Il ruolo dElla WatEr

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Il ruolo dElla WatEr
IMPRONTA
ALIMENTARE
Il ruolo
della
Water
e le tecnologie a disposizione
Eleonora Perotto
Il sistema
agroalimentare
viene indicato
dall’Agenzia Europea
per l’Ambiente come
uno dei sistemi con
il maggiore impatto
sull’ambiente. In
che modo le risorse
idriche sono coinvolte
nelle varie fasi della
produzione agricola
e come è possibile
misurare e ridurre l’uso
effettivo dell’acqua?
Ne parliamo con
Maria Cristina Rulli,
professore associato
presso il Dipartimento
di Ingegneria
Idraulica, Ambientale,
Infrastrutture del
Politecnico di Milano e
con Luca Ruini, Health,
Safety, Environment
& Energy Director di
Barilla G. & R. Flli.
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Al di là del suo fondamentale
valore ecologico, l’acqua ha un
valore strategico complesso
e articolato che discende
dalla sua capacità, diretta ed
indiretta, di produrre ricchezza
e di contribuire a determinare
il livello di benessere delle
popolazioni che ne hanno il
controllo; non a caso, uno degli
indicatori utilizzati dall’Undp
(United Nations Development
Programme) per misurare il
livello di povertà umana è dato
proprio dalla percentuale della
popolazione che non ha accesso
all’acqua potabile. La domanda
di acqua nell’ultimo secolo è
cresciuta esponenzialmente. I
consumi idrici legati all’agricoltura
sono aumentati perché, a
fronte dell’incremento della
domanda mondiale di prodotti
agricoli, vengono da tempo
messi a coltura terreni in
aree caratterizzate da regimi
pluviometrici insufficienti a
sostenere l’attività agricola,
spesso sfruttando le acque
di falda o, addirittura, quelle
fossili come accade in alcune
aree desertiche. L’aumento dei
consumi è inoltre da attribuirsi
anche all’utilizzo di cultivar che
hanno si rese unitarie più elevate,
ma necessitano di grandi apporti
idrici, come evidenziato dalla
Società geografica italiana.
Con riferimento agli usi alimentari
della risorsa idrica diverse fonti
evidenziano che a determinare
l’incremento della domanda è
stata anche l’evoluzione che si è
registrata nella composizione dei
consumi alimentari con la sempre
più elevata incidenza di prodotti
di provenienza zootecnica (la
cosiddetta meat revolution), la cui
produzione comporta consumi
idrici superiori a quelli agricoli.
In base a quanto riportato nel
World ecosystem assessment
del 2005 realizzato da Unep
(United Nations Environment
Programme), tra il 1960 e il 2000
la domanda mondiale di acqua è
cresciuta di circa il 20% ogni 10
anni. Nelle previsioni formulate
dalle Nazioni unite nel World
water development report del
2012, viene sottolineato che la
domanda mondiale di acqua
potrebbe aumentare entro il 2025
di circa il 60% e superare le attuali
disponibilità di acqua dolce. Il
World Resource Institute segnala
che il rischio idrico appare elevato
e abbastanza elevato anche
in altre aree del pianeta, tra cui
l’Europa mediterranea, ed in
particolare nel nostro paese, le
aree del Salento orientale, della
Footprint
Sicilia sud-orientale, della Calabria
ionica e della Basilicata. Questo
quadro è ancora più preoccupante
se si pensa che la FAO (Food and
Agricolture Organization of United
Nations) ha calcolato che nel 2050,
a fronte di una popolazione prevista
di 9 miliardi di individui, la richiesta
mondiale di cibo aumenterà del
70% e il diffuso degrado (il 25%
della superficie agricola mondiale
è degradata) e la crescente
scarsità delle terre (il numero di
aree che hanno quasi raggiunto i
limiti della loro capacità produttiva
sta aumentando rapidamente)
e delle risorse idriche mettono a
rischio un gran numero di sistemi
di produzione alimentare in tutto
il mondo, costituendo una seria
minaccia alla possibilità d sfamare
tale popolazione. La stessa Unione
europea stima che nel 2030 ci sarà
il 40% di acqua in meno rispetto alla
richiesta e ad essere colpito sarà
soprattutto il settore agricolo.
