CERVINIA dal 2 al 6 luglio 2015 Scuola Media “Don Carlo

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CERVINIA dal 2 al 6 luglio 2015 Scuola Media “Don Carlo
(M. Bersanelli)
Il sole (E. Munch)
CERVINIA
dal 2 al 6 luglio 2015
Scuola Media “Don Carlo Costamagna”
Scuola Media “Sacro Cuore”
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PRIMO GIORNO – IL SEGRETO
“Le cose di tutti i giorni possono celare l’invisibile”
LE COSE, LA NATURA PARLANO
Le cose, la natura parlano, si mostrano attraverso innumerevoli segni che
richiedono capacità di ascolto.
Perché questo accada occorre la tua adesione a un cammino di
educazione e di conoscenza con l’accettazione del grado di fatica che
sempre comporta l’uscire da se stessi.
La natura è impregnata di un significato segreto che si svela attraverso segni
particolari: questi segni sono sotto gli occhi di tutti, ma non tutti se ne
accorgono. Perché?
Un racconto arabo narra di una perla misteriosa che giace in fondo al mare;
si può percorrere all’infinito la superficie del mare, ma così non la si troverà
mai: possiederà finalmente la perla chi saprà immergersi profondamente.
IL SEGRETO di Katherine Mansfield
Nel mare, al più profondo
giace una conchiglia iridescente.
Eternamente giace e splende piano
sotto l’enormi tempestose ondate
sotto le minute onde beate
che il Greco antico un tempo ha nominato
crespe di risa.
Ascolta: la conchiglia iridescente
Canta nel mare, al più profondo.
Eternamente giace e canta silenziosa.
LA BELLEZZA INVISIBILE di Saint Exupéry
“Ciò che abbellisce il deserto, disse il Piccolo Principe, è che nasconde un
pozzo in qualche luogo…”
Fui sorpreso di capire d’un tratto quella misteriosa irradiazione della sabbia.
Quando ero piccolo, abitavo in una casa antica, e la leggenda raccontava
che c’era un tesoro nascosto. Naturalmente nessuno ha mai potuto
scoprirlo, eppure incantava tutta la casa. La mia casa nascondeva un
segreto nel fondo del suo cuore…
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“Sì, dissi al Piccolo Principe, che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto,
quello che fa la loro bellezza è invisibile”.
Incominciava ad addormentarsi, io lo presi tra le braccia e mi misi in
cammino. Ero commosso, mi sembrava di portare un fragile tesoro.
Guardavo, alla luce della luna, quella fronte pallida, quegli occhi chiusi,
quelle ciocche di capelli che tremavano al vento e mi dicevo: “Questo che
io vedo non è che la scorza. Il più importante è invisibile. L’essenziale è
invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore”.
Il mattino – di A. Mascagni
Al mattino, Signore, al mattino
la mia anfora è vuota alla fonte
e nell’aria che vibra e traspare
so che puoi farmi grande, Signore.
E le ore del giorno, al mattino,
di Tua gloria son tenera argilla.
Uno è l’alveo del mio desiderio:
ch’io ti veda, ed è questo il mattino.
Al mattino – di Péguy
Dio mio, è come se tutto fosse nuovo,
come se tutto cominciasse stamattina,
è come se il mondo uscisse dalle vostre mani fresche,
come se la creazione uscisse tutta fresca dalle vostre mani,
come se la creazione sgorgasse tutta viva dalle vostre mani.
Tutto è nuovo, mio Dio, tutto ricomincia, tutto comincia, tutto è aperto.
Il mondo è nuovo,
il mondo è giovane,
il mondo è nuovo.
La creazione comincia stamattina.
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TI ADORO
Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore.
Ti ringrazio di avermi creato,
fatto cristiano e conservato in questa notte.
Ti offro le azioni della giornata:
fa’ che siano tutte secondo la Tua santa volontà
e per la maggior Tua gloria.
Preservami dal peccato e da ogni male.
La Tua grazia sia sempre con me
e con tutti i miei cari. Amen.
