Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale (a

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Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale (a
Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale
(a proposito del racconto di Pomilio Ritorno a Cassino)
di Sharon Paris, Silvia Ricotta, Rosa Romano
Cassino può essere considerato uno dei luoghi simbolo della Seconda Guerra Mondiale che visse
da gennaio a maggio 1944 bombardamenti e momenti di puro terrore a causa della sua posizione
geografica: era un punto della famosa linea Gustav, linea di fortificazione fatta costruire dai
tedeschi che gli alleati volevano assolutamente abbattere per raggiungere Roma.
Fino al 1943, la città di Cassino era stata considerata come sito privilegiato, lontano dai pericoli
della guerra, senza apparenti obiettivi militari e con una certa abbondanza di viveri, dovuta alla
presenza di migliaia di capi di bestiame, di pascoli e di estese coltivazioni. Era un luogo così
tranquillo che molte famiglie napoletane, terrorizzate dai bombardamenti aerei su Napoli, lo
avevano scelto come sede di sfollamento.
Il primo campanello di allarme suonò nella notte tra il 19 e il 20 luglio 1943, quando fu
bombardato l’aeroporto di Aquino e molti cassinati iniziarono a chiedersi fino a quando sarebbero
stati risparmiati.
Era una bella giornata di sole nella prima metà di settembre. Da poco eravamo tornati a Cassino da Valvori, un paese
sulle colline vicine, dove avevamo deciso di trascorrere la villeggiatura, anche per sentirci più tranquilli, dopo che nel
mese di luglio avevamo passato gran parte delle notti svegli per gli allarmi che si ripeterono per più giorni e che
culminarono con il bombardamento notturno dell’aeroporto militare di Aquino, situato a qualche decina di chilometri di
distanza. La guerra durava da circa tre anni e fino ad allora ne avvertivamo la presenza attraverso la radio ed i giornali.
Da qualche tempo andava male per la nostra parte, gli eserciti alleati dopo aver invaso la Sicilia si avviavano alla
conquista dell’Italia risalendo dal sud, c’era stato lo sbarco di Salerno, Napoli era stata semidistrutta e nonostante la mia
giovane età avevo capito dai discorsi dei grandi che si stavano preparando per noi giorni difficili. Poi proprio due giorni
prima c’era stato l’annuncio dell’armistizio e tutti s’erano sentiti più sollevati dalla speranza che ogni pericolo fosse
passato e che presto sarebbe arrivata la pace. Non si dava gran che importanza al continuo passaggio di colonne di
autocarri e mezzi corazzati tedeschi che transitavano lungo la strada principale diretti a sud e degli aerei che solcavano
il cielo fatti segno a colpi della contraerea. Dovevano essere circa le 11 del mattino. Ero a casa affacciato alla finestra
sul lato posteriore che dava su un vicolo1 dove stavano giocando alcuni ragazzi. Sentii il rumore di numerosi aerei che
passavano alti nel cielo; mi sporsi dal davanzale senza vederli e pensai che fossero diretti come altre volte all’aeroporto.
Nella casa di fronte una donna sul balcone guardò anch’essa in su, facendosi velo con la mano dal sole ed esclamando
forte “eccoli, eccoli”. Per qualche minuto si allontanarono, poi di nuovo il rumore dei motori si fece più vicino, irruppe
in un crescendo fragoroso; i ragazzi giù nella strada furono richiamati con alte grida nelle case, per un attimo non riuscii
a rendermi conto di cosa stava succedendo, quando al rumore dei motori si sovrapposero improvvisi i primi scoppi.
Attraversai di corsa le stanze fino a quella dei miei genitori situata a sud-est con la vista di un grande spazio aperto
davanti; vidi mio padre, che non era uscito perché influenzato, ritto vicino al balcone, mentre indicava delle colonne di
fumo che si alzavano verso il cielo. Mia madre, accorsa anche lei dalla cucina, chiese se si trattasse di colpi della
contraerea; al che mio padre rispose con voce concitata “sono bombe, ci stanno bombardando” e subito ci esortò a
scendere immediatamente in cantina. In pochi secondi che sembravano interminabili, mentre gli scoppi continuavano, ci
precipitammo giù per le scale andandoci a riparare in un angolo della cantina che mio padre ritenne essere il più sicuro
da eventuali crolli. Rimanemmo immobili in quell’angolo, io con le orecchie turate, abbracciato ai miei genitori per un
tempo che in quegli istanti sembrava non finisse mai pregando Dio, la Madonna e vari santi del cielo. Quando
finalmente tutto cessò, cautamente mio padre aprì il portone, un gran polverone s’era levato e la prima cosa che notai fu
un uomo bianco di polvere che veniva dalla nostra parte tenendo in mano una bicicletta e gridando ci disse che diverse
case erano crollate, che c’era gente che scappava e che qualcuno forse era rimasto sotto le macerie. Fortuna volle che il
centro della città era stato risparmiato, le bombe erano cadute nella maggior parte in periferia lungo la via Marconi a
poche centinaia di metri da noi e soprattutto verso la stazione ferroviaria. Noi eravamo usciti illesi da un
bombardamento aereo; non così purtroppo, come apprendemmo di lì a poco, dolorosamente, il mio padrino Domenico
Baccari la cui villa era stata centrata in pieno da una bomba. In gran fretta nel pomeriggio raccogliemmo alcune cose
più importanti e ci rifugiammo in una nostra casa di campagna in località Ponte Murato. Nei giorni seguenti
approntammo i bagagli con gli oggetti che ritenemmo più necessari, caricammo tutto su due carri trainati da buoi e tutta
la famiglia, comprese le mie zie, una vecchia prozia e una giovane che viveva con noi; partimmo per rifugiarci di nuovo
a Valvori, quel vicino paese di montagna dove eravamo già stati durante l’estate.
Lasciavamo quasi tutto alle nostre spalle senza sapere quando saremmo ritornati. Nessuno in quei momenti poteva
immaginare a quale tragedia saremmo andati incontro e quali sofferenze avremmo dovuto patire nei mesi e negli anni
seguenti, lontano dal nostro paese che fu raso al suolo durante una delle più grandi battaglie della seconda guerra
mondiale. Io guardavo i volti tristi ed angosciati dei miei parenti e mi colpì la faccia stravolta di mio padre mentre
chiudeva in un inutile gesto di protezione il portone di casa. 1
Come si può leggere nella testimonianza del cassinate Emilio De Vivo, la gioia e la speranza nate
dopo l’annuncio dell’8 settembre del 1943 dell’armistizio tra il governo italiano e il generale
Eisenhower, risultarono solo momentanee. Gli eserciti tedeschi, ex alleati, divennero d’un colpo
eserciti d’occupazione, con tutte le conseguenze che ciò comportava per le popolazioni soggette.
Il 10 settembre 1944 una pioggia di bombe si abbatté sulla città di Cassino: iniziò così il suo
calvario!
La popolazione di Cassino, dopo i primi bombardamenti, pensò di mettersi in salvo sui monti
vicini o presso parenti in località lontane. Non pochi furono quelli che preferirono restare: alcuni
rifugiandosi nelle cantine dei palazzi, altri nell’abbazia di Montecassino, altri ancora trasferendosi
in rifugi di fortuna come potevano essere le grotte.
Le linee nemiche rimasero a fronteggiarsi per mesi e mesi con azioni di disturbo o con attacchi
veri e propri. Sulla città continuavano a cadere sporadicamente bombe, procurando ogni volta crolli
di edifici e vittime civili.
Un ricognitore alleato volteggiava ogni sera sulla città lasciando cadere ogni tanto una bomba; i
superstiti osservavano quasi come uno spettacolo quelle evoluzioni e chiamarono familiarmente
“Pippetto” quel ricognitore e ogni volta che si sentiva il suo rumore si era soliti cantare questa
piccola filastrocca:
Son Pippetto da Forlì,
che bombarda notte e dì,
se vedo un lumicino
butto giù uno spezzoncino,
se vedo un lampione
mando giù la formazione.2
Possiamo vedere come i cassinati, in una situazione di sofferenza protratta a lungo, cercano di
evaderne psicologicamente per non impazzire.
Vista la dura resistenza delle forze tedesche a Cassino, gli alleati decisero di aggirarle stabilendo
una testa di ponte ad Anzio. Il tentativo, condotto senza la dovuta convinzione, riuscì solo
parzialmente, pertanto si rendeva necessario sfondare a ogni costo la linea Gustav.
Si ritenne che il maggior ostacolo fosse costituito dal monastero di Montecassino, trasformato in
imprendibile fortilizio dai tedeschi. Tale pensiero si dimostrò errato in quanto i tedeschi si erano
tenuti sempre a debita distanza dall’abbazia, perché considerata un luogo sacro. Rimanendo delle
loro convinzioni, alle 9:45 del 15 febbraio 1944, iniziò il lancio delle bombe sull’abbazia, che
venne rasa completamente al suolo.
