10. IV° Poema: Aprimi, sorella mia! (Ct 5,2

Transcript

10. IV° Poema: Aprimi, sorella mia! (Ct 5,2
10. IV° Poema: Aprimi, sorella mia! (Ct 5,2 - 6,3)
Vediamo ora un nuovo poema intero, un po' più breve del precedente: 5,2-6,3. Siamo al
quarto dei cinque poemi d'amore del Ct.
Cosa lo caratterizza rispetto ai poemi precedenti? Intanto è lei che parla sempre, non c'è qui
dialogo tra lo sposo e la sposa; c'è qualche piccolo intervento del coro e questo, lo vedremo,
è già significativo, ma è la sposa che parla e lo fa in un momento particolare della sua
esperienza di vita, l'esperienza del distacco o dell'assenza di lui. Possiamo sentirci vicini a lei
nella nostra esperienza di aridità o nella sofferenza o nella crisi. E' un poema in cui lei
sembra quasi sola con se stessa. E’ vero che già in altri passi del Ct abbiamo conosciuto
momenti in cui si parlava di assenza, c'era la ricerca, il desiderio che cresceva nell'assenza,
però prima appariva sempre come un episodio, un istante, un'esperienza parziale di distacco,
ora invece, in questa pagina del Ct, l'assenza sembra totale, definitiva, sembra toccare in
profondità le corde della sensibilità del cuore di lei; le forze le vengono a mancare, sembra
un distacco insuperabile, sembra non esserci più niente da fare. E lei non può sopportare il
peso di questa assenza, il distacco che sembra definitivo, irrimediabile.
Oltretutto c'è un dramma nel dramma che pesa sul cuore della sposa. Non solo percepisce il
peso di quest'assenza, ma sembra capire che tutto è dovuto a una sua responsabilità, cioè che
tutto dipende da lei; è questo, lo capiamo, le rende ancora più pesante la distanza, l’aridità;
percepisce di essere lei la causa dell’assenza, del distacco di lui.
Qui è utile il richiamo ad un celebre testo carmelitano. Nel prologo del Ct spirituale di Gv+
egli indica qual è il punto di partenza del cammino della vita spirituale, a partire dalla vera e
propria conversione, a partire dal momento in cui lei (l’anima) decide di mettersi in
cammino. Sono circa un paio di pagine che nella traduzione italiana hanno bisogno di tante
frasi, in spagnolo invece è un'unica frase che si ripete: L'anima, rendendosi conto che... valutando... comprendendo... considerando...quanto tempo ha perso...quanto è breve la vita...
quanto... E’ una serie di frasi subordinate che incalzano e così danno l'idea dell’urgenza con
prova l’anima nel partire. “Lei” considera, capisce, vede, si rende conto, finalmente, è questa
la conversione! Il punto di partenza, il motore che fa incamminare l’anima.
Ecco – ritornando al Ct - lei è in questa situazione, nel momento deciso della partenza per un
nuovo cammino; è il momento della crisi, della sofferenza, che è una grazia per lei perché
permette all'anima di rendersi conto, di capire, di prendere coscienza di tante cose, e il poema
ci invita a vivere, a valorizzare i momenti di aridità, di distacco, di difficoltà, di crisi,
potremmo dire anche di tentazione, proprio con questo sguardo positivo come un momento
di grazia; p. Silvano Fausti sj, ha scritto un bel libro dal significativo titolo: Occasione o
tentazione? Se è vero che tutto è grazia il Ct ci dice che questo momento è una grazia
particolare.
Il IV° poema del Ct, sintetizzando il tutto, si svolge così: lui viene, lei si fa attendere e poi,
quando si decide ad aprire la porta per farlo entrare, ormai lui non c'è più. Già da questa
sintesi capiamo che più che l'assenza, è il capire fino in fondo di non aver corrisposto alla
chiamata, capire di essere in qualche modo la causa di quest'assenza dello sposo la vera
IlCt10‐1
esperienza che ti porta a dire: se solo avessi corrisposto prima! (cfr. il “subito” di molti passi
evangelici…).
