I marchesi del Vasto - La torre/a

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I marchesi del Vasto - La torre/a
I Guevara e i d’Avalos d’Ischia
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I marchesi del Vasto - La torre
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Quando il governo italiano scappò a
casa dei duchi di Bovino
di Rosario de Laurentiis
La storia dei Guevara e dei Dàvalos (poi D’Avalos) in Italia prende origine
dalle lotte in Spagna per la corona di Castiglia. Precisiamo subito che - in
entrambi i casi - questi nomi riguardano feudi e non cognomi. La famiglia
dei Guevara era quella dei Velez, quella dei Dàvalos era invece Lopez. Inol­
tre, almeno per quanto riguarda l’Italia, si può dire che si tratta della stessa
famiglia.
Agli inizi del ‘400 Pedro Velez de Guevara signore di Ognate sposa Isa­
bella di Castiglia ed i loro figli restano in Spagna (Guevara de Morata). In
seconde nozze sposa Costanza de Tovar con la quale ha almeno due figli
maschi. Alla morte di Pedro, Costanza sposa Ruy Lopez Dàvalos e anche
con lui genera almeno due figli maschi. Ruy Lopez è suo cognato, perché ha
sposato prima Maria Gutierrez, poi Elvira Guevara, sorella di Pedro Velez,
ed infine Costanza de Tovar. In casa Dàvalos abbiamo dunque una serie di
figli che si chiamano in maniera differente: Lopez y Guevara, Velez y Tovar,
Lopez y Tovar.
Ruy Lopez Dàvalos cade in disgrazia e viene esiliato. Costanza si trova
improvvisamente povera e con molti figli, ma re Alfonso il Magnanimo ha
bisogno di bravi soldati per le sue spedizioni in Italia e chiama nel suo eser­
cito almeno quattro figli di Costanza (due Guevara e due Dàvalos, che in
Italia si trasformano in D’Avalos). Sono bravi soldati, e ce lo ricorda il poeta
catalano Benedetto Gareth, che venne a Napoli e fu segretario di stato dopo il
Pontano, quando parla dei figli di Costanza di Tovar dicendo : “Frutto d’un
sol terren da due radici, / duo Avoli e duo Guevaro, antique genti / bellicosi
e terror degli inimici...”.
I marchesi del Vasto
Quando il re Alfonso - nella batta­
glia di Ponza del 1435 - cade prigio­
niero dei genovesi ha con sé i nostri
cavalieri, che ne condividono la pri­
gionia. Alfonso però vince la guerra
e ricompensa i suoi fedeli con titoli e
terre: Ignigo Guevara diventa conte
di Ariano, poi nel 1442 conte di Po­
tenza e (1444) Gran Siniscalco del
Regno e marchese del Vasto; non
bastandogli, nel ‘45 compra il feudo
di Savignano.
Sposa Covella Sanseverino e suo
figlio Pedro eredita i titoli del padre
- nel 1462 - e la carica di Gran Sini­
scalco nel 1470, la contea di Potenza
va invece a suo fratello Ignigo.
Pedro sposa Isotta Ginevra del
Balzo, figlia di Piero del Balzo duca
di Verona con una spettacolare ceri­
monia il cui sfarzo viene raccontato
dal Pontano. Isotta, principessa di
Altamura, è sorella di Federico, che
nel 1477 sposa Costanza D’Ava­
los, di Antonia, che nel 1479 sposa
GiovanFrancesco Gonzaga signore
di Sabbioneta, e di Isabella, che nel
1487 sposa nientemeno che il futuro
re Federico d’Aragona. Nonostante
questi legami, Pirro partecipa alla
congiura dei baroni e “ob notoriam
defectionem et rebellionem, perfidiam, prodictionem et demerita”
viene imprigionato e forse ucciso
per ordine del re. Pedro, suo gene­
ro e suo seguace, vede tutte le sue
ricchezze confiscate mentre il mar­
chesato del Vasto torna alla corona.
Pedro non ha figli maschi.
Il titolo di marchese del Vasto ri­
entra in famiglia con uno zio di Pe­
dro Guevara, fratellastro di Ignigo
Guevara: Ignigo Lopez d’Avalos y
Tovar, che sposa Antonella d’Aqui­
no marchesa di Pescara, e recupera
il feudo di Vasto. Suoi figli sono
l’ischitano Alfonso D’Avalos mar­
chese di Pescara, Martino Rodrigo
conte di Monteodorisio, Ignigo, car­
dinale e marchese del Vasto, più tre
figlie femmine.
La torre di Ischia
Essendo nostro obiettivo quello di
individuare chi risiedeva nella torre
Guevara di Ischia, ed avendo dimo­
strato che non si trattava dei marche­
si del Vasto espropriati dalla corona,
dobbiamo tornare ad un altro dei
quattro cavalieri che arrivano in Ita­
lia.
Un altro fratello di Ignigo Gueva­
ra, anche lui figlio di Costanza di To­
var, fu Giovanni Beltran de Guevara,
che sposa Maria Gesualdo. Giovan­
ni muore nel 1461 e suo figlio (Gue­
vara de Guevara) diventa signore di
Savignano e di Buonalbergo.
