L`impatto dell`Unione Europea e degli organismi internazionali

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L`impatto dell`Unione Europea e degli organismi internazionali
INNOVAZIONE AMMINISTRATIVA
E CRESCITA DEL PAESE
Rapporto con raccomandazioni
L’IMPATTO DELL’UNIONE EUROPEA E DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI:
CASI ED ESPERIENZE
Marina Caporale
Testo in corso di revisione
non diffondere – non citare
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L’IMPATTO DELL’UNIONE EUROPEA E DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI:
CASI ED ESPERIENZE
Marina Caporale
Sommario: 1) I principi “costituzionali” europei sulla Pubblica Amministrazione con riferimento
particolare al principio di buona amministrazione; 2) Iniziative di partecipazione e di cooperazione
e scambio tra le Pubbliche Amministrazioni in ambito comunitario; 3) L’Amministrazione italiana e
il coordinamento delle politiche comunitarie. Il quadro normativo nazionale per la europeizzazione
della PA; 4) Le Regioni, le questioni comunitarie e gli affari internazionali; 5) L’influenza della
giurisprudenza comunitaria sulla Pubblica Amministrazione italiana. Il caso dei servizi pubblici
locali (fonte: http://curia.eu.int/it/index.htm); 6) Organizzazioni internazionali e pubblica
amministrazione
1.1. I principi “costituzionali” europei sulla Pubblica Amministrazione con
riferimento particolare al principio di buona amministrazione
Le cooperazione tra pubbliche amministrazioni in ambito comunitario si è evidentemente
rafforzata nel corso del tempo, come ovvia conseguenza del ravvicinamento delle legislazioni
nei settori di competenza delle Comunità europee. Tuttavia, quello che qui si intende
documentare è, più che un dato di carattere puramente normativo – in altri capitoli di questo
Rapporto attentamente ricostruito – una serie di strumenti, di iniziative, che sembrano connotare
un vero e proprio metodo di lavoro da cui ormai non si può prescindere in virtù della costante
contaminazione tra ordinamenti diversi. Tale metodo infatti è reso evidente anche da una serie
di iniziative che prescindono dalla puntuale previsione di norme primarie, come ad esempio
l’adozione (Uppsala, 2001) da parte dei Direttori Generali responsabili per la Pubblica
Amministrazione di un Programma a Medio Termine per la Cooperazione tra le Pubbliche
Amministrazioni, che propone un passaggio dalle forme di scambio, esperienze e best practice
fra le Pubbliche Amministrazioni degli Stati Membri allo sviluppo di attività e di strumenti
comuni in determinate aree.
Con le parole di Mario Monti potremmo quindi dire:
“La cooperazione fra amministrazioni pubbliche è indispensabile a perseguire gli
obiettivi dell’Unione, poiché molto dipende dal buon funzionamento di un sistema
integrato fra amministrazioni. Diverse disposizioni inserite nel trattato di Amsterdam
prevedono che la cooperazione amministrativa venga organizzata in modo informale a
tre livelli: a quello politico (Ministri), a quello manageriale (Direttori Generali) e a
quello tecnico, con gruppi di lavoro. Le priorità che sono state identificate sono: la
modernizzazione del servizio pubblico attraverso lo scambio delle pratiche migliori e
del confronto (benchmarking); lo sviluppo dell’informatizzazione; la promozione della
mobilità transfrontaliera dei funzionari; la formazione dei funzionari nazionali sulle
materie comunitarie; il dialogo sociale a livello comunitario e infine il miglioramento
della qualità della normativa. Sono stati così avviati tutta una serie di programmi e
progetti congiunti”.
(Mario Monti, LA GOVERNANCE EUROPEA, Convegno dell’Associazione Giovani
Classi Dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni ROMA, 6 MAGGIO 2002)
Permane la validità della distinzione tra incidenza diretta e indiretta del diritto comunitario nel
determinare riforme isituzionali negli stati membri: la prima riconducibile all’adeguamento
imposto da norme comunitario (direttive; regolamenti), la seconda posta in essere dagli stessi
stati membri per la migliore attuazione delle politiche comunitarie. Attraverso nuovi strumenti
1
di cooperazione amministrativa viene invece superata la distinzione tra esecuzione diretta, in
cui l’attività posta in essere è imputata direttamente alle istituzioni e agli organismi comunitari,
e esecuzione indiretta, affidata alle amministrazioni statali o a loro articolazioni; questa
distinzione si è rivelata infatti nel tempo insufficiente a ricomprendere tutte le varietà di
organismi e di atti che si sono affermati nel sistema comunitario.
La dottrina ha quindi individuato diversi livelli di cooperazione, che hanno determinato vere e
proprie figure giuridiche composte sia per l’organizzazione che per l’attività e che pure non
assorbono tutte le forme di cooperazione amministrativa prodotte di fatto dall’ordinamento
comunitario:
- la coamministrazione, in cui la titolarità di una unica funzione è attribuita a soggetti
giuridicamente distinti che operano in raccordo necessario, in quanto, per le rispettive
competenze, non potrebbero agire diversamente per il perseguimento dello scopo
unitario, espressione dell’interesse comune Comunità-Stati membri (esempio tipico è la
disciplina dei Fondi Strutturali Europei);
- la integrazione decentrata, che rappresenta una evoluzione dei modelli di
coamministrazione in quanto ruota attorno a un organismo comunitario, l’agenzia, con
propria personalità giuridica e con funzioni regolative, istituita per la realizzazione di
obiettivi economici e sociali, per i quali c’è contitolarità di competenze tra
amministrazione comunitaria e amministrazione degli stati membri;
- il concerto regolamentare europeo o concerto europeo dei regolatori, che prevede la
realizzazione di un sistema di rete di cui al momento non esiste una realizzazione
compiuta (anche nei settori in cui si sono fatti più passi in questa direzione come, ad
esempio, le telecomunicazioni).
I caratteri comuni agli istituti menzionati sono: la natura comunitaria della disciplina; la
distribuzione delle competenze necessarie tra diversi uffici di diverso livello o misti (nazionale,
substatale, comunitario).
Analizzando le fonti di natura “costituzionale” che contengono gli elementi base su cui si è
sviluppato il quadro accennato, che individua a quale tipo di amministrazione siano volte queste
iniziative e, in qualche modo, le modalità attraverso cui gestire queste iniziative, possiamo
indicare le seguenti:
- Trattato che istituisce l’Unione Europea (versioni consolidate del Trattato sull’Unione
Europea e del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta ufficiale n. c 321e del
29 dicembre 2006) e Trattato che istituisce la Comunità Europea (versioni consolidate del
Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunità Europea, art. 66,
Gazzetta ufficiale n. c 321e del 29 dicembre 2006,)
- Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Gazzetta ufficiale n. C 364 del 18
dicembre 2000)
- Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (Gazzetta ufficiale n. C 310 del 16
dicembre 2004.
Il Trattato che istituisce l’Unione Europea (Maastricht, 7 febbraio 1992) prevede la
cooperazione tra Stati membri nei settori specifici dei cd. tre pilastri: le tre Comunità europee;
politica estera e di sicurezza comune; cooperazione negli affari interni e giudiziari. Per quanto
riguarda gli ultimi due pilastri, la cooperazione si basa essenzialmente su una collaborazione tra
stati ed esula dalle procedure decisionali della Comunità. In questo ambito la natura della
cooperazione tra amministrazioni di stati diversi è volta alla necessaria uniformazione dei
rispettivi diritti.
2
Il Trattato UE prevede poi la cd Cooperazione rafforzata (art. 43 del Trattato, ripreso anche
dall’Art. 11, ex art. 5 A del Trattato che istituisce la Comunità Europea). Inizialmente nasce con
lo scopo di favorire una più stretta cooperazione tra i paesi dell’Unione che intendono andare
oltre l’integrazione prevista nei trattati, anche se uno strumento che si può utilizzare come
ultima istanza, nei casi in cui il Consiglio constati che gli obiettivi fissati in base a questo tipo di
cooperazione non sono raggiungibile utilizzando le disposizioni del Trattato. La cooperazione
rafforzata deve rispettare diversi requisiti, e in particolare:
- non può avere come oggetto settori che siano di competenza esclusiva della Comunità;
- deve tendere a favorire il conseguimento degli obiettivi dell’Unione;
- deve rispettare i principi previsti dai trattati;
- deve coinvolgere la maggior parte degli Stati membri, con un minimo di otto stati.
Il Trattato che istituisce un Costituzione per l’Europa a sua volta contiene delle norme di
semplificazione di questo istituto, sia per quanto riguarda le procedure iniziali di autorizzazione,
che quelle relative alla partecipazione degli stati membri, fissando la nuova soglia minima di
adesione a un terzo degli stati membri.
Il Trattato che istituisce la Comunità Europea, così come il Trattato sull’Unione Europea,
non contiene particolari e specifici riferimenti a forme di cooperazione amministrativa, alla
buona amministrazione, se non con riferimento alla tutela contro la cattiva amministrazione
degli organi e delle istituzioni comunitarie. Esiste l’ampio richiamo di cui all’art. 3 e dell’art.
10:
Trattato che istituisce la Comunità Europea, (versioni consolidate del Trattato sull’Unione Europea e
del Trattato che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta ufficiale n. c 321e del 29 dicembre 2006)
Art. 3 (ex art. 3)
1. Ai fini enunciati all’articolo 2, l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo
previsti dal presente trattato:
…omissis
h) il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune;
Art. 10
Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare
l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni
della Comunità. Essi facilitano quest'ultima nell'adempimento dei propri compiti.
Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del
presente trattato.
Il Trattato richiama poi la cooperazione tra le amministrazioni degli Stati membri in
determinati settori, tra cui ad esempio:
Articolo 66
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 67, adotta misure atte a garantire la
cooperazione tra i pertinenti servizi delle amministrazioni degli Stati membri nelle materie disciplinate
dal presente titolo*, nonché tra tali servizi e la Commissione.
(* visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone)
Maggiore rilevanza hanno gli articoli che regolano i meccanismi di difesa rispetto a casi di
“cattiva amministrazione”, che analizzeremo meglio di seguito, riferendo della figura e delle
attività del Mediatore europeo.
Articolo 193
Nell’ambito delle sue funzioni, il Parlamento europeo, su richiesta di un quarto dei suoi membri, può
costituire una commissione temporanea d’inchiesta incaricata di esaminare, fatti salvi i poteri conferiti dal
presente trattato ad altre istituzioni o ad altri organi, le denunce di infrazione o di cattiva amministrazione
nell’applicazione del diritto comunitario, salvo quando i fatti di cui trattasi siano pendenti dinanzi ad una
giurisdizione e fino all’espletamento della procedura giudiziaria.
La commissione temporanea d’inchiesta cessa di esistere con il deposito della sua relazione.
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Le modalità per l’esercizio del diritto d’inchiesta sono fissate di comune accordo dal Parlamento
europeo, dal Consiglio e dalla Commissione.
Articolo 194
Qualsiasi cittadino dell’Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede
sociale in uno Stato membro, ha il diritto di presentare, individualmente o in associazione con altri
cittadini o persone, una petizione al Parlamento europeo su una materia che rientra nel campo di attività
della Comunità e che lo (la) concerne direttamente.
Articolo 195
1. Il Parlamento europeo nomina un Mediatore, abilitato a ricevere le denunce di qualsiasi cittadino
dell’Unione o di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro, e
riguardanti casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni o degli organi comunitari, salvo la
Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.
Conformemente alla sua missione, il Mediatore, di propria iniziativa o in base alle denunce che gli sono state
presentate direttamente o tramite un membro del Parlamento europeo, procede alle indagini che ritiene
giustificate, tranne quando i fatti in questione formino o abbiano formato oggetto di una procedura giudiziaria.
Qualora il Mediatore constati un caso di cattiva amministrazione, egli ne investe l’istituzione interessata, che
dispone di tre mesi per comunicargli il suo parere.
Il Mediatore trasmette poi una relazione al Parlamento europeo e all’istituzione interessata. La persona che ha
sporto denuncia viene informata del risultato dell’indagine.
Ogni anno il Mediatore presenta una relazione al Parlamento europeo sui risultati delle sue indagini.
2. Il Mediatore è nominato dopo ogni elezione del Parlamento europeo per la durata della legislatura. Il suo
mandato è rinnovabile. Il Mediatore può essere dichiarato dimissionario dalla Corte di giustizia, su richiesta
del Parlamento europeo, qualora non risponda più alle condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni o
abbia commesso una colpa grave.
3. Il Mediatore esercita le sue funzioni in piena indipendenza. Nell’adempimento dei suoi doveri, egli non
sollecita né accetta istruzioni da alcun organismo. Per tutta la durata del suo mandato, il Mediatore non può
esercitare alcuna altra attività professionale, remunerata o meno.
4. Previo parere della Commissione e con l’approvazione del Consiglio che delibera a maggioranza
qualificata, il Parlamento europeo fissa lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del
Mediatore.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea o Carta di Nizza (Nizza,
2001) nasce con l’obiettivo di raccogliere, in un unico testo, tutti i diritti degli individui,
ponendo in atto il principio dell’indivisibilità dei diritti fondamentali. Rinunciando alla
distinzione, sino ad allora operata nei testi europei e internazionali, fra diritti civili e
politici, da una parte, e i diritti economici e sociali, dall’altra, la Carta di Nizza riporta
l’insieme dei diritti imperniati su taluni principi fondamentali: la dignità umana, le
libertà fondamentali, la parità fra gli individui, la solidarietà, la cittadinanza e la
giustizia, distinti in altrettanti capitoli. Nel capo dedicato alla cittadinanza troviamo gli
artt. 41, 42 e 43 che sanciscono il diritto a una buona amministrazione, conferendo così
per la prima volta una autonoma rilevanza a questo principio e distinguendolo dal più
ampio e consolidato principio di legalità.
Articolo 41
Diritto ad una buona amministrazione
1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo
ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione.
2. Tale diritto comprende in particolare:
- il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un
provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio,
- il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi
della riservatezza e del segreto professionale,
- l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.
3. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue
istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni
agli ordinamenti degli Stati membri.
4. Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato e deve
ricevere una risposta nella stessa lingua.
Articolo 42
4
Diritto d’accesso ai documenti
Qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale
in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e
della Commissione.
Articolo 43
Mediatore
Qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale
in uno Stato membro ha il diritto di sottoporre al mediatore dell’Unione casi di cattiva amministrazione
nell’azione delle istituzioni o degli organi comunitari, salvo la Corte di giustizia e il Tribunale di primo
grado nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.
Come è noto il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa riprende
integralmente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, riportando gli artt.
41, 42, 43 negli Artt. II-101, 102 e 103.
Inoltre, con riferimento specifico alla cooperazione amministrativa:
CAPO V
SETTORI NEI QUALI L’UNIONE PUÒ DECIDERE DI SVOLGERE UN’AZIONE DI SOSTEGNO,
DI COORDINAMENTO O DI COMPLEMENTO
SEZIONE 7, COOPERAZIONE AMMINISTRATIVA
Articolo III-285:
1. L’attuazione effettiva del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon
funzionamento dell’Unione, è considerata una questione di interesse comune.
2. L’Unione può sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare la loro capacità
amministrativa di attuare il diritto dell’Unione. Tale azione può consistere in particolare nel facilitare lo
scambio di informazioni e di funzionari pubblici e nel sostenere programmi di formazione. Nessuno
Stato membro è tenuto ad avvalersi di tale sostegno. La legge europea stabilisce le misure necessarie a
tal fine, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli
Stati membri.
3. Il presente articolo non pregiudica l’obbligo degli Stati membri di attuare il diritto dell’Unione né le
prerogative e i doveri della Commissione. Esso non pregiudica le altre disposizioni della Costituzione
che prevedono la cooperazione amministrativa fra gli Stati membri e fra questi ultimi e l’Unione.
Articolo III-398:
1. Nell’assolvere i loro compiti, le istituzioni, organi e organismi dell’Unione si basano su
un’amministrazione europea aperta, efficace ed indipendente.
2. La legge europea fissa disposizioni a tal fine, nel rispetto dello statuto e del regime adottati sulla base
dell’articolo III-427.
I documenti e gli strumenti di matrice comunitaria che incoraggiano alla cooperazione
tra amministrazioni nazionali di paesi diversi e con le istituzioni comunitarie, sono
volti a migliorare la qualità della legislazione e alla creazione di standard comuni (v.
Giulio Napolitano, in questo stesso Rapporto). Forse è banale ricordarlo ma parliamo
di forme di cooperazione amministrativa volte a una pubblica amministrazione che va
definendosi con una sua autonomia in ambito comunitario, e che, tra i diversi Stati
membri, va cercando modelli condivisi e una comune qualità.
Per quanto qui interessa, le iniziative e le fonti che possiamo richiamare sono:
1. Il Metodo Aperto di Coordinamento (Consiglio Europeo di Lisbona, 23 e 24 marzo
2000)
2. Il Libro bianco sulla Governance (Bruxelles, 5.8.2001, COM(2001) 428)
3. Il Codice di buona condotta amministrativa (Mediatore Europeo, Gennaio 2005).
Il Metodo di Coordinamento Aperto (MCA) è stato creato quale strumento della
strategia di Lisbona (marzo 2000) nel quadro del coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri (Trattato di Maastricht) e della politica
dell’occupazione e del processo di Lussemburgo (conclusosi con il Trattao di
Amsterdam). Il MCA prevede un nuovo quadro di cooperazione tra gli Stati membri,
5
che vengono assistiti per favorire e accelerare la convergenza delle rispettive politiche
nazionali per la realizzazione di determinati obiettivi comuni. Il MCA si attua
attraverso la determinazione di indicatori di qualità, di parametri di confronto delle best
practices, attraverso la valutazione degli stati membri da parte di altri stati membri
(“peer pressare”), in cui la Commissione Europea svolge un ruolo di mera
sorveglianza.
Esso funziona in settori “comuni”, che, proprio come la pubblica amministrazione
(così come anche l’occupazione, la protezione sociale, l’inclusione sociale,
l’istruzione, la gioventù e la formazione), si collocano al di fuori della distinzione tra
politiche di competenza esclusiva o concorrente.
Le fasi principali del MCA che possiamo individuare sono:
- identificazione e definizione congiunta di obiettivi da raggiungere (indicati con atto
del Consiglio);
- strumenti di misurazione definiti congiuntamente (statistiche, indicatori, linee
guida);
- benchmarking, cioè l’analisi comparativa dei risultati degli Stati membri nei settori
individuati e lo scambio di pratiche ottimali (sorveglianza effettuata dalla
Commissione).
A seconda dei diversi settori in cui viene applicato il MCA comporta misure di soft law
che sono più o meno vincolanti per gli Stati membri, ma da esso non derivano mai
direttive o norme di pari rango. Di fatto l’implementazione del MCA sta evidenziando
più di una difficoltà e forse alcune delle ragioni del suo fallimento risiedono proprio
nel fatto che alla fine del percorso di lavoro comune gli Stati non sono vincolati ad
adottare formalmente gli strumenti individuati.
CONSIGLIO EUROPEO DI LISBONA, Conclusioni Della Presidenza, 23 e 24 MARZO 2000
Il Consiglio europeo ha tenuto una sessione straordinaria il 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona per concordare un
nuovo obiettivo strategico per l’Unione al fine di sostenere l’occupazione, le riforme economiche e la
coesione sociale nel contesto di un’economia basata sulla conoscenza. All’inizio dei lavori si è svolto uno
scambio di vedute con la Presidente del Parlamento europeo, sig.ra Nicole Fontaine, sui principali temi in
discussione.
I. OCCUPAZIONE, RIFORME ECONOMICHE E COESIONE SOCIALE
UN OBIETTIVO STRATEGICO PER IL NUOVO DECENNIO
La nuova sfida
1. L’Unione europea si trova dinanzi a una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide
presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza. Questi cambiamenti interessano ogni aspetto della
vita delle persone e richiedono una trasformazione radicale dell’economia europea. L’Unione deve modellare
tali cambiamenti in modo coerente con i propri valori e concetti di società, anche in vista del prossimo
allargamento.
2. Il ritmo rapido e sempre crescente dei mutamenti rende urgente un’azione immediata da parte dell’Unione
per sfruttare appieno i vantaggi derivanti dalle opportunità che si presentano. Ne consegue la necessità per
l’Unione di stabilire un obiettivo strategico chiaro e di concordare un programma ambizioso al fine di creare
le infrastrutture del sapere, promuovere l’innovazione e le riforme economiche, e modernizzare i sistemi di
previdenza sociale e d’istruzione.
Punti di forza e di debolezza dell’Unione
3. L’Unione vanta il miglior contesto macroeconomico di tutta una generazione. Conseguentemente a una
politica monetaria orientata verso la stabilità, supportata da politiche di bilancio sane in un contesto di
moderazione salariale, l’inflazione e i tassi d’interesse sono bassi, i disavanzi del settore pubblico sono stati
notevolmente ridotti e la bilancia dei pagamenti dell’UE è in equilibrio. L’euro è stato introdotto con successo
e sta procurando i vantaggi che si attendevano per l’economia europea. Il mercato interno è in larga misura
realizzato e sta fornendo vantaggi tangibili sia ai consumatori sia alle imprese. Il prossimo allargamento
creerà nuove opportunità di crescita e occupazione. L’Unione possiede una forza lavoro con un livello di
formazione generalmente elevato, nonché sistemi di protezione sociale in grado di fornire, al di là del loro
valore intrinseco, il quadro stabile necessario per gestire i mutamenti strutturali derivanti dal passaggio verso
una società basata sulla conoscenza. Si è registrata una ripresa della crescita e della creazione di posti di
lavoro.
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4. Questi punti di forza non devono farci dimenticare l’esistenza di una serie di debolezze. Più di 15 milioni di
europei sono tuttora disoccupati. Il tasso di occupazione è eccessivamente basso ed è caratterizzato da
un’insufficiente partecipazione al mercato del lavoro di donne e lavoratori anziani. La disoccupazione
strutturale di lungo periodo e marcati squilibri regionali in materia di disoccupazione restano endemici in certe
zone dell’Unione. Il settore dei servizi è sviluppato in modo insufficiente, soprattutto per quanto riguarda le
telecomunicazioni e Internet. Sussiste una mancanza di qualificazione che si sta accentuando, segnatamente
nell’ambito delle tecnologie dell’informazione, in cui un numero sempre crescente di posti di lavoro rimane
inoccupato. Dato l’attuale miglioramento della situazione economica, è questo il momento di intraprendere
riforme sia economiche che sociali nel quadro di una strategia positiva che combini competitività e coesione
sociale.
Modalità di azione
5. L’Unione si è ora prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare l’economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica
sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Il raggiungimento di questo
obiettivo richiede una strategia globale volta a:
- predisporre il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza migliorando le politiche in
materia di società dell’informazione e di R&S, nonché accelerando il processo di riforma strutturale ai fini
della competitività e dell’innovazione e completando il mercato interno;
- modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale;
- sostenere il contesto economico sano e le prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata
combinazione di politiche macroeconomiche.
6. Questa strategia è intesa a consentire all’Unione di ripristinare condizioni propizie alla piena occupazione e
a rafforzare la coesione regionale nell’Unione europea. Il Consiglio europeo dovrà stabilire l’obiettivo della
piena occupazione in Europa nella nuova società emergente, maggiormente adeguata alle scelte personali di
donne e uomini. Se le misure esposte più avanti sono attuate in un sano contesto macroeconomico, un tasso
medio di crescita economica del 3% circa dovrebbe essere una prospettiva realistica per i prossimi anni.
7. Questa strategia potrà essere attuata migliorando i processi esistenti, introducendo un nuovo metodo di
coordinamento aperto a tutti i livelli, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del
Consiglio europeo ai fini di una direzione strategica più coerente e di un efficace monitoraggio dei progressi
compiuti. Una riunione del Consiglio europeo che si terrà ogni primavera definirà i pertinenti mandati e ne
garantirà il follow-up.
---omissis--PORRE IN ATTO LE DECISIONI: UN APROCCIO PIÙ COERENTE E SISTEMATICO
Migliorare i processi attuali
35. Non occorre alcun nuovo processo. Gli attuali indirizzi di massima per le politiche economiche e i
processi di Lussemburgo, Cardiff e Colonia offrono i necessari strumenti, sempre che siano semplificati e
meglio coordinati, in particolare associando altre composizioni del Consiglio alla preparazione degli indirizzi
di massima per le politiche economiche da parte del Consiglio ECOFIN. Inoltre, siffatti indirizzi dovrebbero
concentrarsi maggiormente sulle implicazioni di medio e lungo periodo delle politiche strutturali e sulle
riforme volte alla promozione del potenziale di crescita economica, dell’occupazione e della coesione sociale,
nonché sulla transizione verso un’economia basata sulla conoscenza. I processi di Cardiff e di Lussemburgo
consentiranno di trattare in modo più approfondito i rispettivi temi.
36. Questi miglioramenti saranno appoggiati dal Consiglio europeo che assumerà un preminente ruolo guida e
di coordinamento per garantire la coerenza globale e l’efficace controllo dei progressi finalizzati al
conseguimento del nuovo obiettivo strategico. Pertanto il Consiglio europeo terrà ogni primavera una riunione
dedicata ai problemi economici e sociali. L’organizzazione di tale riunione richiederà quindi lo svolgimento di
lavori a monte e a valle. Il Consiglio europeo invita la Commissione a elaborare annualmente una relazione di
sintesi sui progressi realizzati in base ad indicatori strutturali da convenire per quanto attiene all’occupazione,
all’innovazione, alle riforme economiche e alla coesione sociale.
Attuazione di un nuovo metodo di coordinamento aperto
37. L’attuazione dell’obiettivo strategico sarà agevolata dall’applicazione di un nuovo metodo di
coordinamento aperto inteso come strumento per diffondere le buone prassi e conseguire una maggiore
convergenza verso le finalità principali dell’UE. Tale metodo, concepito per assistere gli Stati membri
nell’elaborazione progressiva delle loro politiche, implica:
- la definizione di orientamenti dell’Unione in combinazione con calendari specifici per il conseguimento
degli obiettivi da essi fissati a breve, medio e lungo termine;
- la determinazione, se del caso, di indicatori quantitativi e qualitativi e di parametri di riferimento ai massimi
livelli mondiali, commisurati alle necessità di diversi Stati membri e settori, intesi come strumenti per
confrontare le buone prassi;
- la trasposizione di detti orientamenti europei nelle politiche nazionali e regionali fissando obiettivi specifici
e adottando misure che tengano conto delle diversità nazionali e regionali;
7
- periodico svolgimento di attività di monitoraggio, verifica e valutazione inter pares, organizzate nel quadro
di un processo di apprendimento reciproco.
38. Un’impostazione totalmente decentrata sarà applicata coerentemente con il principio di sussidiarietà, a cui
l’Unione, gli Stati membri, i livelli regionali e locali, nonché le parti sociali e la società civile parteciperanno
attivamente mediante diverse forme di partenariato. Un metodo di analisi comparativa delle buone prassi in
materia di gestione del cambiamento sarà messo a punto dalla Commissione europea, di concerto con vari
fornitori e utenti, segnatamente le parti sociali, le imprese e le ONG.
39. Il Consiglio europeo rivolge un particolare appello al senso di responsabilità sociale delle imprese in
materia di buone prassi concernenti l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, l’organizzazione del lavoro,
le pari opportunità, l’inclusione sociale e lo sviluppo sostenibile.
40. A giugno si terrà un consesso ad alto livello tra le istituzioni e gli organismi dell’Unione e le parti sociali
per fare il punto dei processi di Lussemburgo, Cardiff e Colonia, e dei contributi dei vari attori al
potenziamento dei contenuti del patto europeo per l’occupazione.
Mobilitazione dei mezzi necessari
41. Il settore privato e i partenariati pubblico-privato saranno lo strumento privilegiato per conseguire il nuovo
obiettivo strategico che dipenderà dalla mobilitazione delle risorse disponibili sul mercato nonché dagli sforzi
degli Stati membri. In questo processo l’Unione svolge un ruolo di catalizzatore, creando un quadro efficace
ai fini della mobilitazione di tutte le risorse disponibili per il passaggio all’economia basata sulla conoscenza e
apportando il proprio contributo a questo sforzo nell’ambito delle politiche comunitarie esistenti, nel rispetto
dell’Agenda 2000. Inoltre, il Consiglio europeo accoglie con favore il contributo che la BEI è pronta a fornire
nei settori della formazione del capitale umano, delle PMI e dell’imprenditorialità, della ricerca e dello
sviluppo, delle reti nel campo della tecnologia dell’informazione e in quello delle telecomunicazioni, nonché
dell’innovazione. Con l’”Iniziativa Innovazione 2000” la BEI proseguirà i suoi programmi intesi a rendere
disponibile un ulteriore importo di un miliardo di euro per operazioni di capitale di rischio per PMI, e il suo
programma mirato di prestiti da 12 a 15 miliardi di euro per i prossimi 3 anni in settori prioritari.
---omissis---
Il Libro Bianco sulla governance ha rappresentato un momento di svolta nella
riflessione comune sulla governance comunitaria, anche grazie al metodo prescelto per
giungere al documento finale (COM(2001) 428): una consultazione pubblica ancora
sperimentale in quegli anni che ha visto l’adesione massiccia e la presentazione di un
numero notevole di contributi al dibattito.
Si legge nel Libro Bianco che “Il concetto di “governance” designa le norme, i processi
e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a
livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione,
responsabilità, efficacia e coerenza”. Vengono così individuati cinque principi che
devono ispirare le riforme in ambito comunitario ma anche nei singoli stati membri.
Altro aspetto rilevante è l’idea che l’Unione europea debba contribuire al dibattito sulla
Governance mondiale, operando anche per il miglioramento delle istituzioni
internazionali.
La successiva Comunicazione della Commissione Europea “Governance Europea,
legiferare meglio” (COM(2002) valorizzava questa esperienza e il portato del libro
bianco, soprattutto ribadendo la necessarietà di un migliore governo comune, tra
istituzioni europee e Stati membri. Prima ancora della complessa iniziativa della
Convenzione per una Costituzione Europea, con i risultati che sappiamo, si affermava
che era possibile raggiungere questi obiettivi a “trattato costante”, con una maggiore
attenzione alle disposizioni di esecuzione della Commissione, in aumento vertiginoso,
con conseguente appesantimento delle procedure e quindi anche la questione della piena
partecipazione degli organi amministrativi nazionali o locali, all’applicazione delle
norme europee.
Il Libro Bianco sulla Governance (Bruxelles, 5.8.2001, COM(2001) 428)
Estratti
---omissis--“In ultima analisi, l’incidenza che esercitano le norme dell’Unione europea dipende dalla volontà e dalla
capacità delle autorità degli Stati membri di assicurare che esse vengano recepite e attuate in forma
8
integrale, efficace e tempestiva. Ritardi o manchevolezze nel recepimento ed un’applicazione inefficace
contribuiscono a suscitare nel pubblico l’impressione che l’Unione non assolva i suoi compiti. A tale
riguardo, la responsabilità primaria è delle amministrazioni e dei tribunali nazionali.
Rafforzare le capacità amministrative dei paesi candidati è già un aspetto centrale della strategia di
preadesione, e anche dopo l’adesione si dovranno continuare a sostenere iniziative in tal senso. Gli attuali
Stati membri devono anch’essi migliorare la propria attività di controllo mettendovi a disposizione
adeguate risorse. L’Unione può avvalersi efficacemente dell’esperienza acquisita presso i paesi candidati,
mediante, ad esempio, gli “accordi di gemellaggio”. Gli Stati membri attuali e futuri dovranno provvedere
a costituire unità di coordinamento nell’ambito dell’amministrazione centrale, allo scopo di migliorare
l’applicazione del diritto
comunitario.”
…
“sfruttare meglio le competenze e l’esperienza pratica delle autorità regionali e locali. È anzitutto compito
delle autorità nazionali affrontare tale questione, secondo le rispettive disposizioni costituzionali e
amministrative. All’Unione spetterebbe invece sfruttare appieno il potenziale di flessibilità esistente per
migliorare l’attuazione concreta delle politiche europee;”
…
“stabilire le condizioni per costituire agenzie europee di regolamentazione. Simili agenzie possono
rafforzare l’efficacia e la visibilità del diritto comunitario agli occhi delle imprese e della pubblica
opinione, prendendo decisioni più pertinenti ai settori interessati, nelle materie più tecniche e complesse;”
La funzione del Mediatore europeo è stata istituita dal Trattato di Maastricht allo
scopo di accogliere le denunce relative ai casi di cattiva amministrazione nell’operato
delle istituzioni e degli organi della Comunità europea. Il suo ruolo è meglio definito
dalla Decisione del Parlamento europeo concernente lo statuto e le condizioni generali
per l’esercizio delle funzioni del Mediatore (Approvata il 9 marzo 1994 - GU L 113 del
4.5.1994 - e modificata dalla decisione del Parlamento europeo del 14 marzo 2002 - GU
L 92 del 9.4.2002 -) .
La figura del mediatore si rifà ovviamente ai precedenti nordici dello ombudsman, poi
estesisi anche a molti altri paesi. Il mediatore rappresenta una autorità amministrativa
sui generis dato che le sue funzioni giustiziali devono essere svolte in modo del tutto
indipendente ed imparziale.
Nello svolgimento delle sue attività il Mediatore ha contribuito all’adozione di
importanti provvedimenti (quali ad esempio il regolamento 1049/2001/CE sull’accesso
del pubblico ai documenti delle istituzioni, o lo stesso inserimento, nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea – Nizza, 2001 – del diritto ad una buona
amministrazione). Tra i documenti stilati dallo stesso mediatore, che non hanno forza di
legge ma che costituiscono dei riferimenti il cui rispetto è auspicato dalle istituzioni
comunitarie, troviamo il Codice europeo di buona condotta amministrativa, redatto
con lo scopo di costituire lo strumento essenziale per lo svolgimento delle sue funzioni.
Il Mediatore usa infatti il Codice per valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di
“cattiva amministrazione”. Al tempo stesso il Codice funge da guida per i funzionari,
incoraggiando l’utilizzo di standard più elevati nella condotta amministrativa. Il codice
sembra ribaltare in una prospettiva attiva i compiti del Mediatore, che, come si legge
nello Statuto (Decisione n. 94/262/CECA, CE, Euratom) ha principalmente la funzione
di contribuire a individuare i casi di cattiva condotta amministrativa. Per arrivare a
definire e ad affermare il diritto a una buona amministrazione il Mediatore ha
contribuito a definire cosa sia la cattiva amministrazione anche attraverso le relazioni
annuali (del 1995 e 1997, in particolare): si è in presenza di cattiva amministrazione
quando una istituzione o un organo comunitario non opera in conformità ai trattati o agli
atti comunitari vincolanti nella materia considerata, o se non osserva norme e principi
stabiliti dalla Corte di Giustizia o dal Tribunale di primo grado. La cattiva
9
amministrazione tuttavia non può essere definita in modo compiuto equesto distingue il
ruolo del Mediatore da quello degli organi giurisdizionali.
Codice di buona condotta amministrativa - Estratto
“Il Trattato di Amsterdam ha esplicitamente introdotto il concetto di trasparenza nel preambolo del Trattato
sull’Unione europea, affermando che esso segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione
sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni vengano prese nel modo più trasparente
possibile e il più vicino possibile ai cittadini. Questa idea è stata sviluppata ulteriormente nel dicembre
2000 durante il vertice di Nizza, con la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. Questa comprende, fra i diritti fondamentali della cittadinanza, il diritto a una buona
amministrazione e il diritto di sottoporre al Mediatore europeo casi di cattiva amministrazione (articolo
41); Carta dei diritti fondamentali dell’UE, Nizza 2001 (GUCE, C 364, 18/12/2001, inserita come parte II
del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa; in particolare art. 41 – diritto a una buona
amministrazione; art. 42, diritto di accesso ai documenti”.
1.2 Iniziative di partecipazione e di cooperazione nelle Pubbliche
Amministrazioni in ambito comunitario.
Con questi strumenti sono varie le iniziative poste in essere per facilitare la
cooperazione amministrativa tra Stati membri, e tra Stati membri e istituzioni
comunitarie.
C’è l’esperienza delle agenzie e delle reti amministrative, più o meno istituzionalizzate,
che già adesso hanno grande impatto sui sistemi nazionali; esistono poi le iniziative
per la partecipazione/scambio di funzionari italiani che prestano la loro attività presso
le istituzioni comunitarie o a servizio delle stesse (Comitatologia, Gruppi di esperti,
Esperti nazionali distaccati, Agenti Temporanei e Agenti a Contratto, Progetti Patent Public Administration Training European Network for the Harmonisation of Training
Approach, Twinning…).
Sullo sfondo rimangono gli organismi che promuovono lo studio e la analisi delle
rispettive amministrazioni (come l’European Public Administration Network), che
compiono una azione importante di incontro e di scambio..
Nel quadro degli organismi comunitari da tempo vanno affermandosi le agenzie
comunitarie. Si tratta di enti dotati di una propria autonoma personalità giuridica, che
non rientrano nella amministrazione comunitaria propriamente detta, istituite per
specifici compiti in determinati settori, che svolgono la loro azione in stretto raccordo
con analoghi enti nazionali. Hanno per lo più il compito di raccogliere e elaborare
informazioni, mettendo poi a disposizione i risultati delle loro indagini alle istituzioni
comunitarie ma anche agli stati membri. Esistono anche agenzie con funzioni di
controllo e indirizzo in determinati ambiti tecnici, e di regolamentazione e di gestione
(nell’ambito del cd primo pilastro; esistono poi agenzie con compiti più specifici nel
secondo e terzo pilastro, con riferimento, quindi, alla politica estera e alla sicurezza
comune e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). Come dicevamo
esse svolgono le loro funzioni integrando le proprie attività con quelle di analoghi
organismi nazionali (l’esempio principale è quello della Agenzia Europea per
l’Ambiente, che ha determinato e lavora con l’Agenzia Nazionale dell’Ambiente, in
raccordo, nel caso italiano, con le agenzie regionali).
Agenzie Comunitarie
Agenzia europea dei diritti
fondamentali (FRA) (in
preparazione)
Agenzie per la politica estera e di
sicurezza comune
Agenzia europea per la difesa
(EDA)
10
Agenzie per la cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia
penale
Accademia europea di polizia
(CEPOL)
Agenzia europea dell'ambiente
(EEA)
Agenzia europea delle sostanze
chimiche (ECHA) (in
preparazione)
Agenzia europea per i medicinali
(EMEA)
Agenzia europea per la gestione
della cooperazione operativa alle
frontiere esterne (FRONTEX)
Agenzia europea per la
ricostruzione (EAR)
Agenzia europea per la sicurezza
aerea (EASA)
Agenzia europea per la sicurezza
delle reti e dell'informazione
(ENISA)
Agenzia europea per la sicurezza e
la salute sul lavoro (OSHA)
Agenzia europea per la sicurezza
marittima (EMSA)
Agenzia ferroviaria europea
(ERA)
Autorità di vigilanza europea
GNSS (in preparazione)
Autorità europea per la sicurezza
alimentare (EFSA)
Centro di traduzione degli
organismi dell'Unione europea
(Cdt)
Centro europeo per la prevenzione
e il controllo delle malattie
(ECDC)
Centro europeo per lo sviluppo
della formazione professionale
(Cedefop)
Fondazione europea per il
miglioramento delle condizioni di
vita e di lavoro (EUROFOUND)
Fondazione europea per la
formazione professionale (ETF)
Osservatorio europeo delle droghe
e delle tossicodipendenze
(EMCDDA)
Centro satellitare dell'Unione
europea (EUSC)
Organismo europeo per il
consolidamento della cooperazione
giudiziaria (Eurojust)
Istituto dell'Unione europea per gli
studi sulla sicurezza (ISS)
Ufficio europeo di polizia
(Europol)
Diverse dalle agenzie comunitarie sono le agenzie esecutive (reg. 58/2003, del
19/12/2002) , istituite con decisione della Commissione, di cui sono organi indiretti, cui
la Commissione delega l’attuazione di un determinato programma comunitario o di
parte di esso (come l’Agenzia esecutiva per la sanità pubblica, l’Agenzia esecutiva per
l’energia intelligente, l’Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura).
Dai due modelli citati si distinguono altri tipi di organismi, forse più vicini, per natura e
funzioni, alle autorità indipendenti, sul modello della Banca centrale Europea. Si tratta
di una tipologia di enti ancora in via di definizione (ne sono esempio l’Autorità per la
sicurezza alimentare europea, EFSA, così come il Garante europeo della protezione dei
dati, EDPS). Questo tipo di enti lavora in regime di integrazione funzionale e strutturale
rispetto ai sistemi ufficiali di controllo istituiti presso i diversi stati membri, responsabili
11
degli obblighi disposti dalla normativa comunitaria. Il raccordo con gli enti nazionali
trova il suo momento istituzional nel “foro consultivo”, istituito presso la stessa
Autorità. In sostanza si tratta di un meccanismo di rete, tra Autorità e stati membri e tra
gli stessi stati membri.
Il termine “comitologia” (o “procedura dei comitati”) si riferisce alle procedure in
base alle quali la Commissione esercita le competenze di esecuzione conferite dal
legislatore (Parlamento europeo e Consiglio) assistita da comitati composti da
rappresentanti degli Stati membri, strutture esterne, di natura collegiale, con funzioni di
supporto alle attività della Commissione nell’esercizio delle sue competenze di
esecuzione. Queste procedure sono descritte nelle decisioni cd “Comitologia” (87/373 e
99/468), ma nel tempo molti comitati sono stati istituiti e disciplinati non in perfetta
coerenza con le decisioni, in modo estemporaneo, e anche le loro funzioni si sono
estese, passando da una funzione di natura istruttoria a forme di consultazione,
regolamentazione e anche gestione. In base alle decisioni citate, i servizi della
Commissione sottopongono i progetti di misure di esecuzione ai comitati, i quali
esprimono il loro parere prima che la Commissione li adotti.
Il Consiglio, con la decisione 2006/512/CE del 17 luglio 2006 ha peraltro modificato la
decisione 99/468 del Consiglio del 28 giugno 1999, recante modalità per l’esercizio
delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione. L’articolo 5 bis della
decisione modificata introduce una nuova procedura di regolamentazione con controllo
da parte del legislatore (Consiglio e Parlamento europeo) per permettere al legislatore di
opporsi all’adozione di un progetto di una norma secondaria, di esecuzione di un atto
legislativo adottato con procedura di codecisione, nei casi in cui ritenga che il progetto
in questione ecceda le competenze esecutive previste dall’atto di base oppure non sia
compatibile con lo scopo od il contenuto di detto atto e anche nei casi in cui non rispetti
il principio di sussidiarietà o di proporzionalità.
L’origine dei Comitati – che risale all’inizio degli anni sessanta, con la organizzazione
del mercato dei prodotti agricoli – trova il suo fondamento nella opportunità di creare
strumenti di ausilio alla Commissione senza, allo stesso tempo, ampliarne ulteriormente
i servizi diretti.
Questi comitati esistono e sono attivi in quasi tutti i settori più importanti delle politiche
comunitarie. I comitati sono composti da un rappresentante dei servizi della
Commissione che li presiede, e dai rappresentanti dei governi di ogni Stato membro. Il
loro compito è esprimere un parere sui progetti di misure di esecuzione sottoposti dai
servizi della Commissione. Dal punto di vista organizzativo, come anticipato, non fanno
parte della amministrazione comunitaria, e nel tempo il loro ruolo si è trasformato
passando da strumento di condizionamento della Commissione a momento di scambio
di buone pratiche, di conoscenza dei principi generali tipici dei vari ordinamenti
nazionali.
Il lavoro dei comitati si svolge secondo tre diverse procedure: consultiva, di gestione e
di regolamentazione. La scelta delle modalità procedurali spetta al legislatore che decide
in base alla natura delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione. Ogni
comitato adotta il proprio regolamento interno (sulla base di un modello, detto
Regolamento di procedura tipo adottato dalla Commissione il 31 gennaio 2001).
La straordinaria diffusione dei comitati e la loro tuttora limitata disciplina fa sì che si
parli di “governo dei comitati”, ma è comunque anche ad essi che si deve la progressiva
integrazione tra l’amministrazione comunitaria e le amministrazioni nazionali.
12
La predisposizione e l’implementazione delle politiche comunitarie ha richiesto in
modo crescente il contributo di esperti esterni, che apportassero le proprie competenze
in ambiti sempre più specifici e tecnici a supporto delle strutture europee. A questo tipo
di supporto si aggiungono forme di consultazione aperta quali seminari, workshop,
conferenze, partecipazione attraverso internet etc.
Nella sua forma più istituzionalizzata il Gruppo di esperti può essere definito come
una struttura costituita da esperti nazionali e/o del settore privato istituiti dalla
Commissione europea. Il loro scopo principale è appunto di supportare la Commissione
e i suoi servizi nella predisposizione di proposte di legge e di iniziative politiche,
nell’abito del diritto di iniziativa della Commissione, così come nei suoi compiti di
monitoraggio, coordinamento e cooperazione con gli Stati membri. Questi gruppi
possono essere temporanei o permanenti; i membri non sono pagati, salvo un rimborso
spese.
I Gruppi di esperti sono istituiti in due modalità differenti:
- con decisione della Commissione o con altro atto che definisce il gruppo
(Gruppi formalmente istituiti);
- da un Servizio della Commissione, previo accordo con il Segretariato Generale
(Gruppi informalmente istituiti)
Attualmente i Gruppi di esperti iscritti nell’apposito registro della Commissione sono
1.255. Questi tipi di gruppi si distinguono da altri due differenti tipi di organismi quali: i
Comitati, istituiti su iniziativa del legislatore (il Consiglio da solo o unitamente al
Parlamento europeo) per supportare la Commissione in determinate aree; organismi di
cooperazione istituiti sulla base di accordi internazionali.
Più in particolare, per le attività di formazione e scambio dei dipendenti pubblici, al di là della
partecipazione agli organismi appena menzionati, segnaliamo:
Con Decisione del 26 luglio 1988 e successive modificazioni, da ultimo la Decisione C(2006) 2033 del 1 giugno
2006, la Commissione europea ha istituito il regime dell’Esperto Nazionale Distaccato (END), successivamente
esteso anche alle altre istituzioni dell’Unione europea (Parlamento e Consiglio), allo scopo di consentire a funzionari
delle amministrazioni degli Stati membri, che abbiamo esperienze e conoscenze professionali in materia di politiche
europee, di realizzare un’esperienza lavorativa presso le istituzioni comunitarie.
Gli Esperti nazionali distaccati (END) svolgono così un duplice ruolo: offrono alle istituzioni comunitarie
l’esperienza professionale di alto livello nei settori di loro competenza, specie in quei settori in cui tali competenze
non sono facilmente disponibili; inoltre mettono a disposizione dell’amministrazione nazionale di provenienza la
conoscenza delle politiche comunitarie acquisita durante il periodo di distacco.
Gli END provengono dalle amministrazioni pubbliche degli Stati membri dell’UE, cosicché la maggior parte di essi è
costituita da funzionari pubblici nazionali, regionali e locali. Ciononostante, si possono accettare anche esperti
provenienti dal settore privato o da organizzazioni senza scopo di lucro o anche da organizzazioni internazionali
qualora la Commissione richieda espressamente questo tipo di competenze. Può diventare END un funzionario che
per tutta la durata del distacco sia in servizio retribuito presso un’amministrazione pubblica internazionale, nazionale,
regionale o locale, oppure, come dicevamo, a titolo eccezionale, funzionari provenienti dal settore privato e dal
volontariato (qualora sussista un interesse da parte dello Stato membro), dallo Spazio Economico Europeo, dai Paesi
candidati, da organizzazioni internazionali o da Paesi terzi.
Un END è chiamato ad assistere i funzionari della Commissione svolgendo i compiti che gli vengono da questa
assegnati. Durante il periodo di distacco, l’END riceve istruzioni da un funzionario dell’UE, con una descrizione
dettagliata dei suoi incarichi, che deve svolgere nel rispetto di norme tese ad evitare il rischio di eventuali conflitti
d’interesse.
L’END esercita le sue funzioni a tempo pieno esclusivamente nell’interesse della Commissione ed è responsabile
verso la gerarchia del Servizio cui è assegnato. La Commissione resta l’unica responsabile per l’approvazione dei
compiti svolti dall’END, nonché per la firma degli atti che ne derivano. L’END non può rappresentare la
Commissione in proprio, assumere impegni finanziari o di altro tipo o condurre negoziati per conto della
Commissione.
13
Le candidature sono selezionate su bandi comunitari per il tramite del Ministero degli Affari Esteri d’intesa con
l’Ente che effettua il distacco e con la Commissione Europea. Conseguentemente le domande dei candidati devono
essere trasmesse esclusivamente al Ministero degli Affari Esteri.
La valorizzazione della presenza del personale italiano attraverso l’esperienza degli END presso le istituzioni
comunitarie è stata peraltro indicata dall’attuale Ministro per le Politiche Comunitarie, on.le Emma Bonino quale
elemento qualificante per migliorare le sinergie tra le Amministrazioni nazionali e locali e le istituzioni europee
(Audizione sulle linee programmatiche dell’on. Ministro per le Politiche Europee, Camera dei
Deputati, Commissione XIV, 11 luglio 2006) e, da ultimo, nella relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia
all’Unione Europea. Il Dipartimento delle Politiche Comunitarie ha peraltro al riguardo competenze specifiche: nel
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006 “Delega di funzioni del Presidente del Consiglio
dei Ministri, in materia di politiche europee, al Ministro senza portafoglio on. dott.ssa Emma Bonino” (GU n. 149 del
29.6.2006), viene riconosciuta al Ministro la competenza relativa alla proposta delle candidature di cittadini italiani
presso le istituzioni, gli enti e le agenzie comunitarie. L’Ufficio per la cittadinanza europea, attivo presso il
Dipartimento, ha, tra le altre, la funzione di promuove iniziative formative in materia comunitaria del personale
pubblico delle amministrazioni centrali, delle Regioni e Province autonome e degli enti territoriali.
A queste competenze del Dipartimento si sovrappongono, in parte integrandole, quelle previste per il Ministero Affari
Esteri sia per quanto riguarda la selezione degli END che, come abbiamo segnalato, è affidata appunto alla sua
competenza, sia attraverso la Direzione Generale per l’integrazione europea, Ufficio VI, Affari giuridici ed
istituzionali, che è competente per il personale italiano nella Ue, per lo statuto del personale comunitario e collabora
con l’Istituto Diplomatico e le amministrazioni competenti nella formazione dei funzionari pubblici per le materie
comunitarie.
Il numero di END italiani a Bruxelles si è attestato nel corso del 2006 a quasi cento funzionari (74 distaccati alla
Commissione europea, 20 al Consiglio).
In particolare di seguito si propone un prospetto del numero di END distaccati alla Commissione europea a fine 2006
specificando la tipologia dell’ente di provenienza:
31 Amministrazioni centrali ed enti pubblici nazionali;
10 Autorità garanti/enti indipendenti;
4 Enti privati;
16 Università ed enti di ricerca;
13 Enti territoriali e locali/ forme associative di livello regionale e subregionale.
Accanto agli END c’è la figura dell’agente temporaneo, che, come l’END è una funzionario il cui impiego presso le
istituzioni comunitarie non ha carattere permanente, ma questa tipologia di contratto è riservata a chi già svolga
un’attività professionale e disponga di specifiche competenze in determinati settori. I contratti durano da due a cinque
anni a seconda che siano imputati al capitolo di bilancio “di funzionamento” della Commissione o al capitolo di
bilancio “ricerca”. Gli Agenti Temporanei sono chiamati a svolgere funzioni tecniche, prevalentemente nel campo
scientifico e in quello della ricerca. La selezione è effettuata tramite i cd avvisi di vacanza, che consistono nella
apertura di termini per presentare curriculum per specifiche richieste.
Progetto Patent, Public Administration Training European Network for the
Harmonisation of Training Approach (Formez e SSPA)
Il progetto PATENT (Public Administration Training European Network for the harmonization
of Training approach) scaturisce da un invito alla presentazione di progetti (Call for proposals)
promosso dall’Agenzia Europea che coordina il Programma Leonardo da Vinci (Community
Vocational Training Action Programme 2000-2006). Questo programma ha l’obiettivo di
promuovere la cooperazione tra i Paesi membri per le iniziative formative.
PATENT è stato presentato dal Formez nell’ambito dell’invito 2003-2004 in associazione con
altri partner prestigiosi sia italiani (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della
Funzione Pubblica, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Associazione Giovani
classi Dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni) che europei (Università di Parigi 1 Sorbona,
London School of Economics, Collegio d’Europa, Civil Service Office polacco e britannico) e
valutato in maniera positiva dall’Agenzia Leonardo che ne ha decretato l’assegnazione al
Formez che opera in qualità di capofila del raggruppamento.
Obiettivo primario di PATENT è quello di contribuire al miglioramento della competitività
della Pubblica Amministrazione operando direttamente sulla qualità e sulla preparazione
professionale delle risorse umane di livello medio alto (quadri e dirigenti) che ne compongono
la prima linea decisionale ed operativa. A tal fine PATENT intende mettere in campo attività e
prodotti adatti a supportare i giovani dirigenti della PA europea nel loro percorso di crescita di
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competenze e abilità professionali, offrendo loro al tempo stesso l’opportunità di accedere, su
basi paritarie ed aperte, a offerte di formazione di alta qualità e ad un ampio ventaglio di
esperienze di apprendimento e di lavoro disseminate in tutta Europa. Per raggiungere questo
obiettivo ambizioso, dal mese di novembre 2003 il Formez e i partner di progetto hanno
lavorato per realizzare 5 linee di attività. Il progetto ha concluso le sue attività operative il 1°
giugno 2006.
Tra le iniziative di formazione attivate in alcune Scuole di amministrazione pubblica italiane,
segnaliamo (Testo tratto dalla Relazione annuale 2006 – del 31.01.2007 – del Ministro per le
Politiche comunitarie Emma Bonino):
Il Dipartimento della funzione pubblica rappresenta l’Italia, assieme agli altri partner europei, nell’EIPA
(European Institute for Public Administration), uno dei principali istituti europei di ricerca e dei più
importanti centri di formazione sui diversi temi riguardanti la pubblica amministrazione europea.
Complessivamente nel corso del 2006 l’EIPA ha ospitato nelle proprie strutture (quella centrale di
Maastricht, oltre le sei antenne nazionali) oltre 600 allievi italiani, tra funzionari, quadri e dirigenti delle
amministrazioni nazionali. I corsi maggiormente seguiti sono stati quelli relativi alla innovazione nella
amministrazione pubblica, alla interoperabilità condivisa a livello regionale e locale, ai programmi
INTERREG, alle strategie di Lisbona e di Goteborg, al diritto europeo e alle procedure decisionali
comunitarie, a EUROMED, alla sussidiarietà verticale, a problematiche sanitarie, alle autorithies, alle
prospettive finanziarie.
La Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione, oltre le attività formative specialistiche in materia europea
fruibili all’interno dei diversi moduli formativi ivi condotti, durante il 2006 ha concluso la seconda edizione
del Progetto Bellevue Scholarship Programme, promosso e finanziato dalla Fondazione Rober Bosch della
Repubblica Federale di Germania. Il Programma, che gode dell’Alto Patronato dei Capi di Stato, prevede per
i partecipanti uno stage di 15 mesi presso le Amministrazioni estere, con l’obiettivo di consentire a giovani
funzionari e dirigenti di acquisire una conoscenza approfondita delle strutture governative e amministrative
dei vari paesi e di costituire una rete internazionale del management pubblico. I paesi partner partecipanti
sono oltre alla Germania, Polonia, Slovenia, Spagna, Portogallo e Ungheria. Nel corso del 2006 si è
proceduto alla programmazione della nuova edizione, che partirà nella primavera 2007 e sarà aperto a
funzionari e dirigenti della amministrazione pubblica italiana: nel corso dell’ultima edizione infatti il nostro
Paese non ha promosso nessuna partecipazione a questa iniziativa. Si constata infatti che spesso si riscontrano
difficoltà e resistenze nel reperimento di funzionari o dirigenti che, per circa un anno, possano essere
esonerati dal lavoro quotidiano delle strutture amministrative: è una difficoltà comprensibile, e vanno
individuate soluzioni per il suo superamento nel quadro di un mutamento culturale su cui investire e che
enfatizzi, più che in passato, la vocazione europea del paese.
Anche la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno ha svolto nel corso del 2006 diverse attività, di
formazione o di coordinamento, imperniata su tematiche europee. Dal punto di vista del coordinamento, vi è
da segnalare la partecipazione della Scuola alle Giornate europee dei rappresentanti dello Stato sui territori, a
cui partecipano, oltre alla S.S.A.I., anche le Scuole di Pubblica Amministrazione di Spagna e Portogallo ed il
Centro di Studi e Ricerche Europeo di Strasburgo. L’iniziativa ha assunto importanza sempre maggiore negli
anni, anche a seguito dell’inserimento nel programma di argomenti riguardanti l’attività e le prospettive
dell’Unione europea, che hanno determinato il graduale aumento del numero degli Stati interessati a
partecipare. L’iniziativa è volta a favorire il confronto culturale e professionale tra alti funzionari pubblici
europei che operano sul territorio in rappresentanza dello Stato e ad approfondire la conoscenza delle
similitudini e delle diversità tra i vari sistemi amministrativi dei Paesi dell’Unione europea e di quelli
associati attraverso lo scambio di testimonianze su temi di interesse comune.
Il progetto “Identificazione e riconoscimento delle competenze del funzionario europeo”, nel quadro del
Programma comunitario Leonardo Da Vinci, è stato avviato nell’aprile 2006: la SSAI è capofila del progetto,
avendolo ideato utilizzando anche le esperienze acquisite e la metodologia adottata per la preparazione dei
funzionari prefettizi italiani e sottoposto agli organismi europei per un finanziamento con fondi comunitari
del suddetto programma. L’iniziativa è scaturita dalla convinzione che il processo di integrazione europea
passa attraverso la reciproca conoscenza e il consolidarsi di una cultura ed un linguaggio comuni che
permetta ai partners di lavorare insieme per la tutela e lo sviluppo degli interessi generali che sono alla base
di un’Europa unita. Al progetto, realizzato in coopartenariato con Francia, Portogallo, Repubblica Ceca e
Bulgaria, per l’Italia partecipa, oltre la S.S.A.I. che è capofila, il Dipartimento della funzione pubblica. Scopo
del progetto è definire una metodologia per l’individuazione ed il riconoscimento delle competenze standard
che i funzionari europei devono possedere per poter utilmente stimolare e supportare il processo di
integrazione dei rispettivi Paesi in un contesto territoriale comune: l’Europa. Dal punto di vista delle
iniziative didattiche promosse o svolte nel corso del 2006 da parte della SSAI si segnala il Master in
Cittadinanza europea, con circa trenta partecipanti provenienti dalle pubbliche amministrazioni, oltre ai
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moduli di materie europee all’interno dei percorsi formativi per l’accesso alla carriera prefettizia e che nel
corso del 2006 ha riguardato 118 neo-consiglieri di prefettura. Vi è da segnalare infatti che ormai in tutte le
iniziative formative, anche quelle non specialistiche o su ambiti differenziati (es., trasporti, giustizia,
telecomunicazioni, …), i moduli su materie comunitarie acquistano un peso sempre più rilevante
parallelamente alle trasformazioni e agli influssi giurisprudenziali o giuseconomici.
La Scuola Superiore dell’Amministrazione Locale ha promosso l’inserimento di diversi moduli su materie
europee, o il loro potenziamento, all’interno dei corsi per l’accesso alla carriera dei segretari comunali e
provinciali, dei corsi di specializzazione e di quelli di aggiornamento.
Oltre alle iniziative che prevedono la partecipazione di funzionari italiani presso le
istituzioni europee, esistono naturalmente una serie di iniziative specifiche di
collaborazione volta allo scambio di buone prassi e alla cooperazione tra le
amministrazioni degli stati membri.
L’Italia è impegnata - attraverso il Ministero degli Affari Esteri (Punto nazionale di
contatto) e il Dipartimento per le Politiche Comunitarie - in attività di assistenza tecnica
ai Paesi dell’Europa centro-orientale (PECO) da poco aderenti o in via di adesione, e
comunque a vocazione comunitaria, prima nell’ambito dei programmi PHARE e
CARDS.
Questi programmi hanno come strumento principale per lo sviluppo delle attività il
gemellaggio amministrativo (twinning). Con il gemellaggio amministrativo, la
Commissione europea intende aiutare i Paesi candidati ad acquisire la capacità
autonoma di recepire, applicare e far rispettare l’acquis comunitario, in conformità
all’Agenda 2000, prima della loro adesione all’Unione Europea.
I progetti di gemellaggio prevedono il distaccamento a lungo termine di esperti degli
Stati membri presso le amministrazioni dei Paesi candidati. Questi esperti sono chiamati
consiglieri per la pre-adesione o esperti twinning residenti. Per realizzare i propri
obiettivi, un progetto di gemellaggio deve avvalersi anche dell’aiuto di un certo numero
di specialisti incaricati di attività formativa con missioni di breve periodo. Una volta
completati i progetti di gemellaggio, i Paesi candidati dovrebbero essere in grado di
osservare i principali impegni comunitari relativi all’acquis. In alcuni casi, un solo
progetto di gemellaggio si può rilevare insufficiente per la realizzazione di tale
obiettivo. Sono quindi spesso necessari più progetti allo scopo di raggiungere la piena
osservanza degli impegni.
Lo strumento dei gemellaggi amministrativi è tuttora attivo nei riguardi dei nuovi
membri dell’UE, anche se non più nel quadro del programma PHARE, bensì a titolo di
“Transition facility”.
A seguito dei risultati ampiamente positivi registrati nell’applicazione dei gemellaggi
amministrativi si è ritenuto opportuno estenderli anche a Stati diversi da quelli candidati
all’adesione, che hanno comunque l’esigenza di uniformare o quanto meno avvicinare
la legislazione in determinati settori; in particolare sono stati estesi, sempre comunque
nell’ambito di specifici programmi comunitari, agli Stati destinatari della c.d.”Politica
Europea di Vicinato”.
I gemellaggi amministrativi sono così ormai parte integrante anche dei programmi:
CARDS (dal 2002), MEDA (dal 2004) e TACIS (dal 2002); nel 2007 i Programmi
PHARE, CARDS, TACIS e MEDA verranno sostituiti dai Programmi IPA (European
Neighbourhood and Partnership Instrument, strumento di pre-adesione per i prossimi
paesi candidati e potenziali candidati), ed ENPI (European Neighbourhood and
Partnership Instrument, strumento di prossimità e partenariato per i paesi terzi che
partecipano alla politica europea di vicinato). dalla decisione presa dall’UE nel 2004 di
sostituire l’attuale insieme di strumenti finanziari destinati all’assistenza esterna, con un
16
quadro unitario più semplice ed efficace, in cui la cooperazione transfrontaliera (CBC),
costituisce una caratteristica innovativa dello strumento, prevedendo la collocazione dei
fondi in un unico budget comune, con una successiva distribuzione del budget basata
sulle reali necessità di progetto tra paesi partner e paesi UE.
In tempi recenti il Regolamento 1082/2006 del 5 luglio 2006 ha istituito il Gruppo
Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT), un nuovo strumento di cooperazione
a livello comunitario che consente di creare sul territorio della Comunità gruppi
cooperativi dotati di personalità giuridica. L’obiettivo di questo nuovo strumento è
quello di agevolare la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e/o interregionale tra
le autorità regionali e locali.
Un GECT esegue i compiti assegnatigli dai suoi membri in conformità del regolamento
1082/2006; in particolare, ai sensi dell’art. 7 del regolamento i compiti del GECT si
limitano all’attuazione di programmi o progetti di cooperazione territoriale cofinanziati
dalla Comunità, a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale, del Fondo sociale
europeo e/o del Fondo di coesione potendo realizzare ulteriori azioni specifiche di
cooperazione territoriale.
Le competenze del GECT sono definite in una convenzione di cooperazione
obbligatoria, che ne precisa funzioni, durata e condizioni del suo scioglimento. La
convenzione è limitata esclusivamente al settore della cooperazione determinato dai
suoi membri e ne individua le rispettive responsabilità. Il diritto applicabile alla sua
interpretazione e applicazione è quello di uno dei suoi membri: il GECT gode infatti in
ciascuno Stato membro della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone
giuridiche dalla legislazione nazionale. In seguito, il GECT adotta i propri statuti sulla
base della convenzione. Essi contengono disposizioni che riguardano in particolare:
- elenco dei membri;
- obiettivo e le funzioni del GECT nonché relazioni con i membri;
- denominazione e la sede;
- organi, loro competenze e relativo funzionamento (il GECT è rappresentato da un
direttore e può dotarsi di un’assemblea costituita dai rappresentanti dei suoi
membri);
- procedure decisionali;
- scelta della o delle lingue di lavoro;
- modalità di funzionamento;
- modalità del contributo finanziario dei membri e norme applicabili in materia di
contabilità e di bilancio;
- designazione di un organismo indipendente di controllo finanziario e di audit
esterno.
Tra gli strumenti realizzati dalla UE troviamo l’Interoperable Delivery of European
eGoverment Service to Public Administration Business and Citizens (IDABC
programma precedentemente denominato IDA, Interchange of Data between
Administration, avviato nel 1995 e già modificato nel 1999). Questo programma è gestito
dalla Direzione Generale per l’Informatica (DIGIT) della Commissione Europea, allo scopo
di incoraggiare e sostenere l’implementazione di servizi teconologici ai cittadini e alle
imprese, di migliorare l’efficienza e la collaborazione tra PA dei diversi paesi, per
migliorare la competitività del sistema Europa. L’IDABC stila raccomandazioni, sviluppa
soluzioni e fornisce servizi alle amministrazioni europee.
17
Tra gli obiettivi principali del programma c’è senz’altro l’armonizzazione delle pratiche
amministrative, grazie all’uso della tecnologia dell’informazione, per gestire in modo
efficiente l’enorme flusso di dati amministrativiattraverso l’Europa.
Diventa quindi fondamentale rafforzare le amministrazioni degli Stati membri, che
gestiscono dati essenziali per l’attuazione delle politiche comunitarie e il ruolo di IDABC è
di supportare, facilitare e coordinare lo sviluppo di reti tra le amministrazioni europee,
istituendo reti telematiche, in considerazione del fatto che lo sviluppo di reti non coordinato
porta facilmente alla creazione di soluzioni troppo specifiche, spesso con problemi di
incompatibilità e interoperabilità.
Per l’attuazione del programma IDA la Commissione è assistita dal TAC (Comitato per la
Telematica tra Amministrazioni), composto da rappresentanti degli Stati membri, che
approva il programma di lavoro annuale, ma che svolge soprattutto la funzione di costituire
un forum di coordinamento, consentendo la condivisione delle best pratice nel settore dello
scambio dei dati amministrativi.
Il programma opera attraverso Progetti di Comune Interesse (PCI) e Misure Orizzontali
(HM).
Alcuni esempi die progetti sviluppati grazie ad IDA e IDABC sono: la gestione del mercato
unico dell’agricoltura e lotta alla frode, compreso il controllo degli spostamenti degli
animali vivi, la condivisione dei dati sui raccolti e sull’alimentazione degli animali; la
costituzione di una banca dati che colleghi le dogane europee e le amministrazioni ittiche
per lo scambio di informazioni sui registri navali, sui dati riguardanti le catture e sulle
licenze.
Il Network SOLVIT (Effective problem solving in the Internal Market) è una rete di
risoluzione on-line dei problemi, nella quale gli Stati Membri collaborano per risolvere
senza procedure legali e giudiziarie i casi di non applicazione delle leggi che regolano il
Mercato Interno da parte della autorità pubbliche. La Commissione ha un ruolo di
coordinamento, mentre i centri nazionali sono gestiti dai rispettivi stati membri. Il centro
SOLVIT aiuta a gestire il reclamo sia proveniente da un cittadino che da una impresa con
l’impegno di fornire soluzioni reali ai problemi entro 10 settimane. Il ricorso a SOLVIT è
gratuito. La rete SOLVIT, presentata dalla Commissione nel novembre del 2001 ed
operativa dal 22 luglio 2002 prevede:
- Il collegamento dei Centri di coordinamento nazionali (che si trovano in tutti gli stati
membri e anche in Norvegia, Liechtenstein e Islanda) attraverso una comune banca
dati on line, che garantisca trasparenza e maggiore sistematicità nella gestione dei
casi;
- Accessibilità tramite Internet: cittadini e imprese possono contattare telefonicamente
o comunicare via e-mail con il Centro di coordinamento nazionale per la trattazione
del caso.
- Collegamenti con banche dati della Commissione già esistenti, come la banca dati per
la cooperazione tra amministrazioni, nella quale sono reperibili nomi e recapiti di
oltre 4000 funzionari nazionali di tutti gli Stati membri con indicazione del settore
specifico di attività.
In Italia il Centro Solvit è istituito presso il Dipartimento delle Politiche Comunitarie, e
possono diventare membri della rete SOLVIT –dopo un percorso di accreditamento - le
organizzazioni senza fini di lucro che agiscono per conto di cittadini o d'imprese e i
membri del Parlamento. L'accesso alla rete SOLVIT consente agli associati di
presentare, direttamente on-line, i casi per conto di clienti (dopo la convalida del Centro
18
SOLVIT italiano) e di seguirne on-line gli sviluppi, informando tempestivamente
l'interessato sulla soluzione proposta. Sarà sempre il Centro SOLVIT ad occuparsi del
caso, contattando il Centro SOLVIT di destinazione.
La Rete Giudiziaria Europea in materia civile e commerciale è stata istituita allo
scopo di migliorare l'accesso alla giustizia dei cittadini e delle imprese in Europa. Nel
settembre 2000, la Commissione ha presentato una proposta di decisione relativa
all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale che è stata
adottata dal Consiglio dei ministri nel maggio 2001. La rete è formata dai rappresentanti
delle autorità giudiziarie e amministrative degli Stati membri che si riuniscono più volte
all'anno per scambiare informazioni ed esperienze e per rafforzare la cooperazione tra
gli Stati membri nel settore del diritto civile e commerciale. Il principale obiettivo della
rete è di facilitare la vita dei cittadini che devono far fronte a qualsiasi tipo di
controversia di natura “transfrontaliera” , cioè che coinvolge più di uno Stato membro.
Tra le strutture di tipo non istituzionale, vale la pena fare un breve cenno all’European
Public Administration Network (EPAN), organismo informale che riunisce ministri e
dirigenti generali della funzione pubblica degli Stati Membri dell’Unione Europea.
Scopo di questo ente è favorire la reciproca conoscenza tra le diverse pubbliche
amministrazioni nazionali, lo scambio delle “buone pratiche”, lo sviluppo di sistemi di
autovalutazione e di valutazione comparativa. L’obiettivo più ambizioso dell’EPAN è
la definizione di “parametri amministrativi” di qualità sulla scorta dei parametri indicati
a Maastricht in materia di finanza pubblica.
L’EPAN è organizzato i quattro gruppi di lavoro tematici:
- Gruppo per l’innovazione nei servizi pubblici;
- Gruppo per l’eGovernment;
- Gruppo per la gestione delle risorse umane;
- Gruppo per la qualità della normazione.
1.3 L’Amministrazione italiana e il coordinamento delle politiche comunitarie.
Il quadro normativo nazionale per la europeizzazione della PA
Il sistema nazionale di governo per le politiche comunitarie in Italia è dato dalle
competenze a lungo non definite in modo certo tra Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Ministero Affari Esteri e, dal momento della sua istituzione, Dipartimento per
il coordinamento delle Politiche Comunitarie. Le norme che hanno determinato in modo
più incisivo l’attuale assetto sono la l. 183/1987 (Coordinamento delle politiche
riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle comunità europee ed adeguamento
dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari) e la l. 86/1989 (cd. legge La
Pergola), che hanno rispettivamente istituito il Dipartimento delle Politiche comunitarie
e determinato i relativi poteri, cui si è poi aggiunta la previsione della l. 59/1997, che
prevede la “razionalizzazione e redistribuzione dell competenze tra i ministeri, tenuto
conto delle esigenze derivanti dall’appartenenza dello Stato all’Unione europea” (art.
12, c. 1).
Il quadro delle competenze che emerge da queste norme, e da quelle succedutesi nel
tempo relative alla riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono:
- Consiglio dei Ministri: definizione delle linee generali per la partecipazione italiana
al processo di integrazione europea;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: promozione e coordinamento di tutte le PA
italiane per la definizione della posizione italiana rispetto alle politiche comunitarie,
19
d’intesa con il Ministero Affari Esteri; si avvale del Dipartimento per il
coordinamento delle politiche comunitarie (regolato dal D.M. 19/9/2000) per
l’attuazione degli impegni comunitari.
Ricordiamo inoltre che presso il Ministero Affari Esteri è attiva la Direzione Generale
per l’Integrazione Europea del Ministero affari Esteri, che cura le attività di
integrazione europea in relazione alle istanze ed ai processi negoziali riguardanti i
trattati dell’Unione europea, della Comunità europea, della CECA e dell’EURATOM.
Nelle materie relative alla integrazione europea essa ha competenza primaria rispetto ai settori di attività delle
altre Direzioni Generali. In particolare la Direzione Generale attende in tale ambito ai seguenti compiti
1. promuove la formulazione delle posizioni italiane presso le istituzioni e gli organi dell’Unione europea, e
cura i rapporti con la Commissione europea e con le altre istituzioni dell’Unione europea;
2. cura i negoziati sulle questioni attinenti al processo di integrazione europea;
3. collabora con l’Istituto Diplomatico e con le amministrazioni competenti nella formazione dei funzionari
pubblici nelle materie comunitarie.
La Direzione Generale per l’Integrazione Europea è articolata in sei uffici:
- Ufficio I (Questioni economiche e politiche settoriali in ambito Unione europea): politica economica,
monetaria e fiscale; bilancio dell’Unione europea; grandi reti transeuropee; politiche strutturali e di coesione;
concorrenza ed aiuti di stato; mercato interno e libera circolazione di beni e servizi, industria e protezione dei
consumatori; politica sociale e dell’occupazione; politiche dell’energia, dell’ambiente e della ricerca
dell’Unione europea; cultura, istruzione e formazione; agricoltura, pesca;
- Ufficio II (Relazioni esterne dell’Unione europea): relazioni dell’Unione europea con i Paesi terzi e le
organizzazioni regionali; processo di allargamento dell’Unione europea; negoziati di adesione; programmi di
pre-adesione; relazioni transatlantiche; definizione quadro regolamentare dei programmi di assistenza ai Paesi
terzi; politica commerciale dell’Unione europea e preparazione delle posizioni comuni dell’Unione nei
negoziati commerciali internazionali e nelle controversie commerciali comunitarie;
- Ufficio III (Cooperazione finanziaria e cooperazione allo sviluppo tra l’Unione europea e i Paesi terzi.
