Mito-da-favola

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Mito-da-favola
Roberta Magnante Trecco
Mito da favola
Storie mitologiche
per l’istruzione primaria
LIVE
Mito da favola
© 2011, R. Magnante Trecco, Mito da favola, Erickson, www.ericksonlive.it
Copia concessa in licenza a daniela bianchi; scaricato il 02/01/2013
Editing
Davide Bortoli
grafica
Giordano Pacenza
Licia Zuppardi
impaginazionE
Camillo Conci
illustrazioni
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ROBERTA MAGNANTE TRECCO
Mito da favola
Storie mitologiche
per l’istruzione primaria
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Indice
PREFAZIONE:
Piano dell’opera
9
PRIMO MITO:
Come sono nate le divinità? Una genealogia…
13
SECONDO MITO:
Eridano e Fetonte
23
TERZO MITO:
Il diluvio universale
27
QUARTO MITO:
Le… sette fatiche di Eracle
31
QUINTO MITO:
Bacco, dio del vino
39
SESTO MITO:
Il dio di tutti gli dei: Zeus
45
SETTIMO MITO:
La fondazione di Roma: Romolo e Remo
51
IL MIO DIZIONARIO MITOLOGICO
57
IL LINGUAGGIO DEI MITI
83
LE CORRISPONDENZE TRA LE DIVINITÀ
85
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3.32
Boato di forze indicibili
tutto di blu incandescente
sirene rosse
urlate le grida di pianto
teneri fiori spezzati
le loro Mamme abbracciate.
Frammenti d’anima ridotta a brandelli!
Polvere travi cemento!
Cenere in... fine!
A tutti i Bambini della mia città e alle loro Madri
perché non sia accaduto invano,
perché non si dimentichi,
per dare voce a chi non c’ è più.
L’Aquila, 6 aprile 2009
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Prefazione
Piano dell’opera
Questo libro ha l’intento di raccontare ai giovani studenti
della scuola primaria alcune tra le più note storie mitologiche
del mondo greco e latino attraverso un linguaggio semplice ed
essenziale, rielaborato personalmente dall’autrice.
Esse trovano ispirazione dai testi in lingua originale presenti
nelle varie antologie e grammatiche per il ginnasio: rispettano
dunque la loro originalità e soprattutto la loro impostazione
classica.
Non si tratta di favole, bensì di racconti giunti fino a noi
dai tempi più antichi, quando ancora non esisteva la scrittura,
grazie al girovagare di aedi, cantori che si spostavano da un pae­
se all’altro della Grecia, da una reggia all’altra, per raccontare
l’ira di Zeus, Giove per i Romani, oppure le storie di Afrodite.
Successivamente, grandi poeti come Omero, Esiodo e Virgilio
hanno raccolto e tramandato questi testi, perché non venissero
dimenticati.
La mitologia nasce nell’antichità con l’intento di rispecchiare
l’esigenza, innata nell’essere umano, di trovare risposte ai fenomeni naturali: da qui il bisogno di personificare questi ultimi
unitamente ai sentimenti umani, di inventare eroine, eroi, dei,
dee, personaggi belli e brutti, buoni e cattivi, strani o bizzarri,
misteriosi o fantastici.
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9
La cosmogonia ci porta lontano nel tempo e ci presenta
miti che spiegano la nascita del mondo oppure questo o quel
particolare fenomeno naturale.
E la raccolta di miti, greci e latini, africani e cinesi, etruschi
e indiani, è talmente ricca che sembra superare ogni limite possibile della fantasia. Insomma, anche il più spettacolare film di
fantascienza odierno fatica a reggere il confronto con le invenzioni e le fantastiche narrazioni concepite nel passato dalla mente
umana, pur di trovare spiegazioni e risposte ai fenomeni della
natura oppure ai mille contraddittori comportamenti dell’uomo.
La mitologia greca può a buon diritto reclamare il primato
di miglior produttrice di romanzi e sceneggiature che si siano
mai avute in tutti i tempi, nell’ambito del genere fantasy, come
viene chiamato oggi, e non solo. Le storie spaziano dal mito di
Perseo a quello di Narciso, dalla metamorfosi di Dafne a quella
di Aracne, dal mito di Demetra e Persefone a quello di Orfeo
ed Euridice, dalla storia di Pan a quella di Arianna e Teseo, e
cosi via… e il tutto intrecciato e aggrovigliato, oseremmo dire,
in un filo lunghissimo, come quello dell’eroina del labirinto del
Minotauro.
E non c’è limite alla fantasia! Draghi, serpenti, meduse,
animali marini mostruosi, cavalli volanti o con testa umana,
sirene, gocce di sangue che si tramutano in coralli, fanciulle che
predicono il futuro, oracoli misteriosi, viscere da interpretare, e
mille altre invenzioni e scenografie, tutte egregiamente dirette
dall’alto, come solo un rispettabile deus ex machina sa fare, e
tutte equamente soggette ad altrettanti colpi di scena inaspettati.
E il lettore fatica a stare dietro a una tale quantità di personaggi,
che cambiano luogo, nome, fisicità per questo o quello sgarbo
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rivolto, nolenti o volenti, a una divinità o al grande Zeus, che
tutto governa e dirige.
Gli dei dell’Olimpo, gli eroi greci e latini, le loro gesta hanno
lasciato segni indelebili in tutti i campi della cultura e per molti
secoli fino a noi; hanno arricchito, infatti, non solo la poesia, il
teatro, la narrativa, ma anche l’arte e la musica. Compositori,
pittori, poeti hanno realizzato opere ispirandosi alla mitologia
classica.
Gli dei, cittadini dell’Olimpo, catena montuosa situata nel
nord della Grecia, rappresentano anche gli elementi naturali:
Apollo, dio della luce e della bellezza, rappresentava il sole; Poseidone il mare; Artemide, dea della caccia, la luna. Oltre a ciò
trovavano rappresentazione persino i difetti e le virtù degli esseri
umani: discordia, bellezza, invidia, accidia, saggezza, ecc. Gli
dei quindi erano da una parte vulnerabili, gelosi e capricciosi e
dall’altra potenti e temibili.
Come rendere allora allegra e leggera, in una parola leggibile,
una trama oppure un racconto a un bambino, così da stupirlo,
senza annoiarlo e neppure impaurirlo?
Da qui la necessità, come già detto, di recuperare la trama più
diffusa e conosciuta di alcune storie, sminuendo la drammaticità
delle tragiche vite dei singoli eroi e delle singole eroine, in modo
da rendere il racconto comprensibile, a volte spiritoso: dunque,
personaggi buffi oppure goffi dalle sembianze e dall’aspetto fisico
ridicolo o mostruoso, sminuito dalla loro stessa storia ovvero
dagli stessi fatti che loro capitano. L’intento ultimo è quello di
trasmettere questa materia così intrigante e misteriosa ai giovani
del nostro tempo, abituati dalle nuove tecnologie e dai nuovi
mezzi di comunicazione a tenere a riposo la propria fantasia.
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I racconti qui presentati hanno, inoltre, il proposito di fornire materiale da lavoro per quei docenti che prestano attività
didattica speciale, limitatamente a una lettura semplice e fine
a se stessa.
Ciascun insegnante potrà a suo piacimento arricchirne il
contenuto, approfondendo le storie con altri documenti relativi
alla mitologia, oppure riutilizzare i testi per dettati o trovare in
essi spunti per una discussione.
Il volume ha in appendice un elenco dei nomi delle divinità
più note e un breve vocabolario di termini tipici del linguaggio
mitologico.
Come nei grandi dizionari mitologici, divinità e personaggi
vengono nominati con il loro nome greco; nell’appendice viene
indicata anche la corrispondenza con la divinità romana.
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Primo mito
Come sono nate le divinità?
Una genealogia…
Ciao a tutti, cari studenti!
Dove vi trovate in questo momento? E come state?
Siete a scuola? Oppure a casa? Siete comodamente
seduti?
Certamente se siete seduti su di una semplice sedia
di color legno, che oscilla tra l’avana e il marrone,
magari con scritte scolorite sopra, quattro gambe d’acciaio o di ferro – mi riferisco a quelle che troviamo
nelle nostre scuole – non si può dire che siate comodi
come su di una poltrona morbida… anche se bisogna
riconoscere che esse sono essenziali e utili alla nostra
schiena!
Allora, state bene? Sì, insomma, dovete essere
pronti, perché quella che state per leggere è una lunga
lista, che ha lo scopo di presentarvi la famiglia più
bizzarra e fantasiosa mai vista nel corso dei secoli. Mi
riferisco alla famiglia delle divinità dell’antica Grecia
e dell’antica Roma. Sicuramente avrete sentito parlare
di Zeus, o Giove, oppure di Afrodite e di Apollo, o di
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Diana, e forse anche dei Giganti. Tutti personaggi
curiosi, strani ma affascinanti, dai poteri magici,
che tra l’altro sembravano trascorrere il tempo a farsi
dispetti di ogni genere!
Da quando l’uomo è apparso sulla terra, ha
avvertito la necessità di rispondere ai mille perché
della vita e si è sforzato in tutti i modi di trovare una
spiegazione un po’ a tutto:
«Dove si va dopo la morte?», «Cosa c’è oltre la
vita?», «Quante vite abbiamo?», «Quale l’origine dei
fenomeni naturali? Chi e perché li provoca?», ecc.
Bisognava rispondere in qualche maniera a
tutte queste domande piene di perché. L’innata e
istintiva tendenza dell’uomo a trovare spiegazioni
in esseri superiori poteva portare a soddisfare questa esigenza. Pensate un po’ come all’epoca poteva
scatenarsi la fantasia della gente, soprattutto degli
scrittori, visto che non esisteva la scienza, per come
la intendiamo noi oggi, e che non si avevano spiegazioni scientificamente dimostrabili. Quindi il
fulmine era la manifestazione della divinità e così
pure la pioggia. Tutto era voluto e gestito da questa
o quella divinità.