1
2
www.cassino2000.com
Ibidem.
L’inutilità di tale scempio fu dimostrata dall’impossibilità, da parte delle truppe alleate, di
prendere immediatamente possesso delle rovine e della posizione strategica, su cui, invece,
andarono a installarsi i paracadutisti tedeschi. Fu necessario, dunque, procedere a un nuovo, più
tremendo bombardamento sulla sottostante città di Cassino, già abbondantemente flagellata.
L’atto conclusivo dell’immane tragedia ebbe inizio alle ore 8:30 del 15 marzo 1944: in circa 7
ore, 775 aerei lasciarono cadere sull’indifesa città ben 1250 tonnellate di bombe; si può ben
affermare che non rimase pietra su pietra. Scarse perdite, invece, ebbero i paracadutisti tedeschi,
ben protetti nei loro rifugi; anzi, furono poi avvantaggiati, nella difesa, dallo spianamento totale
delle case.
Nonostante tutto ciò, la linea Gustav continuava a resistere.
Servirono altri due mesi di duri combattimenti e di ingenti perdite su tutto il fronte per vedere il
18 maggio 1944 una bandiera alleata, quella polacca, sventolare sulle rovine di quello che era stato
il più celebre monastero del mondo.
Un’intera umanità di anziani, donne e bambini, lacera, sporca, affamata, stanca e avvilita fu
svegliata dall’immenso fragore del bombardamento e il cielo si illuminò a giorno. Si capì
immediatamente che stava per succedere qualcosa di grande e che si era arrivati alla fase finale
della battaglia.
Il fronte si spostò un po’ più a nord, lungo un nuovo sistema difensivo, la linea Hitler, ma la
strada per Roma era ormai aperta: il 24 maggio fu sfondata la linea Hitler e il 4 giugno le truppe
alleate entrarono trionfanti a Roma.
A mano a mano che le truppe alleate avanzavano, la gente uscì dai rifugi. Ci fu chi si trovò
davanti a dei soldati americani, inglesi, indiani, canadesi, tutti pronti a dare una mano ai superstiti
cassinati; altri, invece, si trovarono davanti dei soldati marocchini, i cosiddetti Goumieres e per loro
continuarono i momenti di terrore.
In testa veniva una macchinetta scoperta, simile a quella che ci aveva portate e dentro c’erano tre ufficiali e una
bandieretta era infissa sul cofano. Era una bandiera blu, bianca e rossa, la bandiera francese come seppi in seguito, e gli
ufficiali, infatti, erano ufficiali francesi, col chepì a forma di pentolino tondo e la visiera dura sugli occhi. Dietro questa
macchinetta venivano tanti autocarri tutti eguali, pieni zeppi di truppa, ma non erano soldati simili a quelli che avevamo
visto finora, erano uomini dalla pelle scura e con le facce come di turchi, per quanto lasciavano indovinare le sciarpe
rosse in cui erano involtate, vestiti come di lenzuoli bianchi con sopra mantelline di colore scuro. Anche di questi
soldati seppi in seguito l’origine; erano del Marocco, marocchini, e il Marocco, a quanto sembra, è un paese lontano
assai, che sta in Africa e, se non ci fosse stata la guerra, questi marocchini mai e poi mai sarebbero venuti in Italia. 3
Il comandante francese Juin prima di iniziare la battaglia, per incentivare i suoi uomini a
combattere, aveva pronunciato questo discorso:
Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del
nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete
uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per
cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete,
nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete… 4
I suoi Goumieres non se lo fecero ripetere due volte: iniziarono con devastazioni, saccheggi, ma
il fatto più sconcertante furono le migliaia di donne, bambine, anziane, tra gli 8 agli 85 anni che
3
Alberto Moravia, La Ciociara, Edizione speciale per il Corriere della Sera, Milano, RSC Editori S.p.a., 2002, pp. 321322.
4
www.dalvolturnoacassino.it
vennero stuprate e, nella più benevola delle sorti uccise e molto spesso mariti e genitori erano
costretti ad assistere a tale scempio.
Feci per spingere la porta che adesso era chiusa e mi trovai naso a naso con uno di quei soldati che sembrava un
turco, tanto era scuro e butterato, col cappuccio rosso calato sugli occhi fieri e brillanti e la persona avvolta nella
mantellina scura, sopra il lenzuolo bianco. Lui mi mise una mano sul petto spingendomi dentro e dicendo qualche cosa
che non capii; e, dietro di lui, vidi che ce n’erano degli altri ma non vidi quanti, perché lui adesso mi aveva acchiappata
per un braccio e mi tirava dentro la chiesa, mentre quegli altri, tutti anche loro in lenzuolo bianco e cappuccio rosso,
entravano d’impeto. […] Poi udii un urlo, era Rosetta, e allora cercai con tutte le mie forze di liberarmi per correre in
aiuto di Rosetta, ma lui mi teneva stretta e io mi dibattei invano perché lui era forte e con tutto che gli puntassi una
mano sul mento, spingendogli indietro il viso sentivo che lui mi trascinava all’indietro, verso un angolo in penombra
della chiesa. […] Ma lui, adesso, mi aveva acchiappato per i capelli, con una forza terribile, come se avesse voluto
staccarmi la testa dal collo, e sempre mi spingeva all’indietro così che, alla fine sentii che cadevo e caddi, infatti, a terra,
insieme con lui. Adesso lui mi stava sopra […]. 5
Un atteggiamento comune tra gli ufficiali delle quattro divisioni impegnate nell’offensiva fu il
totale disinteresse per la sorte di quei civili. In una nota della Presidenza del Consiglio si legge che
gli ufficiali francesi: «[…] lungi dall’intervenire e dal reprimere tali crimini hanno invece infierito
contro la popolazione civile che cercava di opporvisi […]». 6
Ciò che accadde a Montecassino dalla fine della guerra fino alla sua rinascita ha qualcosa di
eroico. Una città intera si mobilitò per riportare al suo antico splendore l'antica Abbazia ridotta in
rovina. Si concordò subito che questa doveva risorgere «com'era, dov'era e nelle preesistenti linee
architettoniche e volumetriche» sia per un'affermazione di carattere sociale e storico, sia perché
dopo lo sgombero delle macerie si era accertato che le fondamenta dei vari corpi non avevano
sofferto danni sensibili. Inoltre era stato possibile recuperare molti avanzi architettonici e frammenti
decorativi preziosi. Già nel dicembre del 1944, il Ministro dei Lavori pubblici Ruini dispose l'inizio
dei lavori di sgombero delle macerie e la costruzione di un edificio provvisorio per i monaci; l'anno
successivo, finalmente, i lavori ebbero inizio dopo aver risolto il grave problema del loro
finanziamento, che fu in larga parte erogato dallo Stato italiano e in parte da donazioni private (si
ricordi a tal proposito la famosa serie delle cartoline di Montecassino già trattate nell'articolo di
«Historia» Un obolo per Montecassino). Il 15 marzo 1945 ebbe luogo la cerimonia della posa della
prima pietra della ricostruzione da parte del Primo Ministro Bonomi, per poi arrivare con un
percorso ricostruttivo intenso, allo stato attuale.
Il motto di Cassino fu Post fata resurgo perché dopo il tragico destino è tornata a essere di nuovo
città, rinascendo dalle sue ceneri, dalle sue stesse macerie. All’indomani della distruzione, la
popolazione viveva la sua diaspora in ogni parte di Italia e non solo; il loro ritorno fu lento, ma
costante, però molti mancarono all’appello. Il numero preciso dei morti, infatti, non si è mai saputo
con esattezza in quanto i registri anagrafici sono andati perduti, e qualcuno parla di circa duemila. A
questi vanno aggiunte tutte le vittime degli ordigni inesplosi che per anni prolungarono la guerra
provocando ancora morti e mutilazioni. A testimonianza di questi eventi ci sono poche righe tratte
da Diario di un giudice di Dante Troisi: «Al ritorno dallo sfollamento, gli scampati trovarono qui la
melmosa palude dei fiumi straripati: carogne, cadaveri e masserizie alla deriva urtavano mine e
bombe inesplose provocando nuovi crolli e vittime tra i superstiti installati sulle torrette affioranti
dai carri armati […]».7 L’autore racconta sotto forma di diario i casi che lui affronta nelle diverse
città italiane; Cassino in realtà non è mai nominata, ma è indicata con la lettera “C.”.
5
Alberto Moravia, La Ciociara, cit., pp. 326-327.
www.storialibera.it
7
Dante Troisi, Diario di un giudice, Torino, Einaudi, 1955, pp. 139-140.