Il Solaw (State of the World’s Land
and Water Resources for Food
and Agriculture) sottolinea che la
competizione per l’accesso all’acqua
e alle terre diverrà ‘pervasiva’,
anche all’interno dello stesso settore
agricolo (tra allevamento, colture
alimentari, colture non alimentari e
produzione di bio-combustibili).
Per sostenere il previsto aumento
della produzione mondiale
alimentare, sarà cruciale
incrementare l’efficienza nell’uso
delle risorse idriche a fini agricoli,
attraverso, ad esempio, una
strategia volta a migliorare i sistemi
di irrigazione (gestiti oggi al di sotto
delle loro potenzialità), combinando
investimenti in conoscenze tecniche
locali e tecnologie moderne con
una maggiore formazione degli
addetti. Non è un caso che la Politica
Agricola Comune dell’Unione
Europea (PAC) preveda investimenti
proprio volti alla riduzione dei
consumi idrici. Sarebbe inoltre
auspicabile anche l’adozione di
pratiche agricole innovative, come
l’agricoltura conservativa, le pratiche
agro-forestali, i sistemi integrati
di coltivazioni/allevamento e di
irrigazione/acquacoltura.
Naturalmente, benché il segmento
agricolo sia quello più interessato
da significativi consumi idrici, tutta la
filiera agroalimentare si pone come
obiettivo la riduzione dell’utilizzo della
risorsa idrica, non solo nell’ottica
della sostenibilità ambientale,
ma anche per promuovere la
competitività territoriale dell’azienda.
A fronte di tale quadro, l’obiettivo di
preservare le risorse idriche (save
water) e condividerle con tutte le
popolazioni del pianeta (share water)
non può non riguardare ciascun
individuo. Proprio per questo, per
meglio indirizzare le scelte tecnologie
e gestionali, nonché gli stili di vita
del singolo individuo, nell’ottica della
riduzione dei consumi idrici lungo
l’intera filiera agroalimentare, sono
stati recentemente introdotti nuovi
indicatori ed indici, prima tra tutti
l’impronta idrica (Water Footprint),
capaci di restituire informazioni
significative a fini decisionali e di
sensibilizzare il consumatore finale.
Parallelamente sono stati introdotti,
anche a livello italiano, strumenti
capaci di supportare le aziende
non solo nella fase di misura dei
consumi ma anche di pianificazione
degli interventi di efficientamento
tecnologico e gestionale (ad es.
la Regione Emilia-Romagna ha
partecipato ad un progetto Life+
Acqua che ha realizzato un kit
gratuito per tutte le imprese del
settore agroalimentare).
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Water Footprint, come sostenuto da
diversi autori [1] è molto importante
specificare lo spazio e il tempo,
questo perché la disponibilità di
acqua varia molto in funzione della
posizione geografica e può non
essere sempre la stessa nel tempo
(si pensi, ad esempio, alle diverse
condizioni in estate o in inverno,
dove i fiumi sono in secca o in
piena).
Figura 1 – Piramide alimentare (Barilla Center for Food and Nutrition, 2011).
In tale contesto, abbiamo chiesto
a Maria Cristina Rulli, professore
associato presso Diiar-Politecnico
di Milano, che da tempo si occupa
di Water Footprint e a Luca Ruini,
Health, Safety, Environment &
Energy Director di Barilla, che
ha partecipato a diverse ricerche
sul tema del risparmio idrico
lungo la filiera agroalimentare, di
rispondere a qualche domanda
proprio sul tema emergente della
Water Footprint e di indicarci anche
alcune delle BAT (Best Available
Tecniques) applicabili alla filiera.
Iniziamo subito chiedendo
se, vista l’esistenza delle
altre “Footprint”, Carbon
ed Ecological, era davvero
necessario introdurre anche la
Water?
