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Perché ennui da radice inglese scaturisce,
seppur ignota al nostro idioma, che i fatti preferisce
alle parole, e lascia ai francesi il compito ingrato
di tradurre l’orrendo sbadiglio che sonno mai ha placato.
Lord Byron, Don Giovanni
Estratto da:
M.C. Beaton, La vendetta di Rainbird
Titolo originale dell’opera:
Rainbird’s Revenge
Traduzione dall’inglese
di Simona Garavelli
© 1988 by Marion Chesney
© 2016 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano
Prima edizione: agosto 2016
ISBN 978-88-98713-45-5
In copertina:
Regency era people at the door with footmen in attendance
© Linda Steward/iStockphoto
Progetto grafico: zevilhéritier
Stampato nel mese di luglio 2016
da Press Grafica, Gravellona Toce (VB)
www.astoriaedizioni.it
“Come sarebbe a dire, amico, che in questo albergo non
ci sono camere disponibili?”
Il proprietario del Bell lanciò uno sguardo nervoso all’alta figura ritta sulla soglia della locanda. “Semplicemente
quel che ho detto, signore. Questa sera ci sarà un ballo, qui
da noi, e la gente è arrivata da ogni dove per parteciparvi.
Tutte le stanze sono occupate, Mr…?”
“John,” rispose il gentiluomo alto. “Mr John. Ti pagherò
il doppio, oste, se mi rimedi una stanza. Aspetterò al pub,
mentre ti organizzi.”
Entrò a lunghi passi nel locale seguito dal suo servitore,
lasciando l’oste, Mr Skyes, a guardarlo a bocca aperta.
“Che succede?” gli chiese la moglie sopraggiungendo da
dietro.
“Un gentiluomo, tale Mr John, vuole una camera. Dice
che pagherà il doppio.”
“Beh, credo si possa fare,” rispose cauta la moglie. “C’è
il giovane Mr Partridge con l’amico, Mr Clough. Si metterebbero assieme, se è proprio necessario.”
“Non mi piacciono i modi dispotici di questo Mr John,
e questo è un fatto,” asserì l’oste.
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“Il denaro è denaro,” replicò la moglie con piglio pratico. “Sai bene che il comitato di ballo non ci darà un soldo
fino a San Martino.”
“E va bene,” concesse l’oste riluttante. “Ma vai tu a dirgli che probabilmente potrà avere la stanza. È al pub. C’è
qualcosa in lui che mi fa accapponare la pelle.”
Mrs Skyes si raddrizzò la cuffia e aprì la porta del pub,
mentre il marito si avviava su per le scale.
Alcuni uomini del posto guardavano con ostilità, come
se fossero stati appena spodestati, due signori seduti nei posti migliori, di fronte al camino.
Mrs Skyes era già pronta a dire chiaro e tondo ai due
estranei quel che pensava, e che potevano considerarsi ben
fortunati di aver avuto una stanza, doppia tariffa o meno;
ma al suo avvicinarsi il più alto dei due si alzò, e le parole
aspre le morirono in gola.
Due occhi azzurro ghiaccio in un viso abbronzato si abbassarono con alterigia su di lei da sopra le pieghe immacolate del foulard da collo elegantemente annodato. I capelli erano del colore delle ghinee brunite. La bocca, dalla
linea classica, esprimeva determinazione. L’uomo emanava
un’aria di ricchezza e potere. Mrs Skyes si produsse in una
riverenza.
“Mio marito è andato a vedere se due dei nostri ospiti non hanno niente in contrario a dividere una stanza,”
spiegò. “Così ne rimarrebbe una libera per voi, signore,
e per…?” e guardò con aria interrogativa l’uomo più
basso.
“Per il mio servitore,” specificò l’uomo alto. “Grazie.
Siete molto gentile.” D’un tratto fece balenare un sorriso,
un sorriso di abbagliante dolcezza che parve totalmente in
contrasto con la sua glaciale imponenza.
“E se vostra grazia volesse partecipare al ballo,” disse Mrs Skyes senza fiato dopo l’impatto con quel sorriso,
“sono certa che il comitato di ballo ne sarebbe onorato.”
L’uomo alto la osservò attentamente. “Forse,” rispose.
