Il ruolo dElla WatEr
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Il ruolo dElla WatEr
IMPRONTA ALIMENTARE Il ruolo della Water e le tecnologie a disposizione Eleonora Perotto Il sistema agroalimentare viene indicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente come uno dei sistemi con il maggiore impatto sull’ambiente. In che modo le risorse idriche sono coinvolte nelle varie fasi della produzione agricola e come è possibile misurare e ridurre l’uso effettivo dell’acqua? Ne parliamo con Maria Cristina Rulli, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale, Infrastrutture del Politecnico di Milano e con Luca Ruini, Health, Safety, Environment & Energy Director di Barilla G. & R. Flli. 36 n.13 marzo 2014 Al di là del suo fondamentale valore ecologico, l’acqua ha un valore strategico complesso e articolato che discende dalla sua capacità, diretta ed indiretta, di produrre ricchezza e di contribuire a determinare il livello di benessere delle popolazioni che ne hanno il controllo; non a caso, uno degli indicatori utilizzati dall’Undp (United Nations Development Programme) per misurare il livello di povertà umana è dato proprio dalla percentuale della popolazione che non ha accesso all’acqua potabile. La domanda di acqua nell’ultimo secolo è cresciuta esponenzialmente. I consumi idrici legati all’agricoltura sono aumentati perché, a fronte dell’incremento della domanda mondiale di prodotti agricoli, vengono da tempo messi a coltura terreni in aree caratterizzate da regimi pluviometrici insufficienti a sostenere l’attività agricola, spesso sfruttando le acque di falda o, addirittura, quelle fossili come accade in alcune aree desertiche. L’aumento dei consumi è inoltre da attribuirsi anche all’utilizzo di cultivar che hanno si rese unitarie più elevate, ma necessitano di grandi apporti idrici, come evidenziato dalla Società geografica italiana. Con riferimento agli usi alimentari della risorsa idrica diverse fonti evidenziano che a determinare l’incremento della domanda è stata anche l’evoluzione che si è registrata nella composizione dei consumi alimentari con la sempre più elevata incidenza di prodotti di provenienza zootecnica (la cosiddetta meat revolution), la cui produzione comporta consumi idrici superiori a quelli agricoli. In base a quanto riportato nel World ecosystem assessment del 2005 realizzato da Unep (United Nations Environment Programme), tra il 1960 e il 2000 la domanda mondiale di acqua è cresciuta di circa il 20% ogni 10 anni. Nelle previsioni formulate dalle Nazioni unite nel World water development report del 2012, viene sottolineato che la domanda mondiale di acqua potrebbe aumentare entro il 2025 di circa il 60% e superare le attuali disponibilità di acqua dolce. Il World Resource Institute segnala che il rischio idrico appare elevato e abbastanza elevato anche in altre aree del pianeta, tra cui l’Europa mediterranea, ed in particolare nel nostro paese, le aree del Salento orientale, della Footprint Sicilia sud-orientale, della Calabria ionica e della Basilicata. Questo quadro è ancora più preoccupante se si pensa che la FAO (Food and Agricolture Organization of United Nations) ha calcolato che nel 2050, a fronte di una popolazione prevista di 9 miliardi di individui, la richiesta mondiale di cibo aumenterà del 70% e il diffuso degrado (il 25% della superficie agricola mondiale è degradata) e la crescente scarsità delle terre (il numero di aree che hanno quasi raggiunto i limiti della loro capacità produttiva sta aumentando rapidamente) e delle risorse idriche mettono a rischio un gran numero di sistemi di produzione alimentare in tutto il mondo, costituendo una seria minaccia alla possibilità d sfamare tale popolazione. La stessa Unione europea stima che nel 2030 ci sarà il 40% di acqua in meno rispetto alla richiesta e ad essere colpito sarà soprattutto il settore agricolo. Il Solaw (State of the World’s Land and Water Resources for Food and Agriculture) sottolinea che la competizione per l’accesso all’acqua e alle terre diverrà ‘pervasiva’, anche all’interno dello stesso settore agricolo (tra allevamento, colture alimentari, colture non alimentari e produzione di bio-combustibili). Per sostenere il previsto aumento della produzione mondiale alimentare, sarà cruciale incrementare l’efficienza nell’uso