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3 L’ IN E-DITO NELL’OCCHIO urticanti scritt-scratt mai pubblicati 2007-2012 by CYB Ed. Cose Einaudite 4 DOV’ E’ ROSA PREMESSA? Metto le mani avanti. L’unica verità certa è che esiste l’incertezza, l’assenza di punti stabili di riferimento. Per uno come me che scribacchia spesso del contingente è una tragedia. Il cercare di fare satira citando la cronaca è messo a dura prova ed è sopravanzato dal susseguirsi di nuove realtà che superano la fantasia, dall’avvicendarsi di personaggi prima protagonisti e ora soltanto ricordi a vantaggio di nuovi rampanti primi attori sempre “sereni e fiduciosi nel corso della giustizia”. Ecco, dunque, un suggerimento propedeutico per la lettura di alcuni di questi racconti. Che si prendano come un’esercitazione della memoria, un piccolo antidoto all’Alzheimer, una sorta di “memento” per mantenersi svegli e vigili in ottica esistenzialista vichiana di corsi e ricorsi storici in salsa di alpeggio (al peggio non c’è mai peggio). Il tempo infatti scorre, ma di questi tempi scorre di più. Tra pochissimi mesi PD sarà la sigla di Partito Derivato, o Partito Depressogeno o anche Partito Detrito; tra qualche mese Renzi metterà all’indice Gramsci, magari con un dito medio poco elegante, per rinnovare la nuova immagine del sinistrorso, una volta trinariciuto orco mangiabambini, ora vorace caimano delle Caymans, con il comune denominatore di un (in)sano appetito. I grandi vecchi che hanno fatto la storiella dell’Italia, in disarmo, si dimenticheranno delle loro connotazioni: Bossi, anche lui con il famoso dito medio, in assoluta smemoratezza circa significati e provocazioni, si ravanerà naso e orecchie nel mentre che si sbrodolerà sul bavaglino verde la zuppa di verza imboccata con devozione da qualche pia donna piadana. L’unto, esausto ormai come il suo olio che l’unge da decenni, lungi dal perdere il vizio, condurrà una vita monacale e rigida con betoniere di Viagra in qualche convento permissivo (Olgettine, non Orsoline). Canticchierà 5 canzoncine garbate e racconterà ancora barzellette, ma leggendole, per naturali problemi di memoria. Continuerà ad aiutare il prossimo, magari acquistando appartamenti come se fossero regge di Caserta, e soprattutto continuerà ad aiutare la prossima, chissà, stavolta vietnamita o uzbeka. I nuovi rampanti, parlanti come Grillo, e parlanti malissimo come Di Pietro, abbaglieranno il prossimo futuro fino allo scaricamento delle pile in un bla-bla sempre più urlato, forse involontariamente comico come il De Mita glorioso dei lontani tempi andati o lo Scilipoti dei tempi recenti. E chi, come me, disilluso da sempre, scribacchia con cinica gioia del presente per segnalare, irridere, allertare, sarà costantemente di nuovo scavalcato dagli eventi, magari dal nipote di Scajola (un nipote a sua insaputa) o da un nipote di La Russa (da un figlio Geronimo mi aspetto coerentemente un nipote Banzai, il piccolo Banzai La Russa). Saranno nuove gesta che poco avranno a che vedere con l’armi e le gesta ariostesche, ma che continueranno a stupire nuove generazioni sempre meno divertite e sempre più incazzate. Poi ci sarà un Big Bang, ché ce n’è sempre uno ogni tanto. E si ricomincerà con il tempo che inizialmente scorrerà placido per poi accelerare sempre più in frenetica rincorsa di nuovi eroi. Cyb 24.10.2012 6 IL PIACERE DI UNA CONVERSAZIONE Gli esordi non furono dei migliori. Entrai in un bar di periferia, di quelli semibui con la saletta nel retro per i giocatori di ramino, piccola agenzia di reclutamento per spacciatori, punto di ritrovo di mala assortita di quartiere mimetizzata tra vecchie bottiglie di Crema Cacao e cartoni pieni di Fernet e moka arabica di dubbia provenienza. Mi presentai disinvolto. Poggiai il vistoso registratore sul bancone e rivolsi uno sguardo amichevole e franco all’energumeno baffuto con camicia a quadretti sudici che mi fissava soppesando portafogli e intenzioni. “Mi dicono che qui si possa bere uno dei migliori caffè del quartiere… E’ vero o è una diceria messa in circolo ad arte per una sorta di pubblicità passaparola?” L’ominide vicino alla Faema argentata aggrottò le folte sopracciglia, spiazzato da un idioma scevro di vaffanculo e porcaputtana, e assunse un’aria diffidente. Poi notò il registratore sul banco e unì tra loro due concetti audiovisivi elementari: una mano, la mia, che premeva un tasto rosso accendendo un led verde, e il rumore di un ‘clic’ con un leggero ronzio. “Perché hai acceso quel coso? Che cazzo devi registrare? Cosa vuoi dimostrare? Sei uno sbirro? Guarda che qui siamo tutti puliti e ai rompicoglioni ficchiamo in culo le bottiglie di Vecchia Romagna, quelle grosse da un litro, tanto per… Spegni subito quella baracca e vai a farti un giro. La macchina per il caffè è rotta, anzi, tu non mi piaci perché parli strano, non mi va di farti il caffè e adesso chiamo gli amici dietro. Muoviti ché non è aria. Sparisci, ficcanaso…” Avrei potuto spiegare che volevo registrare un poco di conversazione, magari avrei potuto inventare qualcosa a 7 proposito di una ricerca antropologica o sociologica o ancora di marketing, ma assistetti alla magica epifania di una mazza da baseball tra le mani dello yeti barista e preferii scomparire inseguito da una muta rabbiosa di ‘fottiti, bastardo, vaffanculo e non farti più rivedere’ urlati con astio fin sulla soglia del bar a coprire i rumori della strada… Sbagliai semplicemente persona. Provai ad un cinema d’essai, nel buio, durante la proiezione del film ‘Blade Runner’. Il cinema, tuttora in squallido esercizio, è poco più che un locale-pidocchietto senza pretese, ancora con i sedili di legno, e chi lo frequenta, in genere, colloca tra le ultime posizioni della graduatoria la motivazione del vedere un buon vecchio film. Il posto è bazzicato da esagitate coppiette limonaie d’ogni età, ragazzi brufolosi e casinisti in perenne commento ad alta voce, pensionati nullafacenti all’ultima spiaggia, pederasti in disarmo. Non fu un risultato esaltante, anzi, fu piuttosto deludente. Il famoso monologo di Roy fu lo sfondo sonoro d’altro che tutto può definirsi fuorché conversazione. Io ho...cough, cough (tosse) visto cose che voi umani toglimi quella mano dalla coscia o ti massacro, finocchiaccio di merda non potreste immaginarvi. Aaaeettccciùùùù (starnuto con richiamo di galaverna nel raggio di quattro sedili limitrofi). Navi da combattimento Ppprrrrrr (proprio da combattimento, asfissiante) in fiamme al largo dei bastioni di Orione. Ahahahah (risate di commento per l’originale modulazione, è il caso di dirlo, cacofonica. E ho visto i raggi Beta Slurp, slurp, sling, slap (baci voluttuosi con lingua, in ansimare entusiasta) balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti suoneria di cellulare con voce menefreghista - pronto, ‘zzo vuoi? Sì, dopo in pizzeria – e un sommesso bestemmione andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. 8 E’ tempo di morire. Commento epitaffio: uffa che palle ‘sta roba. Spensi il registratore dopo poco scuotendo la testa insoddisfatto. Sbagliai semplicemente luogo. Provai allora direttamente da casa, al telefono. Chiamai un mio vecchio collega di lavoro, di prima che andassi in pensione, per cercare d’intrattenerlo in uno straccio di chiacchierata. Accesi il registratore e composi il numero. “Aaarghh, pronto, sssììì…” “Ciao Giovanni, sono…” “Ah…, sì…, ciao. Senti, ti richiamo poi: sono molto impegnato adesso…” “Ti porto via poco tempo, Giovanni. Volevo solamente sapere come ti diverti a trascorrere il tempo nei tuoi momenti liberi, due chiacchiere insomma, tanto per sapere…” “Ecco, per farla brevissima, adesso che ho un mio momento libero ti dico che sto trombando, e anche alla grande, con una gnocca da competizione, la mia superbotta di culo stratosferica degli ultimi cinque anni, e non ho proprio tempo e voglia di fare due chiacchiere con te perché, lo dovresti capire al volo, ho di meglio da fare. Quindi abbi tolleranza e non rompermi i coglioni: ti richiamo poi io, d’accordo?” Chiuse la comunicazione con un clic secco cui fece seguito il clic del mio registratore. Sbagliai semplicemente il momento. Poi mi perfezionai, forte di queste esperienze. Comprai, per un approccio più soft, un registratore in miniatura di quelli piccoli come un pacchetto di sigarette, e scelsi con maggiore cura luoghi e persone e momenti. Ho compreso con il tempo, con interminabili appostamenti e lungo osservare che, per esempio, il giardino di mattina è un posto fantastico, specialmente in una giornata di sole, ed è frequentato da mamme e balie ciarliere con bambini giocherelloni, da pensionati che 9 hanno voglia di attaccare bottone, da persone in genere disponibili a fare due chiacchiere e a raccontare qualcosa di sé o di quello che pensano d’ogni argomento, ché tutti sono più o meno tuttologi. Io volteggio come un condor verso una panchina, metto un dito nel taschino della giacca, accendo il piccolo marchingegno a loro insaputa e butto là un argomento innocente di conversazione cercando di provocare una interazione, magari talvolta provocando, altre volte contraddicendo per accendere una discussione dialettica, altre volte ancora assentendo silenziosamente, ché il mio interlocutore o interlocutrice è in piena logorrea tracimante. Qualche volta, invece, vado in centro e prendo uno di quegli ascensori di grattacieli d’uffici, che portano molto in alto. Mi accodo a persone pensierose, immerse in problemi di lavoro o questioni familiari, e mi stipo con loro in qualche cabina. Accendo il mio gioiellino con disinvoltura senza farmene accorgere e poi, ma non sempre, lascio partire una loffa, insopportabile per fetore, per provocare una reazione e qualche scambio di opinioni. Altre volte fischietto da solo: gli altri sorridono, sbuffano, qualcuno commenta bendisposto. Altre volte ancora straparlo da solo, ipereccitato, e uso abbondante turpiloquio per vedere l’effetto che causa nei presenti. Qualcuno reagisce con tolleranza e comprensione solidale, qualcun altro minaccia e vuole la lite. Nel pomeriggio, infine, soddisfatto delle mie scorribande qui e là per la città, ritorno a casa. Comincia la parte più difficile del mio passatempo: la catalogazione. Scrivo in bella calligrafia con un pennarello indelebile la data e il luogo dove è avvenuta la registrazione e soprattutto l’argomento di cui si tratta. Incollo l’etichetta alla cassetta registrata e la scaffalo insieme ad altre centinaia lungo la parete sezionata da ripiani pieni di altre cassette, la parete miniera del mio falegname che mi ha estorto un mutuo per questa passione. 10 Ho diverse registrazioni che trattano del tempo, altre dove si parla delle mode correnti, altre ancora del governo o di politica in generale, e poi dei giovani d’oggi, del pudore, di cinema, della televisione, di cucina, dei bambini e della loro educazione. Ho argomenti tra i più disparati su cui è stata fatta conversazione. E ne sono fiero. Spolvero gli scaffali con un piumino leggero, allineo meticolosamente cartellini e contenitori e pregusto soddisfatto il mio dopo cena. Stasera, per esempio, avrei voglia di parlare di musica lirica con qualcuno competente. Mi è venuta la voglia adocchiando la cassetta 403 – Parma, giardino – Verdi, quella sul terzo ripiano nel settore musica. Non vedo l’ora. Una cenetta frugale e veloce e poi mi accomoderò in poltrona davanti allo stereo con un bicchiere di amaretto. E farò conversazione. Per adesso, mentre riordino e spolvero le mie testimonianze di socializzazione, ascolto Duke Ellington nel suo successo “Solitude” e mi chiedo come si possa dare un titolo così desolante e triste ad un brano così poetico e catturante. Anche perché, secondo me, la solitudine non esiste. 11 12 DICK – ORMONAL LIFE “Come va, Dick?” Il vecchio si scuote da un torpore pesante, allarga e stringe le mani nodose a saggiare la consistenza dell’aria, tasta il letto e mormora in un sussulto stanco: “Bene, no, anzi, benino, Dick, per non dire maluccio o addirittura malissimo: ho visto giorni migliori.” “Cosa vuoi farci, Dick? E’ la natura che rivendica il potere su tutto. Natura omnicomprensiva, tiranna. Vogliamo osare anche a definirla bastarda?” “E il tuo modo di presentarti c’entra qualche cosa in questo disegno cosmico?” Il vecchio ridacchia sommesso: un sibilo di iguana spossato. Aggiusta la posizione nel letto provando a stirare le gambe nel camicione largo come una vela e trasparente come una rete da pesca, con la tensione degli alluci verso il basso. “Non saprei, Dick: so che adesso sono così, e basta. Ne sono abbastanza fiero e non mi sto ponendo problemi se ciò sia possibile da un punto di vista medico, psicologico, naturale o meno. Potrei, potresti, potremmo essere fenomeni da baraccone o anche questo fa parte della natura. Mi allieta il pensiero di fare la mia porca figura anche in un momentaccio come questo. E dovresti essere contento anche tu, no?” “Beh, per quello che può essere considerato concetto di gratificazione…” Il mormorio è basso, un esalare fiato in maniera inintelligibile, di un ironico umore nero, semmai sia possibile solleticare umore nero in un letto di ospedale nella penombra e nella solitudine più completa di una stanza singola, appeso per lacci e tubicini a macchine che ti fischiettano una messa funebre per bip e orchestra. “La gratificazione, caro Dick, è sempre dietro l’angolo ed è più intensa quando meno te l’aspetti. 13 S’aprisse la porta adesso ed entrasse l’infermierina culona, quella con i capelli a caschetto e lo sguardo malizioso … Mi immagino una bocca atteggiata a meraviglia e uno sguardo da Alice. Poi, magari, qualche pensieraccio goloso, ché tanto qui non entra nessuno e tu, parlando da un punto di vista decisionale, stai diventando importante come un soprammobile.” “I soprammobili si conservano, Dick: non s’inceneriscono per poi conservarsi dentro una scatoletta di cedro.” “Beh, Dick, mettiamola così: non è che ti siano rimaste poi moltissime risorse di reazione. Per come ne sono consapevole, non sei ancora un puro vegetale, e io lo dimostro, ma non sei neanche minimamente candidabile alla frequentazione annuale di un corso di fitness e pesistica con saune e bagni turchi comprensivi in ambiente sessualmente misto.” “Ritorniamo all’infermierina, Dick, così, tanto per distrarmi da questo doloraccio al petto che scava come un chiodo arrugginito: potresti anche giocarmi un brutto tiro, in soprassalto di modestia o vergogna, o anche solamente perché la natura fino a un minuto prima era distratta da altro e ora deve correggere prospettive secondo canonicità classiche. Non si è più sicuri di nulla, caro Dick, e meno che meno in frangenti come il mio, con questo ‘bip’ che m’innervosisce e pare scandire un conto alla rovescia. E poi che bello: con le cannule nel naso, le palpebre a mezz’asta e la pelle flaccida e grigia.” “Tutti alibi, caro Dick, a supportare il tuo essere rinunciatario, insicuro, sconfitto di sempre. Perché non provi a considerare altra retorica, la retorica dell’amore per la vita, dell’aggrapparsi con volitiva disperazione alle ultime occasioni per assaporare ancora soddisfazioni? Una infermiera è allenata ad affrontare le situazioni più imprevedibili e ha una sensibilità che probabilmente, in frangenti pratici, è di un altro pianeta molto più evoluto. 14 Quella del primario di psichiatria del piano di sotto, in confronto, è sensibilità di carta vetrata. La nostra culona ti ammirerebbe, probabilmente, e magari sarebbe colta dalla sindrome della buona samaritana e…” “Sei proprio un porco in ogni occasione, Dick.” “Se porco vuole dire amare la vita sopra ogni altra cosa, ebbene, sono allora un gran porco, caro Dick. E risparmiami discorsi di carattere spirituale, morale, filosofico, sociale. Non venirtene fuori con la storia che caschetto è troppo giovane, è troppo sposata, è troppo sola, è troppo pietosa o altre amenità sul tuo stato, la tua età, il tuo rincoglionimento o quant’altro di negativo tu sappia inventarti per giustificare il tuo essere coniglietto.” “Stai dicendo tutto tu, Dick: io a mala pena respiro e ti sento. Ti sento vampiro. Non so fino a che punto nella scala della giustizia. Mi soffermo solamente su considerazioni varie rispetto al concetto di ridicolaggine… Sto tirando l’anima coi denti e il ‘bip’ mi assomiglia sempre di più ad una campana a morto.” “Beh, caro Dick: meno male che ci sono io a resistere, allora. Il concetto di ridicolaggine, per come la vedo io, è uguale a certi macigni che riguardano la paura di morire e l’aggrapparsi alla fede. Invecchi e hai paura di morire, diventi un baciapile, osservi i comandamenti che non hai mai osservato fino a pochi anni prima, ti raccomandi l’anima a Dio, ti riempi di piità, senti che vocabolo pulcinesco ahahah… Piità, piità, un’assonanza da pollaio con pietà che ha dell’inquietante. Oppure alzi paletti, palizzate, muraglie. La pelle del vecchio fa schifo, l’alito è da fogna, l’occhio è liquido, l’odore del corpo assomiglia ad un qualcosa di indefinibilmente rancido, le sinapsi cerebrali sono tarde e risibili. 