Attuazione delle politiche di internazionalizzazione per il territorio): programmi comunitari di cooperazione
finanziaria e di cooperazione allo sviluppo, fatte salve le competenze di legge della Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo; Consiglio sviluppo; accordo quadro di cofinanziamento Italia-Ue d’intesa con la
Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo; gestione dei fondi strutturali per l’attuazione delle
politiche di internazionalizzazione del territorio (FERS e FES); attività della BEI;
- Ufficio IV (Politica estera e di sicurezza comune. Corrispondente europeo. Centro Situazioni per la politica
estera e di sicurezza comune dell’Unione europea): PESC (Titolo V Trattato UE): processo formativo,
attuazione e seguiti, sviluppi istituzionali; dimensione di sicurezza e difesa dell’Unione europea: aspetti
istituzionali; dialogo politico dell’UE con i Paesi terzi, con gruppi di Paesi, organizzazioni regionali e
multilaterali; attività del Parlamento europeo per le tematiche PESC; corrispondente europeo e preparazione
del comitato politico e di sicurezza dell’Unione europea; gestione della rete COREU/CORTESY; aspetti civili
della gestione delle crisi in ambito europeo; Centro situazioni per la politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione europea;
- Ufficio V (Cooperazione in ambito Ue nei settori della giustizia e degli affari interni): cooperazione nei
settori della giustizia e degli affari interni: libera circolazione delle persone, compreso lo sviluppo dell’acquis
di Schengen; politiche dei visti, dell’asilo e dell’immigrazione; attraversamento delle frontiere; cooperazione
giudiziaria in materia civile e penale; cooperazione di polizia; lotta alla criminalità organizzata ed al traffico
di droga;
- Ufficio VI (Affari giuridici ed istituzionali) 06.36914650: questioni istituzionali; rapporti con il Parlamento
europeo; rapporti con le istituzioni giurisdizionali dell’Unione, con l’Ombudsman, con i servizi giuridici del
Consiglio e della Commissione; personale italiano nella Ue; statuto del personale comunitario; analisi
giuridica della normativa comunitaria e di quella nazionale di attuazione; pre-contenzioso e attività istruttoria
relativa al contenzioso comunitario, in raccordo con il Servizio del Contenzioso Diplomatico e dei Trattati;
collaborazione con l’Istituto Diplomatico e le amministrazioni competenti nella formazione dei funzionari
pubblici per le materie comunitarie.
Di seguito si propongono i provvedimenti che nei tempi più recenti sono intervenuti a
specificare le competenze del Dipartimento per il coordinamento delle Politiche
comunitarie e a organizzarne le funzioni.
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006 Delega di funzioni del Presidente del
Consiglio dei Ministri, in materia di politiche europee, al Ministro senza portafoglio on. dott.ssa Emma
Bonino (GU n. 149 del 29-6-2006)
20
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto del Presidente della Repubblica in data 17 maggio 2006, con il quale l’on. Emma Bonino è
stata nominata Ministro senza portafoglio;
Visto il proprio decreto in data 18 maggio 2006, con il quale al predetto Ministro è stato conferito l’incarico
per le politiche europee;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
Ritenuto opportuno delegare funzioni specifiche al Ministro per le Politiche Europee;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Decreta:
Art. 1
A decorrere dal 18 maggio 2006, il Ministro per le Politiche Europee, on. Emma Bonino, salve le competenze
attribuite dalla legge al Ministro degli Affari Esteri, è delegato ad esercitare le funzioni e le attribuzioni di
competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri dirette ad assicurare la partecipazione dell’Italia
all’Unione Europea ed in particolare quelle relative:
a) alle attività inerenti all’attuazione delle politiche comunitarie di carattere generale o per specifici settori,
assicurandone coerenza e tempestività, nonché alle attività inerenti alla partecipazione dello Stato
italiano alla formazione di atti e normative comunitari;
b) all’attuazione della legge 16 aprile 1987, n. 183, e della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in particolare per
quanto concerne la predisposizione, sulla base delle indicazioni delle amministrazioni
interessate, degli indirizzi del Parlamento e del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, del disegno di legge comunitaria,
seguendone anche il relativo iter parlamentare, nonché all’attuazione di questa ultima legge;
c) all’armonizzazione fra legislazione nazionale e normative comunitarie, individuando nella citata legge
comunitaria annuale gli strumenti idonei a recepire nell’ordinamento interno gli atti comunitari che
implicano i provvedimenti di attuazione ed assicurando l’adempimento degli obblighi comunitari;
d) alle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea Competitività, rappresentando l’Italia con
riferimento
agli
argomenti posti all’ordine del
giorno
relativi
al
mercato
interno,
nonché alle altre riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, con esclusione del Consiglio
Affari Generali e Relazioni Esterne, relative a singole questioni per le quali occorra garantire
la presenza del Governo il cui oggetto non rientri nelle competenze di altri dicasteri, in
collaborazione, ove occorra, con altri ministri interessati agli argomenti in discussione;
e) all’adeguamento
coerente e tempestivo
delle
amministrazioni
pubbliche agli atti comunitari, nonché alla conformità e alla tempestività delle azioni volte a prevenire
l’insorgere di contenzioso e ad adempiere le pronunce degli Organi giurisdizionali comunitari;
f) alla decisione sull’opportunità di presentare ricorsi alla Corte di giustizia per la tutela di situazioni di
rilevante interesse nazionale e alla decisione di intervenire in procedimenti in corso nei quali siano in
discussione questioni di rilievo nazionale;
g) alla presidenza del comitato consultivo di cui all’art. 4, comma 1, della legge 16 aprile 1987, n. 183;
h) alla formazione di operatori pubblici e privati, al dialogo interculturale con riferimento ai temi ed ai
problemi europei e ad altre iniziative di sostegno alle politiche europee, sia a livello
Nazionale che, d’intesa con il
Ministero
degli
Affari
Esteri,
dei
Paesi candidati e terzi a vocazione europea, promuovendo anche strumenti di formazione a distanza e
gemellaggi, nonché l’azione del comitato di cui all’art. 58 della legge 22 febbraio 1994, n. 146;
i) alla diffusione, con i mezzi più opportuni, delle notizie relative ai provvedimenti di adeguamento
dell’ordinamento interno all’ordinamento comunitario che conferiscono diritti ai cittadini dell’Unione
Europea, o ne agevolano l’esercizio, in materia di libera circolazione delle persone e dei servizi;
l) al coordinamento, nella fase di predisposizione della normativa comunitaria, delle amministrazioni dello
Stato
competenti
per settore, delle regioni, degli
operatori
privati
e
delle
parti
sociali interessate, ai fini della definizione della posizione italiana da sostenere, di intesa con il Ministro
degli Affari Esteri, in sede di Unione Europea;
m) alla convocazione e presidenza del Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei
(CIACE) di cui all’art. 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
n) alla convocazione, sentito il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Locali, ed alla
copresidenza della sessione comunitaria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’art. 17 della legge 4 febbraio 2005, n.
11, e all’art. 5 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di raccordare le linee della politica
nazionale relative all’elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle autonomie
territoriali;
o) alla convocazione, sentito il Ministro dell’Interno, ed alla copresidenza della sessione speciale della
Conferenza Stato-città ed autonomie locali dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche
comunitarie di interesse degli enti locali di cui all’art. 18 della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
p) al coordinamento delle azioni che l’Italia è chiamata ad adottare in attuazione della Strategia di Lisbona
per la crescita e l’occupazione, curando la preparazione, la redazione e l’attuazione
21
del Programma nazionale di riforma e di ogni altro adempimento previsto nell’ambito della stessa
Strategia di Lisbona;
q) alla presentazione, previo parere della Commissione per il coordinamento delle politiche economiche
nazionali con le politiche comunitarie, dei progetti da finanziare con il fondo di cui all’art. 357 della
legge 23 dicembre 2005, n. 266;
r) al coordinamento in ambito nazionale dell’attività conseguente ai lavori delle agenzie europee di
regolamentazione;
s) alla promozione, in collaborazione con le istituzioni comunitarie, le amministrazioni pubbliche
competenti per settore, le regioni e gli altri enti territoriali, le parti sociali interessate e le organizzazioni
non governative interessate, della diffusione dell’informazione sulle attività della Unione Europea e delle
iniziative volte a rafforzare la coscienza della cittadinanza dell’Unione;
t) alla proposta delle candidature di cittadini italiani presso le istituzioni, gli enti e le agenzie comunitarie;
u) alla rappresentanza della Repubblica italiana nell’ambito del Centro Nazionale di Informazione e
Documentazione Europea - C.I.D.E.;
v) alle attività inerenti alla partecipazione del Parlamento al processo di formazione
della normativa comunitaria e dell’Unione Europea, di cui alla legge 4 febbraio 2005, n. 11;
w) alle attività inerenti alla predisposizione della relazione annuale al Parlamento di cui all’art. 15 della
legge 4 febbraio 2005, n. 11.
Art. 2
Il Ministro è altresì delegato a:
a) designare rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in organi, commissioni, comitati,
gruppi di lavoro ed altri organismi di studio, tecnico-amministrativi e consultivi, operanti,
nelle materie oggetto del presente decreto, presso altre amministrazioni ed istituzioni;
b) costituire commissioni di studio e consulenza e gruppi di lavoro nelle materie oggetto del presente decreto;
c) provvedere, nelle predette materie, ad intese e concerti di competenza della Presidenza del Consiglio dei
Ministri necessari per le iniziative, anche normative, di altre amministrazioni;
d) promuovere e predisporre tutti gli strumenti di consulenza, formativi e applicativi che aiutino le
amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, gli altri enti locali, gli operatori privati
e le organizzazioni non governative al fine di utilizzare gli strumenti e le risorse dei fondi strutturali
dell’Unione Europea nella misura più celere e corretta.
Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, previa registrazione da
parte della Corte dei Conti.
Roma, 15 giugno 2006. Il Presidente: Prodi
Registrato alla Corte dei Conti il 24 giugno 2006. Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei
Ministri, registro n. 9, foglio n. 7
Il quadro normativo nazionale in cui si inquadrano le iniziative volte al recepimento e
all’adeguamento della normativa europea, a una pubblica amministrazione fondata su
principi e criteri condivisi, e a una cooperazione amministrativa costruttiva è piuttosto
articolato.
Ai provvedimenti sopra richiamati si è aggiunta una serie di altre norme che
contribuiscono a disegnare questo contesto, con particolare riferimento alla
partecipazione alla fase ascendente e discendente e al ruolo delle autonomie territoriali:
- Legge 4 febbraio 2005, n. 11 “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al
processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli
obblighi comunitari” (cd legge Buttiglione);
- Decreto 9 Ottobre 2006, concernente l’organizzazione Interna del Dipartimento per
il Coordinamento delle Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei
Ministri in (G.U. n. 298 Del 23 Dicembre 2006);
- Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 gennaio 2006, Regolamento per
il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei
(CIACE), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi
dall’articolo 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (GU n. 28 del 3 Febbraio 2006)
- Decreto 9 gennaio 2006 Regolamento per il funzionamento del Comitato tecnico
permanente istituito presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche
22
-
comunitarie dall’articolo 2, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (GU n. 28
del 3 Febbraio 2006)
Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per l’Integrazione Europea (natura
e funzioni).
Con la l. 11/2005, conosciuta anche come legge Buttiglione, viene abrogata la legge 9
marzo 1989 n. 86, nota come legge La Pergola. La legge 11/2005 interviene nella
disciplina della partecipazione nazionale alla funzione normativa comunitaria,
modificando tanto i procedimenti di partecipazione che gli strumenti di attuazione della
normativa comunitaria.
Vale la pena accennare che la l. 11/2005 nasce con il proposito di porre un rimedio al
perdurante ritardo dell’Italia nella graduatoria dei paesi comunitari per l’attuazione
delle direttive. Dopo un primo periodo in cui la legge La Pergola aveva dato buona
prova di sé, il problema si era infatti riproposto con forza. Un altro obiettivo della legge
è l’adeguamento della normativa vigente alla riforma del Titolo V della Costituzione, e
al conseguente nuovo e più pregnante ruolo delle regioni e degli enti locali.
I principi cui si ispira la legge sono esposti nell’art. 1: sussidiarietà, di proporzionalità,
di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica. Sono principi che
sembrano rifarsi a quelli richiamati in diversi atti e documenti comunitari, e sembrano
volere aprire l’orizzonte della legge a una dimensione partecipativa, a un
coinvolgimento nel percorso di formazione delle politiche comunitarie, forse un
tentativo di smentire il lamentato deficit democratico nella assunzione delle decisioni
comunitarie.
Rispetto alla legge La Pergola, viene mantenuto e reso più puntuale l’obbligo della
trasmissione degli atti o dei progetti di atti dal Governo alle Camere e alla Conferenza
dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano,
contestualmente alla loro ricezione, con l’indicazione della data presunta della
discussione o adozione in sede comunitaria. Gli atti su cui viene sollecitato il dibattito è
stato ampliato anche ai documenti di consultazione (cd. libri bianchi e libri verdi della
Commissione delle Comunità europee), e viene riferito, per le Regioni, alle materie di
loro competenza esclusiva o concorrente. La legge comunitaria ha peraltro aggiunto due
articoli alla legge 4 febbraio 2005 n. 11 (articoli 15-bis e 15-ter), stabilendo specifici
obblighi di informazione del Governo alle Camere e alla Corte dei Conti, consistenti
nell’invio, ogni sei mesi, di informazioni sul contenzioso comunitario e, ogni tre mesi
(solo alle Camere), di una relazione sui flussi finanziari con l’Unione Europea.
La legge n. 11 specifica ulteriormente le modalità di partecipazione alla formazione
degli atti comunitari, definendo un articolato procedimento per la formazione
dell’orientamento italiano nella cd. fase ascendente, aspetto che rappresenta forse
l’innovazione più significativa della legge. Prova della maggiore attenzione dedicata a
questa fase è che l’articolo 1bis della legge n. 86/’89 viene sostituito da cinque articoli
(da 3 a 7) dedicati appunto alla fase ascendente; mentre l’art. 2 istituisce il Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE) con compiti di
coordinamento finalizzati alla fase ascendente e di propulsione della fase discendente,
con la espressa previsione della partecipazione, su espressa richiesta, del Presidente
della Conferenza dei Presidenti delle Regioni o un Presidente di Regione o di Provincia
autonoma alle riunioni di tale organismo, quando si trattino questioni di interesse per le
Regioni e per le Province autonome.
23
La l. 11/2005 considera la partecipazione nella fase ascendente solo con riferimento alla
partecipazione indiretta, e cioè prevedendo il coinvolgimento regionale nel processo di
formazione della volontà statale in materia comunitaria. Ricordiamo infatti che,
relativamente alla partecipazione diretta delle Regioni in sede comunitaria (art. 117,
comma 5, Cost) si è data attuazione con la precedente legge n. 131/2003 (art. 5) che non
contempla la possibilità per le Regioni, anche nelle materie di loro competenza
esclusiva, di partecipare direttamente a livello comunitario (Corte Cost., sent. n. 238 e
239/2004).
Sono inoltre previste forme di consultazione e di informazione della Conferenza dei
Presidenti delle Regioni o della Conferenza Stato–Regioni, coerentemente con gli
indirizzi della normativa previdente. Altre novità riguardano la previsione di un
coinvolgimento nella fase ascendente anche degli enti locali (art. 6) e delle parti sociali
(attraverso le rappresentanze che siedono nello CNEL) e delle categorie produttive (art.
7), con il limte, rispettivamente, che i progetti e gli atti riguardino “questioni di
particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali” e “materie di
particolare interesse econoimico e sociale”.
Per quanto riguarda la cd fase discendente, coerentemente all’art. 117 Cost. riformato,
la legge 11/2005 prevede a carico dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome,
ciascuno secondo le proprie competenze legislativa, il compito di dare “tempestiva”
attuazione alle direttive comunitarie (art. 8).
In attuazione della riforma del titolo V la legge introduce quindi un meccanismo diretto
di attuazione delle direttive comunitarie, da parte Regioni e Province autonome. Questo
canale di recepimento delle direttive si aggiunge a quelli, già introdotti dalla legge La
Pergola, di attuazione tramite delega legislativa al governo, in via regolamentare o
tramite legge comunitaria.
Come già nella precedente legge La Pergola, anche per la legge n. 11/2005, la legge
comunitaria viene confermata quale strumento normativo annuale di attuazione della
legislazione comunitaria, che regola tempi e modalità di recepimento delle direttive
nell’ordinamento interno. Secondo la nuova normativa il disegno di legge comunitaria
viene presentato alle Camere entro il 31 gennaio di ogni anno dal Ministro per le
Politiche Comunitarie, in collaborazione con le Amministrazioni interessate e sulla base
degli indirizzi espressi dal Parlamento e delle osservazioni delle Regioni.
Un cenno a parte merita la riserva di esame, secondo la quale il Governo, da parte del
Parlamento o delle autorità regionali, può sospendere i lavori del Consiglio dei ministri
dell’Unione in attesa che, entro venti giorni dalla apposizione della riserva, Parlamento
e Regioni deliberino.
Legge 4 febbraio 2005, n. 11 ”Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo
dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”
Gazzetta Ufficiale n. 37 del 15 febbraio 2005
Art. 1. (Finalità)
1. La presente legge disciplina il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione
degli atti comunitari e dell’Unione europea e garantisce l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di
efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.
2. Gli obblighi di cui al comma 1 conseguono:
a) all’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad
adottare provvedimenti di attuazione;
b) all’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della
incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni
dell’ordinamento comunitario;
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c) all’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale.
Art. 2. (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei)
1. Al fine di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana
nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e di consentire il puntuale
adempimento dei compiti di cui alla presente legge, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri
il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), che è convocato e presieduto dal
Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie e al quale partecipano il
Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle
materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno.
2. Alle riunioni del CIACE, quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province
autonome, possono chiedere di partecipare il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato
e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.
3. Il CIACE svolge i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al
Parlamento, al Consiglio dei ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano.
4. Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato tecnico permanente istituito
presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche
comunitarie o da un suo delegato. Di tale comitato tecnico fanno parte direttori generali o alti funzionari con
qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle amministrazioni del Governo. Quando si
trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, il comitato tecnico, integrato dagli
assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati, è convocato e presieduto dal
Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, presso la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il
funzionamento del CIACE e del comitato tecnico permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche comunitarie.
5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
Art. 3. (Partecipazione del Parlamento al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione
europea)
1. I progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi,
e le loro modificazioni, sono trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro
per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione, per l’assegnazione ai competenti organi
parlamentari, con l’indicazione della data presunta per la loro discussione o adozione.
2. Tra i progetti e gli atti di cui al comma 1 sono compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri
bianchi e comunicazioni, predisposti dalla Commissione delle Comunità europee.
3. La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie assicura alle Camere
un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante
aggiornamento.
4. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa tempestivamente i
competenti organi parlamentari sulle proposte e sulle materie che risultano inserite all’ordine del giorno delle
riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea.
5. Il Governo, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, riferisce alle Camere, illustrando
la posizione che intende assumere e, su loro richiesta, riferisce ai competenti organi parlamentari prima delle
riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea.
6. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie riferisce semestralmente
alle Camere illustrando i temi di maggiore interesse decisi o in discussione in ambito comunitario e informa i
competenti organi parlamentari sulle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e
del Consiglio europeo, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse.
7. Sui progetti e sugli atti di cui ai commi 1 e 2 i competenti organi parlamentari possono formulare
osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. A tale fine possono richiedere al
Governo, per il tramite del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero del Ministro per le politiche
comunitarie, una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, delle eventuali osservazioni
espresse da soggetti già consultati nonché dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle
amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese.
Art. 4. (Riserva di esame parlamentare)
1. Qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti o di atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3, il
Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti comunitari e
dell’Unione europea soltanto a conclusione di tale esame, e comunque decorso il termine di cui al comma 3,
apponendo in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea la riserva di esame parlamentare.
2. In casi di particolare importanza politica, economica e sociale di progetti o di atti di cui ai commi 1 e 2
dell’articolo 3, il Governo può apporre, in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea, una riserva di
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esame parlamentare sul testo o su una o più parti di esso. In tale caso, il Governo invia alle Camere il testo
sottoposto alla decisione affinché su di esso si esprimano i competenti organi parlamentari.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il Presidente del Consiglio dei ministri ovvero il Ministro per le politiche
comunitarie comunica alle Camere di avere apposto una riserva di esame parlamentare in sede di Consiglio
dei ministri dell’Unione europea. Decorso il termine di venti giorni dalla predetta comunicazione, il Governo
può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare alle attività dirette alla formazione dei relativi
atti comunitari e dell’Unione europea.
Art. 5. (Partecipazione delle regioni e delle province autonome alle decisioni relative alla formazione di atti
normativi comunitari)
1. I progetti e gli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3 sono trasmessi dal Presidente del Consiglio dei
ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione, alla Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti
dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte e ai Consigli
regionali e delle province autonome, indicando la data presunta per la loro discussione o adozione.
2. Con le stesse modalità di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le
politiche comunitarie assicura alle regioni e alle province autonome un’informazione qualificata e tempestiva
sui progetti e sugli atti trasmessi che rientrano nelle materie di competenza delle regioni e delle province
autonome, curandone il costante aggiornamento.
3. Ai fini della formazione della posizione italiana, le regioni e le province autonome, nelle materie di loro
competenza, entro venti giorni dalla data del ricevimento degli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3,
possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per le politiche
comunitarie, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e
di Bolzano o della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province
autonome.
4. Qualora un progetto di atto normativo comunitario riguardi una materia attribuita alla competenza
legislativa delle regioni o delle province autonome e una o più regioni o province autonome ne facciano
richiesta, il Governo convoca la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del raggiungimento dell’intesa ai sensi dell’articolo 3 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il termine di venti giorni. Decorso tale termine, ovvero nei casi di
urgenza motivata sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.
5. Nei casi di cui al comma 4, qualora lo richieda la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo appone una riserva di esame in sede di
Consiglio dei ministri dell’Unione europea. In tale caso il Presidente del Consiglio dei ministri ovvero il
Ministro per le politiche comunitarie comunica alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di avere apposto una riserva di esame in sede di
Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Decorso il termine di venti giorni dalla predetta comunicazione, il
Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia della predetta Conferenza alle attività dirette alla
formazione dei relativi atti comunitari.
6. Salvo il caso di cui al comma 4, qualora le osservazioni delle regioni e delle province autonome non siano
pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o, in mancanza, entro il giorno
precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere alle attività
dirette alla formazione dei relativi atti comunitari.
7. Nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome, la Presidenza del Consiglio
dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, nell’esercizio delle competenze di cui all’articolo 3,
comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, convoca ai singoli tavoli di coordinamento nazionali i
rappresentanti delle regioni e delle province autonome, individuati in base a criteri da stabilire in sede di
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini della
successiva definizione della posizione italiana da sostenere, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e con i
Ministeri competenti per materia, in sede di Unione europea.
8. Dall’attuazione del comma 7 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
9. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa tempestivamente
le regioni e le province autonome, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano, delle proposte e delle materie di competenza delle regioni e delle province
autonome che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione
europea.
10. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, prima dello svolgimento
delle riunioni del Consiglio europeo, riferisce alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, in sessione comunitaria, sulle proposte e sulle materie di
competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno, illustrando la
posizione che il Governo intende assumere. Il Governo riferisce altresì, su richiesta della predetta Conferenza,
prima delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, alla Conferenza stessa, in sessione
comunitaria, sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che
risultano inserite all’ordine del giorno, illustrando la posizione che il Governo intende assumere.
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11. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa le regioni e le
province autonome, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano, delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del
Consiglio europeo con riferimento alle materie di loro competenza, entro quindici giorni dallo svolgimento
delle stesse.
12. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Art. 6. (Partecipazione degli enti locali alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari)
1. Qualora i progetti e gli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 3 riguardino questioni di particolare rilevanza
negli ambiti di competenza degli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le
politiche comunitarie li trasmette alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Tali progetti e atti sono
altresì trasmessi, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, alle associazioni
rappresentative degli enti locali. Su tutti i progetti e gli atti di loro interesse le associazioni rappresentative
degli enti locali, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, possono trasmettere
osservazioni al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per le politiche comunitarie e possono
richiedere che gli stessi siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa.
2. Nelle materie che investono le competenze degli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento per le politiche comunitarie convoca alle riunioni di cui al comma 7 dell’articolo 5 esperti
designati dagli enti locali secondo modalità da stabilire in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
3. Qualora le osservazioni degli enti locali non siano pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di
trasmissione dei progetti o degli atti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in
sede comunitaria, il Governo può comunque procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti
comunitari.
Art. 7. (Partecipazione delle parti sociali e delle categorie produttive alle decisioni relative alla formazione di
atti comunitari)
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie trasmette al Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) i progetti e gli atti di cui al comma 1 dell’articolo 3 riguardanti
materie di particolare interesse economico e sociale. Il CNEL può fare pervenire alle Camere e al Governo le
valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, ai sensi degli articoli 10 e 12 della legge 30 dicembre 1986, n.
936. A tale fine, il CNEL può istituire, secondo le norme del proprio ordinamento, uno o più comitati per
l’esame degli atti comunitari.
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, al fine di assicurare un più
ampio coinvolgimento delle categorie produttive e delle parti sociali, organizza, in collaborazione con il
CNEL, apposite sessioni di studio ai cui lavori possono essere invitati anche le associazioni nazionali dei
comuni, delle province e delle comunità montane e ogni altro soggetto interessato.
Art. 8. (Legge comunitaria)
1. Lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, danno
tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa con tempestività le
Camere e, per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome,
le regioni e le province autonome, degli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea
e delle Comunità europee.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie verifica, con la
collaborazione delle amministrazioni interessate, lo stato di conformità dell’ordinamento interno e degli
indirizzi di politica del Governo in relazione agli atti di cui al comma 2 e ne trasmette le risultanze
tempestivamente, e comunque ogni quattro mesi, anche con riguardo alle misure da intraprendere per
assicurare tale conformità, agli organi parlamentari competenti, alla Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti
dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, per la formulazione di ogni opportuna
osservazione. Nelle materie di loro competenza le regioni e le province autonome verificano lo stato di
conformità dei propri ordinamenti in relazione ai suddetti atti e ne trasmettono le risultanze alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie con riguardo alle misure da intraprendere.
4. All’esito della verifica e tenuto conto delle osservazioni di cui al comma 3, il Presidente del Consiglio dei
ministri o il Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri
Ministri interessati, entro il 31 gennaio di ogni anno presenta al Parlamento un disegno di legge recante:
“Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee”; tale titolo è completato dall’indicazione: “Legge comunitaria” seguita dall’anno di riferimento.
5. Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 4 il Governo:
a) riferisce sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle
eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia
delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte
della Repubblica italiana;
27
b) fornisce l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa;
c) dà partitamente conto delle ragioni dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di
recepimento è già scaduto e di quelle il cui termine di recepimento scade nel periodo di riferimento, in
relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa;
d) fornisce l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’articolo 11, nonché l’indicazione degli
estremi degli eventuali regolamenti di attuazione già adottati;
e) fornisce l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto
a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di
recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome. L’elenco è predisposto dalla
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e trasmesso alla
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie in tempo utile e, comunque,
non oltre il 25 gennaio di ogni anno.
Art. 9. (Contenuti della legge comunitaria)
1. Il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario è assicurato dalla legge
comunitaria annuale, che reca:
a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi indicati
all’articolo 1;
b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione
avviate dalla Commissione delle Comunità europee nei confronti della Repubblica italiana;
c) disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione degli atti del Consiglio o della
Commissione delle Comunità europee di cui alle lettere a) e c) del comma 2 dell’articolo 1, anche mediante il
conferimento al Governo di delega legislativa;
d) disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto
previsto dall’articolo 11;
e) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni
esterne dell’Unione europea;
f) disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province
autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti
comunitari nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
g) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome,
conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la
violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome;
h) disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della
Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3.
2. Gli oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell’attuazione delle
disposizioni comunitarie di cui alla legge comunitaria per l’anno di riferimento, sono posti a carico dei
soggetti interessati, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, ove ciò non risulti in
contrasto con la disciplina comunitaria. Le tariffe di cui al precedente periodo sono predeterminate e
pubbliche.
Art. 10. (Misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario)
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può proporre al Consiglio
dei ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze
degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell’Unione europea che comportano obblighi statali di
adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge
comunitaria relativa all’anno in corso.
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative
necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti di cui al comma 1.
3. Nei casi di cui al comma 1, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle regioni e delle province
autonome, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa gli enti
interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione venga sottoposta
all’esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento
e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo adeguamento da parte
dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propone al
Consiglio dei ministri le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117,
quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 11, comma
8, 13, comma 2, e 16, comma 3, della presente legge e dalle altre disposizioni legislative in materia.
4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle
medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici
princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in
contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare,
sono adottati nel rispetto degli altri princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria
per l’anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche
comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri
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degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione
all’oggetto della normativa [a].
[a] Comma così sostituito dall’art. 2, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica, altresì, all’emanazione di testi unici per il riordino e
l’armonizzazione di normative di settore nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province
autonome.
Art. 11. (Attuazione in via regolamentare e amministrativa)
1. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, già disciplinate con legge, ma non
coperte da riserva assoluta di legge, le direttive possono essere attuate mediante regolamento se così dispone
la legge comunitaria. Il Governo presenta alle Camere, in allegato al disegno di legge comunitaria, un elenco
delle direttive per l’attuazione delle quali chiede l’autorizzazione di cui all’articolo 9, comma 1, lettera d).
2. I regolamenti di cui al comma 1 sono adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro
per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto
con gli altri Ministri interessati. Sugli schemi di regolamento è acquisito il parere del Consiglio di Stato, che
deve esprimersi entro quarantacinque giorni dalla richiesta. Sugli schemi di regolamento è altresì acquisito, se
così dispone la legge comunitaria, il parere dei competenti organi parlamentari, ai quali gli schemi di
regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si
esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorsi i predetti termini, i regolamenti sono emanati
anche in mancanza di detti pareri.
3. I regolamenti di cui al comma 1 si conformano alle seguenti norme generali, nel rispetto dei princìpi e delle
disposizioni contenuti nelle direttive da attuare:
a) individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del
principio di sussidiarietà;
b) esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino
efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
c) esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e
locali e alla normativa di settore;
d) fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15
marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni.
4. I regolamenti di cui al comma 1 tengono conto anche delle eventuali modificazioni della disciplina
comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
5. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, non disciplinate dalla legge o da
regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive
modificazioni, e non coperte da riserva di legge, le direttive possono essere attuate con regolamento
ministeriale o interministeriale, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, o con
atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente per la materia, di concerto con
gli altri Ministri interessati. Con le medesime modalità sono attuate le successive modifiche e integrazioni
delle direttive.
6. In ogni caso, qualora le direttive consentano scelte in ordine alle modalità della loro attuazione, la legge
comunitaria o altra legge dello Stato detta i princìpi e criteri direttivi. Con legge sono dettate, inoltre, le
disposizioni necessarie per introdurre sanzioni penali o amministrative o individuare le autorità pubbliche cui
affidare le funzioni amministrative inerenti all’applicazione della nuova disciplina.
7. La legge comunitaria provvede in ogni caso, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), ove l’attuazione
delle direttive comporti:
a) l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;
b) la previsione di nuove spese o minori entrate.
8. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, gli atti normativi di cui
al presente articolo possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle
province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione a norme
comunitarie. In tale caso, gli atti normativi statali adottati si applicano, per le regioni e le province autonome
nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine
stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria, perdono comunque efficacia dalla data di
entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma e recano l’esplicita
indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi
contenute. I predetti atti normativi sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Art. 12. (Attuazione delle modifiche alle direttive comunitarie recepite in via regolamentare)
1. Fermo quanto previsto dall’articolo 13, la legge comunitaria può disporre che, all’attuazione di ciascuna
modifica delle direttive da attuare mediante regolamento ai sensi dell’articolo 11, si provveda con la
procedura di cui al comma 2 del medesimo articolo 11.
Art. 13. (Adeguamenti tecnici)
1. Alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modificano modalità esecutive e
caratteristiche di ordine tecnico di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale, è data attuazione, nelle
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materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, con decreto del Ministro competente per
materia, che ne dà tempestiva comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le
politiche comunitarie.
2. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i provvedimenti di cui al
presente articolo possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province
autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione a norme
comunitarie. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano, per le regioni e le province autonome
nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine
stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria e perdono comunque efficacia dalla data di
entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti
recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle
disposizioni in essi contenute.
Art. 14. (Decisioni delle Comunità europee)
1. A seguito della notificazione di decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità
europee, destinate alla Repubblica italiana, che rivestono particolare importanza per gli interessi nazionali o
comportano rilevanti oneri di esecuzione, il Ministro per le politiche comunitarie, consultati il Ministro degli
affari esteri e i Ministri interessati e d’intesa con essi, ne riferisce al Consiglio dei ministri.
2. Il Consiglio dei ministri, se non delibera l’eventuale impugnazione della decisione, emana le direttive
opportune per l’esecuzione della decisione a cura delle autorità competenti.
3. Se l’esecuzione della decisione investe le competenze di una regione o di una provincia autonoma, il
presidente della regione o della provincia autonoma interessata interviene alla riunione del Consiglio dei
ministri, con voto consultivo, salvo quanto previsto dagli statuti speciali.
4. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie trasmette il testo delle
decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee alle Camere per la
formulazione di eventuali osservazioni e atti di indirizzo ai fini della loro esecuzione. Nelle materie di
competenza delle regioni e delle province autonome le stesse decisioni sono trasmesse altresì agli enti
interessati per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome,
per la formulazione di eventuali osservazioni.
Art. 15. (Relazione annuale al Parlamento)
1. Entro il 31 gennaio di ogni anno il Governo presenta al Parlamento una relazione sui seguenti temi:
a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio
europeo e del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, alle questioni istituzionali, alle relazioni esterne
dell’Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti
generali delle politiche dell’Unione;
b) la partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario con l’esposizione dei princìpi e delle linee
caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell’emanazione degli atti normativi
comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti
normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;
c) l’attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l’andamento dei flussi finanziari verso
l’Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità
europee per ciò che concerne l’Italia;
d) i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei
presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l’indicazione delle iniziative
assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;
e) l’elenco e i motivi delle impugnazioni di cui all’articolo 14, comma 2.
3. Nella relazione di cui al comma 1 sono chiaramente distinti i resoconti delle attività svolte e gli
orientamenti che il Governo intende assumere per l’anno in corso.
“Art. 15-bis. - (Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti
l’Italia). - 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee, sulla base delle
informazioni ricevute dalle amministrazioni competenti, trasmette ogni sei mesi alle Camere e alla Corte dei
conti un elenco, articolato per settore e materia: a) delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità
europee e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione europea relative a giudizi di cui l’Italia sia stata parte
o che abbiano rilevanti conseguenze per l’ordinamento italiano;
b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell’articolo 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea o
dell’articolo 35 del Trattato sull’Unione europea da organi giurisdizionali italiani; c) delle procedure di
infrazione avviate nei confronti dell’Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 del Trattato istitutivo della
Comunità europea, con informazioni sintetiche sull’oggetto e sullo stato del procedimento nonché sulla
natura delle eventuali violazioni contestate all’Italia; d) dei procedimenti di indagine formale avviati dalla
Commissione europea nei confronti dell’Italia ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 2, del Trattato istitutivo
della Comunità europea. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le
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politiche europee, trasmette ogni sei mesi alle Camere e alla Corte dei conti informazioni sulle eventuali
conseguenze di carattere finanziario degli atti e delle procedure di cui al comma 1. 3. Nei casi di particolare
rilievo o urgenza o su richiesta di una delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro
per le politiche europee trasmette alle Camere, in relazione a specifici atti o procedure, informazioni sulle
attività e sugli orientamenti che il Governo intende assumere e una valutazione dell’impatto
sull’ordinamento.
Articolo inserito dall’art. 7, comma 1, della legge recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006”, Testo approvato in
via definitiva dalla Camera dei deputati il 17 gennaio 2007, non ancora promulgato o pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale.
Art. 15-ter. - (Relazione trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari con l’Unione europea). - 1. Il Governo
presenta ogni tre mesi alle Camere una relazione sull’andamento dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione
europea. La relazione contiene un’indicazione dei flussi finanziari ripartiti per ciascuna rubrica e
sottorubrica contemplata dal quadro finanziario pluriennale di riferimento dell’Unione europea. Per
ciascuna rubrica e sottorubrica sono riportati la distribuzione e lo stato di utilizzo delle risorse erogate dal
bilancio dell’Unione europea in relazione agli enti competenti e alle aree geografiche rilevanti”.
Articolo inserito dall’art. 7, comma 1, della legge recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006”, Testo approvato in
via definitiva dalla Camera dei deputati il 17 gennaio 2007, non ancora promulgato o pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale.
Art. 16. (Attuazione delle direttive comunitarie da parte delle regioni e delle province autonome)
1. Le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza, possono dare immediata attuazione
alle direttive comunitarie. Nelle materie di competenza concorrente la legge comunitaria indica i princìpi
fondamentali non derogabili dalla legge regionale o provinciale sopravvenuta e prevalenti sulle contrarie
disposizioni eventualmente già emanate dalle regioni e dalle province autonome.
2. I provvedimenti adottati dalle regioni e dalle province autonome per dare attuazione alle direttive
comunitarie, nelle materie di propria competenza legislativa, devono recare nel titolo il numero identificativo
della direttiva attuata e devono essere immediatamente trasmessi in copia conforme alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie.
3. Ai fini di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le disposizioni legislative adottate dallo
Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e
delle province autonome, si applicano, per le regioni e le province autonome, alle condizioni e secondo la
procedura di cui all’articolo 11, comma 8, secondo periodo.
4. Nelle materie di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, cui hanno riguardo le direttive, il
Governo indica i criteri e formula le direttive ai quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai
fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della
programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali. Detta
funzione, fuori dai casi in cui sia esercitata con legge o con atto avente forza di legge o, sulla base della legge
comunitaria, con i regolamenti previsti dall’articolo 11, è esercitata mediante deliberazione del Consiglio dei
ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie,
d’intesa con i Ministri competenti secondo le modalità di cui all’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Art. 17. (Sessione comunitaria della Conferenza Stato-regioni)
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri convoca almeno ogni sei mesi, o anche su richiesta delle regioni e
delle province autonome, una sessione speciale della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche
comunitarie di interesse regionale e provinciale. Il Governo informa tempestivamente le Camere sui risultati
emersi da tale sessione.
2. La Conferenza, in particolare, esprime parere:
a) sugli indirizzi generali relativi all’elaborazione e all’attuazione degli atti comunitari che riguardano le
competenze regionali;
b) sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni regionali all’osservanza e
all’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1, comma 1;
c) sullo schema del disegno di legge di cui all’articolo 8 sulla base di quanto previsto dall’articolo 5, comma
1, lettera b), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni.
3. Il Ministro per le politiche comunitarie riferisce al Comitato interministeriale per la programmazione
economica per gli aspetti di competenza di cui all’articolo 2 della legge 16 aprile 1987, n. 183.
Art. 18. (Sessione comunitaria della Conferenza Stato-città ed autonomie locali)
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie convoca almeno una volta
l’anno, o anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali ovvero degli enti locali
interessati, una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione
degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali. Il Governo informa tempestivamente le
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Camere e la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sui
risultati emersi durante tale sessione. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare, esprime
parere sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali
all’osservanza e all’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 1, comma 1.
Art. 19. (Utilizzo di strumenti informatici)
1. Per l’adempimento degli obblighi di trasmissione e di informazione di cui alla presente legge, il Presidente
de Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può avvalersi di strumenti informatici.
Art. 20. (Regioni a statuto speciale e province autonome)
1. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome resta fermo quanto previsto nei rispettivi statuti
speciali e nelle relative norme di attuazione.
Art. 21. (Modifica, deroga, sospensione o abrogazione della legge)
1. Ai fini dell’attuazione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, le disposizioni della presente
legge possono essere modificate, derogate, sospese o abrogate da successive leggi solo attraverso l’esplicita
indicazione delle disposizioni da modificare, derogare, sospendere o abrogare.
Art. 22. (Abrogazioni)
1. Gli articoli 11 e 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono abrogati.
2. La legge 9 marzo 1989, n. 86, e successive modificazioni, è abrogata.
Alla luce del contenuto della legge 11/2005, è apparso utile richiamare il Decreto con
cui il Ministro per le politiche comunitarie organizza il proprio Dipartimento.
DECRETO 9 OTTOBRE 2006, PUBBLICATO NELLA GAZZETTA UFFICIALE N. 298 DEL 23
DICEMBRE 2006 CONCERNENTE L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL DIPARTIMENTO PER
IL COORDINAMENTO DELLE POLITICHE COMUNITARIE DELLA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
IL MINISTRO PER LE POLITICHE EUROPEE
Vista la legge 16 aprile 1987, n. 183, istitutiva del Dipartimento per il coordinamento delle politiche
comunitarie;
Vista la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo
normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica del 3 luglio 1997, n. 520, recante norme per l’organizzazione
dei dipartimenti e degli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri e per la
disciplina delle funzioni dirigenziali;
Visto il decreto legislativo in data 30 luglio 1999, n. 303, recante l’ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, come modificato ed integrato dal decreto legislativo in data 5 dicembre 2003, n. 343;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 23 luglio 2002, recante «Ordinamento delle
strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri», in particolare l’art. 10 con
cui sono stati individuati, fra l’altro, il numero massimo di uffici e servizi del Dipartimento per il
coordinamento delle politiche comunitarie;
Visto il decreto del Ministro per le politiche comunitarie in data 9 febbraio 2006, recante la organizzazione
interna del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2006 di nomina a Ministro senza portafoglio
dell’on. dott.ssa Emma Bonino;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 maggio 2006 di conferimento dell’incarico a
Ministro per le politiche europee all’on. dott.ssa Emma Bonino;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 15 giugno 2006, registrato alla Corte dei
conti il 24 giugno 2006, recante delega di funzioni al Ministro per le politiche europee;
Considerato che appare opportuno riordinare e completare l’organizzazione del Dipartimento alla luce delle
nuove competenze finalità previste dalla citata legge 4 febbraio 2005, n. 11;
Considerato altresì che risulta necessario ridefinire le modalità di esercizio delle competenze attribuite al
Dipartimento in relazione ai più ampi contenuti della delega di funzioni assegnate al Ministro
con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006;
Ritenuto pertanto di dover procedere all’adeguamento della struttura dipartimentale ai fini di una più consona
razionalizzazione e funzionalità degli uffici;
Sentite le organizzazioni sindacali;
Decreta:
Art. 1. Ambito della disciplina
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1. Il presente decreto disciplina l’organizzazione interna del Dipartimento per il coordinamento delle politiche
comunitarie,
di
seguito
denominato
Dipartimento,
secondo
quanto
previsto
negli
articoli seguenti.
Art. 2. Competenze
1. Il Dipartimento è la struttura di supporto di cui il Presidente del Consiglio dei Ministri si avvale, ai sensi
dell’art. 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, per l’attività inerente all’attuazione delle politiche
comunitarie generali e settoriali e degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione europea nonchè per le azioni
di coordinamento nelle fasi di predisposizione della normativa comunitaria e dell’Unione europea, ai fini della
definizione della posizione italiana da sostenere, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione
europea.
2. In particolare il Dipartimento provvede agli adempimenti riguardanti:
a) il coordinamento, nella fase di predisposizione della normativa comunitaria e dell’Unione europea, delle
amministrazioni dello Stato competenti per settore, delle regioni e province autonome, degli operatori privati
e delle parti sociali interessate, al fine della definizione della posizione italiana da sostenere, d’intesa con il
Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea;
b) l’espletamento dell’attività funzionalmente necessaria allo svolgimento delle competenze attribuite al
CIACE ed al Comitato tecnico permanente, provvedendo agli adempimenti preliminari e conseguenti alle
riunioni dei due predetti comitati;
c) le attività necessarie ad assicurare, durante il procedimento normativo comunitario e dell’Unione europea,
il costante monitoraggio del processo decisionale anche al fine di consentire il regolare aggiornamento delle
posizioni italiane;
d) l’istruttoria degli affari relativi alle questioni europee di propria competenza per le determinazioni del
consiglio dei Ministri, verificandone l’attuazione;
e) il coordinamento delle azioni da adottare in attuazione della Strategia di Lisbona per la crescita e
l’occupazione da parte delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome, delle parti
sociali e degli operatori pubblici e privati;
f) la cura dei rapporti con gli Uffici della Commissione europea per la trattazione degli affari europei di
propria competenza;
g) le attività connesse allo svolgimento della sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni e della
Conferenza Stato-città ed Autonomie locali di cui agli articoli 17 e 18 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in
coordinamento con gli uffici di segreteria delle predette Conferenze, nonchè al coordinamento delle attività
delle Regioni e Province autonome in sede comunitaria, in collegamento con il Dipartimento per gli affari
regionali;
h) la preparazione, d’intesa con le Amministrazioni interessate, delle riunioni del Consiglio Competitività, per
la parte relativa al mercato interno, nonché delle riunioni delle altre formazioni del
Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, ad esclusione del Consiglio affari generali e relazioni esterne,
relative a singole questioni per le quali occorra garantire la presenza del Governo e il cui oggetto non rientri
nelle competenze di altri dicasteri;
i) le attività di informazione e comunicazione previste dagli articoli 3 e seguenti della legge 4 febbraio 2005,
n. 11;
j) la predisposizione della relazione annuale al Parlamento;
k) la predisposizione, l’iter parlamentare e l’attuazione della legge comunitaria annuale, nonché la
promozione, in collaborazione con le amministrazioni interessate, dei procedimenti di adeguamento
dell’ordinamento interno alle norme comunitarie e dell’Unione europea;
l) il coordinamento, la vigilanza ed il monitoraggio per la corretta e tempestiva attuazione delle norme
comunitarie e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni pubbliche e delle Regioni e Province
autonome;
m) l’attuazione delle azioni necessarie per prevenire il contenzioso dinanzi agli organi giurisdizionali
dell’Unione europea, per assicurare in fase di contenzioso, fatte salve le competenze proprie del Ministero
degli affari esteri, le condizioni di una adeguata difesa delle posizioni nazionali e per adempiere
tempestivamente alle pronunce dei suddetti organi giurisdizionali;
n) la promozione delle candidature dei cittadini italiani presso le istituzioni dell’Unione europea;
o) la formazione di operatori pubblici e privati, il dialogo interculturale con riferimento ai temi ed ai problemi
europei e alle altre iniziative di sostegno alle politiche europee, sia a livello nazionale che, d’intesa con il
Ministero degli affari esteri, dei Paesi candidati e terzi a vocazione europea, promuovendo anche strumenti di
formazione a distanza e gemellaggi;
p) la diffusione delle notizie relative alla normativa di adeguamento dell’ordinamento interno alle norme
comunitarie, che conferiscono diritti ai cittadini dell’Unione europea o ne agevolano l’esercizio, in materia di
libera circolazione delle persone e dei servizi.
Art. 3. Capo del Dipartimento
1. Il Capo del Dipartimento, nominato ai sensi degli articoli 18, 21 e 28 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e
successive modificazioni, cura l’organizzazione del Dipartimento e risponde della sua attività e dei risultati
raggiunti in relazione aglio obiettivi fissati dal Ministro. Predispone gli obiettivi della
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Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione e provvede agli adempimenti connessi al sistema
della valutazione della dirigenza di sua competenza.
2. Il Capo del Dipartimento, che si avvale di una propria segreteria, cura i rapporti con il Segretario generale
con gli altri Dipartimenti ed Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri e partecipa alle riunioni di
consultazione e di coordinamento con il Segretario generale.
3. Le funzioni vicarie, per i casi di assenza o di impedimento del Capo del Dipartimento, sono attribuite, su
proposta di quest’ultimo, dal Ministro al coordinatore di uno degli uffici del Dipartimento.
4. Il Capo del Dipartimento coordina ogni attività di carattere generale, nonché quelle strumentali al
funzionamento del Dipartimento medesimo. È responsabile della gestione e del controllo del personale per la
parte di competenza del Dipartimento.
5. Il Capo del Dipartimento, quale titolare del centro di responsabilità amministrativa relativo al Dipartimento,
assume gli impegni di spesa e dispone i pagamenti che gravano sui capitoli di competenza. Può delegare al
responsabile del Servizio affari generali, del personale e contabilità o ai coordinatori degli uffici, nell’ambito
dei settori di propria competenza, il potere di firma per l’assunzione di impegni di spese e per i relativi
pagamenti. È responsabile dell’intera gestione amministrativo-contabile di tutte le disponibilità finanziarie, ivi
comprese quelle riguardanti i fondi comunitari attribuiti al Dipartimento. È altresì responsabile della gestione
di eventuali fondi strutturali comunitari.
6. Alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento operano il Servizio affari generali, del personale e
contabilità e il Servizio rapporti istituzionali.
7. Il Servizio affari generali, del personale e contabilità assiste il Capo del Dipartimento nelle attività relative
ai punti 4 e 5 che precedono; a tale fine, cura i rapporti con le amministrazioni pubbliche e, in coordinamento
con i competenti Dipartimenti e Uffici del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la
gestione del personale e gli adempimenti in materia contabile. Cura i rapporti con l’Ufficio per il controllo
interno. Assicura, altresì, l’organizzazione e il funzionamento del protocollo informatico, dell’archivio e della
biblioteca. Nell’ambito del Servizio opera il «Referente 626» che provvede agli adempimenti previsti dal
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in ordine al monitoraggio del personale esposto a rischi
lavorativi.
8. Il Servizio rapporti istituzionali è incaricato della predisposizione della relazione annuale al Parlamento.
Raccoglie la documentazione necessaria per l’informativa alle Camere e alle Regioni e Province autonome
sulle risultanze delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo. Segue i rapporti con
le Regioni e le Province autonome e gli enti locali nelle materie di loro interesse. Il Servizio prepara, inoltre,
la documentazione da trasmettere ai membri italiani del Parlamento europeo, del Comitato economico e
sociale e del Comitato delle Regioni sulle posizioni italiane nelle materie di interesse europeo e cura la
gestione di sistemi di rilevazione automatizzata dei dati ai fini del monitoraggio dell’azione amministrativa
connessa alla normativa comunitaria e dell’Unione europea, nonché l’introduzione e l’utilizzazione di
tecnologie informatiche per le attività del Dipartimento.
Art. 4. Organizzazione del Dipartimento
1. Il Dipartimento si articola in quattro uffici, cui sono preposti coordinatori con incarico di funzione di livello
dirigenziale generale, e in tredici servizi, cui sono preposti coordinatori con incarico di funzione di livello
dirigenziale.
2. Gli incarichi di capo del Dipartimento, di coordinatore degli Uffici e dei Servizi del Dipartimento sono
conferiti in conformità a quanto disposto dall’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni.
3. Il Dipartimento si compone dei seguenti Uffici: Ufficio di Segreteria del Comitato interministeriale per gli
affari comunitari europei (CIACE), Ufficio per il mercato interno e la competitività, Ufficio per la
concorrenza, gli appalti e le politiche di coesione, Ufficio per la Cittadinanza europea.
Art. 5. Ufficio di Segreteria del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE)
1. L’Ufficio espleta l’attività funzionalmente necessaria allo svolgimento delle competenze attribuite al
CIACE ed al Comitato tecnico permanente e provvede agli adempimenti preliminari e conseguenti alle
riunioni dei due predetti comitati.
2. Assicura il coordinamento, nella fase di predisposizione della normativa comunitaria e dell’Unione
europea, delle amministrazioni dello Stato competenti per settore, delle Regioni e Province autonome, degli
operatori privati e delle parti sociali interessate, al fine della definizione della posizione italiana da sostenere,
d’intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea.
3. Assicura il costante monitoraggio del processo decisionale dell’Unione europea anche al fine di consentire
l’aggiornamento delle posizioni italiane.
4. Coordina le attività connesse allo svolgimento della sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni e
della Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
5. Assicura le attività di impulso e di monitoraggio necessarie per l’attuazione del Piano nazionale di riforma
(PNR) ed il coordinamento delle azioni che l’Italia è chiamata ad adottare in attuazione della Strategia di
Lisbona per la crescita e l’occupazione. Provvede all’individuazione e alla istruttoria dei progetti da finanziare
con il fondo per l’innovazione, la crescita e l’occupazione, ai sensi dell’art. 1, comma 357, della legge 23
dicembre 2005, n. 266.
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6. Cura le attività necessarie per la trasmissione degli atti comunitari e dell’Unione europea e la conseguente
informazione qualificata alle Camere, alla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome
ed alla Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali e delle Province autonome, ai sensi degli articoli 3 e 5
della legge 4 febbraio 2005, n. 11; provvede inoltre alla trasmissione degli atti comunitari e dell’Unione
europea alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro
(CNEL), ai sensi degli articoli 6 e 7 della medesima legge.
7. Assicura, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, il coordinamento e la coerenza con l’azione di
Governo delle iniziative volte alla formazione a distanza e ai gemellaggi nei Paesi candidati
e nei Paesi terzi a vocazione europea.
8. L’Ufficio si articola nei seguenti servizi:
a) il Servizio I - Trasporti, ambiente, telecomunicazioni ed energia, occupazione, politica sociale, salute e
consumatori – si occupa delle attività relative ai settori sopraindicati di competenza delle formazioni
corrispondenti del Consiglio dell’Unione europea;
b) il Servizio II - Competitività, agricoltura e pesca, istruzione, gioventù e cultura - si occupa delle attività
relative ai settori sopraindicati di competenza delle formazioni corrispondenti del Consiglio dell’Unione
europea;
c) il Servizio III - Affari generali e relazioni esterne, giustizia e affari interni, economia e finanze - si occupa
delle attività relative ai settori sopraindicati di competenza delle formazioni corrispondenti del Consiglio
dell’Unione europea.
Art. 6. Ufficio per il mercato interno e la competitività
1. L’Ufficio segue l’insieme delle questioni attinenti al mercato interno, ivi incluse quelle relative alla libera
circolazione delle persone, dei servizi e delle merci, alla libertà di stabilimento ed al diritto delle società.
2. Cura la preparazione, d’intesa con le Amministrazioni interessate, delle riunioni del Consiglio
competitività, parte mercato interno.
3. Collabora ai procedimenti di adeguamento dell’ordinamento nazionale agli atti comunitari in materia di
mercato interno.
4. L’Ufficio si articola nei seguenti servizi:
a) il Servizio I - Libera circolazione delle persone e dei servizi e professioni regolamentate - cura le tematiche
relative a tali materie, assicurando il punto di contatto per i riconoscimenti professionali;
b) il Servizio II - Libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e diritto delle società - cura le
tematiche relative a tali materie, assicurando il punto di contatto previsto dal regolamento n. 2679/98 del
Consiglio per la libera circolazione delle merci;
c) il Servizio III - Proprietà intellettuale e industriale e protezione dati - cura le tematiche relative a tali
materie, provvedendo alla cura dei contatti con l’Autorità garante per i dati personali e alla verifica, d’intesa
con le amministrazioni interessate, delle attività connesse alla realizzazione dei programmi comunitari nel
campo delle nuove tecnologie.
Art. 7. Ufficio per la concorrenza, gli appalti e le politiche di coesione
1. L’Ufficio assicura il monitoraggio e l’attività di informazione preventiva nei settori della concorrenza, degli
aiuti di Stato e degli appalti pubblici, al fine di garantire la coerenza della legislazione e della prassi
applicativa dello Stato e delle Regioni e Province autonome con i principi e con le norme comunitarie.
2. Partecipa ai tavoli di consultazione in sede comunitaria e nazionale sulle tematiche di cui sopra.
3. Segue le questioni relative alle politiche regionali di coesione e provvede, per quanto di competenza,
all’informazione diffusa agli enti territoriali e alle parti sociali. Cura la partecipazione alle
sedute del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).
4. Assicura il monitoraggio delle attività comunitarie in materia di concorrenza tra imprese.
5. L’Ufficio si articola nei seguenti servizi:
a) il Servizio I - Concorrenza e aiuti di Stato - cura le tematiche relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato,
assicurandone il monitoraggio e i relativi seguiti; cura i rapporti con la Commissione europea e coordina la
posizione italiana; inoltre assicura i contatti con l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato;
b) il Servizio II - Politiche regionali di coesione e appalti pubblici - segue le problematiche relative alle
politiche di coesione e provvede, per quanto di competenza, all’informazione diffusa agli enti territoriali e alle
parti sociali. Cura le tematiche relative agli appalti pubblici, assicurandone il monitoraggio e i rapporti con la
Commissione europea; partecipa alle riunioni del Comitato consultivo per gli appalti pubblici istituito presso
la Commissione europea; assicura, inoltre, i necessari contatti con l’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici.
Art. 8. Ufficio per la Cittadinanza europea
1. L’Ufficio provvede, in conformità alla disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle
pubbliche amministrazioni e in raccordo con gli altri uffici del Dipartimento, ad assicurare l’informazione
diffusa sulle politiche comunitarie e sulle attività dell’Unione europea nonché sulle iniziative promosse in tali
ambiti dal Dipartimento, con particolare riferimento a quelle più direttamente rivolte alla tutela dei diritti dei
cittadini dell’Unione europea.
2. L’ufficio promuove, inoltre, attività di informazione comunitaria ai sensi della legge 7 giugno 2000, n. 150,
e azioni di informazione volte a rafforzare la coscienza della cittadinanza europea e dei diritti fondamentali
dei cittadini, in collaborazione con le istituzioni dell’Unione europea, le amministrazioni pubbliche
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competenti per settore, le Regioni e le Province autonome, gli altri enti territoriali, le parti sociali interessate e
le organizzazioni non governative interessate.
3. Cura la diffusione delle notizie relative alla normativa di adeguamento dell’ordinamento interno alle norme
comunitarie, che conferiscono diritti ai cittadini dell’Unione europea o ne agevolano l’esercizio, in materia di
libera circolazione delle persone e dei servizi. 4. Provvede alle azioni necessarie all’adeguamento coerente e
tempestivo delle amministrazioni pubbliche agli atti comunitari e dell’Unione europea, nonché alle azioni
necessarie a prevenire il contenzioso dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione europea e per adempiere
alle loro pronunce. È preposto alla istruttoria, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, sulla opportunità di
presentare ricorsi ai suddetti organi o di intervenire in procedimenti in corso per la tutela di situazioni di
rilevante interesse nazionale. Cura, inoltre, l’attività del Centro SOLVIT italiano, competente alla risoluzione
di questioni inerenti alla corretta applicazione delle norme del mercato interno da parte delle pubbliche
amministrazioni nei confronti di cittadini e imprese dell’Unione europea.
5. L’Ufficio istruisce, nelle materie di competenza del Dipartimento, le attività relative ai partenariati con i
Paesi candidati e con i Paesi terzi a vocazione europea. Promuove iniziative formative in materia comunitaria
del personale pubblico delle amministrazioni centrali, delle Regioni e Province autonome e degli enti
territoriali, in accordo con i competenti uffici del Segretariato generale, le amministrazioni competenti e in
collaborazione con operatori privati. L’Ufficio fornisce l’assistenza formativa al personale pubblico e privato
dei Paesi candidati all’Unione europea, dei Paesi terzi a vocazione europea, nonchè di quelli rientranti nella
politica di vicinato, finanziata da fondi nazionali e/o comunitari.
6. L’Ufficio si articola nei seguenti servizi:
a) il Servizio I - Informazione e comunicazione - cura la promozione dell’informazione e della comunicazione
in materia comunitaria, nonché della partecipazione, con aree espositive, ai saloni nazionali di comunicazione
pubblica e di servizi al cittadino. Organizza e aggiorna il sito internet del Dipartimento;
b) il Servizio II - Procedure di infrazione e Solvit - attua le azioni necessarie per prevenire il contenzioso
dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione europea e collabora alla difesa delle posizioni nazionali nella
fase contenziosa. Cura, inoltre, l’attività del centro SOLVIT italiano;
c) Il Servizio III - Partenariati e formazione - si occupa della formazione in materia comunitaria del personale
della pubblica amministrazione e del personale pubblico e privato dei Paesi indicati nel precedente comma 5.
Art. 9. Ulteriori competenze degli uffici del Dipartimento
1. Gli Uffici coordinano, nelle materie di propria competenza, le amministrazioni dello Stato, le Regioni e
Province autonome e consultano le parti sociali e gli operatori privati nella fase di predisposizione della
normativa comunitaria e dell’Unione europea, come previsto dall’art. 2, comma 2, lettera a), del presente
decreto, e curano, altresì, d’intesa con il settore legislativo e in collaborazione con le amministrazioni centrali
e regionali interessate, le attività dirette al recepimento e all’attuazione delle direttive comunitarie.
2. L’Ufficio per il mercato interno e la competitività, l’Ufficio per la concorrenza, gli appalti e le politiche di
coesione e l’Ufficio per la Cittadinanza europea forniscono, nelle materie di rispettiva competenza, una
costante informativa all’Ufficio di segreteria del CIACE al fine di consentire a quest’ultimo di svolgere gli
adempimenti necessari per la preparazione delle attività dello stesso Comitato interministeriale e del Comitato
tecnico.
Art. 10. Nucleo della Guardia di finanza per la repressione delle frodi comunitarie
Il Nucleo della Guardia di finanza per la repressione delle frodi comunitarie dipende funzionalmente dal Capo
del Dipartimento. Esso svolge attività di assistenza del Comitato omologo, istituito ai sensi dell’art. 76, della
legge 19 febbraio 1992, n. 142.
Art. 11. Disposizioni finali
1. È abrogato il decreto del Ministro per le politiche comunitarie emanato in data 9 febbraio 2006.
2. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Roma, 9 ottobre 2006
Il Ministro per le politiche europee: Bonino Registrato alla Corte dei conti il 10 novembre 2006
Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 12, foglio n. 83.
A seguito della entrata in vigore della legge 11/2005, nel gennaio 2006 viene adottato il
regolamento che disciplina il funzionamento del CIACE, Comitato interministeriale
per gli affari comunitari, e il regolamento che disciplina il funzionamento del
Comitato tecnico permanente, strutture entrambe prevista dalla stessa legge 11.
L’origine di entrambe le strutture risiede nella volontà di coinvolgere rispettivamente i
massimi rappresentanti politici e i vertici delle amministrazioni.
Il CIACE rappresenta una novità di particolare rilievo elaborata sulla scorta di esempi di
diritto comparato con altri Stati membri. Istituito presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il CIACE rappresenta una sorta di “Gabinetto degli affari europei”. Attraverso
questo strumento snello e di facile convocazione, si realizza l’approfondimento delle
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tematiche riguardanti la partecipazione del nostro Paese all’Unione Europea,
coordinando tra loro i Ministri interessati alle materie poste, di volta in volta, all’ordine
del giorno, con l’obiettivo di definire una linea ampiamente condivisa. La norma
prevede anche la possibilità per le regioni, le province autonome e gli enti locali di
partecipare al CIACE quando all’ordine del giorno vi siano questioni di loro interesse.
Al momento risultano tre riunioni del CIACE (marzo, luglio e ottobre 2006). Il CIACE,
per la preparazione delle proprie riunioni, si avvale di un Comitato Tecnico permanente
istituito presso il Dipartimento per le Politiche Comunitarie, composto da direttori
generali o alti funzionari con qualificata specializzazione, individuato dall’organo di
vertice di ciascuna amministrazione del Governo, comprese anche le Agenzie e le
Autorità indipendenti, designa il proprio, con la partecipazione di rappresentanti delle
Regioni nelle forme stabilite dalla legge 11/2005. Il Comitato Tecnico quindi, così
come il Comitato Interministeriale, ha una composizione variabile: se giuridicamente ne
fanno parte tutte le Amministrazioni centrali, la partecipazione alle singole riunioni è
prevista per le amministrazioni che siano direttamente interessate agli ordini del giorno.
Il Comitato Tecnico svolge un funzione di coordinamento volta a:
- ridurre la discrasia tra fase ascendente e fase discendente, allo scopo di attuare in
modo più compiuto il recepimento della normativa comunitaria
- acquisire in modo sistematico le valutazioni delle amministrazioni coinvolte sui
temi in discussione;
- elaborare la posizione che abbia il maggiore consenso sulla posizione nazionale da
tenere;
- elaborare una strategia negoziale complessiva che tenga conto degli specifici ambiti
settoriali.
Il Comitato tencico si è riunito tredici volte nel corso del 2006.
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 9 gennaio 2006, Regolamento per
il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), istituito
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dall’articolo 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri»;
Visto l’art. 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al
processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari»;
visto, in particolare, l’art. 2, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, che rimette ad apposito decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri la disciplina del funzionamento del Comitato interministeriale per gli
affari comunitari europei (CIACE);
Sentito il parere del Ministro degli affari esteri in data 11 novembre 2005 e del Ministro per gli affari
regionali in data 16 novembre 2005;
Sentito il parere della Conferenza unificata Stato-regioni, città e autonomie locali in data 15 dicembre 2005;
Acquisito il parere del Consiglio di Stato n. 5167/2005, espresso dalla sezione consultiva per gli atti
normativi nell’adunanza del 19 dicembre 2005;
Su proposta del Ministro per le politiche comunitarie;
Adotta il seguente regolamento:
Art. 1. Compiti del CIACE
1. Al fine di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana
nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea, il Comitato interministeriale per gli
affari comunitari europei, di seguito denominato «CIACE», istituito presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri ai sensi dell’art. 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, procede all’esame e al coordinamento degli
orientamenti delle amministrazioni e degli altri soggetti interessati, anche sulla base delle osservazioni e degli
atti adottati dal Parlamento e dagli organi parlamentari ai sensi degli articoli 3, comma 7, e 4, comma 3, della
legge 4 febbraio 2005, n. 11, nonchè delle osservazioni trasmesse dalle regioni e dalle province autonome e
dagli enti locali ai sensi, rispettivamente, dell’art. 5, comma 3, e dell’art. 6, comma 1, della medesima legge.
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2. Il CIACE definisce le linee generali e impartisce le direttive per l’attività del comitato tecnico di cui all’art.
2, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
Art. 2. Ulteriori funzioni del CIACE
1. Ai fini di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto il CIACE può inoltre, nell’ambito delle proprie
funzioni:
a) esprimersi in merito all’opportunità di apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea una
riserva di esame parlamentare ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
b) esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie, questioni di particolare rilievo emerse nel
corso della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, convocata dal Governo a norma dell’art. 5, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
c) proporre al Ministro per gli affari regionali le questioni relative all’elaborazione degli atti comunitari e
dell’Unione europea da sottoporre alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, anche ai fini della convocazione della sessione comunitaria a
norma dell’art. 17 della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
d) esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie, questioni di particolare rilievo emerse nel
corso della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, convocata ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge 4
febbraio 2005, n. 11, e proporre al Ministro per le politiche comunitarie le questioni di particolare rilevanza
negli ambiti di competenza degli enti locali da sottoporre alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali ai
fini della convocazione della sessione comunitaria a norma dell’art. 18 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
2. Al fine di consentire il puntuale adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea il CIACE può inoltre, nell’ambito delle proprie funzioni:
a) esprimere valutazioni e segnalazioni in merito allo stato di conformità dell’ordinamento interno e degli
indirizzi di politica del Governo agli atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea e
delle Comunità europee, ai fini dell’art. 8, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e formulare le
direttive e gli indirizzi conseguenti;
b) pronunciarsi sulle misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario e
dell’Unione europea di cui all’art. 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, formulando valutazioni e proposte;
c) adottare direttive per il coordinamento delle amministrazioni dello Stato in vista della approvazione del
disegno di legge comunitaria, sulla base degli indirizzi del Parlamento, delle indicazioni delle
amministrazioni interessate e del parere della Conferenza Stato-regioni;
d) formulare valutazioni e proposte ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi previsti dalla legislazione
vigente, esprimendosi sulla opportunità di intervenire con provvedimento legislativo;
e) proporre questioni relative all’attuazione degli atti comunitari e dell’Unione europea da sottoporre alla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
anche ai fini della convocazione della sessione comunitaria, a norma dell’art. 17 della legge 4 febbraio 2005,
n. 11;
f) valutare la coerenza degli obiettivi di semplificazione e di qualità della regolazione con la definizione della
posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea nella fase di predisposizione della normativa
comunitaria, ai sensi dell’art. 20, comma 8-bis, della legge 15 marzo 1997, n. 59, introdotto dall’art. 1,
comma 1, lettera d), della legge 28 novembre 2005, n. 246.
3. Può inoltre formulare valutazioni e proposte in merito alle azioni necessarie per prevenire il contenzioso
comunitario e dell’Unione europea, nonchè in merito all’opportunità di presentare ricorsi di fronte alla Corte
di giustizia per la tutela di situazioni di rilevante interesse nazionale, anche a norma dell’art. 5, comma 2,
primo periodo, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e di intervenire in procedimenti in corso nei quali siano in
discussione questioni di rilievo nazionale.
4. Il CIACE può altresi’ pronunciarsi, nell’ambito delle proprie funzioni, su qualunque altro argomento sia
sottoposto alla sua attenzione dall’Amministrazione di settore competente.
Art. 3. Funzionamento del CIACE
1. Il CIACE è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o dal Ministro per le politiche
comunitarie, ed è da questi convocato anche su richiesta del comitato tecnico di cui al comma 4.
2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie fissa l’ordine del giorno
delle riunioni del Comitato che, anche attraverso strumenti informatici, è trasmesso tempestivamente a tutti i
Ministri interessati, alla Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e ai
presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.
3. A norma dell’art. 2, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, alle riunioni del CIACE, quando si
trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare il
presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di
regione o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i presidenti
delle associazioni rappresentative di questi ultimi.
4. Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale del comitato tecnico permanente istituito
presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie a norma dell’art. 2, comma 4, della
legge 4 febbraio 2005, n. 11.
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5. Le linee generali, le direttive e gli indirizzi deliberati dal CIACE sono comunicati alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri ai fini della definizione unitaria della posizione italiana
da rappresentare in seno alle istituzioni e agli organismi dell’Unione europea.
6. Le linee generali, le direttive e gli indirizzi deliberati dal CIACE sono altresi’ comunicati, oltre che al
comitato tecnico, al Parlamento, alla Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano,ai presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali e alla Conferenza Stato-città ed
autonomie locali.
7. Il CIACE può disciplinare con proprio regolamento ulteriori modalità di funzionamento, operando secondo
il metodo della programmazione.
Art. 4. Segreteria del CIACE
1. Nell’ambito del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie opera l’ufficio di segreteria,
di livello dirigenziale generale, che espleta l’attività funzionalmente necessaria allo svolgimento delle
attribuzioni del CIACE e del comitato tecnico permanente.
2. L’ufficio di segreteria è composto da trenta unità di personale scelte tra pubblici dipendenti appartenenti ai
ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri o ai ruoli del Ministero degli affari esteri ovvero di altre
amministrazioni pubbliche, collocate in posizione di distacco funzionale senza oneri per la Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
3. Il coordinatore dell’ufficio di segreteria del CIACE è segretario anche del comitato tecnico. È nominato
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le politiche comunitarie, ai
sensi dell’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e dell’art. 9 del decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 303, tra persone di elevata professionalità e comprovata esperienza.
4. Il coordinatore dell’ufficio di segreteria predispone, su indicazione del Presidente del CIACE, l’ordine del
giorno dei lavori, redige i verbali delle riunioni e cura la conservazione del registro delle deliberazioni.
5. L’attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo è subordinata al rispetto delle dotazioni
organiche della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’art. 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
303.
Art. 5. Disposizioni finali
Dal presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 6. Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana. Roma, 9 gennaio 2006
Il Presidente: Berlusconi
Registrato alla Corte dei conti il 24 gennaio 2006 Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei
Ministri,registro n. 1, foglio n. 121.
DECRETO 9 gennaio 2006 Regolamento per il funzionamento del Comitato tecnico permanente istituito
presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie dall’articolo 2, comma 4, della legge
4 febbraio 2005, n. 11.
IL MINISTRO PER LE POLITICHE COMUNITARIE
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri»;
Visto l’art. 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al
processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari»;
Visto, in particolare, l’art. 2, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, che rimette ad apposito decreto
ministeriale la disciplina del funzionamento del comitato tecnico permanente;
Sentito il parere del Ministro degli affari esteri in data 11 novembre 2005 e del Ministro per gli affari
regionali in data 16 novembre 2005;
Sentito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano in data 15 dicembre 2005;
Acquisito il parere del Consiglio di Stato n. 5178/2005, espresso dalla sezione consultiva per gli atti
normativi nell’adunanza del 19 dicembre 2005;
Vista la comunicazione del presente decreto al Presidente del Consiglio dei Ministri a norma dell’art. 17,
comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;
Adotta il seguente regolamento:
Art. 1. Compiti del comitato tecnico
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1. Il comitato tecnico permanente, di seguito denominato «comitato tecnico», istituito presso il Dipartimento
per il coordinamento delle politiche comunitarie ai sensi dell’art. 2, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n.
11, assiste il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, di seguito denominato «CIACE»,
nello svolgimento dei compiti di cui all’art. 2, comma 1, della legge 4 febbraio 2005, n 11.
2. Il comitato tecnico svolge le attività preparatorie e di coordinamento in funzione delle riunioni del CIACE
e tutte le attività ad esse connesse e conseguenti, secondo le linee generali e le direttive impartite dal CIACE.
3. Il comitato tecnico opera in collegamento con gli uffici del Dipartimento per il coordinamento delle
politiche comunitarie, con il Ministero degli affari esteri che si avvale della rappresentanza permanente
d’Italia presso l’Unione europea, di seguito denominata «ITALRAP», nonchè, quando si trattano questioni
che interessano anche le regioni e le province autonome, con le regioni e le province autonome.
4. Il comitato tecnico, sulla base degli atti trasmessi dal Ministero degli affari esteri che si avvale di
ITALRAP, acquisisce gli elementi utili alla determinazione della posizione del Governo.
Art. 2. Composizione del comitato tecnico
1. Il comitato tecnico è composto da direttori generali o alti funzionari con qualificata specializzazione.
2. L’organo di vertice di ciascuna amministrazione del Governo, comprese anche le Agenzie previste dal
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e le Autorità indipendenti, designa il proprio rappresentante e un
rappresentante supplente in seno al comitato tecnico.