delle risorse idriche a fini agricoli, attraverso, ad esempio, una strategia volta a migliorare i sistemi di irrigazione (gestiti oggi al di sotto delle loro potenzialità), combinando investimenti in conoscenze tecniche locali e tecnologie moderne con una maggiore formazione degli addetti. Non è un caso che la Politica Agricola Comune dell’Unione Europea (PAC) preveda investimenti proprio volti alla riduzione dei consumi idrici. Sarebbe inoltre auspicabile anche l’adozione di pratiche agricole innovative, come l’agricoltura conservativa, le pratiche agro-forestali, i sistemi integrati di coltivazioni/allevamento e di irrigazione/acquacoltura. Naturalmente, benché il segmento agricolo sia quello più interessato da significativi consumi idrici, tutta la filiera agroalimentare si pone come obiettivo la riduzione dell’utilizzo della risorsa idrica, non solo nell’ottica della sostenibilità ambientale, ma anche per promuovere la competitività territoriale dell’azienda. A fronte di tale quadro, l’obiettivo di preservare le risorse idriche (save water) e condividerle con tutte le popolazioni del pianeta (share water) non può non riguardare ciascun individuo. Proprio per questo, per meglio indirizzare le scelte tecnologie e gestionali, nonché gli stili di vita del singolo individuo, nell’ottica della riduzione dei consumi idrici lungo l’intera filiera agroalimentare, sono stati recentemente introdotti nuovi indicatori ed indici, prima tra tutti l’impronta idrica (Water Footprint), capaci di restituire informazioni significative a fini decisionali e di sensibilizzare il consumatore finale. Parallelamente sono stati introdotti, anche a livello italiano, strumenti capaci di supportare le aziende non solo nella fase di misura dei consumi ma anche di pianificazione degli interventi di efficientamento tecnologico e gestionale (ad es. la Regione Emilia-Romagna ha partecipato ad un progetto Life+ Acqua che ha realizzato un kit gratuito per tutte le imprese del settore agroalimentare). n.13 marzo 2014 37 IMPRONTA ALIMENTARE Water Footprint, come sostenuto da diversi autori [1] è molto importante specificare lo spazio e il tempo, questo perché la disponibilità di acqua varia molto in funzione della posizione geografica e può non essere sempre la stessa nel tempo (si pensi, ad esempio, alle diverse condizioni in estate o in inverno, dove i fiumi sono in secca o in piena). Figura 1 – Piramide alimentare (Barilla Center for Food and Nutrition, 2011). In tale contesto, abbiamo chiesto a Maria Cristina Rulli, professore associato presso Diiar-Politecnico di Milano, che da tempo si occupa di Water Footprint e a Luca Ruini, Health, Safety, Environment & Energy Director di Barilla, che ha partecipato a diverse ricerche sul tema del risparmio idrico lungo la filiera agroalimentare, di rispondere a qualche domanda proprio sul tema emergente della Water Footprint e di indicarci anche alcune delle BAT (Best Available Tecniques) applicabili alla filiera. Iniziamo subito chiedendo se, vista l’esistenza delle altre “Footprint”, Carbon ed Ecological, era davvero necessario introdurre anche la Water? Secondo Maria Cristina Rulli, l’introduzione di una metrica quale quella della Water Footprint consente l’analisi e la quantificazione dell’impatto della produzione di un bene su di una risorsa strategica e vitale quale quella idrica. Il concetto di Water Footprint è stato proposto come un indicatore dell’uso dell’acqua, che valuta sia il consumo diretto che indiretto da parte di un utilizzatore o un produttore di un bene. Spiega inoltre che l’impronta idrica si può calcolare sia per gruppi ben definiti di consumatori (ad esempio una singola persona, una famiglia, un paese, una città, una provincia, uno stato o nazione), sia per i 38 n.13 marzo 2014 produttori (ad esempio un ente pubblico, un’impresa privata o un intero settore economico) che per i singoli prodotti. La Water Footprint di un prodotto è il volume di acqua dolce utilizzato per produrre il bene, quest’ultimo misurato nel luogo in cui tale bene è stato effettivamente prodotto. Esso si riferisce alla somma dei volumi di acqua utilizzati nelle varie fasi della catena produttiva e si misura in termini di volume di acqua utilizzata e/o inquinata per unità di tempo. L’indicatore sviluppato tiene quindi conto della “Green