15 Tutto vero, se la rigiri per qualche verso che ti accarezza la pigrizia e la irrefrenabile pudicizia che non ammette brutte figure. Ma, e questo ma è un solco. Non è maschilismo spicciolo, questo, bada bene. Esiste anche una insopprimibile voglia permanente di vita indipendentemente dall’età. La vita è cibo. E’ socializzazione complice. E’ ormone. E’ figa. La santissima Figa che tutto asperge con i suoi umori creando vita che genera amore per la vita. Un circolo virtuoso, vizioso, virtuvizioso, saldato solidissimamente, che ti sfido a discernere. Ed è un assioma indipendente dall’età. Le donne sono meno sceme di quello che tu credi, e lo sanno, per fortuna. Comprendono. Si incuriosiscono per comprendere meglio. Forse non tutte. Ma te ne basta una, no? Ce ne basta una, no? Per me ed il mio amore per la vita e per te e il tuo amore per la vita: amori così diversi e così simili, carnale e spirituale, ché quel coglione che ha cominciato a fare distinzioni aveva il cervello in pappa. Dai, Dick, resisti. Resistiamo alla morte con la gioia e l’amore per la vita.” “Fino a che ce la farai: io ho idea che tra poco passo…” “Sforzati un poco, allora, e pensa al figurone del ‘rigor mortis’: l’angelo della corsia con le lacrime agli occhi per una occasioncella perduta…” “Vaffanculo, Dick…Per te sono tutte troie.” “Macché dici, Dick. Povero te ché sei arrivato a questa età e non hai capito nulla della vita.” “…E’ ora. Spero che qualcuno, se esiste, mi protegga e abbia pietà di me…” Il vecchio ha un soprassalto tirato e si rilascia. Anche le cannule e i tubicini sembrano allentarsi sul letto e il camicione sembra svuotarsi. Almeno in parte. 16 Qualche tempo dopo entra nella stanza per un controllo una infermiera coi capelli a caschetto, piuttosto ampia di bacino, e scuote la testa mestamente nel notare la macchina silenziosa e il vecchio Dick terreo immobile disteso sul letto con il suo camicione largo. Il morto sembra sorridere: una specie di ghigno sospeso tra il perfido e il divertito, anche se qualche ruga spianata denuncia una rassegnazione perdente che potrebbe confondersi con una comprensibile paura. Ha le mani serrate all’inguine, Dick. Artigli. Eppure sono mani che contengono, che non imprigionano. A dispetto dell’età e chissà per quale possibile o impossibile legge naturale, fa mostra di sé di una prorompente erezione. Seppure postuma. L’infermiera ha un pallido sorriso, indecifrabile, femminile, e copre con il lenzuolo i due Dick. Con delicatezza. 17 18 BRACCHI E DUGONGHI Il dugongo è caposala: si evince dal golfino blu che fascia una divisa immacolata. Legge le analisi senza tradire emozioni. Il degente interessato, di fronte a lei, si rassetta nervosamente il pigiama cascante sul corpo scheletrico e si passa una mano sui pochi capelli residui. La caposala sorride al mughetto balsamico, equa e solidale. “Bene, benissimo, caro: adesso l’accompagnerò nel laboratorio analisi per qualche altro prelievo. Lei è una roccia. Nulla di preoccupante.” Il paziente, vecchio bracco mansueto, annuisce speranzoso: se avesse la coda, l’agiterebbe festosamente mendicando con lo sguardo una grattata dietro le orecchie. Il dugongo assume un’aria marziale stringendo al petto la cartella clinica e modula l’espressione secondo il protocollo ‘indiscutibilmente professionale’. Flauteggia con voce che non ammette repliche: “Mi segua da vicino. Dobbiamo andare solamente in fondo al corridoio.” Il malato uggiola in annuire sommesso. La caposala spalanca la porta e s’immette nel corridoio che è invaso da carrozzelle, lettini, infermieri affaccendati, parenti di pazienti, bimbi queruli, madri lacrimanti, uomini pensierosi, medici veloci in movimenti galvanici. Il degente si rattrappisce dietro il golfino blu che fende la calca, Pollicino di corsia. La caposala è un bulldozer, ma il corridoio è davvero intasato d’ogni genere di umanità. Il dugongo barrisce: “Permesso, fate largo. Fate largo! Attenzione: uomo morto che cammina. Uomo morto che cammina…” I presenti si appiattiscono verso le pareti e con sguardi sgomenti accarezzano il piccolo bracco che si guarda intorno frastornato. Il dugongo si volge indietro con un’impercettibile strizzata d’occhio che vorrebbe essere complice. 19 Così almeno recepisce, spera, il già prima definito roccia. Molto confuso. Con un groppo alla gola e la proiezione, in pochi attimi, di un’intera vita sullo sfondo del corridoio, sulla porta del laboratorio analisi. La voce insiste: “Permesso, fate largo: uomo morto che cammina…” 20 CASTING Al centro del salone l’enorme tavolo di palissandro scintilla sotto le lampade alogene e riverbera i bagliori dei portacenere di cristallo e delle bottiglie di acqua minerale disseminate qua e là. Sta per cominciare una riunione per definire il cast di una popolare trasmissione di prima serata. Il capo emerge da volute di fumo azzurrino, grintoso con la mascella quadrata e il ghigno dello squalo. I collaboratori, quasi tutti sulla trentina, hanno uno sguardo di sottomissione fanatica rivolto alternativamente al loro guru a capotavola e alle scartoffie davanti a loro. Sfogliano plichi, consultano appunti, blocchi notes zeppi di scarabocchi e geroglifici, e si soffermano su fotografie che sono sicuramente costate ore di estenuanti prove in ricerche di espressioni e luci e sfondi. Il brusio viene rotto da un autorevole colpo di tosse e da un messaggio programmatico. “Bene, ragazzi: per l’edizione di quest’anno voglio cose mai viste, e spero che abbiate da proporre protagonisti assolutamente originali. Basta con le solite comparse trite e ritrite senza personalità: la quarantaquattresima edizione del Grande Fratello dovrà essere unica e dovrà essere rimpianta per i prossimi dieci anni. Allora: chi comincia a esporre la sua mercanzia?” Si alzano diverse mani, ma una voce buca l’uniformità di atteggiamento e attira maggiormente l’attenzione. “Ecco, capo, partirei io, se vuoi, ché ho un asso nella manica che farà scalpore e indici di gradimento mai visti…” “E chi sarà mai? Il Papa?” Mugolio similorgasmico del collaboratore che si stira in un sorriso fosforescente. “Quasi, capo. E’ stato trombato all’ultimo conclave per una manciata di voti. Potremmo chiamarlo il vicepapa eheheh…” “Non mi dirai che…” 21 Sorriso abbagliante da lenti affumicate e falsa modestia. “Sì. Proprio lui. Il Cardinale Benedetto Qualchevolta, detto Monsignor One o anche, meglio, Mons. One, per il suo carisma che lo porta sempre a primeggiare e soprattutto per il suo irrefrenabile meteorismo.” Silenzio di invidioso rispetto di tutti, risatine maliziose. Poi lo squalo: “Cacchiarola, bimbo, ma questo è un colpaccio, anche se, dopo attenta riflessione, non so, dati certi precedenti pedofili, non sono così sicuro…” Querulo e appassionato, il collaboratore è convinto della bontà della sua scelta: “Ma capo, ma questa è la pedofilia dal volto umano. Mons.One, tra una trombetta e l’altra, ha cattivi pensieri, ma poi si pente e si castiga. Ha un gatto a nove code con cui si flagella le terga e i marroni e il manico del gatto lo usa per autosodomizzarsi.. Provate tutti a pensare al successo di una sua convocazione nel confessionale, tra una scoreggia, un pensieraccio su qualche bimbo ed una immediata reprimenda anale di pentimento e castigo.” Un aggrottare di ciglia a schernire del boss: “Sarò cinico, ma penso che col gatto a nove code di dietro magari ci gode. Non è credibile.” Collaboratore trionfale: “Sbagli capo. Il manico del gatto a nove code, e si dirà a voce piena e con sottotitoli lampeggianti a scorrimento, è rivestito di carta vetrata ed è cosparso di polvere di peperoncino: un castigo epocale che neanche Giobbe.” “E come la mettiamo con la fascia protetta?” “Mandiamo in onda dei bip di messa solenne cantata e sfochiamo l’immagine con la vaselina.” Interloquisce un collega ammirato, molto preparato in burocrazia. “Ha ragione, capo. E poi con le nuove leggi rielaborate quattro anni fa per la tutela dei minori, un moccolo in diretta o una bestemmia si potrebbero configurare nel programma di approfondimento filologico della lingua italiana.” Lo squalo capitola con malcelata soddisfazione. 22 “Va bene ragazzi, mi avete convinto, anche se alla produzione costerà un mutuo di vaselina: vada per Mons.One. Pretendo, però, nero su bianco davanti al notaio, la rivelazione nel confessionale di qualche succoso retroscena sulla riunione del conclave, per esempio un trenino tra cardinali o una tresca con monache o guardie svizzere, qualche ricordo languido e morigeratamente erotico d’esperienza con gli orfanelli del Gabon e un numero minimo di sei sette scoregge polifoniche durante i collegamenti e almeno un crepitacolo lungo nel confessionale, con ovvio atto di contrizione e scuse con battitura del petto. Chiaro? Andiamo avanti. Raccontaci tu, Laura, chi hai per le mani.” Laura ha la capacità di trovare inusualità sparse per il globo, ragazza molto intraprendente e senza scrupoli. “Una coppia strana e indivisibile, capo, un insieme di pietoso e torbido che affascinerà i telespettatori.” “Spara, dai.” “ Ecco, capo, ho contattato una ninfomane…” “E’ pieno di ninfomani, soprattutto oggi che girano certi cardinali.” “Aspetta, capo: è focomelica, quasi senza braccia e mani, ed è accompagnata sempre, dico sempre, da una badante tedesca assai rigida e lesbica, tale Ilde Kameron, che la scarrozza dappertutto con una divisa da gestapo nazista dei filmetti degli anni settanta. Il fascino del proibito attuale nell’uniforme del paleozoico a reminiscenza pruriginosa della terza e quarta età che non hanno dimenticato i filmetti di una volta: un nostro target.” Può ruggire di ingordigia uno squalo? Questo sì. “La ninfomane pensa di esibirsi? Come si chiama?” “Si chiama Eva, God Eva, e altroché, se pensa di esibirsi, capo. L’unico inconveniente è che non riesce ovviamente a spogliarsi da sola.” “E presumo che l’aiuterà Ilde Kameron, vero?” “Garantito al limone, capo, sbottonandola coi denti… La tedesca se ne approfitta ad ogni occasione anche se ha una maschera dura e inespressiva che all’inizio non 23 eccita granché. Però ogni tanto uggiola… come un pastore tedesco, appunto, e la repressione delle sue pulsazioni diventa un top che titilla indifferentemente uomini e donne.” “Argh, argh, argh…questa cosa mi illibidinisce assai. Brava Laura.” “Grazie boss.” Lo sguardo del capo si posa paterno su un ragazzotto dall’aria apparentemente innocua. In realtà è un’anima nera che passa ore su internet alla ricerca di messaggi rivelatori per suoi disegni di reclutamento. “Passiamo al perfido Puccio. Tu chi proponi?” “Ho per le mani un anglo-brasiliano bellissimo, mulatto con gli occhi azzurri. Parla molto bene l’italiano e ha due caratteristiche interessantissime. Grattatevi o toccate ferro… E’ un menagramo della madonna, e ci prende sempre o quasi, ed è un esibizionista da competizione.” “Beh, Puccio, da te mi sarei aspettato di meglio. Mi pare tutto molto banale.” “Aspetta, capo. Il tizio si chiama Mortimer, Mort Accy do Interomundo, un nome e una garanzia: ha già causato due infarti per anoressia ad un raduno di bulimici, un’epidemia di colera in un Club Mediterranèe in Finlandia, e ha mandato in corto diversi impianti elettrici con vari difficoltosi interventi dei vigili del fuoco a domare i relativi incendi. Inutile dire che le case erano tutte di legno stagionato nel mezzo di intricate foreste. Ettari in fumo. E poi quando fa l’esibizionista è da sballo.” “Che ha di così speciale?” Pausa ad effetto e voce profonda ad evocare fenomenologie straordinarie. “In mezzo alle gambe ha una murena. Lo tiene con due mani e quello sporge ancora, di parecchio, e ondeggia a destra e a sinistra minacciosamente. Si è fatto fare, infatti, quattro piercing e pare proprio che ti guardi con due occhi di giada e che ti voglia mordere con due denti affusolati come chiodi: Uno spettacolo.” “E la fascia protetta, Puccio?” 24 Interviene l’esperto di burocrazia. “Approfondimenti di storia naturale, capo, ché poi si può solamente immaginare che possa avere tra le mani il suo affare. In realtà, da come dice Puccio e da come si vede in fotografia, è fuori di ogni misura e sembra proprio una murena viva…” Il boss sfrigola idee su idee meditando ad alta voce sotto lo sguardo rapito dei convocati. “Mmmmhhh, sto pensando a gare competitive nel giardino della casa del Grande Fratello, tipo a chi piscia più lontano, per il titolo di padrone di casa, magari con riprese di traverso a inquadrare solamente gli zampilli, per salvaguardare la fascia protetta: rumori di scrosci, e vaiii... Sììì: magari anche una crisi mistica di un mini dotato che vorrà tentare il suicidio in diretta inspirando forte nelle vicinanze del cardinale Mons.One, oppure un gesto inconsulto di una concorrente che rimane appesa ai chiodi della murena in dilettantesca avance. Si dovrà stabilire solamente da che parte rimane appesa…argh, argh, argh… Bello, sì, cacchiarola, ma voglio assolutamente in studio i nipoti di Alessandro Meluzzi e del sessuologo Willy Pasini, quel tanto da illuminare i telespettatori su gestualità, misure standard, zone erogene e comportamenti compulsivi e ossessivi: tutti i telespettatori maschi dovranno misurarsi il pisello preoccupati sotto lo sguardo ironico delle mogli. Giààààà…E poi bisognerebbe trovare una ragazza molto timida, la vittima classica, che si strappa i capelli ogni volta che vede la murena, cogli occhi sbarrati e insane voglie frenate da una pudicizia da orsolina. Potrete trovarla una simile?” Coro determinato unanime. “Difficilissimo, capo, ma ci proveremo.” Il capo è mansueto come un alligatore dopo abbondante pasto e offre paternalistici suggerimenti. “Deve essere brutta, brufolosa, con i capelli esageratamente oleosi, ché quando se li tira si devono vedere le mani scivolare, mi raccomando, e deve urlare e gemere nel sonno in preda a incubi erotici di cose volute e 25 temute: i tecnici dovranno dare il massimo di loro stessi nelle riprese notturne agli infrarossi.” Laura ha gli occhi lucidi, ma è realista. “Capo, dovremo pescare in qualche baita da yeti: ragazze così non esistono più. Anche Heidi s’è rivelata una troia con i capretti che non facevano solo ciao. Piuttosto ci pensi ai numeri con God Eva e Ilde Kameron?” “Sì, Laura: quando si dice sinergia eheheh. Forza, proponetemi altri eroi o eroine…” Interviene un tipetto mite con due occhialoni da miope. “Ecco, capo, io ho uno che sembra dire poco, ma potrebbe promettere sviluppi considerevoli…” Diffidenza, ma solo di circostanza: la talpa è molto intelligente e sorprende sempre alla distanza, come un diesel. “Cha fa il tizio?” “E’ un ex tecnico di laboratorio analisi: si chiama Elio Filizzato. E’ fuori di melone dopo avere provato tutti i tipi conosciuti di droghe leggere e pesanti. Completamente fatto e sempre più ossessionato dalla ricerca di una dose di qualsiasi cosa.” “Visto e stravisto anche alla Tv dei ragazzi. E allora?” “E allora, capo, questo pazzo ha scoperto qualche cosa che fa sballare, innocua apparentemente, ma che lo manda nel pallone, tanto da non controllarsi più. Se trova del cartongesso, lo sbriciola e lo mescola con bicarbonato e qualche altra polverina. Poi lo sgranocchia fino a che non vede la fine…” Gorgoglio di conferma del capo, sempre ammirato verso la talpa che colpisce a scoppio ritardato. “Ahhhh, sei proprio un essere acuto: la casa è quasi tutta in cartongesso. Previsione di finali apocalittici con tutti i concorrenti all’aperto sotto finte bufere o sole canicolare. Prendete nota d’allertare il tecnico degli effetti speciali per grandinate bibliche e anche tempeste di sabbia.” “Già, capo, e poi suggerirei d’affiancargli un concorrente profondo conoscitore della psicologia, una specie del vecchio Hannibal di buona memoria, che istilli in 26 Elio Filizzato strane idee sulle proprietà sballanti del corpo umano: un caso di cannibalismo in diretta farebbe impennare gli indici di gradimento a millanta.” “Oh già, già, ragazzo, bravo. Se fosse vivo nonno Paolo Crepet, lo farei partecipare d’imperio: invece abbiamo il nipotino in studio per fare lezioncine teoriche, puah… E magari, ditemi che è un’ottima idea, il carismatico psicologo potrebbe dirottare le attenzioni del drogato sulla racchia vittima oleosa, magari dopo l’eliminazione della murena che porta sfiga. Un’eliminazione dietro l’altra, già tutte elaborate a tavolino senza che i concorrenti subodorino qualcosa: il trionfo dell’inconsapevolezza. Mi pare un inizio promettente. E poi? E poi?” Alza la mano un ragazzo che sembra uscito da un ritiro spirituale. “Capo, sto lavorando su un terminale.” Fastidio. “Che c’è di strano, moccioso: tutti abbiamo il computer…” Gioiosa ripicca. “Su un malato terminale, capo, per la partecipazione a questa edizione. Si Chiama Agostino Nia, ma gli amici lo chiamano Ago. E’ dentro un polmone d’acciaio e si sta sgretolando poco a poco alternando momenti di lucidità, in cui è tagliente e odioso contro tutto e tutti, da vero stronzo obiettivo, a momenti di narcolessia totale in cui i concorrenti potrebbero sfogarsi con calci al polmone per gli insulti ricevuti precedentemente nei momenti di lucidità.” Il fastidio ha lasciato il posto ad una irrefrenabile curiosità. “Un’ideuzza fresca e sbarazzina, bene. Potremmo abbinare al sondaggio sulla eliminazione dei concorrenti anche un sondaggio parallelo, quasi un totoscommesse sulla giornaliera capacità di sopravvivenza del terminale. Prendi nota: contattare i familiari per eventuale eliminazione ufficiale in diretta, ovviamente a tariffa sindacale, tre o quattro onorevoli di media popolarità 27 contrari alla partecipazione del malato e altri tre o quattro contrari all’eliminazione, che minaccino tutti eventuali referendum. Non può assolutamente mancare un membro della C.E.I. che lanci tuoni fulmini e scomuniche. Mettere sull’avviso l’ufficio stampa circa la promozione di forum e di dibattiti sull’argomento. Contattare anche Mort Accy do Interomundo come carta estrema per risolvere il problema, ma senza murena in questo caso. L’ideale