Ma loro, gli dei, come erano nati? Da dove venivano a loro volta?
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E allora… via! A lanciare a briglie sciolte la fantasia!
Ed eccovi qui allora una genealogia delle divinità
di un tempo.
Cosa significa genealogia? Ha a che fare con la
«nascita», oppure, se vi piace di più, con l’«origine»:
in questo caso nascita e origine degli dei e della loro
discendenza.
Ci fu un signore, che visse tantissimo tempo
fa, che si divertì, non sapendo cosa fare senza tv
e computer, a comporre un’opera di mitografia,
cioè un libro in cui vi fossero raccolti i miti, storie
fantastiche, insomma. Il suo nome era Caio Giulio
Igino e di lavoro faceva il bibliotecario del famoso
imperatore Augusto a Roma.1 Che fatica scrivere
a mano con un semplice pennino tutti quei fogli
di pergamena!
I miti lo affascinavano e divertivano. Temeva
però che col tempo andassero perduti o venissero
dimenticati… Allora, allora… Igino scrisse una
specie di elenco:
1. All’inizio c’era il Caos. Che cosa vi viene in mente
sentendo questo termine? Il disordine, quello che
1
Igino, Miti, Milano, Adelphi, 2000.
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fate voi nelle vostre camerette, per intendersi,
quando giocate con i vostri amici. Tutto sottosopra: scarpe di qua, abiti di là, quaderni, palloni,
cuscini, libri chissà dove, e poi ancora carte e
molliche di merenda non completamente finita
sul tappeto buono di mamma in salotto. In realtà
gli studiosi ci spiegano che per gli antichi Greci
e gli antichi Romani Caos significava il vuoto,
un vuoto che poi è stato riempito con la materia
del mondo e dell’universo.
2. E questo Caos da dove proveniva? Dalla Caligine:
dal buio e dall’oscurità. Ha una sua logica: quando
si cammina al buio, si inciampa e naturalmente
si fanno cadere gli oggetti e tutto ciò che si trova
sul nostro percorso ed è per questo che si crea il
Caos, per come lo intendiamo noi oggi! Altro che!
3. Dalla Notte nacquero il Fato, cioè il destino, la
Vecchiaia, la Morte, la Discordia, la Povertà, il
Sonno, la Giustizia divina, l’Amicizia, la Misericordia, ovvero la Pietà per le sofferenze del nostro
prossimo, e persino un fiume, lo Stige, un fiume
lunghissimo che scorre nel mondo dell’aldilà e
che ogni giorno – anzi ogni minuto – vede passare sopra le sue acque centinaia e centinaia di
persone che hanno lasciato la terra.
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4. Oltre a tutte queste Divinità, o pseudo (finte) divinità (la Vecchiaia, la Miseria, ecc.), si
generarono anche tre terribili vecchie che i
Romani chiamavano Parche e i Greci Moire
e che di mestiere facevano le filatrici. Cose di
altri tempi, sì, insomma tessevano con il filo…
la vita di tutti noi poveri mortali e decidevano
la durata del nostro tempo-vita. Una filava,
l’altra tesseva e l’ultima tagliava il filo della
vita. Si chiamavano: Cloto, Lachesi e Atropo.
Il nome Atropo voleva dire inflessibile, inevitabile. Bastava solo il nome a far capire che era
inflessibile, cioè che non si poteva sperare che
CLOTO
LACHESI
ATROPO
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lei non tagliasse il filo della vita degli uomini.
Insomma, avete capito cosa facevano? Le tre
Parche decidevano quanto una persona dovesse
vivere! Brutte vecchiacce prepotenti e presuntuose! E nessuno, dico nessuno, poteva azzardarsi
a opporre loro resistenza. Vatti a fidare di certe
nonnine…
5. Dalla Terra e dal Tartaro nacquero i famosi
Giganti. E chi era Tartaro? Il luogo più cupo
e desolato che potesse esistere. Viene in mente
l’Inferno descritto da Dante Alighieri: all’ingresso un essere spietato e crudele con gioia e
felicità accoglieva tutti i «cattivi» dell’epoca.
Dante lo chiamò Caronte: «Caron dimonio, con occhi di bragia» (occhi di fuoco).
A cosa vi fa pensare, oggi, questa parola? Ma
al tartaro no? Quello che si forma tra i denti,
se non li lavate bene, oppure se non andate dal
dentista almeno una volta l’anno a fare la vostra
bella pulizia della vostra boccuccia! E il tartaro
è di colore scuro, quasi nero. Dunque, il termine
ha conservato il senso cupo di un luogo tetro.
I Giganti, invece, erano uomini temerari, di
grande statura, che avevano preso l’ardire
di lottare contro Giove e contro tutti gli dei
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dell’Olimpo per diventare i primi. Ma non
bastò la loro grandezza fisica a permettere
loro di diventare più forti di Zeus! Per questo atto di incredibile sfida, Zeus decise di
scaraventarli ai piedi delle montagne e seppellirli dentro ai vulcani, dopo avere prima
trasformato i loro piedi in code di serpenti.
Questo tanto per dire… sapete. Sciocchezze, bazzecole per il grande Iuppiter!
E la fantasia degli antichi non si ferma qui: il
grande Igino continua a raccontare.
6. Da Ponto e da Acqua marina nacquero invece
tutte le specie possibili e immaginabili dei Pesci.
Cos’è il Ponto? Una regione che si affaccia sul mar
Nero e il mare chiaramente, come tutto il resto,
era personificato. Sì, certo, dovete immaginare
con la vostra fantasia che il Mare fosse un omone
grandissimo, incontenibile, pieno di forza.
7. Dall’Oceano, figlio di Urano e di Gea (vero nome
della Terra), e dalla ninfa Teti ebbero origine tutti
i Fiumi: lo Strimone, il Nilo, il Tigri, l’Eufrate,
il Simoenta, l’Aspropotamo e via dicendo.
8. Da Nereo, dio marino figlio di Ponto e di Gea,
nacquero, pensate un po’, ben cinquanta figlie,
dette Nereidi, Ninfe buonissime con gli uomini.
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Cinquanta donzelle tutte pacifiche e carine con
i poveri sconsolati esseri umani: e finalmente,
almeno una buona notizia!
9. Da Nettuno (Poseidone, per i Greci) e Amfitrite
nacque Tritone…
10.Da Dione e Giove (Zeus) nacque Venere, dea
della bellezza, chiamata Afrodite dai Greci…
11.Da Giove e Giunone (Era per gli antichi Greci),
Marte (o Ares), il dio della guerra…
12.Dalla testa di Giove nacque Minerva (o Atena)…
13.Da Giunone senza padre (che strano!) nacque
Vulcano (Efesto in Grecia), dio del fuoco (da
cui i nostri vulcani)…
14.Da Giove e Climene, la dea della Memoria,
Mnemosine…
15.Da Giove e da Maia, nacque Mercurio (o Ermes)…
16.Da Giove e da…
17. Da… da… da…
Uffa! Insomma, avete capito… basta con questo elenco! E poi mi domando: ma quante
donne aveva questo birbone di Zeus?
Ex Caligine Chaos: ex Chao et Caligine Nox Dies […]
Ex Iove et Iunone, Mars.
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Ex Iovis capite, Minerva […]
Ex Iove et Clymene, Mnemosyne.
Che fantasia, ragazzi! E quanto bisogno da parte
dell’uomo di spiegarsi il mondo!
Quanta conoscenza in più abbiamo noi oggi
sulle spalle: quante scoperte, quanta tecnologia e
soprattutto quante paure superate!
Procediamo con i nostri racconti, allora, dopo
tale premessa!
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Secondo mito
Eridano e Fetonte
Tanti e tanti anni fa abitava tra le Alpi il fiume
più lungo d’Italia.
Il suo nome era Eridanus.
Eridanus si alzava tutte le mattine di buon’ora,
raccoglieva le sue limpidissime e freddissime acque,
controllava che le ultime nevi della sera si fossero
sciolte, verificava la propria portata e, felice felice per
l’abbondanza di essa, chiudeva per bene la porta di
casa e se ne andava.
Quante faccende doveva fare prima di uscire!
E quanto duro era il suo lavoro!
Doveva accontentare un po’ tutti: ogni giorno
doveva attraversare mille campagne, irrigare, innaffiare, ripulire, scavare, preparare solchi, aiutare in
una parola la grande fatica dei contadini.
Il suo percorso era lunghissimo, poi finalmente la
sera andava a riposare un po’ a casa del Mar Adriatico, che lo aspettava per l’ora di cena.
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Quella volta Eridano non andò a cena da Adriatico, perché si sentiva molto triste: aveva ricevuto una
terribile notizia e non aveva voglia di vedere nessuno!
Tutto il cielo era sconvolto, mentre il mare era
in burrasca.
Che era successo di tanto grave e sconvolgente?
Povero Sole! Aveva perduto il suo unico figlio
maschio: Fetonte.
Fetonte era un bellissimo ragazzino, alto e forte,
ma molto capriccioso, anzi diciamolo pure: viziato
viziato.
Anche quel giorno, come sempre, il padre aveva
cercato di accontentarlo. Com’era andata?
«Papà, papà… papaàààà! Oggi voglio uscire con il
tuo nuovo carro!» aveva reclamato Fetonte. «Prestami
il tuo carro. Ti prometto che sarò di ritorno presto
e che te lo riporterò senza neppure un graffietto. Ti
pregoooo!!»
Papà Sole cedette e lo accontentò, ma prima di
lasciarlo andare si raccomandò:
«Mi raccomando, però, non ti avvicinare troppo
alla madre Terra, perché con i tuoi raggi infuocati
potresti bruciarla tutta!».
Fetonte disse ok, ma non ubbidì: salì sul carro e
via a tutta velocità giù verso la Terra.