Ma c’è un dettaglio molto significativo di questo poema che sottolineiamo. Anche se ci fa
entrare nell’esperienza di sofferenza, nel dramma, nella tragedia che abita il cuore della
sposa, è proprio questo il testo in cui ricorre più volte, in tutto il Ct, il nome dello sposo
Dodì, l'amato. In tutto il Ct ricorre una trentina di volte, solo in questa piccola paginetta, che
è la pagina della crisi, ricorre ben 16 volte, quindi più della metà di tutto il resto del Ct. Cosa
significa questo? Nel momento dell'aridità, del distacco, della crisi, si rafforza questa
coscienza di reciproca appartenenza e si rinvigorisce la consapevolezza in lei dell'amore che
lui le porta. Lei lo comprende più che mai come il Dodì, cioè come il "mio tesoro" proprio
adesso ed è soprattutto adesso il momento in cui lo sposo le si rivela così.
I versetti da 2 a 7 di questo cap. 5 descrivono precisamente l'esperienza dell'assenza nella
notte. L'espressione iniziale del v.2 è l'espressione cara a Tgb: Io dormivo, ma il mio cuore
era desto, vegliava". Nel testo ebraico sono due participi che potremmo tradurre alla lettera:
Io dormiente, ma il mio cuore vegliante; non si riferisce tanto a quel momento particolare,
ma il participio indica un'azione continuata, che perdura nel tempo. Io dormiente di continuo
ma il mio cuore vegliante di continuo, cioè sempre desto. L'amore cioè è sempre una fiamma
costantemente accesa nel cuore della sposa, anche nei momenti di maggiore lontananza, di
distacco o anche di infedeltà; c'è sempre in fondo al cuore di lei quella scintilla che rimane
comunque accesa. Mi sembra utile qui richiamare l'esperienza di Pietro quando Gesù risorto
gli chiede per tre volte: Mi ami tu più di costoro?; le prime due volte Pietro risponde: Sì
Signore, lo sai che ti amo, la terza volta la risposta di Pietro è un più profonda: Tu sai tutto,
tu sai che ti amo; “Tu sai tutto" vuol dire: Tu vedi in fondo al mio cuore meglio di me, tu
vedi la mia infedeltà, però vedi anche più in profondità, cioè vedi che anche nel momento
dell'infedeltà c'è questa scintilla d'amore che comunque rimane accesa. Magari è nascosta,
soffocata, magari c'è il peso, c'è un'incrostazione grandissima che la tiene nascosta, però c'è",
"Io dormo, ma il mio cuore è sveglio con questa scintilla d'amore".
Come si presenta lui a lei? Si presenta come colui che bussa e che le chiede di aprire - Ecco,
io sto alla porta e busso dirà l'Apocalisse - aggiungendo una serie di nomi sempre nuovi,
cioè facendo appello sempre più alla tenerezza della sposa. Si presenta come un giovane
infreddolito: Il mio capo è coperto di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne - evoca un po'
il freddo e l'umidità della notte che fa un contrasto profondo con il tepore e il calore della
camera e del letto della sposa che sta dormendo beatamente. Quindi come si presenta lo
sposo che bussa e che chiede di aprire? Si presenta come un bisognoso; Tgb direbbe: come
un mendicante d'amore, si presenta come Gesù alla donna Samaritana, venuto per offrirle la
vita, però si presenta chiedendole: Dammi da bere, si presenta con la sua sete d'amore, con il
suo bisogno di lei. Si presenta come Gesù sulla croce con lo stesso identico grido: Ho sete.
Questa sete di Gesù che ha toccato il cuore di Tgb. Lui che dona tutto, che è il Creatore di
tutto, si presenta come mendicante, bisognoso: Tgb: è proprio dell'amore abbassarsi, non
solo l'amore rende simile lo sposo alla sposa, ma lo rende ancora più povero, mendicante,
bisognoso. Sì è fatto povero per arricchirci con la sua povertà! (cfr. 2Cor 8,9). Per contrasto,
lei al v.3 fa la difficile, un atteggiamento di ritrosia, di difficoltà, mette dei se e dei ma: Mi
sono già levata la tunica, come indossarla di nuovo? Mi sono lavata i piedi, come potrei
IlCt10‐2
sporcarmeli di nuovo?” Mi sono levata la tunica e lavata i piedi" lo possiamo tradurre: Ho
finito la mia giornata e quindi ho diritto al mio riposo, non chiedermi di più, ho fatto tutto
quello che dovevo fare, non ho più niente da fare, non mi puoi chiedere altro adesso! Il
“Come indossarla di nuovo?" traduciamolo: "Perché mai, per quale motivo, dimmi una
ragione per cui io, che ormai sono stanca della mia fatica, convinta di aver fatto tutto quello
che dovevo fare, devo di nuovo rivestirmi e sporcarmi di nuovo i piedi e ricominciare da
capo, solo perché tu bussi alla mia porta".
