come vivere felici e contenti

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come vivere felici e contenti
Focus
Paolo Facchini - Presidente e Fondatore Lombardini22
C’era una volta un centro…
come vivere felici e contenti
Il futuro delle società di progettazione e
dell’intera industria degli shopping centre
è sempre più legato alla riqualificazione,
ristrutturazione e riconversione dell’esistente
C’
era una volta una società di
sviluppo – da ora in poi la chiameremo “Cliente” - che aveva
in proprietà un centro commerciale. Questo
centro commerciale, costruito alcuni anni
prima e ancora in ottimo stato di manutenzione, dimostrava ormai una certa età. Nel
complesso non era brutto, al contrario, ma
faceva l’effetto di un vecchio montgomery
di lana: un caldo cappotto di qualità ma
fuori moda. Per il Cliente, tutto ciò iniziava
a costituire un problema: la redditività del
centro stava calando, i negozi liberi si riaffittavano con sempre maggiori difficoltà e,
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soprattutto, raramente si otteneva lo stesso
canone. Allora il Cliente si guardò in casa,
o meglio, ispezionò l’interno della propria
cassa, e scoprì di avere un po’ di soldi da
investire. Non erano tanti, anzi, diciamo
pochini: circa un cinquantesimo del costo
di costruzione. Il Cliente, che non era uno
sprovveduto, sapeva quanto fosse difficile
fare le “nozze coi fichi secchi”, tuttavia non
si perse d’animo. Si rivolse a due società di progettazione specializzate in centri
commerciali e chiese loro di sottoporgli un
progetto di ristrutturazione che rientrasse
in quel budget. Quando le due società pre-
sentarono i loro progetti, la prima, pur mantenendo fede al budget, aveva sviluppato
una soluzione non all’altezza delle aspettative; la seconda, pur proponendo un bel
progetto, di quel budget non aveva invece
tenuto conto. Ovviamente il Cliente non
era soddisfatto: e fu allora che chiamò L22.
Disse: “Ho un problema: ho un progetto che
rientra nel mio budget, ma è brutto e non
lo voglio realizzare; ho anche un progetto
bello, ma costa troppo e non lo posso realizzare. Potreste aiutarmi?”
Bel dilemma. Ma L22 ha sempre amato le
sfide e non si tirò certo indietro, pur sapendo che il compito era arduo e complesso.
Costituì subito un gruppo di lavoro, composto da concept designer, specialisti di architettura effimera ed esperti di sostenibilità,
e pose sul tavolo il tema. Dopo tre giorni
fu elaborata una prima idea e presentata
al partner in charge: questi fu orgoglioso
della propria squadra. Il tema fu centrato in
pieno: sviluppare un progetto di riqualificazione con pochi soldi. Ma non solo: riuscire
anche a riqualificare molto più di quanto
richiesto dal brief, ovviamente con lo stesso
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budget. Inutile dire che, questa volta, il
Cliente fu pienamente soddisfatto. E tutti
vissero felici e contenti.
Le opzioni operative
Raccontata così, questa potrebbe sembrare
una bella favola; in realtà è una storia di vita
vissuta in Lombardini22. Non renderò noti
i nomi dei personaggi, né del Cliente né
delle altre società di progettazione, per ovvi
motivi di riservatezza, ma posso assicurarvi
che tutto ciò risponde alla realtà. Una realtà
che, al di là del ruolo specifico di L22, è oggi
molto diffusa, perché la questione posta dal
Cliente della suddetta “favola” – e cioè:
“Il mio centro funziona, ma la concorrenza
di questi ultimi anni sta erodendo quote
di mercato, la redditività sta calando e, di
conseguenza, ho pochi soldi da investire.
Che fare?” – è sempre più frequente. Per
questo, quando mi chiedono quali siano
le nuove tendenze nel mondo del retail in
Italia, mi sento forte nel dire che nella riqualificazione, ristrutturazione o riconversione
dei centri commerciali esistenti, soprattutto
in presenza di budget limitati, risiede gran
parte del futuro delle nostre società di progettazione.