“Vedremo. Vi prego di informarmi non appena la camera
sarà pronta.”
Mrs Skyes fece la riverenza e se ne andò.
I due si sedettero. “Ebbene, Fergus,” disse l’uomo alto,
“devo prendere parte a questo ballo campagnolo?”
“Se vostra grazia pensa di divertirsi,” rispose il servitore.
“Ma perché questa messinscena? Perché non dire all’oste
che siete il grande e nobile duca di Pelham?”
“Perché ne ho abbastanza di adulatori e cacciatrici di
dote,” rispose il duca in tono ozioso. “Ho bisogno di una
breve vacanza dal casato. Lo sai, Fergus, assieme abbiamo passato tanti anni e affrontato tante battaglie. A te
concedo più licenza che a chiunque altro. Ma, se per una
sera decido di rimanere in incognito, questo è solo affar
mio.”
Vedendo l’espressione di biasimo sul viso riarso dal sole
di Fergus, un tempo devoto attendente, ora cameriere personale, compagno e talvolta consigliere, un lampo di affetto
brillò negli occhi del duca.
“Ma la servitù di quella casa maledetta di Londra conosce la vostra identità,” obbiettò Fergus.
“Sì.”
“Non capisco come vostra grazia abbia potuto decidere
di trascorrere la Stagione a 67 Clarges Street.”
“Perché, se non te ne sei dimenticato, la mia dimora di
Grosvenor Square dev’essere ritinteggiata, per cui mi tocca
trasferirmi nella più piccola delle mie case londinesi.”
“Ma, vostra grazia, lì dentro si è ucciso vostro padre!”
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Miss Jenny Sutherland si rimirò allo specchio con enorme soddisfazione. Era un peccato, si disse non per la prima
volta, che tanta bellezza dovesse andare sprecata lì in campagna. Ma sua zia, lady Letitia Colville, che avrebbe potuto
benissimo permettersi di portarla a Londra per la Stagione,
non mostrava il minimo segno di volerlo fare.
Jenny, bella lo era davvero. Una massa di vaporosi capelli scuri incorniciava il volto delicato. I grandi occhi castani
erano frangiati da lunghe ciglia nere, il naso era corto e
dritto e la bocca perfetta. La figura era morbida e femminile, con la vita sottile, spesso non messa sufficientemente in
risalto dall’ultima moda, che aveva alzato il girovita in un
punto imprecisato subito sotto il seno.
Quando aveva sei anni i suoi genitori erano morti di
“raffreddore francese” – il nome dato all’influenza – essendo i francesi incolpati di qualunque malattia, dal raffreddore al vaiolo. La zia nubile, lady Letitia, si era fatta carico
di allevarla. Ma, più che l’educazione ricevuta dalla zia, ad
avere viziato Jenny era stata la sua bellezza. Fin da piccola
si era abituata a sentirsi dire dalla devota istitutrice quanto
fosse bella, per cui gli sforzi della zia per inculcarle un po’
di modestia erano andati tutti sprecati.
Indossava un abito di finissima mussola color argento sopra un tubino bianco. Tra i ricci spiccava una coroncina di
fiori di seta bianchi e nastri d’argento. Jenny sapeva che al
ballo di quella sera non correva il pericolo di far da tappezzeria. In tutti i balli precedenti era stata la regina della festa.
Cooper, la cameriera, entrò portando uno scialle caldo,
il ventaglio e la borsetta. A Jenny il ventaglio scelto per lei
non piaceva, e avrebbe voluto mandarla a prenderne un
altro, ma si trattenne: Cooper sarebbe andata a riferire a
lady Letitia anche un’incombenza da poco come quella,
e la zia l’avrebbe subito accusata di caricare la servitù di
lavoro superfluo.
Reggendo la lampada a olio, Cooper fece luce sulle scale
per Jenny fin giù in salotto. Lady Letitia sedeva presso il
caminetto.
Era una donna snella che aveva superato da poco la
quarantina. I capelli erano folti e castani, senza traccia di
grigio, e gli occhi piccoli e neri erano acuti e scintillanti.