Guevara di Guevara sposa Mar­
gherita della Leonessa ed ha due fi­
gli: Ignigo e Giovanni.
Chi viene ad Ischia è – forse Guevara di Guevara, ma più proba­
bilmente è suo figlio Giovanni, che
sposa Lucia Tomacelli, di antichissi­
ma famiglia napoletana, che vantava
tra gli antenati due Papi (Bonifacio
IX e Innocenzo VIII).
La Rassegna d’Ischia n. 4/2014
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Giovanni è padre di un altro Guevara de Guevara,
che sposa Delfina Loffredo (imparentata con Torqua­
to Tasso) e muore nel 1550. Quasi sicuramente è lui,
figlio di un Guevara e di una Tomacelli, il primo della
famiglia che viene ad Ischia, perché nelle scale della
torre abbiamo trovato uno stemma che è diviso in due:
a sinistra i colori (sbiaditi) dei Guevara, a destra (per
indicare la famiglia materna) si nota una banda diago­
nale composta da riquadri che sembrano essere quelli
della famiglia Tomacelli, il cui stemma viene così de­
finito: “di rosso alla banda scaccata di azzurro e d’oro
in tre file”.
Sarà invece il figlio Giovanni - che sposa Isabella
Frangipane della Tolfa - a comprare nel 1564 il ducato
di Bovino e sovrapporre allo stemma dei Guevara lo
scudo di Bovino. La nostra torre è infatti chiamata an­
che “di Bovino”. Tale nuovo stemma era presente nello
scudo di pietra, poi rubato, che sovrastava la porta di
ingresso della torre e su una parete della sala del primo
piano.
A proposito di stemmi dobbiamo rettificare un dato
che avevamo riportato sulla scorta di annotazioni ine­
satte trovate nell’araldica napoletana. Lo stemma che
sovrasta la porta d’accesso alla sala “di rappresentan­
za” recentemente restaurata, e che fu scoperto nel cor­
so della campagna di restauri 2012 commissionata dal
circolo Sadoul all’Università di Dresda, fu da noi defi­
nito come quello della famiglia “Guevara Suardo” sul­
la scorta delle indicazioni riportate sul sito della nobiltà
di Napoli. Tale stemma è invece sicuramente quello dei
Guevara di Spagna.
La cosa ha un certo interesse, perché i Suardo sono
entrati nella famiglia solo nel diciottesimo secolo, men­
tre lo stemma delle scale dovrebbe essere antecedente
al 1550, anno della morte di Guevara di Guevara.
Restando nel campo delle inesattezze, vorrei segna­
lare che Wikipedia, e molti siti internet di alberghi o
aziende ischitane, riportano - a proposito della torre
- l’indicazione che alla fine del ‘400 un Francesco de
Guevara, duca di Bovino, sarebbe stato nominato da
Carlo V governatore a vita di Ischia. Alla fine del ‘400
Carlo V non era ancora nato, il decreto reale che attri­
buiva alla famiglia il ducato di Bovino è del 1575, e
nessun duca di Bovino si chiamava Francesco.
Insomma, abbiamo ora la prova che la torre è stata
per molti secoli dei duchi di Bovino, di cui abbiamo la
genealogia, che le decorazioni interne sono tutte data­
bili agli anni a cavallo della metà del cinquecento, che
i Guevara ed i D’Avalos avevano - in Italia - un'origine
comune, incrementata poi con i successivi numerosi
matrimoni, e ci spieghiamo infine perché il titolo di
marchese del Vasto passa da uno all’altro membro del­
la casata.
Torneremo sull’argomento quando le ricerche che
stiamo conducendo con l’aiuto di esperti spagnoli
avranno portato a nuove conclusioni.
Quando il governo italiano scappò
a casa dei duchi di Bovino
Stemmi
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Ho trovato un gustoso episodio che riguarda una
pagina dolorosa della storia d’Italia relativa all’8 set­
tembre del ‘43. Devo però necessariamente premettere
che la famiglia continuò ad utilizzare la casa di Ischia
(e l’isolotto di Vivara che da loro prende il nome) per
molti secoli.
Alla fine del ‘700 don Prospero Guevara, IX duca
di Bovino, aggiunse il cognome della madre (Suar­
do) avendo ereditato dalla famiglia materna il ducato
di Castel d’Airola. Fu probabilmente suo figlio Carlo
a decidere di abbandonare la proprietà di Ischia, sde­
gnato per la decisione del Comune di far seppellire i
morti del colera del 1836 quasi sotto le finestre della
Torre. Si dice che proprio il trasporto dei cadaveri via
mare nella baia di Cartaromana avesse ispirato al pitto­
re Böcklin il suo quadro intitolato “L’isola dei morti”.
Quest’opera d’arte ha colpito la fantasia di molti ed in
particolare dei dittatori. Certamente era nello studio di
Hitler quando fu firmato il patto Molotov Ribbentrop,
ma dopo la sua morte divenne bottino di guerra sovieti­
co e pare che lo stesso Stalin l’abbia tenuta esposta fino
al momento di restituirla alla Germania.