Tutti noi sappiamo che in Italia, come sostiene anche il Presidente del CNCC Pietro Malaspina, sono nati centri commerciali dove è
stato possibile e non dove era corretto che
sorgessero. Inoltre, molti soffrono non solo
a causa di una localizzazione poco meditata
(se non casuale), ma portano anche i segni
della loro età progettuale e avrebbero bisogno, più che di una riqualificazione, di una
profonda ristrutturazione.
È importante soffermarci su questa differenza: quando un centro ha ancora un solido
lay-out commerciale, un nuovo maquillage
può essere sufficiente a farlo ritornare agli
antichi fasti; ma quando le “rughe e gli
acciacchi del tempo e/o delle scelte fatte”
sono più evidenti, una profonda ristrutturazione è l’unica via possibile; esistono,
purtroppo, anche alcuni casi in cui è necessario un intervento più radicale, fino a una
completa riconversione; che poi avvenga
che strutture “orribili”, sorte in location incomprensibili e contro qualsiasi razionalità
economica, sopravvivano e non vengano
abbattute all’istante, beh… credo che ciò si
possa spiegare solo con un moto d’affetto,
con il famoso detto napoletano: “Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja”.
Quale può essere, quindi, la metodologia
da seguire per fare le giuste scelte di fronte
a queste opzioni possibili? Dove occorre
porre lo sguardo? Analizziamo le tre differenti soluzioni
La riqualificazione
Innanzitutto, come abbiamo già affermato,
si può correttamente ipotizzare una riqualificazione solo in presenza di un solido ed
efficiente lay-out commerciale. È quindi
essenziale dotarsi di un quadro esatto delle
categorie merceologiche presenti e dell’eventuale necessità di una nuova disposi-
“
Tutti noi sappiamo
che in Italia
sono nati centri
commerciali dove è
stato possibile e non
dove era corretto che
sorgessero. Inoltre,
molti soffrono non
solo a causa di una
localizzazione poco
meditata (se non
casuale), ma portano
anche i segni della
loro età progettuale
“
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“
Il budget, in questo tipo di progettazione, è di
primaria importanza. Lo è anche negli interventi
di riqualificazione, dove talvolta tutto si riduce a
un’operazione molto leggera che non va al di là
dell’arredo, come panchine e fioriere
zione spaziale dei negozi. A questo fine
è indispensabile un’intervista approfondita
con il commercializzatore del centro. La seconda figura da interpellare è il gestore (se
diverso dal primo), che potrà fornire informazioni sulle manutenzioni eseguite, sui
percorsi preferiti dai frequentatori e su tutti
i problemi che solo chi vive il centro quotidianamente può conoscere. Sarà poi utile
esaminare alcuni dati oggettivi della struttura: lo stato dell’illuminazione naturale e artificiale nei diversi momenti della giornata, la
posizione degli ingressi dal piano stradale
e dai parcheggi, gli stessi parcheggi e le
loro lobby, le categorie di visitatori e i loro
flussi nei diversi giorni della settimana e
“
così via. Da questa analisi si potrà affrontare
la fase di face lift: premesso che non esiste
una formula predeterminata valida per tutti
i centri, poiché ognuno di essi ha una vita e
una dinamica proprie, per esperienza possiamo tuttavia affermare che in gran parte
dei casi le aree normalmente coinvolte in
una riqualificazione riguardano l’approccio
al centro e i suoi servizi: come gli ingressi
principali, i servizi igienici, i parcheggi e le
loro lobby; il cosiddetto tessuto connettivo,
come le gallerie, i fronti vetrina, l’internal
landscape, le food court, gli arredi interni;
importantissima, ovviamente, è l’illuminazione; inoltre, tutti gli elementi di comunicazione come la segnaletica direzionale, la
grafica d’orientamento, l’eventuale nuova
brand identity e anche le facciate esterne,
ovvero l’abito con cui un centro si presenta
al territorio e comunica con esso.