3. Le designazioni di cui al comma 2 devono pervenire al Ministro per le politiche comunitarie entro trenta
giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.
4. La mancata designazione di uno o più componenti non infirma la costituzione e l’operatività dell’organo.
5. Il Ministro per le politiche comunitarie provvede con proprio decreto alla nomina dei componenti del
comitato tecnico sulla base delle designazioni pervenute ai sensi del comma 2.
6. I componenti del comitato tecnico durano in carica tre anni e possono essere confermati secondo le
modalità previste dal comma 5. Ogni componente rimane in carica sino alla nomina del successore.
7. Le modifiche della composizione del comitato tecnico sono disposte dal Ministro per le politiche
comunitarie con proprio decreto, su proposta dell’amministrazione interessata.
Art. 3. Sede e funzionamento del comitato tecnico
1. Il comitato tecnico ha la propria sede presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche
comunitarie.
2. Il comitato tecnico è convocato, coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o da un
suo delegato, che fissa l’ordine del giorno delle riunioni, del quale è data comunicazione a tutti i componenti.
3. Alle riunioni del comitato tecnico partecipano di norma, personalmente o tramite supplente, i membri
aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inserite all’ordine del giorno e i
componenti comunque interessati.
4. Alle riunioni del comitato tecnico i componenti possono essere affiancati da due funzionari della stessa
amministrazione competenti per materia.
5. Alle riunioni del comitato tecnico può partecipare, anche in videoconferenza, il rappresentante permanente
d’Italia presso l’Unione europea o un suo delegato di volta in volta designato.
6. Il comitato tecnico si riunisce in sedute programmate, tenuto conto del calendario delle sedute del Comitato
dei Rappresentanti Permanenti, di seguito denominato «COREPER».
7. Il comitato tecnico può acquisire, anche attraverso audizioni di esperti, dati ed elementi necessari ai fini
della formazione della posizione italiana sui progetti di atti comunitari e dell’Unione europea.
8. Secondo le linee generali definite dal CIACE, sulla base dell’istruttoria effettuata d’intesa con le
amministrazioni interessate, il comitato tecnico individua gli elementi rilevanti per la definizione della
posizione del Governo sui singoli progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, può chiedere al suo
Presidente di sollecitare una convocazione del CIACE per la trattazione di singole questioni.
9. Delle sedute del comitato tecnico viene redatto verbale. Esso è trasmesso al CIACE, al Ministero degli
affari esteri, anche per il successivo inoltro ad ITALRAP, e alle amministrazioni competenti per materia.
Art. 4. Partecipazione delle regioni e delle province autonome alle riunioni del comitato tecnico
1. La partecipazione delle regioni e delle province autonome alla formazione della posizione italiana rispetto
ai progetti di atti normativi comunicati e dell’Unione europea è garantita mediante le procedure di cui all’art.
5 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
2. Ai fini della preparazione delle riunioni integrate del CIACE di cui all’art. 2, comma 2, della legge 4
febbraio 2005, n. 11, alle riunioni del comitato tecnico partecipa, anche in videoconferenza, un assessore per
ogni regione e provincia autonoma o un suo supplente, da esse designato, competente per le materie in
trattazione.
3. La mancata designazione di uno o più assessori non infirma la costituzione e il funzionamento dell’organo.
4. Il comitato tecnico in composizione integrata è convocato e presieduto dal Ministro per le politiche
comunitarie in accordo con il Ministro per gli affari regionali presso la sede della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
5. Secondo le linee generali definite dal CIACE, sulla base dell’istruttoria effettuata d’intesa con le
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amministrazioni interessate, il comitato tecnico in composizione integrata individua gli elementi rilevanti per
la definizione della posizione italiana sui singoli progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, può
chiedere al suo Presidente di sollecitare una convocazione del CIACE in via straordinaria per la trattazione di
singole questioni.
6. Il comitato tecnico «integrato» opera secondo le procedure di cui all’art. 3, commi 3, 4, 5, 6, 7 e 9, del
presente decreto.
Art. 5. Ufficio di segreteria
1. L’ufficio di segreteria del comitato tecnico opera presso il Dipartimento per il coordinamento delle
politiche comunitarie, come previsto dall’art. 4 del regolamento per il funzionamento del Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE).
2. L’ufficio di segreteria provvede agli adempimenti preliminari e conseguenti alle riunioni del comitato
tecnico e cura la documentazione necessaria per le attività del comitato stesso.
3. L’organizzazione dell’ufficio di segreteria è articolata sulla base delle competenze dei Ministri dell’Unione
europea.
4. Il coordinatore dell’ufficio di segreteria, nominato ai sensi dell’art. 4, comma 3, del regolamento per il
funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, predispone, su indicazione del
Presidente del comitato tecnico, l’ordine del giorno dei lavori, redige i verbali delle riunioni e cura la
conservazione del registro delle deliberazioni.
Art. 6. Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Roma, 9 gennaio 2006
Il Ministro: La Malfa
Registrato alla Corte dei conti il 24 gennaio 2006
Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 1, foglio n. 122
1.4 Le Regioni, le questioni comunitarie e gli affari internazionali
In ambito comunitario le Regioni e gli enti locali sono rappresentati nel Comitato delle
Regioni. Istituito nel 1994 con il Trattato di Maastricht, per la prima volta riconosce
istituzionalmente le istanze provenienti dagli enti territoriali, regioni ed enti locali, in
piena coerenza con il principio di sussidiarietà, che in quegli stessi anni andava
affermandosi con crescente incisività.
I membri del Comitato sono nominati dal Consiglio, all’unanimità, secondo la usuale
ripartizione tra gli Stati. Il Comitato è attualmente composto da 344 membri; il
Presidente è eletto dal Comitato tra i suoi membri, per un mandato biennale. Le
competenze del Comitato sono consultive e di proposta nei confronti del Consiglio o
della Commissione, e si articolano principalmente in pareri obbligatori, nei casi previsti
dal Trattato, e in pareri facoltativi che possono essere richiesti dal Consiglio o dalla
Commissione in tutti i casi in cui dette istituzioni lo ritengano opportuno. I casi di
consultazione obbligatoria, inizialmente incentrati sulle tematiche autonomistiche, sono
stati poi estesi (in particolare dal Trattato di Amsterdam) a più generali questioni come
la politica sociale, l’ambiente, la formazione professionale. Il Comitato delle regioni ha
la possibilità di presentare di propria iniziativa un parere su temi di rilevanza regionale e
degli enti locali.
Nell’ambito delle attività del Comitato delle Regioni è stata di recente isttuita una
piattaforma di monitoraggio del processo di Lisbona. Questa piattaforma, che oggi
conta circa 65 membri, rappresenta uno strumento operativo che consente agli enti
locali e regionali di mettere in risalto le proprie attività nell’attuazione della strategia e
di promuovere gli scambi di esperienze, favorendo una prospettiva non più puramente
nazionale.
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Di recente il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ha fissato i criteri per la
nuova ripartizione tra le collettività regionali e locali del numero dei componenti italiani
del Comitato.
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 19 dicembre 2006 (Gazzetta
Ufficiale N. 302 del 30 Dicembre 2006), “Nuova ripartizione tra le collettività regionali e locali del
numero dei componenti italiani del Comitato delle regioni, di cui all’articolo 263 del Trattato C.E.
Annullamento e sostituzione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2006.”
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto l’art. 263 del Trattato che istituisce la Comunità europea, il quale istituisce un Comitato a carattere
consultivo, designato «Comitato delle regioni», composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali;
Visti in particolare i commi terzo e quarto del citato art. 263, che assegnano allo Stato italiano il compito di
proporre al Consiglio dell’Unione europea ventiquattro membri titolari e ventiquattro membri supplenti del
predetto Comitato delle regioni;
Considerato che i membri da designare da parte dello Stato italiano devono rappresentare sia le collettività
regionali che quelle provinciali e comunali;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2006, recante: «Nuove modalità per
la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all’Italia tra i rappresentanti delle
collettività regionali e locali ed abrogazione del precedente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
11 gennaio 2002»;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
espresso nella seduta del 30 novembre 2006;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante: «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri», e successive modificazioni;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, recante: «Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59», e successive modificazioni;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2006, con il quale l’on. professoressa Linda
Lanzillotta è stata nominata Ministro senza portafoglio;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 maggio 2006 con il quale al predetto Ministro
senza portafoglio è stato conferito l’incarico per gli affari regionali e le autonomie locali;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006, recante «Delega di funzioni del
Presidente del Consiglio dei ministri in materia di affari regionali e autonomie locali al Ministro senza
portafoglio on. prof.ssa Linda Lanzillotta»;
Su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali;
Decreta:
Art. 1.
1. Ai fini della proposta di cui all’art. 263, comma quarto, del Trattato che istituisce la Comunità europea, i
membri titolari del Comitato delle regioni sono così ripartiti tra le autonomie regionali e locali:
a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 14;
b) province: 3;
c) comuni: 7.
2. I membri del Comitato delle regioni sono indicati per le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, quelli delle province e dei comuni
rispettivamente dall’Unione province d’Italia (UPI) e dall’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI).
3. Con le modalità di cui al comma 2 sono altresì indicati ventiquattro membri supplenti, secondo la seguente
ripartizione:
a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 8;
b) province: 7;
c) comuni: 9.
4. Possono essere designati quali membri titolari o supplenti del Comitato delle regioni i presidenti delle
regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci ed i componenti
dei rispettivi consigli e delle giunte.
5. Il presente decreto annulla e sostituisce il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio
2006, recante:
«Nuove modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all’Italia tra i
rappresentanti delle collettività regionali e locali ed abrogazione del precedente decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 11 gennaio 2002».
Roma, 19 dicembre 2006
Il Presidente del Consiglio dei Ministri Prodi
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali Lanzillotta.
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Il mutato quadro costituzionale ha portato le Regioni e gli enti territoriali a vedersi
finalmente riconosciuto un ruolo più rilevante e meglio definito nei rapporti con la
Comunità Europea e, più in generale, nei rapporti internazionali. Rileva in particolare la
partecipazione alla fase cd. ascendente e discendente, cui abbiamo già fatto più di un
cenno introducendo la l. 11/2005. In estrema sintesi ricordiamo che le recenti riforme
hanno posto leggi nazionali e regionali su un piano di parità per quanto riguarda il
rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (Cost. art. 117, comma 1) e
definito il ruolo delle Regioni nella attuazione ed esecuzione degli atti dell’Unione
Europea (Cost. art. 117, comma 5).
Gli interventi legislativi intervenuti a specificare le nuova competenze regionali, a
livello nazionale e a livello regionale, sono:
- l. 131/2003 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” (G.U. n. 132 del 10 Giugno
2003), in particolare con riferimento al’art. 5;
- la stessa l. 11/2005 e i successivi regolamenti: D.P.C.M. 9 gennaio 2006,
“Regolamento per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari
comunitari europei (CIACE), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 febbraio 2005, n. 11” e il Decreto
del Ministro per le Politiche Comunitarie 9 gennaio 2006, “Regolamento per il
funzionamento del Comitato tecnico permanente istituito presso il Dipartimento
per il coordinamento delle politiche comunitarie dall’articolo 2, comma 4, della
legge 4 febbraio 2005, n. 11”, entrambi in G.U. n. 28 del 3 febbraio 2006.
Pur non potendo riferire in questa sede della complessità del dibattito sul cd potere
estero delle regioni occorre ricordare che, accanto allo Stato, un significativo ruolo su
questo fronte è svolto dalle Regioni, alle quali, a partire dal D.P.R. 24 luglio 1977, n.
616, il legislatore statale stesso ha attribuito un primo, ristretto, ambito di competenza in
materia internazionale, prevalendo allora la tendenza a lasciare le competenze in materia
di rapporti internazionali allo Stato. Il percorso del riconoscimento alle regioni di tale
competenza è passato anche attraverso la giurisprudenza costituzionale. Ad iniziare
dalla sentenza n. 179 del 1987, la Corte Costituzionale ha introdotto la distinzione tra le
attività inerenti i rapporti internazionali in senso stretto, di competenza statale, e le
attività promozionali per lo sviluppo economico, sociale, culturale, poi distinte anche in
attività di mero rilievo internazionale, per le quali era ammessa una competenza
regionale, distinzione ripresa dal d.P.R. 31 marzo 1994 (Atto di indirizzo e
coordinamento in materia di attività all’estero delle regioni e delle province autonome).
Anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione, era quindi riconosciuto alle
regioni la competenza ad intervenire in materia di rapporti internazionali, sia pure con
forme di controllo da parte dello Stato (previa intesa, previo assenso…).
Le disposizioni del nuovo art. 117 non forniscono in realtà una definizione esatta di
“potere estero”, individuando due livelli distinti: la politica estera, di competenza
esclusiva dello Stato; i rapporti internazionali, di competenza concorrente.
Confermando il principio per il quale l’esclusività della competenza in capo allo Stato si
giustifica in presenza di una (superiore) esigenza di unitarietà dei rapporti esteri dello
Stato.
L’art. 6 della L. 5 giugno 2003 n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), di attuazione
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delle disposizioni dell’articolo 117, quinto e nono comma, dispone in ordine
all’esercizio del potere estero delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano.
In sintesi, le Regioni e le Province autonome, nelle materie di propria competenza
legislativa:
- provvedono direttamente all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali
ratificati, dandone preventiva comunicazione al Ministero ed alla Presidenza del
Consiglio dei ministri (comma 1);
- possono concludere, con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire
il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero
rilievo internazionale, dandone comunicazione prima della firma alla Presidenza del
Consiglio dei ministri ed al Ministero degli affari esteri (comma 2);
- possono concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi
internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnicoamministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro
sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e
dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all’articolo 117,
terzo comma, della Costituzione, dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello
Stato (comma 3).
Per quanto riguarda il ruolo delle Regioni nella attuazione dell diritto comunitario, oltre
alla già citata legge 11/2005, un nuovo strumento è stato comunque disposto dalla
Legge Finanziaria 2007, che, oltre a ribadire la possibilità dell’esercizio da parte dello
Stato dei poteri sostitutivi necessari nei confronti delle autonomie territoriali che si
rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa
comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di
Giustizia delle Comunità europee, ha anche introdotto l’istituto della rivalsa dello Stato
nei confronti dei medesimi soggetti per gli eventuali oneri finanziari derivanti da
sentenze di condanna rese dalla Corte ai sensi dell’articolo 228, comma 2, del Trattato
(art. 1, commi 1213-1222). La Finanziaria 2007 prevede che le regioni adottino ogni
misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, di
obblighi comunitari, per prevenire l’instaurazione delle procedure d’infrazione (artt. 226
e ss. Trattato) o per porre termine alle stesse. È stato perciò esplicitato l’obbligo di
adeguamento tempestivo ai principi del diritto comunitario da parte delle Regioni e
delle Province autonome, con la contestuale previsione dell’esercizio, da parte dello
Stato, dei poteri sostitutivi necessari in caso di inadempimento. Inoltre è stato sancito il
diritto dello Stato di rivalersi, nei confronti dei soggetti responsabili delle violazioni
degli obblighi comunitari, degli oneri finanziari sofferti in conseguenza di sentenze di
condanna rese non solo dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, ma anche in
relazione agli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna
rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Costituzione della Repubblica italiana
Art. 117.
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea;
diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
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d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;
sistematributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea
delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca
scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione;
ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto
e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle
decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da
legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città
metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella
vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
Legge 131/2003 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”
Art. 5. (Attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione sulla partecipazione delle egioni in
materia comunitaria)
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro
competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell’ambito delle delegazioni del
Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione
europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della
particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l’unitarietà della rappresentazione della
posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. Nelle delegazioni del Governo deve
essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano. Nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell’articolo 117, quarto
comma, della Costituzione, il Capo delegazione, che può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di
Provincia autonoma, è designato dal Governo sulla base di criteri e procedure determinati con un accordo
generale di cooperazione tra Governo, Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale stipulato in sede di
Conferenza Stato-Regioni. In attesa o in mancanza di tale accordo, il Capo delegazione è designato dal
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Governo. Dall’attuazione del presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
1. Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il
Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti
normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni o delle Province autonome. Il
Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a
maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.
Art. 6. (Attuazione dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull’attività internazionale
delle regioni)
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa,
provvedono direttamente all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali ratificati, dandone
preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri –
Dipartimento per gli affari regionali, i quali, nei successivi trenta giorni dal relativo ricevimento, possono
formulare criteri e osservazioni. In caso di inadempienza, ferma restando la responsabilità delle Regioni verso
lo Stato, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 8, commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili.
2. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa,
possono concludere, con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo
economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale, dandone
comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari
regionali ed al Ministero degli affari esteri, ai fini delle eventuali osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri
competenti, da far pervenire a cura del Dipartimento medesimo entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali
le Regioni e le Province autonome possono sottoscrivere l’intesa. Con gli atti relativi alle attività sopra
indicate, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano non possono esprimere valutazioni relative
alla politica estera dello Stato, né possono assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari
per lo Stato o che ledano gli interessi degli altri soggetti di cui all’articolo 114, primo comma, della
Costituzione.
3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa,
possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali
regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica
finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica
estera italiana, nonché, nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei princìpi
fondamentali dettati dalle leggi dello Stato. A tale fine ogni Regione o Provincia autonoma dà tempestiva
comunicazione delle trattative al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri –
Dipartimento per gli affari regionali, che ne danno a loro volta comunicazione ai Ministeri competenti. Il
Ministero degli affari esteri può indicare princìpi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati; qualora
questi ultimi si svolgano all’estero, le competenti rappresentanze diplomatiche e i competenti uffici consolari
italiani, previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, collaborano alla conduzione delle
trattative. La Regione o la Provincia autonoma, prima di sottoscrivere l’accordo, comunica il relativo progetto
al Ministero degli affari esteri, il quale, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli
affari regionali, ed accertata l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo, ai sensi del presente comma,
conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione
di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112.
Gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli.
4. Agli accordi stipulati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano è data pubblicità in
base alla legislazione vigente.
5. Il Ministro degli affari esteri può, in qualsiasi momento, rappresentare alla Regione o alla Provincia
autonoma interessata questioni di opportunità inerenti alle attività di cui ai commi da 1 a 3 e derivanti dalle
scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato e, in caso di dissenso, sentita la Presidenza del Consiglio
dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali, chiedere che la questione sia portata in Consiglio dei
ministri che, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla
questione.
6. In caso di violazione degli accordi di cui al comma 3, ferma restando la responsabilità delle Regioni verso
lo Stato, si applicano le disposizioni dell’articolo 8, commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili.
7. Resta fermo che i Comuni, le Province e le Città metropolitane continuano a svolgere attività di mero
rilievo internazionale nelle materie loro attribuite, secondo l’ordinamento vigente, comunicando alle Regioni
competenti ed alle amministrazioni di cui al comma 2 ogni iniziativa.
CORTE COSTITUZIONALE, SENT. 238/2004
---OMISSIS--Considerato in diritto
1.- I ricorsi, proposti rispettivamente dalla Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 59 del 2003) e dalla
Regione Sardegna (reg. ric. n. 61 del 2003), sollevano, fra le altre, questione di legittimità costituzionale
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dell’art. 6, commi 1, 2, 3 e 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
…omissis…
Le ricorrenti, con argomentazioni identiche, sostengono, in primo luogo, che dette disposizioni sono lesive
della competenza delle Regioni e delle Province autonome in quanto detterebbero una disciplina “specifica,
compiuta ed analitica”, invece di limitarsi a dettare norme di principio, come avrebbero dovuto fare, attenendo
esse alla materia, di competenza concorrente, dei “rapporti internazionali delle Regioni”, limite questo che
riguarderebbe anche le leggi statali chiamate, ai sensi del nono comma dell’art. 117 della Costituzione, a
disciplinare i “casi” e le “forme” degli accordi delle Regioni con altri Stati e delle loro intese con enti
territoriali interni ad essi.
In secondo luogo le ricorrenti sostengono che, anche a voler accedere alla diversa interpretazione secondo cui
tali ultime leggi statali costituiscano esercizio di una competenza integralmente riservata allo Stato, la
disciplina statale non potrebbe riguardare altro che i “casi” e le “forme” degli accordi e delle intese, mentre
l’impugnato art. 6 andrebbe oltre, non limitandosi ad individuare i tipi di accordi che le Regioni possono
concludere con altri Stati e a fissare regole procedurali, ma prevedendo poteri di ingerenza nel merito da parte
dello Stato suscettibili di eliminare sostanzialmente il potere di decisione regionale. In particolare,
realizzerebbero tale ingerenza la previsione del potere ministeriale di dettare principi e criteri direttivi da
seguire nella conduzione dei negoziati; l’imposizione della collaborazione con le rappresentanze diplomatiche
e gli uffici consolari quando le trattative si svolgano all’estero; la previsione di un accertamento preventivo
dell’opportunità politica e della legittimità dell’accordo (comma 3); la previsione del potere ministeriale di
rappresentare “in qualsiasi momento” alla Regione o alla Provincia autonoma interessata questioni di
opportunità e di devolvere in caso di dissenso la decisione al Consiglio dei ministri (comma 5); nonché la
previsione del necessario conferimento di pieni poteri da parte del Ministro degli esteri, a pena di nullità
dell’accordo (comma 3), poiché si tratterebbe di un istituto riguardante i soli trattati fra Stati, mentre gli
accordi delle Regioni non sarebbero tali, non vincolerebbero lo Stato ma solo la Regione stipulante, e non
costituirebbero limite alla legislazione interna ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione.
2.- La presente pronunzia riguarda il solo art. 6 della legge n. 131 del 2003, impugnato dalle ricorrenti insieme
ad altre disposizioni della stessa legge, il cui esame resta riservato a separate decisioni.
3.- I due giudizi, avendo lo stesso oggetto, devono essere riuniti, limitatamente a ciò che concerne l’oggetto
della presente decisione, per essere decisi con unica pronunzia.
4.- La questione sollevata dalla Regione Sardegna è inammissibile.
Infatti la delibera della Giunta regionale di impugnazione della legge n. 131 del 2003 riguarda genericamente,
nel dispositivo, le “parti” di essa “che comprimono illegittimamente l’autonomia concessa alla Regione dallo
Statuto, dalle relative norme di attuazione, nonché dall’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”; e le
premesse della delibera, atte ad integrarne e precisarne la portata, dopo avere genericamente affermato che la
legge “contiene norme lesive dell’autonomia attribuita alla Regione”, affermano che “tra le altre norme,
vengono in particolare considerazione” l’articolo 1, comma 4; l’art. 5, comma 1; l’art. 8, comma 1, riguardo ai
quali si specificano le relative censure, mentre non si fa alcuna menzione dell’art. 6.
Manca pertanto una valida delibera di impugnazione che riguardi l’art. 6 della legge, non potendosi, per altro
verso, dare ingresso ad una impugnativa, priva di oggetto sufficientemente specificato, che investa l’intera
legge o disposizioni di essa non indicate espressamente (cfr. sentenza n. 43 del 2004), quando tale legge rechi
disposizioni plurime e non omogenee.
5.- La questione sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano è infondata nei termini di seguito precisati.
Questa Corte, già prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione recata dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001, si era pronunciata in ordine alla ammissibilità e ai limiti di un’attività regionale
avente rilievo internazionale. In particolare, nella sentenza n. 179 del 1987, essa aveva ribadito l’esclusiva
competenza statale in ordine ai rapporti internazionali, ammettendo però deroghe introdotte dal legislatore
ordinario, quali quella derivante dalla previsione delle “attività promozionali” all’estero delle Regioni legate
da nesso strumentale con le materie di competenza regionale, e precedute da intesa con lo Stato, e quelle
connesse alla previsione di accordi di cooperazione transfrontaliera; aveva altresì ammesso la legittimità delle
cosiddette “attività di mero rilievo internazionale delle Regioni”, attraverso le quali esse non sottoscrivono
veri e propri accordi, ma si limitano a prevedere scambi di informazioni, approfondimento di conoscenze in
materie di comune interesse, o l’enunciazione di analoghi intenti di armonizzazione unilaterale delle condotte
rispettive di Regioni e di enti afferenti ad altri Stati, senza incidere sulla politica estera dello Stato; aveva
affermato la necessità, in ogni caso, del previo assenso del Governo in modo che lo Stato potesse controllare
la conformità delle attività regionali agli indirizzi di politica internazionale.
Sulla base di questi principi, dichiarati applicabili anche alle Regioni a statuto speciale, là dove i rispettivi
statuti nulla dispongano (cfr. sentenze n. 179 del 1987, n. 564 e n. 924 del 1988, n. 343 del 1996, n. 428 del
1997), la Corte ha ripetutamente statuito in ordine alla legittimità, ai limiti e alle modalità delle attività di
rilievo internazionale delle Regioni, anche in relazione al principio di leale cooperazione, in particolare
affermando la sindacabilità degli atti statali di diniego dell’assenso ad attività regionali (cfr. sentenze n. 737
del 1988, n. 472 del 1992, n. 204 del 1993).
6.- Il nuovo articolo 117 della Costituzione detta una espressa disciplina delle attività internazionali delle
Regioni. Da un lato esso riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “politica
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estera e rapporti internazionali dello Stato” (secondo comma, lettera a), e attribuisce alla competenza
concorrente quella dei “rapporti internazionali […] delle Regioni” (terzo comma); dall’altro lato,
esplicitamente prevede che “nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e
intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato” (nono
comma). Inoltre prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro
competenza, “provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali […], nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo
in caso di inadempienza” (quinto comma).
È da notare che quest’ultima disposizione si applica anche alle Regioni speciali (come è fatto chiaro dal
riferimento testuale alle Province autonome): più in generale, nel silenzio degli statuti, e tenendo conto che
l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 impone di riconoscere alle Regioni speciali ogni forma di
maggiore autonomia che il nuovo Titolo V attribuisca alle Regioni ordinarie, deve ritenersi che valgano anche
nei confronti delle autonomie speciali i principi e le regole, che esplicitamente consentono attività
internazionali delle Regioni, risultanti dal nuovo art. 117, confermandosi, per questo aspetto, la soluzione già
seguita nella ricordata giurisprudenza anteriore alla riforma.
Quanto al merito del problema, le nuove disposizioni costituzionali non si discostano dalle linee fondamentali
già enunciate in passato da questa Corte: riserva allo Stato della competenza sulla politica estera; ammissione
di un’attività internazionale delle Regioni; subordinazione di questa alla possibilità effettiva di un controllo
statale sulle iniziative regionali, al fine di evitare contrasti con le linee della politica estera nazionale.
La novità che discende dal mutato quadro normativo è essenzialmente il riconoscimento a livello
costituzionale di un “potere estero” delle Regioni, cioè della potestà, nell’ambito delle proprie competenze, di
stipulare, oltre ad intese con enti omologhi di altri Stati, anche veri e propri accordi con altri Stati, sia pure nei
casi e nelle forme determinati da leggi statali (art. 117, nono comma). Tale potere estero deve peraltro essere
coordinato con l’esclusiva competenza statale in tema di politica estera, donde la competenza statale a
determinare i “casi” e a disciplinare “le forme” di questa attività regionale, così da salvaguardare gli interessi
unitari che trovano espressione nella politica estera nazionale. Le Regioni, nell’esercizio della potestà loro
riconosciuta, non operano dunque come “delegate” dello Stato, bensì come soggetti autonomi che
interloquiscono direttamente con gli Stati esteri, ma sempre nel quadro di garanzia e di coordinamento
apprestato dai poteri dello Stato.
7.- Alla luce dei principi ora enunciati, le disposizioni impugnate della legge n. 131 del 2003 si rivelano
immuni dalle censure mosse dalla ricorrente.
Non può essere condivisa, in primo luogo, la tesi secondo cui esse conterrebbero una normativa di dettaglio,
mentre lo Stato dovrebbe limitarsi, in questa materia, a stabilire principi fondamentali, nell’esercizio della
competenza concorrente in tema di rapporti internazionali delle Regioni.
In realtà il nuovo art. 117 demanda allo Stato il compito di stabilire le “norme di procedura” che le Regioni
debbono rispettare nel provvedere all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali, e di disciplinare
le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (quinto comma); nonché il compito di
disciplinare i “casi” e le “forme” della conclusione di accordi delle Regioni con altri Stati e di intese con enti
territoriali di altri Stati (nono comma). Le disposizioni dell’art. 6, commi 1, 2 e 3, della legge n. 131 del 2003
sono dettate in attuazione di questi compiti.
Il comma 1, invero, dando corpo alla disciplina testualmente prevista dall’art. 117, quinto comma, stabilisce la
procedura di informazione preventiva da parte delle Regioni e di formulazione da parte del Governo nazionale
di criteri e osservazioni, ai fini dell’attività regionale di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali
in vigore, e prevede, con rinvio all’art. 8, le modalità di esercizio del potere sostitutivo.
Il comma 2 disciplina, ai sensi dell’art. 117, nono comma, della Costituzione, i casi in cui le Regioni possono
concludere intese con enti territoriali interni di altri Stati, e le procedure (le forme) intese a consentire la
necessaria preventiva verifica statale. Anche i vincoli di contenuto enunciati nel periodo finale del comma divieto per le Regioni di esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato e di assumere impegni
da cui derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che ledano gli interessi di altri enti territoriali costituiscono in definitiva una specificazione in negativo dei limiti in cui è consentito alle Regioni concludere
intese con omologhi enti stranieri.
A sua volta il comma 3 disciplina “casi” e “forme” della conclusione di accordi fra le Regioni e altri Stati,
secondo la previsione dell’art. 117, nono comma.
Infine il comma 5 non fa che riprendere con una sorta di clausola generale il contenuto fondamentale del
principio per cui lo Stato deve poter intervenire a salvaguardia degli interessi della politica estera, prevedendo
anzi la garanzia, in caso di dissenso, dell’intervento del massimo organo del Governo, il Consiglio dei
ministri, con la partecipazione del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato.
Si tratta dunque di disposizioni che, in ogni caso, non eccedono l’ambito dei compiti attribuiti allo Stato in
questa materia dall’art. 117 della Costituzione.
8.- Nemmeno è fondata la tesi subordinata della ricorrente, secondo cui le disposizioni impugnate
introdurrebbero regole e istituti suscettibili di dar luogo ad indebite ingerenze di merito dello Stato nelle
decisioni delle Regioni in questa materia, così ledendone l’autonomia.
Le norme in questione devono essere intese in relazione ai principi sopra ricordati, emergenti dall’art. 117
della Costituzione, e in conformità ad essi. Ciò vale, anzitutto, per le procedure disciplinate dall’art. 6, commi
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1 e 2. I “criteri” e le “osservazioni” che l’organo governativo è abilitato a formulare rispetto alle iniziative e
alle attività regionali ai fini dell’esecuzione degli accordi internazionali e alla stipulazione di intese con enti
territoriali interni ad altri Stati sono sempre e soltanto relativi alle esigenze di salvaguardia delle linee della
politica estera nazionale e di corretta esecuzione degli obblighi di cui lo Stato è responsabile nell’ordinamento
internazionale; né potrebbero travalicare in strumenti di ingerenza immotivata nelle autonome scelte delle
Regioni (cfr. sentenze n. 179 del 1987 e n. 737 del 1988).
Analoghe considerazioni valgono anche quanto alla disciplina contenuta nel comma 3 dell’impugnato art. 6,
in tema di accordi delle Regioni con altri Stati. La stessa ricorrente non contesta né le limitazioni che la
disposizione apporta alle tipologie di accordi stipulabili e dunque ai “casi” in cui tali accordi possono essere
conclusi, né le regole relative all’obbligo di tempestiva comunicazione al Governo delle trattative, e alla
pubblicità degli accordi stipulati (prevista, quest’ultima, dal comma 4 dell’art. 6, non impugnato). Sostiene
invece che rappresentino strumenti di indebita ingerenza statale, anzitutto, la possibilità per il Ministero degli
affari esteri di “indicare principi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati”, l’imposizione della
collaborazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari per i negoziati all’estero, e la
necessità di un accertamento preventivo da parte del Ministero degli affari esteri della “opportunità politica” e
della “legittimità” dell’accordo.
Ma, in primo luogo, i “principi e criteri” da seguire nella conduzione dei negoziati, di cui è parola nel terzo
periodo del comma 3, al pari dei “criteri e osservazioni” cui si riferisce il comma 1, non vanno intesi come
direttive vincolanti in positivo quanto al contenuto degli accordi, bensì solo come espressione delle esigenze
di salvaguardia degli indirizzi della politica estera, e dunque come specificazione del vincolo generale
nascente a carico della Regione dalla riserva allo Stato della competenza a formulare e sviluppare tali
indirizzi, e dal conseguente divieto di pregiudicarli con attività e atti di essi lesivi.
Quanto alla collaborazione degli uffici diplomatici e consolari, si tratta in realtà di una possibilità di supporto
tecnico, il cui utilizzo resta subordinato, come precisa la norma, alla previa intesa con la Regione o con la
Provincia autonoma, e dunque non comporta alcuna lesione all’autonomia di questa.
Quanto infine all’accertamento preventivo di legittimità e di opportunità dell’accordo, mentre il riferimento
alla legittimità attiene principalmente alla verifica del rispetto dei limiti posti al “potere estero” delle Regioni,
nonché delle procedure e degli obblighi di informazione, il riferimento alla opportunità va letto alla luce di
quanto previsto in via generale dal comma 5, ove si precisa che le “questioni di opportunità” che il Governo
può sollevare sono quelle “derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato”.
Tale potere di accertamento del Governo non legittima dunque alcuna ingerenza nelle scelte di opportunità e
di merito attinenti all’esplicazione dell’autonomia della Regione. Il Governo può legittimamente opporsi alla
conclusione di un accordo da parte di una Regione, contenuto nei limiti stabiliti dall’art. 117, nono comma,
della Costituzione, solo quando ritenga che esso pregiudichi gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica
estera dello Stato; sul piano procedurale le Regioni godono della garanzia derivante dalla competenza del
massimo organo del Governo, il Consiglio dei ministri, a decidere in via definitiva, mentre l’eventuale uso
arbitrario di tale potere resta pur sempre suscettibile di sindacato nella sede dell’eventuale conflitto di
attribuzioni.
9.- Analoghe considerazioni valgono a consentire ed imporre una lettura costituzionalmente conforme della
previsione secondo cui la stipulazione degli accordi deve essere preceduta, a pena di nullità degli accordi
medesimi, dal conferimento da parte del Ministero degli affari esteri dei “pieni poteri di firma”. Si tratta di un
istituto derivante dal diritto internazionale, in particolare disciplinato dall’art. 7 della Convenzione sul diritto
dei trattati adottata a Vienna il 23 maggio 1969, resa esecutiva in Italia con la legge 12 febbraio 1974, n. 112
(Ratifica ed esecuzione della convenzione sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969), ai cui
sensi “un individuo viene considerato il rappresentante di uno Stato per l’adozione o l’autenticazione del testo
di un trattato o per esprimere il consenso dello Stato ad essere vincolato da un trattato” vuoi “quando presenti
i pieni poteri del caso”, vuoi “quando risulti dalla pratica degli Stati interessati o da altre circostanze che detti
Stati avevano l’intenzione di considerare tale individuo come rappresentante dello Stato a tali fini”; sono poi
considerati rappresentanti dello Stato a cui appartengono, in virtù delle loro funzioni, e senza dover presentare
i pieni poteri, i titolari di cariche nominate nel comma 2 del medesimo art. 7 della Convenzione (Capi di Stato
e di Governo, Ministri degli esteri, rappresentanti accreditati ad una conferenza internazionale, ecc.).
L’istituto ha il fine di dare certezza riguardo al fatto che il consenso prestato o la firma apposta al trattato
siano realmente idonei a impegnare lo Stato nell’ordinamento internazionale, provenendo da chi ha i poteri
rappresentativi a ciò necessari.
La ricorrente sostiene che gli accordi stipulati dalle Regioni con altri Stati non sono “trattati” fra Stati, e come
tali non vincolano lo Stato ma solo l’ente stipulante. Tale tesi non può essere condivisa. L’autonomia di diritto
interno (costituzionale) in base alla quale le Regioni possono concludere gli accordi si esercita pur sempre nel
quadro di un ordinamento in cui lo Stato centrale, titolare esclusivo della politica estera, è responsabile sul
piano del diritto internazionale degli accordi e delle relative conseguenze, e quindi ha il potere-dovere di
controllare la conformità di detti accordi agli indirizzi della politica estera nazionale. Ciò comporta l’esigenza
di adottare formalità intese a dare certezza, sul piano internazionale, circa la legittimazione di chi esprime la
volontà di stipulare l’accordo e circa l’esistenza, secondo il diritto interno, del “potere estero” di cui l’accordo
è espressione.
49
Poiché però, come si è detto, secondo il diritto interno la Regione opera in base a poteri propri, e non come
“delegata” dello Stato, una volta che sia attuato il procedimento di verifica preventiva circa il rispetto dei
limiti e delle procedure prescritte il Ministero degli affari esteri è tenuto a conferire i pieni poteri all’organo
regionale competente per la stipulazione, e non potrebbe discrezionalmente negarli. Si tratta dunque, in
sostanza, di un adempimento formale vincolato in relazione all’esito della predetta verifica.
10.- È pure infondata, infine, la censura che la ricorrente muove in relazione alla possibilità, riconosciuta al
Governo dal comma 5 dell’impugnato art. 6, di rappresentare in qualunque momento (dunque, arguisce la
ricorrente, anche dopo la stipulazione dell’accordo) “questioni di opportunità” e, in caso di dissenso, di
provocare una delibera del Consiglio dei ministri.
Tale clausola non fa che ribadire in termini generali ciò che già risulta dai principi e dalle procedure di cui ai
commi 1, 2 e 3 in ordine alla stipulazione di intese e accordi e all’esecuzione e attuazione di obblighi
internazionali. Le “questioni di opportunità” attengono, come è espressamente previsto, alle esigenze di
rispetto degli indirizzi della politica estera; ed esse potranno essere sollevate, volta a volta, in relazione ad
accordi o intese ancora da sottoscrivere, ai sensi dei commi 2 e 3, ovvero successivamente in relazione a
problemi di attuazione, ai sensi del comma 1. È escluso comunque che tale possibilità consenta al Governo di
esercitare un indebito controllo di merito sulle autonome scelte regionali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunzie la decisione delle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 5
giugno 2003, n. 131, sollevate con i ricorsi in epigrafe,
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 1, 2, 3 e 5, della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in relazione
all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in riferimento agli articoli 3, 4, 5 e 6 dello
statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e alle relative norme di
attuazione, dalla Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 61 del 2003);
b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
6, commi 1, 2, 3 e 5, della predetta legge n. 131 del 2003 sollevata, in riferimento all’art. 117 della
Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli articoli 8, 9, 10 e 16 dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e alle relative norme di attuazione,
dalla Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 59 del 2003).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2004.
Corte cost., sent. n. 239/2004.
---OMISSIS--Appare evidente, infatti, che la normativa statale trova il proprio titolo abilitativo non già nel terzo comma,
bensì nel quinto comma dell’art. 117 Cost., ai sensi del quale “le Regioni e le Province autonome di Trento e
di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti
dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le
modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.
Tale disposizione costituzionale, unica esplicitamente riferita all’interno del nuovo Titolo V della Parte II
della Costituzione alle Regioni ordinarie e alle autonomie speciali (inutile quindi è il riferimento all’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, richiamato invece dalle ricorrenti), istituisce una competenza statale ulteriore e
speciale rispetto a quella contemplata dall’art. 117, terzo comma, Cost., concernente il più ampio settore “dei
rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni”. Con specifico riferimento alla procedura
tramite la quale deve esplicarsi la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla c.d. “fase
ascendente” del diritto comunitario, dunque, la Costituzione non ha previsto una competenza concorrente,
bensì ha affidato alla legge statale il compito di stabilire la disciplina delle modalità procedurali di tale
partecipazione.
Quanto appena sottolineato rende inoltre evidente la infondatezza della censura proposta nei ricorsi
introduttivi dei giudizi per violazione del quinto comma dell’art. 117 Cost., dal momento che questa
disposizione costituzionale, affidando in via esclusiva allo Stato il compito di dettare “norme di procedura”,
non ha garantito alle Regioni e alle Province autonome ambiti riservati alla legislazione regionale o
provinciale.
5. - La seconda censura proposta dalle ricorrenti concerne invece la asserita inadeguatezza dello strumento
partecipativo in concreto previsto dalle disposizioni impugnate, derivante dalla mancata previsione di un
meccanismo idoneo a garantire adeguata consistenza alle rappresentanze regionali, dalla mancata previsione
di un numero minimo di rappresentanti regionali, nonché dalla mancata prescrizione secondo la quale nelle
“materie di legislazione regionale esclusiva” le delegazioni siano composte di soli rappresentanti regionali.
Anche tale questione non è fondata.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 5 impugnato, “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari,
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partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e
dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di
Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque,
garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione
designato dal Governo”. Lo strumento partecipativo predisposto da tale disposizione non può certo essere
ritenuto inadeguato, come invece si afferma nei ricorsi, in relazione alla garanzia delle posizioni
costituzionalmente garantite delle Regioni e delle Province autonome, dal momento che il suo concreto
atteggiarsi dovrà essere stabilito mediante accordi da adottare nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni.
Inoltre, la norma prevede espressamente che l’accordo, nel delineare le modalità della partecipazione delle
Regioni e delle Province autonome, debba tenere conto della “particolarità delle autonomie speciali”,
cosicché, ove queste ultime si ritenessero vulnerate nelle proprie competenze costituzionali dalle modalità di
partecipazione in concreto previste dall’accordo, potranno fare ricorso ai consueti mezzi di tutela delle
proprie posizioni.
Quanto alla pretesa concernente la previsione di un numero minimo di rappresentanti regionali nelle
delegazioni del Governo, deve essere evidenziato come la disposizione impugnata stabilisca che in queste
ultime “deve essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome di Trento e di Bolzano”: cosicché appare del tutto evidente che proprio le due
ricorrenti non possono far valere alcun motivo di doglianza in relazione a tale specifico aspetto.
---omissis--Da tale considerazione risulta evidente come l’ambito della potestà residuale costituisca di norma un
elemento che accomuna largamente sia le Regioni ordinarie che le Regioni speciali e le Province autonome:
non è certo irragionevole, dunque, la scelta del legislatore statale di limitare a questi ambiti la possibilità di
individuare in un Presidente di Giunta regionale o provinciale il capo della delegazione italiana. Ciò anche
alla luce della considerazione secondo la quale la rappresentanza italiana nei confronti dell’Unione europea
deve necessariamente essere caratterizzata da una posizione unitaria, come ha riconosciuto la giurisprudenza
di questa Corte (cfr. sentenze n. 317 del 2001 e n. 425 del 1999), nonché della stessa disposizione oggetto del
presente giudizio, ai sensi della quale il concorso delle autonomie territoriali alla formazione degli atti
comunitari deve avvenire “garantendo l’unitarietà della posizione italiana da parte del Capo delegazione
designato dal Governo”. Al tempo stesso, sembra evidente che la titolarità di particolari materie (non
riconducibili all’art. 117, quarto comma, Cost.) da parte di una Regione ad autonomia speciale o Provincia
autonoma non può legittimare una pretesa ad assumere la presidenza della delegazione italiana, dal momento
che in questi casi nelle altre aree territoriali le funzioni corrispondenti spettano agli organi dello Stato.
A seguito della riforma costituzionale del titolo V, abbiamo effettuato una ricognizione
degli statuti regionali riformati (situazione aggiornata al gennaio 2007) per verificare
che tipo di spazio sia stato riconosciuto, nei nuovi statuti, al nuovo ruolo delle regioni
per quanto attiene ai rapporti internazionali e ai rapporti con la comunità europea. In
particolare abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla partecipazione alla fase
ascendente e discendente.
Abruzzo (B.U.R.A. 10 gennaio 2007, Suppl. n. 1)
Statuto Regione Abruzzo
Art. 3 Pace e cooperazione internazionale
1. La Regione riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e promuove la cultura della
solidarietà e del dialogo tra popoli e religioni.
2. Nei limiti delle proprie competenze, la Regione sostiene la cooperazione con Stati ed enti territoriali
stranieri; promuove e stipula accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato.
3. La ratifica di accordi e di intese è autorizzata con legge.
Art. 4 L’Europa
1. L’Abruzzo è una Regione dell’Europa e concorre, con lo Stato e le altre Regioni, alla definizione delle
politiche e alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione europea.
2. La partecipazione al processo di integrazione europea avviene nel rispetto della Costituzione e dello Statuto
ed è svolta in conformità ai principi di sussidiarietà, autonomia e identità regionale.
3. La Regione contribuisce alla formazione, esecuzione e attuazione degli atti della Unione europea, sentito il
Consiglio delle Autonomie locali nelle materie attinenti all’organizzazione territoriale locale, alle competenze
e alle attribuzioni degli Enti Locali o che comportino entrate e spese per gli Enti stessi.
4. La Regione partecipa, anche funzionalmente, agli organi comunitari che ne prevedono la rappresentanza
nel rispetto dell’Ordinamento dell’Unione europea e degli atti dello Stato.
51
Calabria (L.R. 19 ottobre 2004, n. 25)
Statuto Regione Calabria,
Articolo 3 (Rapporti interregionali, con l’Unione Europea e con altri Stati)
1. La Regione coordina la propria azione con quella delle altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni e la cura di interessi ultraregionali, adottando le opportune intese e costituendo, ove occorra, apposite
strutture organizzative. Le intese interregionali sono ratificate con legge regionale.
2. La Regione, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, concorre alla
determinazione delle politiche dell’Unione Europea, partecipa alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari e provvede all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e comunitari.
3. La Regione realizza, altresì, forme di collegamento con gli organi dell’Unione Europea per l’esercizio delle
proprie funzioni relative all’applicazione delle normative comunitarie e per l’adeguamento dei propri atti alle
fonti comunitarie.
4. Nelle materie di sua competenza la Regione conclude accordi con Stati e intese con enti territoriali interni
ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato, con particolare riferimento alle Nazioni
prospicienti il Mediterraneo.
5. La legge regionale ratifica gli accordi con Stati e le intese con enti territoriali interni ad altro Stato.
Articolo 43 (Potestà regolamentare)
1. Nel rispetto degli ambiti costituzionali di competenza della potestà regolamentare degli enti locali, la
Regione esercita la potestà regolamentare nelle materie di propria competenza legislativa e, in caso di delega
da parte dello Stato della potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva statale; esercita altresì
la potestà regolamentare per l’attuazione e l’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione
Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato.
2. Il Consiglio regionale esercita la potestà regolamentare nella forma di regolamenti di attuazione e di
integrazione in materia di legislazione esclusiva delegata dallo Stato.
3. La Giunta regionale esercita la potestà regolamentare regionale attraverso regolamenti esecutivi,
regolamenti di attuazione e di integrazione, regolamenti delegati, nonché regolamenti di organizzazione
dell’Amministrazione regionale secondo le disposizioni generali di principio dettate dalla legge regionale.
4. L’attuazione e l’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea avviene con legge
o con regolamento regionale a seconda delle rispettive competenze e nel rispetto delle norme di procedura
stabilite con legge dello Stato.
5. Nelle materie di competenza esclusiva della Regione che non siano riservate alla legge dallo Statuto e dalla
Costituzione, la Giunta, sulla base della legge regionale di autorizzazione, che determina le norme generali
regolatrici della materia e dispone l’abrogazione delle norme vigenti con effetto dall’entrata in vigore delle
norme regolamentari, adotta i regolamenti delegati di cui al comma 3.
6. I regolamenti regionali sono emanati dal Presidente della Giunta e sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale
della Regione nei modi e nei tempi previsti per la pubblicazione della legge regionale.
Emilia Romagna (L.R. 31 marzo 2005, n. 13)
Statuto Regione Emilia-Romagna,
art. 11 Ordinamento europeo e internazionale
1. La Regione conforma la propria azione ai principi ed agli obblighi derivanti dall’ordinamento
internazionale e comunitario, partecipa al processo di costruzione ed integrazione europea ed opera per
estendere i rapporti di reciproca collaborazione con le altre Regioni europee.
art. 12, c. 1, lettera d) Partecipazione della Regione alla formazione e all’attuazione del diritto
comunitario
1. La Regione, nell’ambito e nelle materie di propria competenza:
a) partecipa alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, nel rispetto delle norme di
procedura stabilite da legge dello Stato. La legge regionale determina le modalità di informazione, preventiva
e successiva, e le forme di espressione di indirizzo dell’Assemblea legislativa sulla partecipazione della
Regione alla formazione di decisioni comunitarie;
b) provvede direttamente all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato.
Si provvede con legge o, sulla base della legge, con norme regolamentari approvate dalla Giunta regionale,
ovvero, ove per l’attuazione non è richiesta una preventiva regolazione della materia, con atti dell’Assemblea
o della Giunta regionale secondo le rispettive competenze e secondo la disciplina prevista dallo Statuto per
leggi e regolamenti;
c) partecipa ai programmi e progetti promossi dall’Unione europea, promuove la conoscenza dell’attività
comunitaria presso gli Enti locali ed i soggetti della società civile e favorisce la partecipazione degli stessi ai
programmi e progetti promossi dall’Unione;
d) determina con legge il periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che
richiedono un intervento legislativo;
e) determina con legge le modalità del concorso dell’Assemblea per quanto riguarda la propria partecipazione
alla formazione delle decisioni comunitarie e le proposte d’impugnativa avverso gli atti normativi comunitari
52
ritenuti illegittimi, rispettando in ogni caso il potere di rappresentanza del Presidente della Regione. In
particolare, la legge determina le modalità necessarie per rispettare il diritto dell’Assemblea ad ottenere
un’adeguata e tempestiva informazione preventiva e successiva.
Art. 49 Competenze legislative e regolamentari
1. La disciplina delle materie di competenza della Regione è stabilita con legge. La potestà legislativa è
riservata all’Assemblea e non è delegabile. L’Assemblea è responsabile del procedimento legislativo dalla
presentazione dell’iniziativa.
2. La Giunta regionale, salva la competenza dell’Assemblea prevista dall’articolo 28, comma 4, lettera n),
approva i regolamenti nei casi previsti dalla legge regionale; disciplina, inoltre, l’esecuzione dei Regolamenti
comunitari nei limiti stabiliti dalla legge regionale.
3. I regolamenti regionali in materie di competenza degli Enti locali si applicano sino alla data di entrata in
vigore dei regolamenti degli Enti locali.
4. La legge individua i presupposti in presenza dei quali la Giunta può adottare in via d´urgenza atti
amministrativi in materie di competenza dell´Assemblea, salvo ratifica da parte di questa.
Lazio (L. statutaria 11 novembre 2004, n. 1)
Statuto Regione Lazio
Art. 3 (Unità nazionale, integrazione europea, rappresentanza degli interessi dei cittadini e delle comunità)
1. La Regione promuove l’unità nazionale nonché, ispirandosi ai principi contenuti nel Manifesto di
Ventotene per una Europa libera e unita, l’integrazione europea come valori fondamentali della propria
identità.
2. Rappresenta gli interessi dei cittadini e delle comunità locali nelle sedi nazionali, dell’Unione europea ed
internazionali e ne promuove la tutela. Si impegna a rafforzare in tali sedi la propria autonomia e quella degli
enti locali, assumendo adeguate iniziative.
Art. 10 (Rapporti internazionali e con l’Unione europea)
1. La Regione conclude accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei limiti stabiliti
dalla Costituzione, ispirandosi ai principi di solidarietà e collaborazione reciproca.
2. Attua ed esegue, nelle materie di propria competenza, gli accordi internazionali conclusi dallo Stato,
secondo le procedure stabilite dalla legge statale.
3. Partecipa con propri rappresentanti agli organismi internazionali e dell’Unione europea di cui fanno parte
Stati federati e Regioni autonome, in particolare al Comitato delle Regioni, nonché ad associazioni tra gli enti
stessi per la tutela di interessi comuni.
4. Concorre con lo Stato e le altre Regioni alla formazione della normativa comunitaria e dà immediata
attuazione agli atti dell’Unione europea, anche realizzando, a tal fine, forme di collegamento con i relativi
organi.
5. Cura, per quanto di propria competenza, i rapporti con la Città del Vaticano.
Art. 11 Adeguamento all’ordinamento comunitario
1. La Regione adegua il proprio ordinamento a quello comunitario.
2. Assicura l’attuazione della normativa comunitaria nelle materie di propria competenza, di norma attraverso
apposita legge regionale comunitaria, nel rispetto della Costituzione e delle procedure stabilite dalla legge
dello Stato.
3. La legge regionale comunitaria, d’iniziativa della Giunta regionale, è approvata annualmente dal Consiglio
nell’ambito di una sessione dei lavori a ciò espressamente riservata.
4. Con la legge regionale comunitaria si provvede a dare diretta attuazione alla normativa comunitaria ovvero
si dispone che vi provveda la Giunta con regolamento. La legge regionale comunitaria dispone comunque in
via diretta qualora l’adempimento agli obblighi comunitari comporti nuove spese o minori entrate o
l’istituzione di nuovi organi amministrativi.
Liguria (L. statutaria 3 maggio 2005, n. 1)
Articolo 4 (Rapporti con l’Unione europea)
1. La Regione partecipa alla costruzione e al rafforzamento dell’Unione Europea quale istituzione necessaria
per la valorizzazione e lo sviluppo dei suoi territori al fine di raggiungere obiettivi comuni.
2. La Regione, nelle materie di propria competenza, partecipa alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari e provvede all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti
dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le
modalità d’esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
3. La Regione realizza forme di collegamento con gli organi dell’Unione europea.
Articolo 37 (Funzioni del Presidente della Giunta regionale)
1. Il Presidente della Giunta regionale:
a) rappresenta la Regione;
b) cura i rapporti con gli organi dello Stato e con gli altri enti territoriali che costituiscono la Repubblica;
c) cura i rapporti con gli organi dell’Unione Europea, con altri Stati e con enti territoriali interni ad altri Stati;
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Marche (L. statutaria 8 marzo 2005, n. 1)
Art. 2 (Europa, autonomie e formazioni sociali)
1. La Regione opera nel quadro dei principi fondamentali e delle norme dell’Unione europea perseguendo la
valorizzazione delle politiche comunitarie e la collaborazione con le altre Regioni d’Europa, garantendo
altresì la propria partecipazione alla vita dell’Unione e al processo di integrazione della stessa, nel rispetto
delle diverse culture.
2. …
Art. 31 (Procedimento legislativo)
1. Le proposte di legge sono sottoposte all’esame in sede referente della commissione consiliare competente
per materia.
2. La proposta di legge, dopo l’esame della commissione, è approvata dal Consiglio articolo per articolo, e
con votazione finale sull’intero testo.
3. Il regolamento interno del Consiglio stabilisce le procedure per l’esame delle proposte dichiarate urgenti e
per quelle soggette a notifica alla Commissione dell’Unione europea.
Art. 35 (Procedimento regolamentare)
1. La Regione esercita la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva e concorrente nonché
nelle materie delegate dallo Stato e per dare attuazione agli atti dell’Unione europea.
…
Piemonte (L. statutaria 4 marzo 2005, n. 1)
Statuto Regione Piemonte
art. 42, comma 1
La Regione, con legge comunitaria regionale, adegua la propria normativa all’ordinamento comunitario” e, al
comma 2, che “i lavori del Consiglio regionale per l’approvazione della legge comunitaria regionale sono
organizzati in un apposita sessione da tenersi entro il 31 maggio di ogni anno”.
Puglia (L.R. 12 maggio 2004, n. 7)
Art. 9
1. La Regione opera nel quadro dei principi e delle norme dell’Unione europea perseguendo la valorizzazione
delle politiche comunitarie regionali, cooperando con le Regioni d’Europa e sostenendo opportuni e più ampi
processi d’integrazione, nel rispetto delle diverse culture.
2. La Regione partecipa, attraverso i propri organi rappresentativi, alla formazione di decisioni degli
organismi comunitari e, nelle materie di sua competenza, nei casi e con le forme disciplinati dallo Stato, può
concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato.
3. La Regione promuove intese con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni e
nell’interesse delle rispettive comunità.
Toscana (BURT 11 febbraio 2005, n. 12)
Statuto Regione Toscana
Art. 70 Rapporti con l’Unione europea
1. Gli organi di governo e il consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette alla
formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale.
2. Il presidente della giunta e il presidente del consiglio si informano reciprocamente sulle attività svolte in
sede comunitaria nell’ambito delle rispettive attribuzioni.
Umbria (L.R. 16 aprile 2005, n. 21)
Articolo 25 Integrazione europea e rapporti con l’estero
1. La Regione, nelle materie di propria competenza, concorre alla formazione degli atti comunitari nel rispetto
delle procedure fissate dalle norme comunitarie e dalle leggi.
2. La Regione partecipa ai programmi ed ai progetti dell’Unione Europea, promuovendo la conoscenza
dell’attività comunitaria presso gli enti locali ed i soggetti della società civile. Favorisce la partecipazione
degli Enti locali ai programmi e progetti promossi dall’Unione. La Regione procede con legge al periodico
recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo.
3. La Regione, anche in collaborazione con le altre regioni, stabilisce forme di collegamento con organi
dell’Unione Europea per l’esercizio delle proprie funzioni ed in particolare di quelle connesse alla
applicazione delle normative comunitarie.
4. La Regione, nelle materie di sua competenza, conclude accordi con Stati e intese con enti territoriali interni
ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati dalla legge.
5. La Regione provvede alla attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato.
Alcune leggi regionali hanno da subito recepito i nuovi spazi offerti alle regioni dalla
riforma costituzionale per la loro azione in ambito comunitario e internazionale. Alcune,
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sull’esempio nazionale, hanno istituito delle leggi comunitarie regionali, per assicurare
annualmente il recepimento della normativa comunitaria per quanto di loro competenza.
Di seguito si segnalano le leggi regionali entrate in vigore successivamente alla riforma
costituzionale: Calabria; Emilia-Romagna; Friuli Venezia Giulia, Marche, Valle
d’Aosta.
REGIONE CALABRIA
LEGGE REGIONALE 5 gennaio 2007, n. 3
Disposizioni sulla partecipazione della Regione Calabria al processo normativo e comunitario e sulle
procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie.
IL CONSIGLIO REGIONALE HA APPROVATO
IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE PROMULGA
la seguente legge:
CAPO I
Partecipazione della Regione al processo normativo comunitario
Art. 1 (Finalità)
1. La presente legge disciplina la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari e le
modalità di adempimento degli obblighi di competenza della Regione derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e
di partecipazione democratica.
Art. 2 (Partecipazione della Regione alla formazione del diritto comunitario)
1. La Giunta e il Consiglio regionale definiscono d’intesa la posizione della Regione sulle proposte di atto
comunitario di cui all’art. 3, comma 1 e 2, della legge 4 febbraio 2005 n. 11, recante: «Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli
obblighi comunitari».
2. La posizione, della Regione è trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri, secondo le modalità
disciplinate dall’art. 5, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
Art. 3 (Adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari ed attuazione delle politiche
europee)
1. La Regione dà tempestiva attuazione alle direttive comunitarie adottate nelle materie di propria
competenza.
2. Al fine di garantire il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi derivanti
dall’emanazione di atti normativi comunitari o alle sentenze della Corte di giustizia, entro il primo giugno di
ogni anno la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale il progetto di legge comunitaria regionale, dal
titolo «legge comunitaria regionale» con l’indicazione dell’anno di riferimento.
3. Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 2, la Giunta regionale riferisce sullo stato
di conformità della legislazione regionale alle disposizioni comunitarie e sullo stato delle eventuali procedure
di infrazione a carico dello Stato per inadempienze imputabili alla Regione.
Art. 4 (Contenuti della legge comunitaria regionale)
1. La legge comunitaria regionale:
a) recepisce gli atti normativi emanati dall’Unione europea nelle materie di competenza regionale, con
particolare riguardo
alle direttive comunitarie, e dispone quanto ritenuto necessario per il completamento dell’attuazione dei
regolamenti comunitari;
b) detta le disposizioni per l’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia e delle decisioni della
Commissione europea
che comportano obbligo di adeguamento per la Regione;
c) contiene, le disposizioni modificative o abrogative della legislazione vigente necessarie all’attuazione o
applicazione
degli atti comunitari di cui alle lettere a) e b);
d) individua gli atti normativi comunitari alla cui attuazione o applicazione la Giunta regionale è autorizzata a
provvedere in
via amministrativa, dettando i relativi princìpi e criteri direttivi.
2. L’adeguamento dell’ordinamento regionale a quello comunitario deve in ogni modo avvenire tramite legge
comunitaria
regionale nel caso in cui esso comporta:
a) nuove spese o minori entrate;
b) l’istituzione di nuovi organi amministrativi.
3. Alla legge comunitaria regionale sono allegati:
a) l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione perché direttamente applicabili,
per il loro
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contenuto sufficientemente specifico ovvero in quanto l’ordinamento regionale è già conforme ad esse,
ovvero perché lo Stato
abbia già adottato provvedimenti attuativi delle stesse e la Regione non intende discostarsene;
b) una relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento comunitario.
Art. 5 (Rispetto della normativa comunitaria)
1. La Giunta regionale effettua una verifica costante della normativa comunitaria adottata in relazione a
materie di propria competenza, al fine di garantire lo stato di conformità dell’ordinamento regionale con gli
atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea e delle Comunità europee, secondo
quanto previsto all’art. 8, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
2. Nell’ambito della relazione di accompagnamento alla legge comunitaria regionale di cui al precedente
articolo, la Giunta riferisce al Consiglio sulle risultanze di tale verifica.
Art. 6 (Sessione comunitaria del Consiglio regionale)
1. Entro il 30 settembre di ogni anno il Consiglio regionale convoca la sessione comunitaria dedicando ad essa
una o più sedute, al fine di verificare lo stato di attuazione dei programmi attivati a livello regionale e definire
gli indirizzi regionali in materia di politiche comunitarie.
2. In occasione della sessione comunitaria, la Giunta presenta al Consiglio regionale una relazione
concernente la partecipazione della Regione alla attuazione delle politiche comunitarie nella quale sono
esposte:
a) le posizioni sostenute dalla Regione nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni di cui all’art. 17 della
legge 4 febbraio 2005, n. 11 e del Comitato delle Regioni di cui agli articoli 263, 264 e 265 del trattato
istitutivo della Comunità europea;
b) le disposizioni procedurali, metodologiche, attuative, modificative e abrogative necessarie all’attuazione di
programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea adottate dalla Giunta regionale nell’anno di
riferimento;
c) lo stato di attuazione dei programmi e delle iniziative comunitarie e degli altri programmi regionali
cofinanziati con risorse sempre comunitarie, con l’aggiornamento dei dati finanziari almeno al 30 giugno
dell’anno di riferimento a quello in cui viene presentata la relazione.
Art. 7 (Sessione comunitaria della Giunta regionale)
1. Il Presidente della Giunta regionale convoca, almeno ogni sei mesi, una sessione comunitaria della Giunta
stessa allo scopo di verificare lo stato di avanzamento degli interventi regionali di interesse comunitario, i
risultati conseguiti, le linee di azione prioritarie volte ad assicurare una corretta e tempestiva attuazione dei
programmi e degli interventi cofinanziati dall’Unione europea.
2. Gli orientamenti adottati dalla Giunta regionale sono trasmessi al Consiglio regionale che esercita, al
riguardo, la propria funzione di indirizzo e controllo.
Art. 8 (Partecipazione degli enti locali alla formazione degli atti comunitari)
1. In attuazione delle finalità della presente legge, il Consiglio regionale e la Giunta regionale, nell’ambito del
procedimento di formazione della legge comunitaria annuale e dei lavori previsti nelle rispettive sessioni
comunitarie, assicurano adeguate forme di partecipazione e di consultazione degli enti locali al processo
normativo comunitario.
Art. 9 (Ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee)
1. Nelle materie di competenza legislativa della Regione, il Presidente della Giunta regionale, previa
deliberazione conforme della stessa, può richiedere al Governo, ai sensi del secondo comma dell’art. 5 della
legge 5 giugno 2003, n. 131, di promuovere ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee
avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi.
Art. 10 (Misure urgenti)
1. A fronte di atti normativi comunitari o sentenze degli organi
giurisdizionali delle Comunità europee, comunicate dal Governo alla Regione, che comportano obblighi
regionali di adempimento all’ordinamento comunitario ed abbiano scadenza anteriore alla data di presunta
entrata in vigore della legge comunitaria regionale relativa all’anno in corso, la Giunta regionale presenta al
Consiglio regionale la relativa proposta di legge indicando nella relazione la data entro la quale il
provvedimento deve essere approvato.
2. Nei casi di particolare urgenza il Presidente della Giunta e/o il Consiglio regionale attivano gli strumenti
previsti dal Regolamento interno in materia di proposte prioritarie e di procedura redigente per l’esame del
provvedimento da parte della Commissione consiliare competente.
CAPO II
Programmazione comunitaria
Art. 11 (Competenze del Consiglio regionale)
1. Il Consiglio regionale delibera gli atti di indirizzo, di programmazione, di piano, di programma operativo
regionale concernenti l’attuazione delle politiche comunitarie, ai sensi dell’art. 42 dello Statuto.
2. Al fine di porre in essere una rapida procedura di approvazione da parte del Consiglio, la Giunta regionale
assicura a quest’ultimo una adeguata informazione in ordine alla elaborazione delle proposte relative agli atti
di cui al comma 1.
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3. La deliberazione con la quale il Consiglio regionale approva le proposte di atto di cui al comma 1 contiene
gli indirizzi per la Giunta regionale da seguire nel corso dell’attività di negoziato con lo Stato e con la
Commissione europea, nonché l’autorizzazione a concordare gli adeguamenti necessari per la concessione del
cofinanziamento.
4. La Giunta regionale riferisce al Consiglio regionale sull’andamento delle procedure di negoziato con lo
Stato e con la Commissione europea.
5. Al termine del negoziato, gli atti di cui al comma 1 sono ritrasmessi al Consiglio regionale per
l’approvazione definitiva.
6. Le proposte di programma regionale relative a forme di finanziamento diretto dell’Unione europea, attivate
mediante bandi di gara o inviti a presentare proposte sono approvate dalla Giunta regionale, sentito il parere
della competente Commissione
consiliare.
Art. 12 (Modifiche agli atti di programmazione comunitaria)
1. Le proposte di modifica sostanziale agli atti di programmazione di cui all’art. 11, comma 1, sono approvate
dal Consiglio regionale.
2. Per modifiche sostanziali si intendono:
a) le modifiche al piano finanziario che comportano una destinazione delle risorse per priorità strategiche
interne al programma diversa da quella originaria;
b) le modifiche di programmazione che comportano la previsione di nuove operazioni o la soppressione di
operazioni esistenti;
c) le proposte di modifica diverse da quelle elencate al comma 2 sono trasmesse alla competente
Commissione consiliare, la quale esprime il proprio parere entro 15 giorni dalla acquisizione dell’atto;
decorso tale termine, il parere si ritiene reso in senso favorevole.
Art. 13 (Ruolo del Consiglio regionale in merito alla programmazione, alla gestione e al monitoraggio degli
Accordi di Programma Quadro)
1. Laddove la programmazione delle risorse nazionali e regionali per l’attuazione dell’Intesa Istituzionale di
Programma richieda la definizione di Accordi di Programma Quadro cofinanziati con risorse comunitarie, il
Consiglio regionale delibera gli atti di indirizzo, di programmazione, di piano concernenti l’attuazione degli
Accordi di Programma Quadro.
2. Al fine di porre in essere una rapida procedura di approvazione da parte del Consiglio, la Giunta regionale
assicura a quest’ultimo una adeguata informazione in ordine alla elaborazione delle proposte relative agli atti
di cui al comma 1.
3. La deliberazione con la quale il Consiglio regionale approva le proposte di atto di cui al comma 1 contiene
gli indirizzi per la Giunta regionale da seguire nel corso dell’attività di negoziato con lo Stato, nonché
l’autorizzazione a concordare gli adeguamenti necessari per la concessione del cofinanziamento.
4. La Giunta regionale riferisce al Consiglio regionale sull’andamento delle procedure di negoziato con lo
Stato in merito alle modalità attuative delle Intese con cadenza semestrale in modo da favorire l’espletamento
delle attività di monitoraggio sull’attuazione degli Accordi di Programma Quadro.
5. Al termine del negoziato e prima di ogni modifica agli Accordi presentata al negoziato con lo Stato, gli atti
di cui al comma 1 sono ritrasmessi al Consiglio regionale per l’approvazione definitiva.
Art. 14 (Modifiche agli Accordi di Programma Quadro)
1. Le proposte di modifica sostanziale agli atti di programmazione di cui all’art. 13, comma 1, sono approvate
dal Consiglio regionale.
2. Per modifiche sostanziali si intendono:
a) le modifiche al piano finanziario che comportano una destinazione delle risorse per priorità strategiche
interne al programma diversa da quella originaria;
b) le modifiche di programmazione che comportano la previsione di nuove operazioni o la soppressione di
operazioni esistenti;
c) le proposte di modifica diverse da quelle elencate al comma 2 sono trasmesse alla competente
Commissione consiliare, la quale esprime il proprio parere entro 15 giorni dalla acquisizione dell’atto;
decorso tale termine, il parere si ritiene reso in senso favorevole.
CAPO III
Disposizioni finali
Art. 15 (Modifiche al Regolamento interno del Consiglio)
1. Il Consiglio adegua il proprio Regolamento interno alle prescrizioni contenute nella presente legge entro il
termine di 60 giorni dalla pubblicazione, definendo, in particolare, i tempi, le modalità di esame e di
votazione della legge comunitaria regionale e degli atti di programmazione di cui alla presente legge.
Art. 16 (Disposizioni di rinvio)
1. Per quanto non espressamente previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni di cui alla legge 4
febbraio 2005, n. 11. La presente legge è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.E` fatto obbligo, a
chiunque spetti, di osservarla e farla osservare come legge della Regione Calabria.
57
Catanzaro, lì 5 gennaio 2007
Il Presidente Loiero
Regione Emilia-Romagna
LEGGE REGIONALE 24 marzo 2004, n. 6
RIFORMA DEL SISTEMA AMMINISTRATIVO REGIONALE E LOCALE. UNIONE EUROPEA E
RELAZIONI INTERNAZIONALI. INNOVAZIONE E SEMPLIFICAZIONE. RAPPORTI CON
L’UNIVERSITÀ (BOLLETTINO UFFICIALE n. 41 del 25 marzo 2004).
…
TITOLO I
FINALITÀ E OBIETTIVI. UNIONE EUROPEA E RAPPORTI INTERNAZIONALI
Art. 1 Finalità e obiettivi
1. La presente legge adegua l’ordinamento della Regione Emilia-Romagna alla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), perseguendo il grado più elevato di
valorizzazione delle autonomie e, al tempo stesso, di raccordo e armonia del sistema.
2. In particolare, persegue i seguenti obiettivi:
a) adeguare l’ordinamento della Regione alle esigenze di adempimento delle funzioni che la Costituzione le
riconosce in ambito europeo e internazionale;
b) valorizzare l’autonomia degli Enti locali, con particolare riferimento a quella normativa chiarendone i
rapporti con le fonti regionali;
c) adeguare la disciplina della Conferenza Regione-Autonomie locali alla prospettiva della costituzione del
Consiglio previsto dall’articolo 123, comma quarto della Costituzione;
d) rafforzare gli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diverse politiche, al fine di
offrire ai cittadini prestazioni e interventi organicamente coordinati;
e) attuare i principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, valorizzando
particolarmente le forme associative tra Comuni, tenendo conto delle specificità delle realtà montane, nonché
considerando le peculiarità dell’Area metropolitana bolognese e del Circondario di Imola;
f) favorire la cooperazione in ambito interregionale;
g) superare i controlli preventivi di legittimità ed introdurre forme di comunicazione, supporto e monitoraggio
condiviso tra Regione ed Enti locali;
h) favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, l’innovazione e la trasparenza dell’attività
normativa e amministrativa, anche mediante l’utilizzazione di strumenti informatici;
i) stabilire nuovi criteri di organizzazione regionale con particolare riferimento al sistema delle agenzie e alle
nomine;
l) prevedere uno stabile sistema di raccordo con le Università e stabilire criteri per la valutazione dei titoli
universitari ai fini delle assunzioni nelle amministrazioni regionale e locali.
Art. 2 Partecipazione della Regione alla formazione del diritto comunitario
1. Il presidente della Giunta regionale assicura e promuove, nel quadro degli indirizzi stabiliti dal Consiglio
regionale, la più ampia partecipazione della Regione Emilia-Romagna alle decisioni dirette alla formazione
degli atti normativi e di indirizzo comunitari.
2. Il presidente della Giunta regionale riferisce al Consiglio regionale delle iniziative e dei compiti svolti ai
sensi del comma 1.
3. La partecipazione degli Enti locali alle iniziative ed ai compiti svolti ai sensi del comma 1 è disciplinata
dalla Giunta regionale previa intesa con la Conferenza Regione-Autonomie locali ai sensi dell’articolo 31
della legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e locale).
Art. 3 Adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari ed attuazione delle politiche
europee
1. Per il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi derivanti dall’emanazione di atti
normativi comunitari o alle sentenze della Corte di giustizia, entro il primo luglio di ogni anno la Giunta
regionale presenta al Consiglio regionale il progetto di legge comunitaria regionale che deve essere approvata
entro il 31 dicembre e deve indicare nel titolo l’intestazione “Legge comunitaria regionale” con l’indicazione
dell’anno di riferimento. Il testo della legge comunitaria regionale è trasmesso per conoscenza al Governo ed
è accompagnato da una relazione sullo stato di attuazione del diritto comunitario nell’ordinamento regionale.
2. La legge comunitaria regionale:
a) recepisce gli atti normativi emanati dall’Unione europea nelle materie di competenza regionale e attua, in
particolare, le direttive comunitarie, disponendo inoltre quanto necessario per il completamento
dell’attuazione dei regolamenti comunitari;
b) detta disposizioni per l’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia e degli altri provvedimenti, anche
di rango amministrativo, della Commissione europea che comportano obbligo di adeguamento per la Regione;
c) reca le disposizioni modificative o abrogative della legislazione vigente necessarie all’attuazione o
applicazione degli atti comunitari di cui alle lettere a) e b);
d) individua gli atti normativi comunitari alla cui attuazione o applicazione la Giunta è autorizzata a
provvedere in via amministrativa, dettando i criteri ed i principi direttivi all’uopo necessari;
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e) reca le disposizioni procedurali, metodologiche, attuative, modificative e abrogative necessarie
all’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea.
