Cultura Tedesca

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Cultura Tedesca
Forthcoming Settembre 2015: Cultura tedesca-Deutsche Kultur
(ed. Mimesis)
Recensione di A come Animale. Voci per un bestiario dei
sentimenti, a cura di L. Caffo e F. Cimatti, Bompiani, Milano,
2014, pp. 319
Ernesto C. Sferrazza Papa, Dipartimento di Filosofia e
Scienze dell’Educazione, Università di Torino
Un libro non sugli animali, ma sull’animalità. Un invito a ripensare criticamente una
categoria fondamentale del pensiero occidentale, quella dell’animale non umano e,
parallelamente (o, per meglio dire, contemporaneamente), quella dell’animale umano.
Forse, più che di categoria, potremmo parlarne come di un dispositivo, in modo da
sottolineare il carattere fortemente performativo dell’operazione tassonomica mediante
cui l’umano da sempre divide il mondo, lo produce politicamente a sua immagine e
somiglianza e di cui si proclama dominatore e padrone indiscusso. Questo è il progetto
del libro A come Animale. Voci per un bestiario dei sentimenti, pubblicato per Bompiani
e curato da Leonardo Caffo e Felice Cimatti. Il libro si inserisce all’interno del dibattito
sui cosiddetti animal studies, una branca di ricerca già affermata a livello
internazionale, e che sta lentamente incontrando un fertile terreno di coltura anche in
territorio italiano. La struttura del testo, articolata sulla scia del famoso Abécédaire di
Gilles Deleuze intervistato da Claire Parnet, offre al lettore molteplici vie d’accesso (21,
come le lettere dell’alfabeto italiano) al tema dell’animalità. Tale molteplicità di punti
di vista è testimoniato dal variegato parco di autori chiamato a riflettere sul problema
filosofico, culturale, scientifico, politico, sociale, artistico dell’animale non umano: gli
studiosi invitati da Caffo e Cimatti sono storici dell’architettura, filosofi, psichiatri,
scrittori, etologi, storici della scienza e antropologi. Un ricco consesso, insomma,
probabilmente l’unica possibilità per accedere, senza dogmi e facili partigianerie, a un
tema tanto complesso quanto urgente.
A come Animale è anche un libro che, necessariamente, riflette gli interessi scientifici
dei curatori: è un libro che parla esplicitamente di filosofia, lo fa in termini filosofici e si
rivolge, anche ma non solo, alla comunità di studiosi di filosofia. Se si dovesse indicare
la colonna filosofica portante del testo, il nume tutelare di queste pagine,
probabilmente sarebbe il pensiero di Gilles Deleuze, e in particolare il suo spinozismo:
l’Animale in generale, quella curiosa entità che comprende la stragrande maggioranza
delle specie viventi, dal batterio al cammello, dalla cernia golia all’ornitorinco, con la
sola eccezione dell’uomo, in realtà non esiste. Esistono singolarità, corpi mobili e sessili
(cfr. la voce “Vegetale” di Stefano Manculo) che si incontrano su un piano di immanenza
dove le gerarchie ontologiche vengono meno, e il compito politico della “comunità che
viene”, per citare un autore ampiamente presente nel testo, consiste precisamente nel
far saltare la griglia ontologica ed epistemologica a trazione antropocentrica:
disinnescare la “macchina antropologica”, farla girare a vuoto, in modo da ricominciare
(o da cominciare?) a intendere correttamente la differenza fra corpi in termini di
quantità e non di qualità, ossia non in termini di valore (cfr. G. Deleuze, Cosa può un
corpo? Lezioni su Spinoza, a c. di A. Pardi, ombre corte, Verona 2007).
La portata filosofia del testo curato da Caffo a Cimatti non può essere esaurita
dall’apporto, in ogni caso fondamentale, del pensiero di Deleuze. L’eterogeneità degli
autori contribuisce, infatti, alla creazione di un affascinante mosaico di rimandi alla
storia del pensiero filosofico. In questo gioco libero, aiutato dalla struttura “rizomatica”
del testo, la filosofia tedesca e la cultura tedesca in generale rivestono un ruolo di
particolare importanza. Ad esempio Luca Illetterati, autore della voce “Desiderio”,
suggerisce di ripensare la dicotomia umano-animale a partire dalla definizione del
vivente come di “un modo d’essere che ha il bisogno come costitutivo della sua
essenza”, identificando il minimo comun denominatore dei corpi appartenenti al regno
dei viventi nell’”attività della mancanza” (die Tätigkeit des Mangels), un’espressione
coniata da Hegel nel saggio Zum Mechanismus, Chemismus, Organismus und Erkennen.