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SECONDO GIORNO – LO STUPORE
“Il mio cuore è pieno di uno stupore incantato”
LA SCIENZA E IL MISTERO
“L’uomo per il quale il sentimento del mistero non è più familiare, l’uomo che
ha perso la facoltà di meravigliarsi e di umiliarsi davanti alla creazione, è un
uomo morto, i suoi occhi sono spenti…” (A. Einstein)
“La scienza è senza dubbio una delle attività umane più affascinanti, ma
essa nasce dallo stupore di fronte alla meravigliosa struttura della realtà, di
fronte all’intima armonia di tutto il creato… Il senso del mistero è la più bella
e profonda emozione che possiamo provare: sta qui il seme di ogni arte, di
ogni vera scienza” (A. Einstein)
“CIAULA SCOPRE LA LUNA”
La scala era così erta che Ciaula, con la testa protesa e schiacciata sotto il
carico, pervenuto all’ultima svoltata, per quanto spingesse gli occhi a
guardare in su, non poteva vedere la buca che vaneggiava in alto.
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli
paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria
cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto
tramontare, fosse rispuntato.
Possibile?
Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle
spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità
d’argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di
faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non
si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciaula, che in cielo ci
fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la
scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola
là, eccola là, la Luna… C’era la Luna, la Luna!
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E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto,
dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva
pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani,
delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura,
né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”.
(L. Pirandello)
DOTTORE, E’ FINITO IL DIESEL
“E’ un territorio selvaggio che esce da trent’anni di guerra civile (Arabi
contro Neri Cristiani) e che è spaventosamente arretrato, ma che ha anche
un grande fascino perché è possibile incontrare persone inaspettate e
condividere con loro quanto abbiamo di più caro.
Io seguo l’aspetto medico insieme ad altri colleghi italiani e a uno ugandese.
Non ci inganniamo certo nell’illusione di risolvere tutto, ma in tutto quello che
facciamo possiamo affermare una speranza, una vita che vale, una bellezza
sempre presente. La nostra povera umanità fiorisce così, sporcandoci le
mani e con il cuore ferito. Per questo la presenza dei cristiani, religiosi e laici,
è così importante, capillare, nascosta ed appassionata.
Di notte, quando attraversiamo quella fetta di buio che ci separa dalla casa
dove dormiamo, e gli occhi, invece di investigare il terreno su cui poso i
piedi, scoprono il cielo scintillante di stelle equatoriali che brulicano,
formicolano e pulsano in quella pace immensa che lo accoglie, ecco, allora
è davvero difficile pensare che sotto questa volta celeste ci sia un pezzo di
terra bella come l’Uganda in una situazione così triste… Eppure questi
brulicanti astri, questa tenebra misteriosa sono il vero punto da cui guardare
tutto, anche le tragedie di questa terra, perché, se non abbiamo un punto di
vista diverso, distaccato, non capiamo cosa abbiamo davanti agli occhi. Se
non ci stacchiamo da ciò a cui siamo avvinghiati, non riusciamo a vedere.
Lo sguardo cade pesantemente ai nostri piedi e poche volte si alza alle
stelle. E’ un problema di stelle e di occhi, dunque, la vita.
… Questo ospedale che sorge nel nulla della savana, questi missionari, i miei
amici che hanno lasciato i loro accoglienti paesi per partire e che in questi
luoghi cercano incessantemente di costruire un mondo più degno e più
umano, gli Africani che riscoprono il valore della propria persona… sono il
segno di una ragionevole speranza, una speranza che sovrasta la
dimenticanza e la disperazione, una speranza positiva che è venuta in
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questo mondo e dà un valore infinito al più piccolo essere umano, per il
quale vale la pena di dare tutto…”. (A. Reggiori)
“… Mentre dall’aereo, tornando a casa per una breve vacanza, guardo
sotto di me l’Africa sconfinata, bellissima e tragica, e penso ai suoi figli… in
ognuno di loro vedo una pennellata di infinito”. (A. Reggiori)
Salmo 8
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,*
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,*
il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,*
di gloria e di onore l’hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,*
tutto hai posto sotto ai suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,*
tutte le bestie della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,*
che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio,*
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
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TERZO GIORNO – L’IO
“… Tu sei una novità cosmica” – M. Bersanelli
I figli sono dati dal Mistero: prima non c’erano e oggi ci sono, perciò sono
qualcosa di imprevisto e di irriducibile! Il padre e la madre si trovano di fronte
a questa novità cosmica che è quella persona (come lei non è mai esistito
nessuno e nessuno mai esisterà). Sono di fronte a quell’IO nuovo che è
venuto alla luce e hanno come desiderio profondo l’aiutarlo a crescere
affinché possa essere se stesso, come Dio lo ha pensato dal profondo del
tempo.