Aveva una figura ordinata e piuttosto piatta davanti, mani
bianche e affusolate e piedi lunghi e stretti calzati in scarpette da ballo di capretto. Aveva in testa un turbante di
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“Siamo appena ritornati dalle guerre nella Penisola Iberica e tu sei già riuscito a raccogliere pettegolezzi sul mio
conto, Fergus.”
“Perché, non è vero?”
“È vero. Ma io non sono un sentimentale. E non credo
ai fantasmi. Ho conosciuto poco mio padre, e quel poco che
ho conosciuto non mi è piaciuto. Clarges Street andrà più
che bene. Forse i piaceri della Stagione mi distrarranno un
po’ dal tedio che mi affligge.”
Il domestico gli scoccò uno sguardo allusivo. “O magari
qualche bellezza calamiterà il vostro interesse.”
Il duca sospirò. “Alle donne interessano solo i soldi,” sentenziò. “Sono venali all’inverosimile.”
“Forse conoscerete qualche bellezza campagnola fresca e
non viziata, a questo ballo,” disse Fergus, chiacchierando a
proprio agio con l’informale affabilità che si era sviluppata
tra padrone e servitore durante le sanguinose campagne
militari contro le truppe di Napoleone.
“Le donne sono viziate per natura,” replicò il duca.
“Questo argomento mi annoia. Cambiamo discorso.”
velluto e indossava un abito anch’esso di velluto cremisi
allacciato da alamari dorati sopra un sottabito di color
verde spento.
Quando Jenny entrò nella stanza sollevò la
testa, desiderando per l’ennesima volta che la ragazza non
fosse così straordinariamente bella. Lady Letitia si ritrovò
a sperare che quella sera al ballo ci fosse un gentiluomo di
cui l’incostante nipote si sarebbe incapricciata, un gentiluomo che non dimostrasse il minimo interesse per Jenny. Ha
proprio bisogno di una bella ridimensionata, si disse lady
Letitia. Non che fosse crudele o sgarbata. Solo, ovviamente,
si era ormai abituata a ritenere la propria bellezza eccessiva
per la piccola nobiltà locale. In breve, era vanitosa.
Forse avrei dovuto portarla a Londra, rifletté lady Letitia. Laggiù è pieno di belle ragazze, e un po’ di concorrenza
è quel che le ci vuole. Ma Londra pullula anche di libertini
e perdigiorno. Meglio un marito campagnolo.
“Come ti sembro?” chiese Jenny producendosi in una
piroetta davanti alla zia.
“Molto appropriata,” disse lady Letitia senza sbilanciarsi.
Jenny scoppiò a ridere. “Zia cara, non riesco mai a estorcerti un complimento.”
“È giusto che ci sia almeno una persona al mondo che
non ti vizi,” ribatté lady Letitia. “La mia mantella, Cooper.”
Lady Letitia viveva in una grande dimora fuori Barminster. Era un’operosa città di mercato sulla strada tra Bristol
e Londra. Sebbene molti stranieri diretti a Londra si fermassero al Bell, pochi partecipavano ai raduni mondani,
essendo troppo stanchi del viaggio per pensare di unirsi a
un ballo locale.
Dopo aver lasciato lo scialle nell’anticamera e avere raggiunto la zia nella sala oltre la porta a doppio battente che
immetteva nel salone da ballo, Jenny cominciò ad avvertire
un fremito di eccitazione, come se stesse per accadere qualcosa di importante.
Erano piuttosto in ritardo: la vanitosa Jenny aveva deliberatamente ritardato i preparativi della toilette così da
poter fare un ingresso sensazionale.
“Buon Dio,” mormorò il duca di Pelham quando Jenny
entrò nella stanza, seguita da lady Letitia.
“Ecco la vostra bellezza campagnola,” mormorò Fergus,
dietro la sedia del padrone. “E che bellezza!”
“Mi chiedo se sia consapevole del suo aspetto,” disse il
duca senza distogliere lo sguardo da Jenny. Ma nella ragazza non c’era nulla che tradisse la propria vanità, semplicemente perché non aveva mai dovuto competere con
nessun’altra.
Lo sguardo acuto di lady Letitia corse immediatamente
a dove sedeva il duca di Pelham. Sollevò il ventaglio per
coprirsi e sussurrò a Mrs Chudleigh, membro del comitato
di ballo: “Chi è quell’estraneo così terribilmente bello?”.
