Liceo classico addio? - Fondazione per la Scuola

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Liceo classico addio? - Fondazione per la Scuola
terza pagina
Domenica
11 Ottobre 2015
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| Dibattito | Dopo la notizia del forte calo degli iscritti ai percorsi di formazione umanistica, in Italia, negli ultimi
anni, intervengono Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli) e Anna Maria Poggi (Fondazione per la scuola)
Scelte diverse
dettate dalla crisi
Ma non esiste
uno studio inutile
Paolo Girola
Anna Maria Poggi
Presidente Fondazione per la scuola Compagnia di San Paolo
L
a scorsa settimana «il nostro tempo» ha pubblicato la notizia
del forte calo degli iscritti ai licei classici negli ultimi cinque
anni, in Italia. E anche del dibattito internazionale sulle
decisioni di molti Paesi di destinare più fondi alle facoltà scientifiche, tagliando quelli alle facoltà umanistiche: decisioni che hanno
provocato dibattiti accesi nella comunità degli studiosi. I governi e
le istituzioni che finanziano gli studi pensano evidentemente che
siano più utili giovani formati nelle materie scientifiche piuttosto
che in quelle letterarie. Anche i vari governi che si sono succeduti
negli ultimi cinque-sei anni in Italia hanno cercato di orientare i
giovani, con riforme di vario genere della scuola superiore, verso
studi più tecnico-scientifico-economici. Il risultato è in primo luogo il crollo elle iscrizioni nei licei classici tradizionali e anche negli
scientifici (con il latino). «Le famiglie, pressate dalla crisi e dalla
disoccupazione giovanile, pensano di orientare i propri figli verso
scelte scolastiche che ritengono diano più possibilità di trovare lavoro»: è il commento di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione
Agnelli, che in questi anni ha studiato i fenomeni legati alla scuola.
Ma è veramente così? Gli studi diciamo letterari danno meno
prospettive a un giovane?
Sì, la crisi economica ha cambiato anche le scelte scolastiche.
D’altronde le discipline umanistiche oggi aprono meno le porte al
mondo del lavoro: pensiamo, ad esempio, alla crisi di tutto il settore
dell’editoria, oppure alla difficoltà di trovare una cattedra per un
laureato in lettere. Hanno più prospettive oggi i giovani che si laureano nei Politecnici, o in economia, o nelle discipline scientifiche.
Addio al vecchio liceo classico?
Guardi, io ho fatto il classico, quello con il latino e il greco, ma quella
scuola, voluta negli anni Venti da Gentile per formare la classe dirigente, è inesorabilmente invecchiata. Oggi è più moderno il liceo scientifico, senza il latino, che il classico con tutto il suo latino e il suo greco.
Ma non sarà una classe dirigente con poca cultura?
Oggi non si può pensare che una classe dirigente non conosca o
non abbia le basi per valutare gli sviluppi scientifici degli ultimi
decenni: quando si parla di difesa ambientale, di biotecnologie, di
neuroscienze, di astronomia... Chi ha fatto il classico ha studiato
poca matematica, pochissimo scienze naturali o fisica o chimica. E’
un modello di studi ormai vecchio. Come ho detto, è impensabile
ignorare le basi della moderna tecnologia e scienza.
Una scuola da abolire?
No. Come in Francia il “Magnifico” (il loro classico) non è più lo
studio principale del sistema scolastico, così in Italia deve restare
una scuola di nicchia, per giovani appassionati agli studi storicoletterari. In Francia la classe dirigente si forma nei licei scientifici.
L’Italia è all’inizio di questo percorso.
Sono da rivalutare anche gli istituti tecnici?
Ce ne sono di eccellenti che preparano gli studenti per andare nei
Politecnici. Ma negli ultimi anni sono calate del 50 per cento le
iscrizioni all’Università di questi diplomati. La crisi economica ha
pesato anche in questo senso. Sono ragazzi di famiglie meno agiate
che fanno più difficoltà a mantenere i figli agli studi.
E poi c’è la formazione professionale: una buona scelta?
L’istruzione professionale in Italia si divide in due rami: uno statale
e l’altro regionale. Spesso sono scuole che raccolgono ragazzi difficili, al limite della dispersione scolastica, oppure che sono portati
più per una formazione pratica che teorica. Nell’ultima riforma
sono stati introdotti elementi tipici del sistema duale tedesco, dove
la formazione si fa anche molto in azienda. Ma i salesiani lo avevano capito già cento anni fa. Da noi c’è n’è ancora troppo poca. E
questo cambiamento è osteggiato da una parte del corpo docente,
che si vede sottrarre una parte della formazione.
Quali settori della formazione professionale sono più attuali?
Sicuramente quelli legati al turismo: penso agli alberghieri, agli studi
per centri benessere. E poi a quelli per l’assistenza alla persona.