(Marco Bersanelli)
Dal grande mare della realtà, emergi tu, una persona unica ed irrepetibile.
La realtà dunque è personale, anzi la persona è il culmine della realtà stessa.
Non c’è altro essere sulla Terra che possegga una coscienza, uno spirito,
un’anima.
Dunque tu sei unico ed irrepetibile. Pensa ad esempio al tuo carattere. La
parola deriva dal greco e vuol dire impronta e già questo ci dà l’idea giusta:
il carattere è la tua impronta tipica, è il complesso delle doti che ti
contraddistinguono. Occorre conoscersi, accettarsi con realismo e con gioia
e giocare i propri talenti.
La grande poetessa americana Emily Dickinson ci rivela la grandezza della
sua profonda sensibilità in questi frammenti poetici che ci fanno vibrare per
ciò che di più autentico il cuore umano sente, scopre, percepisce, desidera.
Forse di me non hanno bisogno
O forse sì
Io lascerò il mio cuore giusto in vista:
può darsi che un sorriso modesto come il mio
sia proprio ciò che ci vuole per loro.
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Non conosciamo mai la nostra altezza
Finché non siamo chiamati ad alzarci
E, se siamo fedeli al nostro compito,
arriva al cielo la nostra statura.
Udivo come non avessi orecchi.
Ma una parola viva
Fino a me venne dalla vita:
compresi allora di udire.
IL VOSTRO CUORE E’ UNA FINESTRA SULL’INFINITO
Cari amici, vi invito a prendere coscienza della vostra sana e positiva
inquietudine, a non aver paura di porvi le domande fondamentali sul senso
e sul valore della vita. Non fermatevi alle risposte parziali, immediate,
certamente più facili al momento e più comode, che possono dare qualche
momento di felicità, di esaltazione, di ebbrezza, ma che non vi portano alla
vera gioia di vivere, quella che nasce da chi costruisce – come dice Gesù –
non sulla sabbia, ma sulla solida roccia. Imparate allora a riflettere, a leggere
in modo non superficiale, ma in profondità, la vostra esperienza umana:
scoprirete, con meraviglia e con gioia, che il vostro cuore è una finestra
aperta sull’infinito!
Questo voi lo sperimentate continuamente ogni volta che vi domandate:
ma perché? Quando contemplate un tramonto, o una musica muove in voi
il cuore e la mente; quando provate che cosa vuol dire amare veramente;
quando sentite forte il senso della giustizia e della verità, e quando sentite
anche la mancanza di giustizia, di verità e di felicità.
Cari giovani, è proprio nell’apertura alla verità intera di noi, di noi stessi e del
mondo che scorgiamo l’iniziativa di Dio nei nostri confronti.
E’ parte dell’essere giovani desiderare qualcosa di più della quotidianità
regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente
grande. Si tratta solo di un sogno vuoto, che svanisce quando si diventa
adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, bello, per
l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Il desiderio di una vita “grande” e
“bella” è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la Sua
“impronta”.
(Benedetto XVI)
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CONSACRAZIONE A CRISTO RE DELL'UNIVERSO
GESU',MIO SIGNORE E MIO RE,
CHE TI SEI DEGNATO DI VERSARE IL TUO SANGUE PER LA MIA SALVEZZA
GUIDA I MIEI PASSI VERSO DI TE
CHE SEI LA VIA, LA VERITA' E LA VITA.
DAMMI UN'INTELLIGENZA ASSETATA DI VERITA',
UN BRACCIO FORTE PER DIFENDERLA,
UN CUORE CORAGGIOSO PER TESTIMONIARLA.
OFFRO A TE TUTTO ME STESSO,
LO STUDIO ED IL GIOCO,
LE PAROLE ED IL SILENZIO,
IL PIANTO E LA GIOIA,
SEGUENDO LA COMPAGNIA CHE TU MI HAI DATO COME SEGNO DELLA TUA
PRESENZA
PERCHE' LA MIA VITA SI COMPIA ED IL MONDO TI RICONOSCA.