6
Nel dopoguerra tutto il territorio fu flagellato dalla malaria, ma ciò nonostante la ricostruzione
iniziò subito con le prime baracche montate «sulle macerie ancora fumanti» 8; fu infatti il 15 marzo
1945 che il capo del governo Bonomi, alla presenza del sindaco, consacrò ufficialmente la rinascita
di Cassino. Antonio G. Ferraro, originario cassinate, in Cassino, dalla distruzione della guerra alla
rinascita nella pace (un’esperienza che si fa memoria) racconta della città, prima, dopo e durante la
sua ricostruzione. Rammenta con le seguenti parole il perché si deve agli stessi cittadini la
risurrezione di Cassino:
Noi superstiti dispersi in vicine e lontane contrade in tutta la penisola, debellata la tristezza e lo sgomento del primo
momento, tornammo, obbedendo al richiamo della nostra terra e sulle macerie ancora fumanti con infiniti e
indescrivibili sacrifici ci improvvisammo bonificatori, fabbri, operai, muratori, iniziando l’opera della ricostruzione
della città, che fu l’impresa più bella della nostra storia […]. 9
Il 15 febbraio 1949 Cassino meritò l’appellativo di Città Martire e fu decorata con Medaglia
d’Oro al Valore Militare, con la seguente giustificazione:
Già provata in epoca remota dalle distruzioni barbariche dei Longobardi, risorta e consacrata, costituiva attraverso i
secoli, con la sua celebre Abbazia, faro di scienze e di fede alle genti del mondo. Per lunghi mesi, tra il 1943 e il 1944,
segnava il tormento limite, fatto di sangue e di rovina, della più aspra e lunga lotta combattuta dagli eserciti sul suo
suolo e nel nome della libertà e della civiltà contro l’oppressione e la tirannide. Il suo aspro calvario, il suo lungo
martirio, le sue immani rovine furono, nella passione del popolo per la indipendenza e la libertà della Patria, come un
altare di dolore per il trionfo della giustizia e della millenaria civiltà italica.
Cassino-Montecassino, settembre 1943-maggio 194410
Da calcoli approssimativi, alla fine del 1942 la popolazione cassinate ammontava a 21.275
persone; nel 1944 la distruzione di tutto il patrimonio urbano, rurale, zootecnico avevano causato lo
spopolamento totale del territorio. Nel 1951 si registrarono 19.256 abitanti, ritornati dall’esodo, ed
infine picco dell’incremento demografico si verificò nel 1983 con 33.157 cassinati. 11
La nuova città che si andava formando aveva abbandonato il sito medioevale per estendersi in
pianura adeguandosi quindi ai nuovi modelli urbanistici; il nucleo della nuova città furono le case
costruite dai cittadini lungo le strade più importanti grazie all’erogazione dei danni di guerra.
Di sera, le insegne al neon gettano ombre bluastre sulle macerie. Si cammina tra gli odori di vernici, d’intonaco, di
calce e di ruderi sgretolati dalle intemperie con la sensazione di essere stati traditi, perché appena passata la guerra
vennero qui i rappresentanti di tutte le nazioni alleate e a nome dei loro paesi assunsero l’impegno della ricostruzione e
fu una promessa di concordia per il tempo di pace. 12
Conseguentemente ai cambi strutturali della città, cambiò anche l’economia: alla metà degli anni
Cinquanta nascono alcune attività imprenditoriali che furono il vanto della città, favorendo
l’occupazione; si annoveravano la PLASTOFER per la lavorazione del legno e della plastico, la PERONI
per l’imbottigliamento della birra, la PONTECASSINO per la produzione di materassi, industrie edili,
un pastificio e simili. Tutte attività queste che chiusero, però, nel volgere di pochi anni per lasciare
spazio a nuove e più grandi industrie, come quelle tipografiche, la SMIT, e metalmeccaniche, la RIV.
8
Antonio Grazio Ferraro, Cassino, dalla distruzione della guerra alla rinascita nella pace (un’esperienza che si fa
memoria), Cassino, Francesco Ciolfi Editore, 1870, p. 25.
9
Ibidem.
10
Emilio Pistilli, Cassino dalle origini ad oggi, Cassino, Edizioni Idea Stampa, 1994, p. 56.
11
Cfr. ivi, p. 57.
12
Dante Troisi, Diario di un giudice, cit., p. 89.
La realizzazione particolarmente significativa fu, però, la ricostruzione del Monastero di
Montecassino, voluta con fermezza dallo Stato italiano come simbolo della ricostruzione nazionale.
Il sacro edificio ora è tornato all’antico splendore ed è meta di migliaia di turisti provenienti da ogni
parte del mondo; secondo alcune statistiche,13 nel periodo 1996-2010 è stata visitata in media da
circa 570.000 visitatori all'anno, confermandosi come uno dei luoghi di maggior afflusso turistico
del Lazio al di fuori di Roma.
Il santuario è incastrato nella montagna che a quest’ora del mattino gli riverbera il suo colore verde-azzurro; non si
vede la via per arrivarvi e sembra costruito in qualche altro luogo e trasportato là in blocco, per sottrarlo a una
devozione comune e immagini, […], di trovarvi un silenzio e una pace fuori del tempo. 14
È così che Troisi rende la descrizione del monastero, trasmettendo al lettore attraverso le sue
parole il senso di pace e tranquillità che quel luogo riesce a trasmettergli.
«Che bello! È la prima volta che lo rivedo così. […] Com’era prima, voglio dire. Tu c’eri mai stato?»
«Né prima, né dopo.»
«Non ci andare. Adesso è triste. E non solo perché si tratta di un falso. È per come è andato distrutto: non era affatto
necessario».15
Il Monastero fa capolino, inoltre, tra «i monti sfocati dal sole» 16 nel racconto Ritorno a Cassino
di Mario Pomilio; in questo passo in particolare, evince un sentimento di nostalgia da parte della
protagonista femminile (che non ha nome così come quello maschile). Lei ha vissuto il periodo
della guerra e quindi rivedere l’abbazia le riporta alla memoria una parte della sua vita triste e
difficile: si chiarifica ulteriormente nelle righe successive, quando nomina il fratello caduto in
guerra, considerato un eroe, ma non da lei che invece dopo la morte vede il vuoto e più niente, che è
convinta dell’inutilità della morte del fratello così come della guerra stessa.
Come fulcro dello sviluppo cassinate ci furono il passaggio dell’autostrada del Sole e la
costruzione dello stabilimento FIAT. Ritorno a Cassino si colloca dopo la costruzione della stessa;
ciò lo si capisce dalle seguenti parole:
Hai veduto? Marito e moglie, figli e donna di servizio. Un week-end fuori città e perfino il tempo di bisticciarsi…
L’Italietta delle autostrade: che cosa bella, a pensarci su! Miracolata quanto si vuole, ma giudiziosa, non c’è che dire.
Con tutto quel che si scrive in giro, una cosa ancora non è stata notata: che l’automobile, qui da noi, sta rafforzando
l’istituto familiare.17
L’autore ci fornisce l’immagine dell’Italia del miracolo economico, famiglie felici che vivono il
loro tempo libero nel migliore dei modi, che sembrano aver dimenticato cosa sia successo qualche
anno prima, ma in realtà non è così perché le loro ferite sono ancora aperte. Il racconto è ambientato
in auto, lungo l’autostrada del Sole perché i due protagonisti sono diretti verso Sorrento. Si sa poco
di loro, solo che si conoscono da quando erano due ragazzini, lei è la sorella del migliore amico di
lui. Ora sono due adulti, lei provata sia dalla guerra e dalla perdita del fratello che dal fallimento del
suo matrimonio; le conversazioni sono brevi, scambiano giusto qualche battuta sufficiente, però, a
delineare il loro modo di essere, soprattutto della donna dato che è l’uomo a raccontare. Il punto
13
Cfr. www.statistica.beniculturali.it/Visitatori_e_introiti_musei.htm
Dante Troisi, Diario di un giudice, cit., p. 97.
15
Mario Pomilio, Ritorno a Cassino, Roma, Edizioni Studium, 2013, p. 83.
16
Ibidem.
17
Ivi, p. 80.
14
focale del racconto è il loro passaggio proprio nei pressi dell’abbazia che rievoca in loro ricordi
spiacevoli, messi da parte a fatica e provoca nella donna un senso di “amaro in bocca”, di tristezza
che la porta però contestualmente ad aprirsi e raccontare di sé.