Perché sporcarmi di nuovo i piedi dal momento che me li sono già lavati? Proviamo a
confrontare questa obiezione con i gesti dell'Ultima Cena, quando Gesù si china a lavare i
piedi dei suoi discepoli. Anche Pietro ha una reazione simile alla sposa del Ct: "Perchè mai
tu dovresti lavare i piedi a me?" E allora l'invito del Ct, come quello dell'Ultima Cena, è quest'unico invito: lasciati amare, lasciati lavare i piedi, lasciati riconciliare con Dio, direbbe San
Paolo. A volte facciamo questa esperienza: è più facile amare Dio che lasciarsi amare da Lui,
è più facile, e forse più gratificante, amare l’altro che lasciarsi amare, più facile e più
gratificante aiutare l’altro che non lasciarsi aiutare; richiede molta più rinuncia a se stessi e
molta più umiltà il lasciarsi aiutare, il lasciarsi amare. Però l'invito del Ct, la voce dello sposo
è lasciati amare, lasciati riconciliare il cuore dal suo amore e dalla sua misericordia. Lo sposo
non chiede mai: "Amami!", chiede piuttosto: "Lasciati amare". Chi ama non chiede mai, non
impone mai "Amami!", chiede piuttosto "lasciati amare dallo sposo!"
Anche lei però si riconosce vulnerabile a questo amore; è il senso del v. 4: Il mio amato ha
introdotto la mano nella serratura e le mie viscere hanno fremuto per lui. Se lei si ascolta
davvero sente che lui la desidera, le chiede di aprire e sente anche di dover corrispondere
perché questo la fa gioire nel profondo del cuore. Non è qualche cosa di razionale, frutto di
un ragionamento però, come si dice, il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce. Ci
sono delle intime certezze che non vengono dalla ragione, certi lampi di luce che lo sposo
mette nel cuore della sposa. Le mie viscere hanno fremuto per lui: ho provato questa
emozione forte. Anche nella chiusura, anche nell'infedeltà, anche in questo non
corrispondere alla chiamata dello sposo c’è un sentire profondo che ci fa dire: "Sì è così, è
vero, mi dona questo, è lui, è proprio lui che mi chiede questo", sono semplici momenti come
quello della sposa alla quale fremono le viscere al sentire il rumore della mano dello sposo
nell'apertura della porta.
Le viscere sono, nell'antropologia ebraica, la sede dell'emozione, quello che sarebbe per noi
il cuore. Lo stesso termine “viscere” (rahamim) viene usato spesso per indicare la
misericordia di Dio, questo amore materno, viscerale di Dio per le sue creature. Le sue
viscere fremono di emozione, e notate che questo succede per lui: le mie viscere hanno
fremuto per lui, per lo sposo, per la presenza dello sposo, non per altri motivi. E' innamorata,
quindi è per lui; l'unica giustificazione, l'unica motivazione di questa emozione, non è il
sentimento superficiale per qualsiasi cosa bella, ma è la certezza che Dio le ha messo nel
cuore, le ha fatto sentire, in quel momento.
Ai vv. 5-6 ecco che lei si decide ad aprire ma ormai è troppo tardi, lo sposo è scomparso.
Notiamo l'esperienza dell'assenza, dell'aridità forte in questo caso. In che cosa consiste? Dal
contesto del poema ci è detto che non solo lei non ha più l'evidenza della presenza
IlCt10‐3
dell’amato, non solo lui le viene a mancare ma, in qualche modo, senza di lui le viene a
mancare tutto! Sembra che non ci sia più nessuno, sembra che tutti e tutto le sia venuto a
mancare. Coloro che incontra sono nemici, sono presenze ostili, le sentinelle la feriscono, la
maltrattano, le strappano il mantello, mancando lui tutto si trasforma, perde bellezza e senso;
anzi diventa minaccia. Le stesse sentinelle che nei primi poemi erano mediazioni e le davano
le indicavano la presenza dello sposo, ora sono presenze ostili, nemiche. L'unica presenza
che rimane alla sposa in questa esperienza di lontananza e di aridità è una voce di scherno
che ritorna soprattutto al v. 6,1: Dove se ne è andato il tuo amato, o incantevole tra le donne?