MARIA, REGINA DEI SANTI,
SOSTIENI LA MIA PREGHIERA. Amen
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QUARTO GIORNO – UNICO, MA NON SOLO
“Ho guadagnato il colore del grano”
Essere unico non vuol dire essere solo: l’evidenza più grande della vita è che
non ci siamo fatti da soli; noi abbiamo bisogno degli altri. Ora questo aspetto
si manifesta in te in una esigenza fortissima: l’esigenza di amicizia. Il nostro
cammino ci invita a vivere questa esigenza di amicizia con un cuore così
spalancato da voler giungere ad una disponibilità ad incontrare tutto e tutti.
Dal “Piccolo Principe” di Saint – Exupéry
- “Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte,
guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite, tutte sono tue amiche. Per
gli uomini che viaggiano le stelle sono delle guide, per altri non sono
che piccole luci… ma tutte queste stelle stanno zitte. Tu, tu avrai delle
stelle come nessuno ha… Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere.
E aprirai a volte la finestra e i tuoi amici saranno stupiti nel vederti ridere
guardando il cielo…”
- “La mia rosa è diversa dalle altre rose, lei, lei sola è più importante di
tutte, perché è lei che ho innaffiato, è lei che ho messo sotto la
campana di vetro, è lei che ho riparato con il paravento, su di lei ho
ucciso i bruchi. E’ lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o qualche
volta anche tacere. Perché è la mia rosa… Io sono responsabile della
mia rosa…”.
- “Guarda, vedi, laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il
pane e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano
nulla. E questo è triste. Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà
meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato,
mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano… Ho
guadagnato il colore del grano”.
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UNA STORIA TOCCANTE NEL CUORE DI BUSTO
Fermiamoci un attimo e per qualche minuto apriamo gli occhi alla realtà
che ci circonda. Due anni fa ho conosciuto un ragazzino di nome Josef e la
sua dolcissima mamma di nome Lia. Sono arrivati a Busto Arsizio dall’Eritrea in
una casa d’accoglienza perché Josef all’età di dieci anni ha contratto una
malattia degenerativa, che lo costringe su una sedia a rotelle con una
trachetomia permanente. Vive nella struttura “Oasi Santa Chiara” dove
prima c’era Suor Aloysia, una persona con un’umanità e uno spirito di
sacrificio immenso. Purtroppo da cinque mesi la suora è dovuta andare via e
Josef e la sua mamma sono rimasti soli nell’indifferenza della gente. Pensate
che solo a mezzogiorno gli viene fornito un pasto dal Comune, tra l’altro un
pasto che molte volte Josef non può nemmeno mangiare visto i suoi
problemi di salute, mentre alla sera da qualche settimana i Frati provvedono
alla loro cena che viene cucinata da Lia nella loro stanzetta. Avrebbe
bisogno di tante cose: vestiti, scarpe e soprattutto quaderni e biro perché lui
adora studiare. GUAI SALTARE UN GIORNO DI SCUOLA!
E la sua mamma sempre lì: anche tra i banchi di scuola per dargli ossigeno
quando ha un problema respiratorio. Io devo ringraziare di aver conosciuto
queste due persone, perché quando vedo negli occhi di Josef, nonostante
tutto quello che passa, la serenità e la felicità, mi sento fortunata.
Pensate che un giorno sono andata a trovarli e, nonostante abbiano i pasti
contati per loro, Lia mi ha accolto preparandomi una focaccia buonissima.
Mi piacerebbe far conoscere a tutti questo ragazzo perché regalerebbe a
ognuno di noi tanta felicità Il mio sogno sarebbe aiutare Lia e Josef;
parlando con loro ho cercato di capire cosa potrebbe servirgli: sicuramente
hanno bisogno di coperte e pentole (perché cucina tutto in un pentolino).
Pensate che Josef desidererebbe un telefonino (lui dice usato) per poter
parlare con i suoi fratellini che sono rimasti in Eritrea. L’anno prossimo Josef
inizierà la terza superiore e avrà bisogno anche dei libri di testo.