3. La Regione Emilia-Romagna nell’ambito delle proprie competenze e nel perseguimento delle finalità
statutarie partecipa ai programmi e progetti promossi dall’Unione europea. La Regione promuove altresì la
conoscenza delle attività dell’Unione europea presso gli Enti locali e i soggetti della società civile del
territorio regionale e favorisce la partecipazione degli stessi ai programmi e progetti promossi dall’Unione
europea. La Giunta regionale determina, con proprio atto, le modalità per l’eventuale cofinanziamento e
l’acquisizione di servizi organizzativi e di supporto per le iniziative di cui al presente comma.
Art. 4 Attività di rilievo internazionale della Regione
1. Nel rispetto della competenza statale in materia di politica estera e dei principi fondamentali stabiliti con
legge dello Stato o da essa dedotti la presente legge detta norme sulle modalità di esercizio dei rapporti
internazionali della Regione.
2. La Giunta regionale esercita le proprie attività di rilievo internazionale, in particolare attraverso:
a) iniziative di cooperazione allo sviluppo, solidarietà internazionale e aiuto umanitario;
b) attività promozionali dirette nel campo del marketing territoriale, del commercio e della collaborazione
industriale, del turismo, del settore agroalimentare, della cultura e dello sport;
c) predisposizione di missioni, studi, eventi promozionali;
d) attività promozionali indirette, quali il supporto a soggetti pubblici e privati presenti sul territorio
dell’Emilia-Romagna, ma non dipendenti dall’amministrazione regionale, per l’attuazione di iniziative
similari a quelle indicate alle lettere a), b) e c);
e) iniziative di scambio di esperienze e assistenza istituzionale con le amministrazioni di Regioni ed altri enti
esteri;
f) supporto ad iniziative di scambio e collaborazione in campo universitario, scolastico e delle politiche
giovanili;
g) supporto, promozione ed incentivazione allo sviluppo dei gemellaggi tra i Comuni e le Province
dell’Emilia-Romagna, quelli europei e del mondo e alle iniziative degli stessi per la diffusione di una cultura
di pace;
h) iniziative a supporto del reclutamento e della formazione di personale destinato ad immigrare per motivi di
lavoro in Emilia-Romagna;
i) politiche a favore dei concittadini emigrati all’estero;
l) creazione di strutture all’estero di supporto alle attività internazionali della Regione.
Art. 5 Indirizzi di cooperazione internazionale e disciplina dell’attività internazionale della Regione
1. Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta, approva un documento pluriennale di indirizzi in materia
di cooperazione internazionale e attività internazionale della Regione Emilia-Romagna per la
programmazione regionale, contenente principi e modalità per il coordinamento fra le attività di rilievo
internazionale della Regione e priorità, anche territoriali, nell’attuazione delle stesse.
2. La Giunta regionale, nell’ambito delle priorità stabilite dal documento pluriennale di indirizzi di cui al
comma 1, approva:
a) le modalità e le procedure per l’istituzione di sedi ed uffici di collegamento e supporto organizzativo
all’estero; tali uffici devono avere caratteristiche di intersettorialità;
b) le modalità organizzative e gli strumenti di supporto per la collaborazione con enti territoriali interni ad
altro Stato;
c) le modalità organizzative e gli strumenti di supporto per l’invio e l’accoglienza di funzionari nell’ambito di
progetti di collaborazione ed assistenza istituzionale;
d) gli strumenti e le iniziative per la collaborazione e l’incentivazione nelle attività internazionali con gli Enti
locali e le Università presenti in Regione.
3. Fino a specifica disposizione del contratto collettivo nazionale in materia, la Giunta regionale, con l’atto di
cui al comma 2, lettera a), stabilisce una indennità mensile speciale a titolo di rimborso forfettario delle spese
relative alla permanenza nella sede di servizio all’estero al personale assegnato alle sedi ed uffici previsti da
detta disposizione. Tale indennità non può essere superiore alle analoghe indennità previste per il personale
all’estero dello Stato italiano.
4. La Giunta regionale determina, con l’atto di cui al comma 2, lettera a), le modalità per l’acquisizione di
servizi organizzativi e di supporto per le attività degli uffici ivi previsti, prevedendo le modalità per
l’attivazione, ove necessario, di convenzioni anche con enti, società ed associazioni dotate della necessaria
capacità ed esperienza, con sede nel Paese di insediamento dell’ufficio.
5. Il comma 2, lettera a) ed i commi 3 e 4 si applicano anche alle strutture di rappresentanza regionale presso
le istituzioni europee di cui all’articolo 58, comma 4 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria
1994).
Friuli Venezia Giulia
Legge regionale 02/04/2004, N. 10
Disposizioni sulla partecipazione della Regione Friuli Venezia Giulia ai processi normativi dell’Unione
europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
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Art. 1 (Finalità)
1. La Regione Friuli Venezia Giulia, in conformità ai principi di cui all’articolo 117 della Costituzione e
nell’ambito delle proprie competenze, concorre direttamente alla formazione degli atti comunitari e garantisce
l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea sulla base dei principi
di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.
2. Nell’ambito dei fini di cui al comma 1, la presente legge definisce le procedure finalizzate alla tempestiva
attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di competenza legislativa della Regione.
Art. 2 (Partecipazione alla formazione degli atti comunitari)
1. La Regione concorre direttamente, nelle materie di propria competenza, alla formazione degli atti
comunitari, partecipando nell’ambito delle delegazioni del Governo all’attività del Consiglio e dei gruppi di
lavoro e dei Comitati del Consiglio e della Commissione europea secondo modalità stabilite ai sensi
dell’articolo 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Art. 3 (Legge comunitaria regionale)
1. La Regione, nelle materie di propria competenza, dà immediata attuazione alle direttive comunitarie.
2. Entro il 31 marzo di ogni anno, la Giunta regionale, previa verifica dello stato di conformità
dell’ordinamento regionale all’ordinamento comunitario, presenta al Consiglio regionale un disegno di legge
regionale recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”; tale titolo è completato dall’indicazione
“Legge comunitaria” seguita dall’anno di riferimento.
3. Nell’ambito della relazione al disegno di legge di cui al comma 2, la Giunta regionale:
a) riferisce sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario e sullo stato delle
eventuali procedure di infrazione a carico dello Stato in conseguenza di inadempimenti della Regione;
b) fornisce l’elenco delle direttive da attuare in via regolamentare o amministrativa.
4. Il regolamento interno del Consiglio regionale definisce i tempi, le modalità di esame e di votazione della
legge comunitaria regionale.
Art. 4 (Contenuti della legge comunitaria regionale)
1. Il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale all’ordinamento comunitario è assicurato dalla legge
comunitaria regionale, che reca:
a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni legislative regionali in contrasto con gli obblighi
indicati all’articolo 1;
b) disposizioni necessarie per dare attuazione o assicurare l’applicazione di norme e di atti comunitari, che
vincolino la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
c) disposizioni che autorizzano la Giunta regionale ad attuare le direttive in via regolamentare, nelle materie
non coperte da riserva assoluta di legge;
d) disposizioni ricognitive delle direttive da attuare in via amministrativa.
2. Alla legge comunitaria regionale sono allegati:
a) l’elenco delle direttive delle quali si dispone l’attuazione per rinvio, in quanto aventi contenuto
incondizionato e sufficientemente specifico, e delle direttive che non necessitano di provvedimento di
attuazione in quanto l’ordinamento interno risulta già conforme a esse;
b) l’elenco delle direttive attuate in via regolamentare;
c) l’elenco delle direttive attuate in via amministrativa.
Note: 1. Sostituite parole al comma 2 da art. 18, comma 1, L.R. 11/2005
Art. 5 (Attuazione in via regolamentare)
1. La legge comunitaria regionale può autorizzare l’attuazione delle direttive mediante regolamenti di
esecuzione e attuazione, nonchè mediante regolamenti di delegificazione, nelle materie non coperte da riserva
assoluta di legge.
2. I regolamenti di cui al comma 1 si conformano alle seguenti norme generali nel rispetto dei principi e delle
disposizioni contenuti nelle direttive da attuare:
a) individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni nel rispetto del
principio di sussidiarietà;
b) esercizio dei controlli secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
c) fissazione di termini e procedure nel rispetto dei principi di semplificazione di cui all’articolo 20, comma
4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modifiche.
3. Le disposizioni della legge comunitaria regionale che autorizzano l’emanazione di regolamenti di
delegificazione determinano le norme generali o i criteri che devono presiedere all’esercizio del potere
regolamentare e dispongono l’abrogazione delle disposizioni legislative vigenti, con effetto dall’entrata in
vigore dei regolamenti e in essi espressamente indicate. Tali regolamenti sono adottati previo parere
vincolante della competente Commissione consiliare, la quale esprime il parere entro sessanta giorni dalla
data di ricezione della relativa richiesta. Decorso tale termine si prescinde dal parere.
60
4. La legge comunitaria regionale detta le disposizioni relative qualora le direttive consentano scelte in ordine
alle modalità della loro attuazione o si renda necessario introdurre sanzioni amministrative o individuare le
autorità pubbliche cui affidare le funzioni amministrative inerenti all’applicazione della nuova disciplina, o
qualora l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi amministrativi o la previsione di
nuove spese o di minori entrate.
Art. 6 (Adeguamenti tecnici in via amministrativa)
1. Alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modificano modalità esecutive e
caratteristiche di ordine tecnico di direttive già recepite nell’ordinamento regionale, è data attuazione in via
amministrativa con decreto del Presidente della Regione previa deliberazione della Giunta regionale.
Art. 7 (Relazione al Consiglio regionale)
1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge comunitaria regionale annuale l’Assessore regionale per le
relazioni internazionali e per le autonomie locali, previa deliberazione della Giunta regionale, presenta alla
competente Commissione consiliare una relazione sullo stato di attuazione della legge medesima.
Art. 8 (Misure urgenti)
1. A fronte di atti normativi comunitari o sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee,
comunicate dal Governo alla Regione, che comportano obblighi regionali di adempimento all’ordinamento
comunitario ed abbiano scadenza anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria
regionale relativa all’anno in corso, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale il relativo disegno di
legge indicando nella relazione la data entro la quale il provvedimento deve essere approvato.
1 bis. Nel caso in cui in sede amministrativa è riconosciuto l’obbligo di disapplicare norme interne in
contrasto con la normativa comunitaria, la Giunta regionale emana indirizzi al fine dell’omogeneità
dell’attività amministrativa regionale e presenta tempestivamente al Consiglio regionale un disegno di legge,
con il quale sono modificate o abrogate le disposizioni di legge regionale incompatibili con le norme
comunitarie, indicando eventualmente nella relazione la data entro la quale il provvedimento deve essere
approvato.
Note: 1. Aggiunto il comma 1 bis da art. 19, comma 1, L.R. 11/2005
Art. 9 (Indicazione degli atti comunitari attuati)
1. Tutti i provvedimenti adottati dalla Regione per dare attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di
propria competenza legislativa recano nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata.
2. Le sentenze della Corte di giustizia che comportino obbligo di adeguamento per la Regione sono indicate
nell’ambito delle disposizioni che modificano la normativa vigente in conformità a esse.
Art. 10 (Modifica, deroga, sospensione o abrogazione della legge)
1. Le disposizioni della presente legge possono essere modificate, derogate, sospese o abrogate da successive
leggi solo attraverso l’esplicita indicazione delle disposizioni da modificare, derogare, sospendere o abrogare.
Art. 11 (Modifiche all’articolo 1 della legge regionale 9/1998)
1. All’articolo 1 della legge regionale 19 maggio 1998, n. 9 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi
comunitari in materia di aiuti di Stato) sono apportate le seguenti modifiche:
a) ai commi 1 e 7 bis le parole “il Presidente della Regione” sono sostituite dalle seguenti: “l’Assessore
regionale per le relazioni internazionali e per le autonomie locali”;
b) al comma 4 le parole “al Presidente della Regione” sono sostituite dalle seguenti: “all’Assessore regionale
per le relazioni internazionali e per le autonomie locali”.
Regione Marche
Legge regionale 2 ottobre 2006, n. 14.
Disposizioni sulla partecipazione della Regione Marche al processo normativo comunitario e sulle
procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie (B.U.R. n. 99 del 12.10.2006).
Art. 1 (Finalità)
1. La presente legge disciplina le modalità di partecipazione della Regione alla formazione di atti normativi
comunitari nonché le procedure per l’attuazione delle politiche comunitarie nell’ordinamento regionale.
Art. 2 (Partecipazione della Regione alla formazione del diritto comunitario)
1. La Giunta e il Consiglio regionale definiscono d’intesa le osservazioni della Regione sulle proposte di atto
comunitario di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli
obblighi comunitari).
2. La posizione della Regione è trasmessa secondo le modalità disciplinate dall’articolo 5, comma 3, della
legge 11/2005.
Art. 3 (Adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari e attuazione delle politiche
europee)
1. La Regione dà tempestiva attuazione alle direttive comunitarie adottate nelle materie di propria
competenza.
2. Al fine di garantire il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi derivanti
61
dall’emanazione di atti normativi comunitari o alle sentenze della Corte di giustizia, entro il 31 maggio di
ogni anno la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale la proposta di legge comunitaria regionale dal
titolo: “Legge comunitaria regionale” e con l’indicazione dell’anno di riferimento.
3. Nell’ambito della relazione alla proposta di legge di cui al comma 2, la Giunta regionale riferisce sullo stato
di conformità della legislazione regionale alle disposizioni comunitarie e sullo stato delle eventuali procedure
di infrazione a carico dello Stato per inadempienze imputabili alla Regione.
Art. 4 (Contenuti della legge comunitaria regionale)
1. La legge comunitaria regionale:
a) recepisce gli atti normativi emanati dall’Unione europea nelle materie di competenza regionale, con
particolare riguardo alle direttive comunitarie, e dispone quanto ritenuto necessario per l’attuazione dei
regolamenti comunitari;
b) detta le disposizioni per l’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia e delle decisioni della
Commissione europea che comportano obbligo di adeguamento per la Regione;
c) contiene le disposizioni modificative o abrogative della legislazione vigente necessarie all’attuazione o
all’applicazione degli atti comunitari di cui alle lettere a) e b);
d) individua gli atti normativi comunitari alla cui attuazione la Giunta regionale è autorizzata a provvedere in
via amministrativa, dettando i relativi principi e criteri direttivi.
Art. 5 (Rispetto della normativa comunitaria)
1. Il Consiglio regionale effettua una verifica constante della conformità dell’ordinamento regionale con gli
atti normativi e di indirizzo emanati dagli organi dell’Unione europea e delle Comunità europee, secondo
quanto previsto all’articolo 8, comma 3, della legge 11/2005.
2. La verifica di cui al comma 1 è effettuata dalla Commissione consiliare competente per gli affari
comunitari, che si avvale delle strutture messe a disposizione dal Consiglio stesso.
3. La Commissione consiliare competente per gli affari comunitari informa della verifica effettuata le
Commissioni consiliari di volta in volta competenti e la Giunta regionale.
Art. 6 (Competenza del Consiglio regionale)
1. Il Consiglio regionale delibera gli atti di indirizzo nonché, su proposta della Giunta, gli atti di
programmazione, di piano e di programma operativo regionale concernenti l’attuazione delle politiche
comunitarie, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto.
2. Al fine di porre in essere una rapida procedura di approvazione da parte del Consiglio, la Giunta regionale
assicura a quest’ultimo un’adeguata informazione a partire dalla fase di elaborazione delle proposte relative
agli atti di cui al comma 1.
3. La Giunta regionale riferisce al Consiglio regionale sull’andamento delle procedure di negoziato con lo
Stato e con la Commissione europea.
4. Al termine del negoziato, gli atti di cui al comma 1 sono ritrasmessi al Consiglio regionale per
l’approvazione definitiva.
Art. 7 (Modifiche agli atti di programmazione comunitaria)
1. Le proposte di modifica sostanziale agli atti di programmazione di cui all’articolo 6, comma 1, sono
approvate dal Consiglio regionale.
2. Per modifiche sostanziali si intendono le modifiche al piano finanziario che comportano uno spostamento
di risorse tra gli assi o tra priorità strategiche diverse da quelle originarie del programma in misura superiore
al 3 per cento complessivo, calcolato sul totale del contributo pubblico relativo all’intero periodo di
programmazione.
3. Le proposte di modifica diverse da quelle elencate al comma 2, una volta approvate dalla Giunta regionale,
sono trasmesse alla competente Commissione consiliare, la quale esprime il proprio parere entro quindici
giorni dalla trasmissione dell’atto; decorso tale termine, si prescinde dal parere.
4. Ogni atto di programmazione può indicare i contenuti che, se variati, ne determinano una modifica
sostanziale.
Art. 8 (Sessione comunitaria del Consiglio regionale)
1. La Giunta regionale, entro il termine indicato al comma 2 dell’articolo 3, presenta al Consiglio regionale il
rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie nel quale sono esposti:
a) le posizioni sostenute dalla Regione nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni di cui all’articolo 17 della
legge 11/2005 e del Comitato delle Regioni di cui agli articoli 263, 264 e 265 del trattato istitutivo della
Comunità europea;
b) lo stato di avanzamento dei programmi di competenza della Regione, con l’indicazione delle procedure
adottate per l’attuazione.
c) gli orientamenti e le misure che si intendono adottare per l’attuazione delle politiche comunitarie per l’anno
in corso;
d) le attività di collaborazione internazionale avviate e quelle che si intendono avviare nell’anno in corso.
2. Il Consiglio regionale, a seguito della presentazione della proposta di legge comunitaria regionale e del
rapporto di cui al comma 1, è convocato in sessione comunitaria alla quale sono dedicate una o più sedute.
Durante la sessione comunitaria il Consiglio, oltre alla discussione ed approvazione degli atti di competenza,
adotta gli eventuali indirizzi validi per l’attività della Regione.
62
Art. 9 (Informazione al Consiglio regionale)
1. La Giunta regionale assicura un’informazione costante al Consiglio, per il tramite della Commissione
consiliare competente per gli affari europei, sull’attuazione delle politiche comunitarie nonché sullo
svolgimento delle attività di rilievo internazionale.
2. L’informazione di cui al comma 1 riguarda, in particolare:
a) gli atti relativi alla partecipazione a bandi di gara o inviti a presentare proposte che beneficiano di un
cofinanziamento comunitario;
b) i bandi elaborati per dare attuazione ai programmi comunitari;
c) le iniziative di partenariato internazionale promosse della Giunta regionale.
Art. 10 (Modifiche al regolamento interno del Consiglio)
1. Il Consiglio regionale adegua il proprio regolamento interno alle prescrizioni contenute nella presente
legge, definendo, in particolare, le modalità di svolgimento della sessione comunitaria e di esame degli atti di
programmazione di cui all’articolo 6.
2. In attesa delle modifiche di cui al comma 1, il rapporto presentato dalla Giunta regionale, ai sensi del
comma 1 dell’articolo 8, è discusso nel corso della seduta del Consiglio regionale convocata per l’esame della
proposta di legge comunitaria di cui al comma 2 dell’articolo 3.
La presente legge è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e farla osservare come legge della regione Marche.
Regione Valle D’Aosta
Legge regionale 16 marzo 2006, n. 8.
Disposizioni in materia di attività e relazioni europee e internazionali della Regione autonoma Valle
d’Aosta (B.U. 4 aprile 2006, n. 14)
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 (Finalità)
1. In relazione al combinato disposto degli articoli 117, commi 3, 5 e 9, della Costituzione e 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), e nel
rispetto degli indirizzi di politica estera dello Stato e delle leggi 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e 4 febbraio
2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), la presente legge:
a) detta disposizioni in materia di relazioni internazionali e con l’Unione europea della Regione;
b) disciplina le attività di rilievo internazionale ed europeo della Regione;
c) disciplina le modalità di partecipazione della Regione ai processi normativi dell’Unione europea e di
adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
Art. 2 (Ambiti di intervento)
1. La Regione, nell’esercizio delle attività di rilievo internazionale nelle materie di sua competenza, provvede
a:
a) sviluppare attività e iniziative tese a rafforzare ed approfondire la cooperazione e le relazioni di buon
vicinato tra le regioni e le popolazioni dell’arco alpino;
b) promuovere la cooperazione interregionale, transfrontaliera e transnazionale, predisporre proposte e attuare
iniziative per lo sviluppo ed il potenziamento di partenariati istituzionali;
c) concludere convenzioni con enti territoriali interni ad altri Stati e accordi con altri Stati, nei limiti e secondo
le modalità di cui all’articolo 6 della legge n. 131/2003.
2. La Regione, nell’esercizio delle attività di rilievo europeo nelle materie di sue competenza, provvede a:
a) promuovere e favorire iniziative di studio, di ricerca, di scambio di esperienze, di informazione e di
divulgazione volte alla promozione dell’unità europea, con particolare attenzione alle iniziative dirette al
consolidamento, tra i giovani, dell’identità europea;
b) promuovere la conoscenza delle istituzioni, delle politiche e delle attività dell’Unione europea presso i
cittadini, gli enti locali e i soggetti della società civile, favorendone la partecipazione ai programmi e ai
progetti promossi dall’Unione europea;
c) contribuire, nelle sedi in cui essa è rappresentata, a promuovere il rispetto, la tutela e la valorizzazione, in
ambito europeo, delle lingue e culture meno diffuse e della loro particolarità, al fine di sostenere e consolidare
un’Europa della diversità;
d) stabilire relazioni con le organizzazioni europeiste, regionaliste e federaliste;
e) partecipare ad organismi e associazioni costituiti tra le Regioni, le Province autonome ed i Comuni
nell’ambito delle attività dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa;
f) favorire il gemellaggio dei Comuni, singolarmente o in forma associata, con i Comuni degli altri Stati
membri dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa;
g) partecipare ai processi normativi dell’Unione europea e dare esecuzione agli obblighi che le derivano
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
h) dare attuazione alle politiche europee, con particolare attenzione ai loro profili di carattere interregionale,
transfrontaliero e transnazionale.
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Art. 3 (Attività a sostegno della francofonia)
1. La Regione riconosce nella lingua francese una delle radici più profonde della propria autonomia storica,
culturale e istituzionale e ritiene propria responsabilità mantenerla viva e disponibile per le future generazioni.
2. La Regione, nell’ambito delle attività e delle relazioni di rilievo internazionale ed europeo di cui all’articolo
2, promuove le cooperazioni, gli scambi, i partenariati ed ogni altra forma di collaborazione intesa a favorire
la diffusione internazionale della lingua francese.
3. Per il perseguimento delle finalità di cui ai commi 1 e 2, la Regione, per il tramite del Consiglio regionale,
partecipa, in particolare, all’Assemblée parlementaire de la francophonie.
Art. 4 (Indirizzi e disciplina dell’attività europea ed internazionale della Regione)
1. Il Consiglio regionale, entro sei mesi dall’inizio della legislatura, su proposta della Giunta regionale,
approva un documento pluriennale di indirizzo sulle attività di rilievo internazionale ed europeo della
Regione, contenente le linee programmatiche per l’azione regionale, nonché l’indicazione delle materie di
interesse regionale e delle relative priorità, anche territoriali, di intervento.
2. La Giunta regionale, nel rispetto degli indirizzi stabiliti dal documento di cui al comma 1, con apposita
deliberazione:
a) specifica le attività e le singole iniziative da intraprendere;
b) attribuisce alle strutture dell’Amministrazione regionale le competenze finalizzate all’espletamento delle
attività di cui alla lettera a);
c) stabilisce i tempi per l’inizio e la conclusione delle attività di cui alla lettera a), definendo, contestualmente,
i relativi indicatori di risultato;
d) indica gli strumenti necessari alla realizzazione delle attività di cui alla lettera a), definendo,
contestualmente, le modalità di attivazione, organizzazione e finanziamento delle suddette attività.
3. La Giunta regionale disciplina, inoltre, con propria deliberazione, le modalità di svolgimento delle missioni
all’estero, di apertura e di organizzazione degli uffici di collegamento e supporto tecnico all’estero e quelle
per l’eventuale attivazione di convenzioni con enti, società ed associazioni dotati delle necessarie capacità ed
esperienza.
4. Il Presidente della Regione presenta al Consiglio regionale, nell’ambito di un’apposita sessione europea e
internazionale le cui modalità di svolgimento sono stabilite dal regolamento interno del Consiglio, una
relazione sulle attività svolte in attuazione della presente legge.
CAPO II
ATTIVITÀ DI RILIEVO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DELLA REGIONE
Art. 5 (Relazioni internazionali ed europee della Regione)
1. Nell’ambito delle attività di rilievo internazionale ed europeo di cui all’articolo 2 e nel rispetto degli
indirizzi stabiliti dal documento di cui all’articolo 4, la Giunta regionale provvede, in particolare, alla
realizzazione di iniziative nei seguenti settori:
a) cooperazione allo sviluppo, solidarietà internazionale e aiuto umanitario;
b) scambio di esperienze e assistenza istituzionale alle amministrazioni di Regioni ed altri enti, associazioni e
organizzazioni esteri e internazionali, in particolare nell’ambito delle problematiche comuni alle zone di
montagna, delle autonomie regionali speciali e della tutela e promozione delle lingue regionali, minoritarie e
meno diffuse;
c) supporto ad attività di scambio e collaborazione in materia di istruzione, di università e di politiche
giovanili;
d) sostegno, promozione ed incentivazione dei gemellaggi tra i Comuni della regione, singolarmente o in
forma associata, e quelli europei ed extraeuropei, nonché delle iniziative correlate;
e) promozione diretta nel campo del marketing territoriale, del commercio, della cooperazione industriale,
dell’agroalimentare, della cultura e dello sport;
f) promozione indiretta sotto forma di supporto a soggetti pubblici e privati presenti sul territorio regionale,
per l’attuazione di iniziative similari a quelle di cui alla lettera e).
Art. 6 (Attuazione delle politiche europee e istituzione di uno sportello di informazione sull’Unione europea)
1. La Regione, nelle materie di sua competenza, partecipa ai programmi e ai progetti promossi dall’Unione
europea. La Giunta regionale determina, con propria deliberazione, le modalità per l’eventuale
cofinanziamento e l’acquisizione di servizi organizzativi di sostegno delle iniziative di cui al presente comma.
I Comuni, le Comunità montane, gli enti e le aziende strumentali della Regione, in qualsiasi forma costituiti,
concordano con la struttura regionale competente in materia di affari europei, di seguito denominata struttura
competente, l’opportunità e le modalità della propria partecipazione ai programmi e ai progetti promossi
dall’Unione europea.
2. Per il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a), la Giunta regionale istituisce,
nell’ambito della struttura competente, uno sportello di informazione al cittadino sulle istituzioni, le politiche
e le attività dell’Unione europea e ne determina le modalità di funzionamento.
Art. 7 (Istituzione dell’Ufficio di rappresentanza a Bruxelles)
1. Per il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 2, comma 2, la Giunta regionale, in attuazione di
quanto disposto dall’articolo 58, comma 4, della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria
64
1994), istituisce, presso la sede delle istituzioni dell’Unione europea a Bruxelles, la struttura denominata
Ufficio di rappresentanza, quale strumento di collegamento tecnico, amministrativo e operativo tra le strutture
regionali e gli uffici, gli organismi e le istituzioni dell’Unione europea. La Giunta regionale stabilisce altresì
le modalità di apertura e di organizzazione della suddetta struttura.
CAPO III
PARTECIPAZIONE DELLA REGIONE AI PROCESSI NORMATIVI DELL’UNIONE EUROPEA E
PROCEDURE DI ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI COMUNITARI
Art. 8 (Partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari)
1. Nelle materie di sua competenza, la Regione concorre direttamente alla formazione degli atti comunitari,
partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo italiano, alle attività del Consiglio, dei gruppi di
lavoro, dei comitati tecnici del Consiglio e della Commissione europea, secondo le modalità stabilite
dall’articolo 5 della legge n. 131/2003.
2. La Giunta regionale disciplina, con propria deliberazione, le modalità di partecipazione della Regione alle
attività di cui al comma 1 e alle altre attività dirette alla formazione degli atti normativi comunitari di cui
all’articolo 5 della legge n. 11/2005.
Art. 9 (Legge comunitaria regionale)
1. La Regione, nelle materie di sua competenza, dà tempestiva attuazione agli atti normativi comunitari e alle
sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
2. Entro il 31 marzo di ogni anno, la Giunta regionale, previa verifica dello stato di conformità
dell’ordinamento regionale al diritto comunitario, presenta al Consiglio regionale un disegno di legge recante
“Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”; il titolo è completato dal numero identificativo delle
direttive recepite e dall’indicazione “Legge comunitaria regionale”, seguita dall’anno di riferimento.
3. Nella relazione sul disegno di legge di cui al comma 2, la Giunta regionale:
a) riferisce in merito allo stato di conformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario e alle eventuali
procedure di infrazione a carico dello Stato in conseguenza di inadempimenti della Regione;
b) fornisce l’elenco degli atti normativi comunitari da applicarsi o eseguirsi in via amministrativa.
Art. 10 (Contenuti della legge comunitaria regionale)
1. La legge comunitaria regionale:
a) detta disposizioni per l’esecuzione o l’applicazione degli atti normativi emanati dall’Unione europea nelle
materie di competenza della Regione;
b) detta disposizioni per l’esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e degli
atti della Commissione europea che comportano obbligo di adeguamento per la Regione;
c) reca disposizioni modificative o abrogative di norme regionali, per l’esecuzione o l’applicazione degli atti
comunitari di cui alle lettere a) e b);
d) individua gli atti normativi comunitari alla cui esecuzione o applicazione la Giunta regionale è autorizzata a
provvedere in via amministrativa, dettando i criteri e gli indirizzi allo scopo necessari;
e) reca disposizioni procedurali, modificative e abrogative per l’attuazione di programmi regionali
cofinanziati dall’Unione europea.
2. Alla legge comunitaria regionale sono allegati i due documenti di seguito indicati:
a) elenco degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento
regionale risulta già conforme ad essi;
b) elenco degli atti normativi comunitari recepiti o applicati in via amministrativa dalla Giunta regionale.
3. Il Presidente della Regione trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri, con le modalità di cui
all’articolo 16, comma 2, della legge n. 11/2005, il testo della legge comunitaria regionale, unitamente alla
relazione, e gli atti di cui al comma 2, lettera b).
Art. 11 (Adeguamenti tecnici da apportarsi in via amministrativa)
1. Alle disposizioni comunitarie non direttamente applicabili che modificano modalità esecutive e
caratteristiche di ordine tecnico di atti normativi comunitari già recepiti nell’ordinamento regionale, è data
attuazione in via amministrativa con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta
regionale.
CAPO IV
DISPOSIZIONI FINANZIARIE E FINALI
Art. 12 (Disposizioni finanziarie)
1. L’onere derivante dall’applicazione degli articoli 6 e 7 della presente legge è determinato in complessivi
euro 230.000 a decorrere dall’anno 2006.
2. L’onere di cui sopra trova copertura nello stato di previsione della spesa del bilancio della Regione per
l’anno finanziario 2006 e di quello pluriennale per il triennio 2006/2008, nell’obiettivo programmatico 1.3.1
(Funzionamento dei servizi regionali).
3. Al finanziamento dell’onere di cui al comma 1, si provvede - con riferimento agli anni 2006, 2007 e 2008
dei bilanci per l’anno finanziario e per il triennio 2006/2008 - come segue:
65
a) per annui euro 55.000, mediante riduzione di pari importo dello stanziamento iscritto al capitolo 25058
(Spese per prestazioni di servizi e acquisto di libri, pubblicazioni, testi giuridici connessi all’attivazione di un
punto di informazione al cittadino sulle principali politiche e istituzioni dell’Unione Europea) dell’obiettivo
programmatico 2.2.2.17. (Programmi comunitari cofinanziati);
b) per annui euro 175.000, mediante riduzione di pari importo dello stanziamento iscritto al capitolo 35620
(Spese per la costituzione del fondo di dotazione della Finaosta S.p.A. per gli interventi della gestione
speciale) dell’obiettivo programmatico 2.1.4.02. (Partecipazioni azionarie e conferimenti).
4. Per l’applicazione della presente legge, la Giunta regionale è autorizzata ad apportare, con propria
deliberazione, su proposta dell’assessore regionale competente in materia di bilancio, le occorrenti variazioni
di bilancio.
Art. 13 (Abrogazione)
1. Il comma 2 dell’articolo 3 della legge regionale 20 luglio 2004, n. 13, è abrogato.
La possibilità per le regioni di aprire propri “uffici di collegamento” presso gli
organismi internazionali è stata sancita dalla l. 52/1996, che supera i vincoli normativi
fino ad allora esistenti e ricollegabili alle remore del legislatore a riconoscere un ruolo
alla regioni in ambito comunitario e internazionale. Si tratta di uffici che svolgono
attività di informazione, comunicazione, promozione degli interessi regionali attraverso
forme più o meno accentuate di lobbying. Per la maggior parte delle regioni la delega
agli affari/rapporti comunitari è presso la presidenza della giunta regionale e gli uffici
di collegamento, più o meno direttamente, sono ad essa collegati. Da ultimo la legge
finanziaria 2007, per arginare i costi sostenuti per queste “rappresentanze”, spesso non
giustificati dal tenore delle attività previste dalla legge, ha previsto il divieto di acquisire
immobili da destinare agli uffici di collegamento.
Legge 6 febbraio 1996, n. 52
Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee (Legge comunitaria 1994)
Art. 58. - Rappresentanze permanenti presso Organismi internazionali.
1. Fermo restando il contingente complessivo fissato dal penultimo comma dell’articolo 168 del decreto del
Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, come modificato dall’articolo 71 della legge 29 dicembre
1990, n. 428, il numero massimo degli esperti inviati ad occupare un posto in organico in rappresentanze
permanenti presso Organismi internazionali è elevato da venticinque a ventinove unità.
2. Del contingente aggiuntivo di cui al comma 1 fanno parte quattro funzionari regionali e delle province
autonome nominati dal Ministero degli affari esteri su designazione della Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome, collocati fuori ruolo e inviati in servizio presso la Rappresentanza
permanente presso l’Unione europea. Presso la Rappresentanza permanente presso l’Unione europea è
istituito, con le procedure di cui all’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n.
18, un ulteriore posto in organico, nel ruolo degli esperti di cui all’articolo 168 del citato decreto del
Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, cui è assegnato, in posizione di fuori ruolo, un funzionario della
carriera direttiva appartenente ai ruoli di una regione o provincia autonoma, designato dalla Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome. Tale ulteriore posto conferma quello già istituito ai sensi
dell’articolo 7, comma 2, della legge 4 dicembre 1993, n. 491, abrogata dal comma 1 dell’articolo 1 del
decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143, con la posizione e le funzioni originariamente stabilite.
2-bis. I presidenti delle giunte regionali e delle province autonome, in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in occasione della sessione
speciale prevista dall’articolo 10 della legge 9 marzo 1989, n. 86, indicano al Governo gli argomenti e le
questioni di particolare interesse per le proprie amministrazioni, che ritengono debbano essere presi in
considerazione nella formulazione delle direttive che il Ministro degli affari esteri impartisce alla
Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea anche per l’utilizzazione degli esperti ad essa
assegnati.Il Governo informa le Camere delle indicazioni ricevute dalle amministrazioni territoriali.
3. La spesa relativa alla istituzione dei posti da assegnare al personale delle amministrazioni regionali e delle
province autonome, nell’ambito del contingente di cui al comma 1, fa carico ai bilanci delle predette
amministrazioni.
4. Le regioni nonchè le province autonome di Trento e di Bolzano hanno la facoltà di istituire presso le sedi
delle istituzioni dell’Unione europea uffici di collegamento propri o comuni con altre regioni o enti
appartenenti all’Unione europea nell’ambito della cooperazione transfrontaliera o di accordi internazionali.
Gli uffici regionali e provinciali intrattengono rapporti con le istituzioni comunitarie nelle materie di rispettiva
66
competenza. Gli oneri derivanti dall’istituzione degli uffici sono posti a carico dei rispettivi bilanci delle
regioni e delle province autonome.
Tabella: allocazione delle deleghe in materia di affari/rapporti comunitari e uffici di collegamento
regionali a Bruxelles
Regione
Delega e Organizzazione
Ufficio
di
collegamento
(Bruxelles)
Presidente della Giunta Regionale, Direzione Affari Servizio
Attività
di
Abruzzo*
della
Presidenza,
Politiche
Legislative
e Collegamento con l’Unione
Comunitarie, Rapporti Esterni
Europea
/
/
Basilicata
Presidente
della
Giunta,
Dipartimento “Casa Calabria” e Bic Calabria –
Calabria
“Programmazione nazionale e comunitaria (Uffici: Regione Calabria
Politiche di coesione e programmi comunitari
regionali; Programmi speciali U.E. – Politiche
Euromediterranee.
Relazioni
Internazionali;
Programmazione strategica e sviluppo sostenibile)
Campania
Presidente della Giunta, Ufficio del Consigliere
diplomatico
EmiliaRomagna
Presidente della Giunta per rapporti fra Regione e
Stato, Relazioni internazionali e rapporti con i
Parlamenti, con gli organismi internazionali e con le
altre regioni europee ed extraeuropee. Il
coordinamento dei programmi per la realizzazione
delle attività regionali all’estero e le iniziative a
favore
degli
emigrati.
La
cooperazione
internazionale e lo sviluppo della cultura della pace
Assessorato regionale relazioni internazionali,
comunitarie e autonomie locali; Direzione relazioni
internazionali, comunitarie e autonomie locali
Friuli
Venezia
Giulia
Lazio *
Presidente della Giunta, Segreteria Generale della
Presidenza della Giunta;
Relazioni Istituzionali, Rapporti con
l’UE
e Cooperazione Internazionale
Liguria
Lombardia
Delega presso la Presidenza per lo sviluppo e il
consolidamento delle relazioni internazionali;
Direzione Generale per le industrie, PMI e
cooperazione
Marche*
Presidente della Giunta: Rapporti con le istituzioni
locali, nazionali, comunitarie ed internazionali
Giunta regionale – Direzione Generale 1^ della
Programmazione
Molise
67
Rappresentanza della Regione
Campania, Servizio dell’Area
Generale di Coordinamento
Gabinetto del Presidente, Ufficio
di collegamento della Regione
Campania con le istituzioni della
Unione Europea. A Bruxelles
Servizio di collegamento con
l’Ue rappresenta la Regione
Emilia-Romagna
in
ambito
comunitario
Ufficio di
Bruxelles
collegamento
di
Area relazioni UE, dipartimento
istituzionale, direzione regionale
attività
della
Presidenza
“area relazioni con l’unione
europea” (reg. Reg. 6 settembre
2002, n. 1, allegato D)
CasaLiguria,
ufficio
di
collegamento a Bruxelles
Istituzione di un ufficio a
Bruxelles presso la sede dell’
Unione europea (legge regionale
n. 2 del 17-02-1997 e ss.
Modifiche )
Sede della Regione a Bruxelles
Ufficio di
Bruxelles
collegamento
a
Regione
Delega e Organizzazione
Piemonte
Presidente della Giunta: Politiche istituzionali,
relazioni internazionali, coordinamento delle
politiche comunitarie, cooperazione internazionale e
politiche per la pace; Gabinetto della Presidenza
della Giunta regionale; S1 .2 – supporto al
coordinamento delle politiche comunitarie per
l’accesso ai fondi strutturali – ufficio di Buxelles;
s1.4 – affari internazionali e comunitari
Gabinetto del Presidente della Giunta Regionale
Puglia
Sicilia
Toscana*
Trentino
Alto Adige
Presso la Presidenza della Giunta è istituito l’Ufficio
per le relazioni Euromediterranee e l’insularità
La Presidenza della Giunta ha la delega per i
Rapporti con il Governo, le altre Regioni e
Istituzioni europee. Relazioni internazionali…
Concertazione, Coordinamento dell’attuazione delle
politiche comunitarie…Coordinamento dell’attività
legislativa
Vice Presidente sostituto: gestione delle iniziative
per la promozione dell'integrazione europea e degli
interventi in favore delle popolazioni dei paesi
extracomunitari.
Provincia
Autonoma di
Trento
La Presidenza della Provincia ha la delega rapporti
internazionali e con l’Unione europea, ivi compresa
la cooperazione transfrontaliera;
Provincia
Autonoma di
Bolzano
Presidenza della Provincia, Dipartimento generale,
affari comunitari, ufficio per l’integrazione europea
Umbria*
Presidenza della Giunta: Rapporti con il Governo e
le Istituzioni Europee, Programmazione generale e
coordinamento delle politiche comunitarie, Intese
istituzionali di programma e accordi di programma
quadro, Relazioni Internazionali, cooperazione allo
sviluppo e politiche per la pace, Rapporti con le
comunità umbre all’estero,
Presso la Presidenza della Giunta Regionale,
Dipartimento politiche strutturali e affari europei
Direzione politiche e programmi comunitari e statali
Valle
d’Aosta
Veneto
Presso la Segreteria regionale Affari generali,
Direzione Sede di Bruxelles
Ufficio
di
collegamento
(Bruxelles)
L’ufficio di Bruxelles è inserito
nel
settore
supporto
al
coordinamento delle politiche
comunitarie
della
direzione
Gabinetto della Presidenza della
Giunta.
Uffico Rapporti con le Istituzioni
UE
Ufficio di collegamento con le
istituzioni della Unione europea
Ufficio di collegamento della
regione Toscana a Bruxelles
/
Legge provinciale 13 novembre
1998, n. 16, Norme organizzative
dell’attività
della
Provincia
autonoma di Trento a Bruxelles
Ufficio a Bruxelles:
- trasmissione di informazioni
tra gli uffici provinciali e gli
uffici dell'Unione europea
- supporto agli enti pubblici ed
ai cittadini nell'espletamento di
incombenze amministrative
presso gli uffici suddetti
- preparazione di incontri con
autorità dell'Unione europea
- rapporti dell'Amministrazione
provinciale con l'Unione europea
Ufficio di collegamento
Ufficio di Rappresentanza ed
Assistenza tecnica della Regione
Autonoma Valle d’Aosta a
Bruxelles
Direzione Sede di Bruxelles
*Le cinque regioni contrassegnate con asterisco hanno costituito anche un ufficio
comune a Bruxelles per “Le Regioni del Centro Italia in Europa”.
68
Legge n. 296, del 27/12/2006, in G.U. 27/12/2006 (Finanziaria 2007)
Disposizioni in materia di spese
(Divieto di acquistare o gestire Sedi regionali di rappresentanza all’estero)
594. Fatti salvi gli uffici di rappresentanza delle regioni presso gli organi dell’Unione europea, non possono
essere coperte con fondi derivanti da trasferimenti a qualunque titolo da parte dello Stato le spese sostenute
dalle regioni per l’acquisto o la gestione di sedi di rappresentanza in Paesi esteri, o per la istituzione di uffici o
di strutture comunque denominate per la promozione economica, commerciale, turistica.
(Sanzione)
595. Qualora le regioni sostengano spese ricadenti nelle fattispecie di cui al comma precedente, una cifra pari
alle spese da ciascuna regione sostenute nell’anno viene detratta dai fondi a qualsiasi titolo complessivamente
trasferiti a quella regione dallo Stato nel medesimo anno.
(Principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica per le regioni)
596. Le disposizioni di cui ai commi 594 e 595 costituiscono principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell’Unione europea.
(Divieto di acquistare o gestire sedi di rappresentanza o uffici per gli enti locali)
597. Fatti salvi gli uffici di rappresentanza delle associazioni nazionali degli enti locali presso gli organi
dell’Unione europea, non è consentito a comuni e province, anche in forma associata, acquistare o gestire sedi
di rappresentanza in Paesi esteri, o l’istituzione di uffici o di strutture comunque denominate per la
promozione economica, commerciale, turistica.
(Divieto utilizzo fondi trasferiti dallo Stato)
598. È fatto altresì divieto a comuni e province di coprire, con fondi derivanti da trasferimenti a qualunque
titolo da parte dello Stato, le spese sostenute, anche in forma associata, nell’ambito delle fattispecie di cui al
comma 596.
(Sanzione)
599. Qualora gli enti locali sostengano, anche in forma associata, spese ricadenti nelle fattispecie di cui al
comma 596, una cifra pari alle spese da ciascun ente sostenute nell’anno viene detratta dai fondi a qualsiasi
titolo complessivamente trasferiti a quell’ente dallo Stato nel medesimo anno.
La Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-città e autonomie locali i temi
di interesse comunitario:
Per la trattazione di tutti gli aspetti della politica comunitaria che sono anche di
interesse regionale e provinciale, la Conferenza Stato-Regioni si riunisce in una
apposita sessione comunitaria (già ai sensi della legge 9 marzo 1989, n. 86, art. 10, e
quindi della l. 11/2005, art. 17 e 18). La sessione comunitaria è convocata almeno due
volte all’anno, anche su richiesta dei Presidenti delle Regioni e delle Province
autonome. La sessione comunitaria della Conferenza assicura il raccordo delle linee
della politica nazionale relativa all’elaborazione degli atti comunitari con le esigenze
delle Regioni nelle materie di loro competenza, si esprime sui criteri e le modalità per
conformare l’esercizio delle funzioni regionali all’osservanza e all’adempimento degli
obblighi comunitari e acquisisce il parere di queste ultime sullo schema di disegno di
legge comunitaria.
In modo analogo, ma con cadenza almeno annuale, deve essere convocata una sessione
comunitaria della Conferenza Stato-città e autonomie locali, per trattare gli aspetti delle
politiche comunitarie di interesse degli enti locali. La Conferenza è tenuta ad
esprimersi, in particolare, sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle
funzioni amministrative degli enti locali all’osservanza e all’adempimento degli
obblighi comunitari.
Presso il Ministero degli Affari Esteri è inoltre attiva l’Unità per le Regioni, attraverso il dialogo costante con gli
interlocutori regionali e locali, assiste le Regioni e gli Enti locali italiani nella loro attività di rilievo internazionale.
L’Unità rappresenta il primo interfaccia tra il sistema delle Autonomie ed il Ministero degli Esteri. Una delle
principali funzioni dell’Unità è quella di garantire un flusso di informazioni costante, nelle due direzioni, tra le
Regioni, il Ministero degli Esteri e la sua rete estera. Da un lato, le Regioni, in base alla vigente disciplina, informano
il Ministero: delle attività di rilievo internazionale che intendono svolgere; delle attività promozionali all’estero; dei
progetti di intesa con enti omologhi di altri Stati terzi e dei progetti di accordo con altri Stati. Dall’altro lato, il MAE
comunica alle Regioni: opportunità di investimenti e di promozione economico-commerciale all’estero; informazioni
utili per la preparazione di missioni istituzionali all’estero; informazioni rilevanti per la realizzazione di progetti di
cooperazione decentrata (tra cui, per un esempio tra tanti, programmi per il Medio Oriente) o di assistenza
69
umanitaria. Al fine di rendere sempre più diffuso e strutturato tale scambio di informazioni, l’Unità delle Regioni ha
messo a punto un primo nucleo di banca dati che raccoglie tutti i dati in suo possesso relativi alle attività
internazionali delle Autonomie locali. L’obiettivo, nel medio periodo, è quello di pervenire ad una banca dati
direttamente accessibile a tutti gli Uffici del Ministero interessati ed alla rete estera.
1.5 L’influenza della giurisprudenza comunitaria sulla Pubblica Amministrazione
italiana. Il caso dei servizi pubblici locali
(fonte: http://curia.eu.int/it/index.htm)
“È noto che, in Italia, il processo di trasformazione dell’ordinamento dei servizi
pubblici si sviluppa soltanto a partire dagli anni Novanta per effetto dei mutamenti
maturati a livello europeo.
Dopo un lungo periodo di scarsa attenzione da parte del legislatore comunitario (dovuto
alla mancanza di previsioni specifiche nel Trattato istitutivo e nella normativa derivata,
con la sola eccezione del settore dei trasporti), la situazione inizia a modificarsi nella
seconda metà degli anni Ottanta, quando ci si rende conto che i servizi pubblici non
possono essere sottratti alla disciplina del mercato e, in particolare, a quella posta a
tutela della concorrenza. In questa fase, però, l’intervento comunitario produce effetti
circoscritti, in quanto, mirando soprattutto alla abolizione dei diritti speciali ed
esclusivi, di fatto determina una apertura al mercato limitata, specie nei settori del
trasporto aereo, marittimo e ferroviario, delle telecomunicazioni, dell’elettricità, delle
poste e del gas naturale.
È solo qualche anno più tardi che il quadro muta radicalmente, con l’affermazione di
una strategia unitaria nei confronti dei servizi di interesse economico generale. Prima,
con alcune comunicazioni della Commissione europea, poi, con l’introduzione da parte
del Trattato di Amsterdam dell’art. 16 del Trattato istitutivo, infine, con l’adozione di
una nuova serie di disposizioni normative (tra le quali assumono particolare rilievo
quelle in materia di comunicazioni elettroniche), si sancisce formalmente l’obbligo per
la Comunità e gli Stati membri di assicurare le missioni di interesse generale proprie di
tali servizi. Di conseguenza, il diritto europeo viene a sancire il rispetto dei principi di
parità di trattamento, di adeguatezza e di continuità; la disciplina delle modalità di
offerta; la garanzia dell’accessibilità dei prezzi; l’assicurazione di determinati livelli
qualitativi, consentendo l’imposizione agli operatori di obblighi di servizio pubblico o
universale.
In definitiva, nel volgere di pochi anni, l’ordinamento comunitario inizia a porre le basi
per un sistema comune dei servizi di interesse economico generale: così, all’originaria
neutralità dei servizi pubblici si viene a sostituire progressivamente una europeizzazione
della loro disciplina, che determina soprattutto tre cambiamenti importanti: innanzitutto,
il regime della riserva e del monopolio legale da regola diventa eccezione; in secondo
luogo, l’ambito di intervento dell’impresa pubblica si riduce notevolmente; infine, i
pubblici poteri assumono un ruolo di garanzia del funzionamento in luogo di quello di
direzione politico-economica.
Peraltro, l’affermazione del nuovo sistema si realizza in modo differenziato e
disomogeneo tra settore e settore per due motivi. Il primo è che la costruzione di un
regime europeo dei servizi pubblici deve tenere conto non soltanto delle diversità
esistenti negli Stati membri, ma anche dei vincoli posti dall’ordinamento globale, come
nel caso della disciplina del commercio internazionale (che trova applicazione anche nei
confronti dei servizi tradizionalmente riservati alle amministrazioni pubbliche), di
quella delle telecomunicazioni e di quella dei trasporti aerei e marittimi. Il secondo è
70
che in sede nazionale emergono non poche resistenze a difesa di interessi specifici,
spesso eredità del passato.
Nell’ordinamento italiano, in particolare, si registra una situazione peculiare. In una
prima fase, vengono adottate soluzioni avanzate perché si prevedono requisiti e
condizionamenti addirittura superiori rispetto a quelli imposti dal legislatore
comunitario, come, ad esempio, nel caso dell’istituzione di autorità di regolazione
settoriali, con poteri di precettivi, di controllo e di risoluzione di controversie. In una
seconda fase, invece, prevale l’interesse alla protezione degli operatori esistenti,
approfittando, da una parte, della circostanza che alcuni segmenti di mercato, come, ad
esempio, quello dei trasporti terrestri, rimangono in regime di riserva e di concessione
e, dall’altra, della opportunità che deriva dalla incompletezza della normativa europea,
la quale non giunge a disciplinare tutti i profili del settore, tralasciandone alcuni, come
nel caso dei servizi pubblici locali.”
Da Claudio Franchini, Le principali questioni della disciplina dei servizi pubblici locali, Relazione introduttiva al
Convegno su “La disciplina dei servizi pubblici locali: novità recenti e ulteriori prospettive di riforma”, organizzato
dalla Scuola di specializzazione in studi sull’amministrazione pubblica dell’Università di Bologna e dall’Istituto
italiano di scienze amministrative (Bologna, 27 gennaio 2007)
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
9 settembre 1999 (1)
«Libertà di stabilimento — Libera prestazione di servizi —
Organizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti»
Nel procedimento C-108/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 177 del Trattato
CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunale amministrativo regionale della Campania nella causa dinanzi ad esso
pendente tra
RI.SAN. Srl
e
Comune di Ischia,
Italia Lavoro SpA, già GEPI SpA,
Ischia Ambiente SpA,
domanda vertente sull’interpretazione degli art. 55 e 90, n. 2, del Trattato CE (divenuti artt. 45 CE e 86, n. 2,
CE),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dai signori J.-P. Puissochet, presidente di sezione, P. Jann (relatore), C. Gulmann, D.A.O. Edward e
L. Sevón, giudici,
avvocato generale: S. Alber
cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto
viste le osservazioni scritte presentate:
— per il Comune di Ischia dall’avv. Roberto Montemurro, del foro di Napoli;
— per la Italia Lavoro SpA dagli avv.ti Francesco Castiello e Giuseppe Ricapito, del foro di Roma;
— per il governo italiano dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del
Ministero degli affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor Pier Giorgio Ferri, avvocato dello Stato;
— per la Commissione delle Comunità europee dal signor Michel Nolin e dalla signora Laura Pignataro,
membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali della RI.SAN. Srl, rappresentata dall’avv. Arcangelo d’Avino, del foro di Napoli,
della Italia Lavoro SpA, rappresentata dagli avv.ti Antonio Tizzano e Francesco Sciaudone, del foro di
Napoli, della Ischia Ambiente SpA, rappresentata dall’avv. L. Bruno Molinaro, del foro di Napoli, del
governo italiano, rappresentato dal signor Pier Giorgio Ferri, e della Commissione, rappresentata dal signor
Michel Nolin e dalla signora Laura Pignataro, all’udienza del 4 febbraio 1999,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 marzo 1999,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 19 novembre - 11 dicembre 1997, pervenuta in cancelleria il 9 aprile 1998, il Tribunale
amministrativo regionale della Campania ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE
(divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione degli artt. 55 e 90, n. 2, del
Trattato CE (divenuti artt. 45 CE e 86, n. 2, CE).
2. Tali questioni sono state proposte nell’ambito di una controversia tra la RI.SAN. Srl (in prosieguo: la
«RI.SAN.»), da un lato, e il Comune di Ischia, la Italia Lavoro SpA (in prosieguo: la «Italia Lavoro»), ex
71
GEPI SpA (in prosieguo: la «GEPI»), e la Ischia Ambiente SpA (in prosieguo: la «Ischia Ambiente»),
dall’altro, a proposito dell’organizzazione da parte del Comune del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani.
La normativa nazionale
3. L’art. 22, n. 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, relativa all’ordinamento delle autonomie locali (GURI n.
135 del 12 giugno 1990), stabilisce che i comuni e le province possono avvalersi, per lo svolgimento dei
servizi pubblici locali attribuiti dalla legge alla loro competenza, delle seguenti forme di gestione:
«a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno
costituire una istituzione o una azienda;
b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;
c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;
d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione
alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».
4. L’art. 4, n. 6, della legge 29 marzo 1995, n. 95, relativa alle società miste di servizi pubblici (GURI n. 77
del 1° aprile 1995), che modifica il decreto legge 31 gennaio 1995, n. 26 (GURI n. 26 del 31 gennaio 1995),
dispone quanto segue:
«Al fine di favorire l’occupazione o la rioccupazione di lavoratori, i comuni e le province sono autorizzati a
costituire società per azioni con la GEPI SpA, anche per la gestione di servizi pubblici locali».
5. A termini dell’art. 4, n. 8, della stessa legge «le partecipazioni azionarie detenute dalla GEPI SpA nelle
società di cui al presente articolo, sono cedute entro il termine di cinque anni mediante gara pubblica».
6. La GEPI è una società finanziaria costituita ai sensi dell’art. 5 della legge 22 marzo 1971, n. 184 (GURI n.
105 del 28 aprile 1971). Essa ha lo scopo di concorrere al mantenimento e all’accrescimento dei livelli
occupazionali. Il suo capitale è integralmente posseduto dal Ministero del Tesoro.
Fatti e causa a qua
7. Con delibera del Consiglio comunale 19 marzo 1996 il Comune di Ischia ha costituito una società per
azioni a capitale misto, ai sensi dell’art. 22, n. 3, lett. e), della legge n. 142/90, per la gestione del servizio di
raccolta dei rifiuti solidi urbani. Ai sensi dell’art. 4, n. 6, della legge n. 95/95 il capitale di tale società era
detenuto per il 51% dal Comune e per il 49% dalla GEPI. Con delibera 7 novembre 1996 il Consiglio
comunale ha affidato alla detta società, la Ischia Ambiente, il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani cui
prima aveva provveduto la RI.SAN. Srl, titolare di un contratto con scadenza il 4 gennaio 1997.
8. Con due ricorsi la RI.SAN. ha impugnato le dette delibere del Consiglio comunale deducendo, in
particolare, che la scelta del socio privato avrebbe dovuto costituire oggetto di una procedura di gara pubblica
e che il servizio di raccolta dei rifiuti avrebbe altresì dovuto essere attribuito in esito a tale procedura.
9. Il giudice a quo ha espresso dubbi sulla compatibilità con il diritto comunitario, e in particolare con i
principi della libera prestazione dei servizi e della libera concorrenza, dell’art. 4, n. 6, della legge n. 95/95, che
consente ad un ente locale di scegliere la GEPI come socio per la gestione di servizi pubblici locali senza
prima procedere ad una gara pubblica.
10. Esso ha invece ritenuto che la direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), sia irrilevante per la
definizione della lite, dato che questa riguarda l’attribuzione non già di un appalto pubblico di servizi, bensì di
una concessione di servizio pubblico.
11. Alla luce di quanto sopra il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la previsione dell’art. 55 del Trattato (applicabile anche al settore dei servizi in virtù del richiamo
operato dal successivo art. 66), in base alla quale “sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del
presente capo, per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia
pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”, debba interpretarsi in senso sufficientemente ampio
da ricomprendervi le attività della GEPI S.p.A. (poi Itainvest S.p.A.) di partecipazione a società miste degli
enti locali per la gestione di servizi pubblici locali, ai sensi dell’art. 4, comma 6, della legge 29 marzo 1995, n.
95 (di conversione, con modifiche, del decreto legge 31 gennaio 1995, n. 26), allorquando tale partecipazione
si connoti del fine di “favorire l’occupazione o la
rioccupazione di lavoratori” già adibiti al servizio della cui gestione si tratta, tenendo conto dell’art. 5 della
legge 22 marzo 1971, n. 184, istitutivo della GEPI S.p.A., che assegna alla GEPI medesima il compito di
“concorrere al mantenimento e all’accrescimento dei livelli di occupazione compromessi da difficoltà
transitorie, atti a comprovare la concreta possibilità del risanamento delle imprese interessate”, nelle forme ivi
specificate;
2) se, alla stregua della surrichiamata normativa disciplinante la GEPI S.p.A. (poi Itainvest S.p.A.), possa
ritenersi applicabile alla fattispecie in esame la deroga di cui all’art. 90, comma 2, del Trattato, ai sensi del
quale “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (...) sono sottoposte alle
norme del presente Trattato, e in particolare alle regole della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di
tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”».
72
Sull’oggetto della domanda pregiudiziale
12. Il Comune di Ischia, la Italia Lavoro, la Ischia Ambiente, il governo italiano e la Commissione hanno
presentato osservazioni relative alla questione se la procedura di scelta dell’ente incaricato della raccolta dei
rifiuti possa rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 92/50.
13. Tale direttiva si applica all’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, che sono definiti, nell’art. 1,
lett. a), come contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed
un’amministrazione aggiudicatrice.
14. Il giudice a quo ha però escluso espressamente la pertinenza della direttiva 92/50, poiché nella fattispecie
si tratta non già di un appalto pubblico di servizi, bensì di una concessione di servizio pubblico.
15. Invero, la definizione della nozione di concessione di servizio pubblico ai sensi della normativa
comunitaria in materia di appalti pubblici e la questione se una concessione del genere sia esclusa dall’ambito
di applicazione della direttiva 92/50 rientrano nel diritto comunitario. Siffatte questioni possono quindi
costituire oggetto di un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 177 del Trattato, se un giudice nazionale ritiene
che una pronuncia su una di esse sia necessaria per consentirgli di emanare la sua sentenza.
16. Tuttavia, anche ammettendo che la direttiva 92/50 sia pertinente per la soluzione della causa a qua,
contrariamente a quanto considerato in proposito dal giudice a quo, occorre rilevare che la decisione di
quest’ultimo e le questioni proposte vertono solo su talune disposizioni del Trattato e che il giudice a quo non
ha fornito i dati fattuali che sarebbero necessari perché la Corte possa pronunciarsi sull’interpretazione della
detta direttiva.
17. Ciò considerato, la Corte deve limitare la sua soluzione alle sole disposizioni del Trattato espressamente
richiamate nelle questioni pregiudiziali.
La prima questione pregiudiziale
18. Con la prima questione il giudice a quo chiede in sostanza se l’art. 55 del Trattato debba interpretarsi nel
senso che consente ad un comune di scegliere, senza esperire previamente una gara d’appalto, una società
finanziaria come socio in una società a prevalente capitale pubblico locale avente ad oggetto la gestione del
servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani.
19. A questo proposito si deve osservare che l’applicazione dell’art. 55 del Trattato, letto, se del caso,
congiuntamente all’art. 66 del Trattato CE (divenuto art. 55 CE), presuppone, in quanto tali articoli
costituiscono una deroga alle norme del Trattato relative, rispettivamente, alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi, che queste norme siano in via di principio applicabili.
20. Secondo la valutazione del giudice a quo, di cui la Corte non è in grado di accertare l’esattezza, la causa a
qua riguarda la stipulazione di un contratto di appalto pubblico di servizi. Questo rilievo non esclude tuttavia
che le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione, che impongono in particolare agli Stati
membri degli obblighi di parità di trattamento e di trasparenza nei confronti degli operatori economici di altri
Stati membri, possano essere pertinenti.
21. Risulta però dal fascicolo di causa che la RI.SAN., che contesta la legittimità della scelta operata dal
Comune, ha sede in Italia e non opera sul mercato italiano avvalendosi della libertà di stabilimento o della
libertà di prestare servizi.
22. Una situazione del genere non presenta dunque alcun nesso con una delle situazioni considerate dal diritto
comunitario nel settore della libera circolazione delle persone e dei servizi.
23. a prima questione va quindi risolta nel senso che l’art. 55 del Trattato non si applica in una situazione
come quella oggetto della causa a qua, i cui elementi sono tutti confinati all’interno di un solo Stato membro e
che pertanto non presenta alcun nesso con una delle situazioni considerate dal diritto comunitario nel settore
della libera circolazione delle persone e dei servizi.
Sulla seconda questione
24. Con la seconda questione il giudice a quo chiede in sostanza se l’art. 90, n. 2, del Trattato debba
interpretarsi nel senso che consente ad un comune di scegliere, senza esperire previamente una gara d’appalto,
una società finanziaria come socio in una società a prevalente capitale pubblico locale avente ad oggetto la
gestione del servizio della raccolta dei rifiuti solidi urbani.
25. Occorre ricordare che l’art. 90, n. 2, costituisce una deroga alle norme del Trattato, in particolare alle
norme in materia di concorrenza, di cui presuppone quindi l’applicazione.
26. Ora, come è stato rilevato nei punti 19-22 di questa sentenza, le disposizioni relative alla libera
circolazione delle persone e alla libera prestazione dei servizi non si applicano in una situazione come quella
di cui alla causa a qua. Peraltro né l’ordinanza di rinvio né le osservazioni scritte forniscono alla Corte gli
elementi di fatto e di diritto che le consentirebbero di interpretare le altre norme del Trattato, in particolare le
norme in materia di concorrenza, relativamente alla situazione creata dalla scelta, senza previa gara d’appalto,
della GEPI in qualità di socio in una società a prevalente capitale pubblico locale avente ad oggetto la
gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani.
27. Di conseguenza la Corte non è in grado di fornire una soluzione utile alla seconda questione.
Sulle spese
28. Le spese sostenute dal governo italiano e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla
Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle
spese.
73
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con
ordinanza 19 novembre - 11 dicembre 1997, dichiara:
L’art. 55 del Trattato CE (divenuto art. 45 CE) non si applica in una situazione come quella oggetto della
causa a qua, i cui elementi sono tutti confinati all’interno di un solo Stato membro e che pertanto non presenta
alcun nesso con una delle situazioni considerate dal diritto comunitario nel settore della libera circolazione
delle persone e dei servizi.
Puissochet Jann Gulmann Edward Sevón
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 settembre 1999.
Il cancelliere
Il presidente della Quinta Sezione
R. Grass
J.-P. Puissochet
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
18 novembre 1999 (1)
«Appalti pubblici di servizi e di forniture — Direttive 92/50/CEE e 93/36/CEE — Aggiudicazione, da parte di
un ente locale ad un consorzio a cui esso partecipa, di un contratto di fornitura di prodotti e di prestazione di
servizi determinati»
Nel procedimento C-107/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 177 del Trattato
CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna nella causa dinanzi
ad esso pendente tra
Teckal Srl
e
Comune di Viano,
Azienda Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia,
domanda vertente sull’interpretazione dell’art. 6 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dai signori D.A.O. Edward, presidente di sezione, L. Sevón, J.-P. Puissochet, P. Jann (relatore) e M.
Wathelet, giudici,
avvocato generale: G. Cosmas
cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale,
viste le osservazioni scritte presentate:
— per la Teckal Srl, dagli avv.ti A. Soncini e F. Soncini, del foro di Parma, e P. Adami, del foro di Roma;
— per l’Azienda Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia, dagli avv.ti E.G. Di Fava, del foro di
Reggio Emilia, e G. Cugurra, del foro di Parma;
— per il governo italiano, dal professor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del
ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor P.G. Ferri, avvocato dello Stato;
— per il governo belga, dal signor J. Devadder, consigliere generale presso il servizio giuridico del ministero
degli Affari esteri, del Commercio con l’estero e della Cooperazione allo sviluppo, in qualità di agente;
— per il governo austriaco, dal signor W. Okresek, Sektionschef presso la Cancelleria, in qualità di agente;
— per la Commissione delle Comunità europee, dal signor P. Stancanelli, membro del servizio giuridico, in
qualità di agente,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali della Teckal Srl, con gli avv.ti A. Soncini e P. Adami, dell’Azienda Gas-Acqua
Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia, rappresentata dall’avv. G. Cugurra, del governo italiano,
rappresentato da signor P.G. Ferri, del governo francese, rappresentato dalla signora A. Bréville-Viéville,
chargé de mission presso la direzione affari giuridici del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, e
della Commissione, rappresentata dal signor P. Stancanelli, all’udienza del 6 maggio 1999,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° luglio 1999,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 10 marzo 1998, pervenuta in cancelleria il 14 aprile successivo, il Tribunale amministrativo
regionale per l’Emilia-Romagna ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto
art. 234 CE), una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’art. 6 della direttiva del Consiglio 18
giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L
209, pag. 1).
2. Tale questione è stata proposta nell’ambito di una controversia che vede la Teckal Srl (in prosieguo: la
«Teckal») contrapposta al comune di Viano e all’Azienda Gas-Acqua Consorziale (AGAC) di Reggio Emilia
74
(in prosieguo: l’«AGAC») in ordine all’aggiudicazione, da parte di tale comune, della gestione del servizio di
riscaldamento di taluni edifici comunali.
La normativa comunitaria
3. L’art. 1, lett. a) e b), della direttiva 92/50 dispone:
«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:
a) “appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi
ed un’amministrazione aggiudicatrice (...)
b) “amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni
costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
(...)».
4. L’art. 2 della direttiva 92/50 precisa:
«Se un appalto pubblico ha per oggetto sia dei prodotti di cui alla direttiva 77/62/CEE che dei servizi di cui
agli allegati IA e IB della presente direttiva, esso rientra nel campo d’applicazione della presente direttiva
qualora il valore dei servizi in questione superi quello dei prodotti previsti dal contratto».
5. Ai sensi dell’art. 6 della direttiva 92/50:
«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso stesso
un’amministrazione ai sensi dell’articolo 1, lettera b), in base a un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù
delle disposizioni legislative, regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano
compatibili con il trattato».
6. La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), ha abrogato la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976,
77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L 13,
pag. 1). I riferimenti fatti alla direttiva abrogata si considerano, ai sensi dell’art. 33 della direttiva 93/36, come
fatti a quest’ultima.
7. L’art. 1, lett. a) e b), della direttiva 93/36 dispone:
«Ai fini della presente direttiva si intendono per:
a) “appalti pubblici di forniture”, i contratti a titolo oneroso, aventi per oggetto l’acquisto, il leasing, la
locazione, l’acquisto a riscatto con o senza opzione per l’acquisto di prodotti, conclusi per iscritto fra un
fornitore (persona fisica o giuridica) e una delle amministrazioni aggiudicatrici definite alla lettera b). La
fornitura di tali prodotti può comportare, a titolo accessorio, lavori di posa e installazione;
b) “amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni
costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
(...)».
La normativa nazionale
8. L’art. 22, n. 1, della legge italiana 8 giugno 1990, n. 142, sull’ordinamento delle autonomie locali (GURI n.
135 del 12 giugno 1990; in prosieguo: la «legge n. 142/90»), stabilisce che i comuni provvedono alla gestione
dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni e le attività rivolte a realizzare fini sociali e
a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
9. Ai sensi dell’art. 22, n. 3, della legge n. 142/90, i comuni possono fornire tali servizi in economia, in
concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, istituzione o società per azioni a prevalente capitale pubblico
locale.
10. L’art. 23 della legge n. 142/90, che definisce le aziende speciali e le istituzioni, dispone che:
«1. L’azienda speciale è ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia
imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.
(...)
3. Organi dell’azienda e dell’istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al
quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e di revoca degli amministratori sono
stabilite dallo statuto dell’ente locale.
4. L’azienda e l’istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno
l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i
trasferimenti.
(...)
6. L’ente locale conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti
fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli eventuali
costi sociali.
(...)».
11. Ai sensi dell’art. 25 della legge n. 142/90, i comuni e le province, per la gestione associata di uno o più
servizi, possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’art. 23. A
tal fine i rispettivi consigli comunali approvano, a maggioranza assoluta dei componenti, una convenzione
unitamente allo statuto del consorzio. L’assemblea del consorzio è composta dai rappresentanti degli enti
associati, nella persona del sindaco, del presidente o di un loro delegato. L’assemblea elegge il consiglio di
amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti dallo statuto.
12. L’AGAC è un consorzio costituito da diversi comuni — tra i quali quello di Viano — per la gestione dei
servizi dell’energia e dell’ambiente, ai sensi dell’art. 25 della legge n. 142/90. In forza dell’art. 1 del proprio
75
statuto (in prosieguo: lo «statuto»), essa è dotata di personalità giuridica e autonomia imprenditoriale. L’art. 3,
n. 1, dello statuto prevede che essa ha come scopo l’assunzione diretta e la gestione di taluni servizi pubblici
elencati, tra i quali «gas metano per usi civili e produttivi; calore per usi civili e produttivi; attività connesse e
accessorie ai servizi sopra indicati».
13. Ai sensi dell’art. 3, nn. 2-4, dello statuto, l’AGAC può estendere le sue attività ad altri servizi connessi o
accessori, partecipare ad enti e/o a società a capitale pubblico o privato per la gestione di attività connesse e
accessorie, e infine svolgere servizi o provvedere a forniture nei confronti di privati o enti pubblici diversi dai
comuni consorziati.
14. Ai sensi degli artt. 12 e 13 dello statuto, gli atti di gestione più importanti, tra i quali i bilanci preventivi e i
consuntivi, sono approvati dall’assemblea dell’AGAC, composta da rappresentanti dei comuni. Gli altri
organi direttivi sono il consiglio, il presidente del consiglio e il direttore generale. Questi ultimi non
rispondono della
loro gestione dinanzi ai comuni. Le persone fisiche che compongono tali organi non rivestono cariche nei
comuni consorziati.
15. L’art. 25 dello statuto sancisce per l’AGAC l’obbligo del pareggio di bilancio e quello dell’economicità
gestionale. In applicazione dell’art. 27 dello statuto, i comuni conferiscono fondi o beni all’AGAC, che versa
loro interessi annui. L’art. 28 dello statuto prevede che gli eventuali utili di esercizio siano ripartiti tra i
comuni consorziati, conservati dall’AGAC per incrementare i fondi di riserva o anche reinvestiti in altre
attività dell’AGAC. A norma dell’art. 29 dello statuto, nel caso di perdita di esercizio, si può procedere al
risanamento della situazione finanziaria, in particolare, attraverso il conferimento di nuovi capitali da parte dei
comuni consorziati.
16. L’art. 35 dello statuto prevede una procedura di arbitrato per la composizione delle controverse tra i
comuni consorziati o tra questi ultimi e l’AGAC.
La controversia nella causa principale
17. Con la sua deliberazione 24 maggio 1997, n. 18 (in prosieguo: la «delibera»), il consiglio comunale di
Viano ha affidato all’AGAC la gestione del servizio di riscaldamento di taluni edifici comunali. Tale delibera
non è stata preceduta da alcuna procedura di gara.
18. Il compito dell’AGAC consiste, più in particolare, nella conduzione e nella manutenzione degli impianti
termici degli edifici comunali interessati, compresi gli interventi migliorativi necessari, nonché nella fornitura
di combustibili.
19. Il corrispettivo a favore dell’AGAC è stato fissato in 122 milioni di ITL per il periodo 1° giugno 1997 - 31
maggio 1998. Su tale importo, il valore della fornitura dei combustibili rappresenta 86 milioni e il costo della
conduzione e della manutenzione degli impianti 36 milioni.
20. Ai sensi dell’art. 2 della delibera, alla scadenza del periodo iniziale di un anno, l’AGAC s’impegna a
proseguire nel servizio per un periodo di altri tre anni, su richiesta del comune di Viano, previo
aggiornamento delle condizioni contenute nella delibera. Viene altresì prevista la possibilità di proroga
successiva.
21. La Teckal è un’impresa privata che opera nel settore dei servizi di riscaldamento. Essa fornisce,
principalmente a privati e ad enti pubblici, gasolio che essa acquista previamente da imprese produttrici.
Inoltre, essa procede alla manutenzione degli impianti di riscaldamento a gasolio e di quelli a gas.
22. La Teckal ha proposto un ricorso contro la delibera dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per
l’Emilia-Romagna facendo valere che il comune di Viano avrebbe dovuto ricorrere alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici previste dalla normativa comunitaria.