Dove si è diretto il tuo amato? Troviamo una eco nei salmi: Dov'è il tuo Dio?, o in bocca a
Gesù morente: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?. E soprattutto questa voce di
scherno, questa tentazione forte per la sposa, come se tutto intorno a lei le dicesse: "Ma
guarda come ti sei illusa! Dov'è adesso il tuo sposo, dove si è nascosto, dove è andato a
finire?"
E' importante coglierla questa esperienza anche come riferita a Gesù - è la stessa esperienza
dell'abbandono di Dio e dell'assenza di Dio nella Passione e soprattutto nella Croce di Gesù.
Questo ci dà una angolazione finora inedita per leggere il Ct. Perché il Ct non dice solo
l'esperienza della sua protagonista, dice anche quella di Gesù e della sua umanità sofferente.
Gesù, che è lo sposo, nella sua umanità, nella propria carne, ha vissuto ciò che vive la lei del
Ct; Gesù si è messo totalmente dalla parte della sposa, ha vissuto per noi e prima di noi
questa stessa esperienza dolorosa dell'assenza che vive la sposa del Ct, si è immedesimato a
tal punto in quella appartenenza reciproca che per amore vive nella sua carne l'esperienza più
drammatica della sposa. Lui che è Dio vive l'esperienza dell'assenza di Dio, con una pienezza
e profondità dalla quale nessuno si può sentire escluso!
Notiamo, però, anche che il grido di Gesù sulla croce: Dio mio, Dio mio perché mi hai
abbandonato? cita l'inizio del Salmo 22. E' il grido d'angoscia di Gesù che ha familiarità con
il linguaggio dei Salmi, che li prega ogni giorno, che attraverso quella citazione iniziale
richiama, in realtà, tutto il Salmo, e il Salmo si conclude non con una preghiera di angoscia,
ma con una preghiera di fiducia e di speranza, con una preghiera di abbandono nelle mani di
Dio; infatti la parola di Gesù sulla croce sarà anche questo affidare nelle mani del Padre il
suo spirito. E allora ogni esperienza di abbandono, di assenza, di distacco, per Gesù diventa
anche l'occasione di una rinnovata fiducia e di un abbandono nelle mani del Padre.
Dal v. 5,8 in poi abbiamo una serie di altre domande. In bocca al coro abbiamo quasi sempre
questo tono canzonatorio, questa parola di beffa, di scherno, nei confronti della sposa,
soprattutto al versetto 9: Che è mai il tuo amato più di ogni amato, o incantevole tra le
donne? Che è mai il tuo amato più di ogni amato perché tu ci scongiuri così?. Tradotto in
parole povere: "Ma perché ti ostini? Lascia perdere! Se ti tratta così, lascia stare! Perché
continui e ti incaponisci a camminare per questa via? Che cos'ha di tanto speciale il tuo
amato?". Però possiamo leggere da un’altra prospettiva e allora ci appare come invito a
ritornare alla sorgente e a ricercare sempre di più le vere motivazioni dell'agire. Di fatto lei le
trova in questo momento di crisi e in questa tentazione da parte del coro cioè in questa parola
di scherno che le arriva dall'esterno. E’ una “pro-vocazione”! Lei è invitata a chiedersi
sempre di più: "Se lo sposo è così importante per me, perché lo è? Che cos'ha di tanto
speciale?", di fronte ad ogni scelta c’è l'invito ad andare a questa profondità. Perché anche
IlCt10‐4
nelle cose spirituali si possono mischiare motivazioni più egoistiche. La ricerca di noi stessi,
l'orgoglio si può nascondere anche nella pratica della virtù, insegnano tutti gli autori
spirituali...