Voleva farsi vedere da tutti…
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Sembra che papà Sole se ne accorgesse in tempo
per evitare che tutto bruciasse, e deviasse il percorso
del carro, senza però riuscire a ricondurlo in alto. In
ogni caso non riuscì a salvare suo figlio Fetonte, che
precipitò nelle gelide acque del fiume Eridano e lì,
poco dopo, perse la vita.
Allora le sue sorelle si recarono in riva al fiume,
vicino al punto in cui Fetonte era caduto, e piansero
lacrime amare. Piansero così tanto, ma così tanto, che
all’alba del giorno seguente gli dei ne ebbero pietà,
e le trasformarono in frondosi pioppi.
Eridano si sentì molto in colpa per questa disgrazia, ma esse lo consolarono.
Ancor oggi, infatti, lungo le vie del fiume PO,
gli altissimi pioppi offrono un fresco riparo a tutti
i passanti con le loro ombre e ricordano a tutti la
triste storia del figlio del Sole.
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Terzo mito
Il diluvio universale
Allora, ragazzi, che ne dite di Fetonte?
Visto quanti guai combinava?
Una gran confusione, insomma, e infatti non
finì lì, perché, sì, è vero: precipitò e morì, ma prima
di morire Zeus, ovvero Giove per gli antichi romani
(chiamatelo pure come volete), decise di punirlo a
modo suo, scagliandogli addosso un fulmine e incendiando ugualmente la Terra, anche se il padre si
era dato tanto da fare per evitare la cosa. Ma Zeus
può tutto e non deve rendere conto a nessuno.
Sole naturalmente non riuscì a capire bene il
modo in cui suo figlio era morto e come lui anche
il fiume Eridanus. Fatto sta che successivamente alla
sua morte, malgrado tutto, la Terra prese fuoco.
Guai a disubbidire agli dei! Guai a disubbidire
al padre di tutti gli dei! A Giove, insomma:
Giove pluvio, Giove… neve, Giove vento, Giove
aquila, Giove stigio, Giove cielo, Giove aria, Giove
freddo …per Giove! Giove per… giovedì.
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E chi più ne ha più ne metta!
Dio supremo dell’Olimpo, padrone del fulmine,
Zeus fa parte come tutti gli altri dei della seconda
generazione divina.
La madre Rea lo sottrasse al padre Crono, dio del
tempo, prima che lo divorasse (vedete invece come
noi siamo divorati dal tempo che passa ogni minuto!).
Fu allevato in una grotta situata sul monte Ditteo
da una capra, ma da grande si vendicò del padre: lo
buttò fuori dalla reggia con l’aiuto della dea Pazienza, Meti.
E poi si sposò. Si sposò tantissime volte ed ebbe
tantissimi figli. Come gli piacevano i bambini!
Guai, dunque, a chi osava disubbidirgli oppure
a chi cercasse di copiarlo.
Un gesto simile, oltre a essere privo di rispetto,
era veramente una sfida e come tale andava inesorabilmente punita.
Per questo, Zeus, irritato da un ragazzino dispettoso, viziato e disubbidiente, colse l’occasione per
infliggere a tutta l’umanità un bel diluvio universale,
un diluvio con i fiocchi, senza precedenti!
E, infatti, Zeus prima infuocò la madre Terra
con uno di quei suoi tanto amati fulmini, preparati
per l’occasione dal prediletto Efesto, e poi continuò
il divertimento, anzi la vendetta, scatenando un
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temporale che fu davvero la fine del mondo, con il
quale spense il fuoco ma provocò un altro disastro.
Ce ne parla anche il poeta latino Ovidio, nelle Metamorfosi.
Da ogni parte fece aggiungere acqua ai fiumi
undique undique undique (da ogni parte), sì da far
annegare tutto il genere umano, fatta eccezione per
una donna, Pirra, e suo marito, Deucalione, considerati i migliori, i più virtuosi tra i viventi.
Qualcuno doveva pur restare, giacché fu a loro,
che, dopo la vendetta, ordinò di ripopolare la Terra
con volti nuovi.
E dopo qualche tempo, la madre Terra generò
nuovi frutti: la genìa degli esseri umani, cioè la stirpe,
la discendenza.
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Quarto mito
Le… sette fatiche
di Eracle
Quel birbone di Zeus, come ormai abbiamo
capito tutti, aveva tante e tante mogli e altrettante
fidanzate, da non potersi contare.
Dai suoi incontri con loro nascevano dei e dee,
ma quando, invece, si innamorava di qualche giovane ragazza della Terra, sì, insomma, di un’umana,
promettendole (bugiardo!) amore eterno, ebbene,
ecco che allora nascevano non più dei, bensì eroi
ed eroine.
Gli eroi, infatti, erano i figli nati dall’unione di
Zeus con una mortale.
Gli eroi erano forti, coraggiosi, di natura semidivina, perché figli di un dio e di un mortale, ma
non per questo immortali.
E fu così che da una relazione extraconiugale con
una mortale, Alcmena, nacque Eracle (Ercole per gli
antichi Romani), semidio ed eroe.
La dea Era, moglie di Zeus, chiamata Giunone
dai Romani, si ingelosì così tanto da far ricadere la
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sua rabbia non sul marito traditore, ma sul figlio
Eracle, che perseguitò per tutta la vita.
Da qui le mitiche e famosissime Fatiche di Eracle.
Ma chi era Eracle e quanti ostacoli dovette superare
veramente?
A dirla tutta, Ercolino sin da quando era in culla,
invece di dormire placidamente, aveva capito senza
starci troppo a pensare che avrebbe dovuto patire
molto.
Ben prima delle dodici fatiche, dovette affrontare
quella di stringere al collo, con le sue tenere manine
da neonato, i due serpentoni che quella strega di Era
gli aveva fatto recapitare sul bordo della culletta.
Povero piccolo! Sai che spavento! Da morire.
Ma non si scoraggiava affatto, Ercolino, neppure
da piccino!
Una volta cresciuto e diventato un interessante
giovanotto, il nostro eroe dovette affrontare le Dodici
fatiche che gli vennero imposte dal cugino Euristeo,
re della città di Tirinto, di cui divenne schiavo appunto per ben 12 lunghi anni. Eracle infatti, spinto
all’ira dalla malvagia dea Era, aveva ucciso i figli di
Euristeo, che, imprigionatolo, volle fargli scontare
la pena.
Ma Eracle non avrebbe mai voluto fare un gesto
del genere, come uccidere i figli del cugino!
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Allora, vediamo più o meno quali fatiche dovette
affrontare.
1. Uccisione del leone Nemeo
Nella foresta Nemea, nell’Argolide (Grecia), si
aggirava un pauroso leone, che la dea Luna aveva
nutrito in una caverna, perché punisse tutti gli
uomini della zona che non rispettavano gli dei.
Il leone Nemeo era invulnerabile, ma Eracle lo
uccise strangolandolo. L’eroe ne indossò la pelle
e da quel momento in poi si coprì con essa.
2. Uccisione dell’Idra di Lerna
Trascorso un po’ di tempo dall’uccisione del
leone, Ercole dovette affrontare una fatica molto
più dura, quella della soppressione del mostro
detto Idra, una specie di serpente a nove teste,
che uccideva a sua volta tutti gli uomini che
l’avvicinavano: se qualcuno osava avvicinarsi
all’Idra mentre dormiva, con il solo fiato era
capace di alitare sulle orme del malcapitato e
di procurargli la morte con un tormento atroce.
Per Eracle fu una fatica da cani, anche perché
quando riusciva a tagliarle una delle teste, ne
ricrescevano due! Ma in fondo in fondo cominciava a divertirsi, anche questa prova alla fine
fu superata.
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3. Uccisione del cinghiale di Erimanto
Una volta, mentre si riposava un po’ dalle fatiche
nel bosco di Erimanto, in Arcadia, venne assalito
da un temibile cinghiale, che devastava quella
zona. E allora? E che vuoi riposare? «Forza, andiamo a uccidere pure questo!» esclamò alquanto
seccato a voce alta; anzi urlò proprio, sì da farsi
sentire da tutti gli abitanti del luogo. E così fece.
4. Cattura della cerva dalle corna dorate
In seguito, come se niente fosse, il caro cuginetto
Euristeo gli chiese di portare vivo al suo cospetto nella sua reggia il terribile cervo dalle corna
d’oro, che s’aggirava per i boschi dell’Arcadia.
Ed Eracle ubbidì. Non poteva fare altro, perché
era suo servo.
5. Uccisione degli uccelli della palude dello Stinfalo
Sempre in Arcadia… Certo che aveva davvero dei
luoghi orribili questa zona! Sempre Euristeo… gli
comandò di uccidere con le sue frecce i terribili
uccelli della palude dello Stinfalo. Questi volatili avevano la caratteristica di colpire chiunque,
scagliando le proprie penne come proiettili. Sì,
avete letto bene: si staccavano le penne del loro
piumaggio e le scagliavano contro chi sapevano
loro!
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6. Uccisione del centauro Nesso
Eracle non riusciva proprio a vivere in pace. Un
giorno il nostro eroe decise di sposarsi con la sua
fidanzata Deianira, ma questa venne importunata da un centauro chiamato Nesso. Ormai
avete capito che tipo era questo Ercole: affrontò
di petto il mostro e dopo una dura e violenta
lotta… fu costretto a ucciderlo.
7. Disinfestazione delle stalle dei buoi del re dell’Elide
Sentite questa! Uh! Da non credere! E questa fu
davvero troppo…
Euristeo, sempre lui, lo costrinse a ripulire in
un sol giorno lo sterco che si era accumulato
in trent’anni nelle stalle dei buoi del re Augia! Bisogna dire che Euristeo aveva il senso
dell’umorismo. Insomma, c’era un re nella regione dell’Elide, famoso per il gran numero di
buoi che possedeva. Questi buoi si trovavano in
grandi stalle, che mai e poi mai nessuno aveva
pulito per ben trenta, diconsi trenta, lunghi anni.