Water Footprint” (acqua piovana infiltrata nel suolo e a disposizione della vegetazione), della “Blue Water Footprint’ (acqua di falda o di superficie) e della “Grey Water Footprint” (volume di acqua inquinata associato alla produzione di beni e servizi). Quest’ultimo viene quantificato come il volume di acqua dolce necessaria per assimilare il carico inquinante sulla base di norme idriche vigenti. Nelle zone di carenza idrica la conoscenza dell’impronta idrica di un bene o servizio può pertanto essere utile per ottimizzare l’utilizzo delle scarse risorse disponibili. “È importante definire se l’acqua impiegata per la produzione di un bene derivi dall’utilizzo di acqua piovana (Green Water) o dal prelievo di acqua di superficie o di falda (Blue Water); la suddivisione in questi due differenti indici è utile poiché è possibile valutare l’impatto del singolo prodotto sulla risorsa idrica” conclude Maria Cristina Rulli. Cercando di delineare il quadro delle Footprint e quindi ribadire l’opportunità di utilizzo della Water Footprint, che è appunto parte di una grande famiglia di indicatori recentemente sviluppati, Luca Ruini evidenzia che oggi viene abitualmente utilizzato come indicatore di riferimento il “Carbon Footprint” (strettamente legato al “Climate Change”), ma per una valutazione complessiva e più esaustiva, è preferibile non limitarsi all’utilizzo di questo. Il concetto di “impronta” in generale è diventato noto come una misura quantitativa che mostra l’utilizzo di risorse naturali o la pressione dell’uomo sull’ambiente: l’Ecological Footprint è una misura dell’utilizzo di quanto terreno biologicamente attivo sia necessario alla produzione di un bene o di un servizio (e si misura in ettari globali); il Carbon Footprint misura la quantità di gas a effetto serra (GHG) prodotte da un sistema, e si misura in massa di CO2 equivalente (eq); il Water Footprint, come detto dalla Rulli, dà una stima del consumo di acqua diretto e virtuale (e si misura in volumi di acqua per unità di tempo). I tre indicatori sono quindi complementari, dal momento che misurano cose completamente diverse tra loro. Metodologicamente, ci sono alcune somiglianze tra le diverse impronte, benché ognuna abbia le sue peculiarità. Ad esempio per il Appurato quindi che la Water Footprint è indubbiamente utile, chiediamo quali sono i prodotti alimentari caratterizzati da un valore maggiore di tale indicatore? Luca Ruini spiega che, poiché come evidenziato in precedenza, l’impronta idrica è un indicatore che consente di calcolare l’uso di acqua, prendendo in considerazione sia l’utilizzo diretto che quello indiretto, essa è in grado di tenere conto sia dell’acqua contenuta che di quella che è stata usata lungo l’intero ciclo di vita. È questo un aspetto molto importante se si pensa che nel consumo idrico totale di un individuo uno dei contributi più importanti è il consumo d’acqua legato all’alimentazione. In particolare, l’85% circa dell’acqua dolce è impiagata per la produzione agricola (e animale), il 10% per la produzione industriale e il 5% per il consumo domestico. In generale, i prodotti di origine animale hanno un’impronta idrica maggiore rispetto a quelli di origine vegetale, a causa dell’acqua impiegata per produrre i mangimi che vengono consumati negli allevamenti. Sulla base dei dati forniti dal Water Footprint Network (WFN), ad esempio, la Water Footprint media globale di carne bovina è 15.400 litri/kg (dato che dipende principalmente dalla green water, pari al 94% del totale). Ruini cita poi anche un esempio al di fuori del mondo alimentare: l’impronta idrica media globale del cotone è di 10.000 litri per chilogrammo; una camicia di cotone da 250 grammi ha un water footprint di circa 2.500 litri, un jeans di 800 grammi di circa 8.000 litri (dati medi globali). La percentuale di acqua blu nell’impronta idrica del cotone è piuttosto elevata (circa il 33% sul valore medio globale), perché spesso, a seconda della zona di produzione, necessita di irrigazione [2-4]. A completamento del quadro, Maria Cristina Rulli, ci conferma che per quanto attiene l’impronta idrica dei prodotti alimentari la carne bovina detiene il primato del consumo idrico per unità di peso, seguita dalla frutta oleosa, gli oli vegetali e i formaggi. Rimanda poi per il dettaglio dei singoli alimenti