A Cassino dopo la metà del XX secolo, l’espansione edilizia continuò senza tregua,
l’intraprendenza dei privati diede vita nel 1979 all’Università Statale degli Studi di Cassino 18 e il
centro urbano assunse la fisionomia tipica delle città moderne. È sempre Pomilio a raccontarlo:
Pensa un po’ a com’è Cassino, a come l’hanno rifatta: una serie di cubi ben verniciati; e razionali. […] Doppi servizi
dentro le case e strade diritte, comode anche… Ci passi in mezzo e un po’ ti compiaci: una cittadina magari insipida ma
funzionale, non c’è che dire… Se però non sai, se non l’hai veduta quale l’ho veduta io nel ’44! Ma se negli occhi ti
porti ancora l’impressione di quelle macerie? […] Sembra incredibile, hanno fatto presto a sgomberarle. Ma per me
resta ancora quella, mi fa solo pensare alla morte. Ci saranno ancora delle bombe, e dei cadaveri, sotto le case. 19
La distruzione di Cassino e Montecassino non si è mai dimenticata e per anni, nonostante la
guerra fosse finita, un sentimento di terrore aveva il sopravvento tra civili e militari. Anche Troisi lo
racconta: «[…] non c’era da stupirsi di alcuna reazione e raccontò del soldato, il quale, al minimo
rumore di aereo, si buttava a terra e strisciava carponi, convinto che il pilota cercasse proprio lui». 20
Nello spirito del “ricordo, del non dimenticare”, la Città Martire si è gemellata con molte città
straniere con cui avvengono degli scambi annuali di ospitalità fra giovani: Falaise (Francia),
Zamoch (Polonia), North York (Canada) e, in Italia, Ortona; essa ha inoltre accettato di ospitare e
farsi custode dei cimiteri di guerra. In Ritorno a Cassino si accenna ad un cimitero, «[…] tornavo
con la mente al cimitero di guerra ai piedi del monte, […] la tomba grigia e scarna, del grigio
arsiccio della pietra stata già bianca, da non permettere d’attecchire nemmeno alla tristezza». 21
L’autore non rende noto a quale cimitero si sta riferendo; si ipotizza sia quello di Mignano
Montelungo - dove sono ospitate le salme dei soldati italiani - in quanto il protagonista lo nomina
ricordando il suo amico italiano caduto in guerra.
In base alle tematiche e all’argomento di questa relazione sono stati sviluppati due percorsi
turistici: l’uno per i luoghi della guerra, l’altro per i luoghi archeologici.
Abbazia di Montecassino
Attorno al 529, Benedetto da Norcia scelse come sua dimora una poderosa fortificazione
collocata sulla cima del monte della città di Cassino, la quale sarebbe divenuta, successivamente, il
centro del monachesimo occidentale.
Al suo arrivo sul monte, il Santo, si trovò dinanzi una fortezza in abbandono e sede del culto
pagano; tra le macerie presenti e per il fervore mistico dovuto alla missione che lo attendeva, non
esitò ad abbattere le statue «degli dei falsi e bugiardi», innalzando al loro posto gli emblemi della
fede in Cristo.
In questo modo Benedetto da Norcia diede vita al più grande e glorioso tempio della cristianità
medievale, che avrebbe illuminato non solo i luoghi sottostanti ma l'intera Europa occidentale. Di lì,
infatti, partì la Regula Sancta che, con la santificazione del lavoro come mezzo di elevazione
18
Da un istituto universitario pareggiato di Magistero si passò all’istituzione di una vera e propria Università, che oggi
conta 10.000 iscritti alle facoltà di Ingegneria, Economia e Commercio e Lettere ed è il maggior ateneo tra Roma e
Napoli.
19
Mario Pomilio, Ritorno a Cassino, cit., p. 85.
20
Dante Troisi, Diario di un giudice, cit., p. 127.
21
Mario Pomilio, Ritorno a Cassino, cit., p. 91.
spirituale e morale, oltre che sociale, avrebbe stabilito i principi per la rinascita della civiltà
occidentale e le premesse per la moderna Europa.
Nel 529, dunque, S. Benedetto fece sgombrare le macerie, iniziando l'opera di costruzione per sé
e per il culto: trasformò i resti di un'antica torre nella sua cella, in maniera tale che da lì il suo
sguardo potesse spaziare sulla sottostante valle e sui monti che la contornavano, futuro patrimonio
temporale dell'abbazia, la terra S. Benedicti. 22
Il luogo venne trasformato in una sorta di “oasi di pace”, con iniziative di diverso genere, quali la
bonifica del territorio e la riconsacrazione al culto del vero Dio. Accorsero una numerosa quantità di
uomini, giovando alla nascita di nuove celle e incrementando un fervore di lavoro e preghiera.
La pace consolidatasi in quegli anni era destinata a cessare: poco dopo la morte del Santo, tra il 577
e il 589, un'incursione barbara a opera dei Longobardi, mise a ferro e fuoco il territorio e distrusse
l'abbazia. I monaci riuscirono miracolosamente a fuggire rifugiandosi a Roma, portando in salvo la
regola di Benedetto; qui rimasero per quasi centocinquanta anni.
Il luogo rimase deserto per un lungo periodo di tempo, a eccezione di alcuni monaci che
restarono per vegliare il sepolcro del patriarca, lasciando viva la speranza di riattivare la comunità
monastica. Così nel 717, Gregorio II inviò a Montecassino Petronace da Brescia per ricostruire la
fortezza e successivamente, papa Zaccaria, nel 748, restituì la Regola che, successivamente, fu
ricopiata e diffusa in tutta Europa per la costituzione di nuove famiglie monastiche. Questo secondo
periodo Montecassino fu breve, ma ricco di avvenimenti importanti: principi e gente comune fecero
a gara nel donare all'abbazia terre e beni temporali; inoltre il luogo fu lo scenario di incontri fra
uomini e culture diverse.
Il franco Carlomanno (re d'Austrasia, figlio di Carlo Martello e zio di Carlo Magno) ed il
longobardo Ratchis (fratello di Astolfo), cercarono la pace dello spirito ritirandosi a vivere fra le
silenziose mura del monastero; il monastero ospitò papi, principi e imperatori, Principium ipsorum
regum diversorium: basterà citare solo i papi Zaccaria, Adriano II e Giovanni XII, e gli imperatori
Carlo Magno, Ludovico II e Ottone II. Così Montecassino si accingeva a divenire la capitale del
monachesimo occidentale.
La seconda distruzione del monastero avvenne per opera dei Saraceni nell'883, con l'uccisione
dell'abate Bertario: ancora una volta i monaci dovettero abbandonare la loro casa per rifugiarsi
prima a Teano e poi a Capua.
L'esilio durò poco più di 60 anni. Durante la permanenza a Teano un incendio distrusse la Regola
autografa di S. Benedetto e molti altri preziosi manoscritti. Fu l'abate Aligerno, su invito di papa
Agapito II, a ricondurli sul monte sacro nel 949 e a dare il via al più splendido periodo della storia
cassinate.
L'energico abate provvide dapprima a riordinare il patrimonio dell'abbazia richiamando coloni da
tutto il meridione ed assicurando loro patti agrari vantaggiosi e stabili; garantì la difesa del territorio
con la costruzione di castelli in ogni centro abitato; per rispondere alle esigenze di culto fece
sorgere nuove celle monastiche ed erigere nuove chiese. Sono di questo periodo i celebri praciti
cassinati con le prime espressioni in lingua volgare (960-963), di questo periodo le splendide
miniature che arricchiscono i codici liturgici e che ancora oggi stupiscono per la finezza del disegno
e la freschezza del colore; in questo periodo il glorios scriptorium, vera fucina di cultura e sapere,
tramanda ai posteri la cultura classica e fornisce ai contemporanei raccolte razionali e sistematiche
di tutto lo scibile umano.
In questo periodo vanno ricordati gli sviluppi nell'ambito della medicina, con l'abate Desiderio,
22
Cfr. Emilio Pistilli, Cassino dalle origini ad oggi, cit., p. 50.
poi papa Vittore III, il suo amico confratello Alfano e soprattutto Costantino l'Africano. Costui
venne celebrato quale nuovo Ippocrate e maestro dell'Oriente e dell'Occidente.
Non va poi trascurata l'importanza della fornitissima officina farmaceutica con il suo armarium
pigmentorum: non a caso il congresso internazionale di storia della medicina del 1930 onorò la
badia di una targa di bronzo, opera del Mistruzzi.
Fin dagli inizi del secondo millennio l'importanza di Montecassino è segnalata dall'estensione
dell'ordine benedettino, cui facevano capo 150 monasteri, e dalla partecipazione ai grandi
rivolgimenti politici e militari, quali le lotte tra papa ed antipapa, lo scontro tra Impero e Papato,
l'inserimento dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini nel contesto storico italiano.
In tali duri contrasti l'abbazia talvolta ricevette massimi onori (tre papi, tredici cardinali e numerosi
vescovi ed arcivescovi furono scelti tra i suoi monaci), talvolta soffrì le più dure conseguenze di
scontri militari e politici (espulsione dei monaci, assedi, spoliazioni, tentativo di abolizione
dell'abito e dell'ordine benedettino), sempre, però, fu al centro di avvenimenti e decisioni storiche,
come la pace di S. Germano del 1230 tra Gregorio IX e Federico II.
La peggiore catastrofe, però, giunse con il terremoto del 1349: la distruzione fu pressoché totale,
il danno al patrimonio artistico e culturale irreparabile. Seguì un periodo di abbandono e di
decadenza, nonostante la ricostruzione fosse avvenuta in tempi relativamente brevi. Il merito della
ricostruzione fu di Papa Urbano V, che ricondusse il monastero nelle mani dei monaci con
l'abolizione della dignità vescovile.