“Nessuno di importante, ve lo assicuro,” rispose Mrs
Chudleigh. “Un viaggiatore, tale Mr John.”
Lady Letitia guardò di soppiatto in fondo alla stanza il
bel viso altezzoso e mormorò: “Mi sorprende che sia un
semplice mister. Ha l’aria di un uomo avvezzo al comando”.
“È probabile,” disse l’altra con un risolino di superiorità.
“Il suo domestico ha messo in giro voce che il padrone è un
capitano che ha appena lasciato l’esercito.”
Jenny, raggiunta da diverse amiche, venne sapere a sua
volta il nome del bell’estraneo.
“La mamma dice che mi ucciderà se oserò anche solo
posare gli occhi su un misero capitano,” ridacchiò Miss Eufemia Vickers, una delle amiche. “Ma com’è bello, e che
fascino!”
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Via via che il ballo procedeva, tra le signore presenti cominciò a serpeggiare una certa animosità nei confronti del
“capitano”. Perché lui non ballava. Si limitava a osservare
con curiosità quelli che lo facevano con l’aria di un entomologo intento a osservare i rituali di corteggiamento di un
raro tipo d’insetto.
In quella Mr Skyes, l’oste, si avvicinò circospetto a Mrs
Chudleigh e sussurrò: “C’è un certo lord Paul Mannering,
arrivato da poco, che vorrebbe partecipare al ballo”.
“Un lord!” esclamò Mrs Chudleigh. “Ma certo che ha il
nostro permesso. Anzi, non occorre nemmeno che consulti
gli altri membri del comitato.”
Mr Skyes fece un inchino e si ritirò. Mrs Chudleigh svolazzò dall’uno all’altro per annunciare l’arrivo di questo tale
lord Paul Mannering. Un altro membro del comitato, che
studiava l’almanacco nobiliare britannico come altri studiavano la Bibbia, riferì che lord Paul era il figlio più giovane
del vecchio duca di Inchkin, vedovo, e generale nell’esercito
di Wellington.
Mentre la stanza risuonava del brusio di questi entusiasmanti pettegolezzi, all’improvviso il duca di Pelham si alzò
e si diresse verso Jenny, che osservò allarmata il suo arrivo.
E se quel lord Paul fosse comparso all’improvviso? Era il
momento della danza della cena, e si sarebbe ritrovata legata a quel Mr John, un signor nessuno. Prima che lui riuscisse a raggiungerla, Jenny si dileguò attraverso un gruppo
di ospiti e si nascose dietro una colonna. Il duca aggrottò la
fronte. Era avvezzo a giovani signore che stavano inchiodate
al posto, frementi di eccitazione nel caso si fosse degnato di
rivolgere loro la parola. Alzò le spalle e tornò al suo posto.
“È la danza della cena,” mormorò Fergus.
“Sceglierò una dama, una qualunque, cenerò e me ne
andrò a dormire,” disse il duca con uno sbadiglio. “È stato
spassoso vedere tutti questi piacevoli inglesi divertirsi, ma
ora sono annoiato a morte.”
Ma annoiato non era la parola giusta. Si sentiva piccato
e irritato per quella giovane bellezza che era fuggita davanti
al suo approccio. Sollevò il bicchiere e osservò la fila delle
chaperon. Sovente, in passato, aveva trovato in loro una
compagnia più piacevole da portare a cena che quella di
qualche giovane miss. L’occhio gli cadde su lady Letitia,
e quel che vide gli piacque. Si alzò di nuovo in piedi. Proprio allora si aprirono le porte del salone da ballo, e lord
Paul Mannering, accompagnato da un amico, fece il suo ingresso.
Subito tra le giovani signore dilagò un senso di delusione, convinte che il figlio più giovane di un duca dovesse essere… beh, giovane, mentre quell’uomo aveva come minimo
superato i quaranta. I capelli corvini mostravano tracce di
grigio e il viso, dall’espressione severa e determinata, era
color del cuoio scuro, tanto era cotto dal sole.
“Pelham!” esclamò, con occhi illuminatisi nel vedere il
duca. “Perbacco, quando sei arrivato?”
“Poco prima di te, credo,” gli sorrise il duca. “Come hai
fatto ad avere una stanza?”