Spero che questo mio articolo colpisca il cuore di qualcuno e che Josef trovi
in ognuno di noi un nuovo amico. Tutti quelli che desiderano conoscerlo o
dare qualcosa tra le cose elencate per aiutarlo, può cercare Elena Gallazzi
di IVB o riferirsi alla professoressa Crepaldi.
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Attraverso questa esperienza ho potuto arricchire la mia anima e ho
sperimentato quello che ci insegna Papa Francesco: è bello aiutare le
persone vicine per regalare loro la speranza di un futuro migliore. Per questo
invito tutti a non avere paura e a fare come me, con me.
(Elena Gallazzi)
HOMBRES NUEVOS
Danos un corazòn grande para amar.
Danos un corazòn fuerte para luchar.
Hombres nuevos, creadores de la historia,
constructores de nueva humanidad.
Hombres nuevos que vivon la existencia
come riesgo de largo caminar.
Hombres nuevos, luchadores de esperanza,
caminantes, sedientos de verdad.
Hombre nuevos sin frenos ni cadenas,
hombres libres que exigen libertad.
Hombre nuevos, amando sin fronteras,
por encima de razas e lugar.
Hombre nuevos, al lado de los pobres,
campartiendo con ellos techo y pan.
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QUINTO GIORNO – TESTIMONI DI VERITA’
Proiezione del video dell’intervista a Myriam, profuga irachena a Qaraqoush
MATILDE C’E’
Avrebbe compiuto 15 anni a fine inverno, alla vigilia dell’ultima Quaresima.
Ma quello che lei viveva era già Pasqua, croce e risurrezione.
Sull’immaginetta che i suoi genitori hanno preparato per il funerale, ci sono
solo due parole: “Matilde c’è”. Sono le uniche parole che raccontano
davvero la storia di questa ragazzina e della sua famiglia, di tanti amici, di un
amore che non si ferma davanti a nulla, di compiti, domande, bellezza e
dolore.
E di un chiodo.
La prima chemioterapia è iniziata quando Matilde Sponga andava alla
scuola materna. Le cadevano i capelli a ciocche e alla madre Laura
prendeva una fitta al cuore. Ma lei rompeva il silenzio per prima: “Mamma,
sono fortunata… Così non prendo i pidocchi!”. I primi sintomi della malattia
sono comparsi a 21 mesi…
… La sua vita è stata un susseguirsi di operazioni, ricoveri, terapie. Gli altri
erano stanchi e lei non si arrendeva, gli altri erano bloccati e lei scherzava.
“Soprattutto, non aveva paura. Eppure era consapevole di tutto. Questo ci
ha aiutati moltissimo”, sono le parole di Fabrizio, suo padre, che, con Laura,
ha conosciuto Matilde come nessun altro, ma pensa a lei con stupore: “Non
ho capito ancora tante cose di quella ragazzina. Magari non le capirò
mai…” sorride con gli occhi pieni di nostalgia e mostrando le foto di quella
faccia “da furbetta” insieme ai compagni di classe, all’adorato fratello
Alessandro e nei tanti viaggi… “Tutto quello che si poteva vivere, si viveva”,
dice il papà.
Alle medie, quando la malattia si è aggravata, gli insegnanti della scuola
Andrea Mandelli di Milano venivano a turno a casa di Matilde per studiare
con lei. “Io arrivavo con il casino della giornata in testa, magari triste o
incavolata, e andavo via felice”, racconta Maddalena Colozzi, la prof. di
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Italiano: “Arrivavo dal mondo e mi chiudevo in una stanzetta, eppure mi
ritrovavo a respirare. Matilde mi chiedeva subito di fare grammatica”.
Quando non riusciva a tenere la matita in mano, la dava a Maddalena e
così le insegnava che la vita è unita. “Mi insegnava che non c‘è la vita e poi
i discorsi. Stare con lei era sempre tutto lì, tutto essenziale”. Nei pomeriggi di
studio era instancabile, le proponevamo di fare pausa e lei: “No, andiamo
avanti”.
Quando la preside aveva comunicato che a scuola sarebbe arrivata una
ragazzina con una malattia grave, Maddalena aveva avuto molta paura.