Successivamente, dopo lo scisma di occidente, il cenobio attraversò ancora un periodo doloroso
finendo in mani estranee e spesso avide, gli abati commendatari (1454-1504), che considerarono i
beni dell'abbazia esclusivo patrimonio personale, mezzo di potenza finanziaria e politica; molte
opere d'arte e molti preziosi codici furono venduti e spesso portati all'estero.
All'inizio del XVI secolo, dopo la battaglia del Garigliano (1503) tra Spagnoli e Francesi e dopo che
l'abbazia entrò a far parte della congregazione di S. Giustina (che divenne così “cassinese” nel
1504), Montecassino conobbe un periodo di nuova ripresa. Da quel momento fece parte del Regno
di Napoli, assicurandosi, così, un lungo periodo di tranquillità; e infatti nella pace dell'Albaneta una dipendenza del monastero fondata dal monaco Liuzio verso il 990 – si ritirò Ignazio di Loyola
con Pietro Ortiz.
Il complesso abbaziale, per opera soprattutto degli abati Angelo De Faggis e Sebastiano
Gadaleta, si ingrandì fino ad assumere la struttura attuale. Si intensificarono gli studi eruditi, nei
quali si distinse lo storico Erasmo Gattola.
Nel sec. XVII l'abbazia acquisì di nuovo la giurisdizione criminale (1669), che già in passato
aveva avuto e che aveva perso per volontà di Carlo I d'Angiò. In questo periodo va segnalata la
preziosa attività di storico illuminato del monaco Erasmo Gattola da Gaeta, autore, tra l'altro, dei
quattro volumi della Historia e delle Accessiones.
Purtroppo la pace fu ancora turbata nel 1796 con la calata dei Francesi, che indusse l'esercito
Napoletano ad accamparsi sulle sponde del fiume Liri ed il re e la regina a stabilirsi nell'abbazia,
che dovette contribuire, fra l'altro, alle spese di guerra. L'esercito napoletano non riuscì a reggere
all'urto dei Francesi, che nel 1798 entrarono in S. Germano aprendo un periodo di sevizie e di
depredazioni. L'anno successivo scese in città anche il generale francese Championnet con duemila
uomini: costoro dapprima imposero al monastero di contribuire alle spese belliche consegnando
tutti gli oggetti d'argento, comprese due grandi statue di S. Benedetto e S. Scolastica, poi, prima di
ritirarsi, incalzati dalle milizie regie, fecero scempio e distruzione di tutto ciò che era nel monastero;
solo le mura si salvarono.
La ripresa non fu facile, anzi, con l'insediamento di Giuseppe Bonaparte nell'ex Regno di Napoli,
non solo fu abolita la signoria feudale, fu anche ordinata la soppressione degli ordini religiosi: in tal
modo l'abbazia perse i numerosi e secolari privilegi feudali e l'istituzione benedettina fu del tutto
cancellata.
Con la caduta dell'astro napoleonico si ebbe il ritorno ad una discreta normalità, che fu, però, di
nuovo turbata dopo l'unificazione d'Italia con la nuova soppressione delle corporazioni religiose: nel
1868, dunque Montecassino perse la personalità giuridica e la titolarità dei beni, delle proprietà e
delle opere d'arte; la badia fu dichiarata Monumento Nazionale divenendo proprietà demaniale; i
monaci vi rimasero quali custodi, grazie anche alle pressioni dell'opinione pubblica straniera e in
particolare alle accademie di Francia, d'Inghilterra e di Germania.
La vita spirituale dei Benedettini non si esaurì con la perdita degli edifici e dei beni tempoali,
anzi, recuperò nuovo vigore per dare nuovi frutti alla cultura europea: rifiorirono gli studi, sia
umanistici che scientifici, ebbero nuovo impulso le espressioni artistiche: i monaci potevano ben
affermare, col loro motto, succisa virescit.
Ma tutto ciò era destinato a perire tragicamente nell'ultima, più disastrosa distruzione, quella
dove il monastero fu immolato all'assurdità della guerra e all'efferatezza umana. Ormai gli Alleati
fronteggiavano da vicino i difensori della linea Gustav e li martellavano senza sosta; si lanciarono
anche i primi assalti alle postazioni strategiche sui monti e lungo il fiume Garigliano. Il monastero
ebbe i primi danni.
Vista la dura resistenza delle forze germaniche a Cassino, gli Alleati decisero di aggirarle
stabilendo una testa di ponte ad Anzio (22 gennaio). Il tentativo, condotto senza la dovuta
convinzione, riuscì solo parzialmente; pertanto si rendeva necessario sfondare ad ogni costo la linea
Gustav. Tra gli Alleati ci fu chi ritenne che il maggiore ostacolo fosse costituito dal monastero di
Montecassino, trasformato in imprendibile fortilizio dai Tedeschi. La storia poi dimostrerà che i
Tedeschi rispettarono sempre il sacro edificio tenendosene a debita distanza; ciò lo imponeva non
solo l'importanza storica del luogo, ma anche una ragione tattica elementare: il monte era sì un
privilegiato punto di osservazione su tutta la valle, ma anche il più vulnerabile e, appunto per
questo, il primo destinato a cadere sotto i colpi del nemico; costituiva, inoltre un poderoso scudo
per le retrostanti postazioni difensive. Il suo destino, comunque, era segnato.
La quarta divisione indiana del magg. ge. Francis I. Tuker – appatenente al II Corpo d'Armata
Neozelandese comandato dal ten. gen. Bernard Freyberg – designata per l'attacco decisivo al
monastero, ne pretese il preventivo bombardamento. Dopo un iniziale rifiuto del gen. Clark e col
consenso del comandante in capo gen. Alexander, la decisione fu presa.
Per cercare di salvare i civili presenti nel monastero, il 14 febbraio furono lanciati sul monte dei
volantini che, in lingua italiana e inglese, invitavano ad abbandonare l'edificio.
Il peggio però doveva ancora venire. Salito sulla Testa di Serpente nella notte del 13 febbraio, il
battaglione Sussex si trovò in estrema difficoltà ai fini della perlustrazione, dato che con la luce del
giorno qualsiasi movimento scatenava immediatamente il fuoco nemico e di notte era difficile
rendersi conto della complicata conformazione del terreno. Una cosa però appariva chiara: Quota
593, ovvero quel Monte Calvario dal quale il battaglione avrebbe dovuto sferrare l'attacco al
monastero, era ancora in mano ai tedeschi. Si decise che l'assalto all'abbazia sarebbe stato preceduto
da un attacco separato a questo essenziale caposaldo. Era anche evidente che la cinquantina di
americani che resisteva ancora nella posizione più avanzata era talmente esausta che la si sarebbe
dovuta portare via in barella.
Dato che per ogni barella, su quel terreno accidentato, ci volevano quattro uomini, nella notte del
14 non si poté fare nulla, perciò l'attacco a Quota 593 fu ordinato per la notte successiva.
Fu subito chiaro che la quarta divisione indiana si trovava di fronte un compito estremamente
difficile. Ovunque erano sparsi cadaveri con mutilazioni di ogni tipo e in stati di putrefazione più o
meno avanzati.
Il reduce del Royal Sussex Jack Turner ricorda: «Lassù sembrava di stare in un cimitero. Che
desolazione, che tristezza! Corpi che marcivano tutt'intorno a te».23 Il bombardamento cominciò alle
9.45 della mattina del 15 febbraio. Cristopher Buckley, della BBC, descrive come le forze aeree
diedero una grande dimostrazione di potenza, attaccando il monastero:
I comandanti dell'esercito avevano richiesto i bombardieri pensando di abbattere in picchiata le mura del monastero,
ma a un certo punto dei diversi passaggi necessari le dimensioni dell'operazione si erano ingrandite. Forse, poiché era la
prima volta che si impiegavano bombardieri pesanti dell'aviazione strategica in diretto appoggio tattico alla fanteria, i
comandanti delle forze aeree vollero a tutti i costi dare una dimostrazione della potenza degli armamenti di cui
disponevano. Gli aerei volavano in formazione perfetta con quell'arrogante dignità che contraddistingue il bombardiere.