sarebbe una morte per asfissia durante una confessione con Mons. One… Sondate, sondate…” “Sì capo: ti adoro.” Sguardo affettuoso ad abbracciare tutta la sala. “Abbiamo altro, marmocchi? Forza, ché siamo sulla buona strada, ma mancano ancora diverse figure di contorno e di protagonisti. Vi suggerisco anche un paradosso: trovate un concorrente normale, senza vizi e senza virtù, ma che abbia la schiera di parenti più impestata del pianeta. Dai, ragazzi, datevi da fare: un laureando in teologia ancora vergine, ma con sorella mignotta, padre coatto e mamma spacciatrice di extasy. Magari anche con una zia in premenopausa che dal vivo e dall’esterno sbavi e faccia la corte alla murena di Mort Accy, in calze a rete e trucco esagerato. O anche un fratello transgender che dichiari di volere intraprendere una relazione con Mons.One e che spera nella vittoria del laureando per avere in dono una maschera antigas per affrontare il prelato. Dai, ragazzi: affinatevi e sappiate che la gente vuole vedere cose nuove e sempre più mirabolanti. Portatemi qualche mostro, cacchiarola, o qualche deviato. Approfondite le conoscenze dei concorrenti scelti: pensate alla goduria se tutti fossero del Milan e un solo concorrente fosse un ultrà orgoglioso dell’Inter, o che tutti fossero della destra più picchiatrice e un concorrente fosse bertinottiano in pieno outing proselitista. Bene. Ho fiducia in voi. 28 Ci aggiorniamo a domani per parlare del resto. Mi aspetto grandi cose. Non vorrei buttare nella mischia il peggiore di voi per fare numero argh, argh, argh…” Si ride nervosamente, qualcuno smadonnando, qualcun altro divertito dell’idea mentre pensa al collega di fianco. Tutti si alzano e raccolgono cartelle e plichi dal tavolo mentre il capo si dissolve con un immaginario movimento di pinna caudale nel fumo che ormai è nebbia. Nell’aria si respira, oltre la nicotina, consapevolezza e determinazione: si sta formando un cast. 29 30 ECHI DI ECOFUTURO INSOSTENIBILE “Allora è pronto questo volantino?” “Quasi: i compagni del collettivo C.E.S.S.O. stanno approntando il testo.” “Forza, ché è sempre più necessario dare voce alla protesta.” “Ancora un poco di pazienza e siamo pronti.” “Leggi, dai…” “Sì, dunque: abbiamo un titolo che dovrebbe traumatizzare il lettore con una forte provocazione.” “Occacchio, dai, leggi.” “Basta mangiare merda!!! E’ il titolo… Il C.E.S.S.O., Comitato Ecocombattente Sotto Spasmo Opercolare degli anarchici di sottosopra dappertutto indice un corteo di protesta contro la nuova politica governativa in materia di riciclaggio e riorganizzazione dell’ecosistema, politica che puzza di manovre poco chiare e mesta nel torbido. Non siamo disposti alla regressione alimentare e non tollereremo le solite speculazioni governative in conflitto d’interesse a danno del popolo. Partecipate numerosi per far sentire la vostra presenza.” “Mi sembra che possa andare… Speriamo che non finisca tutto in merda…” *** Una offerta veramente speciale! Da oggi fino alla fine dell’anno, grazie agli ecoincentivi statali, potrete acquistare, pagando fino a duecentoventicinque comode rate mensili senza interessi particolarmente rilevanti, SPLOF, il bioconvertitore di nuovissima generazione capace di ridurre gli sprechi organici fino al sessanta per cento rispetto ai bioconvertitori sperimentali degli anni passati. 31 Una occasione da non perdere e un risparmio che si traduce anche in maggiore potere d’acquisto per tutte le famiglie. Approfittatene!!! Il bioconvertitore SPLOF cambierà in meglio il vostro modo di vivere. *** “Come va?” “Malissimo: sono in crisi, depresso come non mai.” “Che succede?” “Non vado da tre giorni, ho una fame nera e al mercato vendono solo verze che mi procurano acidità e che non digerisco; e poi sono verze rinsecchite e striminzite, e costano un occhio della testa.” “Ah: un problema serio, dunque…” “Molto serio, anche perché questi bioconvertitori, se non si attivano regolarmente, potrebbero bloccarsi. La portiera del mio stabile, una stitica da competizione, ne ha buttati alla discarica già due, ché non esistevano ancora le rottamazioni dei bioconvertitori, e con quello che costano questi accidenti di cazzobubboli, incentivazioni o meno…” “Dio, come è vero! E come pensi di risolverla?” “Sto pellegrinando di farmacia in farmacia alla ricerca di un lassativo, una purga, della magnesia, ma sono finite tutte le scorte. Mi accontenterei anche della scialappa per i cavalli, ma nulla. Gli enteroclismi sono scomparsi da mesi e poi non so neanche se possano andare bene o inquinare.” “Hai provato con i vecchi rimedi della nonna? Le prugne secche? La frutta cotta? Acqua e limone bollente?” “Seee lalléro: e dove le trovi le prugne secche, la frutta e anche i limoni? Ci solo in giro soltanto verze e cipolle, ma in quell’aggeggio infernale le risultanze delle cipolle vanno bene solo per il riscaldamento o come deodoranti dell’ambiente o al massimo come insetticida.” “Coraggio, non ti abbattere. Ti mando da un medico che conosco: è un essere diabolico che vende alla borsa 32 nera confetti Falqui, Dolci Euchessine e gelatine Rim. Il furbacchione sta facendo una barca di soldi, proprio vero che la merda porta denaro, ma se gli dici che ti mando io magari ti fa uno sconticino… Pensa: mi ha riempito di Fave di Fuca e mi sento come Ambrogio, quello che va come un orologio.” “Grazie, grazie: sei un fratello. Già quello che dici mi rimescola lo stomaco…” * * * “Nonna, nonna, stasera ho amici a cena e ho il bioconvertitore fuori uso: povera me!” “Ma cara: corri subito a comprare SPLOF. E’ in offerta specialissima con ecoincentivi governativi.” “Ma costerà un pozzo, nonna! Posso rateizzarlo?” “Ma certamente, cara, fino a duecentoventicinque mesi con mutuo quasi agevolato e inoltre, ma solo per questo mese, sei anche omaggiata di due quintali di zucchine idroponiche di dubbia falda acquifera e di un quintale di prugne secche sotto solfati di conserva a norma di legge, tutto disinfettato con la mia vecchia e buona candeggina: imperdibile, no?” “Ah, ma allora corro al più vicino rivenditore SPLOF…” * * * “Cari radiospettatori buonasera. Quest’oggi abbiamo come ospite il ministro per l’ambiente che risponderà ai quesiti del pubblico presente in sala riguardo alla nuova campagna civiltà e progresso inerente i nuovi bioconvertitori SPLOF. Buonasera, signor ministro. Mi tolga una curiosità prima di cominciare: cosa significa SPLOF?.” “Buonasera. Colgo l’occasione per salutare i radiospettatori e per augurare a tutti un sereno futuro nonostante questi bui periodi di crisi da cui usciremo brillantemente, ché già stiamo meglio di paesi emergenti come l’Angola, il Burkina Faso e le isole Tonga semisommerse ahahah. 33 Ottimismo, dunque, ottimismo…ahahah” APPLAUSI APPLAUSI - BASTARDI DATECI SOTTO “Grazie, grazie. Bene, per soddisfare la sua legittima curiosità, le dirò che la sigla SPLOF è un riferimento, sotto forma di contrazione letterale, al primitivo concetto circa le funzionalità per cui era stata progettata la macchina: SPLOF come Spremi Loffe. Il progetto iniziale prevedeva un congruo risparmio energetico e contemplava la bioconversione delle cosiddette emissioni gassose intestinali silenziose, le loffe appunto, più dense e ricche dei classici rumorosi peti, in energia pulita per il riscaldamento dell’ambiente con l’integrazione di una componente deodorante. Ulteriori prove di laboratorio hanno successivamente squarciato orizzonti impensabili ampliando a dismisura le funzioni della SPLOF e oggi tutti conoscono le potenzialità di questo rivoluzionario elettrodomestico insostituibile per una decente qualità di vita, tanto che, come tutti sanno, il Governo sta lanciando una massiccia campagna pubblicitaria con lo slogan ‘Una SPLOF per tutti’.” “Bene, grazie signor ministro. Cominciamo dalla prima domanda, del signor Vacca Carlo di Caccamo.” “Buonasera, signor Ministro. Ecco, vorrei sapere se SPLOF funziona anche immettendo come materia prima semplice diarrea o qualche sbroffo sporadico.” “La ringrazio della domanda che mi consente di fare chiarezza, una volta per tutte, sgombrando il campo da ogni equivoco. Sì. SPLOF funziona anche a diarrea e sbroffi. E’ stato positivamente testato addirittura con semplici tracce di sgommate nelle mutande, estratte mediante uno spatolino che è stato poi aggiunto alla pur ricca dotazione di accessori. E’ infatti provvisto di un solidificatore automatico che interagisce con il convertitore e il forno a microonde in una armonica sinergia creativa. E’ sufficiente programmare i giusti tasti seguendo la pagina dei menu sul comodo display amichevole: da una scarica diarroica media, e questa è fonte ufficiale del Ministero della Sanità, si possono ricavare fino a cinque 34 gustosissimi pasticcini al gusto di vera pasta di mandorle siciliana o anche, in alternativa prevista dal menu, una sogliola media, a vapore o alla mugnaia con una spolverizzata di prezzemolo, oppure due cannelloni belli caldi ripieni di spinaci e ricotta.” “Grazie, signor ministro.” “Passiamo alla seconda domanda della signora Leica Cava in Piazza, di Meda. “Signor Ministro, il marchingegno funziona immettendo deiezioni di qualsiasi genere? Cioè, deiezioni ottenute da qualsiasi alimento? E anche deiezioni di animali d’appartamento o di campagna o selvatici?” “Domanda molto interessante signora Caca” “Cava, signor Ministro, in Piazza.” “Sì, Cava, Leica Cava, scusi. SPLOF funziona con qualsiasi tipo di deiezione. E’ stato testato con immissioni di materiali ottenuti dall’elaborazione intestinale di crusca, surgelati ancora gelati e anche squagliati dopo prolungato black out elettrico, verdura e frutta, fresche e anche marce, suole di scarpe bollite, segatura a vapore, cartongesso in umido e calcina sbriciolata saltata in padella con porri passati nel senso di appassiti quasi decomposti. Funziona egregiamente, grazie ad un programmatore di conversione assolutamente versatile: da un paio di suole di scarpe, faticosamente espulse in un processo peristaltico doloroso assai, ché era rimasto anche qualche chiodino, è stato programmato un tiramisu di pasticceria artigianale al caffè che ha poi ottenuto due cappelli di cuoco dalla guida Michelin. La conversione può avvenire programmando, oltre il sapore fondamentale, la consistenza del prodotto e il colore. Si può variare da una consistenza polentacea ad una granulacea, micro e macro, fino alla variante filamentosa che richiama visualmente gli spaghetti. E’ prevista anche una consistenza croccante, un’altra secca e una gradevolmente agrodolce. I colori programmabili vanno da un brillante giallo paglierino fino ad un verde smeraldo che i tecnici assicurano assai vivace. 35 Una sostanziosa e allegra cenetta trasgressiva contempla addirittura i colori violetto e verdino fosforescente insieme ad uno stupefacente rosso fucsia. Una serie di meraviglie, dunque, in questa sciccheria di indispensabile elettrodomestico per la casa, ché la vita, come dice la pubblicità progresso, con SPLOF, è davvero degna di essere vissuta. Inoltre il bioconvertitore SPLOF è stato testato su inconsapevoli volontari disoccupati disorganizzati e in ospedale su pazienti terminali, in accanimento terapeutico, con ricordini di cani, gatti, scimmie, bovini equini suini e ovini, castori e criceti e anche topi e coccodrilli. Il risultato non cambia: il convertitore compie magicamente il suo dovere e il menu di programmazione è assolutamente fantasioso e molto vario. Lei pensi che dalle risultanze intestinali di un procione è stato prodotto un appetitoso pastone al gusto di timballo alla norcina con abbondante spolverizzata di parmigiano grattugiato, tartufi neri e la salsa bechamel. Non è meraviglioso?” “Grazie, signor ministro. E ora un’ultima domanda del signor Tino Tenue di Belsedere, in provincia di Siena.” “Signor ministro, il bioconvertitore SPLOF è prodotto solamente dallo Stato o, come si vocifera, la sua costruzione e distribuzione è appaltata alla stessa ditta che ha prodotto molti anni fa i decoder per la televisione digitale?” “Con lei non parlo, cribbio! Lei è un provocatore comunista e un terrorista senza Dio e mi rifiuto di rispondere a questa domanda capziosa. Mi meraviglio che qualcuno le abbia dato il pass per questa trasmissione e trasecolo che lei sia ancora a piede libero e non sia stato trasformato in polpettinaggio per la filiera governativa.” “Polpettinaggio?” “Giààà, caro il mio terrorista: polpettinaggio per i cani da guardia del Primo Ministro, feroci molossi colagoghi, che poi produrranno come bisonti il materiale da bioconvertire in braciole al sangue per le guardie di scorta…” “Vigilanza, per favore, fermate quell’uomo, il terrorisTino. 36 Sono mortificato con il ministro per l’intrusione inaspettata. La trasmissione volge al termine con i soliti inconvenienti della diretta di cui mi scuso ancora. Un saluto cordiale e un arrivederci alla prossima. Sigla, sigla.” * * * Leggere attentamente. La ringraziamo d’avere scelto il bioconvertitore SPLOF. Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è provvisto di un meccanismo di omogeneizzazione della deiezione permettendo la conversione ottimale indipendentemente dalla consistenza del materiale organico immesso e anche in presenza di residui mal digeriti come bucce di peperoni, chicchi di mais e foglie di cavolo. Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, accetta materiale organico deiettivo di qualunque specie animale anche se si suggerisce una certa cautela operativa rispetto a granchi, scorpioni, serpenti velenosi, vedove nere e rinoceronti. Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è provvisto di forno a microonde per la cottura e il riscaldamento del prodotto bioconvertito e anche di un grill elettrico per la tostatura e la gratinatura. Può essere usato anche come pratico scongelatore in pochi istanti e anche come termosifone e deodorante dell’ambiente in cui vivete o diffusore di insetticida In questo ultimo utilizzo arieggiare a lungo l’ambiente prima di soggiornarvi. Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è dotato, nella sua elegante confezione, di un inesauribile ricettario per le programmazioni più sofisticate e fantasiose del materiale introdotto e suggerisce in automatico le giuste modalità di presentazione del prodotto bioconvertito. Farete una eccellente figura con i vostri ospiti o i vostri cari: ogni giorno una specialità nuova di cucina internazionale o regionale. Basterà seguire le istruzioni di programmazione utilizzando i tasti descritti e la vostra 37 tavola sarà imbandita con le più squisite leccornie che mai potreste immaginare. E vi potrete anche sbizzarrire creativamente con l’accluso divertente set di formine in melanina, mono e pluriporzione, e lo spatolino per la raccolta di esigue tracce corporali, e anche miscelando colori e consistenza in ‘nouvelle cuisine’, divertendovi a ribaltare luoghi comuni circa il colore e la compattezza del polpettone alla casalinga o del tacchino ripieno. Si raccomanda di detergere il bioconvertitore SPLOF con una spugna morbida o una mappina da W.C. e con una soluzione di lisoformio e ammoniaca diluiti in acqua. Non esporre a fonti di calore o in ambiente umido. Tenere fuori la portata dei bambini. * * * “Mio nonno buonanima mi diceva che nella vita, tutti i giorni, bisogna mangiare un cucchiaino di merda per sopravvivere, temprarsi e farsi crescere il pelo sullo stomaco…” “Mi viene da ridere e da piangere insieme: se ci vedesse adesso…” “Giààà. Ne ingurgitiamo certe vagonate giornaliere che sembriamo tutti dei piccoli yeti, altro che pelo sullo stomaco… Ma hanno il gusto di macedonia al limone e di zampone con le lenticchie.” “Speriamo solamente che non si guasti mai il bioconvertitore, con quello che costa. Un mio vicino di casa, povero, che non può permettersi di riacquistarne uno nuovo dopo la rottura del suo, sta imparando a farne a meno, a prezzo di enormi sacrifici e di una ammirevole capacità di adattamento, ma dice, assai sconsolato, che è una indubbia vitaccia di merda!!!” 38 LA DIGNITA’ “Aziz Tuluk.” “Presente, inch’ Allah.” “Basta dire presente e basta, Tuluk.” “Presente e basta, inch’ Allah.” “Tuluk: ne riparleremo alla ricreazione, magari dopo la tua preghierina sul tappeto rivolto alla Mecca, va bene?” “D’accordo signor maestro, inch’ Allah.” “Ayala Augustin.” “Esto. Presente.” “Benhim Ibrhaim.” “Presente.” “Brambilla Giovanni.” “Sun chi, prof.. Presente.” “Sono un semplice maestro, non prof., e tu puoi rispondere solamente presente.” “Pota.” “Corcovado Osvaldinho.” “E’ malato: ha il dengue.” “Darak Vladislaw.” “Pressente.” … … … * * * “Dobbiamo ritornarci su, Silvio.” “Posso anche comprenderti, Umberto ma, cribbio, non è così semplice come dici tu…” “Tutte le difficoltà che vuoi, Silvio, ma non sarà problema eludibile per i veri verdi duri e puri.” * * * “Ephrem Tarek.” “Assente: è andato a trovare il papà che è a San Vittore.” 