Secondo Maria Cristina Rulli,
l’introduzione di una metrica
quale quella della Water
Footprint consente l’analisi e la
quantificazione dell’impatto della
produzione di un bene su di una
risorsa strategica e vitale quale
quella idrica. Il concetto di Water
Footprint è stato proposto come un
indicatore dell’uso dell’acqua, che
valuta sia il consumo diretto che
indiretto da parte di un utilizzatore
o un produttore di un bene. Spiega
inoltre che l’impronta idrica si può
calcolare sia per gruppi ben definiti
di consumatori (ad esempio una
singola persona, una famiglia, un
paese, una città, una provincia,
uno stato o nazione), sia per i
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produttori (ad esempio un ente
pubblico, un’impresa privata o un
intero settore economico) che per i
singoli prodotti. La Water Footprint
di un prodotto è il volume di acqua
dolce utilizzato per produrre il
bene, quest’ultimo misurato nel
luogo in cui tale bene è stato
effettivamente prodotto. Esso si
riferisce alla somma dei volumi di
acqua utilizzati nelle varie fasi della
catena produttiva e si misura in
termini di volume di acqua utilizzata
e/o inquinata per unità di tempo.
L’indicatore sviluppato tiene quindi
conto della “Green Water Footprint”
(acqua piovana infiltrata nel suolo e
a disposizione della vegetazione),
della “Blue Water Footprint’ (acqua
di falda o di superficie) e della “Grey
Water Footprint” (volume di acqua
inquinata associato alla produzione
di beni e servizi). Quest’ultimo
viene quantificato come il volume
di acqua dolce necessaria per
assimilare il carico inquinante
sulla base di norme idriche vigenti.
Nelle zone di carenza idrica la
conoscenza dell’impronta idrica di
un bene o servizio può pertanto
essere utile per ottimizzare l’utilizzo
delle scarse risorse disponibili.
“È importante definire se l’acqua
impiegata per la produzione di un
bene derivi dall’utilizzo di acqua
piovana (Green Water) o dal
prelievo di acqua di superficie o di
falda (Blue Water); la suddivisione
in questi due differenti indici è utile
poiché è possibile valutare l’impatto
del singolo prodotto sulla risorsa
idrica” conclude Maria Cristina Rulli.
Cercando di delineare il quadro
delle Footprint e quindi ribadire
l’opportunità di utilizzo della Water
Footprint, che è appunto parte di
una grande famiglia di indicatori
recentemente sviluppati, Luca
Ruini evidenzia che oggi viene
abitualmente utilizzato come
indicatore di riferimento il “Carbon
Footprint” (strettamente legato al
“Climate Change”), ma per una
valutazione complessiva e più
esaustiva, è preferibile non limitarsi
all’utilizzo di questo. Il concetto di
“impronta” in generale è diventato
noto come una misura quantitativa
che mostra l’utilizzo di risorse
naturali o la pressione dell’uomo
sull’ambiente: l’Ecological Footprint
è una misura dell’utilizzo di quanto
terreno biologicamente attivo
sia necessario alla produzione
di un bene o di un servizio (e si
misura in ettari globali); il Carbon
Footprint misura la quantità di gas
a effetto serra (GHG) prodotte
da un sistema, e si misura in
massa di CO2 equivalente (eq); il
Water Footprint, come detto dalla
Rulli, dà una stima del consumo
di acqua diretto e virtuale (e si
misura in volumi di acqua per
unità di tempo). I tre indicatori
sono quindi complementari, dal
momento che misurano cose
completamente diverse tra loro.
Metodologicamente, ci sono
alcune somiglianze tra le diverse
impronte, benché ognuna abbia le
sue peculiarità. Ad esempio per il
Appurato quindi che la Water
Footprint è indubbiamente
utile, chiediamo quali sono i
prodotti alimentari caratterizzati
da un valore maggiore di tale
indicatore?