23. Il giudice a quo, che si chiede quale delle direttive 92/50 e 93/36 si applichi, considera che, in ogni caso, il
limite di applicazione di 200 000 ECU, fissato dalle due direttive, è superato.
24. Data la natura mista del compito affidato all’AGAC, che consiste, da un lato, nella prestazione di diversi
servizi e, dall’altro, nella fornitura di combustibili, il giudice a quo ha ritenuto di non poter escludere
l’applicabilità dell’art. 6 della direttiva 92/50.
25. Di conseguenza, il Tribunale amministrativo regionale ha sospeso il giudizio e ha chiesto alla Corte
l’interpretazione della direttiva 92/50 «sotto i profili indicati in motivazione».
Sulla ricevibilità
26. L’AGAC ed il governo austriaco ritengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile.
L’AGAC fa valere, in primo luogo, che il valore del contratto controverso nella causa a qua è inferiore alla
soglia prevista dalle direttive 92/50 e 93/36. Infatti, da una parte, il prezzo del combustibile dovrebbe essere
detratto dall’importo stimato dell’appalto in quanto l’AGAC, essendo a sua volta amministrazione
aggiudicatrice, si approvvigiona di combustibili mediante procedure concorsuali pubbliche. D’altra parte, non
si tratterebbe di un appalto di durata indeterminata.
27. In secondo luogo, l’AGAC ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale riguardi in realtà
l’interpretazione del diritto nazionale. Il giudice a quo chiederebbe infatti alla Corte di interpretare talune
disposizioni di diritto nazionale al fine di poter determinare se la deroga prevista all’art. 6 della direttiva 92/50
si applichi.
28. Il governo austriaco, dal canto suo, sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile in
quanto essa non contiene alcuna questione pregiudiziale. Nell’ambito del diritto degli appalti pubblici una
formulazione precisa delle questioni sarebbe particolarmente importante.
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29. Innanzi tutto, per quanto riguarda l’accertare se il valore dell’appalto controverso nella causa a qua superi
il limite previsto dalle direttive 92/50 e 93/36, occorre ricordare che, in forza dell’art. 177 del Trattato, basato
sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può pronunciarsi unicamente
sull’interpretazione o sulla validità di un testo comunitario, sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale
(v., in particolare, sentenza 2 giugno 1994, causa C-30/93, AC-ATEL Electronics Vertriebs, Racc. pag. I2305, punto 16).
30. In questo contesto, non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale, accertare i fatti che hanno dato origine
alla causa e trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia (citata sentenza AC-ATEL Electronic Vertriebs,
punto 17).
31. Se è quindi vero che il metodo di calcolo dell’importo dell’appalto è definito nelle disposizioni
comunitarie, e cioè negli artt. 7 della direttiva 92/50 e 5 della direttiva 93/36, sull’interpretazione delle quali il
giudice nazionale può, se del caso, porre questioni pregiudiziali, spetta tuttavia a quest’ultimo, nella
ripartizione dei compiti stabilita dall’art. 177 del Trattato, applicare le norme di diritto comunitario al caso
concreto. Infatti una siffatta applicazione non può essere effettuata senza una valutazione dei fatti di causa nel
loro complesso (v. sentenza 8 febbraio 1990, causa C-320/88, Shipping and Forwarding Enterprise Safe,
Racc. pag. I-285, punto 11).
32. Ne consegue che la Corte non può sostituire la sua valutazione quanto al calcolo del valore dell’appalto a
quella del giudice a quo per concludere nel senso dell’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.
33. Occorre poi ricordare che, nell’ambito dell’art. 177 del Trattato, la Corte non può pronunciarsi
sull’interpretazione di disposizioni di legge o di regolamento nazionali né sulla conformità di tali disposizioni
al diritto comunitario. Essa può tuttavia fornire al giudice nazionale gli elementi di interpretazione attinenti al
diritto comunitario che gli permetteranno di risolvere il problema giuridico che gli è stato sottoposto (sentenza
4 maggio 1993, causa C-17/92, Fedicine, Racc. pag. I-2239, punto 8).
34. Infine, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta alla Corte, di fronte a questioni formulate in modo
impreciso, trarre dal complesso dei dati forniti dal giudice nazionale e dal fascicolo della causa a qua i punti di
diritto comunitario che vanno interpretati, tenuto conto dell’oggetto della lite (sentenze 13 dicembre 1984,
causa 251/83, Haug-Adrion, Racc. pag. 4277, punto 9, e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc.
pag. I-4705, punto 21).
35. Alla luce delle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, si deve considerare che il giudice nazionale
chiede in sostanza se le disposizioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici
siano applicabili qualora un ente locale affidi la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi ad un consorzio
a cui esso partecipi, in circostanze come quelle di cui alla causa a qua.
36. Il rinvio pregiudiziale deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
Sul merito
37. Risulta dall’ordinanza di rinvio che il comune di Viano ha affidato all’AGAC, con un unico atto, tanto la
prestazione di taluni servizi quanto la fornitura di taluni prodotti. E’ altresì pacifico che il valore di tali
prodotti è superiore a quello dei servizi.
38. Ora, discende, a contrario, dall’art. 2 della direttiva 92/50 che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel
contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi della direttiva 92/50, esso rientra nell’ambito
di applicazione della direttiva 93/36 qualora il valore dei prodotti previsti dal contratto sia superiore a quello
dei servizi.
39. Per fornire una soluzione utile al giudice che le ha sottoposto una questione pregiudiziale, la Corte può
essere indotta a prendere in considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale non ha
fatto riferimento nel formulare la questione (sentenze 20 marzo 1986, causa 35/85, Tissier, Racc. pag. 1207,
punto 9, e 27 marzo 1990, causa C-315/88, Bagli Pennacchiotti, Racc. pag. I-1323, punto 10).
40. Ne consegue che, per fornire un’interpretazione del diritto comunitario utile al giudice nazionale, occorre
interpretare le disposizioni della direttiva 93/36 e non l’art. 6 della direttiva 92/50.
41. Al fine di determinare se, per un ente locale, il fatto di affidare la fornitura di prodotti ad un consorzio al
quale esso partecipi debba dar luogo a una procedura di gara prevista dalla direttiva 93/36, occorre esaminare
se tale aggiudicazione costituisca un appalto pubblico di forniture.
42. In caso affermativo e se l’importo stimato dell’appalto, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, è pari o
superiore a 200 000 ECU, la direttiva 93/36 è applicabile. Non è determinante al riguardo il fatto che il
fornitore sia o non sia un’amministrazione aggiudicatrice.
43. Infatti, si deve ricordare che le uniche deroghe consentite all’applicazione della direttiva 93/36 sono quelle
in essa tassativamente ed espressamente menzionate (v., in ordine alla direttiva 77/62, sentenza 17 novembre
1993, causa C-71/92, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5923, punto 10).
44. Ora, la direttiva 93/36 non contiene alcuna disposizione analoga all’art. 6 della direttiva 92/50, che
escluda dal suo ambito di applicazione appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni
aggiudicatrici.
45. Si deve peraltro osservare che tale constatazione non pregiudica l’obbligo di queste ultime
amministrazioni aggiudicatrici di applicare a loro volta le procedure di gara previste dalla direttiva 93/36.
46. Il comune di Viano, in quanto ente locale, è un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 1, lett. b),
della direttiva 93/36. Spetta pertanto al giudice nazionale verificare se il rapporto tra tale amministrazione e
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l’AGAC soddisfi anche le altre condizioni previste dalla direttiva 93/36 per configurare un appalto pubblico di
forniture.
47. Ciò avviene, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, se si tratta di un contratto concluso
per iscritto a titolo oneroso avente per oggetto, in particolare, l’acquisto di prodotti.
48. E’ pacifico nella fattispecie che l’AGAC fornisce prodotti, ossia combustibili, al comune di Viano dietro
pagamento di un corrispettivo.
49. Relativamente all’esistenza di un contratto, il giudice nazionale deve verificare se vi sia stato un incontro
di volontà tra due persone distinte.
50. A questo proposito, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che
il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da una persona giuridicamente
distinta da quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti
sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano.
51. Occorre pertanto risolvere la questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 93/36 è applicabile ove
un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con un ente distinto
da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisionale, un contratto a titolo oneroso
avente ad oggetto la fornitura di prodotti, indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta
un’amministrazione aggiudicatrice o meno.
Sulle spese
52. Le spese sostenute dai governi italiano, belga, francese e austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno
presentato osservazioni dinanzi alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella
causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna con
ordinanza 10 marzo 1998, dichiara:
La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture, è applicabile ove un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente locale, decida
di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa
sul piano decisionale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la fornitura di prodotti,
indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta un’amministrazione aggiudicatrice o meno.
Edward Sevón Puissochet Jann Wathelet
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 novembre 1999.
Il cancelliere
Il presidente della Quinta Sezione
R. Grass
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
11 gennaio 2005 (*)
«Direttiva 92/50/CEE – Appalti pubblici di servizi – Affidamento senza pubblica gara d’appalto –
Affidamento dell’appalto ad una società mista pubblico-privata – Tutela giurisdizionale – Direttiva
89/665/CEE»
Nel procedimento C-26/03,avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberlandesgericht Naumburg (Germania) con ordinanza in data 8 gennaio 2003,
pervenuta in cancelleria il 23 gennaio 2003, nella causa tra:
Stadt Halle, RPL Recyclingpark Lochau GmbH,
e
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, e dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues, E. Juhász (relatore),
M. Ilešič e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl,
cancelliere: sig. R. Grass,
vista la fase scritta del procedimento,
preso atto delle osservazioni presentate:
– per la Stadt Halle, dalla sig.ra U. Jasper, Rechtsanwältin;
– per la Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall und Energieverwertungsanlage TREA Leuna, dal sig. K.
Heuvels, Rechtsanwalt;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e D. Petrausch, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
– per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente;
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– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente, sentite le conclusioni
presentate dall’avvocato generale all’udienza del 23 settembre 2004,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 1, n. 1, della direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno
1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209,
pag. 1), a sua volta modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997,
97/52/CE (GU L 328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»). La domanda di pronuncia pregiudiziale
riguarda altresì l’interpretazione degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,
93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che
forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199,
pag. 84), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/4/CE
(GU L 101, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/38»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Stadt Halle (Città di Halle)
(Germania) e la società RPL Recyclingpark Lochau GmbH (in prosieguo: la «RPL Lochau») alla società
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna (in prosieguo: la
«TREA Leuna»), in merito alla regolarità, rispetto alle norme comunitarie, dell’affidamento senza pubblica
gara di un appalto di servizi relativo al trattamento dei rifiuti, effettuato dalla Stadt Halle a favore della RPL
Lochau, società questa il cui capitale è detenuto dalla Stadt Halle, socio di maggioranza, e da una società
privata, titolare di una quota minoritaria.
Contesto giuridico-normativo
Normativa comunitaria
3 Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52 (in prosieguo: la
«direttiva 92/50»), gli «appalti pubblici di servizi» sono «contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra
un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice». A norma dell’art. 1, lett. b), di tale direttiva,
per «amministrazioni aggiudicatrici» si intendono «lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le
associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico». Infine, l’art. 1, lett. c), della medesima
direttiva definisce i «prestatori di servizi» come «le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici[,] che
forniscono servizi».
4 A mente dell’art. 8 della direttiva 92/50, «[g]li appalti aventi per oggetto servizi elencati nell’allegato I A
vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI». Tali disposizioni contengono in
sostanza regole in materia di messa in concorrenza e di pubblicità. L’art. 11, n. 1, della medesima direttiva
dispone che nell’attribuire gli appalti pubblici di servizi «le amministrazioni applicano le procedure definite
nell’articolo 1, lettere d), e) e f), adattate ai fini della presente direttiva». Le procedure alle quali fa riferimento
tale disposizione sono, rispettivamente, le «procedure aperte», le «procedure ristrette» e le «procedure
negoziate».
5 La categoria n. 16 dell’allegato I A della detta direttiva menziona i servizi consistenti in «[e]liminazione di
scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi».
6 L’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 92/50 prevede che questa si applichi agli appalti pubblici di servizi il cui
valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto «sia pari o superiore a 200 000 ECU».
7 Dal secondo e dal terzo ‘considerando’ della direttiva 89/665 risulta che la finalità di quest’ultima è di
garantire l’applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici attraverso mezzi di ricorso
efficaci e rapidi, in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette, tenuto conto del
fatto che l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole
delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione.
8 A tal fine, l’art. 1, nn. 1 e 3, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«1.
Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive (…), le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi
possibile, secondo le condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7,
qualora violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.
(…)
3. Gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso siano accessibili, secondo modalità che gli Stati
membri possono determinare, per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere
l’aggiudicazione di un determinato appalto pubblico (…) e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una
violazione denunciata. In particolare gli Stati membri possono esigere che la persona che desideri avvalersi di
tale procedura abbia preventivamente informato l’autorità aggiudicatrice della pretesa violazione e della
propria intenzione di presentare un ricorso».
9 L’art. 2, n. 1, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«1.
Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all’articolo 1
prevedano i poteri che permettano di:
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a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare
la violazione o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a
sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l’esecuzione di
qualsiasi decisione presa dalle autorità aggiudicatrici;
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche,
economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati d’oneri o in ogni altro
documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione;
c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla violazione.
(…)»
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L’art. 1 della direttiva 93/38 è così formulato:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per: (…)
2) “Imprese pubbliche”: le imprese su cui le autorità pubbliche possono esercitare, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante perché ne hanno la proprietà, o hanno in esse una partecipazione
finanziaria, oppure in conseguenza delle norme che disciplinano le imprese in questione. L’influenza
dominante è presunta quando le autorità pubbliche, direttamente o indirettamente, riguardo ad un’impresa:
– detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, oppure
– controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le parti emesse dall’impresa, oppure
– hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, del consiglio
direttivo o del consiglio di vigilanza.
3) “Impresa collegata”: (…) qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo (…). (…)»
11 L’art. 13 della direttiva 93/38 prevede quanto segue:
«1.
La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:
a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
(…) sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in questione
negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è
collegata.
(…)»
Normativa nazionale
12 Dalla decisione di rinvio risulta che nell’ordinamento tedesco i ricorsi in materia di appalti pubblici sono
disciplinati dal Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen (legge contro le restrizioni della concorrenza). In
conformità dell’art. 102 di tale legge, «gli affidamenti di appalti pubblici» possono costituire l’oggetto di un
ricorso. L’offerente o candidato ha un diritto soggettivo a che vengano rispettate «le disposizioni che
disciplinano le procedure di affidamento degli appalti», il quale gli consente di azionare nei confronti
dell’amministrazione aggiudicatrice le pretese giuridicamente riconosciutegli dall’art. 97, n. 7, della legge
suddetta «intese ad ottenere che venga compiuto od omesso un determinato atto nell’ambito di una procedura
di affidamento di appalto (…)».
13 La decisione di rinvio precisa che, in base alle dette disposizioni, secondo un’opinione seguita da una
parte della giurisprudenza e della dottrina in Germania, la proposizione di un ricorso in materia di affidamento
di appalto è possibile soltanto se il ricorrente mira a costringere l’amministrazione aggiudicatrice a
comportarsi in un certo modo nell’ambito di una formale procedura di affidamento in corso di svolgimento,
ciò che significa che la proposizione di un ricorso è impossibile qualora l’amministrazione aggiudicatrice
abbia deciso di non indire una pubblica gara d’appalto e di non avviare formalmente una procedura di
affidamento. Tuttavia, tale opinione viene contrastata da un’altra parte della giurisprudenza e della dottrina.
Causa principale e questioni pregiudiziali
14 Dalla decisione di rinvio risulta che la Stadt Halle, con delibera del consiglio comunale in data 12
dicembre 2001, ha affidato alla RPL Lochau l’elaborazione di un progetto per il trattamento preliminare, il
recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti, senza avviare una formale procedura di affidamento di appalto.
Allo stesso tempo, la Stadt Halle ha deciso, anche in tal caso senza fare appello alla concorrenza, di avviare
negoziati con la RPL Lochau, al fine di concludere con quest’ultima un contratto relativo allo smaltimento dei
rifiuti urbani residuali a partire dal 1° giugno 2005. La detta società si sarebbe assunta gli oneri di
investimento relativi alla costruzione dell’impianto termico di smaltimento e recupero dei rifiuti.
15 La RPL Lochau è una società a responsabilità limitata creata nel 1996. Il suo capitale è detenuto, da un
lato, per una quota del 75,1%, dalla Stadtwerke Halle GmbH, società il cui socio unico è la
Verwaltungsgesellschaft für Versorgungs- und Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH, a sua volta
appartenente al 100 % alla Stadt Halle, e, dall’altro, per una quota del 24,9 %, da una società privata a
responsabilità limitata. Il giudice del rinvio designa la RPL Lochau come «società mista a prevalente capitale
pubblico» e rileva come la ripartizione del capitale di quest’ultima sia stata concordata nell’ambito di un
contratto di società soltanto alla fine del 2001, quando è stato previsto l’affidamento della realizzazione del
progetto in questione.
16 Il giudice del rinvio fa altresì osservare come l’attività della RPL Lochau abbia ad oggetto la gestione di
impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti. Secondo il detto giudice, le deliberazioni dell’assemblea
generale dei soci vengono adottate a maggioranza semplice ovvero con una maggioranza del 75 % dei voti.
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Attualmente la direzione commerciale e tecnica di tale società sarebbe attribuita ad un’impresa terza, mentre
alla Stadt Halle spetterebbe in particolare il potere di procedere alla verifica dei conti.
17 Avendo avuto notizia dell’affidamento dell’appalto al di fuori della procedura prevista dalle norme
comunitarie in materia di appalti pubblici, la TREA Leuna, anch’essa interessata a fornire i detti servizi, si è
opposta alla decisione della Stadt Halle ed ha presentato dinanzi alla Sezione camerale per gli appalti pubblici
del Regierungspräsidium Halle un ricorso volto ad obbligare la detta amministrazione ad indire una pubblica
gara d’appalto.
18
La Stadt Halle si è difesa sostenendo che, ai sensi delle norme nazionali menzionate ai punti 12 e
13 della presente sentenza, il ricorso era inammissibile, a motivo del fatto che essa, quale amministrazione
aggiudicatrice, non aveva formalmente avviato una procedura di affidamento di appalto. Inoltre, la RPL
Lochau sarebbe piuttosto un’emanazione della Stadt Halle, essendo controllata da quest’ultima. Si tratterebbe
dunque di un’«operazione di “in house providing”», alla quale non si applicherebbero le norme comunitarie in
materia di appalti pubblici.
19 L’organo adito ha accolto la domanda della TREA Leuna, ritenendo che, anche in assenza di procedura di
affidamento, le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice dovessero poter essere oggetto di un ricorso.
Esso ha altresì giudicato che, nel caso di specie, non poteva parlarsi di «operazione di “in house providing”»,
per il fatto che la partecipazione minoritaria del socio privato superava la soglia del 10% a partire dalla quale,
ai sensi della normativa tedesca sulle società a responsabilità limitata, si è in presenza di una minoranza che
gode di taluni diritti particolari. Il detto organo ha inoltre affermato che era lecito attendersi con ragionevole
certezza che le attività svolte dalla RPL Lochau per la Stadt Halle avrebbero comportato uno sfruttamento pari
soltanto al 61,25% della capacità del previsto impianto di trattamento dei rifiuti, sicché, per l’utilizzazione
della capacità residua, l’impresa sarebbe stata obbligata a reperire incarichi sul suo mercato di azione.
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L’Oberlandesgericht Naumburg, a seguito dell’appello dinanzi ad esso proposto dalla Stadt Halle,
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
a) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso
efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un
appalto pubblico mediante un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento
di appalti pubblici.
b) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga altresì agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso
efficaci e quanto più rapidi possibile avverso le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici preliminarmente
alla formale indizione di una gara d’appalto, in particolare avverso la decisione sulle questioni, di carattere
preliminare, se un determinato procedimento di acquisizione di beni o servizi rientri o meno nell’ambito
d’applicazione ratione personae o ratione materiae delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici,
ovvero se eccezionalmente resti esclusa l’applicazione della normativa sugli appalti.
c) In caso di risposta affermativa alla questione [1), sub a),] e di risposta negativa alla questione [1), sub
b)]:
se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile
avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico nell’ambito di un
procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici, nel caso in
cui l’accesso alla procedura di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata fase formale del
procedimento di acquisizione di beni o servizi, quale ad esempio l’avvio di trattative contrattuali verbali o
scritte con un terzo.
2) a) Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente territoriale, intenda stipulare con
un organismo formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’”organismo controparte”) un contratto scritto a
titolo oneroso relativo alla fornitura di servizi, il quale rientrerebbe nell’ambito d’applicazione della direttiva
[92/50], e ipotizzando inoltre che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto pubblico di servizi
ai sensi dell’art. 1, lett. a), della detta direttiva qualora l’organismo controparte debba considerarsi come
facente parte della pubblica amministrazione ovvero come un organismo di gestione economica
dell’amministrazione aggiudicatrice (in prosieguo: l’”affidamento diretto a servizi od organismi propri non
soggetto alla normativa sugli appalti”), se debba sempre escludersi la possibilità di qualificare un tale
contratto come affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti, nel
caso in cui un’impresa privata detenga una semplice partecipazione societaria nel detto organismo
controparte.
b) In caso di risposta negativa alla questione [2), sub a)]:
in presenza di quali condizioni un organismo controparte in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (in
prosieguo: la “società mista a prevalente capitale pubblico”) debba considerarsi come facente parte della
pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice.
Più precisamente:
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione
economica dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento alle modalità e all’intensità del controllo, sia
sufficiente che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla detta società un’”influenza dominante”, ad
esempio ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva 93/38 (…), modificata dall’Atto [relativo alle
condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli
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adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1,
pag. 1)], nonché dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio [16 febbraio 1998,] 98/4/CE [, che
modifica la direttiva 93/38 (GU L 101, pag. 1)];
– se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio privato della società mista a prevalente capitale
pubblico, di influire in qualche modo sull’individuazione degli obiettivi strategici dell’organismo controparte
e/o sulle singole decisioni relative alla conduzione dell’impresa, impedisca di considerare tale entità come
organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione
economica dell’amministrazione aggiudicatrice, sotto il profilo delle modalità e dell’intensità del controllo,
sia sufficiente un ampio potere direttivo unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione del
contratto e alla fornitura dei servizi, con riferimento ad una specifica procedura di acquisizione;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione
economica dell’amministrazione aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento della parte più
importante della sua attività in favore di tale amministrazione, sia sufficiente che almeno l’80% del fatturato
medio realizzato nella Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni nel settore dei servizi derivi
dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero alle imprese a questa collegate o a questa
riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata non abbia ancora maturato un’attività
triennale, sia sufficiente che possa prevedersi il rispetto della citata “regola dell’80%”».
Sulle questioni pregiudiziali
21 Al fine di poter fornire una risposta utile e coerente al giudice del rinvio, occorre suddividere ed esaminare
le questioni sollevate in due gruppi, secondo il loro contenuto e la loro finalità.
Quanto alla prima questione, sub a), b) e c)
22 Con questa prima serie di questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 1, n. 1, della direttiva
89/665 debba essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità di ricorsi
efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in
concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato appalto rientri nell’ambito di
applicazione ratione personae o ratione materiae della direttiva 92/50, nonché a partire da quale momento
nell’ambito di un’operazione di acquisizione di beni o servizi gli Stati membri siano tenuti a consentire ad un
offerente, ad un candidato o ad un interessato l’accesso ad una procedura di ricorso.
23 Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la direttiva 92/50 è stata adottata, a mente del suo primo e
secondo ‘considerando’, nell’ambito delle misure necessarie per la realizzazione del mercato interno, ossia di
uno spazio senza frontiere interne nel quale è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali. Risulta dal quarto e dal quinto ‘considerando’ della medesima direttiva che, essendo
l’obiettivo di quest’ultima la realizzazione dell’apertura dei mercati degli appalti pubblici nel settore dei
servizi, a condizioni di parità di trattamento e di trasparenza, essa deve essere applicata da tutte le
amministrazioni aggiudicatrici.
24 Occorre poi sottolineare che le disposizioni della direttiva 92/50 indicano chiaramente i presupposti che
rendono obbligatoria l’applicazione delle norme dei titoli III-VI della medesima da parte di tutte le
amministrazioni aggiudicatrici, laddove le eccezioni all’applicazione di tali norme vengono tassativamente
elencate nella direttiva stessa.
25 Di conseguenza, qualora risultino soddisfatti tali presupposti, ossia, in altri termini, qualora un’operazione
ricada nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae della direttiva 92/50, gli appalti pubblici
in questione debbono essere attribuiti – a norma dell’art. 8 di tale direttiva, letto in combinato disposto con il
successivo art. 11, n. 1 – nel rispetto delle disposizioni di cui ai titoli III-VI della direttiva stessa, e
precisamente debbono essere affidati previo esperimento di una pubblica gara e costituire l’oggetto di una
pubblicità adeguata.
26 Tale obbligo vincola le amministrazioni aggiudicatrici senza che vi siano distinzioni tra gli appalti
pubblici da queste attribuiti per adempiere il loro compito di soddisfare bisogni di interesse generale e quelli
che non hanno alcun rapporto con tale compito (v., in tal senso, sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96,
Mannesmann Anlagenbau Austria e a., Racc. pag. I-73, punto 32).
27 Al fine di rispondere al giudice di rinvio, occorre esaminare la nozione di «decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici» di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665. Posto che la detta nozione non
viene espressamente definita in tale direttiva, occorre delimitarne la portata sulla base del tenore letterale delle
pertinenti disposizioni della direttiva stessa e in rapporto alla finalità di una tutela giurisdizionale efficace e
rapida da questa perseguita.
28
Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 presuppone, visto l’impiego
dell’espressione «per quanto riguarda le procedure», che qualsiasi decisione di un’amministrazione
aggiudicatrice che ricada sotto le norme comunitarie in materia di appalti pubblici e sia idonea a violarle sia
assoggettata al controllo giurisdizionale previsto dall’art. 2, n. 1, lett. a) e b), della detta direttiva (v., in tal
senso, sentenze 18 giugno 2002, causa C-92/00, HI, Racc. pag. I-5553, punto 37, e 23 gennaio 2003, causa
C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki, Racc. pag. I-1091, punto 68). La detta disposizione si riferisce
dunque in maniera generale alle decisioni di un’amministrazione aggiudicatrice, senza operare all’interno di
queste ultime alcuna distinzione a seconda del loro contenuto o del momento della loro adozione.
82
29
L’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 89/665 prevede inoltre la possibilità di annullare le decisioni
illegittime delle amministrazioni aggiudicatrici in rapporto alle specifiche tecniche e ad altre figuranti non
soltanto nei documenti di gara, ma anche in qualsiasi altro documento connesso con la procedura di
affidamento dell’appalto in questione. Pertanto, la detta disposizione può ricomprendere anche documenti
recanti decisioni adottate in una fase situata a monte dell’appello alla concorrenza.
30
Tale estesa accezione della nozione di decisione di un’amministrazione aggiudicatrice è
confermata dalla giurisprudenza della Corte. Quest’ultima ha già statuito che la disposizione di cui all’art. 1,
n. 1, della direttiva 89/665 non prevede alcuna limitazione quanto alla natura e al contenuto delle decisioni da
essa contemplate (sentenza 28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a., Racc. pag. I-7671, punto 35).
Una limitazione siffatta non può desumersi neppure dal tenore letterale dell’art. 2, n. 1, lett. b), della detta
direttiva (v., in tal senso, sentenza Alcatel Austria e a., cit., punto 32). Peraltro, un’interpretazione restrittiva
della nozione di decisione impugnabile con un ricorso sarebbe incompatibile con il disposto dell’art. 2, n. 1,
lett. a), della medesima direttiva, che impone agli Stati membri di prevedere procedure d’urgenza per
l’adozione di provvedimenti provvisori in relazione a qualsiasi decisione adottata dalle autorità aggiudicatrici
(sentenza HI, cit., punto 49).
31
In tale ottica di interpretazione in senso ampio della nozione di decisione impugnabile con un
ricorso, la Corte ha statuito che la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice, precedente la conclusione
del contratto, con la quale la detta autorità sceglie l’offerente al quale sarà attribuito l’appalto, deve in ogni
caso poter essere impugnata con un ricorso, indipendentemente dalla possibilità di ottenere un risarcimento
dei danni qualora il contratto sia stato concluso (sentenza Alcatel Austria e a., cit., punto 43).
32
Riferendosi all’obiettivo della soppressione degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi
perseguito dalla direttiva 92/50, nonché alle finalità, alla formulazione letterale ed alla ratio sistematica della
direttiva 89/665, la Corte ha del pari statuito che la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di revocare
il bando di gara relativo ad un appalto pubblico di servizi deve poter costituire oggetto di ricorso, in
conformità dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 (v., in tal senso, sentenza HI, cit., punto 55).
33
A questo proposito, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 23 delle sue conclusioni, la
decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una procedura di aggiudicazione può
considerarsi il simmetrico corrispondente della decisione della detta autorità di porre fine ad una tale
procedura. Qualora un’amministrazione aggiudicatrice decida di non avviare una procedura di aggiudicazione
per il fatto che, a suo avviso, l’appalto in questione non ricade nell’ambito di applicazione delle norme
comunitarie pertinenti, una decisione siffatta costituisce in assoluto la prima decisione suscettibile di controllo
giurisdizionale.
34
Alla luce di tale giurisprudenza, nonché degli obiettivi, della ratio sistematica e della
formulazione letterale della direttiva 89/665, ed al fine di preservare l’effetto utile di quest’ultima, occorre
concludere che costituisce una decisione impugnabile con un ricorso, ai sensi dell’art. 1, n. 1, della detta
direttiva, qualsiasi atto di un’amministrazione aggiudicatrice, adottato in relazione ad un appalto pubblico di
servizi rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 ed idoneo a produrre effetti
giuridici, indipendentemente dal fatto che esso sia stato adottato al di fuori di una formale procedura di
affidamento di appalto oppure nell’ambito di una procedura siffatta.
35
Non sono impugnabili con un ricorso i comportamenti che costituiscano un semplice studio
preliminare di mercato o che abbiano carattere meramente preparatorio e si inseriscano nella fase di
riflessione interna dell’amministrazione aggiudicatrice in vista dell’affidamento di un appalto pubblico.
36
Sulla scorta di tali considerazioni, occorre disattendere la tesi sostenuta dalla Stadt Halle, secondo
cui la direttiva 89/665 non imporrebbe alcuna tutela giurisdizionale al di fuori di una formale procedura di
affidamento di appalto e la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una tale procedura
non potrebbe essere impugnata con un ricorso, come del resto neppure la decisione sulla questione se un
appalto pubblico rientri nell’ambito di applicazione delle pertinenti norme comunitarie.
37
Tale tesi avrebbe infatti come risultato di rendere facoltativa, a discrezione di ciascuna
amministrazione aggiudicatrice, l’applicazione delle pertinenti norme comunitarie, quando invece tale
applicazione è vincolata ove sussistano i presupposti da esse previsti. Una facoltà di questo tipo potrebbe
portare alla più grave violazione della normativa comunitaria sugli appalti pubblici da parte di
un’amministrazione aggiudicatrice. Essa diminuirebbe sensibilmente la tutela giurisdizionale efficace e rapida
voluta dalla direttiva 89/665 e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 92/50, vale a dire quelli
della libera circolazione dei servizi e di una concorrenza aperta e non falsata in tale settore in tutti gli Stati
membri.
38
Quanto al momento a partire dal quale è possibile proporre un ricorso, occorre rilevare come esso
non sia formalmente previsto dalla direttiva 89/665. Tuttavia, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tale
direttiva di una tutela giurisdizionale efficace e rapida, da ottenersi segnatamente attraverso provvedimenti
provvisori, bisogna concludere che l’art. 1, n. 1, della direttiva stessa non autorizza gli Stati membri a
subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico di cui trattasi
abbia formalmente raggiunto una fase determinata.
39
Sulla scorta della considerazione secondo cui, in conformità del secondo ‘considerando’ della
detta direttiva, il rispetto delle norme comunitarie deve essere garantito in particolare in una fase in cui le
violazioni possono ancora essere corrette, occorre concludere che può essere impugnata con un ricorso la
83
manifestazione della volontà dell’amministrazione aggiudicatrice in ordine ad un determinato appalto, la
quale giunga in qualsiasi modo a conoscenza dei soggetti interessati, qualora essa abbia superato la fase
indicata al punto 35 della presente sentenza e sia idonea a produrre effetti giuridici. L’avvio di concrete
trattative contrattuali con un interessato costituisce una manifestazione di volontà di questo tipo. Al riguardo
va evidenziato l’obbligo di trasparenza che incombe all’amministrazione aggiudicatrice al fine di consentire di
accertare il rispetto delle norme comunitarie (sentenza HI, cit., punto 45).
40
Quanto ai soggetti ai quali è consentito proporre ricorso, è sufficiente constatare come, ai sensi
dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri debbano garantire l’accesso alle procedure di ricorso
per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’affidamento di un determinato appalto
pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata (v., in tal senso, sentenza
24 giugno 2004, causa C-212/02, Commissione/Austria, non pubblicata nella Raccolta, punto 24). Pertanto, la
formale qualità di offerente o candidato non è necessaria.
41
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione, sub a), b) e
c), dichiarando che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che l’obbligo degli
Stati membri di garantire la possibilità di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni adottate al di fuori di una formale procedura di
affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza, ed in particolare alla decisione
sulla questione se un determinato appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione
materiae della direttiva 92/50. Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una
violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene manifestata la volontà dell’amministrazione
aggiudicatrice idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare
la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione abbia
formalmente raggiunto una fase determinata.
Quanto alla seconda questione, sub a) e b)
42
Con questa seconda serie di questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se, qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere con una società di diritto
privato da essa giuridicamente distinta, nella quale detiene una partecipazione maggioritaria e sulla quale
esercita un certo controllo, un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione
ratione materiae della direttiva 92/50, la detta amministrazione sia sempre tenuta ad applicare le procedure ad
evidenza pubblica previste da tale direttiva per il semplice fatto che un’impresa privata detiene una
partecipazione, anche minoritaria, nel capitale della detta società controparte. In caso di soluzione negativa di
tale questione, il giudice del rinvio chiede sulla base di quali criteri debba ritenersi che l’amministrazione
aggiudicatrice non sia assoggettata ad un obbligo siffatto.
43
Tale questione fa riferimento alla situazione particolare di una società cosiddetta «mista
pubblico-privata», costituita e funzionante in base alle norme privatistiche, alla luce dell’obbligo incombente
all’amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici qualora
sussistano i presupposti da esse contemplati.
44
Al riguardo, va ricordato in primo luogo l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia
di appalti pubblici, quale evidenziato nell’ambito della risposta alla prima questione, vale a dire la libera
circolazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri. Ciò implica
l’obbligo di qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie pertinenti qualora
sussistano i presupposti da queste contemplati.
45
L’obbligo di applicare in tal caso le norme comunitarie risulta confermato dal fatto che, all’art. 1,
lett. c), della direttiva 92/50, la nozione di prestatore di servizi, ossia di offerente ai fini dell’applicazione di
tale direttiva, include anche «gli enti pubblici che forniscono servizi» (v. sentenza 7 dicembre 2000, causa
C-94/99, ARGE, Racc. pag. I-11037, punto 28).
46
Qualsiasi deroga all’applicazione di tale obbligo va dunque interpretata restrittivamente.
Pronunciandosi sulla scelta di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di appalto, la
Corte ha così statuito che l’art. 11, n. 3, della direttiva 92/50, che contempla questo tipo di procedura, deve –
in quanto disposizione derogatoria alle norme intese a garantire l’effettività dei diritti conferiti dal Trattato CE
nel settore degli appalti pubblici di servizi – essere interpretato restrittivamente, e che l’onere di dimostrare
l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga grava su colui che intenda
avvalersene (sentenza 10 aprile 2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania,
Racc. pag. I-3609, punto 58).
47
Nell’ottica di un’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile,
quale voluta dalle norme comunitarie, la Corte ha statuito, in riferimento alla direttiva del Consiglio 14 giugno
1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199,
pag. 1), che tale direttiva è applicabile qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere, con un
entità giuridicamente distinta, un contratto a titolo oneroso, indipendentemente dal fatto che tale entità sia a
sua volta un’amministrazione aggiudicatrice o meno (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal,
Racc. pag. I-8121, punti 50 e 51). È opportuno constatare che la controparte contrattuale in quel caso era un
consorzio costituito da più amministrazioni aggiudicatrici, al quale partecipava anche l’amministrazione
aggiudicatrice in questione.
84
48
Un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai
compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro
tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi. In tal caso, non si
può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un entità giuridicamente distinta dall’amministrazione
aggiudicatrice. Non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti
pubblici.
49
In conformità della giurisprudenza della Corte, non è escluso che possano esistere altre
circostanze nelle quali l’appello alla concorrenza non è obbligatorio ancorché la controparte contrattuale sia
un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice. Ciò si verifica nel caso in cui l’autorità
pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, eserciti sull’entità distinta in questione un controllo
analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante della propria
attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto
50). Occorre ricordare che, nel caso sopra menzionato, l’entità distinta era interamente detenuta da autorità
pubbliche. Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla
quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri
servizi.
50
Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che il rapporto tra un’autorità pubblica, che sia
un’amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni e ad esigenze proprie del
perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Per contro, qualunque investimento di capitale privato in
un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente.
51
In secondo luogo, l’attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata
senza far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed il
principio della parità di trattamento degli interessati contemplato dalla direttive 92/50, in particolare nella
misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata presente nel capitale della detta società
un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.
52
Pertanto, occorre risolvere la seconda questione, sub a) e b), dichiarando che, nell’ipotesi in cui
un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti
nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 con una società da essa giuridicamente
distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese
private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono sempre essere
applicate.
53
In considerazione di tale risposta, non occorre risolvere le altre questioni sollevate dal giudice
nazionale.
Sulle spese
54
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare
osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18
giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, a sua
volta modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE, deve
essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi di ricorso
efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in
concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato appalto rientri nell’ambito di
applicazione ratione personae e ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata. Tale possibilità di
ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e
che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene
manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli
Stati membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di
affidamento di appalto pubblico in questione abbia formalmente raggiunto una fase determinata.
2) Nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso
relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata
dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la detta amministrazione
detiene una partecipazione insieme con una o più imprese private, le procedure di affidamento degli appalti
pubblici previste dalla citata direttiva debbono sempre essere applicate.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
21 luglio 2005
«Artt. 43 CE, 49 CE e 81 CE – Concessione relativa alla gestione del servizio pubblico di distribuzione del
gas»
85
Nel procedimento C-231/03,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con ordinanza 14 febbraio 2003, pervenuta in
cancelleria il 28 maggio 2003, nella causa tra
Consorzio Aziende Metano (CONAME)
e
Comune di Cingia de’ Botti,
con l’intervento di:
Padania Acque SpA,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore), A. Rosas, dalla
sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. A. Borg Barthet, presidenti di sezione, dai sigg. R. Schintgen, S. von
Bahr, J.N. Cunha Rodrigues, G. Arestis, M. Ilešic, J. Malenovský e J. Klucka, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 1º marzo 2005,
viste le osservazioni presentate:
– per il Consorzio Aziende Metano (Coname), dall’avv. M. Zoppolato;
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato
dello Stato;
– per il governo dei Paesi Bassi, dal sig. D. J. M. de Grave, in qualità di agente;
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
– per il governo finlandese, dalla sig.ra A. Guimaraes-Purokoski, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. X. Lewis, K. Wiedner e C. Loggi, in qualità di
agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 aprile 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame concerne l’interpretazione degli artt. 43 CE, 49 CE e 81
CE.
2 Tale domanda è stata proposta nel contesto di una controversia che vede il Consorzio Aziende Metano (in
prosieguo: il «Coname») contrapposto al Comune di Cingia de’ Botti in merito all’attribuzione da parte di
quest’ultimo alla Padania Acque SpA (in prosieguo: la «Padania») del servizio per la gestione della
distribuzione e la manutenzione degli impianti di gas metano.
Contesto normativo
3 In forza dell’art. 22, n. 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, recante ordinamento delle autonomie locali
(Supplemento ordinario alla GURI del 12 giugno 1990, n. 135; in prosieguo: la «legge n. 142/1990»), un
servizio come quello riguardante la gestione, la distribuzione e la manutenzione degli impianti di distribuzione
di gas metano può essere garantito dall’ente pubblico stesso, oppure mediante concessione a terzi, o facendo
ricorso ad imprese terze o anche, ai sensi del detto art. 22, n. 3, lett. e), «a mezzo di società per azioni o a
responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del
pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la
partecipazione di più soggetti pubblici o privati».
Causa principale e questione pregiudiziale
4 Il Coname aveva concluso con il Comune di Cingia de’ Botti, per il periodo 1º gennaio 1999 - 31 dicembre
2000, un contratto per l’affidamento del servizio di manutenzione, conduzione e sorveglianza della rete di gas
metano.
5 Con lettera del 30 dicembre 1999 il detto Comune ha informato il Coname che, con delibera 21 dicembre
1999, il Consiglio comunale aveva affidato alla Padania il servizio avente ad oggetto la gestione, la
distribuzione e la manutenzione dell’impianto di distribuzione del gas metano per il periodo 1º gennaio 2000 31 dicembre 2005. Quest’ultima società è a prevalente capitale pubblico, detenuto dalla Provincia di Cremona
nonché da quasi tutti i comuni di tale provincia. Il Comune di Cingia de’ Botti detiene una partecipazione
dello 0,97% nel capitale della detta società.
6 Il servizio controverso nella causa principale è stato attribuito alla Padania con affidamento diretto, in
applicazione dell’art. 22, n. 3, lett. e), della legge n. 142/1990.
7 Il Coname, che chiede al giudice del rinvio, in particolare, l’annullamento della delibera 21 dicembre 1999,
fa valere che l’attribuzione del detto servizio avrebbe dovuto essere effettuata mediante gara d’appalto.
8 Considerando che la soluzione della controversia della quale è investito richiede l’interpretazione di talune
disposizioni del Trattato CE, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere
il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se gli artt. 43 [CE], 49 [CE] e 81 [CE], laddove vietano rispettivamente le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato ed alla libera prestazione dei
servizi all’interno della Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri, nonché le pratiche
86
commerciali e societarie idonee ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nell’ambito
dell’Unione europea, ostino a che sia previsto l’affidamento diretto e, cioè, senza l’indizione di una gara, della
gestione del servizio pubblico di distribuzione del gas a società a partecipazione pubblica comunale, ogni
volta che detta partecipazione al capitale sociale sia tale da non consentire alcun possibile controllo diretto
sulla gestione stessa e se debba conseguentemente affermarsi che, come ricorre nel caso di specie, ove la
partecipazione è pari allo 0,97%, non si configurino gli estremi della gestione in house».
Questione pregiudiziale
9 Occorre osservare preliminarmente che la causa principale sembra riguardare, come risulta dalla risposta
fornita dal giudice del rinvio ad una richiesta di chiarimenti formulata dalla Corte ai sensi dell’art. 104, n. 5,
del suo regolamento di procedura, un servizio qualificato come concessione, che non rientra nell’ambito di
applicazione né della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), né della direttiva del Consiglio 14 giugno
1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti
che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L
199, pag. 84) (v., in questo senso, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress,
Racc. pag. I-10745, punto 56, e ordinanza 30 maggio 2002, causa C-358/00, Buchhändler-Vereinigung, Racc.
pag. I-4685, punto 28).
10 La presente sentenza si basa dunque sul presupposto che la controversia nella causa principale concerna
l’attribuzione di una concessione, presupposto che spetta al giudice del rinvio verificare.
11 Ciò precisato, con la questione proposta il giudice del rinvio chiede un’interpretazione degli artt. 43 CE, 49
CE e 81 CE.
Sull’art. 81 CE
12 Occorre ricordare che l’art. 81 CE, che si applica, secondo la sua formulazione letterale, agli accordi «tra
imprese», non si riferisce, in linea di principio, ai contratti di concessione conclusi da un comune, nella sua
veste di pubblica autorità, con un concessionario incaricato dell’esecuzione di un pubblico servizio (v., in
questo senso, sentenza 4 maggio 1988, causa 30/87, Bodson, Racc. pag. 2479, punto 18).
13 Pertanto, come giustamente osservano il governo finlandese e la Commissione, la detta disposizione non è
applicabile alla controversia di cui alla causa principale, come descritta nell’ordinanza di rinvio.
14 Non occorre pertanto risolvere la questione sotto questo profilo.
Sugli artt. 43 CE e 49 CE
15 Con la questione proposta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 43 CE e 49 CE ostino
all’affidamento diretto, cioè senza l’indizione di una gara, da parte di un comune, di una concessione relativa
alla gestione del servizio pubblico di distribuzione del gas ad una società a prevalente capitale pubblico,
capitale nel quale il detto comune detiene una partecipazione dello 0,97%.
16 Occorre ricordare che l’attribuzione di simile concessione non è disciplinata da nessuna delle direttive con
cui il legislatore comunitario ha disciplinato il settore degli appalti pubblici. In mancanza di una disciplina del
genere, è alla luce del diritto primario e, più in particolare, delle libertà fondamentali previste dal Trattato che
devono essere esaminate le conseguenze di diritto comunitario relative all’affidamento di tali concessioni.
17 Al riguardo, occorre osservare che, nella misura in cui la detta concessione può interessare anche
un’impresa con sede in uno Stato membro diverso da quello del Comune di Cingia de’ Botti, l’affidamento, in
mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale concessione ad un’impresa con sede in quest’ultimo Stato membro
costituisce una differenza di trattamento a danno dell’impresa avente sede nell’altro Stato membro (v., in
questo senso, sentenza Telaustria e Telefonadress, citata, punto 61).
18 Infatti, in mancanza di qualsiasi trasparenza, quest’ultima impresa non ha alcuna reale possibilità di
manifestare il suo interesse ad ottenere la detta concessione.
19 Orbene, a meno che non sia giustificata da circostanze obiettive, siffatta differenza di trattamento, che,
escludendo tutte le imprese aventi sede in un altro Stato membro, opera principalmente a danno di queste
ultime, costituisce una discriminazione indiretta in base alla nazionalità, vietata ai sensi degli artt. 43 CE e 49
CE (v. in particolare, in questo senso, sentenze 10 marzo 1993, causa C-111/91, Commissione/Lussemburgo,
Racc. pag. I-817, punto 17; 8 giugno 1999, causa C-337/97, Meeusen, Racc. pag. I-3289, punto 27, nonché 26
ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punto 33 e giurisprudenza ivi
citata).
20 Per quanto riguarda la controversia nella causa principale, non risulta dal fascicolo che, a causa di
circostanze particolari, come un valore economico molto limitato, si possa ragionevolmente sostenere che
un’impresa con sede in uno Stato membro diverso da quello cui appartiene il Comune di Cingia de’ Botti non
avrebbe interesse alla concessione controversa e che gli effetti sulle libertà fondamentali di cui trattasi
dovrebbero quindi essere considerati troppo aleatori e troppo indiretti perché si possa concludere nel senso di
un’eventuale violazione di queste ultime (v., in questo senso, sentenze 7 marzo 1990, causa C-69/88, Krantz,
Racc. pag. I-583, punto 11; 21 settembre 1999, causa C-44/98, BASF, Racc. pag. I-6269, punto 16, nonché
ordinanza 12 settembre 2002, causa C-431/01, Mertens, Racc. pag. I-7073, punto 34).
21 In tale contesto, spetta al giudice del rinvio verificare se l’affidamento della concessione da parte del
Comune di Cingia de’ Botti alla Padania risponda a condizioni di trasparenza che, senza necessariamente
comportare un obbligo di fare ricorso ad una gara, siano, in particolare, tali da consentire a un’impresa avente
sede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello della Repubblica italiana di aver accesso alle
87
informazioni adeguate relative alla detta concessione prima che essa sia attribuita, di modo che tale impresa,
se lo avesse desiderato, sarebbe stata in grado di manifestare il proprio interesse ad ottenere la detta
concessione.
22 Se ciò non avviene, è necessario concludere per l’esistenza di una differenza di trattamento a danno di tale
impresa.
23 Per quanto riguarda le circostanze obiettive che possono giustificare tale differenza di trattamento, va
osservato che il fatto che il Comune di Cingia de’ Botti detenga una partecipazione dello 0,97% nel capitale
della Padania non costituisce di per sé una di tali circostanze obiettive.
24 Infatti, anche supponendo che la necessità per un comune di esercitare un controllo su un concessionario
che gestisce un servizio pubblico possa costituire una circostanza obiettiva tale da giustificare un’eventuale
differenza di trattamento, va rilevato che, come osserva lo stesso giudice del rinvio, una partecipazione dello
0,97% è talmente esigua da non consentire tale controllo.
25 All’udienza il governo italiano ha fatto valere, in sostanza, che, a differenza di alcune grandi città italiane,
la maggior parte dei comuni non ha i mezzi per garantire mediante strutture interne servizi pubblici come
quello della distribuzione del gas sul suo territorio e si vede pertanto costretta a fare ricorso a strutture, come
quella della Padania, nel capitale delle quali più comuni detengono partecipazioni.
26 Al riguardo occorre constatare che una struttura come quella della Padania non può essere equiparata ad
una struttura mediante la quale un comune o una città gestisce, a livello interno, un servizio pubblico. Infatti,
come risulta dal fascicolo, la Padania costituisce una società aperta, almeno in parte, al capitale privato, il che
impedisce di considerarla come una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dei
comuni che ne fanno parte.
27 Non è stata portata a conoscenza della Corte nessun’altra circostanza obiettiva in grado di giustificare
un’eventuale differenza di trattamento.
28 In tale contesto, occorre risolvere la questione proposta nel senso che gli artt. 43 CE e 49 CE ostano, in
circostanze come quelle oggetto della causa principale, all’affidamento diretto da parte di un comune di una
concessione relativa alla gestione del servizio pubblico di distribuzione del gas ad una società a prevalente
capitale pubblico, capitale nel quale il detto comune detiene una partecipazione dello 0,97%, qualora tale
affidamento non risponda a condizioni di trasparenza che, senza necessariamente comportare un obbligo di
fare ricorso ad una gara, siano, in particolare, tali da consentire a un’impresa avente sede nel territorio di uno
Stato membro diverso da quello del detto comune di avere accesso alle informazioni adeguate riguardo alla
detta concessione prima che essa sia attribuita, di modo che tale impresa, se lo avesse desiderato, sarebbe stata
in grado di manifestare il proprio interesse a ottenere la detta concessione.
Sulle spese
29 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare
osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Gli artt. 43 CE e 49 CE ostano, in circostanze come quelle oggetto della causa principale, all’affidamento
diretto da parte di un comune di una concessione relativa alla gestione del servizio pubblico di distribuzione
del gas ad una società a prevalente capitale pubblico, capitale nel quale il detto comune detiene una
partecipazione dello 0,97%, qualora tale affidamento non risponda a condizioni di trasparenza che, senza
necessariamente implicare un obbligo di fare ricorso ad una gara, siano, in particolare, tali da consentire a
un’impresa con sede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello del detto comune di avere accesso
alle informazioni adeguate riguardo alla detta concessione prima che essa sia attribuita, di modo che tale
impresa, se lo avesse desiderato, sarebbe stata in grado di manifestare il proprio interesse a ottenere la detta
concessione.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
13 ottobre 2005 (*)
«Appalti pubblici – Procedure di aggiudicazione di appalti pubblici –Concessione di servizi – Gestione di
parcheggi pubblici a pagamento»
Nel procedimento C-458/03,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Verwaltungsgericht, Autonome Sektion für die Provinz Bozen (Italia), con decisione 23 luglio 2003,
pervenuta in cancelleria il 30 ottobre 2003, nella causa
Parking Brixen GmbH
contro
Gemeinde Brixen, Stadtwerke Brixen AG,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dai sigg. P. Jann, presidente di Sezione, K. Schiemann, J. N. Cunha Rodrigues (relatore),
K. Lenaerts e E. Juhász, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 gennaio 2005,
88
viste le osservazioni scritte presentate:
– per la Parking Brixen GmbH, dagli avv.ti K. Zeller e S. Thurin,
– per la Gemeinde Brixen, dal sig. N. De Nigro, Rechtsanwalt,
– per la Stadtwerke Brixen AG, dal sig. A. Mulser, Rechtsanwalt,
– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato
dello Stato,
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, in qualità di agente,
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente,
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° marzo 2005, ha pronunciato la
seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 18 giugno
1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209,
pag. 1), degli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché dei principi di non discriminazione, di trasparenza e di
parità di trattamento.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la società Parking Brixen
GmbH (in prosieguo: la «Parking Brixen») e, dall’altro, la Gemeinde Brixen (in prosieguo: il «comune di
Bressanone») e la società Stadtwerke Brixen AG (in prosieguo: la «ASM Bressanone Spa») in ordine
all’aggiudicazione a quest’ultima della gestione di due parcheggi situati sul territorio del detto comune.
Contesto normativo
Diritto comunitario
3 L’art. 43 CE così dispone:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro vengono vietate (...).
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione
e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni
definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni
del capo relativo ai capitali».
4 L’art. 49, primo comma, CE prevede quanto segue:
«Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della
Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che
non sia quello del destinatario della prestazione».
5 L’ottavo ‘considerando’ della direttiva 92/50 precisa quanto segue:
«(…) la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti
d’appalto; (…) la prestazione di servizi su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro,
esula dal campo d’applicazione della presente direttiva».
6 L’art. 1 della detta direttiva così recita:
«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:
a) ”appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi
ed un’amministrazione aggiudicatrice (…)
(…)
b) ”amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni
costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
(…)».
Normativa nazionale
7 L’art. 22, n. 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, relativa all’ordinamento delle autonomie locali
(supplemento ordinario alla GURI n. 135 del 12 giugno 1990; in prosieguo: la «legge n. 142/90»), stabilisce
che i comuni e le province possono avvalersi, per lo svolgimento dei servizi pubblici locali attribuiti dalla
legge alla loro competenza, delle seguenti forme di gestione:
«a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno
costituire una istituzione o una azienda;
b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;
c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;
d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione
alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».
8 L’art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993, n. 1, nella versione iniziale, ha ampiamente ripreso l’art. 22
della legge n. 142/90. L’art. 44 è stato poi modificato dalla legge regionale 23 ottobre 1998, n. 10.
9 L’art. 44 della legge regionale n. 1, come modificata dalla legge regionale n. 10, dispone quanto segue:
«(...) 6. I Comuni disciplinano con regolamento le procedure e i criteri per la scelta delle forme
organizzative di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica ed imprenditoriale tra le seguenti:
a) costituzione di aziende speciali;
89
b) costituzione o partecipazione ad apposite società per azioni o a responsabilità limitata ad influenza
dominante pubblica locale;
c) affidamento della gestione di servizi pubblici a terzi, prevedendo adeguate procedure concorrenziali per la
loro individuazione. Salvo diverse disposizioni di legge, il rapporto non può avere durata superiore a venti
anni e non può essere rinnovato con lo stesso soggetto se non nei modi di cui alla presente lettera. Le
cooperative, le associazioni che rappresentano per legge gli invalidi ed i disabili, nonché le associazioni di
volontariato e le imprese senza fini di lucro, a parità di condizioni, vengono privilegiate. (...)
18. Alle società costituite ai sensi del comma 6 e alle società di cui al comma 17, gli enti locali soci possono
affidare in qualunque momento lo svolgimento di ulteriori servizi pubblici compatibili con l’oggetto della
società mediante deliberazione consiliare che approva contestualmente il relativo contratto di servizio».
10 Le disposizioni dell’art. 44, nn. 6 e 18, della legge regionale n. 1, come modificata dalla legge regionale
n. 10, sono riprese testualmente come art. 88, nn. 6 e 18, del Testo coordinato delle disposizioni
sull’ordinamento dei comuni della Regione autonoma Trentino-Alto Adige.
11 L’art. 115 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali (supplemento ordinario alla GURI n. 227 del 28 settembre 2000; in prosieguo: il «decreto
legislativo n. 267/2000»), autorizza i comuni a trasformare le aziende speciali in società per azioni di cui
possono restare azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni dalla trasformazione.
Controversia principale e questioni pregiudiziali
12 In applicazione dell’art. 22 della legge n. 142/90, il comune di Bressanone era ricorso, per la gestione di
alcuni servizi pubblici locali rientranti nella sua competenza, alla Stadtwerke Brixen (in prosieguo: la «Servizi
Municipalizzati Bressanone»), azienda speciale di proprietà del comune.
13 In virtù dell’art. 1 dello statuto, dal 1° gennaio 1999 la Servizi Municipalizzati Bressanone era dotata di
personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale, ed era un ente del comune preposto specificamente
all’esercizio unitario e integrato dei servizi pubblici locali.
14 Ai sensi dell’art. 2 dello statuto, la Servizi Municipalizzati Bressanone aveva per oggetto, tra gli altri:
«f) la gestione di parcheggi ed autosilo compreso l’esercizio di tutte le attività connesse».
15 In applicazione dell’art. 115 del decreto legislativo n. 267/2000, con la deliberazione comunale del 25
ottobre 2001, n. 97, il comune di Bressanone ha trasformato l’azienda speciale Servizi Municipalizzati
Bressanone in una società per azioni denominata «ASM Bressanone Spa».
16 In virtù dell’art. 1, terzo comma, dello statuto di quest’ultima, «[t]utti i diritti e gli obblighi preesistenti in
capo all’azienda speciale [Servizi Municipalizzati Bressanone] permangono anche dopo la trasformazione e la
società [ASM Bressanone Spa] subentra pertanto in tutti i rapporti attivi e passivi dell’Azienda [speciale]
Servizi Municipalizzati Bressanone».
17 Ai sensi dell’art. 4 dello statuto, la ASM Bressanone Spa può gestire, tra le altre, le attività che seguono su
base locale, nazionale ed internazionale:
«g)
la gestione di parcheggi ed autosilos e le attività connesse».
18 L’art. 18 dello statuto della ASM Bressanone Spa prevede che al Consiglio di amministrazione vengano
delegati i seguenti poteri:
«1) Al Consiglio di Amministrazione spettano i più ampi poteri per l’ordinaria amministrazione della società,
con facoltà di compiere tutti gli atti ritenuti opportuni o necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale.
2) Salvo preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea, il Consiglio di Amministrazione non potrà
rilasciare garanzie eccedenti il limite di 5 (cinque) milioni di euro, nonché firmare pagherò o accettare tratte
oltre al detto limite.
3) Sono considerati atti di ordinaria amministrazione l’acquisto e la cessione di partecipazioni in altre
società, l’acquisto, la cessione e l’affitto di aziende o rami di aziende nonché l’acquisto e la vendita di veicoli
per un valore massimo per ciascun atto di 5 (cinque) milioni di euro.
4) Spetta alla competenza esclusiva del Consiglio di Amministrazione ogni deliberazione relativa alla
determinazione e/o la modifica degli emolumenti per cariche speciali ai sensi dell’articolo 2389, secondo
comma, del Codice Civile».
19 Ai sensi dell’art. 5, n. 2, dello statuto della ASM Bressanone Spa, «la quota di partecipazione al capitale
sociale di appartenenza del comune di Bressanone non potrà mai essere inferiore alla maggioranza assoluta
delle azioni ordinarie». Inoltre, il comune di Bressanone ha la facoltà di nominare la maggioranza dei
componenti del Consiglio di amministrazione della società. Il Collegio Sindacale è composto da tre membri
effettivi e due supplenti, di cui almeno due membri effettivi ed un membro supplente nominati dal comune.
20 Secondo il giudice del rinvio, la trasformazione di un’azienda speciale in società per azioni comporta un
manifesto incremento di autonomia a favore di quest’ultima. L’ambito di attività della ASM Bressanone Spa è
stato infatti considerevolmente ampliato rispetto a quello della Servizi Municipalizzati Bressanone, dal
momento che può compiere attività in ambito locale, nazionale e internazionale, mentre l’attività dell’azienda
speciale Servizi Municipalizzati Bressanone era limitata al territorio del comune di Bressanone. Inoltre,
l’azienda speciale Servizi Municipalizzati Bressanone era subordinata al controllo diretto e all’influenza del
Consiglio comunale, mentre, nel caso della ASM Bressanone Spa, il controllo da parte del comune è limitato
alla libertà di azione di cui gode, ai sensi del diritto societario, la maggioranza dei soci.
21 Con deliberazione comunale 23 marzo 2000, n. 37, il Consiglio comunale di Bressanone ha affidato la
costruzione e la gestione di una piscina pubblica alla Servizi Municipalizzati Bressanone. Al momento della
90
trasformazione di questa in società per azioni, avvenuta il 25 ottobre 2001, la ASM Bressanone Spa è
subentrata in tutti i diritti e gli obblighi derivanti da quella deliberazione.
22 Con deliberazione 18 novembre 2001, n. 118, il Consiglio comunale di Bressanone ha concesso alla ASM
Bressanone Spa un diritto di superficie sopra il suolo e sotto il suolo del terreno destinato alla piscina, in
particolare sulla particella fondiaria 491/11, situata nel territorio del comune di Bressanone, per la
realizzazione di garage sotterranei.
23 Nell’attesa che tale progetto di parcheggio fosse realizzato, è stato previsto un parcheggio di superficie
provvisorio. A tale scopo la particella fondiaria 491/11, fino ad allora utilizzata come campo di calcio, è stata
rivestita temporaneamente in macadam per servire come parcheggio da circa 200 posti auto. Secondo il
giudice del rinvio, per la gestione della particella fondiaria 491/11 come parcheggio di superficie non è stata
stipulata alcuna convenzione.
24 Al fine di predisporre ulteriori posti auto, il limitrofo parcheggio di superficie situato sul terreno
adiacente, cioè sulla particella 491/6, sita parimenti nel territorio del comune di Bressanone, con una capienza
di circa 200 posti auto e direttamente gestito dal comune da oltre dieci anni, è stato affidato in gestione alla
ASM Bressanone Spa con deliberazione del Consiglio comunale di Bressanone 28 novembre 2002, n. 107. In
tale deliberazione si precisa che «per l’attività degli stabilimenti balneari è già stato costruito da parte
dell’Azienda Servizi Municipalizzati Spa provvisoriamente un parcheggio vicino all’area comunale» e che si
ritiene pertanto «necessario e opportuno di assegnare all’Azienda Servizi Municipalizzati Spa anche
provvisoriamente la gestione dell’area accanto, costituita dalla p.f. 491/6, (...) con una superficie di 5 137 m2,
che al momento viene amministrata direttamente dal comune».
25 Il 19 dicembre 2002, al fine dell’applicazione della deliberazione n. 107, il comune di Bressanone ha
concluso una convenzione con la ASM Bressanone Spa, affidandole per un periodo di nove anni la gestione
del parcheggio sulla particella 491/6.
26 Come corrispettivo per la gestione del parcheggio, la ASM Bressanone Spa riscuote le tasse di
parcheggio. A sua volta però, versa al comune di Bressanone un’indennità annuale pari a EUR 151 700, che è
indicizzata sulla base del prezzo del biglietto di parcheggio, cosicché un aumento di questo si traduce in un
aumento dell’indennità versata al comune. Oltre alla gestione del parcheggio, la ASM Bressanone Spa si
assume il servizio di locazione gratuita di biciclette e accetta che il mercato settimanale continui a tenersi in
quell’area. La ASM Bressanone Spa ha altresì assunto il personale, precedentemente alle dipendenze del
comune di Bressanone sull’area predetta. Infine, la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area spetta alla
detta società, che se ne assume tutte le relative responsabilità.
27 Sulla base di un contratto di concessione stipulato con il comune di Bressanone in data 19 giugno 1992, la
Parking Brixen aveva assunto la costruzione e la gestione di un parcheggio, distinto da quelli su cui verte la
causa principale, sempre situato nel territorio di quel comune. Dinanzi al Verwaltungsgericht, Autonome
Sektion für die Provinz Bozen (Tribunale amministrativo, Sezione autonoma per la provincia di Bolzano), la
Parking Brixen ha contestato l’attribuzione alla ASM Bressanone Spa della gestione dei parcheggi ricavati
sulle particelle 491/6 e 491/11. A suo dire, il comune di Bressanone avrebbe dovuto applicare la normativa in
materia di pubblici appalti.
28 Le convenute nella causa principale, cioè la ASM Bressanone Spa e il comune di Bressanone, hanno
contestato l’obbligo di espletamento di una pubblica gara. Il comune ha fatto valere a questo proposito di
controllare per intero la ASM Bressanone Spa, cosicché non vi sarebbe stata attribuzione di un appalto a terzi.
29 In tale contesto, il Verwaltungsgericht, Autonome Sektion für die Provinz Bozen, ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se nel caso di attribuzione della gestione di parcheggi pubblici a pagamento, oggetto della materia
controversa, si tratti di un appalto di pubblico servizio ai sensi della direttiva 92/50/CEE ovvero di una
concessione di pubblico servizio, nei cui confronti si applicano le regole sulla concorrenza della Comunità
europea, in particolare gli obblighi di parità di trattamento e trasparenza.
2) Se – qualora si dovesse effettivamente trattare di una concessione di pubblico servizio avente ad oggetto la
gestione di un servizio pubblico locale – l’attribuzione della gestione di un pubblico parcheggio a pagamento,
che può essere effettuata senza svolgimento di pubblica gara ai sensi dell’art. 44, n. 6, lett. b), della legge
regionale 4 gennaio 1993, n. 1, modificata dall’art. 10 della legge regionale 23 gennaio 1998, n. 10, e ai sensi
dell’art. 88, n. 6, lett. a) e b), del testo coordinato delle disposizioni sull’ordinamento dei comuni, sia
compatibile con il diritto comunitario e, in particolare, con i principi della libera prestazione dei servizi e della
libera concorrenza, del divieto di discriminazione e degli obblighi che ne conseguono di parità di trattamento
e di trasparenza come pure del principio di proporzionalità, nel caso in cui si tratti di una società per azioni
che, conformemente all’art. 115 del decreto legislativo n. 267/2000, è stata costituita mediante la
trasformazione di un’azienda speciale di un comune e il cui capitale azionario al momento dell’attribuzione
era detenuto al 100% dal comune, ma il cui il Consiglio di amministrazione dispone dei più ampi poteri di
ordinaria amministrazione entro un valore di EUR 5 000 000 per affare.
30 Con ordinanza del presidente della Corte 25 maggio 2004, la domanda di intervento presentata dalla
Energy Service Srl è stata dichiarata irricevibile.
91
Sulla prima questione
31 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’attribuzione della gestione dei parcheggi pubblici
a pagamento su cui verte la causa principale costituisca un appalto pubblico di servizi, ai sensi della direttiva
92/50, o una concessione di pubblici servizi.
32 Si deve precisare innanzitutto che non spetta alla Corte qualificare concretamente le operazioni
controverse nella causa principale. Infatti, a tale scopo è competente il solo giudice nazionale. Il ruolo della
Corte si limita a fornire al detto giudice un’interpretazione del diritto comunitario utile per la decisione da
adottare nella controversia che gli è sottoposta.
33 A tale scopo, la Corte può estrapolare dal fascicolo della causa principale gli elementi pertinenti per
l’interpretazione del diritto comunitario.
34 In tale contesto occorre rilevare che la causa principale riguarda l’attribuzione della gestione di due
distinti parcheggi: da una parte, quello situato sulla particella 491/11 e, dall’altro, quello situato sulla
particella 491/6.
35 In relazione al parcheggio di superficie situato sulla particella 491/11, la decisione di rinvio indica
solamente che non è stata conclusa alcuna convenzione per il suo sfruttamento. In particolare, la decisione
non contiene informazioni relative alle condizioni di remunerazione del gestore di quel parcheggio.
36 Pertanto, la Corte può solo constatare di non disporre di elementi di informazione sufficienti per
procedere a un’interpretazione utile del diritto comunitario in risposta a questa parte della questione.
37 Per quanto riguarda il parcheggio situato sulla particella 491/6, dalla decisione di rinvio, come rilevato ai
punti 24-26 della presente sentenza, risulta che esso era gestito direttamente dal comune di Bressanone da più
di dieci anni allorché la gestione è stata affidata, per un periodo di nove anni, alla ASM Bressanone Spa grazie
ad una convenzione stipulata da questa e dal detto comune il 19 dicembre 2002. Come corrispettivo per la
gestione del parcheggio, la ASM Bressanone Spa riscuote dagli utenti una tassa di parcheggio; essa versa poi
al comune di Bressanone un’indennità annuale. Inoltre, la ASM Bressanone Spa acconsente a che il mercato
settimanale continui a svolgersi nella zona in questione, assicura il servizio di locazione gratuita di biciclette e
si assume l’onere della manutenzione della zona.
38 Alla luce di questi elementi, si deve intendere che il giudice del rinvio, con la prima questione, chiede in
sostanza se l’attribuzione, da parte di un’autorità pubblica ad un prestatore di servizi, della gestione di un
parcheggio pubblico a pagamento, per la quale il prestatore riceva come corrispettivo le somme versate dai
terzi per l’utilizzo del parcheggio, costituisca un appalto pubblico di servizi, ai sensi della direttiva 92/50,
ovvero una concessione di pubblici servizi a cui tale direttiva non è applicabile.
39 Come risulta dal suo ottavo ‘considerando’, la direttiva 92/50 si applica agli «appalti pubblici di servizi»,
i quali sono definiti all’art. 1, lett. a), della stessa come «contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra
un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice». Da tale definizione discende che un appalto
pubblico di servizi ai sensi di quella direttiva comporta un corrispettivo che è pagato direttamente
dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi.
40 Nella situazione descritta dalla prima questione, invece, la remunerazione del prestatore di servizi
proviene non già dall’autorità pubblica interessata, bensì dagli importi versati dai terzi per l’utilizzo del
parcheggio di cui si tratta. Tale forma di remunerazione implica che il prestatore assume il rischio della
gestione dei servizi in questione, delineando in tal modo una concessione di pubblici servizi.
Conseguentemente, in una situazione come quella della causa principale, non si è di fronte ad un appalto
pubblico di servizi, ma ad una concessione di pubblici servizi.
41 A questo proposito, è opportuno rilevare che tale interpretazione è confermata dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), benché essa non
fosse applicabile all’epoca dei fatti nella causa principale. Infatti, ai sensi dell’art. 1, n. 4, di questa direttiva,
la «“concessione di servizi” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di
servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di
gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
42 È pacifico che le concessioni di pubblici servizi sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva
92/50 (v. ordinanza 30 maggio 2002, causa C-358/00, Buchhändler-Vereinigung, Racc. pag. I-4685,
punto 28).
43 Si deve pertanto risolvere la prima questione dichiarando che l’attribuzione, da parte di un’autorità
pubblica ad un prestatore di servizi, della gestione di un parcheggio pubblico a pagamento, per la quale il
prestatore riceve come corrispettivo le somme versate dai terzi per l’utilizzo del parcheggio, costituisce una
concessione di pubblici servizi a cui la direttiva 92/50 non è applicabile.
Sulla seconda questione
44 Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’attribuzione di una concessione di
pubblici servizi senza svolgimento di pubblica gara sia compatibile con il diritto comunitario qualora
l’impresa concessionaria sia una società costituita mediante la trasformazione di un’azienda speciale di
un’autorità pubblica e il cui capitale sociale al momento dell’attribuzione sia interamente detenuto
dall’autorità pubblica concedente, il cui il Consiglio di amministrazione disponga però dei più ampi poteri di
ordinaria amministrazione e possa concludere autonomamente, senza l’accordo dell’assemblea dei soci, taluni
negozi entro un valore di cinque milioni di euro.
92
45 La questione riguarda, da un lato, la condotta dell’autorità concedente in relazione all’attribuzione di una
concessione specifica e, dall’altro, la normativa nazionale che permette l’attribuzione di tale concessione
senza bando di gara.
46 Nonostante il fatto che i contratti di concessione di pubblici servizi, allo stadio attuale del diritto
comunitario, sono esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 92/50, gli enti aggiudicatori che li
stipulano sono comunque tenuti a rispettare le norme fondamentali del Trattato, in generale, e il principio di
non discriminazione in base alla nazionalità, in particolare (v., in questo senso, sentenze 7 dicembre 2000,
causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. pag. I-10745, punto 60, e 21 luglio 2005, causa C-231/03,
Coname, Racc. pag. I-0000, punto 16).
47 Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità è sancito dall’art. 12 CE. Le norme del Trattato più
specificamente applicabili alle concessioni di pubblici servizi comprendono in particolare l’art. 43 CE, il cui
primo comma enuncia che le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel
territorio di un altro Stato membro vengono vietate, e l’art. 49 CE, che dispone, al primo comma, che le
restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini
degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione.
48 Secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e 49 CE sono specifica espressione del principio
della parità di trattamento (v. sentenza 5 dicembre 1989, causa C-3/88, Commissione/Italia, Racc. pag. 4035,
punto 8). Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità è parimenti un’espressione specifica del
principio generale di parità di trattamento (v. sentenza 8 ottobre 1980, causa 810/79, Überschär, Racc.
pag. 2747, punto 16). Nella sua giurisprudenza relativa alle direttive comunitarie in materia di appalti
pubblici, la Corte ha precisato che il principio della parità di trattamento degli offerenti ha lo scopo di
consentire che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione dei termini delle loro
offerte, a prescindere dalla loro nazionalità (v., in questo senso, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I-2043, punti 33 e 54). Ne risulta che il principio di parità di trattamento tra
offerenti deve applicarsi alle concessioni di pubblici servizi anche quando non vi sia discriminazione sulla
base della nazionalità.
49 I principi di parità di trattamento e di non discriminazione sulla base della nazionalità comportano, in
particolare, un obbligo di trasparenza che permette all’autorità pubblica concedente di assicurarsi che tali
principi siano rispettati. L’obbligo di trasparenza che incombe alla detta autorità consiste nella garanzia, a
favore di ogni potenziale offerente, di un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura della
concessione di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione
(v., in questo senso, sentenza Telaustria e Telefonadress, cit., punti 61 e 62).
50 Spetta all’autorità pubblica concedente valutare, sotto il controllo delle giurisdizioni competenti, se le
modalità di gara siano adeguate alle specificità della concessione di pubblici servizi di cui si tratta. Tuttavia, la
totale mancanza di gara nel caso di un’attribuzione di concessione di pubblici servizi come quella controversa
nella causa principale non è conforme al disposto degli artt. 43 CE e 49 CE, né ai principi di parità di
trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.