39 “Per cosa?” “Lavaggio vetri abusivo al semaforo e spaccio menta.” “Hu Shu Ping.” “Plesente.” “Laganà Carmelo Crocefisso.” “Presente. Dissi ‘bbene a voscienza?” “Chiamami signor maestro, Carmelo.” “Occhei, a voscienza signor maestro.” “La Scortecciata Cosimino.” “Sugnu ‘cca.” “Si dice ‘presente’, Cosimino.” “Sugnu ‘cca presente, signor maestro.” … … … * * * “Umberto, te lo dico con il cuore, in confidenza e da amico: non puoi continuare a rompermi i coglioni con richieste sempre più pressanti. Prima il federalismo geografico, poi il federalismo fiscale, poi le ronde padane. E nessuno sa, per tua fortuna, che hai chiesto anche deportazioni forzate dei terroni del Nord Italia e schedature obbligatorie degli italiani dall’Umbria in giù. Ma insomma, cribbio, non esistono mica solamente i padani, sai…” “Ascolta, Silvio. Risolviamo quest’ultimo problema e poi penso che ci si possa considerare tutti soddisfatti.” “Ma cosa vado a raccontare a Giovanardi, seppure per quello che può contare uno come Giovanardi? O a quella faccia da prete di Bondi? E poi come mi vado a porre con quel boyscout di Franceschini? E chi lo sente Casini? Lo sai che sta aspettando come una faina con gli unghioli affilati che io faccia qualche cappella? E il Clemente Mastella? Quello risalta da un’altra parte ancora: non ho ancora capito se è un canguro con la faccia come il culo o un mix di puntarelle e catalogna in padella con aglio e acciughe. Salta sempre, e risalta ancora… 40 Te lo ripeto, Umberto…” consentimi: non è così semplice, * * * “Lao Xin.” “Plesente, signol maestlo.” “Ling Yu Tao.” “E’ assente con la febble alta: ha l’avialia…folse.” “Malawi Malek Maluk.” “Brezende.” “Moldan Dragoslaw.” “Io essere qui.” “Si dice semplicemente ‘presente’, Dragoslaw.” “Vaaaa beeeneee. Preeesssenteee.” “Bravo, Dragoslaw, ma non farti uscire gli occhi di fuori.” … … … * * * “E poi, Umbertone, benedetta anima di me e grande figlio di buona donna che sei, cribbio, con che fondo tinta rimetto tutto in discussione dopo che vado in giro a difendere da solo quel nazi che sparacchia cazzate ecumeniche in Africa? Qui perdiamo la faccia tutti, lo capisci? E con quello che costa il cerone e l’estetista…” “Quelli della sinistra sarebbero sicuramente d’accordo, al di là dei nostri motivi, per i loro motivi. E abbiamo l’appoggio della destra, Silvio, di tutta la destra, se parliamo alle sensibilità e ai cuori di onore, di samurai, di spiritualismo e purezza d’animo e di intenti. Coi miei me la vedo io: abbiamo il valore sacrosanto di preservarci da contaminazioni e di difenderci in qualche modo da questa invasione. Vorrei vedere se tua figlia Marina avesse per amico un Amba Aradam qualsiasi… 41 Mi ci viene quasi da ridere, sai?” “Ci sarebbe poco da ridere, soprattutto per il carbonella: gli farei spezzare le braccine dalle mie guardie del corpo…” * * * “Netzprotehwski Zbwignerslavdt.” “Presente, signor maestro.” “Ah, questi polacchi: padroni di tutte le lingue! Chissà come mai…” “Radomir Radovan.” “Assente: è andato a portare vestiti, bende e scatole di cerotti al cugino nel Centro di Accoglienza.” “Di Rado presente, di rado presente, non se ne parla, eh? Cugino senza permesso di soggiorno?” “Senza tutto, signor maestro, a parte i lividi: di quelli ne ha in abbondanza, ché una Guardia del Centro la chiamano Hulk, anzi, Hulkedolore.” “Rustu Yader.” “E’ assente: lo hanno incastrato per uno stupro il giorno in cui era con noi in gita scolastica.” “Stupro? Ma avete tutti sette anni…e poi era appunto con noi in gita scolastica…” “Mah, non so, signor maestro: dicono che c’è di mezzo il dna o il favoreggiamento, non ho ben capito, sembra che sia stato preso per un nano di circo da una signora di ottanta anni ipovedente…” “Mah: misteri della fedina… Shamalayandrawana Botziwanismelin.” “Sì, sono assolutamente presente in fisico e spirito, onorabilissimo signor maestro di questa rispettabilissima scuola elementare inserita in questo accogliente e civile paese che ci offre occasioni di prosperità ed integrazione sociale.” “Ehm, da oggi ti chiamo semplicemente Botzi e ti prego di essere sintetico come il tuo nuovo soprannome. Il primo che sento chiamarlo ‘malgascio di merda’ se la vedrà con me e con il mio tortòre di tek.” “Cosa essele toltòle, signol maestlo?” 42 “Randello in romanesco, non romanescu, Hu, landello. Tu capile antifona?” “Pelfettamente, signol maestlo. Anzi, dichialo esplessamente che pel me Botzi essele flatello quasi di sangue: io spelale, pelò, che non sia infetto…” * * * “Dai, Silvio, ragiona: c’è arrivata anche quella cima, di broccolo, della Gelmini, che ha provato ad arginare al trenta per cento. Ma lo sappiamo tutti, sia te che io che Gianfranco. E se Gasparri continua a fare lo gnorri toccandosi le palle nell’illusione di essere spiritoso, tutti gli altri sanno che il problema sarà irrisolvibile e l’invasione sarà impossibile da arginare. E dunque, parliamone, prima che si può anziché dopo, ché si creeranno casi giudiziari spinosi, altro che Englaro. E ai filoclericali mandiamo in famiglia qualche negretto lebbroso o impestato oppure qualche rumeno dalle mani lunghe o un polacchino ubriaco che pulisca anche i vetri degli occhiali e lo specchio del cesso. Lo sai anche tu: l’esigenza è improcrastinabile. Cazzarola, Silvio: il problema mi sta così a cuore che dico anche delle parole tostissime senza sputacchiare e senza balbuzie. Non ho fatto neanche la bava e la schiumetta… Guarda, la ripeto, hop: improcrastinabile. Uelà, bella robina, neh? Ci faccio la mia porca figura, pota…” “Ci penserò, Umbertone. Sei un bauscia rompiballe, ma hai le tue ragioni. Ne riparleremo…” “No, Silvio. Voglio una tua parola ora. Mica dico, hop, ‘improcrastinabile’ (cazzarola, se mi stupisco, ché mi riesce benissimo anche più volte) così per dire, neh… Parliamo di eutanasia, una volta per tutte. E approviamola.” * * * “Suognamiglio Salvatore.” 43 “Minchia, presente.” “Salvatore, la minchia portacela a tua sorella. Qui rispondi solamente presente, d’accordo?” “Mi scusi, signor maestro, e s’‘abbenedica…” “Talik Berek.” “Brezende, zignor maesdro.” “Yussu Medir Answad.” “Etneserp.” “Yussu, qui siamo in Italia e si scrive da sinistra a destra.” “Ah, sì, presente.” “Xin Xiao.” “Plesente.” “Bene, ragazzi. Oggi parlerete, in un breve componimento, del vostro maestro. Nessun luogo comune, però. Parlerete di quello che vi sembra buono in lui e di quello che non vi piace. Evitate i soliti luoghi comuni sul colore della pelle, sul fatto che sono negro e che provengo dal Camerun anche se sono venticinque anni che sono in Italia e parlo l’italiano meglio di Di Pietro o di De Mita. Evitate anche giochi di parole sul mio nome datomi da un missionario, ché se lo ritrovo lo impalo, e non con il tortòre: Enoc Signovinces. Parlate di me solamente da un punto di vista di impressioni che avete circa la scuola, l’imparare, la cultura, l’ambiente, il paese che vi ospita. Va bene?” * * * “Allora, Silvio, hai capito? Vogliamo avere il diritto di morire con dignità e onore da legaioli duri e puri, verdi e padani, senza imbastardimenti che porterebbero solamente sofferenze indicibili e condizioni di vita inumane, se non subumane. Vogliamo avere il diritto di morire senza dovere espatriare in qualche clinica svizzera inseguiti da nugoli di zingarelli queruli con la mano tesa per l’elemosina che ti 44 strattonano e ti attaccano le piattole e qualche malattia infettiva. Lì, dai nostri fratelli formaggiari, peraltro, ti danno il succo di frutta al cianuro, che fa veramente cagare. Qui potremmo morire padanamente assistiti in un alpeggio da qualche vero mandriano di malga che non si lava da quindici giorni, mediante inspirazione, convogliata direttamente nei bronchi, di vapori di caciotta andata a male da tre anni di invecchiamento in grotte sbagliate. Una morte rapida, indolore, con effluvi che prendono il cervello rendendolo insensibile e che portano al coma e poi alla morte in un amen, anzi, in un ‘pota’: il diritto di poter morire con un sorriso bergamasco sulle labbra. E almeno rimarremo, seppure come ricordo nel tempo, quelli che siamo sempre stati, con dignità. E il povero Giuanin Brambilla saprà che non è solo tra tanti stranieri e vivrà, per come saprà e potrà, contento e sicuro di una estrema possibilità redentrice, fiero della sua identità.” “Umbertone, mi stai mettendo con le spalle al muro, ché sto cominciando a commuovermi anche io, se penso al nipotino del mio maggiordomo di Arcore, di Castelpusterlengo, a scuola con mezzo Mozambico, cribbio. Vedrò di fare il possibile e comincerò a lavorarmi ai fianchi il Gasparri, magari guardandolo negli occhi, anche se so che abbasserà subito i suoi a palletta da rubagalline. Mi sentirà, oh se mi sentirà: gli starò col fiato sul collo, anzi no, gli metterò dietro, col fiato sul collo, due o tre senegalesi superdotati e in astinenza da quattro mesi. Così si renderà conto anche lui. E farò dirottare la barchetta di Pierferdy in acque libiche a ridosso di otto gommoni che lo assedino per qualche settimana come caimani. E’ una promessa, Umberto. Per tutti i Brambilla superstiti sperduti nelle classi multietniche delle nostre scuole. Si potrà morire tutti, infine, amorevolmente e federalmente assistiti, con un soprassalto d’orgoglio e di dignità. E in culo a tutti gli altri.” 45 46 NESSUN ALLARMISMO Chiunque tu sia, aiutami, ti prego: sono di strutto. Sono insaccato e depresso, anzi soppressato, da interrogativi, da ipotesi, da informazioni martellanti, da un’angoscia esistenziale che tormenta nell’associazione di idee tra un semplice brutta fine, ad esempio quella di un maialetto infartato (esistono gli infarti suinidi?), e un insopportabile dolore, ad esempio lo stesso maialetto, magari alla sagra del maialetto (dal punto di vista del piccolo suino: che cazzo di festa eh?), macellato in presenza di tutti e soprattutto senza anestesia. Sono perseguitato da immagini, da ultime notizie di agenzia, da un insistente a fastidioso chiacchiericcio tuttologo senza riscontri e senza certezze. E le immagini si fondono con altre immagini in surrealtà che assumono contorni quasi comici. Nelle mie fantasie mi vedo alzare la coppa al cielo, in una botta di culatello, da vincitore di non so che cosa, mentre in realtà sono sdraiato sul letto e guardo un film esorcizzante, “Prosciutto, prosciutto”, senza riuscire ad apprezzarlo, troppo catturato dai meta contenuti, tanto da sorvolare su quella porchetta d’attrice e su quell’altra faccia di salame dell’imbranato protagonista maschile. E il guanciale mi sembra troppo duro, stagionato quasi, e mi giro e mi rigiro nel letto con un forte dolore tra capo e collo. Gli è che tutto quanto stiamo vivendo mi sembra genericamente una grande porcata, tout court, una storia a vellicare gli istinti dei maiali ai giardinetti, quelli che grugniscono dietro alle giovani balie rumene pensieracci sconci sulla propria salsiccia più o meno piccante che invece è obiettivamente soltanto un cicciolo. Cerco di distrarmi, ma la goccia cinese colpisce inesorabile e ripetutamente con cadenza esasperante. I morti diventano, ora dopo ora, sempre di più, sparsi nel porcile globale, e se ne sanno anche i nomi e se ne conoscono anche i connotati e le abitudini: lo dice lo speck 47 con una voce di circostanza che grufola nelle trombe di Eustachio con insistenza graffiante. Tizio nel Texas faceva il porco con quella maiala di sua zia, grande troia. Padre O’ Sempronio faceva il maiale con quattro o cinque ragazzini dell’oratorio della sua parrocchia. In Nuova Zelanda qualcuno si rode il fegatello, in Messico ci si guarda con occhi porcini. In Italia, per ora, grazie al monitoraggio degli organi sani preposti, i porcini si raccolgono e basta. Tra qualche giorno si potrebbero raccogliere, accatastare su un carro di monatti, e bruciare in qualche discarica costruita per una vita migliore non da maiali. Si stanno coniando slogans governativi: Mai alimentare paure. Fioriscono già le leggende metropolitane: bisogna guardare particolarmente sui nei… o suini… A Roma già mandano li mortacci suini contro il mondo. Mai le bestemmie e le interazioni offensive a base di porco sono state così attuali. Ed è la nemesi del porco che pretende la pari dignità con l’uomo. Del resto, a ben intendere il linguaggio dei maiali, soprattutto quando s’incazzano tra di loro, le interiezioni Dio Uomo, Umana Puttana Eva, Uomo Governo Ladro, sono molto frequenti, quasi quanto i vari ‘porci’ urlacchiati in qualche bettola di periferia urbana. Gli organi di informazione integrano, approfondiscono, richiamano come un inesistente o inefficace vaccino, tranquillizzano col paradosso dello spavento o spaventano col paradosso della tranquillità ostentata come un ciuffo di setole pubiche di porco esibizionista convinto della naturalezza maestosa del suo cazzo a cavaturaccioli. Ho pruriti diffusi, somatizzazione dell’angoscia nutrita da articoli doviziosi di particolari, e mi gratto in continuazione la pancetta, dadolandomela con gli unghioli. Mi sto facendo un sanguinaccio nero nero di paura in quesiti universali esistenziali da porci e sottoporci. 48 Si dice che il virus sia un incrocio tra peste suina e febbre aviaria: un poco come se un corvo si sia ingroppato una scrofa senza preservativo impestandola. Non voglio sapere, non voglio mutare. Già adesso, confusionario, sto accarezzando l’idea di integrazione da esprimere con un nuovo nome: Salvatore Ame, detto Sal Ame, o anche meglio Sal Amen per tutti i secoli dei secoli. Fossi donna mi chiamerei Maya Lona, con l’invidia del salame al pepe. L’Ungheria a ferro e fuoco e il paese di Felino e le città di Milano e di Praga rase al suolo e bruciate per precauzione, a frenare il contagio. Parma, Modena e Piacenza bombardate. Giustiziati erodianamente sulla pubblica piazza in esecuzione sommaria tutti i figli dei cacciatori, i cacciatorini. Mi vedo tra i boia con qualcuno di questi, che l’ardo a Colonnata. Si affastellano luoghi comuni con immaginari articoli prossimi futuri. Ecco la foto della Morta della Madonna di Ferragosto, e giù, particolari raccapriccianti su pustole, sui nei (sì, lo so, mi ripeto, ma è una persecuzione) su testine e nervetti e su zamponi affaticati da troppo camminare da casa a ospedale e ospedale a casa per antivirali e mascherine per respirare più tranquilli, senza garanzie, anche se sono di cotica, cotenna, budellino. Aiutami, ché non ce la faccio più! Sono terrorizzato e mi ausculto ogni cinque minuti la soppressata, pardon, la pressione. Ma il termometro è diventato un wurstel di Merano: sai? Quelli lunghi e fini. E tutto muta in nuance con l’epoca in cui vivo e la procella fuori, un semplice temporale che batte a raffica da qualche giorno, diviene la porcella, e i porcellini che inserzionano su siti di scambisti, di là che siano bisex o rigorosamente etero, sempre comunque solari e mai lunari, mi sono sempre più rosei e fratelli di specie. Aiutami: penso che farò uno sproposito. 49 Giro nudo per casa specchiandomi di tanto in tanto di profilo, con il coltello da affettati in mano, pronto per qualsiasi evenienza, e mi scruto lo scroto e tutto il resto con maschia determinazione funerea. Quando vedrò crescermi la coda a ricciolo sopra il culo mi macellerò. 50 FAI L’IRRIVERENZA, PAGA PENITENZA Pirlandelliana Stragedia in matto unico, anzi no L’inguacchio a seguire è un parto, nel senso di partire di testa, concepito inizialmente come atto unico teatrale per cercare di emulare un lavoro a quattro mani che ho divorato con curiosità ed interesse, intitolato “Drammaiale”, di Malos Mannaja e Lapo Orage, ai quali va l’affettuosa dedica di quanto scritto. Col tempo, lo sfrigolare delle idee in una parvenza di caotico ordine mi ha fatto considerare l’ipotesi espressiva di una struttura più aperta, ‘hellzapoppiniana’ o, per dirla meglio, ma senza allarmare troppo, anarcoitoinsurrezionalista. Le famose unità aristoteliche sono state prepensionate senza neanche la mobilità da un desiderio di surrealismo ioperrealista (non è un refuso) che mi ha consentito maggiore libertà di movimento senza costrizioni. La pièce è divenuta un insieme di sipari fuori contesto, legati tra di loro nel loro essere slegati. Ogni scena galleggia nel vuoto del nulla o si confonde nel tutto del tutto: un insieme di eventi in tragedia, senza punti di riferimento esistenzialmente certi, un poco come nella vita, ma con i miei limiti espressivi: per l’appunto una stragedia pirlandelliana in atto unico, anzi no, come da sottotitolo. * * * Personaggi e interpreti L’INTERVISTATORE, alias il giornalista o i giornalisti, alias lo psicanalista, alias la coscienza, alias il confessore, alias il medico, alias la vicina di casa della porta accanto, alias a scelta… E’ il provocatore-spalla di quel dialogo che tanto piace a qualcuno per vivacizzare i pensieri L’INTERVISTATO: spesso cybbolo, a volte casualmente qualcun altro a misura di cybbolo. L’essenza del narcisista o dell’affogando che chiede un salvagente senza amarena 51 IL CORIFEO: tipico di ogni tragedia che si rispetti, composto di quattro omologatti più quattro veteri inani, ovviamente complementari * * * S’alza il sipario sulla scena nera. Dal buio si fa strada una fioca luce che disegna la sagoma di una persona che si sporge verso un’altra con un registratore portatile. Rumore di mormorii, di orchestra che è in procinto di eseguire un concerto, di urla lontane di bambini d’asilo miste a urla di manifestazione o di protesta a scelta: contro il precariato, per la pace nel mondo o la difesa del difendibile indifeso, contro la cassa integrazione, in corteo oppure in girotondo insieme ai bimbi di poco prima, pacificamente o sgrillettando contro le forze del bene e delle more del partito dell’amore. Silenzio all’improvviso mentre mugghia il corifeo dei quattro omologatti con i quattro veteri inani, gli uni che scandiscono slogans pubblicità progresso: Due fustini is mej che uan, Ma fan finta, fioei d’un can mentre i veteri inani controcantano, con alzate di spalle gobbartritiche, interiezioni celtiche del tipo “vadavielcu” in accordo minore, per l’impossibilità di comprendere, essenzialmente per pigrizia o egoistica distrazione, le ultime funzionalità informatiche, motoristiche, televisive, e relativi libretti di istruzioni. Le scosciature delle veline, inoltre, sempre più inguinaluterine, incupiscono i veteri inani. Si sentono infatti defraudati degli ultimi brandelli di moralità moralista e vedono rosso come il mancante bollino televisivo preservinfanti. Esiste tuttavia anche una possibilità di bieca semplice invidia andropausica. Ammutolisce, infine, anche il corifeo variegato e scende un silenzio carico di aspettative. Poi la voce, beffarda, giornalistica, paracula. 