Wildlife Disease Association (EWDA), associazione
partner dell’americana Wildlife Diseases
Association, che raggruppa studiosi e ricercatori impegnati nel settore della fauna selvatica.
Entrambe le associazioni si propongono
la finalità di acquisire, diffondere ed applicare la conoscenza dello stato di salute
e delle malattie degli animali selvatici in
relazione alla loro biologia, conservazione ed interazione con gli uomini e gli animali domestici.
Al convegno è stato presentato un lavoro
scientifico, sotto forma di poster, dal titolo: “Monitoraggio sanitario in provincia
di Bergamo: un programma coordinato
tra il servizio veterinario ufficiale, l’amministrazione pubblica e i cacciatori”.
Con questo lavoro si è voluto far conoscere l’attività svolta nella nostra provincia
per il controllo delle malattie negli animali a vita libera e sottolineare l’importanza della collaborazione tra il servizio
veterinario pubblico, l’amministrazione
provinciale e le associazioni venatorie nel
perseguire il comune intento di controllare e tutelare lo stato di salute dei nostri
animali selvatici.
I dati presentati hanno evidenziato l’importanza del lavoro svolto, sia per quanto
riguarda il numero di analisi effettuate
sia per le malattie controllate.
L’impostazione del nostro monitoraggio
rispecchia quanto viene realizzato anche
in alcuni paesi europei; nell’ambito del
convegno, infatti, relatori di diversa nazionalità hanno sottolineato l’importanza
dei piani di monitoraggio sugli animali
cacciati (sorveglianza attiva) e sugli animali che vengono rinvenuti morti sul territorio (sorveglianza passiva).
È stato inoltre evidenziato il ruolo
dell’uomo e delle sue attività come ele-
menti che potranno in futuro influenzare la diffusione di malattie negli animali
a vita libera. I cambiamenti climatici ed
ambientali infatti stanno determinando
la diffusione di insetti e di microrganismi
in territori dove questi organismi non riuscivano, nei decenni scorsi, a perpetuare
il loro ciclo biologico. Le popolazioni di
animali, sia domestiche che selvatiche,
sono maggiormente
esposte al rischi di
contrarre malattie
veicolate da insetti vettori, quali ad
esempio il virus
della Blue Tongue
o della West Nile
Disease.
L’introduzione di
nuove
malattie
accade anche attraverso lo spostamento di animali,
che può avvenire
in modo naturale (migrazioni) o
per azione diretta dell’uomo. In
questo secondo
caso bisogna essere consapevoli
che l’immissione
di nuovi animali
in un territorio
determina anche l’introduzione di batteri,
virus e parassiti
che essi portano con sé e
che magari non
sono presenti
nell’area di ripopolamento.
Il convegno è stato un importante momento di confronto delle attività di ricerca e delle novità che queste hanno messo
in rilievo; non sono mancati spunti ed
idee per migliorare il lavoro che già viene svolto con ottimi risultati nella nostra
provincia.
CACCIAINVALBREMBANA
25
Rubriche
Appunti di biologia animale
- Tiziano Ambrosi
LE ZECCHE (Seconda parte)
(la prima è s tata pubblicata sul numero 33 del mese di maggio 2008)
IXODES RICINUS
PREMIO SPECIALE PER LA TESI DI
DOTTORATO DI LUCA PELLICIOLI
- Flavio Galizzi
Abbiamo accolto con molto piacere la
notizia che la tesi, già illustrata nella
nostra rivista, riguardante le popolazioni di Camosci in valle Brembana, per i
cui dati il dr. Luca Pellicioli si è avvalso della collaborazione dei Cacciatori
del nostro Comprensorio, ha avuto un
ulteriore importante riconoscimento ufficiale.
Ha infatti ricevuto il Premio speciale assegnato dalla Fondazione Cassin
nell’ambito della III Edizione del Premio intitolato a “Riccardo Cassin”.
La cerimonia di premiazione è avvenuta nella serata del 26 Novembre 2008 a
Lecco.
Ogni anno la Fondazione Cassin, che si
occupa di vari aspetti della montagna,
bandisce il premio “Riccardo Cassin” a
lavori/pubblicazioni che hanno portato
un contributo alla conoscenza della cultura di montagna .
Quest’anno il premio della Giuria nella
26
CACCIAINVALBREMBANA
Sezione “Cultura di Montagna” è stato
assegnato alla Tesi di Dottorato discussa
presso Università degli Studi di Milano
da Luca Pellicioli, dal Titolo: “Valutazione dello stato sanitario della popolazione di camoscio delle Alpi Orobie”.
Copia della Tesi è stata consegnata alla
Sede del Comprensorio come documentazione importante di studio sulla
fauna del nostro territorio, a disposizione presso la nostra Biblioteca.
La motivazione espressa dalla giuria
del Premio è stata la seguente: “Per il
contributo dato alla divulgazione scientifica della cultura di montagna”.
Complimenti vivissimi a Luca da parte
della Redazione, del Comitato di Gestione e dei nostri cacciatori.
Un ulteriore tassello al nostro impegno
rivolto al tema importante delle “Collaborazioni”.
Ixodes ricinus è una delle zecche
più comuni nell’Europa temperata,
ed è un importante parassita dei
ruminanti domestici e, in alcune
zone, anche del cane; occasionalmente può infestare anche l’uomo.
Questo parassita agisce da vettore di alcune malattie molto importanti negli animali infestati,
come la babeiosi (bovina, canina e
umana), ma l’interesse per questa
specie è aumentato negli anni con
la scoperta di una nuova patologia,
la malattia di Lyme, o borelliosi di
Lyme. Questa malattia infettiva è
causata da una spirocheta, Borellia burgdorferi, che viene trasmessa
esclusivamente al cane e all’uomo
attraverso il morso di Ixodes ricinus.
La presenza di questo parassita
in Europa centrale e settentrionale è legata al suo comportamento
alimentare eclettico, infatti è stata
riscontrata la sua presenza in circa
50 specie di mammiferi e volatili, e
anche nelle lucertole.
Lo stadio di parassita adulto richiede generalmente un ospite di
grosse dimensioni, come cervi, bestiame, cani, uomo.
Le larve e le ninfe si trovano
principalmente su piccoli mammiferi e uccelli, ma possono nutrirsi
anche su grossi animali e carnivori
domestici.
Questa zecca ha una attività stagionale ben delineata, preferendo
temperature miti e umidità elevata, ma mostrando una capacità di
adattamento in funzione delle condizioni climatiche prevalenti, mantenendo un tipico ciclo a due picchi
con punte massime in primavera e
autunno, oppure un unico picco
stagionale più o meno marcato in
primavera, o estate, o autunno.
I fattori ambientali che determinano la sopravvivenza e lo sviluppo degli stadi non parassitari di
Ixodes ricinus sono rappresentati da
una vegetazione sufficientemente
alta da mantenere un’umidità relativa a livello del suolo pari all’80%,
es. foreste decidue; mentre le foreste di conifere sono un habitat
meno frequente. La loro sopravvivenza è possibile anche in aree
aperte con vegetazione naturale
e precipitazioni elevate, come nei
pascoli permanenti e nelle regioni
collinari.
La diffusione naturale di Borellia
burgdorferi è strettamente correlata
alla lunga cooesistenza di I. ricinus
con alcuni vertebrati che fungono
sia da ospiti per la zecca, sia da
serbatoio per l’agente patogeno.
La zecca funge da vettore perché
si infetta ingerendo il sangue di un
ospite infetto e, una volta completata la trasmissione transtadiale,
trasmette la Borrellia ad un altro
ospite. Tuttavia non tutti gli ospiti
vertebrati morsi da una zecca infetta agiscono automaticamente da
serbatoio, essendo quindi in grado
di passare successivamente l’infezione a una zecca non infetta.
Le spirochete risiedono nell’intestino delle zecche infette che non
si sono nutrite, la diffusione delle
spirochete nell’organismo della
zecca si verifica progressivamente durante il pasto, infatti, alcune
ore dopo, le spirochete invadono
le ghiandole salivari del parassita
e vengono distribuite, attraverso la
saliva, nella sede di infissione del
parassita.
Poiché B. burgdorferi sembra infettare I.ricinus in qualsiasi sua area
di diffusione, la distribuzione delle
zecche assume un interesse epidemiologico importante. La zecca
Ixodes necessita di un’umidità elevata, e questa caratteristica fisiologica ha una profonda influenza sia
sull’interazione zecca-ospite che
sulla dinamica della malattia. Benché questa zecca abbia un’ampia
distribuzione geografica, è assente
dalle zone dominate da vegetazione umida troppo secca. I boschi di
ontani, per esempio, presenti nelle
valli fluviali, rappresentano un habitat sfavorevole, così come i boschi di querce giovani, queste zone
diventano troppo secche durante i
mesi estivi tanto da non mantenere
le condizioni igrofile necessarie per
la sopravvivenza delle zecche.
Le zecche vettori stanno divenendo sempre più abbondanti in
alcune aree di contatto con l’uomo,
come foreste di crescita secondarie
vicine ai centri urbani; questo fornisce un habitat adatto per le spe-
Larva, ninfa, adulto di Ixodes ricinus
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
27
Rubriche
Rubriche
cie selvatiche come cervi e caprioli.
Le piante ornamentali utilizzate
nelle zone abitate e alcuni tipi di
coltivazioni di cereali e frutteti,
conducono questi animali ancora
più vicino all’uomo e al cane.
Benché gli ungulati selvatici non
rappresentino un buon serbatoio per le spirochete, costituiscono
una buona fonte di nutrimento per
I.ricinus; queste condizioni, ideali per la trasmissione zoonosica,
spiegano il rischio potenziale di
epidemia.
La densità delle zecche è determinata principalmente dalla disponibilità di ospiti adatti alle necessità
alimentari degli insetti adulti. In
quasi tutte le zone dove è presente
la malattia di Lyme, sono abbondanti sia i caprioli, sia I.ricinus.
Recentemente in alcuni paesi
europei la percentuale di caprioli
è aumentata considerevolmente,
e questo può aver portato ad un
aumento del numero di zecche
I.ricinus e un aumento dell’incidenza della malattia di Lyme nel cane
e nell’uomo. Tuttavia non ci sono
prove formali che supportino tali
teorie. Quindi il ruolo di cervidi,
pecore, bovini ed altri grossi mammiferi, nel determinare la popola-
Armi e balistica
- Sergio Facchini
SOLO CONTRO TUTTI,
ovvero il .270 Winchester e gli altri...
Area di diffusione europea della Ixodes ricinus.
zione di I.ricinus, dev’essere ancora
esaminata nel dettaglio.
La prevenzione della malattia di
Lyme, nel cane e nell’uomo, deve
tenere in considerazione anche il
controllo delle zecche sugli animali; poiché il periodo di attività di
questa zecca varia in funzione della regione, occorre comprendere a
fondo l’idoneità del parassita per
habitat diversi, in momenti diversi
e luoghi diversi.
Quindi aver una valutazione
del rischio delle regioni permette
ai proprietari dei cani di evitare
l’ingresso in queste aree di rischio
senza una protezione adeguata.
Misure protettive che comprendono tanto le misure di prevenzione
dell’infestazione, quanto l’uccisione dei parassiti presenti sugli animali.
E’ importante quindi usare prodotti con un’azione molto rapida,
poiché l’inoculazione della spirocheta avviene nelle prime 12-24 ore
dall’inizio del pasto di sangue.
DERMACENTOR
RETICULATUS
Nelle zone in cui è presente, è la
più comune zecca del cane. I suoi
stadi immaturi preferiscono generalmente piccoli roditori, mentre
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
gli adulti abbondano sui cani. Predilige regioni fredde con adeguate umidità relative. Generalmente
assente nelle aree mediterranee,
dove mancano i requisiti di umidità. E’ più comune nelle aree boscose dove l’umidità relativa non ne
minaccia la sopravvivenza.
Il periodo di attività varia notevolmente in funzione della regione: è attiva in autunno e/o inverno nelle regioni mediterranee, ma
può essere attiva e abbondante in
primavera e estate nelle regioni
scandinave. Nell’Europa centrale
ha maggiore attività da gennaio/
febbraio fino all’estate, quando in
genere entra in periodo di apausa,
per divenire nuovamente attiva a
fine settembre.