51 Inoltre, l’art. 86, n. 1, CE, stabilisce che gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti
delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria
alle norme del Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 12 CE e 81 CE-89 CE.
52 Ne risulta che gli Stati membri non devono mantenere in vigore una normativa nazionale che consenta
l’attribuzione di concessioni di pubblici servizi senza gara, giacché una simile attribuzione viola gli
artt. 43 CE o 49 CE o i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.
53 Per sostenere che le disposizioni del Trattato e i principi generali menzionati ai punti 46-52 della presente
sentenza non si applicano a una concessione di pubblici servizi attribuita in circostanze quali quelle della
causa principale sono invocati due argomenti.
54 Innanzitutto, la ASM Bressanone Spa sostiene che gli artt. 43 CE-55 CE non sono applicabili a una
situazione quale quella della causa principale perché si tratta di una situazione puramente interna ad un solo
Stato membro, visto che la Parking Brixen, la ASM Bressanone Spa e il comune di Bressanone hanno tutti
sede in Italia.
55 Quest’argomento non può essere accolto. Infatti, non si può escludere che, nella causa principale, imprese
stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potessero essere interessate a fornire i servizi di cui
si tratta (v., in questo senso, sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 33). Ora, in mancanza di pubblicità e di
apertura alla concorrenza dell’attribuzione di una concessione di pubblici servizi quale quella di cui alla causa
principale, si ha discriminazione, perlomeno potenzialmente, a danno delle imprese degli altri Stati membri
che non possono fruire della libertà di fornire servizi e della libertà di stabilimento previste dal Trattato (v., in
questo senso, sentenza Coname, cit., punto 17).
56 In secondo luogo, la Repubblica italiana, la ASM Bressanone Spa e il comune di Bressanone fanno valere
che l’applicazione delle regole del Trattato e dei principi generali del diritto comunitario a una situazione
quale quella controversa nella causa principale è esclusa per il fatto che la ASM Bressanone Spa non è un ente
indipendente da quel comune. A sostegno di quest’argomento invocano la sentenza 18 novembre 1999, causa
C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121, punti 49-51).
57 A questo proposito, si deve ricordare che, nella citata sentenza Teckal, la Corte ha dichiarato che la
direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
93
pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), è applicabile ove un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente
locale, decida di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad
essa sul piano decisionale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la fornitura di prodotti.
58 In relazione all’esistenza di un tale contratto, la Corte ha precisato, al punto 50 della citata sentenza
Teckal, che, conformemente all’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, in linea di principio basta che il contratto
sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da un soggetto giuridicamente distinto da
quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale
soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più
importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali detentori.
59 La Corte ha confermato che le medesime considerazioni si applicano alla direttiva 92/50, relativa agli
appalti pubblici di servizi, e alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54) (v., rispettivamente, sentenze
11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punti 48, 49 e 52, e 13 gennaio
2005, causa C-84/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-139, punto 39).
60 Queste considerazioni partono dalla premessa che l’applicazione delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37
dipende dall’esistenza di un contratto concluso tra due soggetti distinti (v. sentenza Teckal, cit., punti 46
e 49). Ebbene, l’applicazione degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi di uguaglianza, non
discriminazione e trasparenza che sono loro collegati, non dipende dall’esistenza di un contratto.
Conseguentemente, le considerazioni sviluppate nella giurisprudenza citata ai punti 56-59 della presente
sentenza non si applicano automaticamente a quelle disposizioni del Trattato né a quei principi.
61 Ciò nondimeno, occorre constatare che le dette considerazioni possono essere trasposte alle disposizioni
del Trattato e ai principi che si rapportano a concessioni di pubblici servizi escluse dall’ambito di applicazione
delle direttive in materia di appalti pubblici. Infatti, nel settore degli appalti pubblici e delle concessioni di
pubblici servizi, il principio di parità di trattamento e le sue specifiche manifestazioni del divieto di
discriminazione fondato sulla nazionalità e degli artt. 43 CE e 49 CE trovano applicazione nel caso in cui
un’autorità pubblica affidi la prestazione di attività economiche ad un terzo. Al contrario non occorre
applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici o di concessioni di pubblici servizi nel caso in
cui un’autorità pubblica svolga i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza far ricorso ad entità esterne (v., in questo senso, sentenza Stadt
Halle et RPL Lochau, cit., punto 48).
62 Di conseguenza, nel settore delle concessioni di pubblici servizi, l’applicazione delle regole enunciate
agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione
è esclusa se, allo stesso tempo, il controllo esercitato sull’ente concessionario dall’autorità pubblica
concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e se il detto ente realizzata la maggior parte
della sua attività con l’autorità detentrice.
63 Trattandosi di un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le due condizioni enunciate al
punto precedente debbono formare oggetto di un’interpretazione restrittiva e l’onere di dimostrare l’effettiva
sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda
avvalersene (v. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 46).
64 Occorre esaminare, innanzitutto, se l’autorità pubblica concedente eserciti sull’ente concessionario un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
65 Tale valutazione deve tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da
quest’esame deve risultare che l’ente concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente
all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti.
66 Dalla decisione di rinvio si ricava che, in virtù dell’art. 1 dello statuto dell’azienda speciale Servizi
Municipalizzati Bressanone, questa costituiva un ente del comune preposto specificamente all’esercizio
unitario e integrato dei servizi pubblici locali. Il Consiglio comunale determinava gli indirizzi generali,
conferiva il capitale di dotazione, provvedeva alla copertura di eventuali costi sociali, controllava i risultati
della gestione ed esercitava la vigilanza strategica, assicurando all’azienda la necessaria autonomia
imprenditoriale.
67 La ASM Bressanone Spa ha invece acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo
del comune. In questo senso militano:
a) la trasformazione della Servizi Municipalizzati Bressanone –azienda speciale del comune di Bressanone –
in una società per azioni (ASM Bressanone Spa) e la natura di questo tipo di società;
b) l’ampliamento dell’oggetto sociale, giacché la società ha cominciato ad operare in nuovi importanti settori,
in particolare quelli del trasporto di persone e merci, dell’informatica e delle telecomunicazioni. Si deve
rilevare che la società ha conservato la vasta gamma di attività precedentemente esercitate dall’azienda
speciale, tra cui quella di adduzione dell’acqua e di depurazione delle acque reflue, di fornitura di calore ed
energia, di smaltimento dei rifiuti e di costruzione di strade;
c) l’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali;
d) l’espansione territoriale delle attività della società a tutta l’Italia e all’estero;
e) i considerevoli poteri conferiti al Consiglio di amministrazione, senza che in pratica venga esercitato alcun
controllo gestionale da parte del comune.
94
68 Concretamente, per quanto riguarda i poteri conferiti al detto Consiglio di amministrazione, dalla
decisione di rinvio risulta che lo statuto della ASM Bressanone Spa, in particolare l’art. 18, affidano a tale
organo ampi poteri di gestione della società, poiché dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti
necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale. Inoltre, il potere, previsto al detto art. 18, di rilasciare
garanzie fino al limite di EUR 5 000 000 o di realizzare altre operazioni senza il previo accordo
dell’assemblea dei soci indica che tale società dispone di un’ampia autonomia nei confronti dei suoi azionisti.
69 La decisione di rinvio indica altresì che il comune di Bressanone ha la facoltà di designare la maggioranza
dei membri del Consiglio di amministrazione della ASM Bressanone Spa. Tuttavia, il giudice del rinvio
sottolinea che il controllo esercitato dal comune è in pratica limitato a quei provvedimenti consentiti ai sensi
del diritto societario alla maggioranza dei soci, riducendo così sensibilmente il rapporto di dipendenza che
esisteva tra il comune e l’azienda speciale Servizi Municipalizzati Bressanone, soprattutto alla luce degli ampi
poteri di cui dispone il Consiglio di amministrazione della ASM Bressanone Spa.
70 Allorché un ente concessionario fruisce di un margine di autonomia caratterizzato da elementi come
quelli messi in rilievo ai punti 67-69 della presente sentenza, è escluso che l’autorità pubblica concedente
eserciti sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
71 Pertanto, senza che sia necessario verificare se l’ente concessionario realizzi la parte essenziale della sua
attività con l’autorità pubblica concedente, l’attribuzione di una concessione di pubblici servizi da parte di
un’autorità pubblica a un simile ente non può essere considerata un’operazione interna a quell’autorità, a cui
le norme comunitarie sono inapplicabili.
72 Ne consegue che la seconda questione proposta dev’essere risolta dichiarando quanto segue:
Gli artt. 43 CE e 49 CE nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza
devono essere interpretati nel senso che ostano a che un’autorità pubblica attribuisca, senza svolgimento di
pubblica gara, una concessione di pubblici servizi a una società per azioni nata dalla trasformazione di
un’azienda speciale della detta autorità pubblica, società il cui oggetto sociale è stato esteso a nuovi importanti
settori, il cui capitale dev’essere a breve termine obbligatoriamente aperto ad altri capitali, il cui ambito
territoriale di attività è stato ampliato a tutto il paese e all’estero, e il cui Consiglio di amministrazione
possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente.
Sulle spese
73 Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) L’attribuzione, da parte di un’autorità pubblica ad un prestatore di servizi, della gestione di un parcheggio
pubblico a pagamento, per la quale il prestatore riceve come corrispettivo le somme versate dai terzi per
l’utilizzo del parcheggio, costituisce una concessione di pubblici servizi a cui non è applicabile la direttiva del
Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
servizi.
2) Gli artt. 43 CE e 49 CE nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza
devono essere interpretati nel senso che ostano a che un’autorità pubblica attribuisca, senza svolgimento di
pubblica gara, una concessione di pubblici servizi a una società per azioni nata dalla trasformazione di
un’azienda speciale della detta autorità pubblica, società il cui oggetto sociale è stato esteso a nuovi importanti
settori, il cui capitale dev’essere a breve termine obbligatoriamente aperto ad altri capitali, il cui ambito
territoriale di attività è stato ampliato a tutto il paese e all’estero, e il cui Consiglio di amministrazione
possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente.
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
27 ottobre 2005 (*)
«Inadempimento da parte di uno Stato – Direttiva 93/37/CEE – Appalti pubblici di lavori – Concessioni di
lavori pubblici – Norme di pubblicità»
Nelle cause riunite C-187/04 e C-188/04,
aventi ad oggetto due ricorsi per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, presentati il 22 aprile 2004,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente, assistito
dall’avv. G. Bambara, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli,
avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. J. Makarczyk (relatore), dalla
sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. P. Kūris, e J. Klučka, giudici,
avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
95
Sentenza
1 Con i suoi ricorsi, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, in quanto
l’ente pubblico ANAS SpA (in prosieguo: l’«ANAS») ha affidato la costruzione e la gestione delle autostrade
della Valtrompia, da un lato, e della Pedemontana Veneta Ovest, dall’altro, alla Società per l’autostrada
Brescia-Verona-Vicenza-Padova pA (in prosieguo: la «società concessionaria») mediante concessione diretta
attuata per mezzo di una convenzione stipulata il 7 dicembre 1999 non preceduta da pubblicazione di un
bando di gara, senza che ne ricorressero i presupposti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che
ad essa incombono in forza della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), ed in particolare degli artt. 3,
n. 1, e 11, nn. 3, 6 e 7 di quest’ultima.
Ambito normativo
2 L’art. 1 della direttiva 93/37 prevede:
«Ai fini della presente direttiva:
a) gli “appalti pubblici di lavori” sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore e
un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente,
l’esecuzione e la progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di un’opera di cui
alla lettera c) oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate
dall’amministrazione aggiudicatrice;
(…)
c) s’intende per “opera” il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una
funzione economica o tecnica;
d) la “concessione di lavori pubblici” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a),
ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in
tale diritto accompagnato da un prezzo;
(…)».
3 L’art. 3, n. 1, di questa direttiva è così formulato:
«Qualora le amministrazioni aggiudicatrici concludano un contratto di concessione di lavori pubblici, le
norme di pubblicità definite all’articolo 11, paragrafi 3, 6, 7 e da 9 a 13, nonché all’articolo 15 sono
applicabili a tale contratto se il suo valore è pari o superiore a 5 000 000 di ecu».
4 L’art. 7, n. 3, della stessa direttiva è così redatto:
«Le amministrazioni aggiudicatrici possono attribuire gli appalti di lavori mediante la procedura negoziata,
senza pubblicazione preliminare di un bando di gara, nei casi seguenti:
a) quando nessuna offerta o nessuna offerta appropriata è stata depositata in esito ad una procedura aperta o
ristretta, purché le condizioni iniziali dell’appalto non siano sostanzialmente modificate. Una relazione deve
essere presentata alla Commissione, su sua richiesta;
b) per i lavori la cui esecuzione, per motivi tecnici, artistici o inerenti alla tutela dei diritti d’esclusiva, può
essere affidata unicamente ad un imprenditore determinato;
c) nella misura strettamente necessaria, quando l’urgenza imperiosa, risultante da eventi imprevedibili per le
amministrazioni aggiudicatrici in questione, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte,
ristrette o negoziate di cui al paragrafo 2. Le circostanze invocate per giustificare l’urgenza imperiosa non
devono in alcun caso essere imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici;
d) per i lavori complementari che non figurano nel progetto inizialmente aggiudicato né nel primo contratto
concluso e che sono divenuti necessari, a seguito di una circostanza imprevista, all’esecuzione dell’opera
quale è ivi descritta, a condizione che siano attribuiti all’imprenditore che esegue tale opera:
– quando tali lavori non possono essere, tecnicamente o economicamente, separati dall’appalto principale
senza gravi inconvenienti per le amministrazioni aggiudicatrici;
– oppure quando tali lavori, quantunque separabili dall’esecuzione dell’appalto iniziale, siano strettamente
necessari al suo perfezionamento.
Tuttavia, l’importo cumulato degli appalti aggiudicati per i lavori complementari non deve superare il 50%
dell’importo dell’appalto principale;
(…)».
5 L’art. 11 della direttiva 93/37 stabilisce:
«(...) 3.
Le amministrazioni aggiudicatrici che intendono rico[rr]ere alla concessione di lavori pubblici
rendono nota tale intenzione con un bando di gara.
(...) 6.
I bandi di gara e gli avvisi di cui ai paragrafi da 1 a 5 sono redatti conformemente ai modelli che
figurano negli allegati IV, V e VI e precisano le informazioni richieste nei suddetti allegati.
Le amministrazioni aggiudicatrici non possono esigere condizioni diverse da quelle previste agli articoli 26 e
27 allorché domandano informazioni sulle condizioni di carattere economico e tecnico che esse esigono dagli
imprenditori per la loro selezione (allegato IV sezione B, punto 11, allegato IV, sezione C, punto 10, e
allegato IV, sezione D, punto 9).
7. I bandi di gara e gli avvisi di cui ai paragrafi da 1 a 5 sono inviati dalle amministrazioni aggiudicatrici,
nei termini più brevi e per le vie più appropriate, all’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità
europee. Nel caso della procedura accelerata di cui all’articolo 14, i bandi di gara sono inviati per telex,
telegramma o fax.
96
L’avviso di cui al paragrafo 1 è inviato il più rapidamente possibile dopo che sia stata adottata la decisione
che autorizza il programma in cui si inquadrano gli appalti di lavori che le amministrazioni aggiudicatrici
intendono attribuire.
L’avviso di cui al paragrafo 5 è inviato al più tardi quarantotto giorni dopo la stipulazione del contratto
d’appalto in questione».
Fatti all’origine delle controversie e fase precontenziosa del procedimento
6 La costruzione e la gestione delle autostrade della Valtrompia e della Pedemontana Veneta Ovest sono state
affidate dall’ANAS alla società concessionaria mediante due concessioni, attribuite per mezzo di una
convenzione stipulata il 7 dicembre 1999 – in revisione di una precedente convenzione del 21 dicembre 1972
e successivi atti aggiuntivi – ed approvata con decreto interministeriale del 21 dicembre 1999, poi registrato
dalla Corte dei conti in data 11 aprile 2000.
7 Le concessioni di cui trattasi, attribuite senza previa pubblicazione di un bando di gara ai sensi della
direttiva 93/37, prevedevano una serie di lavori miranti a completare e sviluppare la rete autostradale, ossia la
costruzione di due raccordi: il primo, tra l’autostrada A/4 Brescia-Padova e la Valtrompia, costituito da due
rami consecutivi, il secondo, tra l’autostrada A/4 (Comune di Montebello-Vicentino) e l’autostrada A/31
(Comune di Thiene).
8 Ritenendo che la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza della
direttiva 93/37, la Commissione ha avviato nei confronti di tale Stato membro il procedimento per
inadempimento di cui all’art. 226 CE.
9 Dopo aver indirizzato a tale Stato, in data 18 ottobre 2002, una lettera di costituzione in mora alla quale le
autorità italiane non hanno risposto, la Commissione, in data 11 luglio 2003, ha emesso un parere motivato,
invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro due mesi a decorrere
dalla sua notifica. Poiché le autorità italiane non hanno dato seguito a tale parere, la Commissione ha deciso di
introdurre il presente ricorso.
10 Con ordinanza 19 ottobre 2004 del presidente della Corte, le cause C-187/04 e C-188/04 sono state riunite
ai fini dell’eventuale fase orale del procedimento e della sentenza.
Sui ricorsi
Argomenti delle parti
11 A sostegno dei suoi ricorsi, la Commissione fa valere che le concessioni relative alla costruzione e alla
gestione delle autostrade della Valtrompia e della Pedemontana Veneta Ovest affidate alla società
concessionaria rientrano nell’art. 1, lett. d), della direttiva 93/37. Essa sostiene inoltre che le autostrade
oggetto dei lavori di cui trattasi costituiscono opere ai sensi dell’art. 1, lett. c), della detta direttiva.
12 Dopo aver ricordato che il costo dei contratti di costruzione e di gestione delle autostrade della Valtrompia
e della Pedemontana Veneta Ovest supera ampiamente il limite stabilito dalla direttiva 93/37, la Commissione
fa valere che i Detti contratti avrebbero dovuto costituire oggetto di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee, ai sensi degli artt. 3, n. 1, e 11, nn. 3, 6 e 7, della direttiva 93/37.
13 Il governo italiano fa presente, in primo luogo, che, secondo l’interpretazione delle disposizioni nazionali
pertinenti, i lavori consistenti nell’ammodernamento, nell’ampliamento o nel completamento delle autostrade
in funzione, quali, tra l’altro, i raccordi autostradali e i collegamenti tra le varie autostrade, costituiscono
opere che rientrano negli interventi ricompresi nel normale esercizio della concessione originaria. Pertanto, la
direttiva 93/37 non troverebbe applicazione.
14 In secondo luogo, esso fa valere che solo mediante la razionalizzazione e l’assorbimento di una parte dei
costi da parte della società concessionaria, il cui azionariato è costituito prevalentemente da enti locali, è
possibile procedere all’investimento necessario alla realizzazione dei raccordi autostradali di cui trattasi.
15 A tal riguardo, il governo italiano sostiene che, se i raccordi di cui trattasi costituissero oggetto di una
concessione autonoma, questa non consentirebbe il recupero dei costi di investimento, qualunque fosse la
durata della concessione prevista. Di conseguenza, un eventuale bando di gara per l’attribuzione della
concessione autonoma nella presente fattispecie si tradurrebbe nell’assenza di concorrenti o porterebbe al
fallimento dell’aggiudicatario della concessione.
16 In terzo luogo, tale governo contesta la qualificazione dei lavori relativi ai raccordi autostradali di cui è
causa come opera ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 93/37, in quanto l’infrastruttura autostradale di cui
trattasi sarebbe priva di una funzione tecnica ed economica autonoma.
17 Per quanto riguarda l’argomento del governo italiano secondo cui la realizzazione dei raccordi autostradali
rientrerebbe nell’esercizio delle concessioni originarie, la Commissione fa valere che, in quanto, nella
fattispecie, l’amministrazione aggiudicatrice ha rinegoziato la concessione originaria approvando anche un
nuovo piano finanziario, i lavori di cui trattasi non possono essere qualificati come semplici interventi
rientranti nelle concessioni originarie, poiché queste ultime sono state sostituite da nuove concessioni.
18 Per quanto riguarda la nozione di «opera» ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 93/37, e più in
particolare la funzione tecnica o economica autonoma che quest’opera dovrebbe esplicare di per sé, la
Commissione precisa, da un lato, che la funzione tecnica autonoma non comporta necessariamente che l’opera
sia priva di connessioni con altre opere e, dall’altro, che la funzione economica deve riferirsi all’opera stessa e
non alla sua gestione. Pertanto, la mancanza di remuneratività della concessione, derivante dalla decisione
dell’amministrazione aggiudicatrice di imporre tariffe che consentono solo di sostenere il costo di
manutenzione della detta opera, non potrebbe giustificare il mancato rispetto delle norme di pubblicità.
97
Giudizio della Corte
19 Dall’art. 3, n. 1, della direttiva 93/37 risulta che le norme di pubblicità relative agli appalti di lavori si
applicano anche nel caso in cui le amministrazioni aggiudicatrici concludono un contratto di concessione di
lavori pubblici.
20 In via preliminare, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 1, lett. a) e d), della direttiva 93/37, una
concessione di lavori pubblici è un contratto a titolo oneroso, concluso in forma scritta tra, da un lato, un
imprenditore e, dall’altro, un’amministrazione aggiudicatrice definita nello stesso articolo sub b), e avente per
oggetto l’esecuzione di un certo tipo di lavori, la cui controprestazione consiste nel diritto di gestire l’opera o
in tale diritto accompagnato da un prezzo.
21 Orbene, occorre constatare, in primo luogo, che, nella fattispecie, alla società concessionaria è stato
accordato, come controprestazione della costruzione di raccordi autostradali, il diritto di gestire l’opera e di
riscuotere un pedaggio da parte degli utenti. Di conseguenza, i contratti di cui trattasi costituiscono
«concessioni di lavori pubblici» ai sensi dell’art. 1, lett. d), della direttiva 93/37.
22 In secondo luogo, in relazione al loro valore, è pacifico che i contratti relativi alla costruzione e alla
gestione delle autostrade della Valtrompia e della Pedemontana Veneta Ovest rientrano nel campo di
applicazione della direttiva 93/37.
23 In terzo luogo, per quanto riguarda gli argomenti del governo italiano secondo cui, da un lato, in forza
delle disposizioni nazionali pertinenti, i lavori di cui trattasi sarebbero opere che rientrano negli interventi
compresi nel normale esercizio della concessione originaria ai quali non si applicherebbe la direttiva 93/37, e,
dall’altro, un eventuale bando di gara per l’attribuzione della concessione autonoma si sarebbe tradotto in una
mancanza di concorrenti, occorre ricordare che si può far ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione
preliminare di un bando di gara solo nei casi tassativamente elencati all’art. 7, n. 3, di tale direttiva.
24 A tal riguardo occorre rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni di una direttiva
che autorizzano deroghe alle norme miranti a garantire l’efficacia dei diritti conferiti dal Trattato nel settore
degli appalti di lavori pubblici devono essere interpretate restrittivamente e che l’onere di dimostrare
l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano una deroga grava su colui che intenda
avvalersene (sentenze 18 maggio 1995, causa C-57/94, Commissione/Italia, Racc. pag. I-1249, punto 23; 28
marzo 1996, causa C-318/94, Commissione/Germania, Racc. pag. I-1949, punto 13, e 13 gennaio 2005, causa
C-84/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-139, punto 48).
25 Ora, il governo italiano non ha dimostrato l’esistenza di una situazione che giustificasse l’applicazione di
una delle eccezioni previste dalla direttiva 93/37, in particolare di quelle che figurano all’art. 7, n. 3, lett. a) e
d), della stessa.
26 In quarto luogo, dall’art. 1, lett. c), della direttiva 93/37 risulta che l’esistenza di un’opera dev’essere
valutata in relazione alla funzione economica o tecnica del risultato dei lavori effettuati.
27 Ora, come rileva il governo italiano, la costruzione e la gestione di due nuovi raccordi autostradali sono, da
un punto di vista tecnico, destinate a collegare le zone scelte al fine di risolvere i gravi problemi di viabilità
cui devono far fronte i comuni. Il risultato dell’insieme dei lavori di genio civile di cui trattasi esplica quindi
di per sé la funzione tecnica.
28 Per quanto riguarda la funzione economica cui fa riferimento la direttiva 93/37, occorre constatare che un
concessionario di autostrada, in quanto mette a disposizione degli utenti contro un corrispettivo
un’infrastruttura autostradale, svolge un’attività economica (v., in tal senso, sentenza 12 settembre 2000,
causa C-276/97, Commissione/Francia, Racc. pag. I-6251, punto 32). La mancanza di una redditività
autonoma delle concessioni di cui è causa non è tale da privare l’insieme dei lavori di cui trattasi del carattere
di opera ai sensi della direttiva 93/37.
29 In ogni caso, affinché il risultato dei lavori possa essere qualificato come opera ai sensi dell’art. 1, lett. c),
della direttiva 93/37, è sufficiente che sia esplicata una delle due funzioni sopra menzionate.
30 Da quanto precede risulta che le censure della Commissione sono fondate.
31 In tale contesto, occorre constatare che, in quanto l’ente pubblico ANAS ha affidato la costruzione e la
gestione delle autostrade della Valtrompia e della Pedemontana Veneta Ovest alla società concessionaria
mediante concessioni dirette non precedute da pubblicazione di un bando di gara, senza che ne ricorressero i
presupposti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza della direttiva
93/37, e più in particolare dei suoi artt. 3, n. 1, e 11, nn. 3, 6 e 7.
Sulle spese
32 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se
ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, va condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
1)
In quanto l’ente pubblico ANAS SpA ha affidato la costruzione e la gestione delle autostrade della
Valtrompia e della Pedemontana Veneta Ovest alla Società per l’autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova
pA mediante concessioni dirette non precedute da pubblicazione di un bando di gara, senza che ne
ricorressero i presupposti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza
della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, e più in particolare degli artt. 3, n. 1, e 11, nn. 3, 6 e 7 di quest’ultima.
2)
La Repubblica italiana è condannata alle spese.
98
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
10 novembre 2005 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Artt. 8, 11, n. 1, e 15, n. 2, della direttiva 92/50/CEE – Procedura di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi – Contratto riguardante lo smaltimento dei rifiuti – Mancanza
di una gara d’appalto»
Nel procedimento C-29/04,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 28 gennaio 2004,
rappresentata dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,ricorrente,
contro
Repubblica d’Austria, rappresentata dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente,
convenuta,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann (relatore), J. N. Cunha Rodrigues, K.
Lenaerts e M. Ilešič, giudici,
avvocato generale: sig. L. A. Geelhoed
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 aprile 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, poiché il
contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti della città di Mödling è stato stipulato senza osservare le norme
di procedura e di pubblicità risultanti dal combinato disposto degli artt. 8, 11, n. 1, e 15, n. 2, della direttiva
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di servizi (GU L 209, pag. 1), la Repubblica d’Austria è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza
di tale direttiva.
Contesto normativo
2
L’art. 1 della direttiva 92/50 stabilisce quanto segue:
[Ai fini della presente direttiva s’intendono per]:
«a)
”appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di
servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice, (…)
(…)
b)
”amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le
associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
(…)
c)
“prestatori di servizi” le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici che forniscono servizi.
(…)
d)
”procedure aperte” le procedure nazionali nell’ambito delle quali tutti i prestatori di servizi interessati
possono presentare offerte;
e)
”procedure ristrette” le procedure nazionali nell’ambito delle quali possono presentare offerte soltanto i
prestatori di servizi invitati dall’amministrazione;
f)
”procedure negoziate” le procedure nazionali nell’ambito delle quali le amministrazioni consultano i
prestatori di servizi di loro scelta e negoziano i termini del contratto con uno o più di essi;
(…)».
3
L’art. 8 di tale direttiva così recita:
«Gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nell’allegato I A vengono aggiudicati conformemente alle
disposizioni dei titoli da III a VI».
4
L’art. 11, n. 1, della medesima direttiva prevede quanto segue:
«Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di servizi le amministrazioni applicano le procedure definite
nell’articolo 1, lettere d), e) e f) adattate ai fini della presente direttiva».
5
Secondo l’art. 15, n. 2, della direttiva 92/50:
«Le amministrazioni che intendono aggiudicare un appalto pubblico di servizi mediante procedura aperta,
ristretta o, nei casi stabiliti nell’articolo 11, negoziata, rendono nota tale intenzione con un bando di gara».
I fatti e la fase precontenziosa
6
Il 21 maggio 1999 la città di Mödling, in occasione della riunione del consiglio comunale, decideva di
creare un organismo giuridicamente indipendente per far fronte ai compiti ad esso attribuiti dalla legge del
Land della Bassa Austria concernente lo smaltimento dei rifiuti (Niederösterreichisches
Abfallwirtschaftsgesetz) del 1992 (LGB1. 8240) allo scopo, in particolare, di fornire prestazioni di servizi in
materia di gestione ecologica dei rifiuti e di realizzare le relative operazioni commerciali, segnatamente nel
campo dello smaltimento dei rifiuti.
99
7
Pertanto, il 16 giugno 1999, veniva redatto l’atto costitutivo della società Stadtgemeinde Mödling
AbfallwirtschaftsgmbH (in prosieguo: la «società Abfall»), il cui capitale sociale era interamente detenuto
dalla città di Mödling. Il 25 giugno 1999 il consiglio comunale di Mödling deliberava di incaricare a titolo
esclusivo della gestione dei rifiuti sul territorio comunale la società Abfall.
8
Il 15 settembre 1999, con un contratto concluso a tempo indeterminato ed entrato in vigore con efficacia
retroattiva il 1° luglio 1999, la città di Mödling attribuiva in via esclusiva alla società Abfall la raccolta e il
trattamento dei suoi rifiuti. Tale contratto fissava l’importo della remunerazione, e cioè un importo fisso per
ogni bidone o cassonetto, che la città di Mödling doveva versare alla società Abfall.
9
In occasione della riunione del 1° ottobre 1999, il consiglio comunale di Mödling decideva di cedere il
49% delle quote della società Abfall alla società Saubermacher Dienstleistungs-Aktiengesellschaft (in
prosieguo: la «società Saubermacher»). Secondo il verbale relativo a tale riunione, dopo la delibera adottata il
25 giugno 1999, avevano avuto luogo vari colloqui con i rappresentanti delle società interessate ad una
partecipazione nell’ambito di attività della società Abfall, in particolare con la società Saubermacher.
10 Il 6 ottobre 1999 veniva modificato l’atto costitutivo della società Abfall, per consentire l’adozione, da
parte dell’assemblea generale, della maggior parte delle decisioni a maggioranza semplice e per fissare il
quorum al 51% del capitale sociale. Si decideva anche che la rappresentanza di tale società, nelle sue relazioni
interne ed esterne, sarebbe stata assicurata da due amministratori dotati di poteri di firma congiunti, nominati
ciascuno da un socio.
11 La cessione delle quote summenzionate veniva effettivamente realizzata il 13 ottobre 1999. Tuttavia, la
società Abfall iniziava le sue attività operative solo il 1° dicembre successivo, e cioè in un momento in cui la
società Saubermacher deteneva già una parte delle quote di tale società.
12 Dal 1° dicembre 1999 al 31 marzo 2000, la società Abfall svolgeva la sua attività esclusivamente per
conto della città di Mödling. In seguito, dopo la messa in esercizio della stazione di carico, essa forniva
prestazioni anche a terzi, in particolare ad altri comuni del distretto.
13 Dopo avere invitato la Repubblica d’Austria a presentare le sue osservazioni, il 2 aprile 2003 la
Commissione le inviava un parere motivato in cui constatava la violazione delle disposizioni della direttiva
92/50 risultante dal fatto che la città di Mödling non aveva indetto una gara d’appalto per l’attribuzione del
contratto di smaltimento dei rifiuti di cui si tratta, mentre tale contratto doveva essere considerato come un
appalto pubblico di servizi ai sensi di tale direttiva.
14 In risposta a tale parere motivato, la Repubblica d’Austria affermava che la conclusione del contratto in
parola con la società Abfall non rientrava nell’ambito di applicazione delle direttiva relative agli appalti
pubblici, in quanto riguardava un’operazione interna tra il comune di Mödling e la società Abfall.
15 Non essendo rimasta soddisfatta di tale risposta, la Commissione decideva di proporre il presente
ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
16 La Commissione afferma che, dal momento che ricorrono le condizioni di applicazione della direttiva
92/50, le norme di procedura definite all’art. 11, n. 1, di tale direttiva e le regole di pubblicità contenute
all’art. 15, n. 2, di essa sono pienamente applicabili.
17 Secondo la Commissione, contrariamente a quanto sostenuto dal governo austriaco nell’ambito della
fase precontenziosa, non sussiste alcun elemento che dimostri l’esistenza di un rapporto interno tra il comune
di Mödling e la società Abfall. A tale riguardo la Commissione si riferisce alla sentenza 18 novembre 1999,
causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121, punto 50), nella quale la Corte ha giudicato che l’appello alla
concorrenza non è obbligatorio nell’ipotesi in cui l’autorità pubblica, che è un’autorità aggiudicatrice, eserciti
sull’ente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi e in cui tale
ente realizzi la parte più importante della propria attività con l’autorità pubblica o le autorità pubbliche che lo
controllano.
18 La Commissione sostiene che, anche se tale sentenza è stata pronunciata con riferimento all’art. 1,
lett. a), della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione rispettivamente degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), la posizione adottata
dalla Corte può essere trasposta a tutte le direttive comunitarie in materia di appalti pubblici. La Commissione
invoca la citata sentenza Teckal a sostegno del suo argomento secondo cui è solo nel caso in cui l’autorità
aggiudicatrice esercita un controllo illimitato sull’aggiudicataria che le direttive sugli appalti pubblici non si
applicano. Se un’impresa privata detiene quote nella società aggiudicataria occorre, secondo la Commissione,
presumere che l’autorità aggiudicatrice non possa esercitare su tale società «un controllo analogo a quello da
ess[a] esercitato sui propri servizi» ai sensi di tale sentenza. Una partecipazione minoritaria di un’impresa
privata sarebbe quindi sufficiente ad escludere l’esistenza di un’operazione interna.
19 Inoltre, la Commissione fa osservare che, nella fattispecie, la partecipazione minoritaria della società
Saubermacher implica l’esistenza a profitto di quest’ultima di diritti di veto e del potere di designare uno dei
due amministratori aventi gli stessi diritti, il che esclude che la città di Mödling possa esercitare sulla società
Abfall un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi.
20 A suo difesa, il governo austriaco contesta, in primo luogo, la ricevibilità del ricorso della Commissione.
21 Esso sostiene che la creazione della società Abfall, la conclusione del contratto riguardante lo
smaltimento dei rifiuti e la cessione delle quote costituiscono tre operazioni distinte che non avrebbero dovuto
100
essere esaminate alla luce delle disposizioni della direttiva 92/50, ma direttamente alla luce di quelle del
Trattato CE. Una violazione di tale direttiva potrebbe quindi essere ipotizzata solo nel caso in cui tali
operazioni fossero state decise per eludere l’applicazione della direttiva 92/50 o nel caso in cui la cessione
delle quote di cui si tratta potrebbe realizzare un’operazione rientrante nelle disposizioni in materia di
aggiudicazione di appalti pubblici.
22 Orbene, nel corso della procedura per inadempimento, la Commissione non avrebbe formulato alcuna
osservazione su tali ipotesi. Essa non avrebbe, né nel caso del procedimento precontenzioso né nel ricorso,
definito l’oggetto della controversia e non avrebbe neppure provato che il contratto in esame sarebbe stato
concluso in violazione della direttiva 92/50 né esposto le ragioni per cui essa ritiene che l’esistenza di
un’operazione interna sia essenziale nella presente causa.
23 In secondo luogo, nel merito, il governo austriaco rimprovera alla Commissione di ignorare il fatto che,
al momento della conclusione del contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti con la società Abfall, le quote
di quest’ultima erano detenute per il 100 % dalla città di Mödling. Così, in presenza di un’operazione interna,
non sarebbe stata richiesta una gara d’appalto.
24 Inoltre, tale governo considera che la nozione di «un controllo analogo a quello (…) esercitato sui propri
servizi» ai sensi della citata sentenza Teckal non implica un controllo identico, ma un controllo comparabile.
La città di Mödling avrebbe mantenuto tale controllo, anche dopo la cessione del 49% delle quote della
società Abfall.
Giudizio della Corte
Sulla ricevibilità
25 Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il procedimento precontenzioso ha lo scopo
di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso
incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di far valere utilmente i suoi motivi di difesa contro
gli addebiti formulati dalla Commissione (v., in particolare, sentenze 10 maggio 2001, causa C-152/98,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3463, punto 23, e 15 gennaio 2002, causa C-439/99,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 10).
26 Ne consegue, innanzi tutto, che l’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è determinato
dal procedimento precontenzioso previsto dal medesimo articolo. Pertanto, il ricorso dev’essere basato sui
medesimi motivi e mezzi del parere motivato. Se una censura non è stata formulata nel parere motivato, essa è
irricevibile in sede di procedimento dinanzi alla Corte (v., in particolare, sentenza Commissione/Italia, cit.,
punto 11).
27 In secondo luogo, il parere motivato deve contenere un’esposizione coerente e dettagliata delle ragioni
che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato interessato è venuto meno a uno degli
obblighi impostigli dal Trattato CE (v., in particolare, sentenze 4 dicembre 1997, causa C-207/96,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-6869, punto 18, e 15 gennaio 2002, Commissione/Italia, cit., punto 12).
28 Nel caso di specie, al punto 16 del suo parere motivato e al punto 13 della sua lettera di diffida, la
Commissione ha fatto valere che la cronologia degli avvenimenti, dalla decisione del consiglio comunale di
Mödling di incaricare in via esclusiva la società Abfall della gestione dei rifiuti di quel comune fino alla
cessione del 49% delle quote di tale società alla società Saubermacher, provava che il periodo durante il quale
la città di Mödling aveva detenuto il 100% delle quote della società Abfall costituiva in realtà solo una fase
intermedia all’assunzione di una partecipazione di un’impresa privata in tale società. Quindi, la Commissione,
nel corso della fase precontenziosa, ha chiaramente dichiarato di rifiutare la tesa della città di Mödling fondata
sull’esistenza di tre operazioni distinte.
29 La Commissione ha quindi esposto in modo coerente e dettagliato le ragioni per cui, considerando
applicabili le disposizioni della direttiva 92/50, la conclusione del contratto che attribuiva in via esclusiva alla
società Abfall la raccolta e il trattamento dei rifiuti della città di Mödling non poteva essere considerata come
un’operazione interna e avrebbe dovuto costituire oggetto di una procedura d’appalto pubblico.
30 Pertanto, occorre constatare che l’oggetto del ricorso era chiaramente definito e che l’eccezione di
irricevibilità sollevata dal governo austriaco deve essere respinta.
Nel merito
31 Nell’ambito del presente ricorso, la Commissione rimprovera, in sostanza, alle autorità austriache di
aver permesso l’attribuzione, da parte di un comune, di un appalto pubblico di servizi ad una società
giuridicamente distinta da tale comunità e detenuta, al 49%, da una società privata, senza che fosse attuata la
procedura d’appalto pubblico prevista dalla direttiva 92/50.
32 In via preliminare, occorre constatare che le condizioni di applicazione di tale direttiva ricorrevano nella
fattispecie. Infatti, la città di Mödling è considerata, in quanto comunità territoriale, come
un’«amministrazione aggiudicatrice», ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 92/50, che ha concluso un
contratto a titolo oneroso con la società Abfall la quale è un «prestatore di servizi», ai sensi dell’art. 1, lett. c),
della stessa direttiva. I servizi di raccolta e di trattamento dei rifiuti costituiscono servizi ai sensi dell’art. 8 e
dell’allegato I A di tale direttiva. Inoltre, secondo le constatazioni della Commissione, che non sono state
contestate dal governo austriaco, la soglia fissata all’art. 7, n. 1, della direttiva 92/50, come modificata dalla
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE (GU L 328, pag. 1), era stata
superata nel caso di specie.
101
33 Di conseguenza, l’aggiudicazione dell’appalto relativo a tali servizi, alla luce dell’art. 8 della direttiva
92/50, poteva avvenire solo nel rispetto delle regole previste ai titoli III-VI di tale direttiva, in particolare degli
artt. 11 e 15, n. 2, di essa. Orbene, in forza di quest’ultima disposizione, l’autorità aggiudicatrice interessata
doveva pubblicare un bando di gara.
34 Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, l’appello alla concorrenza non è obbligatorio, anche se
la controparte contrattuale è un ente giuridicamente distinto dall’autorità aggiudicatrice, nell’ipotesi in cui
l’autorità pubblica, che è un’autorità aggiudicatrice, eserciti sull’ente distinto di cui si tratta un controllo
analogo a quello che esercita sui propri servizi e in cui tale ente realizzi la parte più importante della propria
attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano (citate sentenze Teckal, punto 50, e 11 gennaio 2005,
causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 49).
35 Il governo austriaco sostiene che ciò accade nella fattispecie, per cui non occorreva applicare le
procedure di appalto pubblico di servizi previste dalla direttiva 92/50.
36 In primo luogo, tale governo afferma che la conclusione del contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti
con la società Abfall, che è stato concluso quando le quote di tale società erano ancora interamente detenute
dalla città di Mödling, non ha avuto lo scopo di stabilire un rapporto tra persone giuridiche autonome, poiché
tale ente locale poteva esercitare sulla società Abfall un controllo analogo a quello che esercita sui propri
servizi. Di conseguenza, tale contratto non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della direttiva 92/50 e alla
città di Mödling non sarebbe imposto alcun obbligo di procedere ad una gara d’appello.
37 Tale argomento non può essere accolto.
38 Senza che appaia necessario decidere la questione se la detenzione, da parte del comune di Mödling,
dell’intero capitale della società Abfall alla data dell’attribuzione dell’appalto pubblico di servizi fosse
necessaria per stabilire che il detto ente locale esercitava sulla società Abfall un controllo analogo a quello che
esercita sui propri servizi, occorre rilevare che la data rilevante nella fattispecie per valutare se le disposizioni
della direttiva 92/50 dovessero essere applicate non è la data effettiva dell’aggiudicazione dell’appalto
pubblico in questione. Anche se è vero che per ragioni di certezza del diritto occorre in generale esaminare
l’eventuale obbligo per l’autorità aggiudicatrice di procedere ad una gara d’appalto alla luce delle condizioni
esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui si tratta, le circostanze particolari della
presente causa richiedono che siano presi in considerazione avvenimenti successivamente intervenuti.
39 Occorre ricordare che la cessione del 49% delle quote della società Abfall è intervenuta poco tempo
dopo che tale società è stata incaricata, in esclusiva e a tempo indeterminato, della raccolta e dello
smaltimento dei rifiuti della città di Mödling. Inoltre, la società Abfall è diventata operativa solo dopo che la
società Saubermacher ha rilevato una parte delle sue quote.
40 Così, è pacifico che, attraverso una costruzione artificiale comprendente più fasi distinte, e cioè la
creazione della società Abfall, la conclusione con essa del contratto di smaltimento dei rifiuti e la cessione del
49% delle quote di tale società alla società Saubermacher, un appalto pubblico di servizi è stato attribuito ad
un’impresa di economia mista in cui il 49% delle quote sono detenute da un’impresa privata.
41 Quindi, l’aggiudicazione di tale appalto deve essere esaminata tenendo conto dell’insieme di tali fasi
nonché del loro obiettivo e non in funzione dello svolgimento cronologico in senso stretto di esse, come
propone il governo austriaco.
42 Esaminare, come propone il governo austriaco, l’aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui si tratta
considerando esclusivamente la data in cui è avvenuta, senza tener conto degli effetti della cessione in termini
molto brevi del 49% delle quote della società Abfall alla società Saubermacher, comprometterebbe l’effetto
utile della direttiva 92/50. La realizzazione dell’obiettivo perseguito da quest’ultima, e cioè la libera
circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, sarebbe
compromessa se le autorità aggiudicatrici potessero ricorrere a manovre dirette a celare l’aggiudicazione di
appalti pubblici di servizi a società ad economia mista.
43 In secondo luogo, il governo austriaco sostiene che, anche dopo aver ceduto il 49% delle quote della
società Abfall alla società Saubermacher, la città di Mödling aveva mantenuto un controllo identico a quello
esercitato sui propri servizi. Tale circostanza, alla luce della citata sentenza Teckal, l’avrebbe dispensata dal
procedere ad un appalto pubblico in quanto la conclusione del contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti
costituiva un’operazione interna.
44 A tale proposito occorre ricordare che, nella fattispecie, il contratto in esame, che riguarda servizi
rientranti nell’ambito di applicazione materiale della direttiva 92/50, è stato concluso a titolo oneroso tra
un’autorità aggiudicatrice e una società di diritto privato giuridicamente distinta da essa, nel capitale della
quale l’autorità aggiudicatrice detiene una partecipazione maggioritaria.
45 Nella citata sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, la Corte ha già esaminato la questione se, in tali
circostanze, l’autorità aggiudicatrice sia tenuta ad applicare le procedure di gara d’appalto previste dalla
direttiva 92/50 a causa del solo fatto che un’impresa privata detiene una partecipazione, anche di minoranza,
nel capitale della società controparte contrattuale.
46 Essa ha giudicato che la partecipazione, anche di minoranza, di un’impresa privata nel capitale di una
società a cui partecipa anche l’autorità aggiudicatrice interessata esclude in ogni caso che tale autorità
aggiudicatrice possa esercitare un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi (sentenza
Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 49).
102
47 Il rapporto tra un’autorità pubblica, che è un’autorità aggiudicatrice, e i suoi propri servizi è disciplinato
da considerazioni ed esigenze proprie al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Al contrario,
qualsiasi piazzamento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni relative agli interessi
privati e persegue obiettivi di natura diversa (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 50).
48 L’aggiudicazione di un appalto pubblico ad un’impresa ad economia mista senza appello alla
concorrenza comprometterebbe l’obiettivo di concorrenza libera e non falsata e il principio di parità di
trattamento degli interessati previsto dalla direttiva 92/50, in quanto tale procedura offrirebbe ad un’impresa
privata presente nel capitale di tale impresa un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (sentenza Stadt Halle e
RPL Lochau, cit., punto 51).
49 La Corte ha dichiarato che, nel caso in cui un’autorità aggiudicatrice ha l’intenzione di concludere un
contratto a titolo oneroso riguardante servizi che rientrano nell’ambito di applicazione materiale della direttiva
92/50 con una società giuridicamente distinta da essa, nel capitale della quale detiene una partecipazione con
una o più imprese private, le procedure di appalto pubblico previste da tale direttiva devono in ogni caso
essere applicate (sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 52).
50 Così, alla luce di quanto precede, occorre constatare che, poiché il contratto relativo allo smaltimento dei
rifiuti della città di Mödling è stato concluso senza che fossero rispettate le norme di procedura e di pubblicità
previste dal combinato disposto degli artt. 8, 11, n. 1, e 15, n. 2, della direttiva 92/50, la Repubblica d’Austria
è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tale direttiva.
Sulle spese
51 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se
ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica d’Austria, rimasta
soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:
1)
Poiché il contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti della città di Mödling è stato concluso senza che
fossero rispettate le norme di procedura e di pubblicità previste dal combinato disposto degli artt. 8, 11, n. 1, e
15, n. 2, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, la Repubblica d’Austria è venuta meno agli obblighi che le
incombono in forza di tale direttiva.
2)
La Repubblica d’Austria è condannata alle spese.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
6 aprile 2006 (*)
«Libera prestazione dei servizi – Servizio di trasporto pubblico locale – Affidamento senza procedura di gara
– Affidamento da parte di un ente pubblico ad un’impresa di cui esso detiene il capitale»
Nel procedimento C-410/04,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con ordinanza 22 luglio 2004, pervenuta in cancelleria il 27
settembre 2004, nella causa
Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV)
contro
Comune di Bari,
AMTAB Servizio SpA,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), K. Lenaerts,
M. Ilešič e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed,
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 27 ottobre 2005,
considerate le osservazioni presentate:
–
per l’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV), dall’avv. C. Colapinto;
–
per il Comune di Bari, dagli avv.ti R. Verna, B. Capruzzi e R. Cioffi;
–
per la AMTAB Servizio SpA, dagli avv.ti G. Notarnicola e V. Caputi Jambrenghi;
–
per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato
dello Stato;
–
per il governo tedesco, dalla sig.ra C. Schulze-Bahr, in qualità di agente;
–
per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
–
per il governo polacco, dal sig. T. Nowakowski, in qualità di agente;
–
per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di
agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 gennaio 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE.
103
2
La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra l’Associazione Nazionale Autotrasporto
Viaggiatori (in prosieguo: l’«ANAV»), da un lato, e il Comune di Bari e l’AMTAB Servizio SpA (in
prosieguo: l’«AMTAB Servizio»), dall’altro, concernente l’affidamento a quest’ultima del servizio di
trasporto pubblico sul territorio del detto comune.
Contesto normativo
Il diritto comunitario
3
L’art. 43 CE così prevede:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate (...).
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione
e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni
definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni
del capo relativo ai capitali».
4
L’art. 46 CE ha il seguente tenore:
«1.
Le prescrizioni del presente capo e le misure adottate in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata
l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime
particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e
di sanità pubblica.
2.
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251, stabilisce direttive per il
coordinamento delle suddette disposizioni».
5
L’art 49, primo comma, CE così prevede:
«Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della
Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che
non sia quello del destinatario della prestazione».
6
Il testo dell’art. 86, n. 1, CE è il seguente:
«Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui
riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a
quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi».
Il diritto nazionale
7
Quanto alla normativa italiana, l’art. 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici (Supplemento ordinario
alla GURI n. 229 del 2 ottobre 2003; in prosieguo: il «D.L. n. 269/2003»), ha modificato l’art. 113 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Supplemento
ordinario alla GURI n. 227 del 28 settembre 2000; in prosieguo: il «D.Lgs. n. 267/2000»). La nuova versione
dell’art. 113, quinto comma, di tale D.Lgs. così prevede:
«L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione
europea, con conferimento della titolarità del servizio:
a)
a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b)
a società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso
l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme
interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti
attraverso provvedimenti o circolari specifiche;
c)
a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale
sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano».
La causa principale e la questione pregiudiziale
8
Stando all’ordinanza di rinvio, l’AMTAB Servizio è una società per azioni il cui capitale sociale è
interamente detenuto dal Comune di Bari, e la cui sola attività consiste nel fornire un servizio di trasporto
pubblico sul territorio di tale comune. Tale società sarebbe totalmente controllata dal Comune di Bari.
9
In base alla medesima ordinanza, l’ANAV rappresenta, per statuto, le imprese esercenti servizi nazionali
e internazionali di trasporto di passeggeri, nonché attività assimilabili al trasporto, e, in tale veste, vigila in
particolare sul buon andamento del servizio pubblico di trasporto urbano ed extraurbano, nell’interesse delle
società che forniscono tale servizio.
10 Con provvedimento 17 luglio 2003, il Comune di Bari ha avviato una procedura di gara ad evidenza
pubblica al fine di affidare il servizio di trasporto pubblico sul territorio di tale comune.
11 In seguito alla modifica dell’art. 113, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000 da parte dell’art. 14 del
D.L. n. 269/2003, il Comune di Bari ha, con provvedimento 9 ottobre 2003, abbandonato tale procedura di
gara ad evidenza pubblica.
12 Con provvedimento 18 dicembre 2003, il citato Comune ha affidato direttamente il servizio in questione
all’AMTAB Servizio, per il periodo 1° gennaio 2004 - 31 dicembre 2012.
13 Con ricorso notificato in data 1° marzo 2004 e depositato in data 9 marzo 2004 dinanzi al Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, l’ANAV ha chiesto a quest’ultimo di annullare il citato
provvedimento, oltre che tutti gli atti connessi e consequenziali, lamentando violazione del diritto
104
comunitario, e in particolare degli artt. 3 CE, 16 CE, 43 CE, 49 CE, 50 CE, 51 CE, 70 CE - 72 CE, 81 CE,
82 CE, 86 CE e 87 CE.
14 Alla luce di tali censure, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha sospeso il procedimento
e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e libera
concorrenza di cui agli artt. [43 CE], 49 CE e 86 CE, l’art. 113, comma quinto, D.Lgs. n. 267/00, come
modificato dall’art. 14 D.L. n. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta
dell’Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in particolare tra
l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto a società da essa
interamente controllata».
Sulla questione pregiudiziale
15 Con la propria questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il diritto comunitario, in particolare
gli obblighi di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, osti a una disciplina
nazionale, come quella oggetto della causa principale, che non pone alcun limite alla libertà, per un ente
pubblico, di scegliere tra le diverse forme di affidamento di un servizio pubblico, in particolare tra
l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto ad una società di cui
tale ente detiene l’intero capitale.
16 Risulta dagli atti della causa principale che il servizio di trasporto pubblico sul territorio del Comune di
Bari è finanziato, almeno in parte, attraverso l’acquisto di titoli di trasporto da parte degli utenti. Tale sistema
di finanziamento caratterizza la concessione di servizi pubblici (sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03,
Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 40).
17 È pacifico che le concessioni di servizi pubblici sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di servizi (GU L 209, pag. 1) (sentenza Parking Brixen, cit., punto 42). Essa è stata sostituita dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), il
cui art. 17 prevede esplicitamente l’inapplicabilità alle concessioni di servizi.
18 Anche se i contratti di concessione di servizi pubblici sono esclusi dall’ambito applicativo della direttiva
92/50, sostituita dalla direttiva 2004/18, le pubbliche autorità che li concludono sono tuttavia tenute a
rispettare le regole fondamentali del Trattato CE in generale, e il principio di non discriminazione sulla base
della nazionalità in particolare (v., in tal senso, sentenze 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e
Telefonadress, Racc. pag. I-10745, punto 60; 21 luglio 2005, causa C-231/03, Coname, Racc. pag. I-7287,
punto 16; e Parking Brixen, cit., punto 46).
19 Le disposizioni del Trattato specificamente applicabili alle concessioni di servizi pubblici comprendono
in particolare gli artt. 43 CE e 49 CE (sentenza Parking Brixen, cit., punto 47).
20 Oltre al principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, si applica alle concessioni di
servizi pubblici anche il principio della parità di trattamento tra offerenti, e ciò anche in assenza di
discriminazione sulla base della nazionalità (sentenza Parking Brixen, cit., punto 48).
21 I principi di parità di trattamento e di non discriminazione sulla base della nazionalità comportano, in
particolare, un obbligo di trasparenza che permette all’autorità pubblica concedente di assicurarsi che tali
principi siano rispettati. L’obbligo di trasparenza posto a carico di detta autorità consiste nel dovere di
garantire, ad ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità, che consenta l’apertura della
concessione di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione
(v., in tal senso, citate sentenze Telaustria e Telefonadress, punti 61 e 62, e Parking Brixen, punto 49).
22 In linea di principio, l’assenza totale di procedura concorrenziale per l’affidamento di una concessione
di servizi pubblici, come quella di cui alla causa principale, non è conforme alle esigenze di cui agli
artt. 43 CE e 49 CE, e nemmeno ai principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza
(sentenza Parking Brixen, cit., punto 50).
23 Risulta inoltre dall’art. 86, n. 1, CE che gli Stati membri non possono mantenere in vigore una
normativa nazionale che consenta l’affidamento di concessioni di servizi pubblici senza procedura
concorrenziale, poiché un simile affidamento viola gli artt. 43 CE o 49 CE o ancora i principi di parità di
trattamento, di non discriminazione e di trasparenza (sentenza Parking Brixen, cit., punto 52).
24 Tuttavia, nel settore delle concessioni di servizi pubblici, l’applicazione delle regole enunciate agli
artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, è
esclusa se, allo stesso tempo, il controllo esercitato sul concessionario dall’autorità pubblica concedente è
analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e se il detto concessionario realizza la parte più
importante della propria attività con l’autorità che lo detiene (sentenza Parking Brixen, cit., punto 62).
25 Una normativa nazionale che riprenda testualmente il contenuto delle condizioni indicate al punto
precedente, come fa l’art. 113, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000, come modificato dall’art. 14 del
D.L. n. 269/2003, è in linea di principio conforme al diritto comunitario, fermo restando che l’interpretazione
di tale disciplina deve a sua volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario.
26 Va precisato che, trattandosi di un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le due
condizioni enunciate al punto 24 della presente sentenza devono essere interpretate restrittivamente, e l’onere
di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole
105
grava su colui che intenda avvalersene (v. sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL
Lochau, Racc. pag. I-1, punto 46, e Parking Brixen, cit., punto 63).
27 Stando alle osservazioni scritte presentate alla Corte dall’AMTAB Servizio, il Comune di Bari ha
deciso, in data 27 dicembre 2002, di cedere una partecipazione corrispondente all’80% delle azioni di tale
società da esso detenute, e in data 21 maggio 2004 ha deciso di avviare, a tal fine, la procedura di gara ad
evidenza pubblica per la selezione del socio privato di maggioranza. Tale informazione è stata confermata
dall’ANAV nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte.
28 Nella stessa udienza, però, il Comune di Bari ha sostenuto di aver rinunciato all’intenzione di cedere una
parte delle proprie azioni dell’AMTAB Servizio. Esso avrebbe deciso, in data 13 gennaio 2005, di non dare
seguito alla propria delibera precedente, e di non privatizzare più detta società. Tale provvedimento non
sarebbe stato inserito nei documenti inviati dal giudice a quo in quanto adottato successivamente all’ordinanza
di rinvio.
29 Spetta al detto giudice, e non alla Corte, chiarire se il Comune di Bari intenda aprire il capitale
dell’AMTAB Servizio ad azionisti privati. Tuttavia, allo scopo di fornire a tale giudice elementi utili per
risolvere la controversia sottopostagli, va precisato quanto segue.
30 Qualora, durante la vigenza del contratto di cui alla causa principale, il capitale dell’AMTAB Servizio
fosse aperto ad azionisti privati, la conseguenza di ciò sarebbe l’affidamento di una concessione di servizi
pubblici ad una società mista senza procedura concorrenziale, il che contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti
dal diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria,
Racc. pag. I-9705, punto 48).
31 Infatti, la partecipazione, ancorché minoritaria, di un’impresa privata nel capitale di una società alla
quale partecipa pure l’autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa
esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (v., in tal senso,
sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 49).
32 Quindi, se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale
circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito
dell’ente pubblico che la detiene (v., in tal senso, sentenza Coname, cit., punto 26).
33 Alla luce delle considerazioni svolte, la questione pregiudiziale va risolta dichiarando che gli
artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della
nazionalità e di trasparenza non ostano ad una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di
affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l’intero capitale, a
condizione che l’ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la detiene.
Sulle spese
34 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
Gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base
della nazionalità e di trasparenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di
affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l’intero capitale, a
condizione che l’ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la detiene.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
11 maggio 2006 (*)
«Direttiva 93/36/CEE – Appalti pubblici di forniture – Affidamento senza gara d’appalto – Affidamento
dell’appalto ad un’impresa in cui l’amministrazione aggiudicatrice detiene una partecipazione»
Nel procedimento C-340/04,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza 27 maggio 2004, pervenuta in cancelleria
il 9 agosto 2004, nella causa tra
Carbotermo SpA,
Consorzio Alisei
e
Comune di Busto Arsizio,
AGESP SpA,
in presenza di:
Associazione Nazionale Imprese Gestione servizi tecnici integrati (AGESI),
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra N. Colneric, dai
sigg. J.N. Cunha Rodrigues (relatore) e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl,
cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore,
106
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 10 novembre 2005,
considerate le osservazioni presentate:
–
per la Carbotermo SpA, dagli avv.ti A. Sansone e P. Sansone;
–
per il Consorzio Alisei, congiuntamente ad AGESI, dagli avv.ti B. Becchi e L. Grillo;
–
per il Comune di Busto Arsizio, dall’avvocatessa C. Caputo;
–
per la AGESP SpA, dagli avv.ti A. Sciumè e D. Tassan Mazzocco;
–
per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato
dello Stato;
–
per il governo tedesco, dal sig. W.-D. Plessing, in qualità di agente;
–
per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
–
per il governo polacco, dal sig. T. Nowakowski, in qualità di agente;
–
per il governo del Regno Unito, dal sig. M. Hoskins, in qualità di agente;
–
per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di
agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 gennaio 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 giugno
1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199,
pag. 1).
2
Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia che vede contrapporsi l’impresa
Carbotermo SpA (in prosieguo: la «Carbotermo») e il consorzio Alisei al comune di Busto Arsizio e
all’impresa AGESP SpA (in prosieguo: la «AGESP») in merito all’affidamento a quest’ultima di un appalto
relativo alla fornitura di combustibili, alla manutenzione, all’adeguamento normativo e alla riqualificazione
tecnologica degli impianti termici degli edifici del suddetto comune.
Contesto normativo
La disciplina comunitaria
3
L’art. 1, lett. a) e b), della direttiva 93/36 dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intendono per:
a)
”appalti pubblici di forniture”, i contratti a titolo oneroso, aventi per oggetto l’acquisto, il leasing, la
locazione, l’acquisto a riscatto con o senza opzione per l’acquisto di prodotti, conclusi per iscritto fra un
fornitore (persona fisica o giuridica) e una delle amministrazioni aggiudicatrici definite alla lettera b). La
fornitura di tali prodotti può comportare, a titolo accessorio, lavori di posa e installazione;
b)
”amministrazioni aggiudicatrici”, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le
associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico.
Per “organismo di diritto pubblico” si intende qualsiasi organismo:
–
istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o
commerciale, e
–
avente personalità giuridica, e
–
la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto
pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo
d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata
dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.
(...)».
4
L’art. 6 della stessa direttiva così prevede:
«1.
Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di forniture, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le (...)
[procedure aperte, le procedure ristrette e le procedure negoziate] nei casi esposti in appresso.
2.
Le amministrazioni possono aggiudicare gli appalti di forniture mediante procedura negoziata in caso di
(…)
3.
Le amministrazioni possono aggiudicare appalti di forniture mediante procedura negoziata non
preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara nei casi seguenti:
(…)
4.
In tutti gli altri casi le amministrazioni aggiudicano gli appalti pubblici di forniture con procedura aperta
ovvero con procedura ristretta».
5
L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli
enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), così prevede:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
3)
”Impresa collegata” qualsiasi impresa i cui conti annuali siano consolidati con quelli dell’ente
aggiudicatore a norma della direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54,
paragrafo 3, lettera g) del trattato e relativa ai conti consolidati (…) [GU L 193, pag. 1], ovvero, nel caso di
enti non soggetti a tale direttiva, qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo nonché qualsiasi impresa
107
che eserciti un’influenza dominante sull’ente aggiudicatore ovvero, come quest’ultimo, sia soggetta
all’influenza dominante di un’altra impresa in forza di proprietà, partecipazione finanziaria o norme interne».
6
L’art. 13 della medesima direttiva prevede quanto segue:
«1.
La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:
a)
assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
b)
assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori per l’esercizio di attività ai sensi
dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di questi enti aggiudicatori o ad un’impresa collegata ad uno degli enti
aggiudicatori,
sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in questione negli
ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è collegata.
Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di un’impresa collegata all’ente aggiudicatore,
occorre tener conto della cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla fornitura di servizi da parte di
queste imprese.
2.
Gli enti aggiudicatori notificano alla Commissione, dietro sua richiesta, le informazioni seguenti relative
all’applicazione del paragrafo 1:
–
i nomi delle imprese interessate;
–
il tipo e il valore degli appalti di servizi in questione;
–
gli elementi di prova che, a giudizio della Commissione, sono necessari per dimostrare che le relazioni
tra l’ente aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria soddisfano le condizioni del presente articolo».
Il diritto italiano
7
Con sentenza 18 settembre 2003, n. 5316, il Consiglio di Stato ha stabilito che un ente locale è
legittimato ad affidare un appalto a un fornitore senza ricorrere a una gara d’appalto nell’ipotesi in cui l’ente
locale eserciti sul fornitore un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi, e il fornitore
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che lo controlla.
La controversia di cui alla causa principale e le questioni pregiudiziali
8
La Carbotermo è un’impresa specializzata negli appalti di fornitura di energia e di gestione di impianti
termici, a favore di clienti pubblici e privati.
9
Il consorzio Alisei è un’impresa che fornisce prodotti energetici e servizi attinenti alla climatizzazione e
al riscaldamento degli edifici.
10 La AGESP Holding SpA (in prosieguo: la «AGESP Holding») è una società per azioni nata dalla
trasformazione, decretata il 24 settembre 1997, dell’Azienda per la Gestione dei Servizi Pubblici, impresa
speciale del comune di Busto Arsizio. Il capitale sociale della AGESP Holding appartiene attualmente per il
99,98% al comune di Busto Arsizio. Gli altri azionisti sono i comuni di Castellanza, Dairago, Fagnano Olona,
Gorla Minore, Marnate e Olgiate Olona, ciascuno dei quali detiene un’azione.
11 Ai sensi dell’art. 2 del suo statuto, nell’oggetto della AGESP Holding rientra la gestione di servizi di
pubblica utilità nei settori del gas, dell’acqua, dell’igiene ambientale, dei trasporti, dei parcheggi, dei bagni
pubblici, delle farmacie, dell’energia elettrica e del calore, dei servizi cimiteriali e della segnaletica stradale.
12 L’art. 6 del suddetto statuto prevede che:
«(…) [L]a maggioranza delle azioni [è] riservata al Comune di Busto Arsizio.
(…)
Oltre al Comune di Busto Arsizio possono entrare a far parte della Società altri enti pubblici territoriali locali
(Province, Comuni e loro consorzi), enti economici, finanziari, associazioni territoriali e di categoria, nonché
privati cittadini che ne condividano le finalità statutarie (…)».
13 L’art. 7 dello stesso statuto precisa quanto segue:
«Nessun socio privato può possedere una quota superiore alla decima parte dell’intero capitale della società
(…)».
14 Ai sensi dell’art. 18 dello statuto della AGESP Holding, quest’ultima è amministrata da un consiglio di
amministrazione.
15 A norma dell’art. 26 del suddetto statuto:
«Il Consiglio di Amministrazione è investito di tutti i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria
della Società, con facoltà di compiere tutti gli atti che ritiene opportuni per l’attuazione ed il raggiungimento
dello scopo sociale, esclusi solo quelli che la Legge o lo Statuto in modo tassativo riservano all’Assemblea
(…)».
16 La AGESP è una società per azioni costituita il 12 luglio 2000 dalla AGESP Holding e il cui capitale
sociale appartiene attualmente per il 100% a quest’ultima.
17 A norma dell’art. 3 del suo statuto, nella versione modificata – prodotta dinanzi al giudice a quo – con la
quale è stato ampliato l’oggetto della società, la AGESP ha per oggetto l’esercizio di attività connesse ai
servizi di pubblica utilità nei settori del gas, dell’acqua, dell’igiene ambientale, dei trasporti, dei parcheggi,
dell’energia elettrica, del calore, della climatizzazione, dell’informatica, delle telecomunicazioni, della
gestione del sottosuolo, dell’illuminazione nonché la prestazione di altri servizi in favore delle società
associate.
18 L’art. 7 dello statuto della AGESP così prevede:
«Nessun socio, ad eccezione della Società controllante AGESP Holding (…), può possedere una quota
superiore alla decima parte dell’intero capitale della società (…)».
108
19 Ai sensi dell’art. 17 del suddetto statuto, la AGESP è amministrata da un consiglio.
20 A questo proposito, l’art. 19 dello stesso statuto precisa quanto segue:
«Al Consiglio competono [i] più ampi ed illimitati poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della Società
(…)».
21 Il 22 settembre 2003 il comune di Busto Arsizio ha indetto una gara per la fornitura di combustibili,
nonché per la manutenzione, l’adeguamento normativo e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici
degli edifici comunali. L’importo dell’appalto, stimato nella misura di EUR 8 450 000 oltre all’imposta sul
valore aggiunto (IVA), era ripartito in EUR 5 700 000 per la fornitura di combustibili (di cui gasolio per 4/5 e
metano per 1/5), EUR 1 000 000 per la manutenzione degli impianti termici ed EUR 1 750 000 per la
riqualificazione e la messa a norma dei suddetti impianti.
22 La Carbotermo ha presentato un’offerta in data 22 novembre 2003. Il consorzio Alisei ha predisposto
un’offerta senza tuttavia presentarla entro il termine previsto.
23 Il 21 novembre 2003 il comune di Busto Arsizio ha deciso, alla luce della sentenza del Consiglio di
Stato n. 5316, menzionata al punto 7 della presente sentenza, di sospendere la procedura di gara fino al 10
dicembre 2003.
24 Con deliberazione 10 dicembre 2003, il comune di Busto Arsizio ha revocato la gara, riservandosi di
affidare in seguito l’appalto direttamente alla AGESP.
25 Con deliberazione 18 dicembre 2003, il comune di Busto Arsizio ha affidato l’appalto in questione
direttamente alla AGESP. Esso ha motivato tale decisione adducendo che la AGESP soddisfaceva i due
requisiti stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per concludere appalti pubblici senza gara, vale
a dire che l’ente locale eserciti sull’ente aggiudicatario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui
propri servizi e che il suddetto ente aggiudicatario realizzi la parte più importante della propria attività con
l’ente locale che lo controlla. Nel preambolo di tale decisione si afferma, da un lato, che il fatto che il comune
di Busto Arsizio detenga il 99,98% del capitale della AGESP Holding, alla quale appartiene per il 100% il
capitale della AGESP, attesta un rapporto di subordinazione tra quest’ultima e il comune in questione. D’altro
lato, in detto preambolo si afferma che la parte largamente maggioritaria del fatturato della AGESP consegue
dall’esercizio di attività per le quali la stessa è titolata in forza di affidamenti ottenuti direttamente dal comune
di Busto Arsizio.
26 Con bando del 23 gennaio 2004, la AGESP ha indetto una gara d’appalto nell’ambito di una procedura
accelerata per la fornitura del gasolio in questione e in data 27 febbraio 2004 ha affidato il suddetto appalto
all’impresa Pezzoli Petroli Srl. In date 28 aprile, 18 maggio, 30 giugno e 2 settembre 2004, la AGESP ha
affidato ad altre imprese appalti riguardanti il passaggio al metano, la riqualificazione tecnologica,
l’adeguamento normativo e l’installazione di un sistema di controllo e di gestione a distanza per gli impianti
termici di vari edifici comunali. Né la Carbotermo né il consorzio Alisei risultavano tra le imprese
aggiudicatarie di questi appalti.
27 La Carbotermo e il consorzio Alisei hanno impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per
la Lombardia le deliberazioni che avevano sospeso la gara e affidato l’appalto in questione alla AGESP.
28 Dinanzi al summenzionato tribunale le due imprese in questione hanno rilevato che, nel caso di specie,
non ricorrevano le condizioni che rendono inapplicabile la direttiva 93/36. Da un lato, la AGESP non sarebbe
controllata dal comune di Busto Arsizio in quanto quest’ultimo detiene la sua partecipazione nella AGESP
solo mediante una holding di cui è azionista per il 99,98% e la AGESP conserva l’autonomia di una società
per azioni di diritto privato. Dall’altro lato, la AGESP non svolgerebbe la parte più importante della sua
attività a favore del comune di Busto Arsizio, poiché realizzerebbe con il comune in questione una quota
nettamente inferiore all’80% del suo fatturato, criterio che si sarebbe dovuto accogliere per analogia con
l’art. 13 della direttiva 93/38.
29 Il comune di Busto Arsizio e la AGESP hanno replicato che l’affidamento diretto era consentito nella
fattispecie poiché la AGESP era controllata dal comune di Busto Arsizio in ragione della partecipazione di
quest’ultimo al suo capitale e che la stessa svolgeva la parte più importante della sua attività con il suddetto
comune. A tale proposito, la AGESP ha precisato che oltre il 28% del fatturato da essa realizzato nel territorio
del comune di Busto Arsizio si riferiva a prestazioni direttamente fornite al comune e che il fatturato da essa
realizzato nel suddetto territorio rappresentava il 65,59% del suo fatturato globale.
30 Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha pertanto deciso di sospendere il procedimento
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
se sia compatibile con la direttiva 93/36 (...) l’affidamento diretto dell’appalto per la fornitura di
combustibili e calore per impianti termici di edifici di proprietà o competenza del Comune, e relativa gestione,
conduzione, manutenzione (con prevalenza del valore della fornitura), ad una società per azioni il cui capitale
è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di
maggioranza (al 99,98%) il Comune appaltante, ovvero ad una società (AGESP) che non è partecipata
direttamente dall’Ente Pubblico, ma da un’altra società (AGESP Holding) il cui capitale è attualmente
posseduto al 99,98% dalla Pubblica Amministrazione;
2)
se il requisito dello svolgimento, da parte dell’impresa alla quale è stata direttamente affidata la
fornitura, della parte più importante dell’attività con l’Ente pubblico che la controlla debba essere accertato
facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38 (…), e possa ritenersi sussistente nel caso in cui la
109
suddetta impresa realizzi la prevalenza dei proventi con l’Ente pubblico controllante o, in alternativa, nel
territorio dell’Ente stesso».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
31 La Corte ha già statuito che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel contempo prodotti ai sensi della
direttiva 93/36 e servizi ai sensi della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), esso rientra nell’ambito di
applicazione della direttiva 93/36 qualora il valore dei prodotti oggetto dell’appalto sia superiore a quello dei
servizi (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 38). Un appalto come
quello di cui trattasi nella causa principale, in cui il valore dei prodotti è superiore a quello dei servizi oggetto
dello stesso, rientra pertanto nell’ambito di applicazione della direttiva 93/36, come ha d’altronde constatato il
giudice del rinvio.
32 L’esistenza di un contratto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/36 implica che vi sia stato un
incontro di volontà tra due persone distinte (sentenza Teckal, cit., punto 49).
33 Conformemente all’art. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in linea di principio, che il contratto sia
stato stipulato tra, da una parte, un ente locale e, dall’altra, una persona giuridicamente distinta da
quest’ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla
persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la detengono (sentenza
Teckal, cit., punto 50).
34 Dall’ordinanza di rinvio e dagli atti di causa risulta che, allo stato, all’amministrazione aggiudicatrice
appartiene il 99,98% del capitale della AGESP Holding, mentre il restante 0,02% è nelle mani di altri enti
locali. Conformemente allo statuto della AGESP Holding, azionisti privati possono entrare nel capitale di tale
società a due condizioni: da un lato, la maggioranza delle azioni è riservata al comune di Busto Arsizio;
dall’altro, nessun azionista privato può possedere una quota superiore alla decima parte del capitale della
suddetta società.