52 “Da dove vogliamo cominciare?” “Direi ‘(z)ab ovo’: il mio zabaione esistenziale preferito, energetico e sferzante. Dall’alba dei dinosauri che è già confluita, ma che per me confluisce ancora e forse confluirà anche in eterno, nel tramonto dei dinosauri. Siamo tutti dinosauri, del resto: da sempre e per sempre. Abbiamo un premier tirannosauro, fortunatamente rex solo in pectore, almeno per ora; e siamo circondati da brontosauri erbivori ingombranti e inconcludenti e da tanti dimetrodonti che pignoleggiano su tutto lo scibile puntualizzabile…” “Tu che dinosauro pensi di essere?” “Uno stego… no: un misegosauro, nel senso che mi sfinisco di pippe mentali ponendomi quesiti esistenziali che vanno dall’alba dei tempi alla fine del mio tempo.” “Beh, è coerente: un misegosauro eccitato da fantasie a tripla ics d’alto contenuto egotico vietate ai minori di diciotto eoni, pardon, neuroni.” “Guarda che io sono di una umiltà cosmica: è mio padre che si preoccupa del genere umano tra quattromila anni e ha aneliti di sofferenza all’idea di una estinzione dello stesso, neanche fossero tutti sua progenie da uno spermatozoo di centoventisette chilometri, del peso di qualche tonnellata.” “Che fregnaccia!” “Appunto: quella che mai potrebbe accogliere quella bestia mostruosa. In questo caso, altro che pillola abortiva: ci vorrebbe un quintale di dinamite.” “Torniamo alla tua comica umiltà cosmica…” “Mica del tutto vera, ora che ci penso meglio. Alterno umiltà a coscienza democritea, quella della scintilla divina, per poi ritornare sinusoidale all’umiltà, in pianto e stridore di denti al buio, ché la scintilla fa sempre cilecca dopo qualche punto interrogativo e mi si bagnano le polveri sottili.” “Beh, te ne devi rendere conto: non sei divino, ma sei umano, no?” 53 “Più che umano, upiede, anzi uàllera, ché i quesiti irrisolti lasciano l’autostima in guardaroba e perdi anche lo scontrino per ritirarla.” “Sei già stanco di parlare, vero?” “Non saprei. Il fatto è che da sempre, a livello semiconscio, e da tempi recenti, addentato da un nano ad un polpaccio, modello in cretaceo, tanto per continuare a dinosaurizzare, pensierini sotto la cenere cui ritornerò, e immagino e sogghigno con simpatia per il mio lettore contento e solidale cui dedicherò questo coacervo di lucciole semidee che sono null’altro che risultanze di simbiosi scambiate in regolari telefonate settimanali e troppo rari incontri di persona, assai ricchi. Parto bello carico, stavolta, forte di accumuli in mesi di riflessione e di astinenza vergale, (Ahahah che hai capito? Non scrivo da tanto tempo). Voglio divertirmi con giochi di parole meditati, con accostamenti metadialettici arditi e sorprendenti, con la memoria rivolta a tante concettualità scambiate come le figurine, riguardanti il tutto e il nulla, cui mi piace aggiungere o togliere paradossalmente ancora un qualcosa anche se qualcuno, lo so, scuoterà la testa. Epperò ecco che capolineggia di nuovo l’umiltà: cui prodest questa torrenziale eiaculazione? Una terapia antidepressiva a surrogare un periodo di solitudine o a festeggiare un ritorno d’euforia? Un dispiegare le ali di pavone per sollecitare applausi o quanto meno benevola attenzione di qualche cricca come quella di Mirò? Ah, queste esigenze di catalogare, di definire… Mi chiedo, e questa è una ulteriore domanda, che senso abbia che io esprima i miei tormenti, anche perché prima di me ben più brillantemente sono passati Geremia, Torless e Portnoy e financo Marcello Marchesi mallopparo oltre a chissà quanti altri ancora. Continuo, dunque, solo per vedere l’effetto che fa. E continuo anche per fare un minimo d’ordine per iscritto, una sorta di testamento spirituale, se vuoi, da rileggermi tra quindici o venti anni, scandalizzatissimo e devastato dalla demenza senile. 54 Invece, magari per scherzo del destino, mi applaudirò fino a spellarmi le mani, radicato in convinzioni che ora sono solamente intuizioni che mi vedono titubante. Sempre da vedere, beninteso, di arrivarci…” “Allora vai avanti e la butti sul filosofico?” “Sai, per Hobbes, partendo dal semplice clito, l’origine del mondo, ché amo la carnalità edonista della vita, sono approdato a Eraclito, già scherzo paradossale profetico e semantico. Mi sono detto: sciò, sciò filosofia, ma Schopenauer, equivocando su un possibile richiamo, si è inserito nel Cartesio lasciandomi rose e Spinoza in esigenze trascendenti ancorché confuse. Hai voglia a dire Kant che ti passa: un Vico secco! E il vecchio Karl è stato, ahimé, soppiantato dal più frizzante Groucho. Poi sono sopraggiunti i cinepanettoni e Boldi, Bondi, non ricordo bene, e tutto è precipitato, ma questo è un altro discorso.” *** Nel gioco delle luci e delle ombre, dopo che si è ripristinato il sipario, precipitato anche lui alla parola Bondi, una sorta di jattura in lingua antica mai del tutto decifrata, il registratore si trasforma in una penna. Il giornalista si siede su una poltrona ora visibile e prende appunti, assorto, divenendo un analista. L’intervistato si sdraia su un divanetto materializzatosi dal nulla: ecco, occasionalmente, un esempio di nulla con l’aggiunta di qualche cosa (ahahah). Il corifeo swingeggia, per quanto riguarda i quattro omologatti: I tormenti della filosofia Nulla son per la buonanima di zia E per quanto si discerna su Platone Nulla esime dal sentirsi un po’ coglione L’altra metà del corifeo semplicemente flatuleggia all’unisono, ché i quattro veteri inani sono diventati 55 superficiali circa la filosofia, troppo presi come sono dal mantenersi abbarbicati alla vita, e il vecchio adagio “Tromba di culo, sanità di corpo: chi non scoreggia è un uomo morto” è divenuto il loro nuovo vangelo esemplificato, abbozzo d’avanguardia del ministro delle esemplificazioni circa i nuovi rapporti con la Santa Sede, da definire. C’è da dire che lo scatolone dei ricordi, dopo un certo crinale anagrafico, si riempie di scatologia spicciola di varia consistenza, sempre più unico e interesse vitale pressante in tutti i sensi. E’ da notare, comunque, che in impeto di fattiva collaborazione, vanno a tempo, in levare aria, come similtromboni d’orchestrina dixieland. “Dunque lei pare che stia divenendo aggressivo, vero? Si sente aggressivo?” “In un certo senso sì. Anzi. In più di un certo senso: in tanti sensi.” “Mi spieghi, per favore: la ascolto.” “Cominciamo con il dire che non so nuotare e che tuttavia vivo perennemente a galla sul livello del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Galleggio, sentendomi anche naturalmente un poco stronzo, riflettendo sul fatto che mi girano gli zebedei per la vita che mi abbandona poco a poco, mentre mi piacerebbe vivere a lunghissimo, ma in salute e vigoria, fisiche e mentali. E allo stesso tempo rimugino sul fatto che tutto questo non ha un senso e che sono prigioniero di parole, luoghi comuni, regole scritte e non scritte, bon ton, modi di dire e di fare, baciare, lettera e testamento, retorica, lapidi di lemmi scolpiti nella storia che sono quanto di più vuoto ed inutile, spesso utopico, anzi tricerautopico, tanto per rinfrescare di nuovo l’allegro mondo dei dinosauri e non recidere il filo erettile. E io da misegosauro mi trasformo in apatosauro (esiste, esiste) senza più voglie.” “Quindi una sorta di dibattimento tra lo spassarsela, con la consapevolezza che non durerà efficientemente in eterno, e l’approfondimento sul perché si possa o meno spassarsela, mantenendo la stessa consapevolezza alla 56 quale se ne aggiungono altre che riguardano l’ignoranza, l’utopia, l’impotenza circa il padroneggiare lo spasso. Mi aiuti: è così?” “Più o meno: diciamo che è un incubo per come la si rigira. Più passa il tempo e sempre meno efficacia hanno certi luoghi comuni riguardanti la primavera in fiore, il sorriso di un bimbo, il cinguettare di un uccellino, il sentirsi leggero dopo una buona azione, lo sguardo di un cane, il profumo rasserenante del pane fresco, il tepore di un corpo accanto, etc., etc., etc…. datemi un secchio ché vomito…” “E questo monta malumore?” “Monta a neve una incazzatura che guarnisce tutti i possibili tiramisu della migliore pasticceria del paese, per essere proprio sinceri.” “Ha voglia di scendere in dettagli, in esempi?” “Adesso proprio no: sono sfiancato. L’argomento in sé, lo scegliere le parole accuratamente, il riguardare più volte quello che si è scritto attento alle sfumature, il cercare di non ripetersi in maniera arteriosclerotica: sono tutte operazioni che liofilizzano qualche etto di neuroni. Aggiunga che devo porgermi in maniera interessante, magari anche molto autoironico, ché fa simpatia, e allora si renderà conto che lo sforzo è davvero da ernia al lobo frontale, semmai esista, ché ho a che fare pure con un lettore medico puntiglioso. Ma tanto è metafora… Mi viene in mente Nicola Insauna, un personaggio del brano teatrale Grammaiale: mi sento a lui affine, in qualche modo, con le idee che mi sfuggono metafora dalla fontanella riapertasi sulla sommità del cranio. E non c’è verso di riprenderle se non già cambiate e spesso quasi irriconoscibili: tutto scorre, compresa la memoria. Ed ecco l’umiltà cosmica che sopraggiunge di nuovo: le mie idee sono probabili cazzate che spuntano metafora dalla patta dei pantaloni lasciata aperta per l’incipiente smemorellite acuta detta anche più volgarmente rincoglionimento.” Il Corifeo, con i soli veteri inani, si produce in una salva di pernacchie ad esaltare lo scorrimento del tutto. 57 Gli omologatti ridacchiano, amari come cavoli, alla loro prima resipiscenza di tante future altre: la resipiscenza nel culo, che assai li forgerà. “Rimandiamo a domani quello che si può fare male oggi: lo faremo peggio, o meglio, a seconda delle prospettive che, però, non sono incoraggianti.” La luce cala velocemente mentre tutto il Corifeo, voci in falsetto miagolanti dei quattro omologatti, e baritonali scatarranti dei quattro veteri inani, intona una ninna nanna seguita da melodie zuccherose oltre la soglia diabetica del tipo ‘Bella, dolce cara mammina, la più bella del mondo, duduuannnnnn…’. Poi attaccano, chansonniers citazionisti di Gipo Farassino, il celebre motivetto: ‘Sono contento di morire, ma mi dispiaceee. Mi dispiace di morire, ma son contentooo…’, ma sullo stile di un austero funebre coro greco-ortodosso. * * * E’ ora di un momento di digressione per conoscere meglio il Corifeo di questa stragedia pirlandelliana. I quattro omologatti, una volta detti anche quattro mici al bar, sono giovani cespuglioni brufolosi con una bella aria da boyscout e un’espressione vitellonesca innocua, dallo sguardo occhialuto sospeso tra speranza e meraviglia, quel tipico connubio che produce nel tempo i veri figliendrocchia con un pulloverino di pelo sullo stomaco. Per ora indossano magliette variopinte che ricordano la bandiera della pace e credono a buona parte di tutto anche se non proprio tutto, ché, per esempio, tale Noemi è incredibile e anche indifendibile insieme a papy. I quattro veteri inani sono gli omologatti di cinquanta anni prima, all’ultimo stadio di cinismo sorretto da problemi intestinali e vascolari che richiedono concentrazione nel disperato tentativo di restare aggrappati alla vita. Ci sarebbero anche diversi problemi cerebrali nell’alveo della demenza senile, ma questi riguardano sempre altri. Non hanno più rispetto, inibizioni e buona creanza, all’insegna del “tanto c’è chi fa peggio di me, meno male che 58 Silvio c’è” da cantare stipati in sei milioni dentro una piazza, da fonte di questore ubriaco, accompagnati da la russa con un bocchino, grattandosi i maroni mordicchiati da formiconi verdini... Sono brutti, non di natura, ma imbruttiti da gocce cinesi d’esperienza che hanno scavato rughe, sollevato gobbe e acceso dolori reumatici. Non parlano: borbottano acri, meteorizzano maligni per far sapere quanto “sa di sale lo pane altrui”. Guardano storti, ascoltano male e quasi soltanto quello che riguarda loro e basta. Tutti e otto, pazienti ancora per poco e spazientiti da tanto, provengono dal medesimo studio, dallo stesso protolaboratorio ancestrale pieno di fiale, pasticche, gabbiette, manuali e mangimi promozionali, una stanzetta con un lettino di metallo, un microscopio e un computer a registrare le diagnosi perfide per il Fido di turno e una stampante ad emettere ricevute fiscali, sempre, come rese di conti. Coesistono tutti e otto, con i primi a cercare d’apprendere dai secondi, pessimi maestri. Sono tutti uniti da qualche cosa di estemporaneo costante, come profughi di un’ennesima isola dei Famosinonfamosichisselifrega, l’isola che in realtà non c’è, ora neanche più nelle favole, e cercano di sopravvivere rompendosi a vicenda le noci di cocco. Il Corifeo offre loro un’occasione di visibilità nell’ambito della comunicazione di un disagio e di una protesta, ma il ministro dell’esemplificazione sta riducendo loro progressivamente ogni spazio vitale e ogni parte per qualunque tragedia, perché tutto va bene, madama la marchesa, e bisogna pensare in rosa capezzone, pardon, capezzolo, sorridendo positivi, anche se sieropositivi. Il Corifeo sarà dunque destinato in futuro a comparsate, magari in supplenza di qualche corista influenzato, durante l’esecuzione pubblica dell’inno della libertà di Goffredo Apicella. * * * 59 Lo sparo accende il buio. Esplode il silenzio a cancellare urla scomposte e brusii poi sostituiti da un ronzio uniforme metallico. Poi, di nuovo buio in sala, rotto dal solo ronzio continuo fastidioso. Solo voci nel nero. “Dove sono? C’è qualcuno?” “Stai calmo: ci sono io.” “Chi sei? Non riesco a vedere nulla…” “Ah, l’umana curiosità irrefrenabile. Mi senti e siamo al buio: accontentati almeno per ora.” “Cosa è successo?” “Hai urtato una pallottola.” “Sono morto? Siamo nell’aldilà? Sei Dio? San Pietro? Berlusconi? Bonaiuti? Pupo?” “Come corri. Diciamo che sei in una situazione per cui sarai obbligato a fare delle scelte: una specie di Lascia o Raddoppia, di Rischiatutto, di elezione anticipata per autoincaprettamento in lodi vari e assortiti o anche per scandalo con veline o escort bituminose. Una situazione, a seconda di come la vuoi vedere, magmatica o smegmatica, mi capisci?” “Beato te che sei così allegronzo. Io ho mal di testa e tanta confusione. Cosa dovrei scegliere?” “Se vivere o morire, per esempio.” “Ah!... Ma non è già tutto scritto?” “Certo che lo è, ma manca la tua certificazione ufficiale, il tuo ‘Dichiaro di voler vivere’ oppure ‘Fanculo a tutti, sono troppo stanco per continuare’.” “Una specie di ’notaio conferma’? Lo sai? Mi stai cominciando a divertire oltre che ad affascinare: chi cazzarola sei?” “Sono te: è per questo che ti piaccio…” “Se così fosse, mi staresti sulle scatole: io mi odio alquanto.” “Frasi di circostanza, bello. Vittimismo e falsa modestia. In realtà ti ritieni simpatico, divertente, più intelligente della media a rasentare lo snobismo più sarcastico. Sei un istrione innamorato di te stesso, cioè anche di me.” 60 “Dio, che confusione. Mi pare di comprendere, dunque, che siamo in coma e che devo scegliere se uscirne da vivo o da cadavere, vero?” “Siamo, siamo: parole scomposte. Sei in coma. Io ti sto assistendo.” “Ah: sei la mia coscienza allora, eh?” “Chiamami come vuoi: coscienza, aura, angelo custode, spirito guida turistica, tutor, carta jolly, ospite d’onore, voce interiore a recuperare…” “I valori di una volta.” “Non farmi ridere, vecchio maiale. Tu conoscevi solo Iva e Lori, quella coppia scambista di Cantù molto disponibile. Tu non devi recuperare nulla. Devi solo scegliere se continuare a vivere o se vuoi morire.” “E’ allora tempo di bilanci? Come si può riflettere e fare un bilancio con questo ronzio del cacchio che mi trapana il cervello?” “Il ronzio del cacchio serve a farti respirare e tu sei stato trapanato da un calibro trentotto.” “Chi è stato il bastardo? Perché? Così gratuitamente… E perché riesco a ragionare compiutamente nonostante tutto?” “Ha qualche importanza? Non depistare il tuo scopo. Pensa ad una stigmata larga come un buco di culo piacerecentrico, da portare con una certa dignità almeno fino alla tua scelta.” “Va bene: allora bilancio sia.” “Mi fa piacere sentirti propositivo: forza, cominciamo…” “Da dove cominciamo?” “Suggerirei il sistema frattale, minimalista, quello secondo il quale tutte le strade portano a Roma, se non altro per muoversi dall’impantanamento su problematiche da massimi sistemi.” “A parte che ho perplessità notevoli proprio circa i massimi sistemi, ché non ho capito a cosa serva la mia certificazione di scelta su un qualcosa di già scelto: il solito sgaiattolare confessionale eh? Un colpo al divino e un colpo all’umano, eh? 61 Beh, comunque non vorrei partire dalla vecchia megera che sgrulla tutte le mattine il suo lercio tappeto dalla finestra proprio mentre passo io sotto…” “E perché no? Un frattale vale l’altro: la vecchia megera, il truzzo che ti imbottiglia con l’auto in doppia fila per fare colazione, l’onorevole che parla di moralità dopo avere patteggiato una, si badi bene, modesta condanna per qualcosa di famigerato e schifoso, la biondina del Grande Fratello, il bavoso senza arte né parte, essenzialmente ricco solamente di sfiga, che rifiuta l’offerta di quindicimila euro nella speranza di pescare un pacco da mezzo milione alla trasmissione a premi, e poi ancora ed ancora ed ancora… Hai solo l’imbarazzo della scelta circa il punto di partenza del bilancio.” “Sai cosa c’è? Una estrema confusione. E’ lei che comanda e soffoca. Parto da stupidaggini che mi creano malessere e mi dirigo come un salmone isterico per la riproduzione verso la sorgente dei soliti triti e ritriti problemi esistenziali con gli annessi quesiti classici: chi sono, da dove vengo, perché, per come, e compagnia bella. Poi ritorno sulla terra davanti alla venditrice di broccoli al mercato rionale, che ti frega sistematicamente dieci o venti centesimi con la bilancia truccata o con il resto sbagliato, una specie di giochino delle tre carte, e mi carpio in doppio avvitamento verso l’alto per cercare di riuscire a carpire anche solo un sommesso russare di Dio, o dio, o quello che sia, senza esito, ovviamente. Intanto irritano i confronti con i cari, coi meno cari, coi carini, coi cariati, tanto per aggiungere confusione alla confusione.” “Che vuoi dire?” “Lo sai meglio di me che cosa voglio dire, per tutti quei mal di stomaco dal nervoso che mi sono sorbito. Il concetto lo abbiamo di comune accordo battezzato paura della proiezione. Vedi un vecchio, noti le sue manie, pensi che prima o poi succederà anche a te, semmai arriverai ad essere vecchio. Ma è paura generica: il vecchio è un bavoso sconosciuto con lo sguardo privo di familiarità. 