“Invece è stata tutta un’altra cosa. Lei mi ha cambiata. Io ho sempre temuto
la morte e fuggito chi portava i segni della malattia. Ma inaspettatamente
Matilde mi faceva innamorare della vita, ogni giorno per lei era una
chiamata. E io mi affezionavo sempre più, mi sorprendevo a dirmi: ma che
dono è questa bambina? Ho potuto vedere che il Signore opera davvero,
per la forza che dava a lei e la libertà che dava a me: non ho mai avuto il
problema di come guardarla, di cosa dirle”.
Nemmeno il cambiamento fisico l’ha tenuta a distanza. “Ho imparato che
nell’amore si cambia e si abbraccia: nel riconoscere che un legame è
qualcosa di misterioso e donato, si fanno cose che non avresti mai
immaginato”.
Per i compagni, Matilde era un polo di attrazione, sia che ci fosse sia che
mancasse. Era una classe in cui si vedeva che c’era qualcosa in azione. “Lei
era una provocazione perché voleva vivere, continua Maddalena, i ragazzi
si ritrovavano davanti un grande dolore fisico e insieme la semplicità di Mati,
che chiedeva di stare con lei: li richiamava a stare nel presente, ma
aprendo una domanda di senso”.
Per loro la sua presenza era una cosa così grande che volevano dirlo a tutti.
Tanto che hanno scritto a Papa Francesco. Una lunga lettera, in cui
raccontano di Matilde e di come la vedono vivere, del suo coraggio che li
fa accorgere del valore delle cose quotidiane. Scrivono: “Grazie a lei
abbiamo capito che non dobbiamo pensare di evitare le situazioni difficili,
ma viverle e cercare di trarre degli insegnamenti, perché Dio non ci vuole
male: ci dà la possibilità, attraverso le fatiche della vita, di capire che non
siamo soli e che c’è sempre la speranza”.
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Un giorno il prof. di matematica, Paolo Merlo, chiama a casa di Matilde:
“Devo venire, ho un regalo per te”. Il Papa ha risposto. Nella busta, c’è un
crocifisso. E quel pomeriggio sarà tutto determinato dal fissare il chiodo al
muro. “Non è stata in pace, finché non abbiamo trovato il chiodo e il posto
giusto”, dice il papà. Matilde aveva una tenacia che non era solo tenacia…
per lei il particolare era dentro a un amore, a qualcosa che le era caro. Il
crocifisso era stato appeso proprio sopra il suo letto. “Tutte le sere, tutte,
anche quando stava malissimo, prima di addormentarsi lo accarezzava e lo
baciava. Ma in un modo che a me…”, si interrompe la mamma…
Laura mostra con orgoglio e tenerezza la tesina sugli Stati Uniti preparata per
l’esame che Matilde ha ripetuto duecento volte, imparandola a memoria.
L’ultima estate, ha superato alla perfezione l’esame di terza media e poi si è
messa a fare tutti i compiti in vista della prima superiore. “Avevi la netta
impressione che le era stato affidato un compito e che lo stava svolgendo
con tutta se stessa. Facendo semplicemente questo, segnava tutti”, dice
Paolo.
Nel tempo la malattia è peggiorata. Gli interventi si sono fatti sempre più
delicati e dolorosi. Nel 2007 alcuni genitori della classe avevano fatto
arrivare dagli Stati Uniti un medicinale molto costoso che aveva appena
finito la fase di sperimentazione. Matilde era sicura che si stava sempre
facendo qualcosa per lei, che chi l’amava, cercava la strada senza
disperare mai, un passo dopo l’altro. “Vedeva la condivisione, vedeva gli
altri che si donavano, partecipavano. Un’unione di cuori bellissima”, dice
Fabrizio: “Con l’aiuto degli amici, ha avuto giorni pieni e forse del tempo in
più”.
Si sono tentate cure fino al 2013… “un percorso folle di vita per una
bambina”, dice Laura: “Ma vissuto con una forza incredibile”. Matilde non
aveva paura di dire: “Ho male, sono triste”. Lo scriveva magari ai professori
con un messaggio, da casa o dall’ospedale, ma un istante dopo: “Come è
andata oggi a scuola?”. La seconda volta era subito positiva, un rilanciare.
