leggi la critica - Accademia Santa Giulia
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“a mia immagin e” 1 8 fe bbr aio >17 marzo 2 0 12 Ta chevelure d’oranges dans le vide du monde D ans le vide des vitres lourdes de silence Et d’ombre où mes mains nues cherchent tous tes reflets. Arance i tuoi capelli e intorno il vuoto del mondo, e intorno il vuoto anche dei vetri carichi d’ombra e di silenzio dove cercano tut ti i tuoi riflessi queste mie mani nude. Paul Éluard Materiale denso di significati, presente in culture geograficamente e cronologicamente distanti, i capelli sono stati nei secoli, se raccolti in ampolle o con cura composti, ex voto, promesse, ricordi, feticci, protagonisti di rituali di magia bianca e magia nera; capelli trovati o casualmente comparsi diventano monito del tempo che passa, traccia di una toeletta, spie di una relazione clandestina… Diversamente compaiono nella storia dell’arte – Degas adornava le sue Ballerine con vere ciocche di capelli, Dada usava manichini e parrucche nelle performance che scandalizzavano il pubblico, le pratiche artistiche del Nuovo Realismo dichiaravano la dignità del mondo quotidiano, nei suoi aspetti anche più materiali e corrivi, quale opera d’arte – e allora ecco capelli a comporre assemblage pulsanti di vita. Capelli che adornano, nascondono, scoprono, soffrono, percuotono, avviluppano, abbracciano nelle performance e nelle opere della body art; capelli-struttura e capelliornamento, nelle pratiche installative contemporanee. Nell’opera di Antonio Piga tutto questo rientra come naturale stratificazione d’immagini e di riferimenti – come memoria storica. Una trama di capelli tesi perpendicolarmente dal pavimento al soffitto, in posizione centrale rispetto alla stanza, traccia l’idea di un tronco d’albero, o di un cono di luce, o di un percorso verticalizzante che s’impatta con la volta della galleria: qui, i capelli si dividono, diramano, moltiplicano e diffondono, abbracciando l’intera superficie in un occhieggiare di segni e tratti che scorrono fino alle pareti, per tornare al centro dal quale traggono la loro spinta propulsiva. Seguiamo con lo sguardo i capelli che resistono alla loro precaria sottigliezza, verificando la propria elastica caparbietà, in una apparente dispersione che diventa deriva e rêverie, sogno di un cielo stellato, profumo di una chioma verdeggiante, traccia di un viaggio metafisico. Il senso di transitorietà e l’idea di passaggio tra un dentro e un fuori, tra tempo personale e tempo collettivo, si rintraccia anche nelle opere di diversa dimensione su carta che completano la mostra: solo in alcuni punti il capello emerge e percorre la superficie diversamente e ossessivamente forata in un gioco di pieni-vuoti che le conferisce un aspetto moiré. Intravvediamo corpi e brani di corpi in un paesaggio terracqueo nel quale si confondono ed emergono, primi uomini di un nuovo mondo; oppure oggetti ironicamente accennati, parti di una danza quotidiana dove protagonisti sono il desiderio e la nostalgia. Non va dimenticata l’origine sarda dell’artista, attorno alla quale potremmo anche ricondurre questa sua peculiare tecnica compositiva: ma preferiamo invece concentrarci, in ultima analisi, sul titolo, A mia immagine, che lo stesso Piga ha voluto dare alla mostra. Destinati nell’operazione salvifica e metamorfica dell’arte a diventare albero, costellazione, nuovo viaggio, i capelli rendono l’opera specchio del suo artefice, trame sottili di una identità che deve disperdersi per ritrovarsi. Come Narciso alla fonte. Ilaria Bignotti