62 Poi posi gli occhi su tuo padre, o tua madre, o qualcuno di conosciuto di famiglia in odore prossimo (pessimo) di pannolone. E la paura, che nel frattempo si è evoluta in sommarie conoscenze della legge del Mendel, diviene terrore al pensiero che proprio quelle odiosità, odiosità odiose per affetto, possano trasferirsi come un raffreddore nel tuo cervello che ha già qualche crepa di suo per un discorso semplicemente anagrafico. E da qui la consapevolezza che tutto gira fuori della tua logica che cerca una scappatoia soprannaturale senza trovarla e s’impegola sempre più nelle contraddizioni della realtà che assomiglia sempre più ad un incubo. O anche viceversa.” “Continua che mi interessi: sono cose già dette un’enormità di volte come un disco rotto, ma stavolta ci stai mettendo espressività. La potenza di un buco nel costato che arieggia meglio i tessuti e ossigena con corrente d’aria fresca ahahah.” “Sarai anche la mia coscienza, ma sei davvero stronzo.” “Più o meno quanto te, caro Agostino in sedicesimo...” Qualsiasi metodologia volta alla ricerca di risposte riguardo il libero arbitrio del comatoso viene a cadere per la rottura della macchina che tiene in vita lo sfigato con il ronzio fastidioso. Il rumore cessa allargando il silenzio nella sala semibuia del teatro, sgomentando il pubblico. Perfino il Corifeo rimane silente e disarmato. * * * La scena muta nella penombra con la comparsa d’un confessionale. La voce, inizialmente beffarda, poi interessata, poi ancora complice, diviene apprensiva, di quell’appiccicoso che vorrebbe essere samaritano. “Parlami, dunque, figliolo, diletto cybbolo, e liberati…” “Cominciamo con il dire che non sono solo, ma siamo tanti cybboli, quasi tutti molto incazzati, anche coscienti che forse di questi tempi, invece di chiamarla ‘padre’, 63 preferiremmo essere orfani. Noi siamo, alla facciazza sua, Legione.” “Ommisignur, Madonnina benedetta, sant’Alfonso de’ Liguori protettore del prepuzio! Percepisco dell’astio…” “Astiooo? Ostiaaa, altroché, papy. Mi fioriscono battute che scambio con il più anticlericale di noi: lo sa perché piazza San Pietro è interdetta alle automobili? Perché è zona pedo-nale: del resto i bimbetti a piedi si brancicano meglio di quelli col motorino…” “Figliolo, figlioli, turba, legione, ascoltatemi…” “Ci dica, ci dica, papy.” “Siamo tutti addolorati, qualcuno di noi s’è anche beccato l’AIDS o l’epatite, ché i bambini di oggi sono promiscui e poco amanti dell’igiene. Io ho il petto sanguinante e il fiato corto e mi prostro di fronte all’umanità per scusarmi a nome di tutti gli altri servi di Dio.” “Lei ha il petto sanguinante per giochetti sadomaso di frusta o di alabarda spaziale con qualche moccioso travestito da Goldrake, ha il fiato corto postorgasmo da rotterdam di implumi terga e l’unica cosa credibile che possiamo prendere per buona riguarda la prostrazione della sua prostata infiammata dall’abuso dell’uso del fuso. Circa i servi di Dio, ci piacerebbe che Dio cambiasse impresa di pulizia. Ci sono ancora, secondo lei, margini di dialogo?” Il confessore singhiozza sommessamente mentre si levano cori gregoriani da parte del Corifeo, dagli omologatti con voci squillanti e apocalittiche: Dio vi vede, Dio vi vede Mentre vi ingroppate prede Tenerelle ed innocenti, Mentre digrignate i denti ai quali rispondono gravi i veteri inani, in sinergia complementare coi bietoloni, carichi di sguardi livorosi verso il confessionale che si restringe fino ad apparire come una bara, ingobbiti vieppiù: 64 Dio potrebbe incenerirvi Bombardarvi, annichilirvi Ed invece nel clichè Siete vivi e Lui non c’è La scena cambia in porpora a confondere il porporato nella cassa che si dissolve poi nel buio più siderale. * * * Dopo buio e brusio, utili a cambiare la scena, spiove una luce verdina di neon su uno studio medico. La voce è professionale ed è una voce difficilissima da riprodurre: curiosa, ma il più possibile asettica, tranquillizzante, ma acoinvolta, anche se forse è tutto un cine, circa l’assenza di coinvolgimento, ché certi medici si sentono, e fortunatamente lo sono, buoni pastori. “…Allora, mi dica ancora: va di corpo?” “Faccio lo stronzo molto spesso, dottore, anche se uno stronzo diverso rispetto a quello galleggiante nel bicchiere dell’analista, lì inteso come idiota o come uno che si sente tale nell’impotenza. In altre contingenze faccio lo stronzo in tutti i sensi. In senso metaforico paraculeggio con il debole per ritirarmi col forte, al volante, al bar, dove posso, trascurando rispetto ed elargendo pietà a mio piacimento: nessun problema di stitichezza, ché faccio lo stronzo tutti i giorni, magari anche senza saperlo. Stronzeggio regolare. In senso classico, invece, tanto per aumentare l’autostima, una sorta di guardarsi allo specchio e farsi l’occhiolino ammiccando, mi sollevo dalla tazza e guardo quel piccolo relitto in sessantaquattresimo della Moby Prince adagiato su un fianco. Lo contemplo con aria accigliata e poi esclamo con disprezzo malcelante trionfo e orgoglio: ‘Sei proprio uno stronzo’. E tiro la catena rinfrancato.” “Allora i suoi problemi non sono intestinali… Lei ha qualche difficoltà in campo emozionale… soggetto ansioso… autostima… depressogeno… “ 65 “Mi sa di sì, dottore, e lo dovrebbe evincere dallo sguardo fiducioso di bracco che rivolgo a lei come ad un demiurgo. Lo sa? Un mio amico, suo collega, mi chiama Pippo, Pippo Condriaco, per le mie ansie, ubbie, per il mio preoccuparmi d’ogni sensazione fuori posto spiata con zelo. E il bello della faccenda è che penso tutti i santi giorni alla morte sperando che sia lieve, improvvisa, apoplettica, che non mi faccia soffrire, ché ho terrore del dolore. E poi scaturiscono domande. Perché si deve soffrire? Che senso ha? Credo che il ministro della esemplificazione, figura che mi colpisce tanto di questi tempi complicatissimi, sia in ferie alle Canarie o a bruciare scartoffie con il cannello dell’acetilene e non può rispondere. Neanche lei può rispondere. E il quesito ne genera altri a macchia d’olio, tutti viscidi e soffocanti. La decisione di soffrire o non soffrire a chi spetta? Parliamo di Nonno Libero Arbitrio e della sua fiction? Subire: la parola da tanti milioni in montepremi, che pochi conoscono nel suo peso che sotterra. Perché subire? In ossequio a quale legge galattica non scritta e forse mai neanche spiegata per saecula et saeculorum? Io sono magnanimo, a volte. Posso comprendere il subire una classe politica che viaggia in auto blu con la ruota d’escort e pretende di darci lezioni di morale, posso comprendere una prevaricazione che mi possa inquadrare come vittima, un sacrificio, una restrizione, finanche Brunetta che mi prende per invidia a calci negli stinchi o a testate nelle palle, ché sono un omone di un metro e ottanta, ma perché devo subire dolore e striature cocenti nell’animo in contemplazione di un non sense generale su come va il mondo e su come va la mia persona invecchiando e perdendo denti, capelli e colpi di tutti i generi?” “Lei è torrenziale, amico mio, e fagocitante: la sala d’aspetto è stracolma di supposte, di bustine, di viagradipendenti, di sartani (sarta chi può e chi non può zompa). Lei sta facendo subire ad un microcosmo, senza rendersene conto, una sfibrante attesa che nessuna rivista di Novella Duemila o Panorama può anestetizzare o quanto meno lenire …” 66 “Ci ho pensato, invece, e mi sono detto ‘vai in monade’. Siamo troppi e forse potrei dare l’esempio e togliermi dai coglioni per primo, ma senza soffrire, istantaneo come un caffè che non sa di nulla…” “Ma no, è tutto molto più semplice: le prescrivo delle goccine che la metteranno in condizione di combattere le sue ansie e paranoie fregandosene bellamente.” “Ma le goccine, dottore, sono un interruttore on/off… Leggo ogni tanto che scoprono sempre nuovi interruttori: la molecola x aumenta la voglia di trombare, il gene z inibisce la voglia di mangiare, la molecola pdl aumenta appetiti di onnipotenza, la molecola pd provoca piacere nel tafazzarsi lo scroto. Sono sgomento, dottore: è mai esistita una reale, autonoma, sana voglia di decidere senza condizionamenti chimici, naturali o artificiali che siano, senza un codice genetico, senza una educazione precotta precostituita preprostituita? Che disegno c’è sotto? Si muore in ansia e di ansia: hanno provato a tranquillizzarci fin da bambini con le caprette che fanno ciao a Heidi, ma io sono sempre atterrito da Heidegger. Aiuto, dottore: risposte, non farmaci…” “Prenda queste gocce e se ne faccia una ragione…” “Questa è dipendenza. Ho smesso di fumare, per paura di soffrire nel soffiare, ho smesso di bere, per paura della dipendenza dalla pendenza, e lei me ne offre un’altra sotto forma di gocce per stare tranquillo? Non potrebbe darmi l’eutanasia, o almeno l’ignoranza, o l’oblio, o il ritorno ad uno stato fetale predinosaurico al di fuori del nulla o del tutto? Va bene, va bene: considererò la sua prescrizione come un vaccino, come un training autogeno, come un’anticamera, rispetto ad un qualcosa di più definitivo…” Il medico sorride pallido e benevolo alzandosi dalla sedia e accompagnando gentilmente alla porta il paziente che sventola come un ventaglio i fogli rossi delle ricette per l’ipertensione, per la depressione, per il morbo di e per la sindrome di, perlana, ammorbidito, ma anche confuso e felice per una vita di plastica. Cala la luce e sopraggiunge il nero. 67 * * * E’ d’uopo, ora, una breve digressione sul pubblico presente in sala, mentre si approntano cambiamenti alla scenografia. Quelli del pubblico con simpatie politiche destrorse, maggiori o minori che siano, tranne qualche eccezione conciliante o in preda a sonno comatoso, sono già usciti dal teatro, smadonnando in celtico, sghignazzando in sfida sguaiati, battendo ironicamente le mani, soprattutto spernacchiando, e non sempre nello stesso tempo e a tempo del Corifeo dei veteri inani. Qualcuno pronuncia oscure minacce, qualcun altro grida il solito crudo messaggio ‘andate a lavorare’, qui molto più innocuo e comodo rispetto al contesto dell’ex carcere della Maddalena. Lì, a fronte dello stesso messaggio, si trascorrerebbe la notte combattendo i morsi della fame e del gelo con spiedini alla brace di destrorsi imprudenti: sarebbe l’evoluzione della specie che una volta mangiava bambini, perché oggi i bambini, per moda, sono solamente abusati, proprio nel senso di buso. E comunque la sala si è tristemente svuotata di più della metà degli spettatori, come da abituale ‘trend’ di partecipazione elettorale. Chi rimane pisola, applaude fuori tempo, sempre o quasi sulle scoregge dei veteri inani già troppo citati, (lo scatologico è sulcesso) oppure annuisce scuotendo la testa in complicità fittizia, ridacchia nervosamente perché non capisce il vero senso di quanto recitato. O perché, più semplicemente, si annoia, ma non trova elegante gridare che il re è nudo ad una pièce teatrale dove dal palcoscenico si grida in continuazione che il re è nudo. Si informa anche, en passant, che certi re, escludendo l’ovvio Pipino il Breve, hanno anche il pisello piccolo, ma assai vorace, ma questo è un altro breve, di altezza, ma purtroppo non di durata governativa. Poi, tra i rimanenti, c’è quello attento, quello che è arrivato a leggere fino a qui, e l’altro attento, a non dire 68 minchiate, che sono io che sto concludendo la digressione col dubbio di avere detto già troppe minchiate… * * * L’intervistatore di turno si è moltiplicato per intervistogenesi ed è un folto gruppo di persone armate di microfoni davanti ad una tribuna alla Cetto la qualunque da dove uno ieratico similcybbolo nero, e non soltanto di umore, sta per declamare. “I have a dream. Ho fatto un sogno. E non sono Veltroni. Ho visto distintamente un’assemblea di vassalli in riunione di condominio (riunione protetta) per la discussione del tema: lotti(mi)zzazione delle potenzialità del paese. Tal Calderoli, con Brunetta al fianco come una spina, ad altezza fegato, con un Tremonti al tramonto della sua inventiva in finanza creativa, e un Sacconi con quel testone buono pieno di segatura cattiva, e la Gelmini appena rientrata dal suo viaggio di nozze. Ha tagliato anche questo di quattro giorni come tutte le spedizioni di cartoline, per una certa coerenza comportamentale coi tagli alla scuola. Si mormora che per risparmiare vieppiù si sia tagliata da sola i suoi reggiseni con le forbicine delle unghie e li abbia fatti cucire da una bidella precaria di una scuola materna di Cinisello Balsamo. Si teme, o forse si auspica, che possa decidere di tagliarsi in futuro prossimo anche le vene. Sono tutti seduti intorno ad un tavolo, con il solo Brunetta in piedi ancorché apparentemente seduto. I dialoganti verranno citati per comodità con la sola iniziale, per esemplificare, come richiede da subito Calderoli. C.: “Vorrei parlare subito del recupero funzionale della Rupe Tarpea per l’esemplificazione di alcuni problemi d’ordine sociale e sanitario, circa gli immigrati clandestini e coloro che gravano enormemente sul bilancio delle spese sanitarie con handicap di vario genere, fastidiosi per tutti, ma soprattutto per gli albergatori delle nostre belle valli. 69 Avrei tuttavia in animo una prioritaria interrogazione alla signora collega G. circa un problema ipotetico di confusione o sovrapposizione nell’ambito del mio progetto di esemplificazione del linguaggio. Se chiamassi il ministero dell’esemplificazione con il più semplice ministero dell’Es. incorrerei in spiacevoli equivoci psicanalitici?” G.: “Non saprei, caro C., e dovrei approfondire il problema dall’alto della mia incommensurabile ignoranza, che mi scuso se non è pari alla sua, ma penso che non dovrebbero sussistere problemi. Al massimo, in eventualità negative da accertare, si potrebbe esemplificare in altro modo grafico, per esempio in ministero del Les…” S. scuote il testone in diniego con curioso rumore di sfregamento di segatura su acciottolato: “Assolutamente non è possibile questa ultima proposta: si potrebbero ingenerare equivoci con una patologia chiamata appunto Les, una malattia autoimmune, il Lupus Eritematosus. Sai che tristezza fare le esemplificazioni con la fiamma ossidrica, roba da pianto greco, affetti dalla sindrome di Sjogren, senza una lacrima da poter versare, oppure esemplificare il giro delle escort con la sindrome sicca, che poi è una banale, ma in questo caso disastrosa, secchezza delle fauci che dovrebbero essere sbavanti all’inverosimile. No, no, assolutamente no…” B.: ”E se esemplificassimo con creatività, quindi non necessariamente dall’inizio, e partissimo da qualche sillaba dopo, chessò, a caso, da fica? Suona anche bene, stimola i bamboccioni e i fannulloni e s’armonizza con il partito dell’amore: il ministero della fica. Eh? Eh?” C.: ”Non mi opporrei: è anche celodurismo padano ahahah. Che ne pensi T.?” T.: ”Intevessante. Penso agli sviluppi pev un dopo, pev un futuvo migliove. Una tassazione sui pvoventi della fica… in genevale, in pavticolave.” C.: ”Guarda che sono ministro senza portafoglio…” T.: ”Tu sì, ma tutti i puttanievi che conosciamo…” 70 B.: ”Non pensiamo a loro, ché tanto non pagheranno mai neanche se intercettati, ma ai bamboccioni segaioli senza la paghetta di papà per andare a puttane…” T.: ”Geniale, B.: aumentiamo il salavio ai padvi facendo contenti anche i sindacati e tutte le pavti sociali e poi istituiamo una tassa sulle paghette ai bamboccioni e una tassa sulle fvequentazioni mignottesche, da suddiviveve tva clienti e, vivaddio, anche sulle tvoie, ché è ova che paghino le tasse anche lovo. La cavtolavizzazione del mevetvicio, sbav, sbav, sbav...” G.: ”Sì, che paghino, paghino anche loro, che guadagnano un pozzo senza un minimo d’istruzione promuovendomi un sistema culturalfilosofico alternativo, a me antagonista…” C.: ”Allora vada per il ministero della fica? B.S.G.T. in coro: “Vada, vada…” C.: ”Sarà contento anche il boss. Me lo vedo con gli occhi lucidi che annuncia in conferenza stampa il perfezionamento del primo parto del partito dell’amore: il ministero della fica. Pota, che spettacolo! Altro che aborti! Bersani morirà di pugnette ahahah.” B.: ”Sta già morendo di pugnette, se hai visto le borse sotto gli occhi dopo le elezioni… indipendentemente…” Rumore caotico dei giornalisti che si sovrappongono in una babele di domande e richieste di spiegazioni sul sogno. Il similcybbolo nero, in realtà, ha voluto soltanto fare una discutibile satira becera di alleggerimento apparente che ha svegliato gli ultimi due destrorsi del pubblico, quelli in sonno letargico, che sono usciti senza rimpianti nonostante la chiusa impietosa sul povero Bersani che avrebbe dovuto strappare almeno un ghigno. Il Corifeo, che in genere dovrebbe esaltare gli eventi, dorme in una massa informe quasi fusa di omologatti e veteri inani tra fischi, sibili e squittii da incubi ingestibili. Tutto diventa nero come il similcybbolo. * * * Dal buio delle quinte emergono due sagome di porte aperte. 