Luca Ruini spiega che, poiché
come evidenziato in precedenza,
l’impronta idrica è un indicatore che
consente di calcolare l’uso di acqua,
prendendo in considerazione sia
l’utilizzo diretto che quello indiretto,
essa è in grado di tenere conto sia
dell’acqua contenuta che di quella
che è stata usata lungo l’intero
ciclo di vita. È questo un aspetto
molto importante se si pensa che
nel consumo idrico totale di un
individuo uno dei contributi più
importanti è il consumo d’acqua
legato all’alimentazione. In
particolare, l’85% circa dell’acqua
dolce è impiagata per la produzione
agricola (e animale), il 10% per la
produzione industriale e il 5% per il
consumo domestico. In generale,
i prodotti di origine animale hanno
un’impronta idrica maggiore rispetto
a quelli di origine vegetale, a causa
dell’acqua impiegata per produrre
i mangimi che vengono consumati
negli allevamenti. Sulla base dei
dati forniti dal Water Footprint
Network (WFN), ad esempio, la
Water Footprint media globale di
carne bovina è 15.400 litri/kg (dato
che dipende principalmente dalla
green water, pari al 94% del totale).
Ruini cita poi anche un esempio
al di fuori del mondo alimentare:
l’impronta idrica media globale
del cotone è di 10.000 litri per
chilogrammo; una camicia di
cotone da 250 grammi ha un water
footprint di circa 2.500 litri, un jeans
di 800 grammi di circa 8.000 litri
(dati medi globali). La percentuale
di acqua blu nell’impronta idrica
del cotone è piuttosto elevata (circa
il 33% sul valore medio globale),
perché spesso, a seconda della
zona di produzione, necessita di
irrigazione [2-4]. A completamento
del quadro, Maria Cristina Rulli, ci
conferma che per quanto attiene
l’impronta idrica dei prodotti
alimentari la carne bovina detiene il
primato del consumo idrico per unità
di peso, seguita dalla frutta oleosa,
gli oli vegetali e i formaggi. Rimanda
poi per il dettaglio dei singoli alimenti
all’impronta idrica della piramide
alimentare (Figura 1), realizzata dal
Barilla Center for Food and Nutrition.
Ma perchè la Water Footprint
è così rilevante per il settore
alimentare?
Secondo Luca Ruini dipende dal
fatto che i prodotti alimentari hanno
nella maggior parte dei casi origine
dalle filiere agricole, dove il ruolo
dell’acqua è fondamentale, essendo
il costituente principale delle piante,
alle quali arriva per irrigazione o
naturalmente con le precipitazioni.
Come detto precedentemente, si
stima che l’85% dell’acqua dolce
sia impiegata in agricoltura. La
Water Footprint, nel settore agricolo
è misura sia dell’acqua utilizzata
per l’irrigazione (blue water),
sia di quella proveniente dalle
precipitazioni ed evapotraspirata
dalle piante (green water), sia di
quella necessaria a ripristinare le
condizioni iniziali dei bacini idrici
contaminati dalle emissioni causate
dall’uso di fertilizzanti e fitofarmaci
(grey water). Per quanto riguarda
le filiere animali tale discorso è
ancora più importante perché nel
calcolo bisogna tener conto non solo
virtuale dal luogo di produzione a
quello di consumo. Il commercio
dell’acqua virtuale è un meccanismo
tramite il quale si può attuare una
ridistribuzione delle risorse idriche
e quindi di cibo, rendendo possibile
che Paesi ove la risorsa idrica ed
alimentare è scarsa possano avere
ciò di cui abbisognano.