Insomma, giudica positiva questa svolta culturale…
Sì. Pensiamo ad esempio al peso del settore turistico nel nostro
Paese. Va bene anche studiare le lingue, ma legate a una formazione
specifica.
N
Liceo
classico
addio?
«Oggi è impensabile che
una classe dirigente
non conosca i fondamenti
della moderna tecnologia»
«C'è una cultura che vuole
imporre l’idea dell'inutilità di
certe discipline: ma la filosofia,
come la matematica, è logica»
el novembre dello scorso anno la Fondazione per la scuola
della Compagnia di San Paolo ha organizzato, insieme al
ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e in
collaborazione con il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Torino, l’Ufficio scolastico regionale Piemonte, l’Editrice il
Mulino e con la partecipazione di alcuni licei classici del Piemonte,
un “processo” al liceo classico, con tanto di accusa (sostenuta da
Andrea Ichino) e tanto di difesa (impersonata da Umberto Eco).
Vorrei rammentare i capi di accusa che venivano e vengono (come
dimostrano i cali di iscrizione in Italia, ma anche in altre parti del
mondo) mossi al liceo classico:
• inganno: il liceo classico inganna gli studenti che lo scelgono
sperando in questo modo di acquisire strumenti migliori per avere
successo nelle professioni scientifiche;
• inefficienza: chi intraprende studi esclusivamente umanistici
(soprattutto lingue morte) rischia di avere una cognizione parziale,
e quindi distorta, della realtà. Idem, all’opposto, chi intraprende
studi esclusivamente scientifici o tecnici. Per crescere, il Paese ha
bisogno di scuole à la carte, non “a menu fisso”;
• iniquità: il liceo classico è figlio di Gentile e della cosiddetta “più
fascista delle riforme”. Una riforma che aveva uno scopo molto
chiaro e iniquo: creare una scuola di élite che fosse in grado di
ridurre la mobilità sociale e di impedire alle classi svantaggiate
l’accesso alle posizioni dominanti.
La terza accusa probabilmente poteva essere vera nel momento
stesso in cui il liceo classico veniva in essere (riforma Gentile del
1923) ed è indubbio che per molto tempo quel liceo ha costituito
la scelta delle classi sociali più abbienti, poiché da essa sarebbe poi
scaturita la classe dirigente del Paese. Un’interessante tabella contenuta nel volume edito dal Mulino per la Fondazione per la scuola
di prossima uscita dimostra come in realtà le classi dirigenti del
Paese provengano, almeno sino a un decennio fa, dal liceo classico.
È un buon motivo per abolirlo? Se cosi fosse bisognerebbe abolire
le facoltà di medicina, giurisprudenza, economia… Il problema
semmai è un altro: che lo Stato garantisca a tutti di potervi accedere e poter proseguire quel percorso di studi. È il tema del diritto
allo studio.
La seconda accusa, in realtà, ha a che fare con il nostro sistema
scolastico nel suo complesso, che è troppo rigido nei percorsi,
mentre vi sarebbe bisogno di una flessibilità maggiore a vantaggio delle scuole. È però tuttavia innegabile il filo sottile ma assai
resistente che lega le cognizioni scolastiche a determinati tipi di
professioni: per un medico la chimica e la fisica sono fondamentali;
per un architetto lo è il disegno tecnico. Al netto delle propensioni
personali è però indubbio che un sistema scolastico debba preparare per filoni di conoscenza.
La prima accusa è quella più pesante ed è probabilmente il motivo
principe del calo di iscrizioni: l’inganno che opererebbero gli studi
classici, inadatti a preparare al mondo delle professioni tecniche
e più in generale al mondo del lavoro. Non c’è dubbio che chi
intraprende il percorso di studi classici (ma oggi anche scientifici)
pensa di proseguire i suoi studi all’università, che poi sia meno
adatto ad intraprendere professioni tecniche è tutto da dimostrare.
Da questo punto di vista non vi è alcun inganno: gli studi classici
giocano a carte scoperte.
In realtà, dietro il calo di iscrizioni (che peraltro non si pone in
una scia di continuità temporale, poiché, al contrario, solo qualche anno fa, in contemporanea con la riforma Gelmini, i licei, sia
classico che scientifico, hanno registrato aumento di iscrizioni) vi è
di più: il tentativo culturale di imporre l’idea di una “inutilità” degli
studi che non producono altro se non la capacità speculativa e
riflessiva. Come se tali capacità fossero inidonee a produrre applicazioni informatiche (la matematica è logica, come la filosofia) o a
comprendere la teoria dei giochi su cui si fondano le più importanti teorie economiche. Si tratta, mi pare, di uno stereotipo che non
ha alcuna aderenza effettiva ad un principio di realtà secondo cui
non esiste uno studio “inutile”.