all’impronta idrica della piramide alimentare (Figura 1), realizzata dal Barilla Center for Food and Nutrition. Ma perchè la Water Footprint è così rilevante per il settore alimentare? Secondo Luca Ruini dipende dal fatto che i prodotti alimentari hanno nella maggior parte dei casi origine dalle filiere agricole, dove il ruolo dell’acqua è fondamentale, essendo il costituente principale delle piante, alle quali arriva per irrigazione o naturalmente con le precipitazioni. Come detto precedentemente, si stima che l’85% dell’acqua dolce sia impiegata in agricoltura. La Water Footprint, nel settore agricolo è misura sia dell’acqua utilizzata per l’irrigazione (blue water), sia di quella proveniente dalle precipitazioni ed evapotraspirata dalle piante (green water), sia di quella necessaria a ripristinare le condizioni iniziali dei bacini idrici contaminati dalle emissioni causate dall’uso di fertilizzanti e fitofarmaci (grey water). Per quanto riguarda le filiere animali tale discorso è ancora più importante perché nel calcolo bisogna tener conto non solo virtuale dal luogo di produzione a quello di consumo. Il commercio dell’acqua virtuale è un meccanismo tramite il quale si può attuare una ridistribuzione delle risorse idriche e quindi di cibo, rendendo possibile che Paesi ove la risorsa idrica ed alimentare è scarsa possano avere ciò di cui abbisognano. “La crisi alimentare del 2008 conclude Maria Cristina Rulli - ha evidenziato la prossimità dei limiti di risorse naturali nella quale ci troviamo ad operare: essa ha infatti prodotto un vertiginoso aumento dei prezzi alimentari, una politica dell’acqua che l’animale ha bevuto, protezionista dei Paesi esportatori, ma anche dell’acqua impiegata per una crisi nei Paesi importatori e la coltivazione dei cereali consumati un conseguente aumento della come mangime. Per questo la Water popolazione affetta da malnutrizione Footprint finale dei prodotti di origine (oltre un miliardo). Tale crisi, nonché animale risulta elevata. gli episodi di instabilità politica Anche Maria Cristina Rulli conferma che ne seguirono nel 2010-11, il fatto che la maggior parte suggeriscono che la crescente dell’attuale utilizzo di risorsa idrica domanda di acqua e cibo hanno dolce attiene alla produzione agricola eroso la capacità di resilienza della (circa l’85% a scala mondiale), società verso le calamità naturali, mentre solo una piccola frazione diminuendo la sicurezza alimentare, di acqua viene utilizzata per uso e che una soluzione urgente per domestico (≈ 5%) o usi industriali assicurare la sicurezza alimentare (≈ 10%), come già evidenziato nei Paesi dipendenti dall’importazioni anche da Luca Ruini. Poiché tutta si rende necessaria”. la produzione alimentare dipende direttamente o indirettamente Se dunque la Water Footprint dall’agricoltura, nel complesso è così rilevante per il settore l’alimentazione dell’umanità richiede alimentare, in che modo posso più acqua di quanta ne richieda il usare le indicazioni che ne soddisfacimento della sua sete. derivano per ridurre i consumi Maria Cristina Rulli ci conferma idrici? che vi è una certa preoccupazione Luca Ruini spiega, con riferimento legata al fatto che nei prossimi alla Water Footprint diretta, che decenni le risorse di acqua dolce il comportamento quotidiano e le disponibili sulla Terra potrebbero abitudini cui si è soliti, possono non essere sufficienti a soddisfare portare a sprecare più o meno la crescente domanda di cibo, acqua. Siccome è una risorsa che fibre e biocarburanti. Ci si chiede nei prossimi anni sarà sempre più quindi se l’uomo sia in procinto di scarsa, nonché trattata come un affrontare una grave crisi idrica. La bene economico, è molto importante Rulli prosegue spiegando che negli seguire pochi semplici gesti ultimi decenni l’intensificazione del quotidiani utili a risparmiare l’acqua, commercio mondiale ha consentito riducendo il consumo diretto di ad alcune società di poter fare questa risorsa. Alcuni esempi sono i affidamento su prodotti alimentari seguenti: utilizzare miscelatori di aria importati da altri Paesi, in tal nei rubinetti e nelle docce, utilizzare modo utilizzando virtualmente le un sistema a doppio pulsante di risorse idriche disponibili nei Paesi scarico per i servizi igienici, chiudere esportatori e quantificate attraverso