Pensate un po’ che tanfo! Ebbene, Eracle dovette
disinfestare, diremo oggi, tutte quelle stalle e
togliere in un solo giorno tutto quel letame accumulato in anni e anni! In realtà non dovette
neanche tanto sporcarsi le mani, perché riuscì a
deviare il corso di un fiume e così lavò a fondo
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le stalle. Però, insomma… non ho parole! Basta
così. Non voglio più raccontarvi nulla del povero
Eracle!
Quando si dice «sudare le sette camicie»… E siamo solo a sette: ne mancano ben cinque! Per quanto
mi riguarda, ho tenuto duro fino alla settima. Ora
basta! Mi fa pena questo povero eroe. Potreste cercare
voi le ultime cinque fatiche!
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Quinto mito
Bacco, dio del vino
Per far sì, cari studenti, che la narrazione di
queste storie mantenga alto il vostro interesse,
abbiamo pensato di raccontarvi in modo diverso
il mito del dio Bacco, che è conosciuto dai Greci
come Dioniso.
Una favola vi porterà in una fattoria nella campagna dell’antica Roma ad assistere al momento di
festa della vendemmia.
Come forse già saprete, Bacco era il dio protettore del vino e infatti si chiamavano Baccanalia quei
giorni di festa che i Romani dedicavano al dio nel
periodo della vendemmia.
Bacco era un dio burlone, giocherellone, allegro
e ubriachello. E allora, vediamo cosa ci raccontano alcuni fanciulli dell’epoca. Forse, ci scapperà
qualche paroletta in latino, che potrete anche memorizzare.
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BACCO
Evviva, evviva!
Danziamo, cantiamo
insieme ridiamo!
E ancora scherziamo,
allegri beviamo!
Giorno di festa
ci gira la testa!
L’uva più scura
cogliamo matura!
«Marcus, Maria, presto venite! Orsù correte, forza cantiamo, ora danziamo. Evviva, evviva andiamo
alla vigna!»
Così allegramente il piccolo Lucius incitava i suoi
amici, che correvano felici, in lungo e in largo, per i
prati verdi e intiepiditi dal sole ancora cocente degli
ultimi giorni di settembre.
Tutta la villa era in subbuglio! Vi era molto, ma
molto lavoro da fare.
I contadini, i fattori e le fattoresse sapevano che
non avrebbero potuto riposare un momento, perché
era tempo di vendemmia.
Gli alberi da frutta, i meli e i peri, stavano perdendo le loro foglie, ma dai filari delle vigne l’uva
ormai pendeva matura. Tutti, perciò, si preparavano
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a vendemmiare. Erano giorni di duro lavoro, ma
anche di festa, perché ogni sera, al tramonto, ci si
riuniva per mangiare e stare in allegria.
I piccoli non aspettavano altro. Per tutta l’estate
erano in trepida attesa dell’arrivo dei giorni di Bacco.
Bacco era il dio protettore dell’uva e del vino e
quella era la festa più bella dell’anno.
I contadini di buon’ora si riunivano nell’aia del
casolare e ognuno di loro correva nei magazzini per
andare a prendere gli arnesi da lavoro:
chi prendeva la forfex, cioè le cesoie, chi, invece
le palae, ovvero le zappe, chi ancora i canistra, cioè
i cesti dove riporre i grappoli d’uva. Infine, tutti
salivano sui carretti, portando con sé anche delle
piccole scale.
I plaustra, così chiamavano i carretti, scoppiavano di gente e persino i muli facevano fatica a tirarli.
I fanciulli non stavano nella pelle. Si sarebbero imbrattati tutti di rosso e avrebbero mangiato tanta
di quell’uva da metterne ben poca dentro i propri
cestelli.
Che gran confusione!
I racemi erano carichi di grappoli che sapevano
di sole.
Nell’aria profumo di risate!
Tutti incominciavano a lavorare di lena.
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«Forza, Lucius, coraggio, prendi quel grappolo
lassù, guarda, guarda come è bello!»
«Sì, è vero, quello voglio prenderlo io!» gridava
la più piccina.
«Aspetta, vengo giù a prenderti» e così via dicendo.
Era un vociare continuo, un allegro cicaleccio
rendeva la fatica meno dura. Mentre lavoravano,
cantavano:
Bene, bene!
Canamus,
dulce ridemus!
Bacchanalia gaudemus!
Nigerrimas uvas
carpe maturas!
Al tramonto, tutti tornavano stanchi dalla vendemmia e le mamme insieme avevano preparato un
ricco banchetto. Si cenava all’aperto. La mensa era
ricca di ogni bene e il vino era il vero padrone.
Sì, Bacchus, il dio del vino!
Ed ecco all’improvviso giungere danzando le
ninfe del bosco. Erano tante ed erano tutte bellissime!
Vestite di mille colori: una rossa, l’altra verde,
una rosa, l’altra azzurra, arancio, blu e viola, giallo
e verde; corona in testa, fiori tra i capelli, danzavano
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danzavano. «Bacchus! Bacchus!» dicevano. Bevevano del rosso vino. Erano le ninfe, figlie del dio
del bosco. E Bacco? Eccolo arrivare! Alto, biondo,
possente, sempre ridente, teneva nella mano destra
una brocca, nell’altra un boccale d’oro splendente.
«Evviva, evviva! Ridemus! Evviva, evviva! Evviva
l’uva, il vino, bene canamus!»
E così trascorreva tutta la notte!
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Sesto mito
Il dio di tutti gli dei: Zeus
Quella che sto per raccontarvi, cari ragazzi, è la
storia di un papà molto severo e po’ fannullone.
Il suo nome di battesimo era Zeus, ma come
tutte le divinità aveva anche altri nomi. I Romani
lo chiamavano Giove, lo si poteva chiamare così
quando era di buonumore. Invece quando era molto
arrabbiato con i suoi figli serviva portargli ancora
più rispetto, e andava chiamato con il suo nome
latino, Iuppiter.
Accadeva spesso che qualcuno dei suoi figli appunto lo facesse irritare. Pensate, ne aveva ben cento,
anzi forse più di cento: almeno cinquanta maschi e
cinquanta femmine, tra quelli registrati all’anagrafe
del comune olimpico. E sì perché Zeus, dovete sapere, era un gran birbone. Non si accontentava mai,
sempre in giro per l’Olimpo e non solo!
Ah, a proposito, non vi ho ancora detto dove
abitava. Non di certo in una casa normale o in una
città come tutte le altre, e no, eh! Lui così speciale,
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così diverso! Abitava su una montagna altissima,
la più alta della Grecia, tutta per sé. Sì avete capito
bene, proprio tutta per lui. Che privilegio! Comunque, forse un po’ di diritto ce lo aveva ad abitare in
un posto così bello e pieno di luce, visto che era il
padrone di tutta la terra.
Zeus era considerato il padre di tutti gli dei e di
tutti gli uomini. Era il re del creato e si manifestava
ai poveri mortali come e quando voleva: certe volte
con un bel fulmine, certe altre si trasformava in
aquila, suo uccello preferito. E quando gli uomini
vedevano apparire all’improvviso questi due fenomeni, capivano subito che Zeus quel giorno avrebbe
detto e fatto qualcuna delle sue. Mamma mia! E se
ne vedevano di tutti i colori, infatti! Ma che colori!
Erano… fulmini e saette.
Efesto, il primogenito, che i Romani chiamavano
Vulcano, era il figlio prediletto. Per forza: costruiva i fulmini! Lo aveva nominato dio del fuoco, lo
adorava quasi più di se stesso. E poi c’erano tutti gli
altri. Che confusione!
Pensate un po’ cosa accadeva la mattina, quando
facevano colazione tutti insieme e dovevano affrettarsi per andare chi a scuola, chi al lavoro.
«Dovete sbrigarvi!» gridava Zeus. «Per Diana,
dov’è la mia faretra?» E cose di questo genere.
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«Perdiana, ma si può sapere che fine ha fatto
quella fannullona?»
Diana, o Artemide, era una delle sue cinquanta
figlie, la chiamavano la dea della caccia, perché era
sempre in giro per i boschi a cacciare. Eppure era una
donna. Questo mandava suo padre su tutte le furie.
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Per fortuna, aveva anche una figlia molto saggia,
Minerva, detta anche Atena: la sua sapienza, il suo
modo di ragionare lo rassicuravano molto, perché lei
cercava di guidare i suoi fratelli, soprattutto quando
combinavano qualche guaio.
Pensate: una volta Efesto, mentre preparava la
sua solita scorta di fulmini, se ne fece sfuggire uno,
che andò a finire sulla terra incendiando tutte le
Messi; sì, proprio così, avete capito bene: le Messi.
I campi di grano, no? Insomma i cereali. Potete
immaginare la reazione di Demetra, protettrice
delle coltivazioni! Presero fuoco ben 5000 ettari
di terreno in un colpo solo! Per fortuna, ci pensò
Poseidone, dio del mare e delle acque, detto anche
Nettuno, a spegnere l’incendio. Le coltivazioni,
però, non furono recuperate e Saturno, per i Romani dio delle seminagioni, dichiarò guerra a Efesto
per due lunghissimi anni.
E la mamma? La madre di tutti questi discoli, chi
era? Era Era, scusate il bisticcio di parole, altrimenti
conosciuta dai Romani con il nome di Giunone o
(Iuno, in latino), protettrice di tutte le spose e sposa
di Zeus. Come dice il nome stesso era giunonica:
un donnone alto e grosso con 45 di piede. Per forza,
con tutti quei figli! Spesso faceva correre suo marito
come un treno, altre volte invece si arrabbiava molto
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con lui per i suoi ripetuti tradimenti; insomma era
roba di altri tempi, ragazzi miei.