Nelle aree di distribuzione, il D.
reticulatus è il principale vettore
della Babebiosi canina. I protozoi
del genere Babesia, sono patogeni
importanti sia per il cane che per il
gatto domestico. La distribuzione
della malattia sembra essere correlata alle aree di urbanizzazione.
Poiché le aree più favorevoli
(campi aperti e non coltivati, canali lungo sentieri con vegetazione
boscosa) costituiscono l’origine da
cui le zecche partono per colonizzare altri posti, occorre proteggere
adeguatamente i cani che frequentano queste zone ad alto rischio.
Già quarantacinque anni fa, quando
ottenni il primo porto d’armi, mi interessavo molto di ciò che ruotava intorno
al mondo della caccia ed in misura del
tutto speciale di quanto veniva stampato
sulle armi a canna rigata. Erano davvero
pochi gli articoli concernenti gli ungulati
alpini che apparivano su “Diana”, l’unica pubblicazione quindicinale edita a Firenze e distribuita capillarmente in tutto
il Paese; ma bisognava accontentarsi e
sperare in tempi migliori per apprendere i fondamenti delle armi e dei calibri,
perchè allora almeno il 98% dei cacciatori si dedicava alle classiche cacce italiche:
lepre, piuma e migratoria. Sulle Alpi i
camosciari erano presenti in numero discreto, ma la gran parte di loro correva
dietro alle sacre antilopi con vecchi catenacci, residuati della II guerra mondiale,
in special modo con i Mauser finiti nei
fienili delle baite o celati nei muri a secco
delle mulattiere; solamente i ricchi, nel
portafogli, potevano permettersi armi di
pregio con ottiche di pari qualità.
La Casa Editrice Sansoni, nel 1963 o
‘64, ebbe la fantastica idea di dare alle
stampe un’opera che fece epoca: “L’Enciclopedia della Caccia”. Uscì a dispense
settimanali e per me fu una vera gioia
completarla. Quell’opera segnò il mio
futuro di cacciatore a palla perchè in
essa trovai una nutrita messe di informazioni fondamentali, valide anche
oggi. Scorrendo ripetutamente quelle
pagine, spesso arricchite da illustrazioni
di qualità, appresi tante verità teoriche
che, negli anni successivi a quelle letture
formative, avrei constatato con la pratica
sul terreno di caccia. Ovviamente ciò che
più mi appassionavano erano le armi
lunghe e soprattutto quelle rigate per la
caccia agli ungulati. Ricordo che quando lessi, riguardo la scelta del calibro,
le note concernenti il .270 Winchester
rimasi ammaliato dalla semplicità del
testo e dalla lapidaria conclusione:”Per
il capriolo e per il camoscio è insuperabile!”. Detto fatto, per modo di dire,
passarono ancora molti anni prima che
potessi acquistare la mia prima carabina,
ma la lettura assidua dell’Enciclopedia
della Caccia e di altri testi di approfondimento, ben pochi per la verità, si rivelò
sempre un piacevole ed istruttivo appuntamento.
Ebbi modo di conoscere alcuni cacciatori di camosci ed apprendere da loro
che l’arma utilizzata era in calibro.270
Winchester e che tutti, indistintamente,
ne erano entusiasti. Nei primi anni ‘60
non era ancora in uso l’incivile abitudine
di tirare ai camosci a distanze inverosimili, come molti “co de tambor” fanno
oggi con ottiche mostruose, cavalletti
tipo commandos ed altre diavolerie.
Il .270, come dicevamo, faceva tutto e
bene, senza tanto chiasso e con proverbiale costanza.
Nato intorno al 1925, il .270 Winchester era un figlio del .30-06 Springfield.
Anziché palle di 7,85 mm. di diametro,
utilizzava palle di 7,06 mm. che, grazie
al restringimento ed al leggero allun-
gamento del colletto del bossolo del
.30-06., spingeva gli iniziali proiettili di
130 grani a velocità prossime ai 930-940
metri al secondo, veri missili per quegli
anni lontani, dotati di energie prossime
ai 3700 Joule! Senza dubbio era il calibro giusto per le cacce negli spazi aperti
degli States dove si insidiavano le antilopi pronghorn, i bighorn, i cervi mulo
ed altri ancora. Ovviamente il successo
fu immediato in tutta l’America e l’utilizzo del .270 Winchester come calibro
polivalente si diffuse a macchia d’olio,
pur sottolineando il fatto che allora le
palle utilizzate erano di un’efficacia sul
selvatico ben lontana da quella odierna,
ovvero le cosiddette soft point di prima
generazione erano le uniche disponibili.
Pochi anni dopo il 1925, vista l’insistente
domanda da parte dei cacciatori di un
proiettile più pesante da usare su selvaggina di massa notevole, wapiti e alci
per intenderci, la Winchester studiò una
palla di 150 grani, sempre nella configurazione soft point, che incontrò il favore
dei cacciatori americani.
Sono ben 83 anni che il .270 Winchester è un indiscusso protagonista nella
vita venatoria di moltissimi nembrotti
ed il suo successo commerciale pare non
destinato a diminuire, rispetto ad altri
calibri che hanno avuto vita breve come
delle stelle comete!
Ancor oggi se la prima carabina del
neofita è spesso camerata in .270 Winchester un motivo valido ci sarà! Infatti
quando un gruppo di appassionati si ri-
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
29
trova a discutere di calibri, infallibilmente
il tema sulla scelta del calibro più amato e
proteiforme prende corpo con le indubbie
qualità del .270 Winchester, che vanta milioni di estimatori sparsi in tutto il mondo;
viene considerato uno dei cinque migliori
calibri in assoluto, assieme al .30-06 Springfield al .308 Winchester al .243 Winchester
e al .300 Holland & Holland Magnum, da
gente che ha passato gran parte della vita
a caccia in tutti i continenti, spaziando dal
capriolo all’alce, ivi comprese tutte le più
grandi specie di pecore selvatiche, Marco
Polo ed Argali inclusi.
Jack O’Connor, che cacciò tutti i grandi
animali delle Montagne Rocciose per quarant’anni, spaziando dall’Alaska all’Idaho,
fu uno strenue sostenitore del .270 Winchester, calibro che preferiva ad ogni altro per
insidiare big horn, dall sheep e mountain
goat, con occasionali abbattimenti di alci,
wapiti e caribou. Iniziò con una carabina
Winchester modello 54 dotata di ottica di
puntamento ad ingrandimento molto basso, mai più di 4X ma preferibilmente di
2,5x, di solito Zeiss o Leupold, dotata di
reticolo fine tipo Plex o Crosshair in quanto cacciava nella piena luce del giorno. Ebbene, con un’arma che complessivamente
pesava non più di 3,5 kg., che rinculava
poco, girò in lungo e in largo l’America Settentrionale, oltre molti paesi dell’Africa e
dell’Asia, senza mai cambiare attrezzatura:
palla da 130 grani per animali fino a circa
150 kg. E palla da 150 grani per quelli più
pesanti. Non ebbe mai modo di pentirsi di
quelle scelte perchè i risultati gli davano
ragione, visti i numeri e la costanza degli
abbattimenti. Anche con le coriacee antilopi maggiori africane non ebbe problemi:
kudu maggiori, roan, sable, eland di derby ed orix cadevano sotto i colpi del .270,
grazie anche alla sua grande esperienza di
tiratore provetto.
Dopo la II guerra mondiale, all’incirca
alla metà degli anni ‘50, il .270 Win. iniziò
a diffondersi in Europa Occidentale, salvo
che nei Paesi di lingua tedesca, dove i calibri di Brenneke e Mauser erano ancorati
indissolubilmente alle tradizioni venatorie
locali, ben rappresentati dal sempreverde
ed immortale 7x64 Brenneke.
Il successo di questo calibro americano
fu scontato poiché aveva caratteristiche
allora non comuni: tensione di traiettoria
molto alta, precisione e costanza del tiro ottime, potenza di impatto elevata, disponibilità di armi americane (Winchester e Remington) buona a prezzi non esorbitanti,
reperibilità delle munizioni buona. In sin-
30
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
tesi molte virtù e pressochè nessun difetto,
se escludiamo la mancanza di palle molto
pesanti, oltre i 150 grani.
Logica conseguenza, almeno in Italia, fu
che il .270 Win. fu adottato con entusiasmo
soprattutto dai cacciatori di camosci che allora sognavano un calibro un po’ più teso
dell’8x57js; accontentarsi di 50 o più cm.
di calo del proiettile a 300 metri rispetto
ai 20-22 del .270 Winchester sarebbe stato assurdo, perlomeno nella caccia in alta
montagna, dove le distanze stimate spesso
erano errate e di molto.
Col passare degli anni il .270 Win. consolidò la propria fama di calibro d’eccellenza
per la caccia al camoscio, assieme all’ultra
veloce teutonico 6,5x68 che, verso la fine
degli anni ‘50 si affacciò timidamente nel
mondo armiero, anche se già collaudato
negli anni 1938-39 alla vigilia del II conflitto mondiale.
Comunque il .270 Win. come numero di
vendite surclassò di gran lunga il concorrente tedesco, soprattutto a causa dei costi
sia delle armi americane più abbordabili
di quelle prodotte in Austria o in Germania che dell’alto costo delle munizioni del
6,5x68 offerte dalla R.W.S.
Conosco cacciatori anziani che usano la
loro carabina in .270 Win. dalla fine degli
anni ‘50 e che non l’hanno mai cambiata,
anche quando sono arrivati cinghiali e cervi ad allargare l’orizzonte venatorio delle
Alpi Occidentali. Oggi poi, con l’utilizzo
di polveri altamente progressive e di palle
speciali, dotate di espansione controllata e
valori di coefficenti balistici elevati, il nostro beneamato calibro ha ripreso quota
notevolmente, tant’è che anche in Tirolo e
Baviera il .270 Win. viene scelto per i classici kipplauf da montagna.
Tanto per avere un’idea delle sue prestazioni ecco i dati recenti desunti da un catalogo recente della Blaser che utilizza palle
CDP, molto valide per tutti i nostri ungulati alpini a tutte le distanze di tiro “intelligenti”, ossia fino ai logici 300 metri:
le velocita alla bocca, a 100-150-200-250300 sono rispettivamente di 950-845-796749-703-658 metri/sec.con energie di 37903004-2665-2356-2076-1823 Joule.
Ci sono voluti molti anni, ma finalmente anche i camosciari delle Alpi Orientali
si sono dovuti ricredere, abbandonando
il loro marcato scetticismo, e ammettere
le non poche qualità balistiche del calibro
americano.
Sempre secondo il catalogo Blaser dove
sono riportati velocità e potenze dei calibri
offerti dalla casa di Isny tutti i vari 6 mm. ed
i 6,5 mm. in massa, ad eccezione del 6,5x68,
sono surclassati dal .270 Winchester per
quanto riguarda l’energia sviluppata alle
usuali distanze di tiro e per la traiettoria
tesa (-9,8 cm.a 250 metri e -23,7 cm. a 300
metri), ad eccezione dei calibri Weatherby
che però sono dei Magnum e quindi non
facenti parte dei calibri ordinari.
L’unico grande e vero antagonista del
.270 Winchester, come calibro polivalente
su tutta la selvaggina europea, è il 7x64
Brenneke che batte il cugino americano per
i pesi di palla più sostenuti (fino a 177 grani) ed ovviamente per la potenza; ma per i
tiri lunghi il .270 sta un passo avanti, come
ha sempre sostenuto il padre della ricarica
nostrana, il noto Dr. Bonzani.
Una considerazione da sottolineare: Ed
Matunas, esperto di balistica americano,
autore di molti saggi venatori balistici e
cacciatore, dopo innumerevoli prove effettuate con munizioni di fabbrica di ogni
tipo con molte armi in calibro .270 Win., è
giunto alla conclusione che il .270 Winchester è un calibro che deve essere oggetto
di ricarica, in quanto quasi nessuna delle
marche di munizioni usate per i suoi esperimenti (e di colpi ne ha sparati migliaia)
rispettava i dati di velocità. Tutte erano
molto più lente, da 100 a 250 piedi ovvero
da 30 a 75 metri/sec. di quanto riportato
sulle confezioni, per presumibili motivi di
sicurezza; le uniche che invece si comportavano correttamente erano le Federal Premium che raggiungevano le velocità alla
bocca dichiarate.