35 A sua volta, la AGESP Holding detiene, allo stato, il 100% del capitale della AGESP. In base allo
statuto di quest’ultima, il suo capitale può essere accessibile ad azionisti privati alla sola condizione che a
nessun azionista, ad eccezione della AGESP Holding, possa appartenere più di un decimo del capitale della
suddetta società.
36 Per valutare se l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da
quest’esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente
all’amministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società (v. sentenza 13 ottobre
2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 65).
37 Il fatto che l’amministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, l’intero
capitale di una società aggiudicataria potrebbe indicare, pur non essendo decisivo, che l’amministrazione
aggiudicatrice in questione esercita su detta società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi,
ai sensi del punto 50 della menzionata sentenza Teckal.
38 Degli atti di causa risulta che gli statuti della AGESP Holding e della AGESP attribuiscono al consiglio
di amministrazione di ciascuna delle società i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della
società. Gli statuti di cui trattasi non riservano al comune di Busto Arsizio nessun potere di controllo o diritto
di voto particolare per limitare la libertà d’azione riconosciuta a detti consigli di amministrazione. Il controllo
esercitato dal comune di Busto Arsizio su queste due società si risolve sostanzialmente nei poteri che il diritto
societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita considerevolmente il suo potere di influire
sulle decisioni delle società di cui trattasi.
39 Inoltre, l’eventuale influenza del comune di Busto Arsizio sulle decisioni della AGESP viene esercitata
mediante una società holding. L’intervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso
specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società
per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale.
40 Ne consegue che, in tali circostanze, previa verifica di queste ultime da parte del giudice di merito di cui
alla causa principale, l’amministrazione aggiudicatrice non esercita sulla società aggiudicataria dell’appalto
pubblico in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
41 L’art. 6 della direttiva 93/36 impone alle amministrazioni che aggiudicano un appalto pubblico di
ricorrere alla procedura aperta o alla procedura ristretta, salvo che l’appalto rientri in uno dei casi eccezionali
tassativamente elencati ai nn. 2 e 3 del suddetto articolo. Dall’ordinanza di rinvio non risulta che l’appalto di
cui trattasi nella causa principale rientri in uno di tali casi.
42 Ne consegue che la direttiva 93/36 osta all’affidamento diretto di un appalto pubblico in circostanze
analoghe a quelle della causa principale.
43 Contro una conclusione in tal senso il governo italiano obietta che il fatto che la AGESP debba ricorrere
a una procedura di aggiudicazione pubblica per acquistare il gasolio in questione prova che il comune di
Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP devono essere considerati nel loro insieme come un unico
110
«organismo di diritto pubblico» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 93/36, tenuto ad aggiudicare appalti
pubblici di forniture in conformità alla normativa comunitaria e nazionale in materia.
44 Tale argomento non può essere accolto. Da un lato, il comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di
«ente locale» e non in quella di «organismo di diritto pubblico» ai sensi di detta disposizione. D’altro lato, il
comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP dispongono ciascuno di una distinta personalità
giuridica.
45 Peraltro, come ha rammentato la Corte al punto 43 della menzionata sentenza Teckal, le sole deroghe
consentite all’applicazione della direttiva 93/36 sono quelle in essa tassativamente ed espressamente
menzionate.
46 Ora, la direttiva 93/36 non contiene alcuna disposizione analoga all’art. 6 della direttiva 92/50, che
escluda dal suo ambito di applicazione appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni
aggiudicatrici (sentenza Teckal, cit., punto 44).
47 Si deve di conseguenza risolvere la prima questione nel senso che la direttiva 93/36 osta all’affidamento
diretto di un appalto di forniture e di servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni
il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui
capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio
di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice.
Sulla seconda questione
48 La seconda questione consta di due parti.
49 Da un lato, il giudice del rinvio intende chiarire se la condizione consistente nello svolgimento, da parte
dell’impresa alla quale è stata direttamente affidata la fornitura, della parte più importante dell’attività con
l’ente pubblico che la detiene debba essere accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38.
D’altro lato, esso si chiede se si possa ritenere che tale presupposto ricorra nel caso in cui la suddetta impresa
realizzi la prevalenza dei proventi con l’ente pubblico che la detiene o nel territorio dell’ente stesso.
Prima parte della seconda questione
50 Dall’ordinanza di rinvio emerge che l’appalto di cui trattasi nella causa principale rientra nella
direttiva 93/36.
51 Si tratta quindi di accertare se l’eccezione prevista dall’art. 13 della direttiva 93/38 debba valere, per
analogia, anche con riferimento all’ambito di applicazione della direttiva 93/36.
52 L’eccezione prevista dal suddetto art. 13 riguarda solo gli appalti di servizi e ne sono esclusi gli appalti
di forniture.
53 L’art. 13 della direttiva 93/38 riguarda determinati operatori, in particolare imprese comuni e imprese
dai conti annuali consolidati, aventi modalità di funzionamento che differiscono da quelle delle
amministrazioni aggiudicatrici previste dalla direttiva 93/36.
54 Inoltre, il suddetto articolo prevede un meccanismo di notifica alla Commissione che non potrebbe
essere trasposto alla direttiva 93/36, in mancanza di un fondamento normativo.
55 Dal momento che le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente, ne deriva che non si deve
estendere l’operatività dell’art. 13 della direttiva 93/98 all’ambito di applicazione della direttiva 93/36.
56 Tale conclusione è confermata dal fatto che, in sede di rifusione delle direttive in materia di appalti
pubblici risalente al 2004, il legislatore comunitario, pur mantenendo la suddetta eccezione con l’art. 23 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/17/CE, che coordina le procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali
(GU L 134, pag. 1), ha scelto di non includere un’analoga eccezione nella direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), subentrata alla direttiva 93/36.
57 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la prima parte della seconda questione
nel senso che la condizione d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale l’impresa cui è stato
direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più importante dell’attività con l’ente
pubblico che la detiene non va accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva 93/38.
Seconda parte della seconda questione
58 Si deve rammentare che l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici è la
libera circolazione delle merci e dei servizi nonché l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati
membri (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1,
punto 44).
59 Le condizioni in presenza delle quali, secondo la menzionata sentenza Teckal, la direttiva 93/36 è
inapplicabile agli appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto giuridicamente distinto da quest’ultimo,
vale a dire che, al contempo, l’ente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che il soggetto di cui trattasi svolga la parte più importante della sua attività con
l’ente o gli enti locali che lo detengono, hanno, in particolare, lo scopo di evitare che sia falsato il gioco della
concorrenza.
60 La condizione che il soggetto di cui trattasi realizzi la parte più importante della sua attività con l’ente o
gli enti locali che lo detengono è finalizzata, in particolare, a garantire che la direttiva 93/36 continui ad essere
applicabile nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti sia attiva sul mercato e possa pertanto
entrare in concorrenza con altre imprese.
111
61 Infatti, un’impresa non è necessariamente privata della libertà di azione per la sola ragione che le
decisioni che la riguardano sono prese dall’ente pubblico che la detiene, se essa può esercitare ancora una
parte importante della sua attività economica presso altri operatori.
62 È inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva
all’ente locale in questione. Entro tali limiti, risulta giustificato che l’impresa di cui trattasi sia sottratta agli
obblighi della direttiva 93/36, in quanto questi ultimi sono dettati dall’intento di tutelare una concorrenza che,
in tal caso, non ha più ragion d’essere.
63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l’impresa in questione svolga la parte più importante
della sua attività con l’ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l’attività
di detta impresa è principalmente destinata all’ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un
carattere marginale.
64 Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione
tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative.
65 Quanto all’accertare se occorra tener conto in tale contesto solo del fatturato realizzato con l’ente locale
controllante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante
è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate
dall’ente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni.
66 Infatti, le attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che
quest’ultima realizza nell’ambito di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice,
indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o l’utente delle
prestazioni.
67 Non è rilevante sapere chi remunera le prestazioni dell’impresa in questione, potendo trattarsi sia
dell’ente controllante sia di terzi utenti di prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici
instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale territorio siano erogate tali
prestazioni.
68 Dal momento che, nella causa principale, il capitale dell’impresa aggiudicataria appartiene
indirettamente a vari enti locali, può essere rilevante esaminare se l’attività da prendere in considerazione sia
quella che l’impresa aggiudicataria realizza con tutti gli enti che la detengono o soltanto quella realizzata con
l’ente che, nel caso specifico, agisce in qualità di amministrazione aggiudicatrice.
69 A tale proposito si deve rammentare che, secondo quanto precisato dalla Corte, la persona
giuridicamente distinta di cui trattasi deve realizzare la parte più importante della propria attività «con l’ente o
con gli enti locali che la controllano» (sentenza Teckal, cit., punto 50). La Corte ha quindi contemplato la
possibilità che l’eccezione prevista si applichi non solo all’ipotesi in cui un solo ente pubblico detenga una
siffatta persona giuridica, ma anche a quella in cui la detengano più enti.
70 Nel caso in cui diversi enti locali detengano un’impresa, la condizione relativa alla parte più importante
della propria attività può ricorrere qualora l’impresa in questione svolga la parte più importante della propria
attività non necessariamente con questo o quell’ente locale ma con tali enti complessivamente considerati.
71 Di conseguenza, l’attività da prendere in considerazione nel caso di un’impresa detenuta da vari enti
locali è quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti.
72 Dalle considerazioni che precedono deriva che si deve risolvere la seconda parte della seconda questione
nel senso che, nel valutare se un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente pubblico
che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le
attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice,
indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della stessa amministrazione aggiudicatrice
o dell’utente delle prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui è svolta l’attività.
Sulle spese
73 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1)
La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture, osta all’affidamento diretto di un appalto di forniture e di servizi,
con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione
possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale,
interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza
l’amministrazione aggiudicatrice.
2)
La condizione d’inapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale l’impresa cui è stato
direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più importante dell’attività con
l’ente pubblico che la detiene non va accertata facendo applicazione dell’art. 13 della direttiva del
Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua
e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni.
3)
Nel valutare se un’impresa svolga la parte più importante della sua attività con l’ente pubblico
che la detiene, al fine di decidere in merito all’applicabilità della direttiva 93/36, si deve tener conto di
112
tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dall’amministrazione
aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della stessa
amministrazione aggiudicatrice o dell’utente delle prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in
cui è svolta l’attività.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
18 gennaio 2007 (*)
«Appalti pubblici – Direttiva 93/37/CE – Aggiudicazione senza previo bando di gara – Convenzione per la
realizzazione di un’operazione di sistemazione urbanistica conclusa tra due amministrazioni aggiudicatrici –
Nozioni di “appalti pubblici di lavori” e di “opere” – Modalità di calcolo del valore dell’appalto»
Nel procedimento C-220/05,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
tribunal administratif de Lyon (Francia), con decisione 7 aprile 2005, pervenuta in cancelleria il 19 maggio
2005, nella causa tra
Jean Auroux e a.,
e
Commune de Roanne,
in presenza di:
Société d’équipement du département de la Loire (SEDL),
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász (relatore),
J.N. Cunha Rodrigues e M. Ilešič, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 27 aprile 2006,
considerate le osservazioni presentate:
–
per il sig. Auroux e a., dal sig. J. Antoine, avocat;
–
per il comune di Roanne, dai sigg. P. Petit e C. Xavier, avocats;
–
per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e J.-C. Niollet, in qualità di agenti;
–
per il governo lituano, dal sig. D. Kriaučiūnas, in qualità di agente;
–
per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
–
per il governo polacco, dal sig. T. Nowakowski, in qualità di agente;
–
per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 giugno 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio
14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori
(GU L 199, pag. 54), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997,
97/52/CE (GU L 328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2
Tale domanda è stata presentata nel contesto di un ricorso di annullamento proposto dal sig. Auroux ed
otto altri ricorrenti (in prosieguo: i «ricorrenti nella causa principale») contro la delibera del consiglio
comunale del comune di Roanne 28 ottobre 2002, che ha autorizzato il sindaco a sottoscrivere con la Société
d’équipement du département de la Loire (in prosieguo: la «SEDL») un contratto d’appalto riguardante la
realizzazione di un centro ricreativo a Roanne.
Contesto normativo
Diritto comunitario
3
Ai sensi del secondo ‘considerando’ della direttiva, «(...) la realizzazione simultanea della libertà di
stabilimento e della libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici aggiudicati negli Stati
membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri enti di diritto pubblico richiede,
parallelamente all’eliminazione delle restrizioni, il coordinamento delle procedure nazionali di aggiudicazione
di tali appalti».
4
Dal sesto ‘considerando’ della direttiva risulta che gli appalti di lavori il cui ammontare è inferiore ad
EUR 5 000 000 possono non essere sottoposti alla concorrenza quale è organizzata dalla direttiva e che le
misure di coordinamento non devono essere loro applicate.
5
Secondo il decimo ‘considerando’ della direttiva, «lo sviluppo di una concorrenza effettiva nel settore
degli appalti di lavori pubblici richiede una pubblicità comunitaria dei relativi bandi di gara indetti [dalle]
amministrazioni aggiudicatrici degli Stati membri (…)». Lo stesso ‘considerando’ aggiunge che «le
informazioni contenute in tali bandi devono permettere agli imprenditori della Comunità di valutare se gli
appalti proposti presentino per loro interesse (…)».
6
L’art. 1, lett. a) - d), della direttiva prevede:
«Ai fini della presente direttiva:
a)
gli “appalti pubblici di lavori” sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un
imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o,
113
congiuntamente, l’esecuzione e la progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di
un’opera di cui alla lettera c) oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze
specificate dall’amministrazione aggiudicatrice;
b)
si [considerano] “amministrazioni aggiudicatrici” lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di
diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o di tali organismi di
diritto pubblico.
(…)
c)
s’intende per “opera” il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una
funzione economica o tecnica;
d)
la “concessione di lavori pubblici” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera
a), ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera
o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
7
Le «attività di cui all’allegato II», menzionate all’art. 1, lett. a), della direttiva, sono le attività di edilizia
e di genio civile corrispondenti alla classe 50 della nomenclatura generale delle attività economiche nelle
Comunità europee. Nel novero di tali attività compare espressamente la categoria relativa alla costruzione di
immobili.
8
L’art. 6 della direttiva così dispone:
«1. La presente direttiva si applica:
a)
agli appalti pubblici di lavori il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sia
pari o superiore al controvalore in [EUR] di 5 000 000 di DSP;
b)
agli appalti pubblici di lavori di cui all’articolo 2, paragrafo 1 il cui valore stimato al netto dell’IVA sia
pari o superiore a 5 000 000 di [EURO].
(…)
3.
Quando un’opera è ripartita in più lotti ciascuno dei quali forma l’oggetto di un appalto, per valutare
l’importo di cui al paragrafo 1 deve essere preso in considerazione il valore di ciascun lotto. Se il valore
cumulato dei lotti è pari o superiore all’importo di cui al paragrafo 1, le disposizioni di tale paragrafo si
applicano a tutti i lotti. Tuttavia, le amministrazioni aggiudicatrici possono derogare all’applicazione del
paragrafo 1 per i lotti il cui valore di stima, al netto da IVA, sia inferiore a 1 000 000 di [EURO], purché
l’importo cumulato di questi lotti non superi il 20 % del valore complessivo dei lotti.
4.
Nessuna opera e nessun appalto possono essere scissi al fine di sottrarsi all’applicazione della presente
direttiva.
5.
Per il calcolo dell’importo di cui al paragrafo 1 e all’articolo 7 viene preso in considerazione, oltre al
valore degli importi degli appalti pubblici di lavori, il valore di stima delle forniture necessarie all’esecuzione
dei lavori, messe a disposizione dell’imprenditore dalle amministrazioni aggiudicatrici.
6.
Le amministrazioni aggiudicatrici provvedono affinché non vi siano discriminazioni tra i vari
imprenditori».
Diritto nazionale
9
All’epoca dei fatti controversi, l’art. L. 300-4 del code de l’urbanisme (Codice urbanistico francese),
nella sua versione derivante dall’art. 8 della legge 13 dicembre 2000, n. 2000-1208 (JORF del 14 dicembre
2000, pag. 19777), così disponeva:
«Lo Stato, gli enti locali o i loro organismi pubblici possono affidare la progettazione ed esecuzione delle
operazioni di sistemazione urbanistica previste dal presente libro a tutti i soggetti di diritto, sia pubblici, sia
privati, idonei allo scopo.
Allorquando la convenzione è conclusa con un organismo pubblico, una società ad economia mista locale ai
sensi della legge n. 83-597 del 7 luglio 1983 o una società ad economia mista, il cui capitale è detenuto per
più della metà da uno o più dei seguenti soggetti di diritto pubblico: Stato, regioni, dipartimenti, comuni o da
una loro associazione, essa può assumere la forma di una convenzione pubblica di sistemazione urbanistica. In
tale circostanza, all’organismo contraente possono essere affidate le acquisizioni per via di espropriazione o
prelazione, nonché la realizzazione di tutte le operazioni e tutti gli interventi di sistemazione e urbanizzazione
primaria che concorrono all’operazione globale oggetto della convenzione pubblica di lottizzazione.
Gli organismi precisati al comma precedente possono essere incaricati di far svolgere gli studi preliminari
necessari alla definizione delle caratteristiche dell’operazione nel quadro di un contratto di mandato, che li
autorizzi a stipulare contratti di studio a nome e per conto dell’ente o dell’associazione di enti.
Le disposizioni di cui al capo IV del titolo II della legge 29 gennaio 1993, n. 93-122, relativa alla prevenzione
della corruzione ed alla trasparenza nella vita economica e nelle procedure pubbliche non sono applicabili alle
convenzioni pubbliche di sistemazione urbanistica concluse in applicazione del presente articolo.
La convenzione pubblica di sistemazione urbanistica può prevedere le condizioni alle quali l’organismo
contraente è associato agli studi riguardanti l’operazione e, in particolare, alla revisione o alla modifica del
piano urbanistico locale».
10
Dopo che la Commissione delle Comunità europee ebbe avviato un procedimento di infrazione contro
la Repubblica francese, l’art. L. 300-4 del code de l’urbanisme è stato modificato nel modo seguente dalla
legge 20 luglio 2005, n. 2005-809, relativa alle concessioni urbanistiche (JORF del 21 luglio 2005,
pag. 11833):
114
«Lo Stato e gli enti territoriali, nonché i rispettivi organismi pubblici, hanno facoltà di affidare a tutti i
soggetti di diritto idonei allo scopo la realizzazione delle operazioni di sistemazione urbanistica previste dal
presente libro.
Il concedente è tenuto a sottoporre il rilascio delle concessioni urbanistiche ad una procedura di
pubblicazione, che consenta la presentazione di diverse offerte concorrenti, alle condizioni disposte tramite
decreto emesso previo parere del Conseil d’État.
Il concessionario risponde della direzione tecnica dei lavori e della dotazione delle infrastrutture di base
concorrenti all’operazione prevista dalla concessione, nonché della realizzazione degli studi e di tutti i compiti
necessari alla loro esecuzione. Il concedente può affidare al concessionario l’incarico di acquistare i beni
necessari alla realizzazione dell’operazione, eventualmente anche per via di espropriazione o prelazione. Il
concessionario procede alla vendita, alla locazione o alla concessione in uso dei beni immobiliari rientranti
nel perimetro della concessione».
11
L’art. 11 della detta legge n. 2005-809 dispone inoltre:
«Fatte salve le sentenze passate in giudicato, sono convalidate, nella misura in cui la loro legittimità è
contestata in base al fatto che la designazione dell’ente cui è affidata la sistemazione urbanistica non è stata
preceduta da una procedura di pubblicità che consentisse la presentazione di diverse offerte concorrenti:
1°
le concessioni urbanistiche, le convenzioni pubbliche di sistemazione urbanistica e le convenzioni di
sistemazione urbanistica sottoscritte anteriormente alla pubblicazione della presente legge».
La controversia principale e le questioni pregiudiziali
12
Con delibera del 28 ottobre 2002, il consiglio comunale del comune di Roanne ha autorizzato il sindaco
a sottoscrivere con la SEDL una convenzione per la realizzazione di un centro ricreativo (in prosieguo: la
«convenzione»).
13
La convenzione, conclusa il 25 novembre 2002, prevede la realizzazione del centro ricreativo in fasi
successive. La prima fase comporta la costruzione di un cinema multisala e di locali commerciali destinati ad
essere ceduti a terzi, nonché di opere destinate ad essere riconsegnate all’amministrazione aggiudicatrice, cioè
un parcheggio pubblico, oltre che talune strade di accesso ed aree pubbliche. Le fasi ulteriori, che implicano la
sottoscrizione di un addendum alla convenzione, contemplano essenzialmente la costruzione di ulteriori spazi
commerciali o di servizio e di un albergo.
14
Secondo il preambolo della convenzione, attraverso la detta operazione il comune di Roanne intende
riqualificare un settore urbano poco valorizzato e favorire lo sviluppo delle attività ricreative e del turismo.
15
In virtù dell’art. 2 della convenzione, alla SEDL veniva, in particolare, affidato l’incarico di procedere
ad acquisizioni fondiarie, di organizzare un concorso di architettura e/o di ingegneria, di far effettuare studi, di
realizzare i lavori di costruzione, di redigere e di aggiornare taluni documenti contabili e di gestione, di
reperire fondi, di attuare mezzi efficaci per assicurare la commercializzazione delle opere, oltre che di
assicurare in via generale la gestione ed il coordinamento dell’operazione, nonché l’informazione nei
confronti del comune.
16
Dall’art. 10, secondo comma, della convenzione risulta che ogni attribuzione di lavori da parte della
SEDL a terzi è soggetta al principio di pubblicità e di messa in concorrenza previsti dal code des marchés
publics (codice francese degli appalti pubblici) in forza dell’art. 48.1 della legge 29 gennaio 1993, n. 93-122
(JORF del 30 gennaio 1993).
17
Secondo il bilancio previsionale allegato alla convenzione, si prevede che l’importo totale degli introiti
ammonterà ad EUR 10 227 103 per la realizzazione della prima fase dell’operazione e ad EUR 14 268 341 per
la realizzazione globale dell’operazione. Di quest’ultimo ammontare, un importo di EUR 2 925 000 proverrà
dal comune a corrispettivo della cessione del parcheggio automobilistico. Si stima, inoltre, che la SEDL
otterrà EUR 8 099 000 a corrispettivo della cessione di opere destinate a terzi. Infine, si è convenuto che il
comune di Roanne contribuirà al finanziamento dell’insieme delle opere da realizzare per un importo di
EUR 2 443 103 a titolo della prima fase dei lavori e di EUR 3 034 341 per l’insieme dei lavori.
18
Dagli artt. 22-25 della convenzione risulta che, alla sua scadenza, la SEDL redigerà un bilancio di fine
esercizio che dovrà essere approvato dal comune di Roanne. Ogni eccedenza figurante su tale bilancio dovrà
essere versata al comune. Inoltre, quest’ultimo diverrà automaticamente proprietario dell’insieme dei terreni e
delle opere destinati ad essere ceduti a terzi e non ancora rivenduti. Il comune di Roanne garantirà anche
l’esecuzione dei contratti in corso, esclusi i contratti di lavoro, e subentrerà nei debiti contratti dalla SEDL.
19
Con atto introduttivo depositato dinanzi al tribunal administratif de Lyon l’11 dicembre 2002, i
ricorrenti della causa principale hanno proposto un ricorso di annullamento contro la delibera del consiglio
comunale del 28 ottobre 2002. Con tale ricorso essi contestano la validità della detta delibera sia sotto il
profilo del diritto nazionale sia sotto il profilo del diritto comunitario. Con riferimento a quest’ultimo, essi
hanno affermato che la conclusione della convenzione avrebbe dovuto essere preceduta da una misura di
pubblicità e da una messa in concorrenza in conformità agli obblighi derivanti dalla direttiva.
20
E’ in tale contesto che il tribunal administratif de Lyon ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se una convenzione, con la quale una prima amministrazione aggiudicatrice affidi ad una seconda
amministrazione aggiudicatrice la realizzazione, per fini di interesse generale, di un’operazione di
sistemazione urbanistica, nell’ambito della quale tale seconda amministrazione aggiudicatrice rimetta alla
prima opere destinate a soddisfare sue esigenze, e allo scadere della quale la prima amministrazione
115
aggiudicatrice diventi automaticamente proprietaria dei terreni e delle opere che non siano stati ceduti a terzi,
costituisca un appalto pubblico di lavori ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 1 della direttiva (…);
2)
In caso di soluzione affermativa alla prima questione, se, ai fini della valutazione del summenzionato
limite di 5 000 000 di diritti speciali di prelievo, fissato dall’art. 6 della detta direttiva, occorra tener conto
esclusivamente del prezzo versato a titolo di corrispettivo per la cessione delle opere rimesse
all’amministrazione aggiudicatrice, ovvero della somma di tale prezzo e delle partecipazioni versate, ancorché
queste ultime siano solo parzialmente destinate alla realizzazione delle dette opere, o, infine, dell’importo
complessivo dei lavori, ove i beni non ceduti allo scadere del contratto divengono automaticamente di
proprietà della prima amministrazione aggiudicatrice, che prosegue, in tal caso, l’esecuzione dei contratti in
corso e si accolla i debiti contratti dalla seconda amministrazione aggiudicatrice;
3)
In caso di soluzione affermativa alle prime due questioni: se la prima amministrazione aggiudicatrice sia
dispensata, per concludere una siffatta convenzione, dal ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti
previste dalla direttiva medesima, sulla base del rilievo che tale convenzione può essere aggiudicata
esclusivamente a determinate persone giuridiche e che le medesime procedure verranno applicate dalla
seconda autorità aggiudicatrice ai fini dell’attribuzione dei propri appalti di lavori».
Sulla ricevibilità delle questioni
21
Il comune di Roanne e il governo francese affermano preliminarmente che la domanda di pronuncia
pregiudiziale è irricevibile.
22
Il comune di Roanne sostiene che, promulgando la legge n. 2005-809, il legislatore francese ha
convalidato retroattivamente le convenzioni pubbliche di sistemazione urbanistica che sono state concluse
senza essere state precedute da una procedura di pubblicità e di messa in concorrenza. Considerato che il
giudice del rinvio sarebbe tenuto ad applicare la normativa francese ed a considerare che la convenzione sia
stata convalidata dalla detta legge, la richiesta interpretazione del diritto comunitario non sarebbe più
necessaria per risolvere la controversia principale.
23
Il governo francese afferma che la domanda di pronuncia pregiudiziale qualifica a torto la convenzione
di cui trattasi come convenzione di sistemazione urbanistica ai sensi dell’art. L. 300-4 del codice urbanistico,
nella sua versione in vigore all’epoca dei fatti. A sua avviso si tratta in realtà di una semplice costruzione di
opere. Ne deriverebbe che la questione se una convenzione riguardante la realizzazione di un’operazione di
sistemazione urbanistica costituisca un appalto pubblico di lavori ai sensi della direttiva sarebbe irricevibile
perché priva di un nesso con l’oggetto e la situazione in fatto della controversia.
24
E’ pacifico che sia il comune di Roanne sia il governo francese concludono per l’irricevibilità della
domanda di pronuncia pregiudiziale basandosi su considerazioni relative all’interpretazione del diritto
francese ed alla qualificazione dei fatti all’origine della causa principale alla luce di tale diritto.
25
Orbene, come risulta da costante giurisprudenza, il procedimento istituito dall’art. 234 CE si basa su
una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ove quest’ultima è autorizzata a
pronunciarsi soltanto sull’interpretazione o la validità degli atti comunitari considerati dal detto articolo. In
tale contesto non spetta alla Corte né pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto nazionale
né stabilire se l’interpretazione datane dal giudice del rinvio sia corretta (v., in tal senso, sentenze 22 ottobre
1974, causa 27/74, Demag, Racc. pag. 1037, punto 8; 16 aprile 1991, causa C-347/89, Eurim-Pharm, Racc.
pag. I-1747, punto 16, nonché 12 gennaio 2006, causa C-246/04, Turn-und Sportunion Waldburg,
Racc. pag. I-589, punto 20).
26
Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve
assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari
circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la
propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v. sentenze 4 dicembre 2003, causa
C-448/01, EVN e Wienstrom, Racc. pag. I-14527, punto 74, e 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller,
Racc. pag. I-2529, punto 33). Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto
comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire.
27
Ne deriva che gli argomenti di irricevibilità sollevati dal comune di Roanne e dal governo francese
devono essere respinti e che la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile.
Sulla prima questione
28
Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se la convenzione costituisca un
appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva.
29
In conformità con la definizione che compare nella detta disposizione, gli appalti pubblici di lavori sono
contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra, da un lato, un imprenditore e, dall’altro,
un’amministrazione aggiudicatrice di cui all’art. 1, lett. b), della direttiva, ed aventi per oggetto l’esecuzione
o, congiuntamente, l’esecuzione e la progettazione di lavori o di un’opera come definita dalla direttiva, ovvero
l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione
aggiudicatrice.
30
Nelle loro osservazioni scritte il comune di Roanne nonché il governo francese e quello polacco
affermano che la convenzione non risponde a tale definizione e non costituisce pertanto un appalto pubblico
di lavori ai sensi della direttiva.
31
Secondo il comune di Roanne, la convenzione non costituisce, considerato il suo oggetto, un appalto
pubblico di lavori, in quanto, come convenzione pubblica di sistemazione urbanistica, il suo oggetto
116
eccederebbe quello della realizzazione dei lavori. Infatti, in conformità alla normativa francese, simili
convenzioni riguarderebbero la realizzazione globale di un progetto urbanistico o di talune politiche
urbanistiche in tutti i loro elementi e, in particolare, l’elaborazione del progetto, la gestione amministrativa e
giuridica, l’acquisto dei terreni mediante espropriazione e l’attuazione delle procedure di aggiudicazione dei
contratti.
32
Nello stesso ordine di idee, il governo polacco osserva che, in conformità alla convenzione, la SEDL si
impegna a realizzare un progetto di investimento che implica diversi compiti. Tale governo sottolinea al
riguardo che la SEDL non sarebbe l’imprenditore che realizzerà i lavori previsti dal contratto ma si impegna
esclusivamente a preparare ed a gestire un appalto pubblico di lavori. Ritenendo che l’elemento più
importante del contratto consista nell’appaltare opere e nel vigilare sulla loro realizzazione, il governo polacco
sostiene che la convenzione vada qualificata come «appalto pubblico di servizi» ai sensi dell’art. 1 della
direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1).
33
Il governo francese sostiene che la parte del centro ricreativo relativa alla realizzazione dei lavori che
dovranno essere venduti a terzi non costituisce un appalto pubblico di lavori ai sensi della direttiva. Infatti,
tale governo osserva che, proprio in ragione del fatto che tale parte è destinata a terzi, non si può ritenere che
essa risponda alle esigenze del comune. Esso aggiunge che soltanto la costruzione del parcheggio per conto
del comune di Roanne potrebbe, in linea di massima, costituire un appalto pubblico di lavori. Orbene, neppure
la detta costruzione ricadrebbe nell’ambito di applicazione della direttiva, in quanto il parcheggio sarà ceduto
al comune soltanto dopo la sua costruzione, secondo un procedimento particolare previsto dal diritto francese
detto di «vendita a lavori ultimati», in modo tale che si tratterebbe essenzialmente di un semplice acquisto
immobiliare il cui oggetto non consisterebbe tanto nei lavori, quanto nella vendita di opere da costruire.
34
I governi lituano ed austriaco, nonché la Commissione ritengono che la convenzione costituisca un
appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1 della direttiva. In particolare, la Commissione afferma che,
sebbene la convenzione includa taluni compiti da svolgere che costituiscono prestazione di servizi, l’oggetto
principale di essa è la realizzazione di un’opera che risponda alle esigenze specificate dall’amministrazione
aggiudicatrice ai sensi dell’art. 1, lett. a) e c), della direttiva.
35
Gli argomenti sollevati dal comune di Roanne oltre che dal governo francese e polacco non possono
essere accolti.
36
È certamente vero che, oltre all’esecuzione dei lavori, la convenzione affida alla SEDL compiti
supplementari che hanno, come diversi intervenienti fanno osservare, il carattere di una prestazione di servizi.
Tuttavia, in contrasto con quanto sostenuto dal comune di Roanne, dal solo fatto che la convenzione comporti
elementi che eccedono l’esecuzione dei lavori non risulta che essa esula dall’ambito di applicazione della
direttiva.
37
Infatti, deriva dalla giurisprudenza della Corte che, qualora un contratto contenga sia elementi
riguardanti un appalto pubblico di lavori sia elementi riguardanti un altro tipo di appalto pubblico, è l’oggetto
principale del contratto a determinare quale direttiva comunitaria degli appalti pubblici debba in linea di
principio essere applicata (v. sentenza 19 aprile 1994, causa C-331/92, Gestión Hotelera Internacional,
Racc. pag. I-1329, punto 29).
38
Con riferimento all’applicazione di tale giurisprudenza alla fattispecie, occorre sottolineare che, in
contrasto con quanto fatto valere dal governo polacco nelle sue osservazioni, ai sensi della convenzione,
l’impegno della SEDL non si limita all’amministrazione ed all’organizzazione dei lavori ma si estende anche
alla realizzazione dei lavori ivi previsti. Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, l’art. 1, lett. a), della
direttiva non richiede che il soggetto che conclude un contratto con un’amministrazione aggiudicatrice sia in
grado di realizzare direttamente con mezzi propri la prestazione pattuita, perché il medesimo possa essere
qualificato come imprenditore incaricato di un appalto pubblico di lavori (v., in tal senso, sentenze 14 aprile
1994, causa C-389/92, Ballast Nedam Groep, Racc. pag. I-1289, punto 13, e 2 dicembre 1999, causa
C-176/98, Holst Italia, Racc. pag. I-8607, punto 26). Ne deriva che, per valutare se l’oggetto principale della
convenzione sia l’esecuzione di un’opera, è irrilevante che la SEDL non esegua essa stessa i lavori ma li
faccia eseguire da subappaltatori.
39
Occorre respingere l’argomento del governo francese, secondo cui, in ragione delle considerazioni
esposte al punto 33, non si può ritenere che l’oggetto della convenzione sia la realizzazione di un’opera che
risponda alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
direttiva.
40
Per quanto riguarda la qualificazione giuridica del parcheggio fornita dal governo francese, occorre
constatare che la definizione di appalto pubblico di lavori rientra nell’ambito del diritto comunitario. Dal
momento che l’art. 1, lett. a), della direttiva non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri
per la determinazione del suo senso e della sua portata, la qualificazione giuridica del contratto in diritto
francese non è pertinente al fine di accertare se la convenzione rientri nell’ambito d’applicazione della
direttiva (v., per analogia, sentenza 20 ottobre 2005, causa C-264/03, Commissione/Francia,
Racc. pag. I-8831, punto 36).
41
Risulta dall’art. 1, lett. c), della direttiva che l’esistenza di un’opera deve essere valutata in relazione
alla funzione economica o tecnica del risultato dei lavori effettuati (v. sentenza 27 ottobre 2005, cause riunite
C-187/04 e C-188/04, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punto 26). Come risulta
117
chiaramente da numerose disposizioni della convenzione, la realizzazione del centro ricreativo è destinata ad
accogliere attività commerciali e servizi, sì da far ritenere che la convenzione adempia una funzione
economica.
42
Inoltre, si deve ritenere che la realizzazione del centro ricreativo risponda alle esigenze specificate dal
comune di Roanne nella convenzione. Occorre sottolineare che, al riguardo, l’opera contemplata dalla
convenzione è il centro ricreativo in tutti i suoi elementi, comprendente la costruzione di un cinema multisala,
di locali di servizio connessi alle attività ricreative, di un parcheggio ed eventualmente di un albergo. Risulta
da numerose disposizioni della convenzione che, con la realizzazione del centro ricreativo nel suo insieme, il
comune di Roanne cerca di riqualificare e di rivitalizzare il quartiere della stazione.
43
Per quanto riguarda gli altri elementi rientranti nella definizione di «appalti pubblici di lavori», prevista
all’art. 1, lett. a), della direttiva, va osservato, in primo luogo, che è pacifico che il comune di Roanne,
essendo un ente locale, ha lo status di «amministrazione aggiudicatrice» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della
direttiva e che esiste un contratto redatto in forma scritta.
44
In secondo luogo è pacifico che la SEDL, in quanto operatore economico attivo sul mercato e che si
impegna a realizzare i lavori previsti dalla convenzione, deve essere qualificata come imprenditore ai sensi
della direttiva. Come si è ricordato al punto 38 di questa sentenza, è irrilevante al riguardo che la SEDL faccia
ricorso a subappaltatori per garantire la progettazione e l’esecuzione dei lavori (v., in tal senso, sentenza 12
luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli Architetti e a., Racc. pag. I-5409, punto 90).
45
Infine, è manifesto che la convenzione è stata conclusa a titolo oneroso. L’onerosità di un contratto si
riferisce alla controprestazione erogata all’imprenditore a motivo della realizzazione delle opere previste
dall’amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza Ordine degli Architetti e a., cit., punto 77).
Secondo le disposizioni della convenzione, la SEDL riceve un importo da parte del comune di Roanne come
corrispettivo della cessione del parcheggio. Il comune si impegna anche a partecipare alle spese di tutte le
opere da realizzare. Infine, in forza della convenzione, la SEDL ha diritto a incassare dai terzi il corrispettivo
della cessione delle opere realizzate.
46
Risulta dall’esame della convenzione che il suo oggetto principale, come ha sostenuto la Commissione,
è l’esecuzione di un complesso di lavori intesi alla realizzazione di un’opera ai sensi dell’art. 1, lett. c), della
direttiva, in particolare un centro ricreativo. Gli elementi di servizi previsti dalla convenzione, quali l’acquisto
fondiario, la ricerca dei finanziamenti, l’organizzazione di un concorso di architettura e/o di ingegneria,
nonché la commercializzazione degli immobili fanno parte del compimento della detta opera.
47
Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima questione dichiarando che una convenzione con
cui una prima amministrazione aggiudicatrice affida ad una seconda amministrazione aggiudicatrice la
realizzazione di un’opera costituisce un appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva,
indipendentemente dal fatto che sia previsto o no che la prima amministrazione aggiudicatrice sia o divenga
proprietaria in tutto o in parte di tale opera.
Sulla seconda questione
48
Con la seconda questione, il giudice del rinvio interroga la Corte sulle modalità di determinazione del
valore dell’appalto in questione, allo scopo di giudicare se sia raggiunta la soglia prevista dall’art. 6 della
direttiva.
49
Il giudice del rinvio propone tre possibili basi di calcolo di tale soglia. Con la prima, il valore
dell’appalto dovrebbe essere determinato esclusivamente sul fondamento degli importi versati
dall’amministrazione aggiudicatrice a corrispettivo delle opere che le saranno consegnate. Con la seconda, il
valore dell’appalto sarebbe costituito dalla totalità degli importi versati dall’amministrazione aggiudicatrice,
cioè il corrispettivo delle opere che le saranno consegnate nonché la partecipazione finanziaria versata per il
complesso delle opere da realizzare. Con la terza, la determinazione del valore dell’appalto dovrebbe prendere
in considerazione il valore totale dei lavori, il che include gli importi versati dall’amministrazione
aggiudicatrice nonché quelli ricevuti da terzi a corrispettivo delle opere realizzate per loro conto.
50
Va anzitutto osservato che, secondo il dettato dell’art. 6 della direttiva, le disposizioni di essa si
applicano agli appalti pubblici di lavori il cui valore raggiunge la soglia prevista dal detto articolo. Esso non
stabilisce alcuna regola che limiti gli importi da prendere in considerazione per determinare il valore di un
appalto a quelli che provengono dall’amministrazione aggiudicatrice.
51
Inoltre, dedurre simile regola dal detto art. 6 sarebbe in contrasto con lo spirito e la finalità della
direttiva.
52
Come risulta dal secondo e dal decimo ‘considerando’, la direttiva mira a eliminare le restrizioni alla
libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti pubblici di lavori, al fine di
aprire tale settore ad una concorrenza effettiva (sentenza Ordine degli Architetti e a., cit., punto 52). Come
precisato nel decimo ‘considerando’, lo sviluppo di tale concorrenza richiede una pubblicità a livello
comunitario dei bandi di gara che contenga sufficienti informazioni per permettere agli imprenditori della
Comunità europea di valutare se gli appalti proposti presentino per loro interesse. Al riguardo, la soglia
prevista dall’art. 6 della direttiva serve a garantire che gli appalti pubblici che hanno un valore
sufficientemente elevato da giustificare una partecipazione intracomunitaria siano portati a conoscenza dei
potenziali offerenti.
53
Dato che l’obiettivo delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla
direttiva è proprio di garantire ai potenziali offerenti stabiliti nella Comunità europea l’accesso agli appalti
118
pubblici che presentano per loro interesse, ne consegue che è a partire dal loro punto di vista che deve essere
calcolato se il valore di un appalto raggiunga la soglia fissata all’art. 6 della direttiva.
54
E’ al riguardo manifesto che, se il valore di un appalto è costituito dagli introiti provenienti sia
dall’amministrazione aggiudicatrice sia da terzi, l’interesse del potenziale offerente in tale appalto si ricollega
al valore globale di esso.
55
Per contro, la tesi secondo cui soltanto gli importi versati dall’amministrazione aggiudicatrice
dovrebbero essere presi in considerazione nel calcolo del valore di un appalto ai sensi dell’art. 6 della direttiva
pregiudicherebbe la finalità di quest’ultima. Ne deriverebbe che l’amministrazione aggiudicatrice sarebbe in
grado di attribuire un appalto che abbia un valore globale superiore alla soglia fissata al detto art. 6 e che
potrebbe interessare altri imprenditori attivi sul mercato, senza applicare le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva.
56
Va infine ricordato che, in forza dell’art. 3 della direttiva, le concessioni di lavori pubblici sono soggette
alle regole di pubblicità previste dalla direttiva nel caso in cui sia raggiunta la soglia di cui alla detta
disposizione. Dato che una caratteristica essenziale di tali concessioni è che il corrispettivo dei lavori
provenga in tutto o in parte da terzi, sarebbe in contrasto con l’obiettivo e con il sistema che sono a
fondamento della direttiva escludere, nell’ambito degli appalti pubblici di lavori, gli importi provenienti da
terzi dal calcolo del valore dell’appalto ai fini dell’art. 6 della direttiva.
57
Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che, per determinare il
valore di un appalto ai fini dell’art. 6 della direttiva, occorre prendere in considerazione il valore totale
dell’appalto di lavori dal punto di vista di un potenziale offerente, il che include non soltanto l’insieme degli
importi che l’amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare, ma anche tutti gli introiti che proverranno da terzi.
Sulla terza questione
58
Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se, nel concludere una convenzione
come quella di cui trattasi nella causa principale, l’amministrazione aggiudicatrice sia dispensata dal ricorso
alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva per il fatto che, in
conformità al diritto nazionale, tale convenzione può essere conclusa soltanto con determinate persone
giuridiche, che hanno esse stesse la qualità di amministrazione aggiudicatrice e che saranno tenute, a loro
volta, ad applicare le dette procedure per aggiudicare eventuali appalti susseguenti.
59
Va osservato, preliminarmente, che le sole deroghe consentite all’applicazione della direttiva sono
quelle in essa espressamente menzionate (v., per analogia, sentenze 18 novembre 1999, causa C-107/98,
Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 43, e 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei,
Racc. pag. I-4137, punto 45).
60
Ora, la direttiva non contiene alcuna disposizione analoga all’art. 6 della direttiva 92/50, che esclude dal
suo ambito di applicazione gli appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni
aggiudicatrici (v., per analogia, citate sentenze Teckal, punto 44, nonché Carbotermo e Consorzio Alisei,
punto 46).
61
Va osservato che l’art. 11 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004,
2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), prevede una deroga con riferimento alle amministrazioni
aggiudicatrici che acquistano in particolare lavori facendo ricorso ad una centrale di committenza, come
definita all’art. 1, n. 10, della medesima direttiva. Tuttavia, tale disposizione non è applicabile ratione
temporis ai fatti di cui alla causa principale.
62
Ne deriva che l’amministrazione aggiudicatrice non è esonerata dal fare ricorso alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva per il fatto che intende concludere
l’appalto di cui trattasi con una seconda amministrazione aggiudicatrice (v., per analogia, sentenze Teckal,
cit., punto 51; 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE, Racc. pag. I-11037, punto 40, nonché 11 gennaio
2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 47). Tale constatazione non pregiudica,
peraltro, l’obbligo di tale ultima amministrazione aggiudicatrice di applicare a sua volta le procedure di
pubblicazione del bando di gara previste dalla direttiva (v., per analogia, sentenza Teckal, cit., punto 45).
63
Vero è che, in conformità alla giurisprudenza della Corte, il ricorso alla gara d’appalto non è
obbligatorio per appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto giuridicamente distinto da quest’ultimo,
nell’ipotesi in cui, al contempo, l’ente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e il soggetto di cui trattasi svolga la parte più importante della sua attività con
l’ente o gli enti locali che lo detengono (v. sentenze Teckal, cit., punto 50, e 13 gennaio 2005, causa C-84/03,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I-139, punti 38 e 39).
64
Orbene, il fatto che la SEDL sia una società ad economia mista al capitale della quale partecipano fondi
privati esclude che si possa ritenere che il comune di Roanne eserciti su di essa un controllo analogo a quello
che esso esercita sui propri servizi. Infatti, la Corte ha dichiarato che qualunque investimento di capitale
privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura
differente da quelli perseguiti da un’amministrazione pubblica (v. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit.,
punti 49 e 50). Quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., con riferimento
agli appalti pubblici di servizi si applica anche con riferimento agli appalti pubblici di lavori.
65
Risulta dalle osservazioni del comune di Roanne oltre che da quelle del governo francese e polacco che,
a loro avviso, l’effetto utile della direttiva sarebbe tuttavia salvaguardato in casi in cui, come nella fattispecie,
119
una seconda amministrazione aggiudicatrice è tenuta a fare ricorso alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva per ogni appalto susseguente. Al fine di garantire una
concorrenza effettiva, sarebbe irrilevante che simile procedura sia organizzata da una prima amministrazione
aggiudicatrice o da una seconda.
66
Occorre ricordare, anzitutto, che la direttiva non contiene disposizioni che consentono di escludere la
sua applicazione in caso di appalti pubblici di lavori affidati tra due amministrazioni aggiudicatrici, neanche
supponendo che la seconda amministrazione aggiudicatrice si veda obbligata a subappaltare il valore totale
dell’appalto ad imprenditori successivi e, a questo scopo, a fare ricorso alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici previste dalla direttiva.
67
Inoltre, nella fattispecie, non è previsto dalla convenzione che la SEDL sia tenuta a subappaltare la
totalità dell’appalto iniziale ad imprenditori successivi. Peraltro, come l’Avvocato Generale ha osservato
giustamente al paragrafo 72 delle sue conclusioni, qualora una seconda amministrazione aggiudicatrice faccia
ricorso a subappaltatori, c’è il frequente rischio che l’oggetto di ogni appalto successivo rappresenti soltanto
una quota dell’appalto totale. Ne può derivare che il valore degli appalti susseguenti aggiudicati da una
seconda amministrazione aggiudicatrice sia inferiore a quello previsto all’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva.
Così, attraverso l’attuazione di una serie di appalti successivi, l’applicazione della direttiva potrebbe essere
elusa.
68
Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la terza questione dichiarando che un’amministrazione
aggiudicatrice non è dispensata dal fare ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori previste dalla direttiva per il fatto che, in conformità al diritto nazionale, tale convenzione può essere
conclusa soltanto con determinate persone giuridiche, che abbiano esse stesse lo status di amministrazione
aggiudicatrice e che saranno tenute, a loro volta, ad applicare le dette procedure per aggiudicare eventuali
appalti susseguenti.
Sulle spese
69
Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1)
Una convenzione con cui una prima amministrazione aggiudicatrice affida ad una seconda
amministrazione aggiudicatrice la realizzazione di un’opera costituisce un appalto pubblico di lavori ai
sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE, indipendentemente dal fatto che sia
previsto o no che la prima amministrazione aggiudicatrice sia o divenga proprietaria, in tutto o in
parte, di tale opera.
2)
Per determinare il valore di un appalto ai fini dell’art. 6 della direttiva 93/37, come modificata
dalla direttiva 97/52, occorre prendere in considerazione il valore totale dell’appalto di lavori dal
punto di vista di un potenziale offerente, il che include non soltanto l’insieme degli importi che
l’amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare, ma anche tutti gli introiti che proverranno da terzi.
3)
Un’amministrazione aggiudicatrice non è dispensata dal fare ricorso alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva 93/37, come modificata dalla
direttiva 97/52, per il fatto che, in conformità al diritto nazionale, tale convenzione può essere conclusa
soltanto con determinate persone giuridiche, che abbiano esse stesse lo status di amministrazione
aggiudicatrice e che saranno tenute, a loro volta, ad applicare le dette procedure per aggiudicare
eventuali appalti susseguenti.
Firme
1.6 Organizzazioni internazionali e pubblica amministrazione
Il sistema sempre più complesso in cui si inserisce il sistema amministrativo nazionale,
per l’Italia come per gli altri Stati, che tende ad integrare le Pubbliche amministrazioni e
la loro attività oltre i confini nazionali, non si esaurisce solo con il sistema comunitario.
In modo significativamente crescente, sulla spinta della globalizzazione dei sistemi
economici e degli sambi, anche le organizzazioni internazionali esercitano la loro
influenza, con conseguenti problemi di sovrapposizione e di compatibilità anche rispetto
al sistema comunitario.
D’altra parte le stesse organizzazioni internazionali – e in particolare l’Organizzazione
delle Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo, il Consiglio
d’Europa – si sono dotate di proprie strutture per affrontare e gestire queste
problematiche, fornendo supporto agli stati membri.
120
Proprio in due recenti sentenze della Tribunale di primo grado, viene affrontato il
problema del rapporto tra diritto europeo e diritto posto dall’ONU, problema risolto con
la prevalenza, per gli stati membri dell’ONU, degli obblighi stabiliti nella Carta delle
Nazioni Unite e da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su qualunque altro obbligo,
anche quelli stabiliti dalla Convenzione Europea sui diritti dell’uomo o dai Trattati CE.
Sentenze del Tribunale di primo grado,
21 settembre 2005, Causa T-306/01 e T-315/01.
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)
21 settembre 2005
«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama
bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani – Competenza della Comunità – Congelamento dei capitali – Diritti
fondamentali – Ius cogens – Sindacato giurisdizionale – Ricorso di annullamento»
Nella causa T-306/01,
Ahmed Ali Yusuf, residente in Spånga (Svezia),
Al Barakaat International Foundation, con sede in Spånga,
rappresentati dagli avv.ti L. Silbersky e T. Olsson,
ricorrenti,
contro
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. M. Vitsentzatos, dalle sig.re I. Rådestad ed E. Karlsson
e dal sig. M. Bishop, in qualità di agenti,
e
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Van Solinge, J. Enegren e C. Brown, in
qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuti,
sostenuti da:
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dal sig. J. Collins,
successivamente dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agenti, quest’ultima assistita dalla sig.ra S. Moore,
barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,
interveniente,
avente ad oggetto, inizialmente, una domanda di annullamento, da un lato, del regolamento (CE) del
Consiglio 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il
divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani
dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1), e, dall’altro, del regolamento
(CE) della Commissione 12 novembre 2001, n. 2199, che modifica per la quarta volta il regolamento
n. 467/2001 (GU L 295, pag. 16), successivamente, una domanda di annullamento del regolamento (CE) del
Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate
persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE)
n. 467/2001 (GU L 139, pag. 9),
omissis
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),
composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung, P. Mengozzi, A.W.H. Meij e M. Vilaras, giudici,
cancelliere: sig. H. Jung
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 ottobre 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
1 Ai termini dell’art. 24, n. 1, della Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco (Stati Uniti) il 26
giugno 1945, i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) «conferiscono al Consiglio di
Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e
riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce
in loro nome».
2 Ai sensi dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, «[i] Membri dell’[ONU] convengono di accettare e di
eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni della presente Carta».
3 In forza dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale «sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite
direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri».
4 Secondo l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai
Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro
accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta».
121
5 Ai termini dell’art. 11, n. 1, UE:
«L’Unione stabilisce ed attua una politica estera e di sicurezza comune estesa a tutti i settori della politica
estera e di sicurezza i cui obiettivi sono i seguenti:
– difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite;
– rafforzamento della sicurezza dell’Unione in tutte le sue forme;
– mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della
Carta delle Nazioni Unite (…)».
6 Ai sensi dell’art. 301 CE:
«Quando una posizione comune o un’azione comune adottata in virtù delle disposizioni del Trattato
sull’Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un’azione della Comunità
per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi, il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti
necessarie».
7 L’art. 60, n. 1, CE dispone quanto segue:
«Qualora, nei casi previsti all’articolo 301, sia ritenuta necessaria un’azione della Comunità, il Consiglio, in
conformità della procedura di cui all’articolo 301, può adottare nei confronti dei paesi terzi interessati le
misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti».
8 Ai termini dell’art. 307, primo comma, CE:
«Le disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni
concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro
adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».
9 Infine, l’art. 308 CE dispone come segue:
«Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato
comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal
uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato
il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso».
Fatti
10 Il 15 ottobre 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di Sicurezza»)
ha adottato la risoluzione 1267 (1999), con cui esso ha, tra l’altro, condannato il fatto che continuino a essere
ospitati e addestrati terroristi e che siano preparati atti terroristici in territorio afgano, ha riaffermato la sua
convinzione che la repressione del terrorismo internazionale è essenziale al mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale e deplorato che i talibani continuino a dare rifugio a Usama bin Laden (Osama bin
Laden nella maggior parte delle versioni italiane dei documenti adottati dalle istituzioni comunitarie) e a
consentire a lui e ai suoi associati di dirigere dal territorio da loro occupato una rete di campi di addestramento
di terroristi e di servirsi dell’Afghanistan come base per condurre operazioni terroristiche internazionali. Al
paragrafo 2 di tale risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha imposto ai talibani di consegnare alle autorità
competenti colui che è chiamato Osama bin Laden, senza ulteriore ritardo. Al fine di garantire il rispetto di
tale obbligo, il paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) dispone che tutti gli Stati dovranno in
particolare «[c]ongelare i capitali e le altre risorse finanziarie specificamente derivanti da beni appartenenti ai
talibani o da loro direttamente o indirettamente controllati, ovvero appartenenti a o controllati da ogni impresa
di proprietà dei talibani o controllata dai talibani, quali definiti dal comitato costituito ai sensi del seguente
paragrafo 6, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione, né altri capitali o
risorse finanziarie in tal modo definiti siano messi a disposizione o stanziati a vantaggio dei talibani, o di
qualsiasi impresa loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, da parte di loro
connazionali o di ogni altro soggetto che si trovi sul loro territorio, a meno che il comitato non abbia concesso
una diversa autorizzazione, caso per caso, per motivi umanitari».
11 Al paragrafo 6 della risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza ha deciso di istituire, in conformità
all’art. 28 del suo regolamento interno provvisorio, un comitato del Consiglio di Sicurezza, composto di tutti i
suoi membri (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), incaricato specificamente di vegliare
sull’attuazione, da parte degli Stati, delle misure imposte dal paragrafo 4, di individuare i capitali o altre
risorse finanziarie di cui al citato paragrafo 4 e di esaminare le domande di deroga alle misure imposte dallo
stesso paragrafo 4.
12 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 15 novembre 1999 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 1999/727/PESC, relativa a misure restrittive contro i talibani (GU
L 294, pag. 1). L’art. 2 di tale posizione comune prescrive il congelamento dei capitali e delle altre risorse
finanziarie detenuti dai talibani all’estero, secondo quanto stabilito nella risoluzione 1267 (1999) del
Consiglio di Sicurezza.
13 Il 14 febbraio 2000 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE)
n. 337/2000, relativo al divieto dei voli e al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei
confronti dei talibani dell’Afghanistan (GU L 43, pag. 1).
14 Il 19 dicembre 2000 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1333 (2000), la quale
specificamente esige che i talibani ottemperino alla risoluzione 1267 (1999), in particolare cessando di offrire
rifugio e addestramento ai terroristi internazionali e alle loro organizzazioni e consegnando Osama bin Laden
122
alle autorità competenti affinché sia consegnato alla giustizia. Il Consiglio di Sicurezza ha deciso in
particolare, di inasprire il divieto dei voli ed il congelamento dei capitali imposti dalla risoluzione 1267
(1999). Perciò il paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) dispone che tutti gli Stati debbano, in
particolare, «[c]ongelare senza indugio i capitali e le altre risorse finanziarie di Osama bin Laden e delle
persone ed entità a lui associati, quali definite dal [comitato per le sanzioni], ivi compresa l’organizzazione
Al-Qaeda, e i capitali derivanti dai beni appartenenti a Osama bin Laden e alle persone ed entità a lui associati
o da loro direttamente o indirettamente controllati, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse
finanziarie in questione né altri capitali o risorse finanziarie siano messi a disposizione o utilizzati
direttamente o indirettamente da parte di loro connazionali o di qualsiasi altra persona che si trova sul loro
territorio a beneficio di Osama bin Laden, dei suoi associati o di qualsiasi altra entità loro appartenente o da
essi direttamente o indirettamente controllata, compresa l’organizzazione Al-Qaeda».
15 In questa stessa disposizione, il Consiglio di Sicurezza ha incaricato il comitato per le sanzioni di tenere,
sulla base delle informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, un elenco aggiornato
delle persone e delle entità che il detto comitato ha individuato come associate a Osama bin Laden, ivi
compresa l’organizzazione Al-Qaeda.
16 Al paragrafo 23 della risoluzione 1333 (2000), il Consiglio di Sicurezza ha deciso che le misure imposte
sulla base, in particolare, del paragrafo 8 sarebbero state applicate per dodici mesi e che, alla fine di tale
periodo, avrebbe valutato se fossero da prorogarsi per un nuovo periodo, alle medesime condizioni.
17 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 26 febbraio 2001 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/154/PESC, concernente ulteriori misure restrittive nei
confronti dei talibani e che modifica la posizione comune 96/746/PESC (GU L 57, pag. 1). L’art. 4 di tale
posizione comune dispone quanto segue:
«I capitali e le altre risorse finanziarie appartenenti a Usama bin Laden e a persone e entità associate a
quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni,] sono congelati e sarà vietato mettere a disposizione
di Usama Bin Laden, delle persone o delle entità associate a quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le
sanzioni], capitali o altre risorse finanziarie, alle condizioni di cui alla [risoluzione 1333 (2000)]».
18 Il 6 marzo 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE)
n. 467/2001, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e
estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan,
e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1).
19 Ai termini del terzo ‘considerandò di tale regolamento, le misure della risoluzione 1333 (2000) «rientrano
nell’ambito di applicazione del Trattato e, pertanto, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza,
occorre una normativa comunitaria per attuare le decisioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza, nella misura
in cui esse riguardano il territorio della Comunità».
27 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 27 maggio 2002 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/402/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di
Osama bin Laden, dei membri dell’Organizzazione Al-Qaeda e dei talibani e di altri individui, gruppi,
imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC,
2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU L 139, pag. 4). L’art. 3 di tale posizione comune prescrive, tra l’altro,
la prosecuzione del congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche degli individui,
gruppi, imprese e entità quali figurano nell’elenco predisposto dal comitato per le sanzioni secondo le
risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza.
28 Il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento
(CE) n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità
associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 (GU L
139, pag. 9).
29 Secondo il quarto ‘considerandò di tale regolamento, poiché le misure previste, in particolare, dalla
risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza «ricadono nell’ambito del Trattato, l’applicazione delle
pertinenti decisioni del Consiglio di Sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette
misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».
omissis
36 Il 20 dicembre 2002 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1452 (2002),
allo scopo di agevolare il rispetto degli obblighi in materia di lotta al terrorismo. Il paragrafo 1 di tale
risoluzione prevede un certo numero di deroghe ed eccezioni al congelamento dei fondi e delle risorse
economiche imposto dalle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002), che potranno essere accordate
dagli Stati per motivi umanitari, previa approvazione del comitato per le sanzioni.
37 Il 17 gennaio 2003 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1455 (2003), per il perfezionamento
delle misure imposte al paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della
risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002). A norma del paragrafo 2 della
risoluzione 1455 (2003), tali misure saranno nuovamente perfezionate entro dodici mesi o anche prima, ove
occorra.
38 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare la risoluzione 1452 (2002) del Consiglio
di Sicurezza, il 27 febbraio 2003 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2003/140/PESC, concernente
deroghe alle misure restrittive imposte dalla posizione comune 2002/402 (GU L 53, pag. 62). L’art. 1 di tale
123
posizione comune prevede che, nell’attuare le misure di cui all’art. 3 della posizione comune 2002/402/PESC,
la Comunità europea prevedrà le deroghe consentite dalla risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza.
39 Il 27 marzo 2003 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 561/2003, che modifica, per quanto
riguarda le deroghe al congelamento dei capitali e delle risorse economiche, il regolamento n. 881/2002
(GU L 82, pag. 1). Al quarto ‘considerandò di tale regolamento, il Consiglio fa presente
che, alla luce della risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, occorre modificare le misure imposte
dalla Comunità.
omissis
200 Nella loro replica, i ricorrenti contestano peraltro l’argomento secondo il quale il Consiglio sarebbe
obbligato ad attuare le sanzioni disposte dal Consiglio di Sicurezza perché esse si imporrebbero agli Stati
membri della Comunità in forza della Carta delle Nazioni Unite.
201 Secondo i ricorrenti, non esistono impegni assoluti ai sensi dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite e
l’art. 103 di tale Carta è vincolante solo in diritto internazionale pubblico e non implica in nessun caso che i
membri delle Nazioni Unite debbano disapplicare le proprie leggi.
202 Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sarebbero direttamente applicabili negli Stati membri
dell’ONU, ma dovrebbero essere recepite nel loro diritto interno, in conformità con le loro disposizioni
costituzionali e con i principi fondamentali del diritto. Tali disposizioni, qualora ostino ad un siffatto
recepimento, dovrebbero essere anzitutto modificate per renderlo possibile.
203 In Svezia, infatti, un progetto di legge di attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 28
settembre 2001, 1373 (2001), che prevede tra l’altro il congelamento dei capitali delle persone ed entità che
commettono o tentano di commettere atti terroristici, li facilitano o vi partecipano, sarebbe stato ritirato dal
governo dopo che il Lagrådet (Consiglio legislativo) aveva fatto notare che ogni decisione di congelamento
dei beni dev’essere presa dal pubblico ministero e sottoposta ad un controllo giurisdizionale.
204 Inoltre, si evincerebbe dall’art. 24, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite che spetta sempre al Consiglio di
Sicurezza agire conformemente agli obiettivi e ai principi delle Nazioni Unite. Presupposto per l’impegno dei
membri dell’ONU ai sensi dell’art. 25 della Carta sarebbe che le competenze del Consiglio di Sicurezza ad
adottare decisioni vincolanti discendano da altre disposizioni della medesima Carta. Poiché la Carta delle
Nazioni Unite si rivolgerebbe esclusivamente agli Stati e non creerebbe né diritti né obblighi in capo ai
privati, ci si potrebbe chiedere se gli Stati membri dell’ONU siano vincolati dalle decisioni del Consiglio di
Sicurezza che impongono sanzioni contro Osama bin Laden e le persone a lui associate. Ci si potrebbe anche
chiedere se tali decisioni siano contrarie all’espresso obiettivo delle Nazioni Unite di promuovere i diritti
dell’uomo e le libertà fondamentali per tutti, conformemente all’art. 1, n. 3, della Carta delle Nazioni Unite.
205 In via principale, il Consiglio sostiene che le circostanze in cui è stato adottato il regolamento impugnato
escludono qualsiasi comportamento illecito da parte sua.
206 A tale proposito il Consiglio e la Commissione, che rinviano in particolare all’art. 24, n. 1, agli artt. 25,
41, 48 e 103 della Carta delle Nazioni Unite, sostengono, in primo luogo, che, alla stregua degli Stati membri
dell’ONU, la Comunità ha l’obbligo, in forza del diritto internazionale, di attuare, nei settori di sua
competenza, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, in particolare quelle adottate nell’ambito del capitolo
VII della Carta delle Nazioni Unite; in secondo luogo, che la competenza delle istituzioni comunitarie in
materia è vincolata e che tali istituzioni non dispongono di alcun potere discrezionale autonomo né di alcun
margine di discrezionalità; in terzo luogo, che esse non possono pertanto né modificare il contenuto di tali
risoluzioni né mettere in atto meccanismi che possano dar luogo a una modifica del loro contenuto e, in quarto
luogo, che va respinto ogni altro diverso accordo internazionale o norma di diritto interno che possa ostacolare
tale attuazione.
207 Il Consiglio e la Commissione rilevano infatti che il Consiglio di Sicurezza, agendo in nome dei membri
dell’ONU, esercita la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Essi sottolineano che le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza in base ala capitolo VII di tale Carta si
applicano in maniera universale e sono vincolanti nella loro integralità senza deroghe per i membri delle
Nazioni Unite, che devono riconoscerne la prevalenza su qualsiasi altro impegno internazionale. L’art. 103
della Carta delle Nazioni Unite permetterebbe così di invalidare ogni altra norma del diritto internazionale
pattizio o consuetudinario in vista di applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, creando in tal modo
un «effetto di liceità».
208 Tanto meno, secondo le istituzioni, i diritti nazionali possono ostacolare i provvedimenti di esecuzione
adottati a norma della Carta delle Nazioni Unite. Se un membro dell’ONU avesse la possibilità di modificare
il contenuto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, non sarebbe possibile mantenerne l’uniformità di
applicazione, indispensabile per garantirne l’efficacia.
209 La Commissione aggiunge che, conformemente all’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati, stipulata a Vienna il 23 maggio 1969, uno Stato non può invocare le disposizioni del suo diritto
interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Qualora una norma di diritto interno contrasti con
un obbligo di diritto internazionale, spetterebbe allo Stato interessato interpretare la detta norma nello spirito
del trattato oppure modificare la propria normativa nazionale sì da renderla compatibile con l’obbligo di
diritto internazionale.
210 Sebbene la Comunità non sia essa stessa membro dell’ONU, essa sarebbe obbligata ad agire, nei settori di
sua competenza, in modo da soddisfare gli obblighi che incombono ai suoi Stati membri per il fatto di
124
appartenere alle Nazioni Unite. A tale riguardo la Commissione rileva che le competenze della Comunità
devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (sentenze della Corte 24 novembre 1992, causa
C-286/90, Poulsen e Diva Navigation, Racc. pag. I-6019, punto 9, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke,
Racc. pag. I-3655, punto 45). Il Consiglio e la Commissione richiamano altresì la sentenza Dorsch
Consult/Consiglio e Commissione, punto 82 supra. Nonostante tale sentenza riguardasse l’istituzione di un
embargo commerciale, provvedimento di politica commerciale comune che rientra, ai sensi dell’art. 133 CE,
nella competenza esclusiva della Comunità, il Consiglio e la Commissione ritengono che il principio che essa
sancisce valga anche in relazione alle restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti adottate ai sensi degli
artt. 60 CE e 301 CE, tenuto conto dello sviluppo delle competenze della Comunità in materia di sanzioni nei
confronti dei paesi terzi.
211 Il Consiglio generalizza tale affermazione sostenendo che, allorché la Comunità agisce in esecuzione di
obblighi che incombono ai suoi Stati membri in ragione della loro appartenenza all’ONU, o perché questi
ultimi le hanno trasferito le competenze necessarie o perché ritengono che il suo intervento sia opportuno sul
piano politico, essa va considerata a tutti gli effetti pratici nella stessa posizione dei membri dell’ONU, tenuto
conto dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite.
212 Ne consegue, secondo il Consiglio, che, quando la Comunità adotta dei provvedimenti a fini che
corrispondono al desiderio dei suoi Stati membri di adempiere i propri obblighi derivanti dalla Carta delle
Nazioni Unite, essa beneficia necessariamente della tutela accordata da tale Carta e, in particolare,
dell’«effetto di liceità».
213 Il Consiglio sottolinea, inoltre, che, quando la Comunità agisce in tale ambito, la sua competenza è
vincolata dalle decisioni di politica estera e di sicurezza comune che attuano le risoluzioni del Consiglio di
sicurezza, in particolare quelle adottate sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che devono
essere introdotte nell’ordinamento giuridico comunitario.
214 Nella fattispecie, il regolamento impugnato sarebbe stato emanato al fine di attuare, nell’ordinamento
giuridico comunitario, le risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza,
mediante il recepimento automatico dell’intero elenco di persone o entità che sarebbe stato elaborato dal
comitato per le sanzioni conformemente alle procedure applicabili, senza poter esercitare nessun poter
discrezionale autonomo, come emergerebbe chiaramente sia dal preambolo del regolamento impugnato sia dal
suo art. 7, n. 1.
215 Secondo il Consiglio e la Commissione, circostanze del genere escludono a priori qualsiasi illegittimità
da parte delle istituzioni. La Comunità, una volta che aveva deciso di agire in forza della posizione comune
2002/402, non aveva la possibilità, senza violare i suoi obblighi internazionali, gli impegni internazionali dei
suoi Stati membri e il dovere di cooperazione leale tra gli Stati membri e la Comunità, di cui all’art. 10 CE, di
escludere determinate persone dall’elenco o di informarle preventivamente o, altrimenti, di prevedere mezzi di
ricorso che consentissero di controllare se le misure controverse erano giustificate.
216 Secondo il Consiglio, accadrebbe lo stesso anche se il regolamento impugnato dovesse essere ritenuto
lesivo dei diritti fondamentali dei ricorrenti. Il Consiglio ritiene, infatti, che l’«effetto di liceità» valga anche
nei confronti dei diritti fondamentali che, come prevedono gli strumenti giuridici internazionali, possono
essere temporaneamente sospesi in caso di emergenza.
217 Poiché i ricorrenti hanno contestato, nella loro replica, la conformità delle risoluzioni controverse del
Consiglio di Sicurezza all’art. 1, n. 3, della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio risponde che occorre
supporre che, nell’ambito degli speciali poteri attribuitigli dal capitolo VII di tale Carta, il Consiglio di
Sicurezza ha proceduto alla ponderazione dei diritti fondamentali delle vittime delle sanzioni con quelli delle
vittime del terrorismo, e in particolare il diritto di questi ultimi alla vita.
218 Peraltro, il Consiglio e la Commissione ritengono che lo sviluppo attribuito dai ricorrenti al procedimento
legislativo relativo all’attuazione in Svezia della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di Sicurezza, che si
collocherebbe in un contesto radicalmente diverso da quello dell’attuazione della risoluzione 1390 (2002),
non abbia alcun nesso con la presente causa. All’epoca dell’attuazione della risoluzione 1373 (2001), gli Stati
membri e la Comunità avrebbero infatti disposto di un ampio margine discrezionale di valutazione.
219 Ad ogni modo, il Consiglio e la Commissione ritengono che la competenza del Tribunale, nel presente
caso di specie, dovrebbe essere limitata a verificare se le istituzioni abbiano commesso un errore manifesto
nell’ottemperare agli obblighi enunciati nella risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza. Ogni
esercizio di competenza travalicante tale verifica, equivalente ad un controllo giudiziario indiretto e selettivo
delle misure vincolanti adottate dal Consiglio di Sicurezza nell’ambito del suo ruolo di mantenimento della
pace e della sicurezza internazionale, rischierebbe di minare uno dei fondamenti dell’ordinamento mondiale
istaurato nel 1945, provocherebbe gravi sconvolgimenti nelle relazioni internazionali della Comunità e dei
suoi Stati membri, sarebbe contestabile alla luce dell’art. 10 CE ed entrerebbe in conflitto con l’obbligo della
Comunità di rispettare il diritto internazionale, cui appartengono le risoluzioni adottate dal Consiglio di
Sicurezza in ossequio al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Le istituzioni ed il Regno Unito
ritengono che provvedimenti di tale natura non possano essere contestati a livello nazionale o comunitario, ma
unicamente dinanzi al Consiglio di Sicurezza stesso tramite l’intermediazione del governo dello Stato di
cittadinanza dei ricorrenti o sul cui territorio essi risiedono (ordinanza «Invest» Import und Export e Invest
Commerce/Commissione, punto 85 supra, punto 40).
125
220 In subordine, nel caso in cui il Tribunale decidesse di procedere ad un esame completo del merito dei vari
argomenti dedotti dai ricorrenti, il Consiglio e la Commissione sostengono che il regolamento impugnato non
pregiudica i diritti e le libertà fondamentali di cui si afferma la violazione.
221 In primo luogo, le misure attuate dal regolamento impugnato non lederebbero il diritto dei ricorrenti di
beneficiare della loro proprietà, giacché tale diritto non gode di una tutela assoluta e il relativo esercizio può
essere sottoposto a restrizioni giustificate da obiettivi d’interesse generale.
222 In secondo luogo, il regolamento impugnato non violerebbe neanche i diritti della difesa.
223 In terzo luogo, per quanto riguarda il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, le istituzioni ed il
Regno Unito rilevano che i ricorrenti sono stati messi in condizione di far conoscere il proprio parere al
Consiglio di Sicurezza e hanno potuto investire il Tribunale del presente ricorso ai sensi dell’art. 230 CE,
nell’ambito del quale essi possono far valere, in particolare, l’incompetenza delle istituzioni comunitarie ad
adottare il regolamento impugnato nonché l’illegittimità del pregiudizio arrecato ai loro diritti di proprietà.
224 Secondo il Consiglio, la controversia tra le parti non verte sull’esistenza stessa di un diritto ad un ricorso
giurisdizionale effettivo, ma sulla portata del sindacato giurisdizionale che risulta giustificato o adeguato nella
fattispecie.