“La crisi alimentare del 2008 conclude Maria Cristina Rulli - ha
evidenziato la prossimità dei limiti
di risorse naturali nella quale ci
troviamo ad operare: essa ha infatti
prodotto un vertiginoso aumento
dei prezzi alimentari, una politica
dell’acqua che l’animale ha bevuto,
protezionista dei Paesi esportatori,
ma anche dell’acqua impiegata per
una crisi nei Paesi importatori e
la coltivazione dei cereali consumati un conseguente aumento della
come mangime. Per questo la Water popolazione affetta da malnutrizione
Footprint finale dei prodotti di origine (oltre un miliardo). Tale crisi, nonché
animale risulta elevata.
gli episodi di instabilità politica
Anche Maria Cristina Rulli conferma che ne seguirono nel 2010-11,
il fatto che la maggior parte
suggeriscono che la crescente
dell’attuale utilizzo di risorsa idrica
domanda di acqua e cibo hanno
dolce attiene alla produzione agricola eroso la capacità di resilienza della
(circa l’85% a scala mondiale),
società verso le calamità naturali,
mentre solo una piccola frazione
diminuendo la sicurezza alimentare,
di acqua viene utilizzata per uso
e che una soluzione urgente per
domestico (≈ 5%) o usi industriali
assicurare la sicurezza alimentare
(≈ 10%), come già evidenziato
nei Paesi dipendenti dall’importazioni
anche da Luca Ruini. Poiché tutta
si rende necessaria”.
la produzione alimentare dipende
direttamente o indirettamente
Se dunque la Water Footprint
dall’agricoltura, nel complesso
è così rilevante per il settore
l’alimentazione dell’umanità richiede alimentare, in che modo posso
più acqua di quanta ne richieda il
usare le indicazioni che ne
soddisfacimento della sua sete.
derivano per ridurre i consumi
Maria Cristina Rulli ci conferma
idrici?
che vi è una certa preoccupazione
Luca Ruini spiega, con riferimento
legata al fatto che nei prossimi
alla Water Footprint diretta, che
decenni le risorse di acqua dolce
il comportamento quotidiano e le
disponibili sulla Terra potrebbero
abitudini cui si è soliti, possono
non essere sufficienti a soddisfare
portare a sprecare più o meno
la crescente domanda di cibo,
acqua. Siccome è una risorsa che
fibre e biocarburanti. Ci si chiede
nei prossimi anni sarà sempre più
quindi se l’uomo sia in procinto di
scarsa, nonché trattata come un
affrontare una grave crisi idrica. La
bene economico, è molto importante
Rulli prosegue spiegando che negli
seguire pochi semplici gesti
ultimi decenni l’intensificazione del
quotidiani utili a risparmiare l’acqua,
commercio mondiale ha consentito
riducendo il consumo diretto di
ad alcune società di poter fare
questa risorsa. Alcuni esempi sono i
affidamento su prodotti alimentari
seguenti: utilizzare miscelatori di aria
importati da altri Paesi, in tal
nei rubinetti e nelle docce, utilizzare
modo utilizzando virtualmente le
un sistema a doppio pulsante di
risorse idriche disponibili nei Paesi
scarico per i servizi igienici, chiudere
esportatori e quantificate attraverso
il rubinetto quando non serve. Per
l’impronta idrica dei prodotti
ridurre l’impronta idrica indiretta di un
importati. Il commercio di prodotti
consumatore, invece, generalmente
alimentari e altre merci è infatti
molto più grande di quella diretta, un
associato ad un trasporto di acqua
consumatore può agire sostituendo
un prodotto abitualmente utilizzato
e caratterizzato da una Water
Footprint molto alta, con un
prodotto analogo che ad esempio
provenga da un luogo di produzione
differente, caratterizzato da una
impronta idrica più bassa. Questo
approccio di scelta richiede, tuttavia,
che i consumatori abbiano a
disposizione informazioni corrette
e complete: quando disponibili, i
consumatori possono compiere
scelte consapevoli. Proprio per
questo è importante il concetto di
impronta idrica [1, 5]. Maria Cristina
Rulli completa il quadro enfatizzando
il fatto che l’impronta idrica di un
prodotto, indicando la quantità
d’acqua necessaria alla produzione
del bene, è strettamente legata alla
zona di produzione del prodotto
stesso e cioè alle caratteristiche
climatiche e geopedologiche.