Quando passavano sopra la cresta della Collina del Monastero, piccole fiammate e spruzzi di terra schizzavano in aria
dalla vetta. Poco prima delle due [...] è passata una formazione di Mitchell. Un attimo dopo, è sprizzata velocemente
verso l'alto una fiammata vivida, come se un gigante avesse strofinato fiammiferi titanici sul fianco della montagna. Per
quasi cinque minuti è rimasta sospesa sull'edificio, assottigliandosi gradualmente verso l'alto in un arabesco strano
sinistro. Poi la colonna è impallidita ed è svanita. Si è potuta vedere di nuovo l'abbazia. Il suo profilo era
completamente cambiato. Il muro occidentale era crollato del tutto e il fianco dell'edificio, per una lunghezza di un
centinaio di metri, era semplicemente caduto. Era aperto, esposto all'attaccante. 24
I monaci pregavano in un piccolo locale sotto l'ala nordoccidentale del monastero. Quando udirono
le prime bombe colpire l'abbazia, si raccolsero in ginocchio intorno all'abate, che diede a ciascuno
l'assoluzione. Uno dei monaci, don Agostino, ha raccontato: «Sentivamo arrivare gli aerei, poi
enormi esplosioni. Scuotevano tutto e c'era fumo ovunque. L'intera montagna era in fiamme, si
trasformò in una torcia, gli ulivi bruciarono per giorni; un vero inferno». 25
Gli aerei furono seguiti da un bombardamento di artiglieria: l'effetto sull'edificio fu drammatico.
Il tenente Daiber, l'ufficiale tedesco che aveva incontrato l'abate in seguito al bombardamento, disse
che era come se la montagna si fosse disintegrata, scossa da una mano gigantesca.
I monaci, nel loro rifugio sotterraneo, erano rimasti incolumi, ma dovettero farsi strada scavando tra le rovine per
uscire. Quando risalirono, il loro sguardo abbracciò una scena di distruzione totale. In mezzo al cortile dei Priori c'era
un enorme cratere, i chiostri erano crollati, il bel cortile centrale non esisteva più. La basilica, con i suoi affreschi, il
magnifico coro e lo straordinario organo, era ridotta a un cumulo di macerie. Anche la sagrestia, con le sue decorazioni
murali e i suoi intarsi, era stata rasa al suolo. Tutt'intorno, c'erano sfollati feriti o morti. Si pensa che queste vittime civili
siano state un centinaio. La vista che ci comparve davanti agli occhi non sarà mai dimenticata da tutti coloro che ne
furono testimoni. Il monastero era irriconoscibile. 26
Ci furono reazioni diverse tra gli astanti: molte manifestazioni di entusiasmo, in particolare da
parte di chi aveva combattuto all'ombra maligna del monastero. Un americano scrisse soddisfatto il
giorno dopo: «È stato uno spettacolo incredibile vedere tutte quelle "fortezze volanti" arrivare e
sganciare le bombe».27 Altri, appena arrivati a Cassino, ebbero reazioni più tormentate. Per il
neozelandese Brick Lorimer si trattò di uno spettacolo lacerante: «Il momento era essenzialmente
triste: le forze aeree alleate bombardano il monastero. Una vista che ispira soggezione. Ora è
avvolto dalla polvere. Non c'è stata reazione da parte dei tedeschi, niente fuoco antiaereo. Forse si
23
Matthew Parker, Montecassino 15 Gennaio - 18 Maggio 1944. Storia e uomini di una grande battagli, Milano, Il
Saggiatore, 2009, p. 205.
24
Ibidem.
25
Ivi, p. 206.
26
Ibidem.
27
Ivi, p. 207.
può dire che l'abbazia sia un'altra tragica vittima della guerra». 28
Il giovane Tony Pittaccio esprime un profondo senso di tristezza e disperazione:
Per quanto riguarda Montecassino, se i militari si sentivano spiati dall'alto da occhi nemici, a noi lo sguardo pareva
benevolo. Il monastero, per noi, era l'assicurazione che il bene avrebbe trionfato sul male e la promessa che non sarebbe
mai stato distrutto significava che la vita sarebbe continuata. Dicevamo le nostre preghiere quotidiane con gli occhi
rivolti al monastero. Era un grande motivo di conforto. Quando venne bombardato non potemmo proprio credere a ciò
che stavamo vedendo. Con l'abbazia moriva una parte di tutti noi, e specialmente mia e della mia famiglia, considerato
ciò che aveva significato per noi. Non esisteva più nulla di sacro e il mondo si era davvero oscurato. 29
In seguito alla conclusione del bombardamento, si tornò sulle macerie del monastero, dove ad
alcuni monaci che si erano radunati nella cappella della Pietà, venne richiesto di dichiarare per
iscritto che all'interno dell'abbazia non vi erano tedeschi.
Don Martino guidò alcuni sopravvissuti verso Piedimonte, dietro le linee tedesche. Von Seger
racconta tale vicenda:
Lo stanco vecchio fu trascinato a una grande stazione radio, dove non gli diedero neppure da mangiare. Qui dovette
fare una dichiarazione (trasmessa alla radio) sulla differenza tra il comportamento dei Tedeschi e quello degli Alleati.
Stanco, affamato e avvilito, l'abate fu trascinato all'ambasciata tedesca in Vaticano, dove gli fu chiesto di firmare un
memorandum infarcito di propaganda contro gli Alleati. L'abate rifiutò di apporre il suo nome a questo documento.
I tedeschi avevano realizzato il loro colpo propagandistico e lo avrebbero sfruttato al massimo. 30
Dal canto loro gli Alleati sostennero che la colpa andava attribuita ai tedeschi, che avevano
occupato il monastero. Dichiararono come fosse stato necessario attaccare, visto che i tedeschi lo
avevano trasformato come una fortezza. Questi ultimi negarono l'accusa di aver occupato l'abbazia,
dicendo che tale versione fosse una pura invenzione. La responsabilità era esclusivamente degli
Americani, privi di qualsiasi cultura e dei metodi di guerra anglosassoni e bolscevichi che avevano
un solo scopo: distruggere le tracce venerande della cultura europea. Considerate entrambe le
versioni e le vicissitudini storiche avutesi, la domanda che ci si pone tutt'ora è: il bombardamento
era giustificato?
Non si è mai cessato di discuterne. In realtà entrambe le parti furono profondamente scosse da
questa distruzione e forse questo fu il motivo che spinse Kesserling a risparmiare Roma, Venezia e
altri luoghi di eccezionale importanza storica ed artistica. Di certo, tutti coloro che videro il filmato
del bombardamento o le fotografie dell'abbazia in macerie ne rimasero colpiti. Che si fosse dovuto
distruggere un tesoro della città come Montecassino suonò in tutto il mondo come il culmine della
pena, della stupidità e della barbarie della guerra.
Il restauro, realizzato dal 1948 al 1956 circa, venne diretto dall'ingegnere G. Breccia
Fratadocchi, che, osteggiato dagli storici dell'arte integralisti, nemici acerrimi del falso antico,
realizzò una ricostruzione dell'interno dell'abbazia con spazi ciechi e muti tra le cornici delle volte.
Cassino come luogo turistico
Percorso turistico per i luoghi della guerra: in questo itinerario la tappa fondamentale è
rappresentata dai cimiteri perché simboli del ricordo di ciò che è stato, luoghi della memoria, quindi
meta inevitabile. A ricordo del sacrificio della battaglia di Cassino del 1943-44, i paesi coinvolti nel
28
Ibidem.
Ivi, p. 208.
30
Ibidem.
29
conflitto hanno voluto che le migliaia di caduti sulla Linea Gustav fossero sepolti lì dove avevano
combattuto e sacrificati per la patria. È per questo motivo che a Cassino e nelle immediate
vicinanze sono sorti cinque cimiteri militari, meta di pellegrinaggi di parenti, commilitoni e
compatrioti che ogni anno omaggiano i caduti.
Il 31 agosto 1956 con l’intervento del generale Alexander e di tutti gli ambasciatori del
Commonwealth venne inaugurato sulla via per Sant’Angelo in Theodice il cimitero inglese, che
ospita 4.265 salme. 284 militari, caduti nella battaglia di Montecassino, non sono stati identificati; i
restanti provenivano dagli attuali Regno Unito, Australia, Canada, Sudafrica, Nuova Zelanda, India
e Pakistan.
Nel settembre del 1945 venne inaugurato il cimitero polacco, costruito dagli stessi soldati
polacchi; esso sorge a Montecassino, dietro l’altura dell’abbazia ed è sotto la sovraintendenza del
ministero della difesa italiano. Raccoglie le spoglie dei 1.078 militari che combatterono nel maggio
1944 e quelle del loro generale Anders e del cappellano arcivescovo Gawlina, morti nel 1970 e
traferiti lì per loro espresso desiderio. Il sacrario è affidato alla custodia dei monaci di Montecassino
e una parte è riservata ai soldati di religione ebraica arruolati nel corpo. Ogni 18 maggio viene
organizzata una giornata commemorativa dove si raccolgono i superstiti, i loro familiari e i
rappresentanti delle istituzioni polacche.
Inaugurato nel 1965, i lavori del cimitero tedesco erano iniziati ne l959 per opera dell’architetto
Tischler e portati a termine dal prof. Offenberg; esso si erge su una collina, detta Colle Marino e si
tratta del più importante sacrario tedesco in Italia in quanto raccoglie 20.035 salme, molte ignote, di
soldati morti a Montecassino, ma anche quelle ritrovate e riesumate nei cimiteri di guerra del
meridione italiano – Puglia, Calabria, Basilicata, Abruzzo e Molise. Esso è mantenuto da
un’associazione privata e da militari tedeschi volontari.