Allora l'esperienza dell'assenza, della notte, dell’aridità diventa un momento di grazia per la
sposa perché la aiuta a far emergere meglio il volto, il ritratto dello sposo. "Che cos'ha di
speciale il tuo sposo?", in cosa è diverso dagli altri, dove sta la sua unicità? Lei è condotta a
rifare tutto un ritratto dello sposo e a ricomprendere più in profondità la sua bellezza, ma è
quella prova che l'ha spinta a questo; se non avesse vissuto quel momento di crisi, quello
scherno, quella tentazione, sarebbe rimasta forse ancora in superficie, in qualche suo
capriccio; l'avrebbe dimenticato più facilmente, invece così è ricondotta con forza, con
volontà più ferma a rifare un ritratto ideale, un ritratto approfondito del vero volto dello
sposo. Non solo, ma è ricondotta a cogliere meglio anche i particolari di questo volto dello
sposo; rileggete e rimeditate il ritratto che la sposa fa dal v. 5,10 in poi; è invitata a riscoprire
ogni più piccolo particolare di questo volto dello sposo, a capire perché lo sposo è così bello
e perché lo sposo è così importante per lei. E' la domanda che Gesù farà ai suoi discepoli:
"Ma voi chi dite che io sia?", prima: "Chi dice la gente che sia il figlio dell'uomo", ma poi
più in profondità: "E voi? Chi dite che io sia?", "Chi sono io per voi? Perché sono così
importante?" o "Sono importante per voi?", "Dite che sono il maestro. Come lo sono
concretamente, nella vostra vita? Sono il Salvatore, come vi lasciate salvare?". Ecco allora a
cosa ci porta il momento di crisi e di aridità: diventa l'occasione per noi di ridefinire meglio il
volto dell'amato: chi è lo Sposo per me, chi è Gesù per me, adesso, oggi. Come mi lascio
amare, come mi lascio salvare da Gesù?
Questo poema del Ct ci dice una parola fondamentale: siamo chiamati ad arrivare a dire
"grazie al Signore", anche per l'esperienza dell'assenza, dell'aridità, della tentazione, della
crisi, della prova. Imparare a vivere questo momento come grazia, come dono. La domanda
del Ct ha un carattere di sfida in se stessa, possiamo leggere proprio ognuna di queste
situazioni come un rinnovarsi della domanda: Che cos'ha di straordinario il tuo amato?
Perfino la tentazione può essere vissuta come momento di grazia, proprio perché -in positivo
- aiuta a riscoprire meglio chi è Gesù per me, aiuta a radicarmi più profondamente in Lui. La
parola "crisi" per noi ha un significato negativo ma in greco crisis significa "giudizio,
valutazione" e quindi ha un significato profondamente positivo, è il momento in cui può
emergere la verità, in cui si compie il vero giudizio, in cui posso andare più in profondità.
Ecco: ogni crisi nasconde in sé una grazia, ci dice il Ct. E' l'occasione per lei, l’anima, la
persona di dire o di confermare: Il mio amato spicca tra migliaia e migliaia (5,10), cioè "è
unico", lo sposo non ha e non teme paragoni. Pietro dirà un giorno a Gesù: Da chi andremo
Signore, tu solo hai parole di vita eterna (Gv 6): alias: Benedetto Signore dove vuoi che
andiamo al di fuori da te? Il mio amato è unico, non c'è niente e nessuno che possa darmi
quello che lui mi dà, non c'è niente e nessuno capace di darmi la vita", è l'esperienza della
crisi che porta la sposa a poter dire questo.
Notiamolo ancora: finché rimane nel suo letto a dormire e sogna, rimane sola con se stessa
ad un livello superficiale; solo davanti alla prova può confessare: "Lo sposo è unico" e
capirlo per esperienza, capirlo in profondità. E ciò è descritto nel ritratto di lui che lei disegna
(5,10-16). Il senso di questo ritratto dello sposo è: "Tutto in lui è affascinante", "tutto in lui è
IlCt10‐5
bello", "è stupendo, meraviglioso", "anzi - dirà al v. 16 - lui tutto è il desiderio stesso", il
desiderio in persona, in carne ed ossa. Anche qui non fermiamoci tanto ai singoli particolari
della descrizione ma allo sguardo d’insieme; siamo invitati a capire che lo sposo è "il più
bello tra i figli dell'uomo e sulle sue labbra è diffusa la grazia", come dice il Sal. 45. Anzi c'è
anche una venatura polemica in questo v. 16 quando la sposa conclude il suo ritratto dicendo:
Questo è il mio amato, questo è il mio compagno, figlie di Gerusalemme. Dopo aver
ricomposto questo insieme, aver rivisto l'unicità, lo splendore del volto dell'amato, aver
compreso quindi la sua bellezza, la sposa ha vinto la tentazione, può dominare su quella voce
di scherno del coro: Che cos'ha mai il tuo amato?, Questo è il mio amato! E’ la risposta
convinta, forte, coraggiosa che la sposa ormai sicura può dare alla voce della tentazione.