il rubinetto quando non serve. Per l’impronta idrica dei prodotti ridurre l’impronta idrica indiretta di un importati. Il commercio di prodotti consumatore, invece, generalmente alimentari e altre merci è infatti molto più grande di quella diretta, un associato ad un trasporto di acqua consumatore può agire sostituendo un prodotto abitualmente utilizzato e caratterizzato da una Water Footprint molto alta, con un prodotto analogo che ad esempio provenga da un luogo di produzione differente, caratterizzato da una impronta idrica più bassa. Questo approccio di scelta richiede, tuttavia, che i consumatori abbiano a disposizione informazioni corrette e complete: quando disponibili, i consumatori possono compiere scelte consapevoli. Proprio per questo è importante il concetto di impronta idrica [1, 5]. Maria Cristina Rulli completa il quadro enfatizzando il fatto che l’impronta idrica di un prodotto, indicando la quantità d’acqua necessaria alla produzione del bene, è strettamente legata alla zona di produzione del prodotto stesso e cioè alle caratteristiche climatiche e geopedologiche. La valutazione di tale indicatore nelle diverse condizioni meteogeopedologiche e l’analisi dello stesso può essere d’ausilio all’individuazione di zone idonee ad una produzione sostenibile (dal punto di vista della risorsa idrica) di certi prodotti. Per quanto attiene il nostro territorio nazionale i risultati di una ricerca svolta dal gruppo di ricerca cui appartengo presso il Politecnico di Milano mostrano come i prodotti alimentari italiani fregiantisi dei marchi di alta qualità (DOP, DOCG, DOC) siano anche notevolmente sostenibili per quanto attiene il loro impatto sulla risorsa idrica [6]. Quali sono le BAT applicabili considerando l’intero ciclo di vita dei prodotti al fine di ridurre i consumi idrici? Se consideriamo il segmento agricolo, secondo Inea si possono abbassare almeno del 20% i consumi di acqua per irrigazione in agricoltura, settore che abbiamo visto assorbe circa il 90% della risorsa nazionale, usando tecnologie come i sistemi informativi geografici (Gis) abbinati a satelliti per il telerilevamento e ad opportuni modelli matematici. Anche l’utilizzo di sistemi di irrigazione a goccia con sistema di controllo centralizzato e l’impiego di sensori di rilevamento pioggia n.13 marzo 2014 39 IMPRONTA ALIMENTARE sono tra le tecnologie identificate preferenzialmente per alcuni tipi di colture. Naturalmente, per sfruttare al meglio le potenzialità offerte da questo metodo irriguo, occorre disporre di un impianto di irrigazione adeguato ed attuare una appropriata tecnica irrigua volta ad evitare la disuniformità di erogazione (che rappresenta spesso la principale causa di inefficienza). Gli impianti si differenziano, ovviamente, in relazione alla coltura, alla tecnica colturale, alla forma e giacitura degli appezzamenti, alle caratteristiche pedologiche del terreno, nonché al contesto aziendale. C’è poi tutto il filone delle tecnologie che operano per rendere riutilizzabile in agricoltura la risorsa idrica dopo opportuni trattamenti in impianti specificatamente deputati al trattamento delle acque reflue, anche se secondo la FAO tale pratica non è attualmente diffusa quanto dovrebbe. Si rimanda a tal proposito ad una tavola rotonda uscita su Energie & Ambiente Oggi, 2013, 10, 42. Infine, anche nell’ambito degli stabilimenti produttivi del settore alimentare, le aziende più lungimiranti hanno iniziato ad adottare soluzioni avanzate per ridurre i consumi idrici, in quanto hanno capito che non si tratta solo di una scelta etica, ma di un approccio che consente risparmi concreti e ritorni di immagine considerevoli, come si evince da diversi rapporti per la sostenibilità redatti da grandi multinazionali del settore. In particolare, localizzati i flussi d’acqua nell’impianto, valutate qualità e portate, vengono poi adottate le soluzioni per il trattamento dell’acqua industriale che possano concretizzare gli 40 n.13 marzo 2014 obiettivi di risparmio idrico (con spesso anche riduzioni dei consumi energetici e delle sostanze chimiche impiegate), tra cui si annoverano: i) le tecnologie per il recupero della salamoia, che consentono una riduzione delle quantità di acqua e sale necessarie per i cicli di rigenerazione nell’addolcitore (per i produttori alimentari che già