Altra nota curiosa proviene dal catalogo
delle munizioni della R.W.S. di cui nessuno, mi auguro, dubiterà: i soli due calibri
con relative munizioni tutte contraddistinte dal pallino nero, simbolo grafico che sottolinea l’idoneità ad un abbattimento sicuro per capriolo, cinghiale e cervo, risultano
essere il .270 Winchester e l’8x68S ! E’ sufficiente o non siamo ancora soddisfatti?
Chi avrebbe potuto migliorare le già superbe qualità del .270 Winchester se non la
medesima Casa americana? Infatti da una
decina d’anni un altro .270 è apparso sulla
scena: il .270 Winchester Short Magnum,
dotato di grandi caratteristiche balistiche,
ma concettualmente assai diverso...
Alla resa dei conti, dobbiamo essere certi che il .270 Winchester è un grandissimo
calibro, soprattutto per la caccia agli ungulati in montagna, un vero amico fidato che
mai ci tradirà. E se sentite qualcuno che
ne parla male, affermando che si tratta di
un calibro obsoleto, lasciatelo dire perchè
anche gli asini hanno diritto di ragliare...
La ricarica
- Martino Bianchi Marzoli
La palla
La palla, ogiva, proiettile, o in inglese
bullet, è la parte più importante della
ricarica. Essa, infatti è la protagonista
della balistica esterna e terminale.
La prima, la balistica esterna, è quella scienza che studia la traiettoria del
proiettile da quando abbandona la volata dell’arma a quando raggiunge il
bersaglio (parabola di tiro, incidenza
del vento, effetto angolo di sito...etc.).
Questa è la parte che interessa maggiormente i tiratori che, sparando a bersagli
di carta non si curano dell’effetto della
palla sul bersaglio vivo.
La seconda, la balistica terminale, è la
scienza che studia gli effetti del proiettile sul capo da abbattere (penetrazione,
shock idro-dinamico, etc..). Questo argomento è di fondamentale importanza
per tutti i cacciatori e in particolar modo
per coloro che cacciano animali così detti a pelle dura, quelli cioè che per la loro
conformazione e per il loro peso offrono
maggior resistenza alla penetrazione
della palla. In Europa la categoria “pelle dura” inizia da animali che, a peso
vivo, superano almeno i 60/70 Kg, cioè
cinghiali cervi etc. Tuttavia molteplici
ferimenti di caprioli e camosci che per
la loro taglia potremmo quasi definire
“varmint”, cioè piccole prede, derivano da cattive scelte di palla rispetto al
calibro, distanza e quindi velocità della
fucilata.
Tornando alla balistica esterna, ai fini
delle scelte di ricarica, ci occuperemo
solo di una parte di questa scienza e
cioè quella legata alla morfologia del
proiettile trascurando, per il momento,
lo studio di tutti quelle cause esogene
che influenzano la traiettoria dell’ogiva
es: vento, angolo di sito, pressione, altitudine, umidità, etc.
BALISTICA ESTERNA
Dovremo tener conto di alcuni fattori tra loro interconnessi e che nel loro
insieme influenzano pesantemente il
mantenimento della velocità del proiettile e quindi la sua caduta.
Il primo elemento fondamentale è la
DENSITA’ SEZIONALE (DS) che in formula matematica è:
DS = P/d²
dove P è il peso e d (al quadrato) è
il diametro della palla. In altri termini,
a parità di diametro, maggiore sarà il
peso, più lunga sarà la palla e maggiore
sarà la DS. Immaginiamo una palla con
altissima densità sezionale: sarà molto
affusolata e allungata, quindi simile ad
una freccia e conseguentemente tenderà a conservare molto la traiettoria offrendo minor attrito (diametro sottile)
rispetto alla propria massa. Naturalmente vi è un limite alla crescita della
DS, poiché oltre un certo valore la palla
diviene troppo lunga e tende a sbandare e oscillare fuori controllo, oltre al
fatto che diventerebbe troppo pesante e
quindi lenta per il proprio calibro.
La DS è componente fondamentale
del COEFFICIENTE BALISTICO (CB)
la cui formula è :
CB=DS/F
Dove DS è densità sezionale precedentemente descritta, e F è un coefficiente
derivante dalla forma della palla.
Una palla round nose, avrà una F
molto alta e quindi un CB basso, volerà
meno bene e perderà più velocità rispetto ad una ballistic tip, per esempio. In
conclusione: maggiore è il coefficiente
balistico maggiore è la tenuta di velocità e quindi minore è il calo di traiettoria
a distanza. Le palle con alto coefficiente
balistico sono strette, lunghe, affusolate,
con coda rastremata.
Il mercato offre ogni tipologia di forme e materiali per le esigenze specifiche
della balistica esterna Es:
• HOLLOW POINT vuol dire “punta
forata”, che consente di creare una depressione sulla punta per aumentare
la stabilità della palla.
• BOATTAIL, che letteralmente vuole
dire “coda di barca”, serve a offrire
meno resistenza agli attriti dell’aria e
a stabilizzare la traiettoria.
• BALLISTIC TIP è stata inventata dalla
Nosler, che ha pensato di istallare una
punta in polimero che consente di aumentare il coefficiente balistico e nel
contempo evitare che la punta della
palla si deformi a causa di accidentali
cadute della cartuccia.
• SPITZER dal tedesco significa “punta
affusolata”, palla con punta in piombo da caccia, che al contrario della
precedente, se cade si deforma con
conseguenti rischi per la traiettoria.
• SEMIPOINT, cioè “punta semitonda”.
• ROUNDNOSE cioè “naso tondo”.
• FLATNOSE, cioè “naso piatto”; tutte e tre queste ultime palle hanno un
coefficiente balistico molto basso ma
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
31
1. Selezione di varie palle con relative sezioni.
Da sinistra: Nosler Partition, Lapua Scenar,
Sierra Matchking, Nosler Ballistictip, Nosler
Accubond, Hornady Amax, RWS Hmantel,
Rws Tug
un buon impatto sull’animale e sono
quindi prettamente palle da caccia
per animali a pelle dura.
• MOLY
oppure
MOLYCOTTED:
“molycottate” cioè rivestite di Disulfide di Molybdeno, una sostanza che
diminuisce l’attrito.
• SOLID: interamente di lega di rame o
ottone, studiate per cacce africane.
Nella scelta del proiettile si devono
considerare i seguenti raggruppamenti
convenzionali:
2. Varie palle estratte da cervi abbattuti
3. Nosler Ballistictip cal 9,3mm: si noti che il
cuore in piombo è completamente assente. Il
cervo maschio colpito da questa palla al cuore
ha percorso quasi 600mt prima di capitolare
perché la palla perdendo massa si è fermata a
metà lavoro.
• MATCH, significa “competizione”,
si tratta di ogive con alti coefficienti
balistici, selezionate in modo da mantenere un peso costante, scarsamente
efficaci sul selvatico in quanto progettate per forare la carta.
• VARMINT: di solito di piccolo calibro con piombo tenero ma di grande
precisione e studiate per tiri su piccoli
animali a pelle tenera e a distanza.
• GAME, cioè caccia, tra cui la maggiorparte delle Rws, le Spitzer della Sierra
o le varie serie della Norma tipo Orix,
Vulkan etc. Nosler Partition, Accubond…etc., cioè proiettili con interno
in piombo di varie durezze e incamiciate in rame.
• BIG GAME: quelle monolitiche e con
punte arrotondate o particolarmente
dure, adatte per cacce africane o per
predatori pericolosi.
Alla fine tuttavia vale la solita vecchia
regola della ricarica e cioè: provare, riprovare, e testare sempre tutto. La palla
giusta sarà quella che darà la rosata più
stretta. Anche ai fini venatori, il colpo
preciso sarà sempre mortale.
BALISTICA TERMINALE
4. Palla match ha lo stesso problema della
precedente non avendo il piombo saldato alla
camicia di rame
5. Nosler Accubond: più robusta della sorella
Ballistictip in quanto ha il piombo saldato al
rivestimento e un fondello più spesso
32
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
Normalmente i cacciatori si riferiscono a due soli parametri: il primo fra tutti
è la velocità. Si è diffusa la convinzione
che è la velocità che uccide. In effetti
questa è un fattore chiave dell’effetto
balistico terminale sul selvatico perchè
da un punto di vista meramente matematico l’energia è uguale a massa per
velocità al quadrato J= M x V², (M può
essere misurata in grammi). Quindi la
velocità influisce esponenzialmente di
più rispetto al peso della palla. Tuttavia
se la palla non si deforma attraversando il corpo del selvatico, non cede
l’energia di cui dispone e l’effetto sarà
quello di forare da parte a parte il bersaglio provocando minimi danni e quindi
l’inevitabile quanto inutile ferimento.
Ecco allora che entrano in gioco variabili molto più importanti cioè la
durezza e composizione meccanica del
proiettile.
Purtroppo in Italia non esiste una
letteratura che ci possa permettere di
approfondire adeguatamente l’argomento. Ci si dovrebbe in qualche modo
fidare delle case produttrici e accettare,
prendendoli per buoni, gli argomenti
commerciali da queste proposti.
Le uniche analisi in tal senso sono appannaggio delle forze armate e per questo coperte da segreto.
Negli USA esiste in commercio una
sorta di gelatina balistica chiamata
“Bullet Test Tube” che può essere assimilata a quella militare e che consente
di effettuare degli esperimenti caserecci
che forniscono dati molto interessanti.
L’obbiettivo dello studio non è certo
quello di sapere se una palla è efficace
su questo o quell’animale ma più semplicemente quale è la velocità per cui la
si può ritenere molle, cioè a rischio di
eccessiva frammentazione, dura, cioè
eccessivamente penetrante oppure bilanciata, cioè ideale nel rapporto di
penetrazione ed espansione con ottimizzazione della cessione controllata
d’energia.
Mi è successo di sparare da breve
distanza ad un capriolo, notoriamente
animale delicato, e vederlo scappare a
gambe levate ferito, per poi ritrovarlo
dopo giorni con un grande ematoma alla
spalla; oppure sparare due colpi mortali
alla spalla di uno jarling di camoscio e
ritrovarlo, ferito e a distanza, con due
buchini di uscita precisi e accoppiati
uno di fianco all’altro al cuore. Nel primo caso la mia Ballistictip da 100 grani
calibro .257 è esplosa senza riuscire a
penetrare la scapola, cioè palla giusta a
200mt ma troppo veloce e tenera a 50.
Nel secondo caso, invece, la X Barnes
calibro .264 (6,5mm) da 120 gr non si è
infungata come avrebbe dovuto a causa
della scarsa velocità a quasi 300mt. (circa 200m/s meno che alla bocca).
Quale è dunque la velocità ideale per
un proiettile al fine di una sua deformazione graduale e controllata??
Sparato il colpo nella gelatina, si
estrae il proiettile, lo si pesa, si misura il
diametro del “fungo”, si misura la lun-
ghezza del percorso dentro la gelatina,
la cavità lasciata, e si mettono in relazione tutti questi fattori attraverso un algoritmo in grado di determinare se quella
palla è dura, bilanciata, o molle a quella
data velocità.
Mi rendo ben conto che la stragrande
maggioranza dei lettori non avrà né tempo né modo di stare a fare esperimenti
così complessi, per cui consiglio ai più
di trovare almeno due palle che riescano
ad essere stabilizzate nella propria arma
ad una buona velocità e poi provare a
sparare alla distanza ipotizzata (es camoscio 250mt, cervo al bramito 80mt)
dentro una serie di giornali bagnati con
acqua, recuperare la palla e osservare se
si è infungata bene (diametro almeno il
doppio dell’originale), e che non abbia
perso troppo peso ( perdita di peso non
superiore al 25%).
Questi semplici riferimenti danno,
seppur in maniera molto approssimativa, una giusta indicazione; tuttavia,
se capita di ferire degli animali colpiti
bene nella zona vitale, cambiate palla.
NOTE DI CARATTERE ETICO
Sulla scelta del proiettile vi sono svariate correnti di pensiero.
Alcuni sostengono che la palla debba infungarsi poco e passare da parte a
parte l’animale provocando una seconda ferita di uscita e quindi maggior sanguinamenti, che consenta successivamente al cacciatore di tracciare il capo
ferito. Altri sposano la medesima filosofia perchè sostengono che in tal modo
viene rovinata poca carne dell’animale
abbattuto che poi sarà mangiato. Altri
ancora, come ad esempio i più grandi
professional hunters africani, sostengono che la palla debba fermarsi sotto pelle dalla parte opposta all’entrata senza
fuoriuscire.