Anzi, oltre a vincere quella tentazione, si sta facendo anche lei testimone nei confronti del
coro: Questo è il mio amato significa "Guardatelo anche voi, lasciatevi affascinare da lui,
innamoratevene anche voi, voi che siete stolti, che non lo conoscete ancora, guardate chi è il
mio amato; ecco chi è, è il più affascinante, è il più bello tra i figli dell'uomo, quindi non solo
vittoria sulla tentazione, ma anche testimonianza, far risplendere il volto dell'amato. Tutto
risalta questa unicità dell'amato.
Ricordo che lui aveva visto proprio così lei: Tu sei come un giglio tra i rovi, cioè "Sei unica
in mezzo a tante brutture, a tante spine, ti vedo come un giglio, sei unica per me". Ora ci
arriva anche lei a dire a lui: "Tu sei unico per me", ci arriva dopo, ci arriva anche in ritardo
però ci arriva anche lei! Ecco, l'esperienza dell'amore, dello sposo e della sposa del Ct, è
proprio l'esperienza di poter dire allo sposo o alla sposa: "Sì, per me tu sei l'unica", "tu sei
l'unico", come se non esistesse nient'altro. “Sei la mia passione, la mia felicità, il senso dei
miei giorni; insomma: sei tutto ciò che ho sempre desiderato nella mia vita. Ti amo!”
(Scritto sul piazzale di S. Damiano, Loano – luglio 2013) o le scritte con lo spray sui muri
davanti ad un portone:"Tu sei tutto il mio mondo". Dice chiaramente questa unicità nel senso
di questo innamorato che vede tutto il mondo racchiuso in quella persona amata.
L'amore dello sposo per la sposa e viceversa è sempre impregnato di questa parola: "Tu sei
l'unico". Pensiamo al pastore delle parabole della misericordia del Vangelo di Luca: questo
pastore che lascia le 99 pecore nel deserto, cioè in balia di se stesse quasi, per andare alla
ricerca di quell'unica pecora che si è smarrita; non perché non gli importi niente delle altre 99
pecore, ma per esprimere questo paradosso d'amore; ama talmente una pecora che è come se
fosse l'unica, come se non esistesse nient'altro; chi ama non capisce più niente, non vede
nient'altro al di fuori della persona amata. E Dio ama così la sposa e finalmente attraverso
l'esperienza dell'assenza anche la sposa arriva a questa unicità, a questa esclusività
dell'amore.
Notiamo anche che nel ritratto dello sposo, la descrizione parte dal volto, c’è una familiarità
dello sguardo, dello stare di fronte, perché è in quell’intimità, nel poterlo guardare in volto,
nello stare cuore a cuore, nel potergli parlare, nel poterlo ascoltare, che la sposa ha colto
l'essenza della persona dello sposo. Tra questi particolari del volto, soffermatevi soprattutto
sull'espressione del v. 12: I suoi occhi sono come colombe sul riflesso delle acque; da una
parte è il richiamo a quel grido d'amore che lo sposo le faceva, se la colomba si posa sul
bordo delle acque è per bere, per dissetarsi, per dirle "ho sete", o "desidero il tuo amore";
nello stesso tempo, se l'acqua è limpida, se l'acqua è calma, non è agitata, è pacificata, la
IlCt10‐6
figura della colomba si riflette, si rispecchia sulla superficie dell'acqua. Nel ritratto dello
sposo, la sposa non canta tanto gli occhi dello sposo quanto piuttosto l'intrecciarsi degli
sguardi, questo riflettersi delle colombe sull'acqua. Non può parlare della bellezza dello
sposo senza parlare della bellezza del rapporto d'amore, senza parlare della bellezza degli
sguardi che manifestano il rapporto d'amore. L'esperienza principale allora è l'esperienza
dello sguardo, potremmo dire noi della preghiera, l'esperienza di questo rapporto d'amore che
consiste precisamente in questo contemplarsi a vicenda.