La ristrutturazione
Questo tipo d’intervento comporta una più
approfondita verifica del lay-out commerciale e dei flussi pedonali del centro; in
questo caso il confronto con il commercializzatore/gestore è fondamentale. Egli saprà
indicare tutti i punti di forza e soprattutto
di debolezza della struttura nei diversi momenti della giornata e anche nelle diverse
stagioni dell’anno.
Il budget, in questo tipo di progettazione,
è di primaria importanza. Lo è anche negli
interventi di riqualificazione, dove talvolta
tutto si riduce a un’operazione molto leggera che non va al di là dell’arredo, come
panchine e fioriere. Ma lo è ancor di più in
un programma di ristrutturazione, dove la
sua rilevanza è tale per cui non solo i clienti
ci chiedono sempre più scrupolose analisi
preliminari per decidere insieme dove investire, ma è anche necessaria una stretta
collaborazione con la proprietà del centro
per definire, sin dalle fasi consulenziali di
fattibilità tecnico-economica, i confini operativi entro cui è lecito muoversi.
La riconversione
A mia conoscenza, in Italia non vi sono
ancora esempi eclatanti, ma sono facile
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indovino nell’affermare che non mancheranno in un futuro molto prossimo. Molte strutture esistenti in Italia soffrono di
obsolescenza, scontando una situazione
di deficit non solo di manufatto (nella
sostenibilità energetica, per esempio) ma
anche culturale, semiotico; e non riescono
più a veicolare messaggi sintonizzati con
il proprio bacino di utenza e le comunità
di riferimento. A volte, però, quell’utenza
e quelle comunità non sono più recuperabili (se mai lo sono state). Senza
fare nomi, tutti noi conosciamo almeno un
paio di situazioni che potremmo definire
“cattedrali nel deserto”, progettate anche
bene da primarie società internazionali,
ma ormai compromesse. Spesso la causa
di tale situazione non è fisiologica, a valle
di un normale ciclo di vita, ma dovuta a un
deficit che possiamo definire strategicoprogettuale: la mancanza (o insufficienza)
di un approfondito lavoro di analisi preliminare che sappia costruire il quadro,
la cornice e la vision su cui sviluppare
un centro commerciale di successo. E il
primo elemento di tale vision è la localizzazione: che, quando è sbagliata, è la
causa principale del declino di un centro;
e l’unica soluzione è una sua riconversione completa. Qui inizia una nuova fase
che vedrà il coinvolgimento di differenti
figure professionali – architetti, sociologi,
semiologi, analisti, uomini di marketing
e così via – da cui potranno uscire nuove
idee di riutilizzo. Le quali possono davvero essere spettacolari: pensiamo, per
esempio, al caso di un centro commerciale a Reading, vicino Londra: il quale,
riconvertito in Leisure Centre, offre ai
suoi avventori il brivido post-apocalittico
di una “zombie experience” completa di
attori, armi (finte) e tutti gli annessi arnesi.
Senza essere così radicali, correggere la
relazione con il luogo di un centro commerciale può anche tradursi nella sua trasformazione da centro chiuso ad aperto.
Come sta avvenendo in California, dove
l’aspetto climatico consente ad alcune
strutture di aprire la galleria all’aria e alla
luce naturali, abbattendo i costi relativi
al condizionamento e, di conseguenza,
gli oneri di gestione che si riversano poi
sull’affittuario. E questo è un esempio applicabile anche in Italia, soprattutto nelle
regioni del Sud con un clima più favorevole. Quindi, la domanda fondamentale da
porsi in un programma di riconversione
(ma vale per tutti gli interventi) è: quali sono le necessità per un determinato luogo?
Sapendo che la prima esigenza da soddisfare è quella di generare una buona dose
di sorpresa, di eccitazione e di curiosità.
Concludendo, la morale della favola è
questa: non importa quale avventura affronti – riqualificazione, ristrutturazione,
riconversione – ma conta con chi la affronti. E, se il partner è quello giusto, l’happy
ending è assicurato.
“
Qui inizia una
nuova fase
che vedrà il
coinvolgimento di
differenti figure
professionali
- architetti, sociologi,
semiologi, analisti,
uomini di marketing
e così via da cui potranno
uscire nuove idee
di riutilizzo
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