La vista calava velocemente, ma voleva leggere e scrivere e voleva farlo lei.
Allontanava e avvicinava i fogli, di continuo, finché non ci riusciva e ha
ceduto solo quando non ha visto proprio più. Allora dettava alla mamma.
“Quando ho finito i compiti per il liceo, mi ha fatto preparare a tutti i costi
una giustificazione per i futuri professori”, sorride Laura, “per spiegare che la
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grafia era la mia, ma le risposte erano sue. Il desiderio di vivere tutto fino alla
fine è custodito nel rapporto con i genitori: “La vita vale la pena di essere
vissuta, sempre. Semplicemente non abbiamo mai dimenticato questo”.
Un giorno degli ultimi tempi, Fabrizio si era trovato a chiederle: “Ma non ti
immagini qui con noi, guarita?” e lei: “No, papà. Voglio andare là. Qui è
troppo complicato”. “Sapeva dove stava andando”, dice lui: “Fino
all’ultimo, ha contrattato al millesimo la terapia del dolore con i medici”.
Voleva essere presente, mentre intorno si era creato un popolo che pregava
per lei senza averla mai conosciuta, voleva andare sempre avanti.
Matilde è morta nel giorno della Madonna della Neve, il 5 agosto. “Quella
domenica è venuto Don Stefano, l’insegnante di religione”, racconta Laura:
“C’erano alcune compagne; Elena, la mamma di una di loro e anche il
parroco, Don Antonio. Nostra figlia ha ricevuto i sacramenti. Era il momento
giusto. Ha preso un pezzettino di Ostia, ha aperto gli occhi e ha sorriso”. E’
stato l’ultimo istante cosciente.
“Matilde ha spinto tutti a rivalutare la vita. Ha ridato la prospettiva alle cose”,
continua il papà: “Non so perché sia stato così. Forse perché ci voleva. Ne
vedremo ancora delle belle”. Lui e Laura vivono la percezione che è stato
un privilegio e una chiamata. “Adesso, mi chiede qualcosa adesso”, dice
piano. La mancanza infinita e incessante, come “il bisogno di qualcosa di
grande: ce l’ho sempre, dentro questa esperienza unica che ha sconvolto le
nostre strade.
Una bambina normalissima, un peperino, testarda, che voleva stare con gli
amici, avere uno skateboard, vincere a poker con suo fratello, dipingere
quadri che sarebbero diventati famosi e giocare con gli scoiattoli a Central
Park (e l’ha fatto). “Il suo desiderio era fare l’educatrice”, dice sua madre. E
lo sta facendo.
Da un suo tema, in terza media: “Crescere significa diventare grandi. Nel mio
caso questo percorso penso sia più difficoltoso rispetto a quello della
maggior parte dei miei coetanei. Fin da piccola ho dovuto affrontare
situazioni dolorose e faticose (…). Non vedere i miei compagni, non poter
fare quello che fanno loro, non ascoltare le lezioni mi rattrista ancora di più.
Ma anche non riuscire semplicemente ad andare al cinema o a guardare le
vetrine con un’amica. Tante persone mi stanno vicino in questa mia difficile
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crescita, pregano per me perché vorrebbero vedermi soffrire di meno. Penso
che chi mi é più vicino è il Signore. Mi dà la forza di andare avanti e io gli
chiedo di farmi guarire, anche se sono convinta che se Lui mi ha fatto
nascere così è per insegnarmi qualcosa in più o perché vuole qualcosa da
me”.
Preghiera
Com’è facile vivere con te, Signore!
Com’è facile credere in te!
Quando il mio intelletto confuso
si ritira o viene meno,
quando gli uomini più intelligenti
non vedono al di là di questa sera
e non sanno che fare domani,
tu mi concedi la chiara certezza
che esisti e ti preoccupi
perché non vengano sbarrate
tutte le vie che portano al bene.
Sulla cresta della gloria terrena
io mi volto indietro stupito
a guardare la strada percorsa
dalla disperazione a questo punto
donde fu dato a me di comunicare
all’umanità un riflesso dei tuoi raggi.
Dammi quanto m’è necessario
perché continui a rifletterli.
E per quello che non riesco a fare,
so che tu hai destinato
altri a compierlo.
(Aleksandr Solzenicyn)
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