Personalmente non posso che sentirmi appartenente alla terza categoria,
poiché una palla che attraversa tutto
l’animale e si ferma sottopelle dalla
parte opposta ha scaricato tutta l’energia, un proiettile che passa e va, invece
no. Un animale colpito con tale energia
morirà nel raggio di poche decine di
metri anche se l’emorragia si fermerà
all’interno del corpo. Non a caso gli
americani dicono “ la potenza di una
cartuccia si misura con la quantità di
tessuto distrutto” A quei cultori della
carne, posso solo dire che evitare un
inutile sofferenza ad un animale può
ben valere qualche etto o kilo di carne
sprecata. Inoltre se si spara appena dietro la spalla, in modo da evitare le ossa
delle articolazioni, l’animale non soffrirà e non sarà rovinata carne, perchè il
costato è ricoperto da poco tessuto; chi
ha avuto occasione di cacciare animali
calvi nell’Est Europeo, a completamento del piano, lo sa di certo.
Forniti tutti gli elementi per la scelta del miglior proiettile, non resta che
spiegare come inserirlo nel bossolo precedentemente preparato e riempito della dose di polvere.
Innanzitutto bisogna tarare il die:
inserire nello shellholder un bossolo
vuoto uguale identico agli altri del lotto
che si intende ricaricare (di uguale marca, lotto, lunghezza ricalibratura... etc
degli altri ) portare la leva della pressa in basso a fondo corsa con il bossolo
in alto, avvitare il die fino a sentire che
tocca il bordo del colletto del bossolo .
A quel punto svitare il die di ¾ di giro
per evitare che il proiettile venga crimpato dentro il bossolo (venga cioè stretto il colletto formando un unghia sulla
palla). Svitare al massimo la vite superiore di regolazione del mettipalla del
die, appoggiare la palla sulla bocca del
colletto del bossolo e abbassare la leva
della pressa a fine corsa; mantenendola
in quella posizione avvitare la vite di
regolazione del mettipalla fino a sentirla indurirsi per aver incontrato la punta
del proiettile. A questo punto la regolazione è a zero, il che significa che se si
possiede un die match si potrà utilizzare la scala millimetrica per determinare
di quanto si vuole pressare la palla nel
bossolo. In caso contrario si procederà
poco alla volta, per tentativi, misurando di volta in volta la lunghezza della
cartuccia.
Trovata la misura giusta con il freeboring adeguato, inserire tutte le palle
del lotto desiderato facendo attenzione
ad effettuare le pressate con movimenti fluidi, regolari e sempre costanti in
modo da ottenere la massima uniformità di inserimento.
Una volta pressata la palla, la cartuccia è finita; bisogna solo controllare la
lunghezza totale e la concentricità del
proiettile con un apposito strumento.
E ora buon tiro a tutti.
6. RWS H Mantel: la mia preferita, e perfettamente infungata ha abbattuto sul posto il
cervo colpito
7. Gelatina balistica sezionata in due parti:
mostra una scarsa espansione della palla dovuto ad eccessiva velocità
8. Palla H Mantel sparata da 300wm a breve
distanza nella gelatina della foto precedente: la
palla si disintegra nella parte anteriore e conserva integralmente il resto del fusto.
9. Per centrare la palla nel bossolo la Redding
ha messo a punto dei dies con una camera di
centraggio interna. Inclinare la pressa con questi dies consente di tenere in appoggio al centro
il proiettile durante la fase di inserimento.
10. Attrezzo di controllo e ritaratura della
concentricità della palla.
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
33
Curiosità
Educazione faunistica
- Flazio Galizzi
- Stefania Pendezza
L’orso e la predazione
Il fulmine e i pericoli in quota
Parlare dell’orso è diventata
una moda, vista la sua presenza attuale nella nostra
provincia, da secoli non
più visitata da questo
plantigrado.
Facciamo
comunque
alcune considerazioni utili
per avere qualche conoscenza in più, in particolare riguardo
al suo comportamento.
Si tratta di un mammifero che appartiene all’ordine dei carnivori, anche se la sua dieta è onnivora.
Si nutre infatti prevalentemente di vegetali, tra cui radici,
funghi, frutta, erbe, ma anche di lumache e altri invertebrati; è particolarmente ghiotto di miele, per cui non è raro che
distrugga gli alveari per nutrirsene, ma assume spesso anche
atteggiamenti da vero predatore, uccidendo sia animali domestici che selvatici.
La sua tecnica di predazione si basa prevalentemente su potenti zampate inferte sul muso della preda, sul collo o sulla
schiena, dilaniando con i suoi potenti unghioni le carni e provocando spesso profonde lacerazioni e forti sanguinamenti. Le
vertebre del collo e della schiena risultano spesso spezzate.
L’orso si ciba prima delle parti molli della preda, viscere e
parte toracica, per nutrirsi poi della carne. Le ossa e la pelle
sono regolarmente lasciate sul posto.
Trattandosi di un onnivoro la predazione di grossi mammiferi è un comportamento occasionale, ma si può verificare
quando il territorio dove si insedia risulta fortemente antropizzato e i suoi incontri con gli animali al pascolo sono frequenti.
Trattandosi di un animale opportunista, sono assolutamente
da evitare comportamenti come quello di predisporre luoghi
con offerte di cibo, poiché indurrebbero nella specie inopportune frequentazioni indesiderate del territorio, disturbando la
sua naturale selvaticità e inducendo la tendenza ad avvicinarsi
ai luoghi frequentati dall’uomo.
Non si tratta però, normalmente, di un animale né aggressivo né pericoloso per l’uomo, salvo particolari situazioni in cui
si senta minacciato, quando la femmina debba difendere i suoi
piccoli o sia ferito.
Evita il contatto con l’uomo e
quando ne percepisce la presenza
si allontana, quindi l’incontro con
questo plantigrado è sempre del tutto occasionale.
La sua presenza, al pari di quella
del lupo, è indice di selvatichezza
dei luoghi e di un altissimo valore
di biodiversità del territorio.
Dei pericoli che rappresentano i fulmini in montagna si è
detto più volte, ma rare sono state le documentazioni della
sua potenziale mortalità per quanti si trovassero al momento sbagliato sulla sua traiettoria. L’immagine del grosso
larice, attraversato dalla cima alle radici dalla potenza devastatrice di un fulmine, ne è una testimonianza, e di questi
eventi se ne possono documentare diversi, a monito per gli
escursionisti che si venissero a trovare in questi luoghi durante i forti temporali estivi.
Del loro potenziale effetto mortale anche sugli animali,
non altrettanto facilmente osservabile, ne offriamo ora una
documentazione eloquente attraverso le immagini che ci
sono state inviate da Fulvio Manzoni di Santa Brigida.
Testimoni dell’insolita quanto significativa avventura,
con Fulvio, sono stati Mirco Buzzoni, Oscar Santi e Dario
Manganoni. Si erano recati nella zona del Mincucco, sul
versante est verso Ca’ San Marco, per una battuta di caccia
al camoscio, salendo per il sentiero che parte all’altezza del
ponte che attraversa la valletta che scende dal Ponteranica,
appena sopra la diga di Alta Mora. All’altezza del “bàrec”
che si trova sopra la casera Ponteranica, a monte del sentiero
34
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
tamente le caratteristiche ambientali
del territorio considerato, e perimetrate
in funzione della specie o delle specie
per le quali vengono create, ovvero le
ZRA devono avere un’elevata vocazionalità per le specie a cui si riferiscono.
Molti ambiti o comprensori incentivano la creazione di zone rosse potenziando la quantità totale di selvaggina immessa sul territorio, ovvero una buona
parte delle immissioni di ripopolamento vengono effettuate solo ed esclusivamente nelle ZRA.
Purtroppo molto spesso si osserva
l’istituzione di zone rosse che funzionano più per la protezione dei cacciatori
che come rifugio per la fauna selvatica.
Infatti, molte ZRA sono localizzate nelle
immediate vicinanze dei centri abitati, o
addirittura li conglobano, con una scarsa o nulla vocazionalità per le specie per
le quali, in teoria, sono state create. In
realtà il significato dell’esistenza di quest’ultime sta nel fatto che servono per
evitare
i cacciatori
commettendo
che
portache
al Mincucco,
hanno
notato,
erronee valutazioni
delletre
distanze
dalle
adagiati
sul fianco, ben
camosci,
incorrano
in infrazioni.
aabitazioni
poca distanza
uno dall’altro,
morti,
Le caratteristiche
delle
senza
apparenti segni ambientali
sul corpo che
zone
di rifugiointendere
ed ambientamento
ne
facessero
la causa. Si
Le specie
per lefemmina
quali vengono
trattava
di una
adulta,create
del le
zonepiccolo
di rifugio
ed ambientamento
sono
suo
dell’anno
e dello jarling
sostanzialmente
fagiano,
la starna
dell’anno
prima;iluna
famigliola
al e
la lepre. Sebbene queste specie siano le
completo.
sole
sono consideraAdche
unanormalmente
attenta osservazione
del
te, nondella
è escluso
che si
creare
corpo
femmina,
si possano
notava una
zone rossestrisciata
anche per
selvatici.
evidente
sulaltri
fianco,
e unoPer
esempio,
provinciale
scavo
per nel
terraterritorio
all’altezza
delle zam-esistono
aree particolarmente
interessanti
pe
posteriori,
quasi un’esplosione:
per la conservazione
di nuclei
di popoverosimilmente
la linea
di percorso
lazione
di anatidi,
sulledell’animale
quali possono
di
un fulmine
sul corpo
istituite
delle del
zone
di rifugio
eessere
il punto
di impatto
fulmine
stes- ed
ambientamento.
so
a contatto del terreno. La potenza
Tornando
specieaveva
stanziali
di magdella
scaricaalle
elettrica
causato
gior
interesse,
è intuitivo
la
morte
anche degli
animalievidenziare
che cache le necessità
ecologiche
di ciascuna
sualmente
pascolavano
vicino.
specie
sono diverse
e quindi,
E’ curioso
osservare
come leanche
con- le
caratteristiche
ambientali
delle ZRA,
seguenze
meccaniche
dell’impatto
devono
essere
diverse: delle evidenti
del
fulmine
presentino
·
ilnei
fagiano
deve
disporre
analogie
due casi:
sia poter
il larice
che
di aree boscate,
cespuglieti,
(borl’animale
presentano
una radure
evidente
di ineriti, lungo
prati, pascoli)
nelle quali i fastrisciata
l’asse longitudinale
possano
trovare
unaevidente
abbondanegianotti
sul terreno
risulta
molto
te quantità
di insettidall’impatto
con i quali sfamarsi
il
solco provocato
del
e, se possibile,
fulmine
al suolo.coltivazioni di cereali a
paglia (frumento, orzo, segale, avena);
·
la starna richiede un ambiente
tipico dell’agricoltura tradizionale, ovvero una buona diversificazione colturale con la presenza di prati o pascoli,
arbusteti
e presenza
strutturel’esilio
foreDue secoli.
Tanto di
è durato
stali
di tipo
lineare
(fasce
boscate, della
siepi
dell’orso
bruno
dalle
montagne
campestri,
ecc..)
provincia di
Bergamo. Dopo così tanto
·
lepre, tipico
animale
steppitempo
lalamemoria
del suo
incedere
lenco,
necessita
apertipatrimonio
con coltre
to nel
bosco di
eraspazi
diventato
erbosa
ed di
è meno
esigente
confronti
esclusivo
qualche
anticonei
faggio.
Dal
delle
superfi
boscate
o cespugliate.
maggio
2008,ciperò,
il vento
è cambiato:
quanto descritto
sembrerebbe
che
unDa
esemplare
di 3 anni,
150 chilogramsia
realizzare
per ciascumi necessario
di peso, si aggira
perZRA
le Orobie.
naAll’inizio
delle specie
considerate.