“Ho scritto tempo fa per prenotare. Vorrei presentarti il
mio amico,” disse lord Paul. “Pelham, questo è Mr Walker.
James, ti presento sua grazia, il duca di Pelham.”
Mrs Chudleigh, che aveva ascoltato avidamente questo
scambio di battute, per poco non svenne dall’emozione.
Mentre quella strabiliante notizia si diffondeva per la sala,
le piume presero a oscillare, i turbanti ad annuire. Il viso di
Jenny si inporporò per la mortificazione. Un duca! Che era
stato sul punto di invitarla a ballare.
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“Scegliete la vostra compagna per la danza della cena,
prego,” li esortò il maestro delle cerimonie per la terza
volta, dato che, a causa di quel pettegolezzo elettrizzante, i partecipanti si erano dimenticati di posizionarsi nelle
figure.
“Ora però lasciami scegliere una dama adatta,” disse
lord Paul. “Ah, ce n’è una perfetta.”
Jenny, in piedi dietro la sedia di lady Letitia, sorrise e
si sventagliò pigramente nel vedere i due uomini dirigersi
velocemente verso di loro. Quale doveva scegliere? Beh, il
duca, naturalmente. Era il più giovane e quello di rango
più elevato.
Lord Paul si chinò verso lady Letitia. “Signora, posso
avere l’onore di questa danza?”
Jenny si lasciò sfuggire un piccolo sussulto di mortificazione, ma c’era in arrivo qualcosa di peggio.
“In verità,” disse il duca, “mi hai battuto sul tempo. Era
anche mia intenzione invitare questa signora.”
Lady Letitia sollevò sui due uno sguardo stupefatto.
“Ma Pelham,” disse lord Paul in tono soave, “sono stato
io a chiederglielo per primo.”
“È giusto,” replicò il duca. “Dovrò accontentarmi della
seconda scelta.” Fece correre lo sguardo per la sala. Era
molto alto, e il suo sguardo errò sopra la testa di Jenny.
Poi, con un lieve sospiro di rassegnazione, lo riabbassò e
chiese a Jenny: “Volete farmi l’onore, signorina?”.
Jenny acconsentì prontamente. Era esasperante sentirsi definire la seconda scelta, ma si consolò al pensiero che
i due gentiluomini avevano volutamente esagerato con la
galanteria in ossequio all’età avanzata della zia.
Essendo una danza campagnola, non vi fu modo di fare
molta conversazione, ma del resto Jenny non si aspettava
che i suoi cavalieri facessero molto di più che fissarla con
occhi adoranti.
Quando finalmente sedette accanto al duca alla tavola
della cena, si rese conto che negli occhi che fissavano i suoi
non c’era adorazione bensì noia.
“Chi è quella signora elegante laggiù?” chiese il duca
agitando il monocolo cerchiato in oro in direzione di lady
Letitia.
“Quella è mia zia, vostra grazia.”
“E possiede anche un nome?” le chiese con una punta
di irritazione.
“Sì, vostra grazia. Lady Letitia Colville.”
“Ah, la figlia del compianto conte di Mallock.”
“Sì, vostra grazia. La zia era sorella della mia defunta
madre.”
“E voi siete…”
“Miss Jenny Sutherland, vostra grazia.”
“Come sapete il mio titolo?”
“Mi è stato sussurrato giusto un attimo fa,” spiegò Jenny. Il duca si dedicò alla cena. Jenny era fastidiosamente
consapevole della presenza del domestico del duca, ritto in
attesa dietro la sedia del padrone. Guardò la zia, di fronte.
Qualunque cosa avesse appena detto, era evidente che lord
Paul la trovava molto divertente. Jenny si rese conto che le
amiche la osservavano di soppiatto, e che erano giunte alla
conclusione, come tutti gli altri, che il duca trovava più interessante il cibo nel piatto che non la propria dama.
“Allora se non siete un capitano,” disse la ragazza, “non
avete combattuto in guerra.”
“Al contrario, sono appena ritornato.”
“Come vanno le nostre truppe?” si informò Jenny, che
non nutriva alcun interesse per la guerra ma voleva far cre-
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dere alle amiche che la osservavano che il duca fosse ammaliato da lei.