71 Davanti a una c’è il cybbolo in tuta vecchia riciclata per casa, piena di buchetti vari che lo rendono triste come un Tuttouncamolo imbalsamato. Davanti l’altra c’è un meraviglioso mammifero di sesso femminile completamente nudo che squadra la mummia con occhi maliziosi e tette che sfidano la legge di gravità e un triangolo di peli così bello da sembrare trascendente. La nuda cinguetta con voce velinica: “Salveee, sono la sua vicina di casa, l’innocente ragazza della porta accanto. Piaceeereee della sua conoscenza…” “Salve… Sono frastornato per tutto questo bendidio e non mi capacito: sogno o son desto? Sa, io sono molto spesso dietrologo…” “Ehhhh, come corre, porcellino. Già s’interessa a pratiche trasgressive sul lato B?” “Nooo, per carità, per quanto, ora che mi ci fa pensare…No, mi scusi: è che sono sospettoso, diffidente, credo sempre meno a tutto, compresi i colpi di fortuna, e temo soprattutto l’invidia degli dei. Poi credo nella legge di compensazione per cui a fronte di una botta di culo simile, il suo culo per l’appunto, dovrò per lo meno prendermi un ictus da priapismo (sarà mai possibile?) o un’infezione venerea o anche soltanto un definitivo banalissimo infarto… E poi, soprattutto, queste cose non accadono mai nella realtà. Quindi sto vivendo un sogno, ma Calderon e William mi stanno pungolando i neuroni in cavalcate selvagge e quindi mi comincia a scoppiare la testa nel tentare di discernere… Mi capisce?” “Veramente no: io sono solamente l’innocente ragazza della porta accanto e la guardo con fare ammiccante. Lei mi capisce?…” “Forse sì, forse no. Forse lei è il risultato di un rimescolamento galattico molecolare, un’allucinazione da peperonata, forse la realtà è altro: lei è una stortignaccola gobba cingalese che mi sta tendendo la mano scheletrica per avere un tozzo di pane. Oppure forse lei è Madre Teresa resuscitata che vuole sottopormi a qualche prova a premi metafisici e io confondo tutto con il sogno di Pamela 72 Anderson sull’isola deserta sola con me in pratiche fellone di fellatio. O viceversa, of course.” “Ma che dice? Sono vera, autentica, se mi permette, e anche soda: tocchi, tocchi, sprimacci …” “Lo farei a piene mani invocando come attenuante generica la Bibbia, i grappoli d’uva, le spighe e i covoni, ma ho paura che ci si stia muovendo in terreno acquitrinoso malsano. Già mi pare di sentire accuse di maschilismo, nonostante non sia ben chiaro se questo è sogno o realtà. Sento le voci: ‘ecco, ecco: sempre la solita situazione della femmina puttana e del maschio cacciatore che subisce fascini e feromoni’.” “Guardi che questo è solo uno spettacolo: mi trasformo istantaneamente in maschione con tre gambe, l’innocente ragazzo della porta accanto con lo straripante manico del macho vileda tra le mani…Cambio anche voce, baritonale come una carta vetrata… Ssalve, piacere della sua conoscenza: che fa? Guarda il pacco?” “Salve… Sono frastornato per tutto questo bendidio e non mi capacito: sogno o son desto? Sa, io sono molto spesso dietrologo…” “Stiamo ricominciando in loop? Si sta alloopando?” “No, guardi sono confuso, sempre più confuso. Adesso dovrei, per par condicio, rispondere da verginella con vampate di rossore e le sise tremolanti d’emozione… Mi sta scoppiando un mal di testa terribile. Quel cacchio di William con tutte le sue fisime sulle rappresentazioni, le maschere, le trasposizioni tra sogni e realtà, oddio… Credo che mangiasse davvero pesante… Fosse vivo oggi, lo tratterei come John Lennon. Da ammirato fan, rovinato nell’esistenza per tutta la vita che potrei vivere beatamente seguendo la ruota della Fortuna e Chi vuol esser miliardario. E invece ancora quesiti… “Ritorno la ragazza innocente della porta accanto, tanto per non stressarla ulteriormente. 73 E mi vesto istantaneamente per non procurarle crisi da misegosauro, ché la conosco, sa, e ho tenerezza e pietà per lei…” “Che ne sa un sogno di ciò che è reale? E come si può pilotare un sogno verso i propri desideri? Lo sa? Matrix, il film, per me è quasi istigazione al suicidio, forse perché le scene sono più romanticamente grandiose di quelle di un Capezzone decadente che con la faccia del bravo compunto ragazzo fa il punto della situazione bacchettando qui e là e dando ganascini a destra e mai a manca. Con Capezzone, con i portavoce in genere, ché anche di là non si scherza, più che suicidarsi viene voglia di ridere. Amaro, ma ridere. Credo che si possa morire dalle risate amare, per un attacco di bile mentre ci si strozza increduli e indecisi se considerare tutto questo come tutto o nulla, sogno o realtà, con tutti gli annessi e connessi del totem del non sense, della sofferenza, degli accostamenti bizzarri tra una realtà birmana, tanto per dire, e un week end di ferragosto sulla Salerno-Reggio Calabria…” “Si calmi, si calmi, caro vicino di casa. Guardi: mi sto incartapecorendo per solidarizzare con lei e le sfodero un mesto sorriso guardandola con occhi stanchi mentre mi ravvio la crocchia grigia: è contento?” “Vaffanculo, vicina di casa della porta accanto, chiunque tu sia. Sto esplodendo di cose trattenute non dette che faticano a essere vomitate fuori. Mi sembra d’essere stato già fin troppo esaustivo, oltre che estenuante. Mi sento anche io una istigazione al suicidio, seppure vivente…” “Si calmi, la prego, le sto anche tremoleggiando la voce…” “Vaffanculo al quadrato! Qui tutto sta divenendo paradossale e stanno mancando punti di riferimento, certezze, verità. Deflagrano i luoghi comuni e il frocio è anche di destra, il razzista è di sinistra, il pacifista è armato. Tra qualche anno ci sarà financo l’ostensione alternativa da parte di una mafia inequivocabilmente 74 imperante senza dubbi alcuni: sarà l’ostensione della tazzina da caffé con le impronte corporali di Sindona. La verità unica e assoluta è l’assenza di verità unica e assoluta e da tutto questo, dal tutto, scaturisce il nulla più totale. Mi dica, caro essere innocente della porta accanto: io dove sono? E soprattutto: che ci faccio? E ancora: perché?” “Non ho risposte per lei, caro vicino della porta accanto. Le volevo solamente fare compagnia per rendere meno paurosa l’esistenza, stordendola con la mia innocenza pelosa e poco innocenteeeeee… “ Le figure sbiadiscono nel buio mentre si chiudono le porte con due tonfi sommessi e la scena ritorna nera come l’anima di chi scrive, ammesso che esista un’anima. * * * Il corifeo ormai tace, ché nulla è più da evidenziare e nulla più vuole evidenziare, sconfitto e piegato. Nel silenzio di smarrimento e riflessione di fine spettacolo uno sparo echeggia nella sala e uno del pubblico s’accascia sulla poltroncina: il solito debole che capitola da subito alla prima consapevolezza sofferente, al primo stormir di foglie e alla prima rottura di coglioni. Cala nel contempo, quasi rispettosamente per la contingenza, il sipario con un fruscio sinistro non necessariamente di sinistra: un fruscio trasversale. Gli attori, il corifeo e il residuo pubblico s’affannano verso la poltroncina fumante per un tentativo disperato d’ultimo soccorso con esclamazioni addolorate, pietiste, scomposte, madonnemistiche, ossignordamoreaccesiche e compagnia cantante. Qualcuno, magari il più curioso, ipotizzo io perfidamente, s’appoggia con la mano allo schienale e non sa che si è beccato l’AIDS per il contatto casuale col sangue schizzato che contamina un polpastrello mangiucchiato fino alla carne viva, solito ansioso essere che qualche psicologo dice che è bisognoso d’affetto. Le probabilità che 75 questo avvenga sono di una a un milione, ma il fato cinico e baro che governa l’umanità così ha deciso. L’onifago autocannibale uscirà dal teatro, ignaro, e farà proseliti del nuovo credo di distruzione, prossima verità tra le tante galleggianti in assenza di verità. Il Corifeo ha un ultimo sussulto e i quattro più quattro si ergono sull’attenti davanti alla salma del suicida, sghimbescia sulla poltroncina, e salutando militarmente intonano in loop infinito la seguente frase: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli!” 76 EFFICACI APPARENZE Mi risulta sorprendente credere all’enormità che mi racconta Osvaldo con il suo sorriso aperto e gli occhi ammiccanti. “Me ne sono accorto da ieri: incredibile, lo so, eppure è accaduto. Guidavo per ritornare a casa, sai, il solito orario di punta. C’è il traffico a passo di lumaca tra semafori non sincronizzati, vigili urbani anch’essi non sincronizzati, intenti al sudoku coi numeri civici delle case e le targhe delle auto, pedoni indisciplinati che attraversano sui cofani delle auto e motorini in slalom su una ruota sola. Il nervosismo montava come una mayonnaise impazzita: in realtà stavo impazzendo io, anche perché la radio mi stava squagliando con melodico vintage anni cinquanta al limite dello yodler romantico e io avevo fame ed ero stressato da una giornata di indefesso lavoro. Mi innervosiva soprattutto l’autista dell’auto immediatamente avanti alla mia. Hai presente quegli omini col cappello e due culi di bicchiere come occhiali, sempre esitanti, a singhiozzo, con quelle stupide luci dei freni che si accendono a intermittenza come le lucine di un albero di natale? E siamo a giugno. Ecco, questo davanti a me era di quella razza seppure senza cappello e occhiali, e neppure omino, perché, a giudicare dalle spalle, doveva essere grosso e sicuramente goffo. Fa già molto caldo in questi giorni, lo senti anche tu, e avevo i finestrini tirati giù a scippare una piccola corrente rinfrescante. All’ennesima frenata, peraltro evitabile, di quello davanti, ho tirato un moccolo che deve avere sentito anche lui. Ho incrociato i suoi occhi attraverso il suo specchietto retrovisore ed era uno sguardo di odio e sfida. Gli ho sibilato un ‘vai a cagare’ quasi amichevole, onnicomprensivo di tutte le mie buone ragioni, e per me era finita lì. Invece lui inchioda rabbioso e scende dall’auto per venire a chiedere giustificazioni circa il mio atteggiamento. E’ un energumeno dalla fronte bassa e dall’espressione permalosa, un incrocio tra un armadio a due ante e una 77 gigantesca proscimmia, una supposta, per come avevo supposto. Non dice nulla, ma ha i pugni, i pugnoni, serrati ed è deciso. Gli paro davanti un mio pugno, tanto per fargli vedere che sono deciso anche io, e lo fisso pronto a scattare fuori dell’auto per scazzottarmi: prenderò sicuramente una caterva di cartellate, ché sono la metà di lui, ma gliene darò parecchie. Prevedo un finale eroicospedaliero con botta di culo d’infermiera con sentimento materno e sesta di tette. Ha un improvviso movimento secco della testa all’indietro e cade sulla schiena con gli occhi sorpresi e un rigagnolo di sangue alla bocca. Io non l’ho nemmeno sfiorato, ma sembra che gli abbia tirato un diretto che più che diretto sembra un intercity in deragliamento a freni guasti. Rimango di merda anche io. Impossibile, mi dico. Scalcio nervoso dentro l’auto, sai quelle scosse di adrenalina che snobilitano l’uomo, abbandonando il piede dall’acceleratore. L’uomo fuori, a terra, si contorce come se avesse incassato un calcio nella pancia e mugola di dolore. Sono ancora incredulo, ma mi piace sperimentare territori nuovi con la curiosità del bambino che ha tra le dita le ali di una farfalla. Dai, dillo: sono un sadico apprendista stregone, un depravato empirista. Non penso al suo dolore, ma studio soltanto le sue reazioni rispetto a come mi muovo. Spingo in avanti, verso di lui, due dita a V, e lo vedo portarsi di colpo le mani al viso, come accecato da due ditate negli occhi. Mi sento un piccolo padreterno, ora, un sanpaolino sulla via di Damasco, e ho realizzato che mi sta accadendo qualcosa che definirei essenza di potere e quindi anche di godere. Godo come un riccio, infatti, con immagini metaforiche di mie ejaculazioni torrenziali che travolgono inconsapevoli senzatetto, e mi permetto di fare il prepotente. ‘Andiamo? Te ne vuoi andare o facciamo notte qui?’ Mi guarda terrorizzato, si chiude in macchina a balzelloni, sgomma a zig zag fresando altre due auto di fianco, e scompare al primo incrocio.” 78 “Ma dai, Osvaldo, chi vuoi prendere per il culo?” “Te lo giuro: è successo questo. E poi ho avuto altre conferme. Ascolta… Parcheggio sotto casa ancora scombussolato in una ridda di pensieri e fantasie di ogni genere. Penso a concetti sull’invidia del pene (il mio invidiato da altri), alle possibilità dello sciamanesimo o a combinazioni random di cabala o numerologia. Noto distrattamente che due balordi sono appoggiati ad uno scooter in attesa di qualcuno davanti al portone di casa mia. Dovrei allertarmi, potrebbero volercela avere con me, sai la vita di città con i suoi concetti di sopravvivenza, ma pregusto una bella lasagna al microonde. I due scompaiono dal mio campo di attenzione visiva, degradati da persone ostili potenzialmente pericolose a sagome di videogioco con punteggio secondario senza bonus. Esce di casa, in quel momento, la mia vicina di pianerottolo, un’anziana donnina dai capelli d’argento, ripiegata su sé stessa, per andare a prendere il latte. I due balordi si irrigidiscono e scattano come le molle di una tagliola, uno a destra e l’altro a sinistra, ad arraffare la borsa. Allargo una mano come per avvertire la mia vicina e quello più vicino a me si cristallizza e rimane imbambolato mentre risuona nell’aria il rumore di uno schiaffone. Sembra centrato in pieno viso. Si gira e si guarda intorno come un pugile suonato. Riallargo la mano e lui è malauguratamente nella situazione di quello che porge l’altra guancia, ma con lo schiocco più sonoro e un bruciore prevedibilmente più intenso. Il suo compare esita e scannerizza l’ambiente alla ricerca di minacce in divisa. Nel semicerchio di ricerca tra destra e sinistra mi nota al centro e si mette sulla difensiva. Io mimo un calcio di punta, il rigore tirato di violenza per vincere, e lui si piega in due con grugniti lamentosi e si comprime premurosamente le gonadi che sono preziosa cristalleria in frantumi. Delirio puro, allora. Mimo ancora, saltellando in scioltezza, qualche colpo di karatè come quelli visti al cinema, così, tanto per assaporare ebbrezze sconosciute, ma piacevolissime, e i due balordi si rotolano per terra urlacchiando similjap mentre la fragile vicina non si capacita di cosa stia succedendo. I due 79 scappano come nelle comiche finali, io saluto educatamente la vecchina e salgo in casa. Fine. Punto. Non ho aggiunto altro, non ho fatto voli pindarici, non ho inventato favole. Ti ho raccontato quello che mi è accaduto ieri sera prima di ritornare a casa. Capito?" “Sarà, ma questa storia continua a puzzarmi di presa per il cu… Ahia, vaffanculo, Osvaldo, che caspita fai?” L’effetto è quello di una tirata d’orecchio violenta, a strappone, e il lobo mi brucia infiammato, mentre noto che Osvaldo ha unito pollice e indice della mano sinistra e tira verso il basso. Mi distoglie da personali riflessioni e mi fa incazzare, ché ho i lobi delle orecchie sensibili come quelli temporali. “Ci credi ora? O devo proseguire?” Mi sento portare via per le caviglie e scivolo dal divano con il culo per terra: Osvaldo ha mimato una specie di tiro alla fune con le mani aperte proprio in direzione delle mie caviglie. Monta l’incazzatura, esponenzialmente: mi sento impreparato. “Va bene, va bene, basta, ci credo, fermati che mi sconocchi.” “Hai visto se dicevo cazzate? Mi è successo questo oggi pomeriggio. Però ora mi sto impratichendo, ahahah, ed è una sensazione impareggiabile. Mi sento un supereroe e credo che potrei difendere i deboli dalle prepotenze dei forti e che potrei essere utile al mondo. Te lo immagini? Io giustiziere della notte, magari con un costume colorato e la mascherina per l’identità segreta: Supermimo che protegge la città dai malfattori. Oppure io che intervengo per mettere d’accordo i potenti della terra riuniti litigiosamente nel palazzo di vetro delle Nazioni Unite: due dita nel naso del russo, un dito in un occhio al cinese, un dito nel culo di qualcun altro, e sganassoni a destra e a manca per promuovere la buona volontà e la cooperazione tra popoli. E tutto questo, da seduto in balconata tra il pubblico. La ragionevolezza potrebbe nascere anche dal ridicolo e io ho fantasia da vendere e potrei alzare la gonnellona della partecipante di questo o quel paese e tirare giù i pantaloni di qualche altro grassone in assemblea. Sai che spasso? Osvaldo il portatore di pace universale nel mondo, futuro 80 premio Nobel ritirato direttamente da casa davanti al televisore con le mani che mimano il ricevere l’assegno…” Osvaldo ha gli occhi trasognati e accarezza idee nobili che passano, però, da coercizioni, seppure mimate, di strada. A me duole il culo e sale una certa rabbia per il curioso pensiero che i colpi di fortuna non dovrebbero essere condivisi e perché ho paura che dovrò farmi i raggi per una ipotetica incrinatura dell’osso sacro. Penso: vaffanculo, Osvaldo. Glielo dico anche: “Vaffanculo, Osvaldo, mi hai fatto male e ti muovi come un rinoceronte in una cristalleria. Mi sa che faresti solo danni alle Nazioni Unite…” “Dici? Mi sa che sei invidioso.” Ride a gambe aperte con le mani sui fianchi in atteggiamento di sfida, fissandomi a terra mentre mi tocco una coscia. “Guarda che se sei invidioso, ti punisco eh…” Muove le braccia senza un gesto preciso, ma mi incute soggezione. Ed esplode il mio pensiero di prima sulla volontà di non condivisione: una miriade di schegge impazzite che mi trafiggono il cervello facendomi vedere tutto rosso come un toro infuriato. Mi si scolpisce con uno scalpello sulla fronte: io, ego, egoismo. Io e basta. Senza nessun altro. Alzo le mani, un poco come abbassare la coda in senso di sottomissione da parte di un cane, e sorrido ebete e innocente. Poi, sfinito dall’ira dei miei pensieri, gli punto pollice e indice come una pistola e mi contraggo. Dalla mia bocca esce solo un ‘xschhhh’ e le dita scattano verso l’alto come per un immaginario rinculo. Osvaldo mi fissa sorpreso mentre un ghirigoro rosso si spande sulla sua camicia ad altezza petto sgocciolando. Sbarra gli occhi, ché ormai non pensa più a nulla, se non a recuperare il debito di ossigeno, e s’accascia davanti a me prono, come in adorazione del più forte, mentre una pozza di sangue si spande da sotto il suo corpo sul pavimento. Il forte, in effetti, sono io. 81 L’ho scoperto stamattina. Ho capito di avere un potere strano, lo stesso potere di Osvaldo, per quello che ha raccontato prima, davanti ad un bancomat, quando ho intascato l’intero prelievo di un pensionato con uno schiocco di dita. Il poveraccio non sapeva come spiegarsi la sparizione delle banconote dalle sue mani e probabilmente starà meditando il suicidio prima che la demenza senile non lo divori del tutto. Io, ora, invece dico: vaffanculo alle Nazioni Unite di Osvaldo e alla pace tra i popoli e alla concordia tra umani. Viva Hobbes e il suo homo homini lupus, anche perché io sono il lupo ahahahah. Se non troverò in futuro qualcuno che sappia mimare un kalashnikov o un bazooka o un missile terra-terra, sarò solamente io il padrone del mondo. 