La valutazione di tale indicatore
nelle diverse condizioni meteogeopedologiche e l’analisi dello
stesso può essere d’ausilio
all’individuazione di zone idonee
ad una produzione sostenibile (dal
punto di vista della risorsa idrica) di
certi prodotti. Per quanto attiene il
nostro territorio nazionale i risultati
di una ricerca svolta dal gruppo
di ricerca cui appartengo presso
il Politecnico di Milano mostrano
come i prodotti alimentari italiani
fregiantisi dei marchi di alta qualità
(DOP, DOCG, DOC) siano anche
notevolmente sostenibili per quanto
attiene il loro impatto sulla risorsa
idrica [6].
Quali sono le BAT applicabili
considerando l’intero ciclo di vita
dei prodotti al fine di ridurre i
consumi idrici?
Se consideriamo il segmento
agricolo, secondo Inea si possono
abbassare almeno del 20% i
consumi di acqua per irrigazione
in agricoltura, settore che abbiamo
visto assorbe circa il 90% della
risorsa nazionale, usando tecnologie
come i sistemi informativi geografici
(Gis) abbinati a satelliti per il
telerilevamento e ad opportuni
modelli matematici.
Anche l’utilizzo di sistemi di
irrigazione a goccia con sistema di
controllo centralizzato e l’impiego
di sensori di rilevamento pioggia
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sono tra le tecnologie identificate
preferenzialmente per alcuni tipi di
colture. Naturalmente, per sfruttare
al meglio le potenzialità offerte da
questo metodo irriguo, occorre
disporre di un impianto di irrigazione
adeguato ed attuare una appropriata
tecnica irrigua volta ad evitare la
disuniformità di erogazione (che
rappresenta spesso la principale
causa di inefficienza). Gli impianti
si differenziano, ovviamente, in
relazione alla coltura, alla tecnica
colturale, alla forma e giacitura degli
appezzamenti, alle caratteristiche
pedologiche del terreno, nonché al
contesto aziendale.
C’è poi tutto il filone delle tecnologie
che operano per rendere riutilizzabile
in agricoltura la risorsa idrica dopo
opportuni trattamenti in impianti
specificatamente deputati al
trattamento delle acque reflue,
anche se secondo la FAO tale
pratica non è attualmente diffusa
quanto dovrebbe. Si rimanda a tal
proposito ad una tavola rotonda
uscita su Energie & Ambiente Oggi,
2013, 10, 42.
Infine, anche nell’ambito degli
stabilimenti produttivi del settore
alimentare, le aziende più
lungimiranti hanno iniziato ad
adottare soluzioni avanzate per
ridurre i consumi idrici, in quanto
hanno capito che non si tratta
solo di una scelta etica, ma di un
approccio che consente risparmi
concreti e ritorni di immagine
considerevoli, come si evince da
diversi rapporti per la sostenibilità
redatti da grandi multinazionali del
settore. In particolare, localizzati
i flussi d’acqua nell’impianto,
valutate qualità e portate, vengono
poi adottate le soluzioni per il
trattamento dell’acqua industriale
che possano concretizzare gli
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obiettivi di risparmio idrico (con
spesso anche riduzioni dei consumi
energetici e delle sostanze chimiche
impiegate), tra cui si annoverano:
i) le tecnologie per il recupero
della salamoia, che consentono
una riduzione delle quantità di
acqua e sale necessarie per i cicli
di rigenerazione nell’addolcitore
(per i produttori alimentari che già
dispongono di un’unità ad osmosi
inversa o nanofiltro l’apporto di una
tecnologia per il recupero della
salamoia può ridurre la quantità
di acque di scarico fino al 60%,
restituendo acqua utilizzabile per
altre applicazioni), ii) l’osmosi inversa
per il trattamento dell’acqua della
caldaia, con riduzione dell’acqua
di spurgo (e anche risparmio di
energia), iii) le miscele ossidanti
usate per l’ossidazione dei biocidi,
con conseguente eliminazione
dell’impiego di prodotti chimici
pericolosi usati come disinfettati,
ad esempio l‘ipoclorito di sodio
(tra le applicazioni: operazioni di
pulizia in circuito chiuso, lavaggio
di bottiglie, lavaggio dell’intera linea
delle bevande con impiego di acqua
fredda e conseguente risparmio
anche di energia), iv) il recupero
delle acque grigie provenienti
da determinati flussi di scarico,
che dopo opportuno trattamento
possono essere riutilizzate per
operazioni secondarie.