Per gli antichi anche i fiumi, le fonti, i boschi e
i laghi erano sacri, e si riteneva che fossero popolati
da ninfe e da fauni. E quindi il fuoco che si accendeva in casa era protetto dalla dea Vesta (in Grecia
Estia), e le Vestali erano le sacerdotesse che se ne
occupavano. Anche la mamma di Romolo e Remo,
Rea Silvia, era una vestale.
E poi, c’era ancora Giano (in latino Ianus), detto
bifronte, perché apriva e chiudeva la giornata, ovvero
dava inizio al giorno e alla notte, apriva e chiudeva l’anno e persino le guerre. Per fortuna, il buon
Apollo, detto Febo, dio della luce, della poesia e della
musica, rallegrava e animava le feste, rendendo così
più dolce la vita!
E quando era tempo di baldoria, cari fanciulli,
ormai lo sapete bene: ci pensava Bacco a versare litri
e litri di buon vino dentro alle caraffe e a ballare
assieme alle sue ninfe.
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Settimo mito
La fondazione di Roma:
Romolo e Remo
Eccoci giunti, allora, alla nascita della grande
Roma.
Quante storie, quanta fantasia e quante leggende
sulla fondazione della capitale!
E quando venne fondata?
C’è chi dice tra il 754 e il 753 a.C. (avanti Cristo,
prima della nascita di Gesù), ma questa datazione è
sicuramente imprecisa.
Leggenda, verità storica e ipotesi di studiosi e
ricercatori si integrano a vicenda, si sovrappongono e spesso si confondono. Ma a noi tutto ciò non
interessa veramente, perché ci piace farci raccontare
come capitò che Romolo stabilì la sua fissa dimora lì,
dove ora troviamo la stupenda città di Roma caput
mundi. Lo storico greco Plutarco è tra gli autori che
meglio hanno spiegato quanto successe a Romolo e
a suo fratello Remo.
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Il dio Marte (Ares per i Greci) e la sacerdotessa
Rea Silvia un bel dì ebbero due bellissimi bambini,
a cui diedero nome Romolo e Remo.
Dunque, Romolo, come il fratello, era un semidio, perché figlio di un dio e di una donna.
L’impero romano ha avuto perciò origini più
che nobili e Romolo non perdeva mai l’occasione
per ricordarlo a tutto il suo popolo: «Io sono un re!
Il vostro re!».
Romolo era un po’ così, un po’ presuntuoso, e
forse qualche motivo per essere così orgoglioso di sé
lo aveva pure, visto che riuscì a organizzare in una
città un gruppo di uomini, che diversamente avrebbero continuato a fare i pastori e a girare di qua e di
là. Infatti, senza un capo, sarebbero andati sperduti
per le campagne o per i monti, oppure si sarebbero,
quegli scansafatiche, dedicati al brigantaggio e alle
rapine.
Romolo scelse un colle per fondare la sua città: il
colle Palatino, ma prima di fare ciò, decise di liberarsi
per sempre del caro fratellino onde porre fine a liti e
rivalità. Ma vediamo come tutto ebbe inizio.
La leggenda narra che la madre Rea Silvia fu costretta dallo zio usurpatore a gettare nel Tevere i suoi
due gemelli, per non avere adempiuto ai suoi doveri
di sacerdotessa. Poverina! Ma come può una neo52
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mamma gettare in acque gelide le proprie creature?
Costretta a ubbidire, con le lacrime agli occhi, depose
i suoi piccoli in una bella cesta, che lasciò andare nel
fiume in una calda giornata d’estate. Una lupa che
passava lungo le rive del Tevere li sentì piangere, si
impietosì e li nutrì come fossero i suoi cuccioli, fin
quando una coppia di contadini, Faustolo e Laurenzia, li trovarono e si occuparono di loro.
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Una volta cresciuti, i due giovincelli dovettero
provvedere a se stessi e fu così che decisero di dedicarsi alla nascita di una città (pare facile!).
Plutarco ci spiega che «Romolo sembrava possedere maggiore capacità di giudizio e un’innata
perspicacia politica, mostrando nei rapporti con i
confinanti per il diritto al pascolo e di caccia una
naturale predisposizione al comando piuttosto che
alla sottomissione».2
Chi dei due, però, avrebbe fondato la futura
Roma? Vi lascio pensare al gran numero di litigi e di
dispetti che ciascuno fece all’altro… quante risse tra
di loro! Un po’ come accade ora. Come avviene in
tutte le litigate che si rispettino, alla fine un giorno
fecero un patto tra di loro. Poiché erano gemelli non
poteva valere tra di loro il diritto del primogenito:
chi avrebbe dato vita alla nuova città?
«Romolo, vieni qui e stammi a sentire!» disse un
giorno Remo al fratello Romolo.
«Uffa, che vuoi ancora? Stavo giocando a dadi
con i miei amici! Forza, parla!»
«Dobbiamo sceglierci un colle dove iniziare a
costruire la città e leggere il volo degli uccelli. Chi
tra noi due ne vedrà di più, questi fonderà la città,
2
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Plutarco, Vite parallele. Teseo e Romolo.
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ne sceglierà il nome e ne diventerà il re!» disse nuovamente Remo.
«Va bene! Andiamo allora!» replicò Romolo.
A quei tempi, poiché non esistevano i cartomanti né l’oroscopo né tanto meno le fattucchiere, per
prevedere il futuro si faceva ricorso alla lettura del
volo degli uccelli oppure a quella delle viscere degli
animali sacrificati agli dei. Che fantasia, Ragazzi! E
che ribrezzo, però… le viscere, dico.
Allora, i due scelsero il colle: Remo il colle Aventino, mentre Romolo il Palatino. Incominciò così
un’estenuante gara tra di loro e i loro amici, che li
vide molto impegnati a contare il numero di avvoltoi
che passavano di lì quella sera. Trascorsero così tutta
la notte, ma non riuscirono, come avrete già capito, a
mettersi d’accordo. Remo ne aveva avvistati per primo
sei, e quindi pensava di aver vinto. Romolo era arrivato
secondo, ma ne aveva visti di più, 12, e quindi anche
lui pensava di aver legittimamente vinto. Alla luce
della luna, il gioco ebbe fine, ma i due fratelli presero
a darsele di santa ragione, finché Romolo esasperato
colpì a morte il gemello e la lite finì nel sangue.
Che bella fondazione! Invece di collaborare tutti
e due per un impegno del genere!
Insomma, Romolo pose la prima pietra di quella
che sarebbe divenuta la città più importante al mondo
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da quel giorno in poi: Roma ne vedrà di tutti i colori,
con i suoi re prima e imperatori dopo.
Una volta fondata la città sul colle Palatino, bisognava trovarle un nome adeguato. Anche per questo
ci sono diverse notizie a riguardo.
Il nome di Roma deriva molto probabilmente
dal nome del suo fondatore Romolo, appunto. Ma
c’è anche chi dice che forse deriva dal un vecchio
modo di chiamare il fiume Tevere: Rumon.
Ma Ruma era un’importante famiglia etrusca e si
sa che gli Etruschi erano i vicini di casa dei Romani
e che da loro i Romani appresero molte cose. Anche
sul nome quindi si affiancano varie ipotesi e la storia
si confonde con il mito e con la leggenda.
Volete saper come è andata a finire la storia della nostra capitale? Cari ragazzi, occorre un po’ di
pazienza: avrete modo di studiarlo sui vostri testi
di storia; mica si possono raccontare in due parole
i centinaia di anni di gloria della città caput mundi
et… orbi!
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Il mio dizionario mitologico
Con tutti questi nomi, parentele, storie, impicci
e imbrogli è davvero impossibile ricordare chi fosse
Atlante, chi Urano, chi avesse sposato Marte, oppure
perché Arianna ebbe quella meravigliosa idea del filo
per far sì che Teseo girasse a zonzo in un labirinto
senza uscita.
Difficile veramente riuscire a capire qualcosa.
Ecco, perciò per voi un breve dizionario mitologico
che vi ricorderà i personaggi più importanti.
A
ACHILLE
Protagonista della famosa opera di Omero, l’Iliade, Achille, figlio della ninfa del mare Teti, era stato immerso dalla
madre nel fiume Stige, tenendolo per il tallone, affinché
ottenesse l’invulnerabilità. Infatti Achille era invulnerabile,
fatta eccezione per il tallone, punto in cui fu colpito da una
freccia avvelenata di Paride, che in tal modo lo uccise. Da
ciò la famosa espressione: «tallone d’Achille» per indicare il
punto debole di una persona.
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AFRODITE
Era la Venere dei Romani, la dea della bellezza. Secondo
alcuni è figlia di Zeus, secondo altri è nata dalla spuma
del mare. È stata rappresentata in molte opere di grandi
artisti.
AGAMENNONE
Fratello di Menelao, comandante dei Greci nell’assedio di
Troia.
ANCHISE
Marito di Afrodite e padre di Enea, fuggì da Troia in fiamme, portato sulle spalle dal figlio.
ANDROMACA
Moglie di Ettore e madre di Astianatte.
APOLLO
Dio della poesia e della musica, era il figlio di Latona e di
Zeus.
ARACNE
Discepola di Atena, abile tessitrice, fu trasformata in ragno
dalla stessa dea, perché gelosa delle sue capacità. Da qui il
nome scientifico dato ai ragni: aracnidi.
ARIANNA
Figlia del re di Creta, Minosse, si innamorò di Teseo, che
venne aiutato da lei per uccidere il mostro rinchiuso nel
Labirinto con l’aiuto di un gomitolo di lana.
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ATENA
Detta MINERVA dai Romani, era la dea della ragione ed
era nata uscendo dalla testa del padre, Zeus.
B
BACCO
Dio del vino. Nell’Antica Grecia era chiamato Dioniso.