dispongono di un’unità ad osmosi inversa o nanofiltro l’apporto di una tecnologia per il recupero della salamoia può ridurre la quantità di acque di scarico fino al 60%, restituendo acqua utilizzabile per altre applicazioni), ii) l’osmosi inversa per il trattamento dell’acqua della caldaia, con riduzione dell’acqua di spurgo (e anche risparmio di energia), iii) le miscele ossidanti usate per l’ossidazione dei biocidi, con conseguente eliminazione dell’impiego di prodotti chimici pericolosi usati come disinfettati, ad esempio l‘ipoclorito di sodio (tra le applicazioni: operazioni di pulizia in circuito chiuso, lavaggio di bottiglie, lavaggio dell’intera linea delle bevande con impiego di acqua fredda e conseguente risparmio anche di energia), iv) il recupero delle acque grigie provenienti da determinati flussi di scarico, che dopo opportuno trattamento possono essere riutilizzate per operazioni secondarie. Luca Ruini spiega che per quanto riguarda la fase agricola la green Water Footprint è condizionata dal clima dell’areale in cui viene effettuata la coltivazione, mentre la blue e la grey water possono essere ridotte tramite l’adozione di tecnologie efficienti. In particolare per la riduzione della blue water è opportuno utilizzare il sistema più efficiente per la specifica coltura: non sempre sarà possibile adottare l’irrigazione a goccia (meglio se sotterranea) ma ad esempio per alcune colture sarà opportuno non irrigare a scorrimento ma utilizzare tecnologie che comportino il minor consumo di acqua possibile. Inoltre, nella fase agricola, può risultare di estrema importanza l’attività di sviluppo di varietà di sementi in relazione all’adattabilità del territorio; Barilla, nel caso specifico, ha sviluppato una varietà di grano duro di alta qualità (Aureo) adatta per essere coltivata nel Centro Sud Italia, ma qualitativamente simile alle varietà coltivate nei territori desertici del Sud Ovest degli USA, tra le migliori al mondo. Il grano duro Aureo, rispetto al grano americano, ha un grande vantaggio: non richiede di essere irrigato. Questa scelta nel 2012 ha consentito di risparmiare circa 35 milioni di metri cubi di acqua. Per quanto riguarda invece la fase di production (stabilimento) Luca Ruini conferma che sono applicabili diverse BAT per la riduzione dei consumi idrici, che vanno dalla misurazione sistematica e capillare dei consumi, al fine di individuare sprechi e inefficienze, al recupero delle acque scaricate, come ad esempio quelle provenienti dagli impianti di depurazione per utilizzi tecnologici. Che ruolo hanno gli OGM nel settore agroalimentare per la riduzione dei fabbisogni idrici. “Le prime varietà di mais geneticamente modificato per resistere a stress idrici - afferma Ruini - si sono da poco affacciate sul mercato. Queste non permetteranno di ridurre strutturalmente la quantità d’acqua richiesta per avere un buon raccolto di mais, ma sembrano promettere nelle annate siccitose un miglior raccolto: sarà l’esperienza sul campo a confermare o meno le speranze riposte in questo tipo di varietà. Il vero tema però non è quello di sviluppare varietà resistenti agli stress idrici, ma quello di coltivare varietà di cereali che hanno bisogno di poca acqua in quelle aree dove l’acqua risulta scarsa, lasciando varietà esigenti (come il mais) nelle geografie dove l’acqua è abbondante”. Ruini conclude ricordando che le varietà OGM oggi sul mercato prevedono l’adozione di un modello di agricoltura che richiede, purtroppo, un elevato uso di risorse idriche e sostanze chimiche. Bibliografia [1] A.Y Hoekstra, A.K. Chapagain et al. “The water footprint assessment manual: Setting the global standard” 2011, Earthscan, London) [2] Water Footprint Network, www.waterfootprint.org [3] A.Y. Hoekstra, “L’acqua alle corde”, Slow Food , 2010, 45/ Aprile, 50. [4] M.M. Mekonnen, A.Y. Hoekstra, “The green, blue and grey water footprint of crops and derived crop products”, Value of Water Research Report Series No.47, 2010, Unesco-IHE, Delft, The Netherlands. [5] Barilla Center for Food and Nutrition, www.barillacfn.com/ wp-content/uploads/2012/07/ PP_watereconomy_it.pdf [6] M.C. Rulli, A. Veroni, R. Rosso “Impronta idrica e sostenibilità ambientale dei prodotti alimentari italiani a marchio DOP, DOC, DOCG, in L’acqua che mangiamo”, Edizioni Ambiente, 2013.