Ed è allo Hegel della Enzyclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse
che Illetterati guarda per indicare l’animale – inteso come animalità in generale – come
soggetto. Inoltre, il libro presenta numerosi spunti di riflessione a partire dal pensiero di
Martin Heidegger, autore della famigerata ripartizione per cui la pietra è priva di mondo,
l’animale è povero di mondo e l’uomo è formatore di mondo (Cfr. M. Heidegger, Concetti
fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine, a c. di C. Angelino, Il
Nuovo Melangolo, Genova 2005). Nelle pagine bellissime che compongono la voce
“Essere” Enrico Giannetto, attraverso il filtro di un autore importante quanto purtroppo
sottovalutato come Guido Calogero, denuncia il carattere storicamente determinato
dell’ontologia di Heidegger, colpevole di avere ipostatizzato una funzione verbale
attraverso una metafisica di matrice neo-parmenidea; la messa in crisi radicale
dell’ontologia heideggeriana, suggerisce Giannetto, ci condurrebbe a concepire una
“filosofia animale” intesa non come filosofia che parla dell’animale, ossia ancora come
pensiero antropocentrico, ma come una visione del mondo che proviene,
consapevolmente, dall’animale non umano. Uno spiraglio al pensiero di Heidegger lo
concede Leonardo Caffo in “Qualsiasi”, interpretando spinozianamente il concetto di
Zwiefalt come l’infinità di modi dell’essere, ovvero come “il differenziante della
differenza” (non è un caso che la Zwiefalt sia l’unico concetto heideggeriano preso in
seria considerazione da Gilles Deleuze). In questo composito panorama non poteva
mancare la figura fondamentale di Franz Kafka, del quale Micaela Latini si è assunta
l’onere in uno dei saggi più interessanti di A come Animale: “Topo”. Scrittore di animali,
scrittore “animale” come in un certo senso suggerisce Franz Blei in Das Grosse
Bestiarium der Literatur, il nome di Kafka è notoriamente legato a figure come lo
scarafaggio nel quale si ritrova mutato Gregor Samsa una mattina svegliandosi da sogni
inquieti. Il saggio di Latini è un’elegante interpretazione di Josephine, die Sängerin oder
Das Volk der Mäuse. Ma il racconto di Kafka è, forse, nient’altro che il punto di partenza
per ripensare alcuni temi fondamentali della cultura tedesca, e non solo, come ad
esempio il rapporto fra arte e vita, il ruolo dell’artista nella società, la memoria e
l’oblio. Dietro alle speculazioni di Latini si intravede, peraltro citata, l’opera di Walter
Benjamin. Latini insiste con particolare vigore su alcuni aspetti fondamentali dell’opera
del pensatore morto suicida: il tema delle figure palustri su cui si concentra il saggio su
Kafka (Cfr.W. Benjamin, Franz Kafka, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, a c. di R.
Solmi, Einaudi, Torino, 2010), il tema della redenzione che, pur percorrendo l’intero
corpus benjaminiano, trova forse una lucida messa a fuoco solamente nel testamento
filosofico Über den Begriff der Geschichte, fino al raffinato riferimento ad alcune pagine
dedicate da Benjamin a Mickey Mouse, dove il topolino ideato da Walt Disney diventa il
simbolo dell’abbattimento della gerarchia fra le creature (Cfr. W. Benjamin, Mickey
Mouse, a c. di C. Salzani, Il Nuovo Melangolo, Genova, 2014).
A come Animale è un testo interessante e stimolante, quasi un laboratorio
interdisciplinare, ancora assente nel panorama letterario italiano. I temi discussi si
imporranno con sempre maggiore urgenza nell’agenda culturale e politica di qui a venire
in quanto, come è stato detto, la produzione dell’altro non è altro che un modo per
identificare e per riconoscere il sé. Produrre l’animale significa, in qualche modo,
produrre l’umano, e il XX secolo, o forse la storia in generale, ci hanno mostrato le
conseguenze letali e devastanti del funzionamento di questa “macchina antropologica”.
Per concludere, tuttavia, si vuole sollevare non tanto una criticità quanto, piuttosto,
una domanda metodologica: i vari contributi, anche raffinati e suggestivi, proposti da
scrittori all’interno del libro, rappresentano davvero significativi momenti di riflessione
o non rischiano, piuttosto, di apparire come abbellimenti e ceselli puramente estetici?