Lui cominciò a raccontare. Jenny abbassò lo sguardo sul
proprio abito per accertarsi che i panneggi ricadessero a dovere. E avrebbe voluto tirar fuori lo specchio per accertarsi
di essere bella come al solito.
“Mi dispiace che il mio racconto vi stia annoiando.” La
voce aspra del conte riuscì a penetrare i suoi pensieri.
“Lo trovo affascinante, signore,” rispose lei con il viso in
fiamme.
“Allora perché mai,” replicò il conte in tono misurato,
“mentre vi parlo giocherellate con il vostro abito e vi aggiustate i guanti?”
La risposta alla domanda era che fino a quel momento
Jenny non si era mai dovuta preoccupare di essere altro che
bella. “Vi assicuro, signore,” disse piccata, “che ho ascoltato
ogni parola.”
“Quindi che ne pensate della storia di Wellington che è
caduto da cavallo?”
“Molto interessante.”
“Non ho mai raccontato niente del genere,” ritorse il
duca.
“Insomma,” replicò Jenny sventagliandosi vigorosamente, “siete proprio determinato a prendermi in antipatia.”
“Niente affatto. Ma non mi piace la scortesia, e voi siete
scortese. Potreste fare al vostro cavaliere il piacere di ascoltarlo.”
Jenny batté le lunghe ciglia e si gingillò con il ventaglio,
due manovre che, aveva appreso da passate esperienze,
avrebbero prodotto un effetto devastante su qualunque
uomo provvisto di un cuore.
Il duca la guardò accigliato e si versò un bicchiere di
vino. La coppia, alquanto irritata, si fissò reciprocamente.
Erano molto ben assortiti: il duca era avvezzo a persone
che, per via del titolo, pendevano dalle sue labbra, mentre
Jenny era abituata a una devozione servile.
“Il problema con voi, miss,” disse il duca mentre gli occhi vagavano per la lunga tavolata, “è che vi considerate la
regina di questa città di provincia. Una Stagione a Londra
vi rimetterebbe subito al vostro posto.”
“E che posto sarebbe, vostra grazia?”
“Beh, quello di una piccola miss nessuno.”
“Voi,” lo apostrofò Jenny, “siete l’uomo più odioso che
abbia mai incontrato. Siete pomposo e villano. Avete la testa imbottita di idee sulla vostra importanza. No, non andrò
a Londra, e di questo ringrazio il cielo. Perché, se ci andassi,
mi toccherebbe rivedere la vostra stupida faccia, e soffrire
di nuovo per i vostri modi sciocchi e rozzi.”
“Se foste un uomo,” replicò il duca, ora molto arrabbiato, “vi inviterei ad affrontarci qui fuori.”
Jenny appoggiò il mento alla mano e gli fece un sorriso
dolce. “Ma non lo sono. Qui siete a un ballo di campagna
e dovete rassegnarvi.”
Gli occhi azzurro-ghiaccio mandarono un lampo. Il duca
si alzò e si allontanò di qualche passo. “Andiamo, Fergus,”
ordinò a voce alta al domestico, “la compagnia impertinente
di Miss Jenny è terribilmente noiosa.” E uscì dalla sala.
Jenny restò impietrita sulla sedia, tremando per la vergogna di quell’affronto.
“Bontà divina!” esclamò lord Paul balzando in piedi.
“Cosa gli sarà preso, a Pelham? Di solito è la personificazione della cortesia.”
“Sedetevi, milord,” lo esortò lady Letitia in tono tranquillo. “Una scenata può bastare per una sera, direi.”
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Lord Paul si rimise lentamente a sedere. “Credo dovreste
consentirmi di andare da lui, signora,” disse, “e pretendere
delle scuse.”
“Aspettate più tardi, milord,” disse la donna con calma.
“A volte Jenny sa essere davvero esasperante, e da troppo
tempo ormai con i gentiluomini fa a modo suo. Guardate!
Il giovane Mr Partridge è appena andato da lei. La ricoprirà
di complimenti esagerati, e in men che non si dica si sarà già
dimenticata del vostro amico. Ma parliamo d’altro. Immagino che vogliate trascorrere a Londra la fine della Stagione?”