Il cimitero italiano di Mignano Montelungo ospita, invece, 975 salme della guerra di liberazione
1943-45, provenienti dai vari cimiteri di guerra sparsi lungo tutta la penisola; riposa con essi anche
il generale Utili, deceduto nel 1952 e lì seppellito per suo volere. Un altorilievo raffigurante un
soldato morente nella visione del Redentore spicca al centro della cappella grazie al contributo del
Canonica.
Venafro ospita, invece, le salme del Corpo di Spedizione Francese nel cimitero francese:
inizialmente esse erano 4600, ora ne sono rimaste 3.414 perché le altre sono state riportate in patria,
così come buona parte dei caduti USA, mentre altri riposano nei cimiteri di guerra di Anzio e
Nettuno.
La seconda tappa del tour prevede una visita alla Rocca Janula, meta di guerre e battaglie nei
secoli. Il Colle Janulo sembra dover derivare il suo nome dal dio Giano, ma non si è mai avuta
traccia del culto di questa divinità pagana.31 Nella seconda metà del secolo X, l’abate Aligerno
volendo creare un baluardo di difesa contro le numerose incursioni di orde militaresche assetate di
bottino, scelse la cima del Colle Janulo, già ben protetto dalla natura, tra il monastero di
Montecassino e quello inferiore sul Rapido, per costruire una fortezza che potesse dare tranquillità
agli abitanti del luogo ed ai monaci.
La costruzione, a pianta quadrangolare, si adattò per la sua perimetrazione alla conformazione
dell’aspra collina. Il successore di Aligerno, fece potenziare le difese murarie della Rocca, che fu,
però, più volte occupata dagli abitanti della sottostante città di San Germano. Da questi ultimi
dovette liberarla l’abate Gerardo, che la restaurò, ne consolidò le mura e aggiunse nel cortile
31
In realtà, fu ritrovata la testa marmorea di Giano Bifronte (attualmente custodita ad Aquino) presso il bivio per
Montecassino durante la rimozione delle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Fonte: Emilio Pistilli, Cassino dalle
origini ad oggi, cit., p. 89.
interno, la torre centrale a pianta pentagonale, alta oltre venti metri, che ancora oggi torreggia sulle
rovine del maniero; all’interno del primo cortile fece costruire una cappella di cui ancora si notano i
resti.
Verso il 1200 vennero fatte costruire le mura, che come un triangolo univano la Rocca alla
sottostante città, anch’essa fortificata; pochi resti testimoniano la passate esistenza di queste mura
che vennero distrutte dai bombardamenti intorno al 1944.
Federico II ne ordinò la demolizione e, successivamente la ricostruzione. Il castello fu sempre al
centro delle guerriglie svoltesi nel territorio, subendone le diverse conseguenze, così come sono
stati gravi i danni riportati in seguito ai numerosi eventi sismici cui la zona è soggetta.
Dai ruderi pervenuti fino ai nostri giorni, è possibile delineare una pianta pseudo quadrangolare
di 3400 mq; gli angoli che affacciano su Cassino e Montecassino sono sede di tre torri rettangolari.
L’interno è diviso in due cortili su piani sfalsati, una fortificazione nell’altra.
Buona parte dei muri perimetrali sopravvivono anche in seguito al 1944, ma ciò non avverrà
ulteriormente se non si procede ad opere di consolidamento e conservazione; i sotterranei sono
interrate, ma potrebbero essere recuperati.
Non può ovviamente mancare una tappa all’Abbazia di Montecassino, scenario di guerriglie nel
corso dei secoli, di cui si è già ampiamente discusso.
Una visita la merita, poi, il Gran percorso della memoria che dal 2005 ha aperto, in via San
Marco, l’Historiale, esposizione multimediale curata da Officina Rambaldi e dedicata alla battaglia
del ’44 e alla Seconda Guerra Mondiale. I testi del percorso espositivo sono in lingua originale:
italiano, se a parlare sono italiani, inglese, francese, tedesco. Sono presenti video costruiti ad hoc,
ma anche veri e propri documenti, come i filmati registrati dal regista John Houston, a seguito
dell’esercito americano, le fotografie, la comunicazione alla radio del generale Badoglio
dell’armistizio, le voci di Hitler, Stalin, Mussolini, i comunicati di Radio Bari. Ancora: le
testimonianze registrate degli abitanti del luogo e delle donne che hanno vissuto la crudele vicenda
degli stupri; le lettere degli emigrati, mappe e cartine, stimoli musicali e artistici, come la scultura di
Carlo Rambaldi, oltre a opere realizzate da artisti locali e a progetti seguiti da giovani e studenti del
cassinate. «Una grande epopea dello spirito umano, il segno, per i cassinati, della perdita di tutti i
punti di riferimento ma al tempo stesso gli sforzi per riprendere a vivere». 32
A conclusione dell’itinerario si suggerisce una visita al Monumento della Pace, che sorge, dal
maggio del 1983, sul fianco sud di Rocca Janula, per volere dell’amministrazione comunale,
contrariamente ai voleri dell’autore – Umberto Mastroianni – che l’avrebbe voluto sulle pendici
meridionali di Montecassino.
Il progetto prevedeva che il monumento si elevasse al centro di una vasta area attrezzata da
destinare a “Parco della Pace”, delimitata dal “Muro delle Nazioni”. Quest’ultimo si sarebbe dovuto
affidare alle nazioni combattenti a Cassino nel 1943-44, ciascuna con un proprio spazio su cui
esprimere in modo autonomo ed artistico un messaggio di pace. Purtroppo, per mancanza di fondi,
il complesso non è stato realizzato: resta solo l’opera di Mastroianni, ‹‹un’enorme “esplosione” in
acciaio posta su un alto piedistallo in cemento. L’opera, dell’altezza di 11 m., è stata realizzata in
un’officina di Terni in acciaio “cor.ten.” del peso di circa 100 tonnellate››. 33
Percorso turistico tra i luoghi archeologici: l’area archeologica cassinate è abbastanza estesa e il
percorso che di seguito si propone la attraversa quasi completamente. Come prima tappa si
consiglia il Mausoleo di Ummidia Quadratilla; l’imponente struttura, erroneamente definita in
32
33
www.mondointasca.org/articolo.php?ida=5474
Emilio Pistilli, Cassino dalle origini ad oggi, cit., p. 95.
passato di origine etrusca, sorge sulle pendici sud orientali di Monteccassino, incorporata nelle
mura di quella che fu la città di Casinum. Edificata con grandi blocchi squadrati e connessi senza
malta, tenuti insieme solo da graffe di piombo all’interno, ha resistito all’usura del tempo, ai
terremoti e alla furia della guerra, senza subire sostanziali danni.
Le origini del manufatto sono decisamente incerte: lo si fa risalire, infatti, tra il I sec. a.C. e il I
sec. d.C.; è stato definito talvolta “tempio” altra volte “tomba”. La pianta a croce greca fanno
escludere la tesi del tempio, facendo, invece, propendere per una cripta o tomba gentilizia. Questa
supposizione, verrebbe inoltre confermata da analoghi esempi di tombe romane e soprattutto la
struttura a cripta sotterranea senza finestre: sorgeva al di sotto del livello stradale ed era accessibile
solo dall’esterno delle mura della città.
Molti studiosi attribuiscono il mausoleo alla benefattrice cassinate Ummidia Quadratilla, figlia
del console Ummidio Durmio Quadrato, in quanto nel 1757 venne ritrovata un’iscrizione nel vicino
anfiteatro: ‹‹VNMIDIA.C.F QUADRATILLA AMPHITHEATRVM ET TEMPLVM CASINATIBVSSVA PECUNIA
34
FECIT››. Il tempio cui si fa cenno nell’iscrizione è stato identificato nel mausoleo; è lecito, tuttavia,
avanzare dubbi su tale identificazione, sia per la probabile destinazione dell’edificio a sepolcro, sia
per la testimonianza del cronista cassinese Leone Ostiense (sec. XI-XII), che riferisce di un templum
idolorum in Castro Casino trasformato nella chiesa in onore di San Pietro, posta in prossimità della
chiesa di San Nicola – il mausoleo riadattato a culto cristiano nel sec. x I.
Il monumento, dopo la trasformazione in chiesa di San Nicola, cadde in abbandono per diversi
secoli; solo alla fine del Seicento l’abate Andrea Deodato la ripulì dal terreno che lo aveva invaso e
lo riaprì al culto dedicandolo al Crocifisso, da cui oggi la borgata prende il nome.