BELLEROFONTE
Era un abile cavaliere, l’unico in grado di domare e cavalcare
Pegaso il cavallo alato. Per superbia lo volle portare in alto
fino a Giove, ma il suo gesto venne punito e gli dei lo fecero
precipitare negli abissi.
C
CARONTE
Caronte era un vecchio dalla barba lunga e assai sgradevole
alla vista di chiunque. Aveva un compito ingrato: trasportare
le anime dei defunti da una parte all’altra dell’Acheronte, il
fiume che si trovava alle porte dell’inferno. Le anime erano
costrette a pagare un obolo per ottenere questo favore, sicché
ciascuna di loro aveva in bocca una moneta.
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CENTAURI
Metà uomini e metà cavalli vivevano in montagna e nelle
foreste, si nutrivano di carne cruda e presentavano atteggiamenti e modi di vivere mostruosi.
CHIRONE
Unico tra i Centauri che si salvava per saggezza e, diciamo
così, educazione; insegnava medicina e persino musica. Tra
i suoi tanti alunni ci furono persino Achille, detto piè veloce
da Omero, e Giasone, famoso eroe del vello d’oro.
CHIMERA
Mostro dalla testa di leone e il corpo da cavallo, aveva la
coda di un serpente. Fu uccisa da Bellerofonte.
CICLOPI
Giganti con un solo occhio, producevano fulmini per conto
di Zeus. Tra di essi famoso divenne Polifemo, che nel racconto di Omero venne accecato dal furbo Odisseo (Ulisse)
all’interno della grotta in cui viveva con le sue capre.
CIRCE
Maga, regina dell’isola di Eea, tramutò i compagni di Ulisse
in porci.
CRONO
Saturno per i Romani, era il dio del tempo ed era uno dei
Titani, il più giovane. Aveva sconfitto suo padre Urano
divenendo signore e padrone del mondo. Marito di Rea,
ebbe da lei sei figli, che volle divorare appena nati per paura
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di essere spodestato da loro, così come lui aveva fatto con
il padre Urano. Rea ne riuscì a salvare solo uno prima che
venisse divorato: Zeus, il quale infatti sconfisse il padre e
lo obbligò a restituire gli altri fratelli.
D
DAFNE
Era una ninfa che, amata da Apollo, non ricambiava il sentimento del dio; infatti fece di tutto per sfuggire a questo
amore ossessivo. Invocò l’aiuto di Gea, la madre Terra, che
la trasformò in alloro. Da allora Apollo la ebbe come pianta
a lui cara.
DEDALO
Era un artigiano della città di Atene, molto abile e capace.
Dopo la morte del suo discepolo Talo (c’è chi dice che lo
uccise per invidia), si rifugiò nell’isola di Creta, dove costruì
un labirinto per il re Minosse, perché vi venisse rinchiuso
il Minotauro.
DEMETRA
Per i Romani Cerere, era la dea delle messi, cioè del raccolto, della terra coltivata. Aveva una figlia, Persefone,
che venne rapita dal dio dell’inferno, Ade, e portata giù
nell’Erebo, il suo regno. Demetra fece di tutto (smise anche
di far germogliare la terra) per riaverla, ma non vi riuscì.
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Dopo aver tanto supplicato Zeus, suo fratello, ottenne che
la figlia trascorresse lontano da lei solo una parte dell’anno,
i quattro mesi invernali, e che vivesse con lei in primavera
e in estate.
E
EFESTO
Vulcano per i Romani, era il dio del fuoco, figlio anche lui
di Zeus e di Era. Era zoppo, ma aveva, come si suol dire, le
mani d’oro nel forgiare armi pregiate e magiche per i suoi
eroi e per i suoi dei.
EGEO
Re di Atene, durante un viaggio conobbe Etra, figlia del
re di Trezene. Se ne innamorò e da lei ebbe un figlio,
Teseo. Prima di tornare in patria dimenticò i sandali e
la spada. Teseo, una volta cresciuto, decise di recarsi ad
Atene, per andare a conoscere il padre e, per farsi riconoscere, portò con sé gli oggetti dimenticati. Teseo, per
dare prova del suo coraggio, promise a Egeo di uccidere
il Minotauro. L’accordo prevedeva che, una volta sulla
strada del ritorno, avrebbe dato al padre il segnale della
sua vittoria sul mostro sostituendo le vele della nave da
nere a bianche, così che il padre potesse già in lontananza
godere dell’abilità del figlio e prepararsi ad accoglierlo
con i festeggiamenti dovuti. Teseo uccise il mostro con
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grande astuzia e coraggio, ma dimenticò di cambiare le
vele, sicché quando Egeo vide le navi in lontananza con
le vele nere in segno di lutto, credette che il figlio fosse
morto e si gettò da una rupe. Il suo corpo finì nelle acque
marine, che da allora portano il suo nome: ancora oggi
Egeo è il mare che bagna la Grecia.
ELENA
Figlia di Zeus e di Leda, era conosciuta come la donna più
bella del mondo. Fu rapita dal troiano Paride al marito Menelao, re di Sparta, dando così origine alla famosa guerra
di Troia.
ENEA
Figlio del mortale Anchise e della dea Afrodite, partecipò alla
guerra di Troia e si salvò grazie all’intervento della madre. È
il protagonista della grande opera del famoso poeta Virgilio,
l’Eneide, in cui si narra che l’eroe, dopo molte peripezie,
riuscì ad approdare sulle coste del Lazio. Lì conobbe e sposò
Lavinia, da cui ebbe numerosi figli che dettero origine alla
nobile stirpe del popolo romano.
EOLO
Era il dio dei venti: li teneva chiusi in una caverna e consentiva loro di uscirne soltanto per sua volontà. Abitava vicino
alla Sicilia, nelle isole che ancora oggi si chiamano Eolie.
Walt Disney trasse l’ispirazione da questa figura mitologica, quando assegnò il nome di Eolo a uno dei sette nani di
Biancaneve.
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ERA
Giunone per i Romani, fu l’unica sposa legittima di Zeus,
malgrado i suoi innumerevoli tradimenti. Protettrice del
matrimonio e regina di tutti gli dei, fu ben felice di proteggere i Greci, piuttosto che i Troiani, durante la guerra di
Troia, poiché Paride le aveva tolto il primato della bellezza,
attribuendolo alla sua rivale Afrodite.
ERACLE
Ercole per i Romani; come raccontato nella storia a lui dedicata, dovette superare ben dodici faticosissime prove per
liberarsi dalla servitù di Euristeo.
ERMES
Ermete, ovvero Mercurio nell’antica Roma, era famoso per
i suoi calzari alati, che gli consentivano, in quanto messaggero degli dei, di volare velocissimamente a portare notizie
di qua e di là per l’Olimpo. Inoltre, accompagnava i morti
nell’Ade ed era il protettore dei viandanti, dei commercianti
e dei ladri.
EROS
Cupido per i Romani, era il dio dell’amore. Bellissimo
figlio di Afrodite, possedeva le ali ed era armato di frecce
con le quali colpiva i cuori dei mortali, facendoli «cadere»
in amore. Per questo i putti, ovvero gli amorini, presenti in
molti quadri di artisti famosi, vengono rappresentati come
angeli con le frecce e vengono denominati anche Cupidi.
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Da Cupido deriva anche il termine «cùpido», cioè bramoso,
desideroso, appassionato, innamorato.
F
FETONTE
Figlio del dio Sole, Elio, e della ninfa Climene, volle provare
a guidare il carro del padre, ma, come racconta la storia,
disubbidì. Si accostò troppo alla terra, rischiando di farla
bruciare, sicché Elio fu costretto a deviare il suo corso facendolo precipitare nel fiume Eridano. Il resto lo sapete…
FORTUNA
Dea romana del destino, era rappresentata quasi sempre cieca
con in mano la cornucopia, ovvero il corno dell’abbondanza
e con un timone, che stava a simboleggiare la sua capacità
di pilotare le vite degli uomini.
G
GANIMEDE
Era un giovane bellissimo, il più bello tra gli uomini. Zeus
lo fece rapire perché facesse da coppiere agli dei nell’Olimpo.
GEA
È la Terra, madre di tutte le cose. Generò anche i Titani.
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GIANO
Al dio Giano fu dedicato il primo mese dell’anno: Gennaio,
perché apriva le porte all’anno nuovo. Infatti, rappresentato
con due facce, perciò detto Bifronte, veniva posto sulle porte
delle case per custodirne l’entrata e l’uscita.
GIASONE
Eroe famoso per la conquista del vello d’oro: grazie ai suoi
compagni, gli Argonauti, e alla maga Medea, innamorata
di lui, superò la prova necessaria per reimpossessarsi del
trono del padre, principe di Iolco, detronizzato da Pelia,
zio di Giasone.
GORGONI
Steno, Euriale e Medusa erano dei mostri alati orribili, con
serpenti al posto dei capelli. Chiunque osasse fissare Medusa
negli occhi restava pietrificato.
I
ICARO
Il piccolo Icaro era figlio del famoso Dedalo, costruttore del
Labirinto dove era imprigionato il Minotauro. Per cercare
di fuggire da quel luogo, Dedalo costruì delle ali di piume,
tenute assieme dalla cera. Una volta preso il volo, Dedalo
riuscì a raggiungere la Sicilia, mentre il piccolo Icaro, av66
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vicinatosi troppo al sole incautamente, precipitò nel mare,
perché la cera si sciolse al calore.
IRIS
Messaggera degli dei, fanciulla delicata dai mille colori,
personificava l’arcobaleno.
L
LAIO
Era il re di Tebe e fu ucciso dal figlio Edipo, che non sapeva
appunto di essere suo figlio, non avendolo riconosciuto.
LARI
Erano i protettori del focolare ovvero della casa e degli
incroci delle strade (crocicchi) nell’antica Roma. Venivano
rappresentati con in mano il corno dell’abbondanza, la
cornucopia, perché portassero prosperità e salute nelle abitazioni. Era cura delle matrone tenere sempre accesa una
fiammella in casa in segno di rispetto.