Jenny avrebbe dovuto trovare conforto sia nei complimenti di Mr Partridge che nelle sue critiche al duca di Pelham.
L’uomo giurò che, se avesse saputo che il duca si sarebbe
dimostrato un tale buzzurro, non gli avrebbe mai ceduto la
sua camera. Jenny stava decisamente meglio lì in campagna,
dove c’era gente buona e onesta, e dove non correva il rischio
di finire preda delle ingiurie di dilettanti e libertini londinesi.
E invece si sentiva infelice. In passato la sua bellezza l’aveva sempre salvata da insulti e critiche. Ora però la sentiva
sgretolarsi, lasciandola nuda e goffa, una zotica di campagna senza arguzia né parlantina.
Mentre ascoltava il suggerimento di lord Paul di portare
Jenny a Londra per quel che rimaneva della Stagione, lady
Letitia studiava di nascosto il viso avvilito della nipote.
“Voi sostenete,” diceva lord Paul, “che vostra nipote è
abituata a una tranquilla vita di campagna, e che le lusinghe di Londra potrebbero farle girare la testa, ma non sarebbe meglio metterla a contatto ora con alcune di esse?
Cos’accadrebbe se sposasse un antiquato pretendente campagnolo a cui un giorno saltasse in testa di portarla in città,
e lì lei perdesse completamente la testa? Che razza di moglie sarebbe, in tal caso?”
“Siete molto persuasivo, milord,” disse lady Letitia ridendo. “Ci penserò.”
Mentre Fergus lo preparava per la notte, il duca di
Pelham versava ancora in uno stato di indignata furia. “Vostra grazia sembra essersi oltremodo infastidito per quella
sciocchina,” si azzardò infine a dire Fergus.
In risposta il duca emise un suono simile a un grugnito.
“Non è da voi prendervela in questo modo,” insistette
Fergus ostinato. “E non è che abbiate poi in gran simpatia
le donne.”
“Non sono un misogino,” ribatté il duca con un sorriso
riluttante. “Il motivo per cui parteciperò alla Stagione è
trovar moglie.”
Per poco Fergus non lasciò cadere la pila di asciugamani
umidi che teneva tra le braccia.
“Una moglie? E perché?”
“Ho bisogno di eredi,” rispose scontroso il duca, “e non
posso procurarmeli da solo.”
“Ma ci avete pensato bene?” domandò cauto Fergus.
“Dovrete fare la corte a una di loro, vostra grazia, e farle
dolci complimenti…”
“Stupidaggini,” ribatté l’altro cinico. “Quando mai un
ricco duca inglese ha dovuto preoccuparsi per una femmina? Mi limiterò a sceglierne una e a far schioccare le dita.”
“A meno che, naturalmente, la femmina non sia una
come Miss Jenny Sutherland,” ribatté Fergus allusivo.
“Non nominare mai più quella donna. È troppo piena
di sé.”
“Come qualcuno di mia conoscenza,” mormorò Fergus.
“Cos’hai detto?”
“Niente, vostra grazia. Niente.”
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Sulla carrozza diretta a casa, lady Letitia disse a Jenny:
“Ho detto che ho deciso di andare a Londra. Mi hai sentito? Oh, già, dimenticavo. Difficilmente ascolti qualcuno”.
“Non è vero!” esclamò Jenny accalorandosi. “Semplicemente, sono stata colta alla sprovvista dalla repentinità
di tutta la faccenda. E ho deciso che tutto sommato non ci
vorrei andare, a Londra.”
“Davvero? Beh, questa volta si farà a modo mio, signorina. Lord Paul Mannering mi ha persuasa sulla necessità
di portartici.”
“Davvero?” Jenny appoggiò la schiena al sedile e ricordò
il bel viso severo di lord Paul. Era un tantino anziano, ma
era un lord. Il suo interesse per lei era esattamente quel che
ci si aspettava. La vanità di Jenny ritornò a poco a poco,
riscaldandole il corpo.
“Allora naturalmente dovremo andarci,” disse con un
risolino. “Non dobbiamo scontentare lord Paul.”
Ora si può sapere, si chiese Jenny nel vedere la zia scuotere il capo sconsolata e alzare impercettibilmente le spalle,
cos’avrò mai detto di male, per offenderla?
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