In seguito ai bombardamenti dell’ultima guerra, dell’antica chiesa si è salvato ben poco: alcuni
importanti affreschi sono stati recuperati e conservati in Montecassino; all’esterno sono ancora
visibili alcuni resti murari e una parte della scala a chiocciola del campanile. Il monumento è di
nuovo riaperto alle visite, grazie ad alcuni recenti lavori di restauro, ma per accedervi bisogna
comunque rivolgersi alla Direzione del Museo.
In piena zona archeologica, poi, sorge il museo su antiche strutture murarie presso la porta
settentrionale di recente portata alla luce, la Porta Campana. Esso si articola in tre sale: quella
dedicata alla preistoria e protostoria locale, con rinvenimenti che vanno dal paleolitico superiore
all’età del ferro, è di forma ottagonale; la seconda e la terza sala espongono reperti provenienti dai
tre maggiori monumenti: l’anfiteatro, il teatro e il mausoleo.
Molti importanti reperti archeologici pertinenti a Casinum, e che potrebbero tornare al museo
della città, sono conservati nel museo di Montecassino, nel Pigorini di Roma e in quello Nazionale
di Napoli. Si rammenta, infine, che numerosi altri resti sono sparsi sul tutto il territorio comunale,
ma destano la sola attenzione degli studiosi a causa dell’assenza di ogni forma di quella
spettacolarità che richiama la massa.
Oltre l’anfiteatro, il teatro e il mausoleo è da segnalare, inoltre, un lungo tratto di strada romana
basolata, denominata erroneamente “via latina”, che correva sotto le mura della città per andare a
innestarsi sull’altra strada che dal Foro entrava per la Porta Campana e percorreva tutto il centro
urbano; quest’ultimo tratto è visibile solo in prossimità del museo in quanto il resto è sepolto sotto
un rialzo su cui oggi passa la carrozzabile per Montecassino. Altri tratti di strade basolate affiorano
in vari punti dell’antico sito; basti ricordare solo quello che bordeggia la parte superiore del teatro e
quello che attraversa Casinum da sud a nord, riportato alla luce per un breve tratto e oggi di nuovo
interrato.
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Ivi, p. 82.
Una visita la meritano il teatro e l’anfiteatro della città: il teatro si trova poco al di sopra del
mausoleo, di forma perfettamente circolare e linee strutturali abbastanza sobrie, adagiato sul fianco
della montagna sfruttandone abbondantemente la pendenza. Che sia di età augustea è dimostrato dal
ritrovamento di una statua dell’imperatore e di epigrafi riguardanti i due suoi nipoti. Quasi
sicuramente subì dei restauri ancora in epoca imperiale in quanto le minuziose decorazioni e i
marmi policromi contrastano con la semplicità delle linee architettoniche originali.
La cavea appare divisa in quattro settori individuali da cinque scalinate; in ogni settore un
passaggio orizzontale separa la summa cavea, di sette gradini, dall’imea cavea, di tredici gradini; la
zona dell’orchestra, di tre gradini, era divisa dall’ima cavea da un parapetto di pietra, di cui ora
restano brevissimi tratti. Sulla parte superiore correva una galleria coperta – in buona parte ancora
visibile – destinata all’accesso degli spettatori.
La scena, a pianta rettangolare, era delimitata, alle spalle, da un muro di fondo cadenzato da finte
colonne con tre porte per il passaggio degli attori e, davanti, da un muretto in mattoni di circa un
metro d’altezza e movimentato da alcune nicchie con decorazioni in marmo colorato ed intonaco
dipinto. La scena fronte chiudeva, a valle, tutto il complesso con la spettacolarità di due ordini di
colonne di marmi pregiati e policromi. L’intera struttura, in pietra locale ed alcune parti in laterizio,
era rivestita in opus reticulatum ed intonaci dipinti.
Già nel Settecento il teatro appariva molto danneggiato, anche se erano riconoscibili la scena,
l’orchestra, il proscenio, i sedili e anche buona parte della cavea. Nel 1936 fu interamente riportato
alla luce dal Prof. G. F. Carettoni e nel 1959 fu restaurato per un moderno riutilizzo. Ora si attende
un nuovo restauro e la sistemazione dell’area circostante con l’abbattimento delle case coloniche
che sono sorte nei dintorni.
L’anfiteatro, invece, fu fatto costruire dalla matrona romana Ummidia Quadratilla nel I sec. d.C.
al di sotto delle mura della città, all’esterno addossato alla montagna sfruttandone la pendenza per
le gradinate. Presenta una forma ellittica, il pubblico vi accedeva attraverso cinque ampi fornici con
arco a tutto sesto. Il materiale usato per la costruzione è la pietra locale; il rivestimento esterno,
conservato solo in parte, è in opera reticolata di non felice fattura. Lungo tutta la parte superiore, al
di sopra delle porte e ad intervalli quasi regolari, si notano delle mensole di pietra con delle
incavature circolari: erano i punti di innesto dei pali per il velario, i tendaggi, cioè, che venivano
distesi a copertura dei raggi solari per gli spettacoli diurni.
Visto dall’esterno, gli avanzi sono cospicui, mentre l’interno è gravemente danneggiato: delle
gradinate restano solo le sostruzioni, né vi è traccia degli ambulacri, che forse non furono mai
costruiti, così come dell’arena resta solo il perimetro ellittico.
L’attribuzione del monumento ad Ummidia Quadratilla è documentata dalla iscrizione rinvenuta
in un enorme macigno riportato alla luce nel 1757 da alcuni “cavatesori” 35 nella zona dell’orchestra.
Di recente l’anfiteatro è stato sottoposto a lavori di restauro e di consolidamento e si pensa alla
possibilità di riutilizzarlo per spettacoli e manifestazioni considerata la notevole capienza.
Ultima tappa da non trascurare sono le terme Varroniane. Il parco delle Terme Varroniane sorge
su alcune delle molteplici sorgenti del Gari, nella zona denominata “monticelli” per la presenza, nel
passato, di tre piccole colline. Il toponimo, ormai in disuso, era S. Marco ai Monticelli.
Nel luogo sgorgano centinaia di sorgenti; lì vanno a confluire anche le acque che, abbondanti,
sgorgano al centro della città, presso il bivio per Montecassino e la villa comunale, facendone le più
grandi sorgenti d’Europa. Le acque sono considerate terapeutiche per via del basso contenuto
minerale.
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Ivi, p. 84.
La delizia del luogo fu nota agli antichi, che, forse in età adrianea, vi costruirono degli
stabilimenti termali, i cui resti sono giunti fino a noi: per tale ragione il luogo interessa
particolarmente l’archeologia. Un’insistente tradizione vuole che quei resti appartenessero alla villa
di Marco Terenzio Varrone (di qui il nome attuale delle terme). La cosa è tutta da dimostrare, però
appare indubbio che in quella zona, probabilmente nelle vicinanze, Varrone avesse quei
possedimenti che descrive con opulenza di particolari nel suo De Re Rustica. Lo studioso Carettoni
interpreta i pochi ruderi rimasti come strutture di locali termali e li attribuisce alle Terme Noviani di
cui si parla in un’iscrizione rinvenuta nella zona. Il luogo, dopo l’Impero, venne abbandonato e fu
recuperato solo nel medioevo con la costruzione di una chiesetta dedicata a San Nicola in
Monticello, che successivamente fu trasformata in oratorio di San Matteo, al posto del quale oggi
c’è una casa colonica.
I periodi in cui si consigliano le visite sono marzo o il periodo da giugno a settembre. In questo
modo si può godere anche di un buon intrattenimento in quanto vengono organizzati diversi eventi:
la terza domenica di ogni mese c’è la Fiera dell’Antiquariato; da giugno a settembre si organizza
Cassino Arte, una manifestazione artistica che vede esibirsi attori, cantanti e musicisti famosi e non.
Nel mese di marzo, invece, è previsto una grande manifestazione religiosa, “la settimana di San
Benedetto”, che prevede una serie di eventi per festeggiare il santo patrono che culminano il 21
marzo con l'esibizione del Corteo Storico Terra Sancti Benedicti; in esso confluiscono tradizioni
culturali, civili e religiose attraverso l’esibizioni di danze medioevali, concerti di bande musicali,
nonché un suggestivo corteo religioso in cui vi si partecipa vestiti con abiti medioevali.
In riferimento ai flussi turistici, i gruppi di visitatori potenzialmente interessati alla fruizione
dell’area si allargano ai pellegrini che si recano all’Abbazia di Montecassino (turismo religioso), ai
reduci di guerra e alle loro famiglie delle più diverse nazionalità, ma soprattutto americani, tedeschi
e polacchi (turismo del ricordo), alla popolazione dell’ateneo cassinate e ai frequentatori della
convegnistica universitaria (turismo culturale), agli emigrati che rientrano nei paesi d’origine
durante l’estate, ai frequentatori estivi della spiagge del Tirreno e dei monti dei Parchi e ai
potenziali visitatori provenienti dai due grandi bacini urbani di Roma e Napoli.