M
MAIA
Ninfa che per i Romani simboleggiava la primavera, il risveglio della natura. Era la madre di Ermes.
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MANI
A Roma, le divinità delle anime dei morti.
MEDEA
Maga, figlia del re della Colchide, assieme a Giasone conquistò il vello d’oro con lo scopo di recuperare il trono di
Iolco usurpato dallo zio di Giasone, Pelia.
MIDA
Re della Frigia, era talmente avido e attaccato al denaro che
convinse Dioniso a dargli in dono il potere di trasformare
in oro tutto quello che toccava. Ma si accorse troppo tardi
che si trasformava in oro tutto ciò che mangiava: il pane
diventava oro e quando volle accarezzare i figli per l’ultima
volta, li trasformò per sempre in statue.
MINOSSE
Re di Creta, era anche lui figlio di Zeus. Ebbe dalla moglie
Pasifae, per vendetta di Poseidone, un mostro al posto di
un figlio normale: il Minotauro. Per la vergogna, decise di
rinchiuderlo in un labirinto. Il mostro si cibava di carne
umana e per mantenerlo Minosse impose ad Atene di inviare ogni nove anni sette giovanetti e sette giovanette come
sacrificio. Come sappiamo, Teseo con l’aiuto della figlia del
re Arianna pose fine al crudele tributo. Minosse diventerà
poi uno dei guardiani dell’inferno.
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MOIRE
Conosciute dai Romani come le Parche, erano tre divinità
che filavano e che decidevano la durata della vita di ogni
mortale. Si chiamavano: Cloto, filatrice del filo della vita;
Lachesi, che divideva il filo e distribuiva a ogni mortale la
sua parte; Atropo, l’inevitabile, tagliava il filo della vita.
MORFEO
Dio dei sogni, era uno dei mille figli del dio Sonno. Aveva
il compito di apparire agli uomini quando questi si addormentavano e di apparire loro in mille e mille sembianze
durante i loro sogni.
MUSE
Divinità del canto e delle arti, erano figlie di Zeus e della
dea della memoria Mnemosine.
Sapevano danzare e cantare sotto la guida del dio Apollo.
Erano nove: Clio: dea ispiratrice della storia; Calliope: musa
dell’epica; Euterpe: musa della lirica; Talia: dea protettrice
della commedia; Melpomene: dea che proteggeva la tragedia;
Erato: musa della poesia d’amore; Urania: dea ispiratrice
dell’astronomia; Polimnia: musa degli inni; Tersicore: musa
della danza;
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N
NARCISO
Giovane bellissimo, di lui si innamorò perdutamente la
ninfa Eco che, non ricambiata, si consumò dal dolore. Le
restò solo la voce, quella che udiamo, quando gridiamo a
voce alta e la nostra voce torna indietro, perché ostacolata.
Narciso si recò a una fonte per bere, si specchiò nell’acqua
e, non riconoscendo la propria immagine riflessa, si innamorò di se stesso; travolto da questo amore impossibile
perché inafferrabile, si lasciò morire. Nel luogo della sua
morte sbocciò un fiore, cui venne dato appunto il nome di
narciso. Da questo mito nasce il termine narcisismo, che
sta a indicare tutte le persone innamorate solo di se stesse.
NIKE
Era la dea della Vittoria, rappresentata da una donna con
le ali spiegate.
NINFE
Erano delle divinità, dall’aspetto di giovani donne, che
vivevano nei boschi oppure in montagna o nel mare. Rappresentavano le forze della natura:
–le ninfe del mare si chiamavano Oceanine e Nereidi;
–le ninfe della montagna si chiamavano Oreadi;
–le ninfe delle acque di fiumi e fonti erano dette Naiadi;
–le ninfe delle valli Napee;
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–quelle dei boschi Alseidi;
–le ninfe degli alberi Driadi e Amadriadi.
O
OCEANO
Era il figlio di Urano e di Gea; sappiamo che era un Titano e che originò i fiumi e le ninfe Oceanine. Personificava
l’acqua e per questo era considerato il protettore e il dio di
tutte le fonti e di tutti i fiumi.
ODISSEO
Ulisse per i Romani, era il figlio del re di Itaca e il protagonista dell’opera più famosa del poeta greco Omero: l’Odissea
(Omero fu autore anche dell’altro capolavoro classico, l’Iliade). Vagò a lungo prima di tornare nella sua dimora dalla
quale era fuggito dopo l’incendio della città di Troia. Dal
suo girovagare, che durò in tutto venti anni, deriva l’espressione «vivere un’odissea», a significare le fatiche che ciascuno
di noi deve sostenere nell’arco della propria vita prima di
arrivare a una condizione di pace e stabilità. Ulisse superò
molti ostacoli e affrontò molti pericoli prima di riconoscere
e ritrovare le sue origini e la sua patria: costanza, astuzia,
temperanza e fiducia negli dei lo guidarono nel difficile
cammino. Tramutato da Atena in vecchio mendicante, una
volta tornato nella sua reggia nessuno lo riconobbe tranne
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il cane Argo. Prima di cacciare fuori dal suo regno i Proci
che volevano usurpare il suo trono, minando la stabilità del
suo regno, dovette superare l’ultima prova che lo rese infine
riconoscibile a tutti.
OLIMPO
In Grecia, monte situato tra la regione della Tessaglia e la
Macedonia. Era considerato la casa di tutti gli dei.
OMERO
Fu il più grande poeta dell’età antica, probabilmente nato
intorno all’850 a.C. in una città chiamata Smirne. Molti
critici mettono in dubbio la sua esistenza e dunque anche
la paternità delle due famose opere: Iliade e Odissea. Forse
i due poemi sono solo il frutto della fantasia dei cantori
girovaghi che passando di corte in corte raccontavano le
storie di eroi e dei, ampliandole di volta in volta con nuovi
miti e leggende. Omero potrebbe aver fatto solo una rielaborazione di questi testi, armonizzandoli tra di loro, ma
potrebbe anche darsi che fosse l’unico vero autore di essi.
ORFEO
Protagonista del mito che da lui prende nome, era un poeta
molto bravo. Riusciva accompagnato dal canto della sua lira
a rendere mansueti persino gli animali più feroci, come farà
molti secoli dopo S. Francesco di Assisi. Ottenne da Zeus
la possibilità di scendere nell’Ade (aldilà), dove si trovava
l’amata sposa Euridice appena morta, con lo scopo di riportarla in vita. Gli fu concesso a una condizione: non avrebbe
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dovuto voltarsi mai indietro a guardarla nel viaggio dall’Ade
al mondo dei mortali. Orfeo non resistette e proprio poco
prima di uscire alla luce dal mondo del buio, si voltò e lei
scomparve per sempre.
ORIONE
Cacciatore dal corpo gigantesco, dopo la sua morte fu trasformato dagli dei in una costellazione, quella che segue
l’altra costellazione dello Scorpione.
P
PAN
Dio protettore delle greggi e di tutta la natura selvaggia.
Abilissimo nel suonare la siringa, ovvero il flauto di Pan
appunto, accompagnava con le sue musiche le ninfe. Era
rappresentato da un uomo con corna e zampe di caprone.
PANDORA
Zeus le affidò un vaso entro cui aveva racchiuso tutti i mali
del mondo, l’odio, le malattie e i vizi, raccomandandosi
di non aprirlo per nessuna ragione. Pandora, spinta dalla
curiosità, disubbidì: aprì il vaso e tutti i mali uscirono fuori
e si diffusero per il mondo. Per fortuna in fondo al vaso
restò la speranza (quella che è l’ultima a morire, come dice
il proverbio).
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PARIDE
Figlio di Priamo, re di Troia, fu causa della guerra contro la
sua città: chiamato a fare da giudice nella gara di bellezza
tra Era, Atena e Afrodite, assegnò il primato a quest’ultima; Afrodite per ricompensarlo gli promise l’amore della
donna più bella del mondo, Elena, che era però già sposa di
Menelao. Paride la rapì e la portò con sé a Troia. Menelao
organizzò un esercito e mosse guerra alla città.
PATROCLO
Amico intimo di Achille, protagonisti ed eroi dell’opera di
Omero, l’Iliade. Venne ucciso in combattimento da Ettore;
questi a sua volta venne ucciso da Achille per vendetta.
PENELOPE
Era la moglie di Odisseo (Ulisse) e regina di Itaca. Riuscì
con la costanza e la temperanza, così come fece il marito, a
resistere per ben venti anni al tentativo dei Proci di usurpare
il trono del marito, qualora si fosse lasciata sposare da uno di
loro. Per ovviare a questa prepotenza e far sì che trascorresse
più tempo possibile in attesa del ritorno del marito Odisseo,
Penelope si dedicò a tessere una tela, dicendo loro che sarebbe
convolata a nozze non appena l’avesse portata a termine. Per
prender tempo, ogni notte disfaceva il lavoro che faceva di
giorno. Da questa leggenda, deriva l’espressione: «tessere la
tela di Penelope».
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PLEIADI
Erano le sette figlie di Atlante, titano che sorreggeva il mondo tenendolo sospeso con le sue forti braccia per punizione
di Zeus, e di una ninfa. Vennero trasformate, come Orione,
in costellazioni.
POLIFEMO
Era uno dei ciclopi, giganti con un occhio solo al centro della
fronte. Fu accecato da Odisseo nella enorme caverna dove
viveva con le sue pecore e le sue capre e dove aveva rinchiuso
Odisseo e i suoi compagni. Odisseo riuscì con una mossa
di grande astuzia ad attirare il gigante, a distrarlo e, con
l’aiuto dei compagni superstiti, a conficcargli dentro l’unico
occhio un pesante palo appuntito e infuocato all’estremità.