82 LAST MINUTE Genesio è un giovane mite di fisiognomica e carattere.Ha uno sguardo buono di un celestino disarmante, l’aspetto efebico e gentile che lo rende gazzella, potenziale preda di branchi di iene a caccia di finocchiame. Ha modi rispettosi e gentili e una timidezza di fondo che potrebbe attrarre donne con spirito poetico. Lavora in prova da un giorno come impiegato tuttofare presso l’agenzia viaggi “Be Start Travel”. Riordina l’archivio del computer e le scrivanie, compie ricerche per conto del suo capo, naviga alla caccia di prezzi stracciati e di offerte da promozionare. E’ in un cantuccio a ridosso del bancone del capo e origlia telefonate e dialoghi con i clienti cercando di apprendere i segreti del mestiere. Entra nell’agenzia un ometto di mezza età dall’aspetto confuso. “Buongiorno…ecco…sto pensando di fare un regalo a mia moglie per il nostro anniversario, ma non saprei… non ho idee precise circa dove andare e quanto spendere… Può aiutarmi lei, senza impegno, magari consigliandomi un itinerario che possa fare al caso nostro?” Lo sguardo speranzoso cozza con quello da Ezechiele Lupo del capo di Genesio che, per conto suo, finge il massimo interesse nel lucidare un monitor mentre rizza le antenne. “Dunque, dunque, sì. Dipende sempre da quello che si vuole, caro signore. Vuole riposo e banalità? Vuole soggiorni e noia? Vuole viaggi in giro senza posa triti e ritriti, risaputi come un ritardo di un treno per pendolari? Se vuole queste cose posso soddisfarla, ma, glielo confesso molto sinceramente, la accontenterei malvolentieri. Si perderebbe la mia professionalità che è costituita anche di inventiva, di fantasia, di desiderio di percorsi meno battuti dalle solite comitive sudaticce con cicerone ciarliero che canta il mazzolindifiori ogni cinque minuti per aggregare l’irrimediabilmente disgregato. 83 Se invece aspira ad altro, accarezza l’idea di poter raccontare un resoconto diverso che accalappi attenzioni e invidie, se vuole stupire sua moglie vellicandole il suo lato più misterioso, allora faccio per lei…” Il discorso di presentazione è recitato con sicurezza, sorriso a ottanta denti da squalo e sguardo da master comprensivo con gatto a nove code appena un poco oliato per non far soffrire troppo l’iniziato. Il cliente, agli occhi di Genesio, sembra rimpicciolire tra minimi squittii di eccitazione e qualche bramito di prudenza per ciò che non conosce appieno. In effetti il cliente non solo non conosce, ma neanche immagina: semplicemente ignora, almeno a livello conscio. “Mi affido a lei, senza impegno. Mi intriga aspirare ad altro, per come lei ha detto così efficacemente.” Il cliente, se fosse un disegnino, avrebbe un fumetto coi pallini, di pensierini mumble mumble, a caratteri cubitali sulle sue reali speranze circa il far schiattare d’invidia i colleghi di lavoro e circa l’ottenere pratiche sessuali proibite dalla sua signora, se non altro per gratitudine. Il capo di Genesio legge i fumetti e legge il cliente. Si china verso di lui come avrebbe voluto molti anni prima Murnau dall’interprete di Nosferatu. Lo circonda amichevolmente con un braccio pitonesco e tra le spire diventa suadente. “Che ne dice di un ‘noir tour’? “Prego?” Il cliente balbetta: è un apprendista stregone di fronte a Cagliostro e sta per farsi cagliostronare con tutte le scarpe. “Un ‘noir tour’ è un viaggio nella sua autostima, nella consapevolezza di quanto sta benino nella vita, di quanto è migliore di altri sfigati, del culo che ha per scampati pericoli, dell’ebbrezza di una quasi immortalità rispetto a vite spezzate improvvisamente. Le sottopongo un programma di tutto rispetto. Si parte dall’India, l’India misteriosa, affascinante crogiolo di razze…” “Il palazzo Taj Mahal?” “No, egregio signore, del maiale adesso non ce ne frega niente. Le parlo del disastro ferroviario della settimana 84 scorsa lungo il Gange. Un treno carico di viaggiatori è precipitato da un ponte nel fiume per uno sbullonamento di traversine. Si parla di quattrocento morti e seicento dispersi. Il Gange è infestato da gaviali, una sorta di coccodrilli di sano appetito. Il governo indiano non riesce ancora a smuovere le carrozze del treno conficcate nel letto del fiume. Ancora oggi affiorano di tanto in tanto valige, effetti personali, corpi… Mi sente? Corpi, caro signore, e tutt’intorno è un ribollire di code e mascelle di gaviali in lotta per la loro sopravvivenza. Sono i giorni del ringraziamento dei gaviali del Gange: invece del pollo ripieno c’è il treno ripieno. Si prevede che lo spettacolo possa durare ancora non più di cinque o sei giorni, almeno fino a quando non arrivino sul posto le gru attrezzate allo sgombero delle macerie, ma fino ad allora lei potrebbe fotografare detriti, brandelli di stoffa e di ciccia, acque arrossate, animali feroci, parenti piangenti. E quando parlo di parenti piangenti non intendo solo vecchie mamme o consunte mogli col bollino rosso in fronte, ma anche bambini neo-orfani, verginelle scampate, dagli occhi profondi, ma senza un braccio o una gamba, straziate dalle lamiere del treno o dal gaviale più vicino. Comincia a comprendere la mia proposta? Comincia a vedere la luce del tunnel?” Il cliente è un allocco, Genesio, dietro il monitor è un allocco che sta per vomitare sulla scrivania. Il capo dell’agenzia ha occhi sfavillanti di entusiasmo per il guidare anime verso un nuovo percorso di conoscenza: si erge, ora, maestoso e fiero della sua missione, sul bancone. Sovrasta il fumetto che ora potrebbe interloquire solamente con mugolii di sorpresa e brividi di proibito raccapriccio (i migliori), nel mentre che si proietta anteprime in media player mentale. Il capo dell’agenzia legge solamente Gulp, Gasp, Barabak, Yuk Yuk, e percepisce un significativo aumento della sua dentatura fino a oltre ottantacinque zanne lucenti. E’, comunque, un commerciante e deve battere il ferro finché è caldo. 85 “Questa è la proposta principe, magari con un contorno mordi e fuggi di una scorribanda in qualche fabbrica dove sono impiegati bambini dai cinque ai dieci anni: sa, quelli che cuciono per sedici ore al giorno palloni, scarpe, che tingono maglioni o attaccano bottoni alle camiciole d’ultima moda occidentale al ritmo raga scandito a bastonate sulla schiena. Mi rendo conto che tutto questo ha un prezzo che non è per tutti, ma che diamine, siamo uomini di mondo e sappiamo anche accontentarci di quello che può offrire casa nostra, il nostro bel paese. In questo caso scendiamo assolutamente di prezzo, senza, peraltro, scendere eccessivamente di qualità circa quanto può offrirle l’agenzia. Le propongo un ‘noir tour’ interno in bus extralusso provvisto di ogni comfort, ad assaggiare le ultime novità di cronaca, come ovetti di giornata. Si svolazza come ape di fiore in fiore, fino alla località della grassoccia mungitrice sgozzata, rinvenuta in un lago di sangue sull’aia di casa sua. E’ stata trovata circondata dalle carcasse delle sue galline, tutte stuprate e poi tirate per il collo, almeno secondo il coroner. Sembra che sia stata stuprata anche la mungitrice stessa, prima dell’omicidio efferato con roncola, davanti alla capretta legata che fa ciao con le corna. Trapelano indiscrezioni su un ulteriore stupro collettivo delle mucche nella stalla, le uniche apparentemente indifferenti, anche se ruminano in modo strano da qualche giorno, mentre il toro è incazzato nero e fuma dalle froge. Può scattare tutte le fotografie che vuole, girare filmini, raccogliere qualche piccolo souvenir della zona, almeno fuori del perimetro creato dalla polizia scientifica. E poi via, ancora via, verso altri lidi, a riprendere, e questo ancora per pochissimi giorni, l’ammasso di lamiere contorte e annerite dal fuoco sull’autostrada in prossimità del viadotto dai sette nani. I vigili del fuoco stanno ancora lavorando di fiamma ossidrica per disincastrare le auto e cercheranno di recuperare l’autoarticolato che le ha tamponate dopo un malore dell’autista. Quest’ultimo è precipitato da un’altezza di cinquantacinque metri su un suolo roccioso: ha disperso rottami in un’area di quattrocento metri quadrati. Ma prima 86 ha travolto nella sua folle corsa sette automobili che ora sembrano due. Nell’urto spaventoso hanno preso fuoco imprigionando intere famiglie fuse con le cinture di sicurezza e gli airbag. Mi dicono che si percepisce ancora oggi l’odore della carbonella del barbecue. In questo caso si può dire che lei è proprio fortunato! Pensi che due giorni fa l’importo del viaggio lo avrebbe pagato il triplo: capirà, c’erano ancora le salme arrosto adagiate sul bordo dell’autostrada e le bare di zinco luccicavano al sole. Ci sono state code chilometriche perché chi passava non solo rallentava, ma commentava, pregava con un rosario, cercava di spiegarsi la dinamica dell’incidente insistendo lo sguardo su sagome annerite che neanche in ‘Nightmare 12 – Salme in salmì’.” “Si può fotografare anche qui?” Il cliente comincia a essere a suo agio: sta facendo nascere un maglione a tricot con il pelo sullo stomaco e sta metabolizzando velocemente le caratteristiche delle offerte. Non vede l’ora di ragguagliare la sua signora e, anzi, ha da richiedere qualcosa di cui ha parlato con curiosità proprio con lei qualche giorno prima. “C’è la possibilità di andare a vedere la Madonnina piangente di travertino spaccata sulla testa del parroco della chiesetta di campagna da parte dei fedeli portoghesi che non volevano pagare il biglietto per ammirare la lacrimazione?” “Lei è un cliente che mi soddisfa assai, caro signore. Certo che sì: si può fare tutto. Le aggiungo che l’erba antistante il sacrario della chiesetta di campagna è tuttora sporca del sangue e della materia cerebrale del parroco, e non si prevede pioggia o neve fino alla prossima decade. E’ ovvio che può fotografare, riprendere e raccogliere reperti in zona franca. Lo sa che un cliente del tour dell’altro ieri ha rinvenuto quindici metri fuori della zona transennata una scaglia di travertino che potrebbe essere parte del velo della madonnina piangente o anche un’unghia incarnita da cui l’ipotetica lacrimazione? Le consiglio solamente una cosa: non compri nulla sul posto. C’è gente senza scrupoli che vende le miracolose lacrime della madonnina in damigiane 87 da cinquanta litri da utilizzare anche come antigelo per l’auto…” Sghignazza, il capo di Genesio, perché ha in pugno il suo cliente morboso e convinto. Il cliente, dal suo canto, guarda il capo agenzia come se ammirasse l’inventore della sedia elettrica ecologica, con annesso pannello solare, e si traghetta tra i flutti di considerazioni varie, tutte prive di umanità, verso una celere prenotazione del tour interno, prima che tutto ritorni alla normalità. I posti disponibili sono ormai pochissimi e non ha senso riflettere troppo. Come si suole dire? Chi ha tempo non aspetti tempo. Lo squalo, ormai a centodieci denti per zannagenesi da libidine, ha poggiato sul bancone il foglio di prenotazione per il tour e offre una penna gabellata per un celebre reperto giudiziario trafugato con maestria. Dovrebbe essere la penna usata per cavare gli occhi alla nonnina pensionata di tre anni fa nella malga di montagna da due forestieri analfabeti e invidiosi dell’oggetto che non sapevano maneggiare. Uscirono articoli a valanga sulla malga: si seppe che la nonnina accecata fu poi soffocata nella zuppa di ortica che era ancora cruda. Si ricordano le spaventose fotografie della vittima senza gli occhi, con la lingua di fuori, gonfia come una zampogna, immortalata tra torme di turisti dell’epoca che sorridono e mimano quanto è buona la zuppa d’ortica. Genesio è un blocco di travertino, però a pezzi dentro, come il travertino della madonnina spaccata in testa al parroco. Sta anche per lacrimare perché non sa capacitarsi della naturalezza della situazione per lui innaturale. Gli fa senso prendere a scopettate i topi in cantina e si chiude gli occhi con una mano quando in qualche documentario un leone sbrana uno gnu. Adesso ha ripetuti conati di vomito repressi in una magmatico senso di nausea che lo pervade in spossatezza. E’ triste: sta crollando il mondo, un mondo, l’agenzia “Be Start Travel”. Guarda intorno le intestazioni della carta d’ufficio, l’insegna fuori riflessa dalla vetrina di fronte e capisce che ha sbagliato tutto per disattenzione: ad accettare un lavoro 88 simile, a giudicare normale quello che è morbosamente anormale. L’agenzia è la “Bastard Travel” e lui avrebbe dovuto capire. Si sgomitola dal monitor e si leva in piedi con lo sguardo fisso verso un punto indefinito. Esce dall’agenzia senza salutare, senza voltarsi, fisso in avanti come un automa, con i suoi pensieri sempre più neri. E’ travolto da un Tir sul ciglio della strada ed è sbattuto violentemente contro un palo della luce, di quei vecchi pali della luce che hanno ancora la corona a ganci di ferro per non fare arrampicare i ragazzi in cerca di bravate. Rimane appeso a mezz’aria, sospeso a quei ganci, con lo sguardo celestino disarmante che sembra ora uno sguardo da agnello di dio che toglie i peccati del mondo dalla macelleria. Urla di raccapriccio, interiezioni di meraviglia, pietà, disgusto, qualche risata isterica. Il capo della ‘Bastard Travel’ esce attirato dal rumore della confusione, realizza dell’accadimento e smadonna senza ritegno al pensiero di complicazioni sindacali circa il suo impiegato appeso lassù come un culatello con gli occhi celestini. Poi diviene freddo come è il suo essere. Pensa ad una ciclostilata da distribuire velocissimamente circa una nuova offerta last minute. Tira fuori il cellulare. E scatta diverse foto. Imitato da altri passanti. Qualcuno si sposta per scattare da nuove prospettive o per togliersi dal contro sole. Qualcun altro mentre scatta ha un suo particolare moto di pietà e mormora: ‘ma li mortacci sua, che sfiga!’ Genesio, tra oggi e domani, diventerà una effimera star del web e di certe trasmissioni televisive, fino a che non lo tireranno giù e il vigile del fuoco non abbia rilasciato la sua intervista regolamentare. Poi sarà archivio promozionale di una agenzia di viaggi. 89 90 SOMMARIO DOV’ E’ ROSA PREMESSA? ..................................................5 IL PIACERE DI UNA CONVERSAZIONE............................7 DICK – ORMONAL LIFE........................................................13 BRACCHI E DUGONGHI ......................................................19 CASTING....................................................................................21 ECHI DI ECOFUTURO INSOSTENIBILE.........................31 LA DIGNITA’ .............................................................................39 NESSUN ALLARMISMO........................................................47 FAI L’IRRIVERENZA, PAGA PENITENZA.........................51 EFFICACI APPARENZE.........................................................77 LAST MINUTE ..........................................................................83 SOMMARIO...............................................................................91 91