Al v.6,3 termina il poema riprendendo ancora quella formula dell'appartenenza che abbiamo
già visto in 2,16. I primi poemi si concludono con l'incontro e l'abbraccio tra lo sposo e la
sposa; in questo che è il poema dell'assenza, dell'aridità, non c'è abbraccio; non è essenziale
che l'aridità, che quell'esperienza di crisi, di assenza si concluda con l'incontro, non è affatto
essenziale, può continuare così e il poema di fatto rimane aperto ma l'essenziale è che il
poema si conclude con il recupero della formula dell'appartenenza, con il recuperare il senso
di alleanza, di reciproca appartenenza. Non si parla di ritrovamento o di abbraccio, non si
parla di presenza, non si parla di una gioia particolare, la gioia della sposa è ritornare a capire
che io appartengo a lui e lui appartiene a me, così è vissuta l'esperienza dell'assenza.
Però, anche questa formula finale del poema, non ritorna più uguale alla prima volta, come
l'avevamo vista in 2,16, ritorna, anzi, al contrario. In 2,16 era: Il mio amato è mio e io sono
sua, qui, invece: Io sono del mio amato e il mio amato è mio. Si sono capovolti i termini
dell'azione. In 2,16 veniva prima il mio amato è mio, forse c'era anche un certo bisogno di
gratificazione, un essere centrata un po’ su se stessa. E' fondamentale soprattutto il fatto che
io ho tutti i diritti sul suo cuore. Ora invece si capovolge il centro, nell'esperienza dell'assenza
si è rovesciata la percezione. Prima viene l'altro: io sono del mio amato, io appartengo a lui,
lui ha tutti i diritti sul mio cuore. E solo dopo, di conseguenza viene: il mio amato è mio. In
questa notte dell'assenza, allora, è data alla sposa la possibilità di recuperare non solo il vero
volto dell'amato, la sua bellezza, la sua unicità, non solo di farsi testimone anche nei
confronti del coro, ma anche di recuperare e di scoprire di più il vero senso dell'appartenenza.
Questa aridità l'ha riportata all'essenziale. Allora impariamo a valorizzare anche ogni
giornata, ogni momento di aridità, di crisi, di tentazione, perché è la strada attraverso la quale
lo sposo ci riporta sempre all'essenziale del nostro rapporto con lui.
PREGHIAMO (dal Salmo 45)
Effonde il mio cuore belle parole, io dedico al re i miei versi. La mia lingua è uno stilo di scriba veloce.
Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perché ti ha benedetto Dio per
sempre. Ami la giustizia e l’empietà detesti: perché Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, tra i
tuoi compagni. Mirra, aloe e cassia sono tutte le tue vesti, dai palazzi d’avorio ti festeggiano le cetre.
Figlie di re ti vengono incontro; alla tua destra è in piedi la regina, in ori di Ofir. Ascolta, figlia, guarda,
porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza, poiché egli è
il tuo signore: prostrati a lui. Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli; li farai capi di tutta la terra. Farò
ricordare il tuo nome per tutte le generazioni, perché i popoli ti loderanno in eterno, per sempre. Gloria al
Padre…
IlCt10‐7
UNA CANZONE PER IL CANTICO
TU NELL’UNIVERSO
(Mia Martini oppure Marco Mengoni)
Sai, la gente è strana prima si odia e poi si ama
cambia idea improvvisamente, prima la verità poi mentirà
senza serietà, come fosse niente...
Sai la gente è matta forse è troppo insoddisfatta
segue il mondo ciecamente
quando la moda cambia, lei pure cambia
continuamente e scioccamente...
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo,
un punto sei, che non ruota mai intorno a me
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore.
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo,
non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero di più, di più, di più...
Sai, la gente è sola, come può lei si consola,
e non far sì che la mia mente
si perda in congetture, in paure
inutilmente e poi per niente...
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo..
Un punto sei, che non ruota mai intorno a me
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore.
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo...
Non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero di più, di più, di più...
Non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero... davvero di più...
IlCt10‐8