Il gigante rimase a terra urlante per il dolore e Odisseo riuscì
a portare in salvo i compagni, dopo averli fatti nascondere
sotto le pance degli armenti di proprietà del mostro.
PRIAMO
Re di Troia e sposo di Ecuba, ebbe da lei cinquanta figli,
tra cui Paride.
PSICHE
Era una bellissima giovane e fu protagonista di una triste
storia d’amore con Eros: il dio veniva a trovarla ogni notte,
ma lei non poteva guardarlo; una sera non resistette e disub-
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bidì, così Eros scomparve. Psiche lo cercò ovunque invano,
finché, grazie all’intervento di Zeus che si impietosì di lei,
divenne immortale e poté rivedere Eros.
R
REA SILVIA
Era la madre dei due gemelli Romolo e Remo.
ROMOLO e REMO
Figli di Rea Silvia e del dio Marte, dunque semidei. Il re
Amulio li aveva fatti gettare nel fiume Tevere per gelosia e
invidia, ma i piccoli, come narra la leggenda, furono dapprima trovati e allevati da una lupa e poi da un semplice pastore
di nome Faustolo e da sua moglie. Romolo, dopo l’uccisione
del fratello Remo, fondò la città di Roma sul colle Palatino
e ne divenne il primo re. Per questo la lupa che allatta due
bambini rappresenta il simbolo della città di Roma.
S
SATIRI
Demoni della natura a sevizio del dio Dioniso. Rappresentati da un corpo per metà umano e per metà caprino, come
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Pan (avevano orecchie, coda, corna e zampe da caproni).
Vivevano sui monti e nelle foreste.
SFINGE
Mostro con la testa di donna e il corpo di leone, aveva ali
di uccello e si trovava alle porte della città di Tebe con il
compito di porre domande ed enigmi a tutti i passanti, divorandoli quando non riuscivano a risolvere l’enigma posto
loro. Edipo fu l’unico a risolvere l’enigma, indovinando chi
fosse l’animale che all’alba ha quattro zampe, a mezzodì due
e alla sera tre; Edipo spiegò che era l’uomo: da piccolo cammina carponi, dunque a quattro zampe, da adulto a due e
poi da vecchio a tre, perché è costretto a servirsi del bastone.
SIBILLE
Quella più famosa era la Sibilla Cumana, cioè di Cuma in
Campania. Erano delle sacerdotesse che, interpretando gli
oracoli e leggendo le viscere degli animali, prevedevano il
futuro, come fecero con Enea. I romani avevano i cosiddetti «libri sibillini», una raccolta scritta di oracoli, segni e
messaggi letti e interpretati da speciali magistrati prima di
intraprendere una battaglia oppure prendere una decisione
importante.
SIRENE
Omero ce le descrive forse per la prima volta come uccelli
dalla testa di donna. Esse cantavano così dolcemente da
attirare tutti i naviganti che si imbattevano con loro in
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prossimità degli scogli, dove si fermavano. Accadeva però
che i marinai, distratti dal canto, si schiantassero contro gli
scogli e lì naufragassero o si disperdessero nel mare.
T
THANATOS
Dio della Morte e figlio del dio della Notte. Era rappresentato con lunghe ali e il volto di un genio. Volava a prelevare
i corpi delle persone appena defunte.
TANTALO
Potente re della Lidia, era spesso ospite degli dei. Rubò il
loro cibo preferito, l’ambrosia e il nettare, per farlo conoscere
agli uomini. Gli dei lo punirono per aver tentato di rivelare i loro segreti e lo condannarono a un supplizio eterno:
soffrire la fame e la sete pur avendo sotto mano da bere e
da mangiare. Infatti, non riusciva ad afferrare alcun cibo
o alcuna bevanda, giacché tutto gli sfuggiva non appena
tentava di afferrarlo.
TARTARO
Era il mondo situato al di sotto degli inferi e rappresentato
come un luogo chiuso tra mura altissime e porte di bronze.
Lì vennero imprigionati i Titani che cercarono di ribellarsi
a Zeus.
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TETI
Madre di Achille, era una ninfa bellissima, la più bella delle
Nereidi. Fu amata da Zeus e da molti altri dei, ma nessuno
di loro desiderò sposarla, perché secondo una predizione il
figlio nato da lei e da un dio sarebbe stato più potente di
Zeus stesso. Teti sposò allora un mortale, il re Peleo, da cui
ebbe appunto Achille, semidio, invulnerabile in tutto tranne
che nel tallone, come sappiamo.
TIRESIA
Vecchio indovino tebano, fu fatto accecare da Era per vendetta (in un litigio tra la dea e Zeus, l’indovino aveva dato
ragione al secondo).
TITANI
Figli di Urano e di Gea, aiutarono Crono a prendere il
potere e governare il mondo prima dell’arrivo di Zeus e
degli altri dei. La guerra tra Titani e divinità alleate di Zeus
(Titanomachia) durò a lungo e terminò con la sconfitta
dei Titani.
TRITONE
Divinità marina, figlio di Poseidone, dio del mare. Era
rappresentato con il corpo per metà uomo e per metà pesce.
Riusciva a placare le acque agitate del mare, soffiando in una
conchiglia. Si trova spesso raffigurato in storiche fontane.
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U
URANO
Rappresenta il cielo con tutte le stelle. Sposò Gea, la terra.
Padre dei Titani, fu da questi spodestato dal regno dell’Universo.
V
VIRGILIO
Poeta latino, famoso per il poema che narra la nascita di
Roma: l’Eneide e per opere di eccelsa poesia: le Bucoliche
e le Georgiche.
Z
ZEUS
Giove per i Romani. Protagonista di tutte le storie e gli
intrighi che accadevano nell’alto dell’Olimpo, come abbiamo visto nel mito a lui dedicato, ne combinava di tutti
i colori. Era il dio supremo del monte greco e signore del
fulmine. Con lui ebbe inizio la seconda generazione degli
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dei dell’Olimpo. La madre riuscì a sottrarlo al padre Cronos prima che lo divorasse e lo nascose in una grotta dove
venne allevato da una capra. Una volta cresciuto, detronizzò
il padre e prese il suo posto.
Il resto lo conoscete già…
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Il linguaggio dei miti
Ricordiamo ora un po’ di termini, tipici del linguaggio
mitologico.
BACCANALIA
Feste organizzate quasi sempre di notte in onore del dio
Bacco (Dioniso per i Greci).
CALIGINE
Nella lingua comune è la foschia, il fumo sollevato da
incendi. Secondo lo scrittore Igino, Caligine è all’origine
dell’universo, è il buio senza limiti.
CAOS
Per noi è sinonimo di disordine, ma per gli antichi Greci e
Romani (tra cui Esiodo e Igino) indicava piuttosto il vuoto,
lo spazio buio in cui tutto ha poi avuto origine.
COSMOGONIA
Teorie, leggende e miti che spiegano la nascita dell’universo.
FARETRA
Astuccio per conservare e portare dietro le spalle le frecce.
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GENEALOGIA
Studio dell’origine e della discendenza di una famiglia.
MITO
Leggenda, racconto di eroi ed eventi leggendari; fatto esemplare che passa alla storia.
MITOGRAFIA
Letteratura che si occupa dei miti.
MITOGRAFO
Studioso di mitografia
MITOLOGIA
L’insieme dei miti; disciplina che studia i miti.
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Le corrispondenze
tra le divinità
Riassumiamo insieme:
Divinità
latine
Divinità
greche
Ruolo
Apollo
Apollo
dio della poesia e della musica
Bacco
Dioniso
dio del vino e dell’ebbrezza
Cerere
Demetra
dea delle messi
Cupido
Eros
dio dell’amore
Diana
Artemide dea della caccia
Ercole
Eracle
Giano
(Ianus)
eroe greco
dio dell’anno solare
Giove
(Iuppiter)
Zeus
re e padre degli dei
Giunone
(Iuno)
Era
regina degli dei,
protettrice del matrimonio
Marte
Ares
dio della guerra
(continua)
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Divinità
latine
Divinità
greche
Ruolo
Mercurio
Ermes
dio dei mercanti e dei ladri
Minerva
Atena
dea della ragione
Nettuno
Poseidone dio del mare
Parche
Moire
tre divinità della vita
e del destino
Saturno
Crono
dio della semina
Terra
Gea
madre terra
Ulisse
Odisseo
eroe dell’Odissea
Venere
Afrodite
dea della bellezza
Vesta
Estia
protettrice del focolare
domestico
Vulcano
Efesto
dio del fuoco
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arricchirne il contenuto, approfondendo le storie con altri documenti relativi alla mitologia,
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ha in appendice un elenco dei nomi delle divinità più note e un breve vocabolario di termini
tipici del linguaggio mitologico.
ROBERTA MAGNANTE TRECCO
Al termine degli studi liceali (maturità classica e maturità magistrale) si
è laureata in Lingue e letterature straniere. Ormai da molti anni svolge
attività di docente per la didattica speciale presso gli istituti superiori
della città di L’Aquila. Per coltivare la sua passione, ha conseguito un
master in scrittura creativa e sceneggiatura presso l’università di Teramo
e uno presso la facoltà di Lettere di L’Aquila a cura del Prof. Walter Siti ed
è attualmente iscritta a un corso di laurea specialistica. Ha partecipato
con successo a concorsi di poesia (nel 2004 è risultata vincitrice al terzo
posto al concorso regionale «Donne d’Abruzzo» con il racconto storico
«Amalia») ed è inserita nell’Almanacco degli scrittori d’Abruzzo. Tra le
sue pubblicazioni si ricorda la traduzione libera del «Carpe diem» di
Orazio (1995), inserita in varie antologie letterarie, e il libro «Flos latino
da favola» (2006), breve guida all’apprendimento della lingua latina
nella scuola primaria, adottato in diverse scuole in Italia e all’estero e
presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino presso lo stand
della casa editrice Raffaello nel maggio 2007.
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