Nella
realtà
erano
solo voci,
avvistale
situazioni
meno
complicate,
in
menti
dubbi, sono
qualche
fotografi
a sfuocaquanto
le caratteristiche
di
ta catturata
in lontananza,ambientali
pecore ucciuna
zona rifugio
ed ambientamento
se e sbranate
e qualche
unghiata sugli
possono
soddisfare
esigenze uffi
ecologialveari. Poi
le primeleconferme
ciali:
che
di tutte eviene
tre le rinvenuta
specie contemporaa Rovetta
un’orma
neamente.
Infatti del
le esigenze
ecologiche
a testimonianza
suo passaggio.
A
del
fagiano
si sovrappongono
parzialquesta
scoperta
segue l’analisi di
alcumente
a quelle
della
starna e della
lepre,
ni ciuffi
di pelo
“sospetti”da
parte
del
elaboratorio
viceversa per
ciascunadell’Istituto
specie.
di genetica
NaIn determinati
ambiti
territoriali
la
zionale
della Fauna
Selvatica:
non vi
starna
puòdubbi,
esserel’orso
utilizzata
come
“spesono più
bruno
è tornato
cie
guida”
per l’identificazione e la gesulle
Orobie.
stione
delle
ZRA. gli “abitanti umani”
Come
reagiscono
delle valli al ritorno dell’orso? Alcuni
Diagramma
di altri
Venncon
della
sovrappocon
entusiasmo,
diffi
denza o
sizione
delletimore.
esigenze
delle
addirittura
Fra ecologiche
i primi annovetre
specie
riamo
sicuramente i bambini. Durante
gli interventi didattici dedicati alla Fauzona della
di rifugio
ed ambientamennaUna
Selvatica
bergamasca,
finanziati
to
deve
possederedalla
un Provincia
rapporto di
equilianche
quest’anno
Berbrato
superfi
cie boschiva
gamo,tra
gli la
esperti
hanno
ricevuto (boschi
moltiso
formazioni
e le su-e
sime
domandeforestali
da partelineari)
degli alunni
perfi
a prato/pascolo
e quelle eadelcedellecialunne
a proposito dell’orso
reali
paglia. (inserire
dusaf zona
rossa
le suea abitudini.
In particolare,
bambini
polifunzionale
“destinazione
d’uso del
delle scuole primarie
si sono dimostrati
suolo
di una ZRA
per più
in zona
i più entusiasti
all’idea
dispecie
un ritorno
in
montana
o collinare”)
pianta stabile
del plantigrado sul noSe territorio.
questo è vero
perpotrebbe
l’identifisuonare
cazione
stro
Questo
delle
zone
rosse “generiche”,
la creaziostrano:
un animale
che dovrebbe
incutene
di zone rosseunper
una determinata
re quantomeno
rispetto
reverenziaspecie
deveneiessere
effettuata
attentale, incontra
più piccoli
una passione
mente,
considerando
le caratteristiche
e un gioia
che è difficile
trovare negli
ambientali
del territorioquesto
ed in particolaadulti. Naturalmente
atteggiare
la vocazionalità
per dall’immaginario
quella specie.
mento
è supportato
Un’altraa scelta
comune
questafondamentale
età: l’orso èidentifi
spessocare
le ZRA
è quella
del modello
gestioassociato
alle
immagini
delle favole
o
nale
che si intende
allaassociastessa,
dei cartoni
animati.applicare
I bambini
ovvero
defila
nirne
gli dell’orsetto
obiettivi gestionali
no all’orso
figura
Winnie
eThe
le modalità
con cuiBalù
raggiungerli.
Pooh o dell’orso
del Libro della
I modelli gestionali possono variare in
funzione delle aspettative di chi propone l’istituzione di una ZRA, o di come
si inserisce la zona in un contesto più
ampio di gestione faunistica e di realtà
ambientale.
Giungla. Ovviamente la realtà è diversa
I due
principali
modelli
gestionale
dalla
fantasia
e i bambini
vanno
guidasono
ti allai seguenti:
scoperta di questo meraviglioso
ZRA didei
tipoboschi
“A”: zone
di dimensioni
abitante
nel modo
corretto:
ridotte
per favorire
l’irradiamento
mantenendo
l’entusiasmo
per il suonariturale
fauna
selvatica loro
proveniente
torno, della
ma anche
spiegando
che non
da
azioni
si tratta
di di
unripopolamento.
orsacchiotto conTali
cuizone
giodevono
avere
un’elevata vocazionalità
care o a cui
avvicinarsi.
per
le specie
riferimento.
Molti
sonodigli
aspetti legati all’orso
ZRA
tipo di
“B”:
zoneselvatica
di maggiore
che
gli di
esperti
fauna
della
estensione
in cui
effettuare
Provincia sono
stati
chiamatiripopolaad apmenti
con soggetti
provenienti
“zone
profondire
dalle domande
dei da
bambini
di
ripopolamento
e cattura”
locali
o con
nelle
scuole. Innanzi
tutto gli
alunni
si
soggetti
giovani
strutture
di
sono stupiti
per attraverso
il nome dato
all’orso:
ambientamento,
dai quali ottenere
nuJJ5. Ancora più meravigliati
sono stati
clei di popolazione di qualità in grado
di automantenersi e di soddisfare le
aspettative venatorie in un’ottica lungimirante, ed effettuare azioni di miglioramento ambientale.
Il ritorno dell’ orso in provincia di Bergamo
Le ZRA per la gestione della lepre
L’istituto delle zone rosse è particolarmente adatto alla gestione della lepre,
in quanto la specie tende a vivere in maniera concentrata in certe aree o settori e
si mostra più produttiva in determinati
contesti. Da un punto di vista venatorio,
la costituzione di specifiche ZRA risulta
alquanto vantaggiosa, infatti i carnieri
di lepre aumentano considerevolmente
negli anni successivi.
Le zone rosse esprimono una funzione
confronti della
delmultipla
fatto che nei
si conoscesse
anchegestione
il nome
della lepre:
sensibilmente
la
madre,migliorano
Jurka, e quello
del padre,
produzione
di lepri sul territorio, manJoze.
tengono
nucleispiegato
di popolazione
È statodei
quindi
loro che di
a
forte
densità
e consen
proposito
di JJ5
si sanno così tante cose
poiché è un orso proveniente dal Parco
Nazionale dell’Adamello e fa parte del
progetto di reintroduzione del plantigrado ad opera del Parco. Infatti, per
cercare di risollevare le sorti dell’ultimo
nucleo di orso bruno delle Alpi italiane,
nel 1996 ha preso avvio mediante finanziamenti LIFE dell’Unione Europea il
Progetto Ursus - tutela della popolazione
di orso bruno del Brenta, più noto come
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
35
Life Ursus. L’intervento di salvaguardia
nei confronti del plantigrado - promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione
con la Provincia Autonoma di Trento
e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica – ha portato alla reintroduzione
di 9 individui (3 maschi e 6 femmine
di età compresa tra 3 e 6 anni). È normale, quindi, che al successo dell’operazione Life Ursus sia seguita una fase
di colonizzazione di nuovi territori da
parte degli animali introdotti o dei loro
cuccioli ormai cresciuti. Ed ecco quindi
JJ5 alla ricerca di nuovi spazi anche in
provincia di Bergamo.
Ai bambini sono state mostrate alcune
foto di JJ5 fra quelle apparse sui giornali
ed è stata spiegata la tecnica fotografica
utilizzata per immortalare l’orso: questo tipo di apparecchi vengono messi in
funzione automaticamente dagli animali stessi quando attivano delle fotocellu-
le ad infrarossi. Dopo quasi due mesi di
tentativi, il 23 Agosto JJ5 ha lasciato impresso nella memoria digitale di una fototrappola quattro belle immagini di sé,
che hanno fatto il giro dei giornali locali
e nazionali. La luce dei flash, però, non
deve essere stata di suo gradimento, visto che il bonario colosso ha messo fuori
36
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
uso con una zampata la fotocamera che
lo ha ritratto, posizionata alla base di
un faggio. Evidentemente, come le vere
star, non ama essere paparazzato.
Gli esperti di fauna selvatica hanno
spiegato ai bambini anche le caratteristiche e le abitudini principali del plantigrado, in particolar modo aspetti legati
alla sua dieta: la maggior parte dei bambini è infatti convinta che JJ5 viva unicamente di miele. È stato spiegato loro che
l’orso è un animale onnivoro la cui dieta
cambia a seconda della stagione. Dopo
il letargo, in primavera, spesso il cibo
scarseggia: la sua alimentazione in questo periodo è composta principalmente
da piante erbacee, radici, germogli ma
anche dalle carcasse degli animali morti durante l’inverno. Durante l’estate e
l’autunno, invece, grazie all’abbondanza di cibo, gli orsi passano gran parte
del tempo ad alimentarsi per aumentare le scorte di grasso che gli consenti-
ranno di superare l’inverno (iperfagia),
aumentando il proprio peso di circa il
30%. In questa fase gli insetti (soprattutto formiche), la frutta (mirtilli, lamponi,
mele, pere, frutti della rosa canina, noci,
ecc.), nonché semi e radici, diventano
importanti componenti alimentari. Certamente quando ne ha occasione, l’orso
non disdegna facili bottini come il miele
degli apicoltori o le pecore lasciate in
alpeggio. E a proposito delle pecore uccise in questi mesi da JJ5, i bambini si
sono divisi: la maggior parte ha preso le
difese degli ovini: “Povere pecorelle!!!”,
è stato il commento più diffuso. Altri invece: “Beh, anche l’orso dovrà pur mangiare, no?”.
In pochi, a dire il vero, hanno pensato ai poveri allevatori! È stato quindi
spiegato che l’orso, come gli altri grandi
predatori (lupo, lince e aquila) è ovunque sinonimo di ecosistemi floridi e
sani. Essi concorrono alla selezione naturale e mantengono in salute anche le
popolazioni di erbivori da cui traggono
nutrimento, come caprioli, cervi e cinghiali.
Molti bambini hanno proposto di offrire a JJ5 cibo per dissuaderlo dall’aggredire le pecore. “Posso lasciargli gli avanzi della cena in giardino?”. Niente di più
sbagliato ovviamente. Ai bambini è stato spiegato che sarebbe un grave errore
abituare l’orso a dipendere dall’uomo
per il suo approvvigionamento di cibo.
A tale proposito è stato portato l’esempio del Parco Nazionale d’Abruzzo e in
particolare dell’orsa Yoga, un esemplare abituato fin da giovane a cibarsi nei
cassonetti dell’immondizia o a far visita
alle scorte alimentari dei campeggiatori
in tenda. Questo suo comportamento,
col tempo, l’ha resa troppo confidente
con l’uomo. A tal punto da far visita alle
bancarelle di dolciumi nel bel mezzo di
una sagra nel paesello di Opi, dove la
gran ressa degli abitanti incuriositi ha
creato una situazione potenzialmente
pericolosa. In seguito a questo episodio
Yoga è stata rinchiusa in una grande
area faunistica delimitata da una recinzione. Tutto ciò sarebbe stato forse evitato se si fossero adottate delle tecniche
dissuasive fin dal principio.
I bambini hanno dimostrato di comprendere perfettamente il rischio di rendere non autosufficiente un animale che
fa della sua indipendenza dall’uomo
un’assicurazione sulla propria vita.
La speranza degli amanti della natura
è che le informazioni sull’orso date ai
bambini, spogliate da qualsiasi preconcetto, possano condurre questi ultimi
a gioire per il suo ritorno sulle nostre
montagne, rapportandosi però a questo
animale con il rispetto e l’attenzione che
merita.
Pagine d’autore
- Annibale Facchini
Alexandrine
Devo confessare che per questo numero della nostra rivista mi sono trovato “la pappa fatta”. Mio fratello Sergio (ns. esperto balistico) non
solo ha tradotto professionalmente e pazientemente questo libro francese ma ha anche scritto la premessa! Buona lettura e buone feste!
Racconto tratto da “Chasseurs de chamois”, traduzione di Sergio Facchini
Stamani cammino senza pensieri sul sentiero, con un leggero sorriso
sulle labbra ed il cuore leggero, con tutta una giornata davanti a me per
seguire la mia fantasia. Senza zaino, il mio pranzo nelle tasche, il binocolo al collo e la mia vecchia doppietta “405” a tracolla, scendo al Plan
du Lac fischiettando.