Lasciata Ischia, i Guevara Suardo conservarono il ti­
tolo di Duchi di Bovino sino alla fine dell’800, quando
Maddalena Guevara Suardo lo trasmise al figlio Gio­
vanni De Riseis che - nel feudo familiare di Crecchio,
in provincia di Chieti - fece costruire un castello vicino
alla torre duecentesca della sua famiglia. In quel castel­
lo è ambientato il nostro aneddoto, che ha protagonista
sua moglie Antonia. Maria Antonietta d’Alife Gaetani
dell’Aquila di Aragona, non bastandole i titoli di prin­
cipessa di Satriano, duchessa di Bovino, baronessa di
Crecchio ed un’altra decina di corone nobiliari, fu an­
che dama di Palazzo della regina Elena e - per 33 anni
- presidentessa della Croce Rossa Italiana.
Ma torniamo a quei giorni tragici e ridicoli che ac­
compagnarono la caduta del fascismo. La duchessa
di Bovino è nella sua residenza estiva di Crecchio,
dove ha saputo della caduta di Mussolini. È ancora
in vestaglia ed i suoi nipoti giocano nel parco quan­
do una grossa automobile si ferma all’ingresso della
villa. Si sente improvvisamente chiamare e si trova
davanti il principe Umberto, che è stato già altre vol­
te suo ospite. Quella che segue è la cronaca dei fatti
raccontata sul Candido e poi in un libro (“I Savoia
nella bufera”) da Giorgio Pillon.
Il principe la informa che - insieme a lui - ci sono
anche i sovrani. La duchessa sbianca per l’emozio­
ne, non solo per la visita inaspettata ma anche perché
Umberto, per la prima volta, dice “mio padre e mia
madre” e non “le Loro Maestà”. L’imbarazzo au­
menta quando apprende che con la famiglia reale c’è
anche il nuovo capo del governo ed una carrettata di
ministri e generali. Sono tutti scappati da Roma du­
rante la notte e sono diretti a Pescara dove contano
di imbarcarsi per il Sud Italia, già in mano agli alle­
ati. Preoccupati di arrivare in città prima della nave
militare che dovrà farli fuggire, hanno mandato il
duca d’Acquarone in avanscoperta e - su consiglio
dello stesso Umberto - hanno pensato di fermarsi in
casa di amici per non dover attendere in città l’arrivo
della corvetta “Baionetta”. (Permettetemi - da ingua­
ribile mazziniano - di sogghignare sul fatto che il re
“sciaboletta” scappa sulla “baionetta”).
Arriva la coppia reale e la regina abbraccia la sua
amica, che si affretta a dare ordine per alloggiare la
cinquantina di ospiti imprevisti. Il bagaglio della
sovrana è andato smarrito, e così la duchessa deve
fornire un po’ di biancheria per il viaggio. Ordina di
ammazzare una cinquantina di polli ed organizza tre
turni per far mangiare gli ospiti nella sala da pranzo,
non adeguata a tale quantità di commensali.
Consumano il pasto (solo un po’ di brodo per la
regina Elena, mentre il re - contrariamente alle sue
abitudini - mangia con appetito e fa commuovere la
cuoca quando dichiara di aver gustato molto ogni
piatto). La duchessa, il cui marito è senatore ed è sta­
to il primo podestà di Napoli, domanda privatamente
a Badoglio ed alla regina se era proprio necessario
l’arresto di Mussolini, ricevendo una risposta secca­
ta dal primo, imbarazzata da parte della sua amica.
Altra gaffe della nobildonna: sente Umberto che
viene consigliato dai suoi aiutanti di tornare a Roma
(e la risposta è: “dobbiamo ubbidire al re; in casa
Savoia si regna uno alla volta”) ma convince il prin­
cipe, che la considera una vera amica, a richiedere
nuovamente al padre il permesso di tornare a Roma.
Anche il nuovo tentativo - che forse avrebbe cam­
biato la storia d’Italia - va a vuoto, questa volta per­
ché è la regina a non voler separarsi dal figlio.
Finalmente, dopo che tutti si sono riposati e rifo­
cillati, il corteo va via... ma la nave non è arrivata
a Pescara ed è attesa ad Ortona molto più tardi. La
duchessa sta cercando un rimedio al suo mal di testa
quando sente di nuovo chiamare al portone … sono
tornati tutti, anzi si sono aggiunti un’altra ventina di
cortigiani.
Subito nuovi polli da ammazzare, ma questa vol­
ta i profughi non si trattengono a lungo. Ripartono
infatti dopo qualche ora ed arrivano senza problemi
all’imbarco sulla piccola corvetta, dove altri duecen­
to generali - tutti rigorosamente in borghese - tenta­
no disperatamente di imbarcarsi anche loro, con sce­
ne di arrembaggio che ben testimoniano il carattere
della classe dirigente di quei tempi.
Rosario De Laurentiis
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