Luca Ruini spiega che per quanto
riguarda la fase agricola la green
Water Footprint è condizionata
dal clima dell’areale in cui viene
effettuata la coltivazione, mentre
la blue e la grey water possono
essere ridotte tramite l’adozione di
tecnologie efficienti. In particolare
per la riduzione della blue water è
opportuno utilizzare il sistema più
efficiente per la specifica coltura:
non sempre sarà possibile adottare
l’irrigazione a goccia (meglio se
sotterranea) ma ad esempio per
alcune colture sarà opportuno non
irrigare a scorrimento ma utilizzare
tecnologie che comportino il minor
consumo di acqua possibile. Inoltre,
nella fase agricola, può risultare
di estrema importanza l’attività
di sviluppo di varietà di sementi
in relazione all’adattabilità del
territorio; Barilla, nel caso specifico,
ha sviluppato una varietà di grano
duro di alta qualità (Aureo) adatta
per essere coltivata nel Centro Sud
Italia, ma qualitativamente simile
alle varietà coltivate nei territori
desertici del Sud Ovest degli USA,
tra le migliori al mondo. Il grano duro
Aureo, rispetto al grano americano,
ha un grande vantaggio: non
richiede di essere irrigato. Questa
scelta nel 2012 ha consentito
di risparmiare circa 35 milioni di
metri cubi di acqua. Per quanto
riguarda invece la fase di production
(stabilimento) Luca Ruini conferma
che sono applicabili diverse BAT per
la riduzione dei consumi idrici, che
vanno dalla misurazione sistematica
e capillare dei consumi, al fine di
individuare sprechi e inefficienze,
al recupero delle acque scaricate,
come ad esempio quelle provenienti
dagli impianti di depurazione per
utilizzi tecnologici.
Che ruolo hanno gli OGM nel
settore agroalimentare per la
riduzione dei fabbisogni idrici.
“Le prime varietà di mais
geneticamente modificato per
resistere a stress idrici - afferma
Ruini - si sono da poco affacciate sul
mercato. Queste non permetteranno
di ridurre strutturalmente la quantità
d’acqua richiesta per avere un buon
raccolto di mais, ma sembrano
promettere nelle annate siccitose un
miglior raccolto: sarà l’esperienza
sul campo a confermare o meno
le speranze riposte in questo tipo
di varietà. Il vero tema però non è
quello di sviluppare varietà resistenti
agli stress idrici, ma quello di
coltivare varietà di cereali che hanno
bisogno di poca acqua in quelle
aree dove l’acqua risulta scarsa,
lasciando varietà esigenti (come il
mais) nelle geografie dove l’acqua
è abbondante”. Ruini conclude
ricordando che le varietà OGM oggi
sul mercato prevedono l’adozione
di un modello di agricoltura che
richiede, purtroppo, un elevato uso di
risorse idriche e sostanze chimiche.
Bibliografia
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et al. “The water footprint
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the global standard” 2011,
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[4] M.M. Mekonnen, A.Y.
Hoekstra, “The green, blue and
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derived crop products”, Value of
Water Research Report Series
No.47, 2010, Unesco-IHE, Delft,
The Netherlands.
[5] Barilla Center for Food and
Nutrition, www.barillacfn.com/
wp-content/uploads/2012/07/
PP_watereconomy_it.pdf
[6] M.C. Rulli, A. Veroni, R.
Rosso “Impronta idrica e
sostenibilità ambientale dei
prodotti alimentari italiani a
marchio DOP, DOC, DOCG, in
L’acqua che mangiamo”, Edizioni
Ambiente, 2013.