Il Plan du Lac è uno dei pascoli più alti, una larga gola circondata da
falesie a picco, sulle cui cime la foresta allarga la sua frangia scura. Il
lago, che un tempo doveva occupare tutta la parte inferiore dell’anfiteatro morenico, poco a poco si è colmato con gli apporti dei disgeli di primavera ritirandosi completamente in una estremità, una placca d’acqua
limpida bordata di canne e ricoperta di muschio, dalla quale spuntano
alcuni vecchi tronchi morti; tutto il resto del Plan adesso è prato, una
prateria grassa dove le bestie prosperano diventando superbe, dove le
piante di montagna, più folte e più vigorose che altrove, danno al latte un
sapore squisito e forte. Come passo vicino alle baite, sento nell’ombra di
una porta aperta Alexandrine che mi dice buongiorno ed io entro senza
tante cerimonie. Non è compromettente, lei, Alexandrine, dichiara settantaquattro anni. È una vecchietta di roccia, sempre sorridente, sempre
di buon umore, che ogni anno viene qui a “monticare”, da più di mezzo
secolo. Lei fa i migliori formaggi di tutti i paesi intorno e nella sua baita,
autentico museo delle Alpi, non è mai entrato né un cucchiaio né una
secchia per mungere di metallo. Ogni cosa, dalla lampada ad olio che rischiara la stalla alla zangola con cui fa il burro, è di legno chiaro, levigato
a sabbia, pulito e senza una macchia. Senza chiedere il mio parere, Alexandrine mi ha dato uno sgabello a una gamba per mungere e mi sono
sistemato alla sua tavola. Presto saranno una rarità questi sgabelli bassi
che ci si fissa al corpo con una cintura per avere le mani libere, quando
si va a mungere nei campi con un secchio per mano, passando di vacca in vacca. Ben appoggiati a treppiede sulle proprie gambe e su quella
dello sgabello, è necessaria una certa abitudine per tenersi in equilibrio
e bisogna soprattutto ricordarsi di rimanere sporti in avanti per evitare
di fare qualche spiacevole capitombolo. Dunque Alexandrine pretende di
offrirmi del miele che mi serve in una ciotola di sicomoro con una spatola
di bosso. Con il miele ci sono dei mirtilli, delle fragole, salsicce e lardo
che qui si chiama “bacon”, come in Inghilterra, derivato da una vecchia
parola francese di altre parti. C’è anche del gruviera, del formaggio morbido, del caprino e ancora altro formaggio dorato come il rame, lucido e
duro come il granito, che ha, sembra, cinque anni, e tutte le virtù. Infine
del latte, della panna e del caffè. È del tutto inutile rifiutare, Alexandrine
non me lo perdonerebbe. Ogni volta che lei mi vede passare è sempre così
e mai sono riuscito a farle accettare un pagamento qualsiasi, dato che,
quando risalgo la valle, per lei ho sempre qualche piccolo regalo, dalla
lana da lavorare a maglia al tabacco da presa, perché lei fiuta in una
tabacchiera di sorbo. Legato sopra lo zaino con dello spago, un anno ho
portato fin qui anche un cucù della Foresta Nera, di legno ovviamente,
il cui tic-tac la immerge in un’estasi perpetua. In cambio lei mi ha messo
nel suo testamento! Siccome ha avuto solamente delle figlie, sarò io ad
ereditare il più tardi possibile la carabina di suo marito, Jean Dubouloz,
che fu il più grande cacciatore di quelle montagne molto prima della mia
nascita e che un giorno trovarono morto di freddo nella neve al Pré des
Cavales, con un grosso camoscio legato sullo zaino. Spesso, notando con
quanta curiosità esaminassi quel pezzo unico, Alexandrine lo staccava
dalla parete per farmelo osservare più da vicino. Pulito, lucidato religiosamente, senza un filo di polvere, è una curiosa arma svizzera a stantuffo, con due cani, uno davanti all’altro e a due colpi nella medesima
canna, con la pallottola del primo cha fa da culatta al secondo. Con essa
il defunto conficcava un chiodo in una tavola a cento passi ed lo credo
volentieri, perché provandola l’ho trovata straordinariamente precisa.
Quella vecchia carabina l’ho usata una volta, una soltanto.
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
37
È tutta una storia.
Da molto tempo intuivo che la vecchia voleva chiedermi un favore, ma mi sarei ben
guardato di indicarne qualcuno, per timore di vederla chiudersi in se stessa, ma un giorno, arrivando alla baita, l’ho trovata con un’aria decisa ed ho capito che stava per parlare.
Pur intuendo attraverso i suoi giri di parole e le sue reticenze, ho impiegato un bel po’ per
capire il suo desiderio, ma finalmente si spiegò e quando l’anno dopo tornai nella stagione
di caccia, avevo nello zaino tutto quello di cui avevo bisogno. Per cominciare delle palle e
delle borre che mi avevano fatto espressamente, essendo quell’arma di un calibro abbandonato dalla produzione corrente, inoltre dei bossoli di rame e per finire della polvere da
sparo di Berna, della polvere nera di contrabbando a grossi grani rotondi. Non essendo
abituato ai fucili a bacchetta, soprattutto di un modello così complicato, ho impiegato
molto tempo per caricare la carabina; subito dopo ho abbracciato Alexandrine e sono salito
a prendere il sentiero.
Nel bosco, sotto i rami bassi, non sapevo come portare quella lunga canna che si impigliava dappertutto. Mezz’ora dopo mi trovavo tra le tavole di rocce a sbalzo che sovrastano il lago e ho guardato, molto in basso, la baita della mia vecchia amica. Era seduta sulla
panca addossata al muro, con le mani incrociate sulle ginocchia, e guardava la montagna
con vicino a sé sua nipote, una piccola selvaticona, moretta e sfacciata, che porta le vacche
nei campi non esitando a bastonare energicamente il toro. Andare a sparare con la vecchia
carabina lassù nella foresta – è questo che mi aveva chiesto la vecchietta - per sentirla
rimbombare ancora sulle grandi muraglie di granito, come ai tempi in cui Jean Dubouloz
percorreva la montagna con la forza della sua giovinezza; lei attendeva il suo ritorno
ogni sera, lei - la bella Alexandrine - la ragazza più graziosa della zona; e mentre stavo
armando il vecchio ordigno, più emozionato che mai, lo confesso senza vergogna, tirando
un colpo d’arma da fuoco, un fruscio nei cespugli mi fece sollevare la testa. Nel cuore della
foresta c’è una piccola sorgente circondata di cortecce marce e di rami morti, una sorgente
silenziosa che sgorga dalla spaccatura di un bacino di pietra e che si perde non lontano,
nel muschio ai piedi del costone strapiombante. In quel posto ho trascorso alcune serate
fiabesche guardando la notte invadere il bosco, mentre da lontano i ghiacciai fiammeggiavano al sole rosso calante, ma quel giorno, dritto nel cielo, con le zampe anteriori sul bordo
del costone, un camoscio superbo si era attardato come a sfidarmi. Prima di aver avuto il
tempo di riflettere, avevo puntato la pesante carabina e fatto fuoco. Girando solamente la
testa dalla mia parte e tremando leggermente sulle sue forti zampe, non si era mosso, ma,
non appena premetti il secondo grilletto, il camoscio crollò come un masso. Solamente
allora, con una detonazione potente e greve come un suono d’organo, ben differente dallo
schiocco secco delle nostre carabine di oggi, udii echeggiare l’arma e capii perché la cara
vecchia aveva voluto sentirla tuonare ancora una volta sulla montagna.
Quando ritornai, col camoscio sulla schiena, lei aveva ripreso il suo lavoro e sbatteva il
burro nella zangola, con gli occhi altrove. Ho pulito il vecchio fucile che ho rimesso al suo
posto, ho appeso il camoscio nel ripostiglio delle provviste e sono partito senza dir nulla.
Qualche tempo dopo, nella vicina città, un notaio mio amico mi confidò, sotto il sigillo
del segreto, che la sua cliente Alexandrine era venuta a trovarlo, facendo nove ore di cammino in montagna fino alla stazione e altrettante per risalire, proprio appositamente per
aggiungere qualche riga al suo testamento.
Premessa del traduttore.
L’autore di questo stupendo libro di caccia al camoscio, “Chasseurs de chasmois”, il Dr Pierre Mélon, notaio marsigliese, già pilota nella prima guerra
mondiale e scalatore, deceduto nel corso di una battuta di caccia al camoscio,
trasporta il lettore nell’incantato mondo alpino. Egli parla di gente, di caccia e
di animali come se avesse sempre abitato in una sperduta valle della Savoia.
La caccia al camoscio è vissuta infatti come una vera conquista e non come una
sfida dall’esito scontato in cui conta solamente il successo venatorio.
Nella traduzione mi sono perciò attenuto scrupolosamente al testo originale
perché si potessero cogliere intensamente le sfumature e le atmosfere così bene
descritte in moltissime pagine, dato che, a più di settant’anni dalla prima stampa, quest’opera occupa sicuramente una posizione di rilievo nella letteratura
venatoria di montagna.
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Racconti
Perché ho scelto un bra cco italiano
- Lara Leporatti
Mi chiamo Lara ho 31 anni e sono toscana! Vado a caccia e seguo mio padre, da
quando avevo sei anni. Sono cresciuta giocando con Musetta e Billy, i setter di babbo
e probabilmente anche l’amore per i cani mi
ha avvicinato alla caccia. Quando avevo 15
anni Billy, oramai vecchio, ci lasciò. Portai
a casa il mio primo cane, una piccolissima
setter inglese di Nome Zara, un cane che
adoravo e con tanta passione venatoria e un
bello stile di caccia: fermava e fermava bene.
Il problema era sapere dove era, almeno, per
tutta la prima ora di caccia…
Quando anche lei iniziò ad invecchiare ed
avere problemi di salute, ebbi il desiderio di
prendere un altro cane. Avevo già provato
ad avere una cucciolata, ma non era andata
molto bene, per cui cominciai a sfogliare diverse riviste di caccia ed enciclopedie di cani
che avevo in casa. L’impresa però si presentava più difficile del previsto, poi un amico
mi disse: “Perchè non ti prendi un BRACCO ITALIANO?” Così dopo aver letto e riletto le descrizioni sul bracco, mi innamorai
subito dello sguardo dolce e da filosofo che
ha quel simpatico cagnone!
Ma: dove trovarlo??? Tramite internet ed
un “forum” sul quale si parlava di caccia,
mi dissero che proprio qui, a Firenze, c’era
un appassionato di Bracchi Italiani, l’ex
presidente della FIDC di Firenze, Massimo Fabbri. Mi proposero di contattare lui,
poiché, sicuramente, mi avrebbe saputo dire
dove trovare un cucciolo e così feci.
Fu proprio lui a dirmi: “Mi è rimasta una
cucciola, ma la cedo solo se vai a caccia!”. E
così, superato l’interrogatorio, fui promossa
a pieni voti, per ritirare il cane!
Ricordo ancora quando tutti i cani, di
corsa, mi vennero incontro e lei mi saltò
subito in braccio, come se mi avesse scelto
e dicesse: “Ora vengo con te!”. Era quasi bianca, anzi, bianco-arancio, mielato.
La misi in auto e tornai a casa con la mia
“bracchetta”, che si dimostro subito di
gran carattere! Era l’8 dicembre, il giorno
della festa dell’Immacolata Concezione ed i
bambini iniziavano a lanciare i primi botti
di Natale, così mentre eravamo in giardino
ci fu un esplosione. Mi preoccupai, a causa
di quello scoppio improvviso, pensando che
la cagnetta si sarebbe spaventata e invece
non accadde. Era lì che guardava in su, con
un’aria interrogativa e per niente spaventata. Poi s’impadronì del divano e così, senza un pianto e un lamento, passò la prima
notte con me. Anche la paura del “colpo di
fucile”, la temutissima “prima fucilata”,
sembrava superata brillantemente.
Per mio babbo era come se avessi attuato
un tradimento: avevo preso un altro cane e
non era un setter! Non avevo mai visto dei
bracchi a caccia, qui nelle mie zone. Tutt’oggi se ne vedono pochi; prevalgono Setter ed
Epagneul Breton, anche se lo Springer Spaniel Inglese si sta facendo posto come cane
da “tutta-caccia” e da carniere.
Darma è nata il 6 Ottobre, avevo davanti a me mesi e mesi di addestramento, ma
non sono stati molto difficili, perché faceva
esattamente quello che dicevo. Tutt’ora, caccia sempre senza perdermi di vista e li capii
perché dicono che il bracco caccia per il suo
padrone; mai affermazione fu più vera. Nel
bracco italiano il collegamento è costante ed
istintivo. Non va mai, come si dice, “fuori
mano”, per cui il proprietario può contare
ininterrottamente sulla presenza del cane, il
quale, rimane “ a vista”, pronto ad eseguire
i comandi, ma non trascurando l’usta dei
selvatici.
Mio padre, mio zio e mio fratello, erano
scettici sulle capacità venatorie di questo
cane senza pelo! Ma si sono ricreduti subito. Secondo mio babbo, il bracco era un cane
lento, poco adatto alla caccia nelle nostre
zone e poi la mancanza di pelo folto, come
nel setter, non lo avrebbe fatto entrare nelle
macchie, presenti in abbondanza qui da noi.
La mia bracca però, sapeva benissimo come
fare e alternava “filate”, quando la temperatura e la brezza mattutina lo permettevano,
a momenti in cui il solo modo per arrivare
al fagiano era seguire il suo odore, mentre se
ne andava via di pedina.
E la ferma…? La ferma del bracco è spettacolare, sembra una moviola…è un rallentare fino a rimanere perfettamente immobile:
un fascio di nervi e muscoli che assaporano
l’aria e l’effluvio del momento. Ad un mio
cenno e solo mio, “rompe” e “forza” la ferma, incalzando il fagiano, la starna, o la
pernice che sia e aspetta sempre di sapermi
dietro di lei, mai un momento prima. Quando cacciamo, io e lei, non c’è bisogno di tante parole: mi guarda, con il braccio le indico
dove andare e lei esegue. Non mi molla un
attimo e se, a volte, succede che, per il bosco, non riesco a passare e ci perdiamo di
vista, lei abbaia, per farmi sapere dov’è, così
la chiamo e proseguiamo insieme.
Difficilmente si perdono animali con il
bracco che, infatti, ha un istinto innato per
il riporto. Mi ricordo che, quando tentavo
di insegnargli a riportare con i vari “riportini” (gli oggetti adoperati per insegnare,
ai cani, il riporto), dopo i primi due riporti,
prendeva l’oggetto, scappava e lo distruggeva. Oppure si sedeva, mi faceva un gran
sbadiglio e non eseguiva più il riporto. Non
so quante telefonate feci al povero Scheggi,
che continuava a dirmi: ” Non preoccuparti riporterà anche gli elefanti!” Infatti, è
andata così, ancora oggi con i “riportini”
scappa ma con un animale mai! Uno dei
primi fagiani gli fu fregato da un pointer,
dal secondo in poi, appena un fagiano cade,
da bracco lento e con trotto aggraziato diventa una Ferrari Testa Rossa e, quando ha
il fagiano in bocca, nessuno glielo toglie. Lo
deposita solo davanti a me e ogni tanto al
mio babbo.
E’ un cane instancabile: sa dosare la sua
forza e il suo trotto, alternato al galoppo,
nei rientri, fa sì che tu possa andare a caccia
tutto il giorno, mentre altri cacciatori, con
cani molto più veloci, sono costretti a cambiare cani o a lasciarli riposare. Mi è capitato, più volte, magari su inviti in riserva, che
mi chiedessero: “Ma, torni a caccia? Non è
stanco, il cane?”. Oppure, c’è chi ti chiede:
“E’ proprio un bracco? Però, non è lento
come prima. ”Oppure ancora: “Mi ricordavo che erano cani bavosi, il tuo non lo è!”.
O, ancora: ”I bracchi sono cani delicati”
e, chi più ne ha più ne metta!
Fortunatamente però non sono tutti così,
naturalmente, parlo dei proprietari… Ce ne
sono molti i quali, come me, hanno scelto
questo cane bellissimo, che caccia per il suo
padrone e che rappresenta perfettamente il
connubio giusto di cane e cacciatore e il collegamento che dovrebbe avere un cane con il
suo padrone.
La sua indole buona lo fa stare perfettamente anche in casa: a lui basta sapere che
il suo padrone e lì e lo segue ovunque, alle
volte anche dove vorresti essere da sola, senza sguardi indiscreti! Ma lui e lì e aspetta
con tanta pazienza.
E’ un cane giocherellone. Una palla, uno
straccio, un bastone, qualsiasi cosa, per lui,
è buona per giocare, inoltre va d’accordo
anche con gli altri cani proprio per la sua
indole.
Ho scelto un bracco italiano, l’ho scelto
perché è un cane completo, che si rivela, a
caccia e nella vita, un fedele compagno e un
amico! Ho scelto un B.I. e lo sceglierei altre
100 volte!!!
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Racconti
Sosta di caccia
- Romano Pesenti
È tutta la mattina che, sotto un sole insolente, inseguiamo quel
maledetto volo di cotorni gia trovato in addestramento, in agosto,
sui prati là sotto il Sodadura di Taleggio.
A parte la prima fortunata coppiola verso la baita di Campofiorito, quando tu Diana all’alba inoltrata le hai gattonate e sorprese
ancora in pastura, la ricerca del volo sbrancato e incrodato certamente fra le frane del Ger è stata faticosa, pericolosa fra i dirupi
e, ahimé vana.
Sono sparite, come ingoiate in qualche imbuto o anfratto fra
i sassi franosi della parete, tra rocce impossibili da raggiungere.
Forse al sicuro su qualche cengia, immobili ci hanno osservato,
o chissà dove rimesse; forse più lontane, fra gli erti cespugli dei
canàj catìf del Suc di Maesimo, ci stanno aspettando.
Sono sudato e tu sei stanca
e assetata.
Stai lasciando sulle pietre
aguzze qualche goccia di
sangue....
Seduti sotto un vecchio
faggio scartoccio il panino
preparato iersera in baita,
sbocconcello un cacciatorino e penso al branco dei
cotorni introvabili. Ma
dove saranno andati?
Diana seduta ad educata distanza, aspetta paziente qualche boccone,
che ad intervalli regolari
le passo con affetto. Mi
guarda innamorata ed
aspetta la solita carezza.
Lo so, lo so, ...sei stata brava! Lassù nel prato mi hai
fatto rivivere le solite emozioni. Da vecchia ed esperta compagna
le hai trattate coi guanti, da vera felina le hai accompagnate fino
alle rocce del dosso, permettendomi una facile coppiola. - È solo
merito tuo ...brava! - Toh, bevi ancora.
Purtroppo gli anni cominciano a pesare, ad entrambi, ...ma non
pensiamoci; godiamoci, qui seduti al fresco, questa bella giornata.
Due le abbiamo qui appese ad un ramo: se Dio vorrà, e con
l’aiuto del tuo naso, magari verso sera le ritroveremo nuovamente
lassù in pastura ...Forse canteranno.
DAI MlEI RICORDI
tratto dal libro “Emozioni dipinte”,
dipinto di Roberto Lemmicon il consenso di Editoriale Olimpia
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
La leggenda
della beccaccia fasciata
In cucina
- Carlo Calvetti
- Lino E. Ceruti
Ero ancora bambino quando papà Luigi mi raccontava delle beccacce.
Le “regine dei boschi” le chiamava… e con
molta riverenza.
Come suo padre: nonno Lino.
L’ascoltavo e guardavo il suo viso scarno con i
miei piccoli occhi che spalancavano il mio piccolo
cuore.
Quel che mi affascinava era la sua mimica.
Lui non mi guardava.
I suoi occhi erano proiettati nel vuoto e descriveva, per
filo e per segno, ciò che aveva vissuto e, in quel momento,
stava rivedendo.
Ciò che diceva mio padre sulla caccia era “Vangelo venatorio”.
Persino il giorno in cui mi raccontò la leggenda della beccaccia ferita
da un pallino ad una zampa.
“Si curò la ferita” mi disse “attorcigliandosi attorno alcune piume
dell’addome e dopo qualche giorno, guarì”.
Leggenda… sì… era una leggenda.
Buona per un ragazzo che a dieci anni sognava di arrivare velocemente ai sedici per poter andare a caccia, con il fucile in mano e il
porto d’armi in tasca.
Da allora son passate molte stagioni venatorie e di quella leggenda,
quasi, non rimaneva neppure il ricordo.
Fino a tre giorni fa.
Tre giorni fa, mi chiama “l’Angelo mecànèk” e, nella sua autofficina,
mi mostra la beccaccia abbattuta il giorno prima.
Incredibile… una beccaccia dalla zampa fasciata con piume addominali !!!
Forse colpita da un pallino?
Chissà.
Basterebbe “sfasciare” le piume per saperlo.
Lo facciamo?
E se, poi, fosse proprio così?
Già…
…se fosse così?
Se fosse così, come la mettiamo con la leggenda?
Dove andrebbe a finire il fascino del racconto dei padri senza la leggenda della beccaccia fasciata?
Come cambierebbe l’atmosfera vicino a quel camino che arde?
E l’attenzione e lo stupore dei giovani occhi sgranati?
E… e… e il VANGELO VENATORIO?
Guardo la beccaccia fra le mani… alzo lo sguardo e incrocio gli occhi
di Angelo… anche lui cerca i miei…
Non serve parlare.
Abbiamo capito che la leggenda non può morire.
Deve continuare.
…ed è giusto sia così.
Alcune proposte dello Chef Carlo Calvetti per gustare le beccacce, i tordi e la lepre.
BECACCCE RIPIENE
Riempite le beccacce con una farcia così composta:
tritate l’intestino con altrettanti fegatini di pollo e prosciutto crudo, un pizzico di prezzemolo tritato, sale, pepe e spezie in misura
necessaria, mischiando bene.
Cuocere la beccaccia al forno con burro, declassare con un filo di cognac ed aggiungere qualche goccia di fondo di cottura ridotto.
Servite in casseruola di porcellana, versando sopra la beccaccia il fondo di cottura.
TORDI ALLA PIZZICAGNOLA
Togliere ai tordi l’osso del petto. Introdurre all’interno una fettina di prosciutto crudo cosparso di tartufo bianco tritato ed arrotolato.
Cuocerli con burro e declassateli con qualche goccia di vino bianco.
Servite ben caldi i tegame di porcellana.
TORDI ALLA GIUDEA
Disossare il petto e la metà anteriore del dorso del tordo, limitandovi a spuntare solo le unghie delle zampette.
Riempite con una noce di fegato grasso, cotto; fermateli con uno stecchino in modo che le zampette vengano a trovarsi all’altezza
delle cosce.
Salate e coceteli in tegame con burro a fuoco piuttosto vivo. Deglassate con vino bianco, poi aggiungete fondo di cottura ridotto.
A parte preparate altrettanti fondi di carciofi piuttosto grandi e fritti all’olio.
Servite in corona su un piatto di servizio, sistemando un tordo su ogni carciofo e versandovi sopra il fondo di cottura.
LEPRE RIPIENA ALLA BUONGUSTAIA
Svuotate la lepre raccogliendo tutto il sangue. Servate le cosce ed i lombi, lardellando finemente queste parti. Tritate finemente
il fegato, il cuore e i polmoni con 100 grammi di prosciutto crudo e 150 grammi di mollica di pane bagnata e spremuta, 1 cipolla
tritata e rosolata al burro, il sangue della lepre, un cucchiaio di parmigiano grattugiato, un pizzico di prezzemolo tritato, sale
pepe e noce moscata in quantità necessaria; amalgamate bene il tutto e con il composto riempite la lepre.
Cucite l’apertura del ventre e cocetela glassata.
Servite salsandola leggermente con salsa buongustaia, addizionata col fondo della lepre passato, sgrassato e ridotto.
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Avvenimenti e iniziative
- Lino E. Ceruti
La giornata al cinghiale
Tutta colpa di Luigi Capitanio.
Lui conosce mezzo mondo e l’altro
mezzo conosce lui.
Ci trovavamo in Val d’Ambièz, nel
massiccio del Brenta, in un anfiteatro
naturale che mi lasciava senza parole…
che maestoso spettacolo!
Eravamo lì a ricordare un grande Maestro: montanaro e cacciatore.
Non ricordo quante volte avevo letto
il suo “Sergente nella neve” ma ricordo
quanta ammirazione gli avevo sempre
riservato.
Stavamo ricordando Mario Rigoni
Stern, fra le altre cose, anche presidente
di “Ars Venandi”.
“Vieni,” mi dice Luigi “ti faccio conoscere Paolo… fa parte del Clubert. E’
toscano… simpatico”.
Così è stato, infatti: toscano e simpatico.
Fa presto a sbocciare l’amicizia in
montagna fra cacciatori e, a noi, è bastato poco.
Prima di ritornare alle rispettive case
ci disse: “Alla prima cacciata al cinghiale, nel mese di novembre, mi farebbe
piacere avere anche voi con noi”.
E così fu.
Un giorno mi trovo una e-mail con il
suo invito.
Anche Luigi era della partita.
La Toscana è la Toscana, ragazzi… da
Guardo Luigi… ci sembra vi sia qualqualunque parte ti giri ti trovi immerso
cosa che non quadri nel dialetto orobico
in un paesaggio surreale.
Emozionato come non mai, facciamo di quel “bergamasco”.
Infatti è di Roma ma vive da molti
il viaggio.
anni nella nostra
Guida Luigi con
città senza perdere
la sua macchina
l’originario accento
così, io, ho il temdella “caput munpo di guardarmi
di”..
attorno.
E’ bello e piaceArriviamo in un
vole parlare con
piccolo borgo antilui e ci parliamo
co… in un contesto
volentieri per tutta
architettonico tipila serata fino al moco toscano.
mento di andare a
Incontriamo Ivananna.
no ed Emilio (coLa mattina mi
nosciutissimi nel Luigi Capitanio alla cerimonia di chiusura
alzo emozionato.
nostro comprensoPrima di vestirmi controllo la doprio) e, ancora, Osvaldo e Silvano di Ars
pietta che mi ha prestato Luigi, le carVenandi.
tucce a palla…
E’ un piacere essere lì con loro.
20… sono 20… saranno abbastanza?
Una cena con altri cacciatori amplia le
Mah… semmai me ne farò prestare
nostre conoscenze e amicizie.
Fra i tanti conosciamo “un’arma- qualcuna.
dio”… grande tanto… che Paolo si afDopo colazione ci riuniscono per il
fretta a presentarci “questo nostro ami- tradizionale inizio della giornata di
co è delle vostre parti… è di Bergamo”.
caccia.
Che piacere… ci presentiamo e gli
Scopro che insieme a noi poveri suchiedo “di che paese sei?”.
burbicani e rozzi discendenti dei Celti
“A ragà… semo fra de noi… ciave- ci sono pure dei “Teteschi di Cermania”
mo er tavolo bene imbandito e ‘l vino verso i quali scambiamo più sorrisi e inl’è quasi dei Castelli… femo onore a li chini che “pòn ciorno” in italo-tedesco.
toscani”
Ci sono cacciatori tedeschi ed italiani
il borgo che ci ha ospitato
la formazione delle squadre italo-tedesche
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
i “Passator cortesi” in… agguato
con i corni in mano.
Intonano arie antiche, generate nei
boschi… le ascolto con umile partecipazione.
Poi, la suddivisione delle squadre e
l’avvio verso le poste.
Durante il tragitto cerco di captare
le parole convenzionali… conosco la
peggiore: “padellare”, cioè sbagliare il
cinghiale.
Bisogna che faccia attenzione, non voglio far brutta figura.
Ci mettono alla posta.
Sopra di me c’è Silvano e sopra ancora Osvaldo.
Luigi, Ivano ed Emilio li hanno “fermati” prima.
Aspettiamo.
Quando l’uomo sta zitto, il bosco ti
parla… i suoi abitanti lo rallegrano e tu
sprofondi in un sereno torpore nel quale vorresti rimanere a lungo.
Sentiamo, però, il latrare dei cani
che si sposta da un lato all’altro della
collina.
A volte viene verso di me e, allora, mi
tengo pronto… sta arrivando… il cuore
si sposta alternativamente tra l’addome
e le ginocchia…
Poi, il latrare si allontana in direzione
opposta… il cinghiale dev’essere tornato indietro.
Guardo verso l’alto e incrocio gli
sguardi di Silvano ed Osvaldo… alziamo le spalle in silenzio come per dire:
pazienza.
… e di pazienza in pazienza arriva,
verso le quattordici e trenta il suono del
corno che sancisce la fine della caccia.
Le canne della doppietta sono ancora
pulite ma l’anima è piena di meraviglie
e di serenità.
Al borgo incontro Paolo che, incuriosito mi chede “Allora Lino… com’è
andata?”
“Bene Paolo” gli rispondo “ne ho padellati otto”
Mi guarda con occhi strabuzzati.
“Co… come? hai padellato otto cinghiali?”
“Eh sì, caro Paolo, ne ho padellati otto
però… in compenso… ho centrato quattro cani”
Lo vedo sbiancare poi, incrocia il viso
divertito di Luigi e capisce che non sto
facendo sul serio.
Tira un sospiro di sollievo e fulminan-
domi amorevolmente con gli occhi mi
dice: “ragazzaccio”.
Già… ragazzaccio.
Un ragazzaccio felice d’aver trascorso
una giornata in amicizia con tanti galantuomini.
Torniamo a casa e durante il viaggio parliamo poco… davanti agli occhi compaino e svaniscono paesaggi e
volti… nelle orecchie rientrano latrati e
suoni di corno… e poi… strette di mano
e pacche sulle spalle che in italo-tedesco
volevano dire: “tu sei un mio amico”.
Grazie Paolo, grazie Fausto e grazie
anche a tutti voi del Clubert.
macchè “Passator Cortesi”…
questa è amicizia silvestre-venatoria
Un grande maestro di vita e di caccia:
Emilio Rudari… 84 anni… il migliore!!!
Paolo La Ferla (al centro) Grazie di tutto !!!
La propiziazione alla giornata di caccia
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Avvenimenti e iniziative
All’interno della Festa: La biciclettata
Organizzata con il patrocinio e il contributo del comune e della Pro-Loco di San Giovanni Bianco, ha visto la partecipazione di 25
ciclisti di tutte le età che, partiti dal piazzale della festa, sono saliti a Oneta per visitare la Casa di Arlecchino e, attraverso la pista
ciclabile, sono arrivati a Lenna alla sede del Comprensorio Venatorio Alpino di Valle Brembana dove hanno visitato la sede dei
cacciatori, il centro di verifica animali e ascoltato il bravo Luigi Capitanio che ha proiettato un documentario sulla fauna presente
nelle nostre Alpi Orobiche.
All’arrivo, sul piazzale della festa, un’estrazione a sorpresa: il Sindaco Gerardo Pozzi ha, personalmente, messo a sorteggio fra i
partecipanti una mountain-byke.
Grazie Gerardo.
- Lino E. Ceruti
XXI Festa del Cacciatore e del Pescatore
… e questa è la 21°.
Un po’ stanchi, un po’ flosci, un po’ per inerzia.
Questo deve far riflettere.
Probabilmente è giunta l’ora di favorire interni cambiamenti.
Non tutto, per carità… una cosa per volta… piano piano ma,
qualcosa deve cambiare.
Una certezza rimane: questa festa continua… deve continuare.
Anche Gerardo Pozzi, Sindaco di San Giovanni Bianco, è di
questo parere e l’ha dimostrato, con grande impegno, per favo-
rire il ritorno di questa festa al paese d’origine.
A Lenna siamo stati certamente bene e, per questo, dobbiamo
ringraziare il suo Sindaco “Mario barba” che ci ha ospitato per
due anni ma… quest’anno, l’Amministrazione di San Giovanni
ci ha creduto molto di più.
… e le immagini parlano da sole.
Senza fare nomi che porterebbero, sicuramente, alla dimenticanza di qualcuno… gli organizzatori intendono abbracciare
tutti i volontari con un sentito grazie.
Grazie dal profondo del cuore.
La visita alla sede dei cacciatori
Tutti pronti
entario
La proiezione del docum
quattro chiacchiere in compagnia
In attesa dell’estrazione…
e
veduta d’insiem
servizio al self-service
L’arrivo alla festa
… una foto ric
ordo
E sempre all’interno della Festa: La premiazione della gara Pesenti/Gritti a.m. “prova di lavoro per cani da seguita” svoltasi in
Val Taleggio e organizzata dalla Società Italiana Pro Segugio provinciale di Bergamo
… e dopo una dura serata
c’è chi lava i piatti...
il cosiddetto “gruppo di
famiglia” posa
per la foto ricordo
il consigliere regionale
Pietro Macconi (primo
a sinistra) sempre vicino al mondo venatorio
bravissimo lo chèf… bra
vissimo il “Mimo”
(di spalle nel riquadro) e
bravi gli aiutanti
44
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
Che ragazzacci
… e chi pensa
ad altro.
burloni e sempr
e allegri !!!
e meglio
Prima è sempr
di buono
sa
co
metter qual
ia
nc
pa
in
a, il
Con la maglietta azzurr
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consigliere provinciale Kik
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Bon
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mo
ulti
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della festa)
S.
Gerardo Pozzi Sindaco di
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B.c
ni
Giovan
CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
45
COMPRENSORIO VENATOTRIO
ALPINO VALLE BREMBANA:
Enrico Bonzi – Presidente
Lino E. Ceruti - Rappresentante Provincia
Pietro Milesi – Rappresentante Comunità Montana
Angelo Bonzi – Rappresentante CPA/ANLC
Teofano Boffelli – Rappresentante ANUU
Giuseppe Bonomi – Rappresentante F.I.D.CCarlo Milesi – Rappresentante F.I.D.CAthos Curti – Gruppo Cinofilo Bergamasco
Giovanni Morali – Rappresentante C.A.I.
Bruno Calvi – Rappresentante C.A.I.
Antonio Locatelli – Rappresentante Coldiretti
Sperandio Colombo - Rappresentante Coldiretti
Avvenimenti e iniziative
- Lino E. Ceruti
Giornata Ecologica a Dossena
COMMISSIONI:
Avifauna tipica alpina: Presidente sig. Piergiacomo Oberti
Ungulati: Presidente sig.Gian Antonio Bonetti
Lepre: sig. Midali Cristian
Capanno: sig. Umberto Arioli
Stanziale ripopolabile: sig.Luigi Poleni
Senza tromboni, giornali, radio e televisioni… come sempre attenti alle reali problematiche ambientali, i cacciatori di
Dossena continuano con umiltà e competenza a dedicarsi al
volontariato.
Le foto sottoriportate non hanno bisogno di commenti.
Grazie a nome di tutti i cacciatori del Comprensorio.
SEDE:
Lenna (BG) – Piazza IV Novembre, 10– tel./fax 034582565
www.comprensorioalpinovb.it - e-mail : [email protected]
Segretaria : Alba Rossi
Orari di apertura: Mercoledì, Giovedì e Venerdì: dalle 9.00 alle 12.30
e dalle 14.00 alle 16.30 - Sabato dalle 9.00 alle 12.30
ASSESSORATO PROVINCIALE
SETTORE CACCIA E PESCA
Via San Giorgio – tel. 035387700
Assessore Sett. Caccia e Pesca – Luigi Pisoni
Ufficio Tecnico Caccia e Pesca
Dirigente – Alberto Cigliano
Collaboratori tecnico faunistici – Giacomo Moroni – Alberto Testa
Servizio di Vigilanza Provinciale
Responsabile – Gian Battista Albani Rocchetti
Dai… forza… partiamo
ci sono anche le buche sulla strada
…cominciamo con i rami sulla strada
forza… tutti con il badile in mano
lasciamo in ordine… portiamoli via
mi chiedo cosa farebbero senza di noi ?
Collaboratori – Bruno Boffelli, Cristiano Baroni
SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ
Pronto Soccorso Sanitario
Ospedale Civile S. Giovanni B.: Tel. 034527111
Centro antiveleni – Ospedali Riuniti di Bergamo:
Tel 035269469 (Tel 118)
Soccorso Alpino CAI – Elisoccorso: Clusone:
Tel. 034623123
Pronto Soccorso Veterinario – BG
Via Corridoni 91 - Tel. 035362919
Corpo Polizia Provinciale:
numero verde 800350035
Emergenza Sanitaria; Tel. 118
Vigili del fuoco: Tel 115
dai che manca poco…
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CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche
visto?... che ti dicevo
per un po’ siamo a posto.
CACCIAINVALBREMBANA
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