225 A questo proposito il Consiglio ammette che, quando la Comunità decide di propria iniziativa di adottare
provvedimenti unilaterali di coercizione economica e finanziaria, il sindacato giurisdizionale deve estendersi
all’esame delle prove a carico delle persone sanzionate. Secondo il Consiglio e il Regno Unito, invece,
quando la Comunità agisce senza esercitare alcun potere discrezionale, sulla base di una decisione presa
dall’organo cui la comunità internazionale ha conferito consistenti poteri in vista di preservare la pace e la
sicurezza internazionali, un sindacato giurisdizionale completo rischierebbe di minare il sistema dell’ONU
istituito nel 1945, potrebbe pregiudicare gravemente le relazioni internazionali della Comunità e degli Stati
membri e contrasterebbe con l’obbligo della Comunità di rispettare il diritto internazionale. Il Consiglio
ritiene che, nella fattispecie, il sindacato giurisdizionale del giudice comunitario non possa travalicare quello
riconosciuto negli Stati membri per quanto riguarda la ricezione, nell’ordinamento giuridico interno, di
decisioni prese da organi della comunità internazionale che agiscono per tutelare la pace e la sicurezza
internazionali. A tale proposito il Consiglio fa notare che, in vari Stati membri, gli atti di esecuzione delle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono qualificati come «atti di governo» e si sottraggono totalmente alla
competenza del giudice. In altri Stati membri, la portata del sindacato giurisdizionale sarebbe molto limitata.
Giudizio del Tribunale
Osservazioni preliminari
226 Il Tribunale può pronunciarsi utilmente sul motivo attinente all’asserita violazione dei diritti fondamentali
dei ricorrenti solamente qualora esso rientri nel suo sindacato giurisdizionale e possa portare, se fondato,
all’annullamento del regolamento impugnato.
227 Orbene, nella fattispecie, le istituzioni e il Regno Unito sostengono, in sostanza, che non ricorra nessuna
di queste due condizioni, perché gli obblighi assunti dalla Comunità e dai suoi Stati membri in forza della
Carta delle Nazioni Unite prevalgono su ogni altro obbligo di diritto internazionale, comunitario o nazionale.
L’esame degli argomenti di tali parti risulta quindi essere la premessa a qualsiasi analisi degli argomenti dei
ricorrenti.
228 A questo proposito il Tribunale ritiene opportuno esaminare, in primo luogo, il legame tra l’ordinamento
giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico nazionale o comunitario, nonché
in quale misura le competenze della Comunità e dei suoi Stati membri siano vincolate dalle risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
229 Tale esame determina, infatti, quello relativo alla portata del sindacato di legittimità, in particolare
rispetto ai diritti fondamentali, che il Tribunale ha il compito di esercitare su atti comunitari che attuano
siffatte risoluzioni e al quale si procederà quindi in secondo luogo.
230 In terzo luogo, infine, nei limiti in cui sarà accertato che essa rientra effettivamente nel suo sindacato
giurisdizionale e possa comportare l’annullamento del regolamento impugnato, il Tribunale si pronuncerà
sull’asserita violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti.
Sul legame tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico
nazionale o comunitario
231 Si deve constatare che, dal punto di vista del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati membri
dell’ONU ai sensi della Carta delle Nazioni Unite prevalgono incontestabilmente su qualsiasi altro obbligo di
diritto interno o di diritto internazionale pattizio, ivi compreso, per quelli tra di essi che sono membri del
Consiglio d’Europa, sugli obblighi derivanti dalla CEDU e, per quelli tra di essi che sono anche membri della
Comunità, sui loro obblighi derivanti dal Trattato CE.
232 Per quanto riguarda, in primo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto interno degli
Stati membri dell’ONU, tale regola della prevalenza discende dai principi del diritto internazionale
consuetudinario. A termini dell’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che codifica tali
principi (e il cui art. 5 dispone che essa si applica «a qualsiasi trattato che rappresenti l’atto costitutivo di
un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una organizzazione
internazionale»), una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata
esecuzione di un trattato.
126
233 Per quanto riguarda, in secondo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale
pattizio, tale regola di prevalenza è espressamente sancita dall’art. 103 della detta Carta, ai termini del quale
«[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli
obblighi da esso assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti
dalla presente Carta». Conformemente all’art. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e
contrariamente alle regole normalmente applicabili in caso di trattati successivi, essa si applica sia ai trattati
anteriori sia ai trattati posteriori alla Carta delle Nazioni Unite. Secondo la Corte internazionale di giustizia,
tutti gli accordi regionali, bilaterali e anche multilaterali, che le parti possono aver concluso, sono sempre
subordinati alle disposizioni dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite [sentenza 26 novembre 1984,
Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua (Nicaragua/Stati Uniti), Racc. 1984, pag. 392, punto
107].
234 Tale prevalenza si estende alle decisioni contenute in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a norma
dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, ai termini del quale i membri dell’ONU convengono di accettare e
di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Secondo la Corte internazionale di giustizia,
conformemente al disposto dell’art. 103 della Carta, gli obblighi delle parti al riguardo prevalgono sui loro
obblighi derivanti da qualsiasi altro accordo internazionale [ordinanza 14 aprile 1992 (misure provvisorie),
Questioni d’interpretazione e applicazione della Convenzione di Montreal del 1971 sorte in seguito
all’incidente aereo di Lockerbie (Jamahiriya araba libica/Stati Uniti d’America), Racc. 1992, pag. 16, punto
42, e ordinanza 14 aprile 1992 (misure provvisorie), Questioni d’interpretazione e applicazione della
Convenzione di Montreal del 1971 sorte in seguito all’incidente aereo di Lockerbie (Jamahiriya araba
libica/Regno Unito), Racc. 1992, pag. 113, punto 39].
235 Per quanto riguarda in particolare i rapporti tra gli obblighi degli Stati membri della Comunità assunti in
forza della Carta delle Nazioni Unite e i loro obblighi assunti in forza del diritto comunitario, occorre
aggiungere che, a termini del primo comma dell’art. 307 CE, «[l]e disposizioni del presente Trattato non
pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per
gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione tra uno o più Stati membri da una parte e uno o
più Stati terzi dall’altra».
236 Secondo una giurisprudenza costante della Corte, tale disposizione è diretta a precisare, conformemente
ai principi del diritto internazionale, che l’applicazione del Trattato CE non pregiudica l’impegno assunto
dallo Stato membro interessato di rispettare i diritti degli Stati terzi risultanti da una convenzione anteriore, e
di osservare i relativi obblighi (sentenza della Corte 28 marzo 1995, causa C-324/93, Evans Medical e
Macfarlan Smith, Racc. pag. I-563, punto 27; v. anche sentenze della Corte 27 febbraio 1962, causa 10/61,
Commissione/Italia, Racc. pag. 1; 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy, Racc. pag. I-4287, e 14 gennaio
1997, causa C-124/95, Centro-Com, Racc. pag. I-81, punto 56).
237 Orbene, cinque dei sei Stati firmatari del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, firmato a
Roma il 25 marzo 1957, erano già membri dell’ONU alla data del 1° gennaio 1958. Quanto alla Repubblica
federale di Germania, sebbene essa sia stata ufficialmente ammessa come membro dell’ONU solo il 18
settembre 1973, il suo impegno a rispettare gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite è anch’esso
anteriore alla data del 1° gennaio 1958, come risulta in particolare dall’atto finale della conferenza tenutasi a
Londra dal 28 settembre al 3 ottobre 1954 (conferenza detta «delle nove potenze») e dagli accordi di Parigi
del 23 ottobre 1954. Peraltro, tutti gli Stati che hanno successivamente aderito alla Comunità erano membri
dell’ONU prima della loro adesione.
238 Per giunta, l’art. 224 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (divenuto art. 297 CE) è
stato specificamente inserito in tale Trattato allo scopo di rispettare la regola di prevalenza sopra definita. Ai
termini di tale disposizione, «[g]li Stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le
disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato comune abbia a risentire delle misure che
uno Stato membro può essere indotto a prendere (…) per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale».
239 Le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite
hanno quindi effetti vincolanti per tutti gli Stati membri della Comunità, che devono dunque, in tale qualità,
prendere tutte le misure necessarie ad assicurare la loro esecuzione (conclusioni dell’avvocato generale Jacobs
relative alla sentenza della Corte 30 luglio 1996, causa C-84/95, Bosphorus, Racc. pag. I-3953, in particolare
pag. I-3956, paragrafo 2, e alla sentenza della Corte 27 febbraio 1997, causa C-177/95, Ebony Maritime e
Loten Navigation, Racc. pag. I-1111, in particolare pag. I-1115, paragrafo 27).
240 Da quanto precede discende altresì che, tanto in esecuzione delle norme di diritto internazionale generale
quanto in esecuzione delle disposizioni specifiche del Trattato, gli Stati membri hanno la facoltà, e anche
l’obbligo, di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto comunitario, seppur di diritto primario o un
principio generale di tale diritto, che ostacoli la buona esecuzione dei loro obblighi derivanti dalla Carta delle
Nazioni Unite.
241 Infatti, nella sentenza Centro-Com, punto 236 supra, la Corte ha specificamente dichiarato che
provvedimenti nazionali che contrastano con l’art. 113 del Trattato CE sono giustificati alla luce dell’art. 234
del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 307 CE) soltanto se sono necessari per consentire allo
Stato membro interessato di adempiere gli obblighi ad esso incombenti in base alla Carta delle Nazioni Unite
e ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.
127
242 Per contro, discende dalla giurisprudenza (v. sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto
82 supra, punto 74) che, a differenza dei suoi Stati membri, la Comunità in quanto tale non è direttamente
vincolata alla Carta delle Nazioni Unite e pertanto non è tenuta, in base ad un obbligo di diritto internazionale
pubblico generale, ad accettare ed applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, conformemente
all’art. 25 della detta Carta. Il motivo di ciò è che la Comunità né è membro dell’ONU, né è destinataria delle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, né subentra nei diritti e negli obblighi dei suoi Stati membri ai sensi del
diritto internazionale pubblico.
243 Ciò posto, la Comunità deve essere considerata vincolata agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni
Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, in base allo stesso Trattato che la istituisce.
244 A questo proposito è pacifico che, al momento di sottoscrivere il Trattato che istituisce la Comunità
economica europea, gli Stati membri erano vincolati ai loro impegni derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
245 Essi non hanno potuto, a causa di un negozio concluso tra loro, trasferire alla Comunità più poteri di
quanti ne avessero né sottrarsi agli obblighi esistenti nei confronti di paesi terzi in base alla detta Carta (v., per
analogia, sentenza della Corte 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72-24/72, International Fruit Company e a.,
Racc. pag. 1219; in prosieguo: la «sentenza International Fruit», punto 11).
246 Al contrario, la loro intenzione di rispettare gli impegni derivanti da tale Carta si desume dalle
disposizioni dello stesso Trattato che istituisce la Comunità economica europea ed è resa manifesta in
particolare dai suoi artt. 224 e 234, primo comma (v., per analogia, sentenza International Fruit, punti 12 e 13,
e conclusioni dell’avvocato generale Mayras relative a tale sentenza, Racc. pag. 1231, in particolare
pag. 1237).
247 Quest’ultima disposizione, benché parli unicamente degli obblighi degli Stati membri, implica l’obbligo
delle istituzioni della Comunità di non ostacolare l’adempimento degli impegni degli Stati membri derivanti
dalla detta Carta (sentenza della Corte 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa, Racc. pag. 2787, punto 9).
248 Occorre altresì sottolineare che, poiché le competenze necessarie all’attuazione degli impegni degli Stati
membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite sono state trasferite alla Comunità, gli Stati membri si sono
obbligati, in diritto internazionale pubblico, a che la Comunità stessa le eserciti a tal fine.
249 Ciò premesso, occorre rammentare, da un lato, che, a termini dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni
Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono eseguite dai membri delle Nazioni Unite «direttamente o
mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri», e, dall’altro, che
secondo la giurisprudenza (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 210 supra, punto 9, e Racke, punto 210
supra, punto 45; v., anche, sentenza della Corte 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn, Racc. pag. 1337,
punto 22), le competenze della Comunità devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale e che,
perciò, il diritto comunitario va interpretato, e la sua sfera d’applicazione circoscritta, alla luce delle norme
pertinenti del diritto internazionale.
250 Gli Stati membri, nell’attribuire tali competenze alla Comunità, hanno dunque segnato la loro volontà di
vincolarla agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (v., per analogia, sentenza International
Fruit, punto 15).
251 Dopo l’entrata in vigore del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, il trasferimento di
competenze, nei rapporti tra gli Stati membri e la Comunità, si è concretato in vari modi nell’ambito
dell’attuazione dei loro impegni derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (v., per analogia, sentenza
International Fruit, punto 16).
252 È cosi, in particolare, che l’art. 228 A del Trattato CE (divenuto art. 301 CE) è stato inserito nel Trattato,
dal Trattato sull’Unione europea, per dare un fondamento specifico alle sanzioni economiche che la
Comunità, unica competente in materia di politica commerciale comune, può essere indotta a prendere nei
confronti di paesi terzi per ragioni politiche definite dai suoi Stati membri nell’ambito della PESC, sovente in
applicazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che impone loro l’adozione di sanzioni del genere.
253 Ne deriva che, in tutti i casi in cui, in forza del Trattato CE, la Comunità ha assunto competenze
precedentemente esercitate dagli Stati membri nell’ambito di applicazione della Carta delle Nazioni Unite, le
disposizioni di questa hanno per effetto di vincolare la Comunità [v., per analogia, per sapere se la Comunità è
vincolata dall’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947, sentenza
International Fruit, punto 18; v. anche, in quanto riconosce che la Comunità esercita una competenza
vincolata quando esegue un provvedimento di embargo commerciale decretato da una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza, sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 82 supra, punto 74].
254 Al termine di questo ragionamento, occorre considerare, da un lato, che la Comunità non può violare gli
obblighi incombenti ai propri Stati membri in forza della Carta delle Nazioni Unite né ostacolare la loro
esecuzione e, dall’altro, che essa è tenuta, a norma del suo stesso Trattato istitutivo, ad adottare, nell’esercizio
delle proprie competenze, tutte le disposizioni necessarie per consentire ai propri Stati membri di conformarsi
a tali obblighi.
255 Orbene, nella fattispecie, il Consiglio ha constatato, nella posizione comune 2002/402, adottata in
esecuzione delle disposizioni del titolo V del Trattato UE, che un’azione della Comunità, nei limiti dei poteri
ad essa attribuiti dal Trattato CE, era necessaria per attuare determinate misure restrittive nei confronti di
Osama bin Laden, dei membri dell’organizzazione Al-Qaeda nonché dei talibani e altre persone, gruppi,
imprese ed entità associate, conformemente alle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del
Consiglio di Sicurezza.
128
256 La Comunità ha attuato tali misure mediante l’adozione del regolamento impugnato. Come già dichiarato
al precedente punto 170, essa era competente ad adottare tale atto sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e
308 CE.
257 Occorre quindi riconoscere la fondatezza degli argomenti dedotti dalle istituzioni, riassunti supra al punto
206, tenendo presente che non è in forza del diritto internazionale generale, come sostengono le parti, bensì in
forza dello stesso Trattato CE che la Comunità era tenuta a dare esecuzione alle risoluzioni controverse del
Consiglio di Sicurezza, nell’ambito delle sue competenze.
258 Per contro, gli argomenti dei ricorrenti fondati, da un lato, sull’autonomia dell’ordinamento giuridico
comunitario rispetto all’ordinamento giuridico creato dalle Nazioni Unite e, dall’altro, sulla necessità di
un’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nel diritto interno degli Stati membri,
conformemente alle disposizioni costituzionali e ai principi generali di tale diritto, devono essere respinti.
259 L’argomento che i ricorrenti deducono dalla mancata conformità delle risoluzioni controverse del
Consiglio di Sicurezza alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite stessa non si può dissociare dai loro
argomenti attinenti, da un lato, al sindacato giurisdizionale che il Tribunale avrebbe il compito di esercitare su
atti comunitari che eseguono tali risoluzioni e, dall’altro, all’asserita violazione dei diritti fondamentali degli
interessati. Esso sarà pertanto esaminato insieme a questi altri argomenti.
Sulla portata del controllo di legittimità il cui esercizio spetta al Tribunale
260 In via preliminare, occorre rammentare che la Comunità europea è una comunità di diritto nel senso che
né gli Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta
costituzionale fondamentale costituita dal Trattato e che quest’ultimo ha istituito un sistema completo di
rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte il controllo della legittimità degli atti delle
istituzioni (sentenze della Corte 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, punto
23; 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost, Racc. pag. 4199, punto 16, e 23 marzo 1993, causa C-314/91,
Weber/Parlamento, Racc. pag. I-1093, punto 8; sentenza del Tribunale 2 ottobre 2001, cause riunite T-222/99,
T-327/99 e T-329/99, Martinez e a./Parlamento, Racc. pag. II-2823, punto 48; v. anche parere della Corte 14
dicembre 1991, 1/91, Racc. pag. I-6079, punto 21).
261 Come la Corte ha ripetutamente dichiarato (sentenza 15 maggio 1986, causa C-222/84, Johnston, punto
18; v., anche, sentenze della Corte 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleifici Borelli/Commissione,
Racc. pag. I-6313, punto 14; 11 gennaio 2001, causa C-1/99, Kofisa Italia, Racc. pag. I-207, punto 46;
Commissione/Austria, punto 192 supra, punto 45, e 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños
Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punto 39), «[i]l sindacato giurisdizionale (…) costituisce
espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri [(… ) e che] è stato del pari sancito dagli artt. 6 e 13 della [CEDU]».
262 Nella fattispecie, tale principio si esprime nel diritto che conferisce ai ricorrenti l’art. 230, quarto comma,
CE di sottoporre al controllo del Tribunale la legittimità del regolamento impugnato, purché li riguardi
direttamente ed individualmente, e di dedurre a sostegno del loro ricorso qualsiasi motivo relativo
all’incompetenza, alla violazione delle forme sostanziali, alla violazione del Trattato CE o di qualsiasi norma
di diritto riguardante la sua applicazione, o a uno sviamento di potere.
263 La questione che si pone nella fattispecie è però quella di sapere se esistano limiti strutturali, imposti dal
diritto internazionale generale o dal Trattato CE stesso, al sindacato giurisdizionale che il Tribunale ha il
compito di esercitare su tale regolamento.
264 Occorre infatti ricordare che il regolamento impugnato, adottato alla luce della posizione comune
2002/402, costituisce l’attuazione, a livello comunitario, dell’obbligo che incombe agli Stati membri, in
quanto membri dell’ONU, di dare esecuzione, eventualmente mediante un atto comunitario, alle sanzioni
contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altri persone, gruppi, imprese ed entità associati, che
sono state decise e poi inasprite da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII
della Carta delle Nazioni Unite. I ‘considerandò di tale regolamento fanno espresso riferimento alle
risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002).
265 Ciò premesso, come sostengono a giusto titolo le istituzioni, queste ultime hanno agito in base ad una
competenza vincolata, sicché esse non disponevano di alcun margine di discrezionalità autonomo. In
particolare, esse non potevano né modificare direttamente il contenuto delle risoluzioni di cui trattasi né
prevedere un meccanismo che potesse dar luogo ad una modifica del genere.
266 Qualsiasi controllo della legittimità interna del regolamento impugnato, in particolare rispetto alle
disposizioni o ai principi generali del diritto comunitario in materia di tutela dei diritti fondamentali,
implicherebbe dunque la verifica da parte del Tribunale, in via incidentale, della legittimità delle dette
risoluzioni. Nell’ipotesi in esame, infatti, la fonte dell’illegittimità fatta valere dai ricorrenti non andrebbe
ricercata nell’adozione del regolamento impugnato, ma nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno
decretato le sanzioni (v., per analogia, sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 82 supra,
punto 74).
267 In particolare, qualora il Tribunale, conformemente alla domanda dei ricorrenti, dovesse annullare il
regolamento impugnato benché tale atto risulti essere imposto dal diritto internazionale, in ragione del fatto
che esso viola i diritti fondamentali dei ricorrenti tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario, tale
annullamento implicherebbe, indirettamente, che le risoluzioni stesse del Consiglio di sicurezza di cui trattasi
violano i detti diritti fondamentali. In altre parole, i ricorrenti chiedono al Tribunale di dichiarare
129
implicitamente che la norma di diritto internazionale controversa pregiudica i diritti fondamentali della
persona, tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario.
268 Le istituzioni e il Regno Unito invitano il Tribunale a declinare per principio qualunque competenza a
procedere a un siffatto controllo indiretto della legittimità di tali risoluzioni che, in quanto norme di diritto
internazionale vincolanti per gli Stati membri della Comunità, s’imporrebbero nei suoi confronti come nei
confronti di tutte le istituzioni della Comunità. Tali parti ritengono, in sostanza, che il controllo del Tribunale
dovrebbe limitarsi, da un lato, alla verifica del rispetto delle regole di forma, di procedura e di competenza che
s’imponevano, nella fattispecie, alle istituzioni comunitarie e, dall’altro, alla verifica dell’adeguatezza e della
proporzionalità dei provvedimenti comunitari controversi rispetto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
che essi attuano.
269 Si deve riconoscere che una siffatta limitazione di competenze s’impone come corollario dei principi
sopra esposti, nell’ambito dell’esame dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle
Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario.
270 Come già esposto, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse sono state adottate in base al
capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. In tale contesto, la determinazione di ciò che costituisce una
minaccia contro la pace e la sicurezza internazionale, nonché dei provvedimenti necessari a mantenerle o a
ristabilirle, rientra nell’esclusiva responsabilità del Consiglio di Sicurezza e sfugge, in quanto tale, alla
competenza delle autorità e dei giudici nazionali comunitari, fatto salvo unicamente il diritto naturale di
legittima difesa, individuale o collettiva, di cui all’art. 51 della detta Carta.
271 Dal momento che, agendo in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di
Sicurezza, tramite il suo comitato per le sanzioni, decide che i capitali di determinate persone o entità devono
essere congelati, la sua decisione s’impone a tutti i membri delle Nazioni Unite, a norma dell’art. 48 della
Carta.
272 Alla luce di quanto esposto ai precedenti punti 243-254, l’affermazione di una competenza del Tribunale
a controllare in via incidentale la legittimità di una decisione del genere in base allo standard di tutela dei
diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario non può quindi giustificarsi né sulla
base del diritto internazionale né sulla base del diritto comunitario.
273 Da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri
in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l’art. 27 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
274 Dall’altro, una tale competenza sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli
artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all’art. 5 UE,
ai sensi del quale il giudice comunitario esercita le proprie attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti dalle
disposizioni dei Trattati CE e UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le
competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto
internazionale (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 210 supra, punto 9, e Racke, punto 210 supra,
punto 45).
275 Occorre aggiungere che, alla luce in particolare dell’art. 307 CE e dell’art. 103 della Carta delle Nazioni
Unite, il fatto che siano menomati i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario, o i
principi di tale ordinamento, non può sminuire la validità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza né la
sua efficacia nel territorio della Comunità (v., per analogia, sentenze della Corte Internationale
Handelsgesellschaft, punto 190 supra, punto 3; 8 ottobre 1986, causa 234/85, Keller, Racc. pag. 2897, punto
7, e 17 ottobre 1989, cause riunite 97/87-99/87, Dow Chemical Ibérica e a./Commissione, Racc. pag. 3165,
punto 38).
276 Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza si sottraggono in via
di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che quest’ultimo non ha il potere di rimettere in causa,
seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è
tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli
obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
277 Il Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza controverse alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico
internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi
dell’ONU, e al quale non è possibile derogare.
278 Bisogna rilevare, al riguardo, che la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che codifica il diritto
internazionale consuetudinario (e il cui art. 5 dispone che essa si applica «a qualsiasi trattato che rappresenti
l’atto costitutivo di un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una
organizzazione internazionale»), prevede, al suo art. 53, la nullità dei trattati in conflitto con una norma
imperativa del diritto internazionale generale (ius cogens), definita «una norma accettata e riconosciuta dalla
comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e
che può essere modificata soltanto da un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso
carattere». Del pari, l’art. 64 della Convenzione di Vienna dispone che, «[i]n caso di sopravvenienza di una
nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con
tale norma è nullo e si estingue».
130
279 La Carta delle Nazioni Unite stessa presuppone del resto l’esistenza di principi imperativi di diritto
internazionale e, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Nel preambolo della
Carta, i popoli delle Nazioni Unite si sono infatti dichiarati risoluti a «riaffermare la [loro] fede nei diritti
fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana». Si evince inoltre dal primo capitolo
della Carta, intitolato «Fini e principi», che le Nazioni Unite hanno tra l’altro lo scopo di incoraggiare il
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
280 Tali principi s’impongono sia ai membri dell’ONU sia ai suoi organi. Infatti, a termini dell’art. 24, n. 2,
della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza deve, nell’adempiere i suoi compiti inerenti alla
responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, agire «in conformità ai
fini ed ai principi delle Nazioni Unite». I poteri sanzionatori che il Consiglio di Sicurezza possiede
nell’esercizio di tale responsabilità devono quindi essere usati nel rispetto del diritto internazionale e, in
particolare, dei fini e dei principi delle Nazioni Unite.
281 Il diritto internazionale consente così di considerare che esiste un limite al principio dell’effetto
vincolante delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: esse devono rispettare le norme imperative
fondamentali dello ius cogens. In caso contrario, per quanto improbabile, esse non vincolerebbero gli Stati
membri dell’ONU né, pertanto, la Comunità.
282 Il sindacato giurisdizionale incidentale esercitato dal Tribunale nell’ambito di un ricorso di annullamento
di un atto comunitario adottato, senza esercizio di alcun margine discrezionale, allo scopo di attuare una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza può dunque estendersi all’eventuale verifica del rispetto delle norme
superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens e, in particolare, delle norme imperative che
riguardano la tutela universale dei diritti dell’uomo, cui né gli Stati membri né le organizzazioni dell’ONU
possono derogare, poiché esse costituiscono «principi inderogabili del diritto internazionale consuetudinario»
(parere consultivo della Corte internazionale di giustizia 8 luglio 1996, Liceità della minaccia o dell’impiego
di armi nucleari, Racc. 1996, pag. 226, punto 79; v, altresì, in tal senso, conclusioni dell’avvocato
generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 239 supra, paragrafo 65).
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)
21 settembre 2005
«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama
bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani – Competenza della Comunità – Congelamento dei capitali – Diritti
fondamentali – Ius cogens – Sindacato giurisdizionale – Ricorso di annullamento»
Nella causa T-315/01,
Yassin Abdullah Kadi, residente a Jedda (Arabia saudita), rappresentato dai sigg. D. Pannick, QC, P. Saini,
barrister, G. Martin e A. Tudor, solicitors, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dai sigg. M. Vitsentzatos e M. Bishop, in qualità di agenti,
e
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Van Solinge e C. Brown, in qualità di
agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuti,
sostenuti da:
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dal sig. J.E. Collins,
successivamente dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agenti, quest’ultima assistita dalla sig.ra S. Moore,
barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,
interveniente,
avente ad oggetto, inizialmente, una domanda di annullamento, da un lato, del regolamento (CE) del
Consiglio 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il
divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani
dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1), e, dall’altro, del regolamento
(CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il regolamento n. 467/2001
(GU L 277, pag. 25), e, successivamente, una domanda di annullamento del regolamento (CE) del Consiglio
27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed
entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001
(GU L 139, pag. 9), nei limiti in cui tali atti riguardano il ricorrente,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),
composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung, P. Mengozzi, A.W.H. Meij e M. Vilaras, giudici,
cancelliere: sig. H. Jung
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 ottobre 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
131
1 Ai termini dell’art. 24, n. 1, della carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco (Stati Uniti) il 26 giugno
1945, i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) «conferiscono al Consiglio di Sicurezza la
responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il
Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome».
2 Ai sensi dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, «[i] Membri dell’[ONU] convengono di accettare e di
eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni della presente Carta».
3 In forza dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale «sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite
direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri».
4 Secondo l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai
Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro
accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta».
5 Ai termini dell’art. 11, n. 1, UE:
«L’Unione stabilisce ed attua una politica estera e di sicurezza comune estesa a tutti i settori della politica
estera e di sicurezza i cui obiettivi sono i seguenti:
– difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite;
– rafforzamento della sicurezza dell’Unione in tutte le sue forme;
– mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della
Carta delle Nazioni Unite (…)».
6 Ai sensi dell’art. 301 CE:
«Quando una posizione comune o un’azione comune adottata in virtù delle disposizioni del Trattato
sull’Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un’azione della Comunità
per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi, il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti
necessarie».
7 L’art. 60, n. 1, CE dispone quanto segue:
«Qualora, nei casi previsti all’articolo 301, sia ritenuta necessaria un’azione della Comunità, il Consiglio, in
conformità della procedura di cui all’articolo 301, può adottare nei confronti dei paesi terzi interessati le
misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti».
8 Ai termini dell’art. 307, primo comma, CE:
«Le disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni
concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro
adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».
9 Infine, l’art. 308 CE dispone come segue:
«Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato
comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Tattato abbia previsto i poteri d’azione a tal
uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato
il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso».
Fatti
10 Il 15 ottobre 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di Sicurezza»)
ha adottato la risoluzione 1267 (1999), con cui esso ha, tra l’altro, condannato il fatto che continuino a essere
ospitati e addestrati terroristi e che siano preparati atti terroristici in territorio afgano, ha riaffermato la sua
convinzione che la repressione del terrorismo internazionale è essenziale al mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale e deplorato che i talibani continuino a dare rifugio a Usama bin Laden (Osama bin
Laden nella maggior parte delle versioni italiane dei documenti adottati dalle istituzioni comunitarie) e a
consentire a lui e ai suoi associati di dirigere dal territorio da loro occupato una rete di campi di addestramento
di terroristi e di servirsi dell’Afghanistan come base per condurre operazioni terroristiche internazionali. Al
paragrafo 2 di tale risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha imposto ai talibani di consegnare alle autorità
competenti colui che è chiamato Osama bin Laden, senza ulteriore ritardo. Al fine di garantire il rispetto di
tale obbligo, il paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) dispone che tutti gli Stati dovranno in
particolare «[c]ongelare i capitali e le altre risorse finanziarie specificamente derivanti da beni appartenenti ai
talibani o da loro direttamente o indirettamente controllati, ovvero appartenenti a o controllati da ogni impresa
di proprietà dei talibani o controllata dai talibani, quali definiti dal comitato costituito ai sensi del seguente
paragrafo 6, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione, né altri capitali o
risorse finanziarie in tal modo definiti siano messi a disposizione o stanziati a vantaggio dei talibani, o di
qualsiasi impresa loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, da parte di loro
connazionali o di ogni altro soggetto che si trovi sul loro territorio, a meno che il comitato non abbia concesso
una diversa autorizzazione, caso per caso, per motivi umanitari».
11 Al paragrafo 6 della risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza ha deciso di istituire, in conformità
all’art. 28 del suo regolamento interno provvisorio, un comitato del Consiglio di Sicurezza, composto di tutti i
suoi membri (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), incaricato specificamente di vegliare
sull’attuazione, da parte degli Stati, delle misure imposte dal paragrafo 4, di individuare i capitali o altre
132
risorse finanziarie di cui al citato paragrafo 4 e di esaminare le domande di deroga alle misure imposte dallo
stesso paragrafo 4.
12 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 15 novembre 1999 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 1999/727/PESC, relativa a misure restrittive contro i talibani (GU
L 294, pag. 1). L’art. 2 di tale posizione comune prescrive il congelamento dei capitali e delle altre risorse
finanziarie detenuti dai talibani all’estero, secondo quanto stabilito nella risoluzione 1267 (1999) del
Consiglio di Sicurezza.
13 Il 14 febbraio 2000 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE)
n. 337/2000, relativo al divieto dei voli e al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei
confronti dei talibani dell’Afghanistan (GU L 43, pag. 1).
14 Il 19 dicembre 2000 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1333 (2000), la quale
specificamente esige che i talibani ottemperino alla risoluzione 1267 (1999), in particolare cessando di offrire
rifugio e addestramento ai terroristi internazionali e alle loro organizzazioni e consegnando Osama bin Laden
alle autorità competenti affinché sia consegnato alla giustizia. Il Consiglio di Sicurezza ha deciso in
particolare di inasprire il divieto dei voli ed il congelamento dei capitali imposti dalla risoluzione 1267 (1999).
Perciò il paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) dispone che tutti gli Stati debbano, in particolare,
«[c]ongelare senza indugio i capitali e le altre risorse finanziarie di Osama bin Laden e delle persone ed entità
a lui associati, quali definite dal [comitato per le sanzioni], ivi compresa l’organizzazione Al-Qaeda, e i
capitali derivanti dai beni appartenenti a Osama bin Laden e alle persone ed entità a lui associati o da loro
direttamente o indirettamente controllati, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in
questione né altri capitali o risorse finanziarie siano messi a disposizione o utilizzati direttamente o
indirettamente da parte di loro connazionali o di qualsiasi altra persona che si trova sul loro territorio a
beneficio di Osama bin Laden, dei suoi associati o di qualsiasi altra entità loro appartenente o da essi
direttamente o indirettamente controllata, compresa l’organizzazione Al-Qaeda».
15 In questa stessa disposizione, il Consiglio di Sicurezza ha incaricato il comitato per le sanzioni di tenere,
sulla base delle informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, un elenco aggiornato
delle persone e delle entità che il detto comitato ha individuato come associate a Osama bin Laden, ivi
compresa l’organizzazione Al-Qaeda.
16 Al paragrafo 23 della risoluzione 1333 (2000), il Consiglio di Sicurezza ha deciso che le misure imposte
sulla base, in particolare, del paragrafo 8 sarebbero state applicate per dodici mesi e che, alla fine di tale
periodo, avrebbe valutato se fossero da prorogarsi per un nuovo periodo, alle medesime condizioni.
17 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 26 febbraio 2001 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/154/PESC, concernente ulteriori misure restrittive nei
confronti dei talibani e che modifica la posizione comune 96/746/PESC (GU L 57, pag. 1). L’art. 4 di tale
posizione comune dispone quanto segue:
«I capitali e le altre risorse finanziarie appartenenti a Usama bin Laden e a persone e entità associate a
quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni], sono congelati e sarà vietato mettere a disposizione
di Usama Bin Laden, delle persone o delle entità associate a quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le
sanzioni], capitali o altre risorse finanziarie, alle condizioni di cui alla [risoluzione 1333 (2000)]».
18 Il 6 marzo 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE)
n. 467/2001, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e
estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan,
e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1).
19 L’art. 1 del regolamento n. 467/2001 definisce cosa occorra intendere per «capitali» e per «congelamento
dei capitali».
20 Ai termini dell’art. 2 del regolamento n. 467/2001:
«1. Sono congelati tutti i capitali e le altre risorse finanziarie, appartenenti a qualsiasi persona fisica o
giuridica, entità o organismo designati dal [comitato per le sanzioni] ed elencati nell’allegato I.
2. È vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione dei talibani, delle persone, delle entità o
degli organismi designati dal comitato per le sanzioni contro i talibani ed elencati nell’allegato I fondi o altre
risorse finanziarie.
3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai fondi e alle risorse finanziarie per i quali il comitato per le sanzioni
contro i talibani ha concesso una deroga. Tali deroghe sono ottenute ricorrendo alle autorità competenti degli
Stati membri elencate nell’allegato II».
21 L’allegato I del regolamento n. 467/2001 contiene l’elenco delle persone, delle entità e degli organismi
interessati dal congelamento dei capitali imposto dall’art. 2. Ai sensi dell’art. 10, n. 1, del regolamento
n. 467/2001, la Commissione è abilitata a modificare o integrare il citato allegato I sulla base delle decisioni
del Consiglio di Sicurezza o del comitato per le sanzioni.
22 L’8 marzo 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un primo elenco consolidato delle entità e delle
persone da sottoporsi al congelamento dei capitali ai sensi delle risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del
Consiglio di Sicurezza (v. comunicato del detto comitato 8 marzo 2001, AFG/131 SC/7028). Questo elenco
da allora è stato modificato ed integrato a più riprese. La Commissione ha allora adottato vari regolamenti in
forza dell’art. 10 del regolamento n. 467/2001, con i quali ha modificato o integrato l’allegato I del
regolamento stesso.
133
23 Il 19 ottobre 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un nuovo addendum al suo elenco dell’8 marzo
2001, che comprende in particolare il nome della persona che segue:
– «Al-Qadi, Yasin (A. K. A. Kadi, Shaykh Yassin Abdullah; A. K. A. Kahdi, Yasin), Jedda, Saudi Arabia».
24 Con il regolamento (CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il
regolamento n. 467/2001 (GU L 277, pag. 25), il nome della persona in questione è stato aggiunto, assieme ad
altri, all’allegato I del detto regolamento.
25 Il 16 gennaio 2002 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1390 (2002), che stabilisce le misure
da applicare contro Osama bin Laden, i membri dell’organizzazione Al-Qaeda e i talibani ed altri individui,
gruppi, imprese ed entità ad essi associati. Tale risoluzione prevede in sostanza, ai paragrafi 1 e 2, il
mantenimento delle misure, segnatamente il congelamento dei capitali, imposte dal paragrafo 4, lett. b), della
risoluzione 1267 (1999) e dal paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000). A norma del paragrafo 3
della risoluzione 1390 (2002), queste misure saranno riesaminate dal Consiglio di Sicurezza dodici mesi dopo
la loro adozione, periodo al termine del quale esso deciderà se mantenerle o perfezionarle.
26 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 27 maggio 2002 il
Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/402/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di
Osama bin Laden, dei membri dell’Organizzazione Al-Qaeda e dei talibani e di altri individui, gruppi,
imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC,
2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU L 139, pag. 4). L’art. 3 di tale posizione comune prescrive, tra l’altro,
la prosecuzione del congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche degli individui,
gruppi, imprese e entità quali figurano nell’elenco predisposto dal comitato per le sanzioni secondo le
risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza.
27 Il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento
(CE) n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità
associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 (GU L
139, pag. 9).
28 Secondo il quarto ‘considerandò di tale regolamento, poiché le misure previste, in particolare, dalla
risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza «ricadono nell’ambito del Trattato, l’applicazione delle
pertinenti decisioni del Consiglio di Sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette
misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».
29 L’art. 1 del regolamento n. 881/2002 definisce i «fondi» e il «congelamento dei fondi» in termini
sostanzialmente identici a quelli dell’art. 1 del regolamento n. 467/2001.
30 Ai termini dell’art. 2 del regolamento n. 881/2002:
«1. Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica,
gruppo o entità designato dal comitato per le sanzioni ed elencato nell’allegato I sono congelati.
2. È vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un
gruppo o di un’entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell’allegato I, o stanziarli a loro
vantaggio.
3. È vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o
giuridica, [di] un gruppo o [di] un’entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell’allegato I o
destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che la persona, il gruppo o l’entità in questione possa
ottenere fondi, beni o servizi».
31 L’allegato I del regolamento n. 881/2002 contiene l’elenco delle persone, delle entità e dei gruppi per i
quali l’art. 2 dispone il congelamento dei capitali. Tale elenco comprende in particolare il nome della persona
che segue: «Al-Qadi, Yasin (alias KADI, Shaykh Yassin Abdullah; alias KAHDI, Yasin), Gedda, Arabia
saudita».
32 Il 20 dicembre 2002 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1452 (2002),
allo scopo di agevolare il rispetto degli obblighi in materia di lotta al terrorismo. Il paragrafo 1 di tale
risoluzione prevede un certo numero di deroghe ed eccezioni al congelamento dei fondi e delle risorse
economiche imposto dalle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002), che potranno essere accordate
dagli Stati per motivi umanitari, previa approvazione del comitato per le sanzioni.
33 Il 17 gennaio 2003 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1455 (2003), per il perfezionamento
delle misure imposte al paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della
risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002). A norma del paragrafo 2 della
risoluzione 1455 (2003), tali misure saranno nuovamente perfezionate entro dodici mesi o anche prima, ove
occorra.
34 Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare la risoluzione 1452 (2002) del Consiglio
di Sicurezza, il 27 febbraio 2003 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2003/140/PESC, concernente
deroghe alle misure restrittive imposte dalla posizione comune 2002/402 (GU L 53, pag. 62). L’art. 1 di tale
posizione comune prevede che, nell’attuare le misure di cui all’art. 3 della posizione comune 2002/402/PESC,
la Comunità europea prevedrà le deroghe consentite dalla risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza.
35 Il 27 marzo 2003 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 561/2003, che modifica, per quanto
riguarda le deroghe al congelamento dei capitali e delle risorse economiche, il regolamento n. 881/2002
(GU L 82, pag. 1). Al quarto ‘considerandò di tale regolamento, il Consiglio fa presente che, alla luce della
risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, occorre modificare le misure imposte dalla Comunità.
134
36 Ai termini dell’art. 1 del regolamento n. 561/2003:
«Nel regolamento (…) n. 881/2002 è inserito il seguente articolo:
“Articolo 2 bis
1. L’articolo 2 non si applica ai capitali o alle risorse economiche quando:
a) una qualsiasi delle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell’allegato II, ha deciso, su richiesta
della persona fisica o giuridica interessata, che i capitali o le risorse economiche in questione sono:
i) necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o ipoteche,
medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici;
ii) destinati esclusivamente al pagamento di onorari ragionevoli e al rimborso delle spese sostenute per le
prestazioni legali;
iii) destinati esclusivamente al pagamento di diritti o di spese bancarie connessi alla normale gestione dei
fondi o delle risorse economiche congelati;
iv) necessari per coprire spese straordinarie; e
b) tale decisione è stata notificata al comitato per le sanzioni; e
c) i) per le decisioni di cui alla lettera a), punti i), ii) o iii), il comitato per le sanzioni non ha sollevato
obiezioni al riguardo entro 48 ore dalla notifica; oppure
ii) per le decisioni di cui alla lettera a), punto iv), esse sono state approvate dal comitato per le sanzioni.
2. Qualsiasi persona che desideri beneficiare delle disposizioni di cui al paragrafo 1 ne fa richiesta all’autorità
competente dello Stato membro elencata nell’allegato II.
L’autorità competente elencata nell’allegato II comunica senza indugio, per iscritto, alla persona che ha
presentato la richiesta e a tutte le altre persone, a tutti gli altri organismi e a tutte le altre entità direttamente
interessati, se la richiesta è stata accolta.
L’autorità competente comunica anche agli altri Stati membri se la richiesta di deroga in questione è stata
accolta.
3. I fondi sbloccati e trasferiti all’interno della Comunità per il pagamento delle spese o autorizzati a norma
del presente articolo non sono soggetti ad ulteriori misure restrittive a norma dell’articolo 2.
omissis
Nel merito
1. Considerazioni preliminari
omissis
221 Alla luce di quanto esposto ai precedenti punti 193-204, l’affermazione di una competenza del Tribunale
a controllare in via incidentale la legittimità di una decisione del genere in base allo standard di tutela dei
diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario non può quindi giustificarsi né sulla
base del diritto internazionale né sulla base del diritto comunitario.
222 Da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri
in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l’art. 27 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
223 Dall’altro, una tale competenza sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli
artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all’art. 5 UE,
ai sensi del quale il giudice comunitario esercita le proprie attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti dalle
disposizioni dei Trattati CE e UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le
competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto
internazionale (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 158 supra, punto 9, e Racke, punto 158 supra,
punto 45).
224 Occorre aggiungere che, alla luce in particolare dell’art. 307 CE e dell’art. 103 della Carta delle Nazioni
Unite, il fatto che siano menomati i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario, o i
principi di tale ordinamento, non può sminuire la validità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza né la
sua efficacia nel territorio della Comunità (v., per analogia, sentenze della Corte 17 dicembre 1970, causa
11/70, Internationale Handelsgesellschaft, Racc. pag. 1125, punto 3; 8 ottobre 1986, causa 234/85, Keller,
Racc. pag. 2897, punto 7, e 17 ottobre 1989, cause riunite 97/87-99/87, Dow Chemical Ibérica
e a./Commissione, Racc. pag. 3165, punto 38).
225 Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza si sottraggono in via
di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che quest’ultimo non ha il potere di rimettere in causa,
seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è
tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli
obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
226 Il Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza controverse alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico
internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi
dell’ONU, e al quale non è possibile derogare.
227 Bisogna rilevare, al riguardo, che la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che codifica il diritto
internazionale consuetudinario (e il cui art. 5 dispone che essa si applica «a qualsiasi trattato che rappresenti
l’atto costitutivo di un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una
organizzazione internazionale»), prevede, al suo art. 53, la nullità dei trattati in conflitto con una norma
135
imperativa del diritto internazionale generale (ius cogens), definita «una norma accettata e riconosciuta dalla
comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e
che può essere modificata soltanto da un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso
carattere». Del pari, l’art. 64 della Convenzione di Vienna dispone che, «[i]n caso di sopravvenienza di una
nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con
tale norma è nullo e si estingue».
228 La Carta delle Nazioni Unite stessa presuppone del resto l’esistenza di principi imperativi di diritto
internazionale e, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Nel preambolo della
Carta, i popoli delle Nazioni Unite si sono infatti dichiarati risoluti a «riaffermare la [loro] fede nei diritti
fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana». Si evince inoltre dal primo capitolo
della Carta, intitolato «Fini e principi», che le Nazioni Unite hanno tra l’altro lo scopo di incoraggiare il
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
229 Tali principi s’impongono sia ai membri dell’ONU sia ai suoi organi. Infatti, a termini dell’art. 24, n. 2,
della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza deve, nell’adempiere i suoi compiti inerenti alla
responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, agire «in conformità ai
fini ed ai principi delle Nazioni Unite». I poteri sanzionatori che il Consiglio di Sicurezza possiede
nell’esercizio di tale responsabilità devono quindi essere usati nel rispetto del diritto internazionale e, in
particolare, dei fini e dei principi delle Nazioni Unite.
230 Il diritto internazionale consente così di considerare che esiste un limite al principio dell’effetto
vincolante delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: esse devono rispettare le norme imperative
fondamentali dello ius cogens. In caso contrario, per quanto improbabile, esse non vincolerebbero gli Stati
membri dell’ONU né, pertanto, la Comunità.
231 Il sindacato giurisdizionale incidentale esercitato dal Tribunale nell’ambito di un ricorso di annullamento
di un atto comunitario adottato, senza esercizio di alcun margine discrezionale, allo scopo di attuare una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza può dunque, in via del tutto eccezionale, estendersi alla verifica del
rispetto delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo jus cogens e, in particolare, delle
norme imperative che riguardano la tutela universale dei diritti dell’uomo, cui né gli Stati membri né le
organizzazioni dell’ONU possono derogare, poiché esse costituiscono «principi inderogabili del diritto
internazionale consuetudinario» (parere consultivo della Corte internazionale di giustizia 8 luglio 1996,
Liceità della minaccia o dell’impiego di armi nucleari, Racc. 1996, pag. 226, punto 79; v. altresì, in tal senso,
conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 189 supra, paragrafo 65).
232 È alla luce di tali considerazioni generali che occorre esaminare i motivi relativi alla violazione dei diritti
fondamentali del ricorrente.
Sulle asserite violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente
233 Il Tribunale decide di esaminare anzi tutto l’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della
proprietà e del principio di proporzionalità, poi l’asserita violazione del diritto di essere ascoltato e, infine,
l’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo.
– Sull’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità
234 Il ricorrente fa valere una violazione del diritto al rispetto della sua proprietà, garantito dall’art. 1 del
primo protocollo addizionale alla CEDU, nonché una violazione del principio di proporzionalità, in quanto
principio generale del diritto comunitario.
235 Tuttavia, poiché le pretese violazioni deriverebbero esclusivamente dal congelamento dei capitali del
ricorrente, deciso dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni e attuato nella Comunità
dal regolamento impugnato senza esercizio di alcun potere discrezionale, in linea di massima è solo in base
allo standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana che rientrano nello ius cogens
che occorre esaminare le censure sollevate dal ricorrente, conformemente ai principi già definiti in
precedenza.
236 Poiché la portata e l’intensità del congelamento dei capitali del ricorrente sono variate nel corso del tempo
(v., in successione, l’art. 2 del regolamento n. 467/2001, l’art. 2 del regolamento n. 881/2002 nella sua
versione originaria e, infine, l’art. 2 bis del regolamento impugnato, come inserito dall’art. 1 del regolamento
n. 561/2003), occorre peraltro precisare che, nell’ambito del presente ricorso di annullamento, il sindacato
giurisdizionale del Tribunale deve riguardare unicamente lo stato della normativa attualmente in vigore.
Infatti, in sede di contenzioso di annullamento, il giudice comunitario tiene normalmente conto degli
avvenimenti che incidono, in corso di causa, sull’oggetto stesso della controversia, quali l’abrogazione, la
proroga, la sostituzione o la modifica dell’atto impugnato (v., oltre alle sentenze Alpha Steel/Commissione,
Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Hüttenwerke/Commissione e CCRE/Commissione, punto 53 supra,
l’ordinanza della Corte 8 marzo 1993, causa C-123/92, Lezzi Pietro/Commissione, Racc. pag. I-809, punti
8-11). Tutte le parti si sono dichiarate d’accordo sul punto all’udienza.
237 Occorre dunque valutare se il congelamento dei capitali previsto dal regolamento impugnato, come
modificato dal regolamento n. 561/2003 e, indirettamente, dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate
da tali regolamenti, violi i diritti fondamentali del ricorrente.
238 Secondo il Tribunale, non è questo il caso della presente fattispecie alla luce dello standard di tutela
universale dei diritti fondamentali della persona umana appartenenti allo ius cogens.
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239 A questo proposito occorre sottolineare anzitutto che il regolamento impugnato, nella versione modificata
dal regolamento n. 561/2003, adottato in seguito alla risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza,
prevede, tra altre deroghe ed esenzioni, che, su richiesta degli interessati, e salvo espressa opposizione del
comitato per le sanzioni, le autorità nazionali competenti dichiarino che il congelamento dei capitali non si
applica ai capitali necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari,
affitti o ipoteche, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici (v. supra, punto
36). Inoltre, i capitali necessari per coprire qualsiasi altra «spesa straordinaria» possono ormai essere
scongelati mediante espressa autorizzazione del comitato per le sanzioni.
240 Le espresse possibilità di esenzioni e di deroghe che accompagnano il congelamento dei capitali delle
persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni dimostrano chiaramente che tale misura non ha né lo
scopo né l’effetto di assoggettare tali persone ad un trattamento disumano o degradante.
241 Inoltre, occorre rilevare che, sebbene l’art. 17, n. 1, della Dichiarazione universale dei diritti umani,
adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, disponga che «[o]gni individuo ha
il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri», l’art. 17, n. 2, della detta Dichiarazione
universale precisa che «[n]essun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà».
242 Quindi, nei limiti in cui il rispetto del diritto alla proprietà privata debba essere considerato facente parte
delle norme imperative del diritto internazionale generale, solo una privazione arbitraria di tale diritto
potrebbe, in ogni caso, essere considerata contraria allo ius cogens.
243 Orbene, si deve constatare che il ricorrente non è stato arbitrariamente privato di tale diritto.
244 Infatti, in primo luogo, il congelamento dei loro capitali è un aspetto delle sanzioni decise dal Consiglio
di Sicurezza contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità
associati.
245 A questo proposito va sottolineata l’importanza della lotta contro il terrorismo internazionale e la
legittimità di una tutela delle Nazioni Unite contro gli intrighi di organizzazioni terroristiche.
246 Nel preambolo della risoluzione 1390 (2002), il Consiglio di Sicurezza ha in particolare condannato
categoricamente gli attacchi terroristici commessi l’11 settembre 2001, dichiarandosi determinato a prevenire
qualsiasi atto di questo tipo; ha preso atto che Osama bin Laden e la rete Al-Qaeda proseguivano le loro
attività di sostegno al terrorismo internazionale; ha condannato la rete Al Qaeda e i gruppi terroristici associati
per gli innumerevoli atti terroristici criminali da essi commessi e allo scopo di uccidere molti civili innocenti e
di distruggere beni e ha nuovamente riaffermato che gli atti di terrorismo internazionale costituivano una
minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
247 È alla luce di tali circostanze che riveste un’importanza significativa l’obiettivo perseguito delle sanzioni,
che è segnatamente quello, ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 28 settembre 2001,
1373 (2001), cui rinvia il terzo ‘considerandò del regolamento impugnato, di lottare con tutti i mezzi,
conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale da
parte di atti di terrorismo. Le misure di cui trattasi perseguirebbero quindi un obiettivo d’interesse generale
fondamentale per la comunità internazionale.
248 In secondo luogo, il congelamento dei capitali è una misura cautelare che, a differenza di una confisca,
non lede la sostanza stessa del diritto di proprietà degli interessati sulle loro disponibilità finanziarie, ma
soltanto il relativo utilizzo.
249 In terzo luogo, le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza prevedono un meccanismo di riesame
periodico del regime generale delle sanzioni (v. precedenti punti 16, 25 e 33 e successivo punto 266).
250 In quarto luogo, come sarà di seguito esposto, la normativa di cui trattasi predispone una procedura che
consente agli interessati di sottoporre in qualsiasi momento il loro caso al comitato per le sanzioni ai fini di un
riesame, attraverso l’intermediazione dello Stato membro di loro nazionalità o di loro residenza.
251 Tenuto conto di tali circostanze, il congelamento dei capitali delle persone ed entità sospettate, in base
alle informazioni comunicate dagli Stati membri delle Nazioni Unite e controllate dal Consiglio di Sicurezza,
di essere legate ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e di avere partecipato al finanziamento,
alla pianificazione, alla preparazione o all’esecuzione di atti terroristici non può passare per una lesione
arbitraria, inadeguata o sproporzionata dei diritti fondamentali degli interessati.
252 Discende da quanto precede che gli argomenti che il ricorrente trae dall’asserita violazione del diritto al
rispetto della sua proprietà e del principio generale di proporzionalità devono essere respinti.
– Sull’asserita violazione del diritto di essere ascoltati
253 Pur riconoscendo che la misura iniziale del congelamento dei suoi capitali non doveva essere previamente
notificata prima di essere attuata, il ricorrente addebita al Consiglio di non avergli dato alcuna possibilità di
essere ascoltato sui fatti, sulle circostanze e sugli elementi di prova a suo carico (v. precedenti punti 141-143).
Il ricorrente peraltro sembra anche addebitare alle stesse decisioni controverse del Consiglio di Sicurezza di
non rispettare i diritti della difesa (v. precedente punto 150).
254 A tale proposito bisogna distinguere tra il preteso diritto del ricorrente di essere ascoltato dal Consiglio in
relazione all’adozione del regolamento impugnato e il suo preteso diritto di essere ascoltato dal comitato per
le sanzioni in relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in
esecuzione delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza.
255 Per quanto riguarda, in primo luogo, il preteso diritto del ricorrente di essere ascoltato dal Consiglio in
relazione all’adozione del regolamento impugnato, bisogna rammentare che, secondo una costante
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giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una
persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto
comunitario che dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui
trattasi. Tale principio impone che i destinatari di una sanzione siano messi in condizione di far conoscere
utilmente il proprio punto di vista (sentenze della Corte 29 giugno 1994, causa C-135/92,
Fiskano/Commissione, Racc. pag. I-2885, punti 39 e 40; 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P,
Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto 21, e 21 settembre 2000, causa C-462/98 P,
Mediocurso/Commissione, Racc. pag. I-7183,punto 36).
256 Il Consiglio e la Commissione tuttavia giustamente rilevano che tale giurisprudenza è stata elaborata in
settori, come il diritto della concorrenza, della lotta antidumping e degli aiuti di Stato, ma anche il diritto
disciplinare o la riduzione dei contributi finanziari, nei quali le istituzioni comunitarie dispongono di poteri
d’indagine e istruttori estesi nonché di un ampio potere discrezionale.
257 Di fatto, secondo la giurisprudenza, il rispetto delle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico
comunitario, fra cui il diritto dell’interessato a far conoscere il proprio punto di vista, è correlato all’esercizio
di un potere discrezionale dell’autorità che ha emanato l’atto controverso (sentenza della Corte 21 novembre
1991, causa C-269/90, Technische Universität München, Racc. pag. I-5469, punto 14).
258 Orbene, nella fattispecie, come si evince dalle osservazioni preliminari sul legame tra l’ordinamento
giuridico internazionale creato dalla Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario precedentemente
formulate, le istituzioni comunitarie erano tenute a recepire nell’ordinamento giuridico comunitario
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e decisioni del comitato per le sanzioni che non le autorizzavano in
nessun modo, in fase di concreta attuazione, a prevedere un qualunque meccanismo comunitario di esame o di
riesame delle sanzioni individuali, giacché sia la sostanza delle misure controverse sia i meccanismi di
riesame (v. precedenti punti 262 e seguenti) erano interamente di competenza del Consiglio di Sicurezza e del
suo comitato per le sanzioni. Di conseguenza, le istituzioni comunitarie non disponevano di alcun potere
d’indagine, di alcuna possibilità di controllo dei fatti considerati dal Consiglio di Sicurezza e dal comitato per
le sanzioni, di alcun margine di discrezionalità in relazione a tali fatti né di alcuna libertà discrezionale quanto
all’opportunità di adottare sanzioni nei confronti del ricorrente. Il principio di diritto comunitario relativo al
diritto al contraddittorio non si può applicare in circostanze del genere in cui un’audizione dell’interessato non
potrebbe in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione.
259 Ne consegue che il Consiglio non era tenuto ad ascoltare il ricorrente circa il fatto che il suo nome
continuava a figurare nell’elenco delle persone ed entità colpite dalle sanzioni, nel contesto dell’adozione e
dell’attuazione del regolamento impugnato.
260 Gli argomenti che il ricorrente trae dalla pretesa violazione del suo diritto di essere ascoltato dal
Consiglio in relazione all’adozione del regolamento impugnato devono pertanto essere respinti.
261 Per quanto concerne, in secondo luogo, il preteso diritto di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in
relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, è giocoforza constatare che un siffatto diritto non è previsto dalle
risoluzioni di cui trattasi.
262 Bisogna nondimeno rilevare che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse, e i successivi
regolamenti che hanno dato loro attuazione all’interno della Comunità, sebbene non prevedano un diritto di
audizione individuale, instaurano un meccanismo di riesame delle situazioni individuali, prevedendo che gli
interessati possano rivolgersi al comitato per le sanzioni, ricorrendo alle loro autorità nazionali, allo scopo di
ottenere la propria cancellazione dall’elenco delle persone colpite dalle sanzioni oppure una deroga al
congelamento dei capitali (v., in particolare, precedenti punti 20, 32 e 34-36).
263 Il comitato per le sanzioni è un organo ausiliario del Consiglio di Sicurezza, composto da rappresentanti
degli Stati che sono membri del Consiglio di Sicurezza. Esso è diventato un importante organo permanente
responsabile della supervisione quotidiana dell’applicazione delle sanzioni e può promuovere
un’interpretazione e un’applicazione coerenti delle risoluzioni da parte della comunità internazionale
(conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 189 supra, paragrafo 46).
264 Per quanto riguarda, in particolare, una richiesta di riesame di un caso individuale, al fine di ottenere la
cancellazione dell’interessato dall’elenco delle persone colpite dalle sanzioni, le «direttive per la condotta dei
lavori del [comitato delle sanzioni]», adottate il 7 novembre 2002 e emendate il 10 aprile 2003 (v. precedente
punto 50), prevedono, al punto 7, quanto segue:
«a) Fermi restando i procedimenti pendenti, un richiedente [persona, gruppo, impresa o entità incluso
nell’elenco riepilogativo del comitato] può presentare al governo del paese di residenza o cittadinanza una
richiesta di riesame del suo caso. A tal fine, il richiedente deve giustificare la sua domanda di cancellazione
dall’elenco, fornire le informazioni pertinenti e chiedere un sostegno a tale richiesta.
b) Il governo cui è presentata la richiesta (il “governo interpellato”) esamina tutte le informazioni pertinenti e
contatta in forma bilaterale il governo o i governi che ha o hanno proposto l’iscrizione nell’elenco (il
“governo o i governi proponenti”) per richiedere ulteriori informazioni e consultarsi sulla richiesta di
cancellazione dall’elenco.
c) Anche il governo o i governi che avevano originariamente chiesto l’iscrizione possono chiedere ulteriori
informazioni al paese di residenza o di cittadinanza del richiedente. Il governo interpellato e il governo o i
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governi proponenti possono, all’occorrenza, consultare il presidente del comitato nel corso di tali
consultazioni bilaterali.
d) Qualora il governo interpellato, dopo aver esaminato le informazioni integrative, desideri accogliere una
richiesta di cancellazione dall’elenco, deve cercare di convincere il governo o i governi proponenti a
presentare al comitato, congiuntamente o separatamente, una richiesta di cancellazione. Il governo interpellato
può presentare al comitato una richiesta di cancellazione non accompagnata da una richiesta del governo o dei
governi proponenti, nell’ambito del procedimento di approvazione tacita.
e) Il comitato adotta le sue decisioni all’unanimità. Qualora il comitato non raggiunga l’unanimità su una
determinata questione, il presidente dà inizio a ulteriori consultazioni se, a suo giudizio, potranno facilitare
l’accordo. Qualora, dopo tali consultazioni, non si raggiunga ancora l’unanimità, la questione può essere
sottoposta al Consiglio di Sicurezza. Data la specificità dell’informazione, il presidente può incoraggiare gli
scambi bilaterali tra gli Stati membri interessati al fine di chiarire la questione prima di adottare una
decisione».
265 Il Tribunale constata che, adottando tali direttive, il Consiglio di Sicurezza ha voluto tener conto, per
quanto possibile, dei diritti fondamentali delle persone incluse nell’elenco del comitato per le sanzioni e in
particolare dei diritti della difesa.
266 L’importanza che il Consiglio di Sicurezza attribuisce al rispetto di tali diritti si evince d’altro canto
chiaramente dalla sua risoluzione 30 gennaio 2004, 1526 (2004), che mira, da un lato, a perfezionare
l’attuazione delle misure imposte al 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della
risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002) e, dall’altro, a rafforzare il mandato
del comitato per le sanzioni. Ai sensi del paragrafo 18 della risoluzione 1526 (2004), il Consiglio di Sicurezza
«incoraggia vivamente tutti gli Stati a comunicare, per quanto possibile, alle persone o entità incluse
nell’elenco del [comitato per le sanzioni] le misure adottate [contro di loro], le direttive del [comitato per le
sanzioni] e la risoluzione 1452 (2002)». Secondo il punto 3 della risoluzione 1526 (2004), tali misure saranno
nuovamente perfezionate entro diciotto mesi, o prima se necessario.
267 Certamente la procedura sopra descritta non conferisce direttamente agli interessati stessi il diritto di farsi
ascoltare dal comitato per le sanzioni, unica autorità competente a pronunciarsi, su richiesta di uno Stato, sul
riesame dei loro casi, che dipendono quindi, essenzialmente, dalla tutela diplomatica che gli Stati accordano ai
propri cittadini.
268 Una siffatta limitazione del diritto di essere direttamente e personalmente ascoltati dall’autorità
competente non può tuttavia essere ritenuta inammissibile alla luce delle norme imperative dell’ordinamento
pubblico internazionale. Al contrario, trattandosi di confutare il merito di decisioni che dispongono il
congelamento dei capitali di individui o entità sospettati di contribuire al finanziamento del terrorismo
internazionale, adottate dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni, ai sensi del capitolo
VII della Carta delle Nazioni Unite, in base ad informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni
regionali, è normale che il diritto degli interessati di essere ascoltati sia strutturato nell’ambito di un
procedimento amministrativo a vari livelli in cui le autorità nazionali di cui all’allegato II del regolamento
impugnato svolgono un ruolo essenziale.
269 Lo stesso diritto comunitario riconosce d’altro canto la legittimità di un’organizzazione procedurale di tal
genere, in relazione a sanzioni economiche che riguardano privati (v., per analogia, ordinanza del presidente
della Seconda Sezione del Tribunale 2 agosto 2000, causa T-189/00 R, «Invest» Import und Export e Invest
Commerce/Commissione, Racc. pag. II-2993).
270 Va aggiunto che, come giustamente rilevato dal Regno Unito all’udienza, gli interessati hanno la
possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale fondato sul diritto interno, e persino direttamente sul
regolamento impugnato e sulle risoluzioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza da esso attuate, contro un
eventuale rifiuto abusivo dell’autorità nazionale competente di sottoporre il loro caso al comitato per le
sanzioni al fine di un riesame (v., per analogia, ordinanza del presidente del Tribunale 15 maggio 2003, causa
T-47/03 R, Sison/Consiglio, Racc. pag. II-2047, punto 39).
271 Nella fattispecie, emerge dal fascicolo che il ricorrente si è rivolto, con lettera dei suoi avvocati in data 1°
marzo 2002, al rappresentante permanente del Regno di Arabia saudita presso le Nazioni Unite per far valere i
suoi diritti dinanzi al comitato per le sanzioni. Secondo quanto ulteriormente spiegato all’udienza, il ricorrente
non avrebbe mai ottenuto risposta a tale lettera.
272 Tuttavia, tali circostanze non presentano alcun nesso con la Comunità e sono pertanto estranee alla
presente controversia, che ha ad oggetto unicamente il controllo della legittimità del regolamento impugnato.
273 Resta, comunque, che la possibilità per il ricorrente di esprimersi utilmente circa la realtà e la pertinenza
dei fatti che hanno condotto al congelamento dei suoi capitali e circa gli elementi di prova ritenuti a suo carico
risulta categoricamente esclusa. Questi fatti ed elementi di prova, essendo classificati come riservati o segreti
dallo Stato che li ha resi noti al comitato per le sanzioni, non gli vengono ovviamente comunicati, come non
vengono peraltro comunicati agli Stati membri dell’ONU destinatari delle risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza controverse.
274 In circostanze quali quelle della fattispecie, ove si controverte di una misura cautelare che limita la
disponibilità dei beni del ricorrente, il Tribunale considera tuttavia che il rispetto dei diritti fondamentali
dell’interessato non esige che i fatti e gli elementi di prova ritenuti a suo carico gli siano comunicati, dal
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momento che il Consiglio di Sicurezza o il suo comitato per le sanzioni ritengono che vi ostino motivi
riguardanti la sicurezza della comunità internazionale.
275 Ne consegue che devono essere respinti gli argomenti che il ricorrente trae dall’asserita violazione del suo
diritto di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua inclusione nell’elenco delle persone
i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
276 Discende da quanto precede che gli argomenti del ricorrente relativi all’asserita violazione del diritto di
essere ascoltato devono essere respinti.
– Sull’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo
277 L’esame degli argomenti del ricorrente in relazione all’asserita violazione del suo diritto ad un controllo
giurisdizionale effettivo deve tener conto delle considerazioni di ordine generale già svolte nell’ambito
preliminare della verifica della portata del controllo di legittimità, in particolare alla luce dei diritti
fondamentali, che il Tribunale ha il compito di esercitare sugli atti comunitari che eseguono risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
278 Nella fattispecie, il ricorrente ha potuto proporre un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale ai sensi
dell’art. 230 CE.
279 Nell’ambito di tale ricorso, il Tribunale esercita un controllo completo sulla legittimità del regolamento
impugnato per quanto attiene al rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, delle norme di competenza
nonché delle norme di legittimità esterna e delle forme sostanziali imposte al loro operato.
280 Il Tribunale controlla parimenti la legittimità del regolamento impugnato alla luce delle risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza che tale regolamento deve attuare, segnatamente sotto il profilo dell’adeguatezza
formale e sostanziale, della coerenza interna e della proporzionalità del primo rispetto alle seconde.
281 Pronunciandosi a titolo di tale controllo, il Tribunale constata che non è messo in dubbio che il ricorrente
sia effettivamente una delle persone fisiche incluse il 19 ottobre 2001 nell’elenco del comitato per le sanzioni
(v. precedente punto 23).
282 Nell’ambito del ricorso di annullamento in esame, il Tribunale si è inoltre riconosciuto competente a
controllare la legittimità del regolamento impugnato e, indirettamente, la legittimità delle risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza di cui trattasi, alla luce delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo
ius cogens, segnatamente delle norme imperative sulla tutela universale dei diritti della persona umana.
283 Per contro, come già fatto presente al precedente punto 225, non spetta al Tribunale controllare
indirettamente la conformità delle stesse controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ai diritti
fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario.
284 Al Tribunale non spetta neanche verificare l’assenza di errori di valutazione dei fatti e degli elementi di
prova che il Consiglio ha considerato a sostegno delle misure adottate né, fatto salvo l’ambito limitato definito
al precedente punto 282, controllare indirettamente l’opportunità e la proporzionalità di tali misure. Un
siffatto controllo non potrebbe essere esercitato senza sconfinare nelle prerogative del Consiglio di Sicurezza
ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in materia di determinazione, in primo luogo, di una
minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e, in secondo luogo, delle misure adeguate per farvi fronte o
rimediarvi. Del resto, sapere se un individuo o un’organizzazione rappresenti una minaccia per la pace e la
sicurezza internazionale, così come sapere quali misure vadano prese nei confronti degli interessati per
bloccare tale minaccia, implica una valutazione politica e giudizi di valore che, in via di principio, attengono
alla competenza dell’autorità cui la comunità internazionale ha affidato la responsabilità principale del
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
285 Si deve quindi constatare che, nei limiti appena esposti al precedente punto 284, il ricorrente non dispone
di alcun rimedio giurisdizionale, poiché il Consiglio di Sicurezza non ha ritenuto opportuno individuare un
giudice internazionale indipendente con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le
decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni.
286 Tuttavia, va necessariamente riconosciuto del pari che una lacuna del genere nella tutela giurisdizionale
del ricorrente non è di per sé contraria allo ius cogens.
287 A questo proposito il Tribunale rileva che il diritto di adire un giudice, il cui principio è riconosciuto sia
dall’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sia dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti
civili e politici, adottato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, non è assoluto. Da
un lato, tale diritto può essere derogato in caso di pericolo pubblico eccezionale che minaccia l’esistenza della
nazione, come previsto, a determinate condizioni, dall’art. 4, n. 1, del detto Patto. Dall’altro, anche al di fuori
di queste circostanze eccezionali, talune restrizioni devono considerarsi inerenti a tale diritto, come le
limitazioni che la comunità delle nazioni generalmente ammette rientrino nella dottrina dell’immunità degli
Stati (v., al riguardo, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze 12 luglio 2001, Principe Hans-Adam II di
Liechtenstein/Germania, Recueil des arrêts et décisions, 2001-VIII, punti 52, 55, 59 e 68, e 21 novembre
2001, McElhinney/Irlanda, Recueil des arrêts et décisions, 2001-XI, in particolare punti 34-37) e delle
organizzazioni internazionali (v., al riguardo, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 18 febbraio 1999,
Waite e Kennedy/Germania, Recueil des arrêts et décisions, 1999-I, punti 63 e 68-73).
288 Nella fattispecie, il Tribunale considera che la limitazione del diritto del ricorrente di adire un giudice,
derivante dall’immunità di giurisdizione di cui godono in via di principio, nell’ordinamento giuridico interno
degli Stati membri delle Nazioni Unite, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo
140
VII della Carta delle Nazioni Unite secondo i principi pertinenti del diritto internazionale (in particolare gli
artt. 25 e 103 della Carta), è inerente a tale diritto, garantito dallo ius cogens.
289 Una siffatta limitazione è giustificata sia in base alla natura delle decisioni che il Consiglio di Sicurezza è
portato ad adottare ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite sia in base allo scopo legittimo
perseguito. Nelle circostanze del caso di specie, l’interesse del ricorrente a ottenere che un giudice esamini nel
merito la sua causa non è sufficiente a prevalere sull’interesse generale fondamentale a che la pace e la
sicurezza internazionale siano mantenute a fronte di una minaccia chiaramente identificata dal Consiglio di
Sicurezza, conformemente alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. A questo proposito bisogna
attribuire un’importanza significativa al fatto che, lungi dal prevedere misure dall’applicazione di durata
illimitata o indeterminata, le risoluzioni via via adottate dal Consiglio di Sicurezza hanno sempre previsto un
meccanismo di riesame dell’opportunità di mantenere tali misure dopo un lasso di tempo di 12 o 18 mesi al
massimo (v. precedenti punti 16, 25, 33 e 266).
290 Infine, il Tribunale rileva che, in mancanza di un giudice internazionale competente a controllare la
legittimità degli atti del Consiglio di Sicurezza, la costituzione di un organo quale il comitato per le sanzioni e
la possibilità, prevista dai testi, di rivolgervisi in qualsiasi momento per riesaminare ogni caso individuale,
attraverso un meccanismo formalizzato che coinvolge sia il «governo interpellato» sia il «governo
proponente» (v. precedenti punti 263 e 264), rappresentano un altro ragionevole rimedio per tutelare
adeguatamente i diritti fondamentali del ricorrente riconosciuti dallo ius cogens.
291 Discende da quanto precede che gli argomenti del ricorrente relativi all’asserita violazione del suo diritto
ad un controllo giurisdizionale effettivo devono essere respinti.
292 Poiché nessuno degli argomenti e dei motivi del ricorrente è stato accolto, il ricorso dev’essere respinto.
Organizzazione delle Nazioni Unite
Division for Public Administration and Development Management (DPADM)
Presso l’ONU è attivo, in particolare presso il Dipartimento degli Affari Economici e
Sociali, la Division for Public Administration and Development Management
(DPADM), che riferisce alla Assemblea Generale e al Consiglio Economico e Sociale.
Questa Divisione lavora in collaborazione con altri dipartimenti e agenzie dell’ONU,
nonché con altre organizzazioni governative e non governative.
A sua volta la DPADM gestisce l’UNPAN (United Nations Online Network in Public
Administration and Finance), che ha lo scopo di condividere le conoscenze, le
esperienze e le best practice in tutto il mondo, in materia di politiche pubbliche e
pubblica amministrazione, favorendo la cooperazione tra gli stati membri.
Presso la DPADM è attivo un Comitato di Esperti sulla Pubblica Amministrazione
(CEPA), costituito da esperti provenienti da vari paesi, con compiti di supporto e di
analisi, di cui di seguito si propone una iniziativa di particlae rilievo, approvata dal
Consiglio Economico e Sociale dell’ONU nel luglio 2006.
United Nations- Committee of Experts on Public Administration
Nell’Aprile 2006 il Comitato di Esperti sulla Pubblica Amministrazione, attivo presso
l’UNPAN (United Nation Public Administration Network), ha deciso l’attivazione di un
gruppo di lavoro sulla terminologia base delle Nazioni Unite per la Governance e la
Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo di costituire un glossario.
Fino ad oggi non esiste un documento analogo in Italie a i gruppo di lavoro è all’opera
per la definizione di un vocabolario comune la cui stesura è attesa per la fine dell’anno
2007.
L’esigenza è nata dal fato che ogni Stato membro interpreta gli atti ONU secondo i
principi generali e una sorta di “cultra amministrativa” condivisa, che tuttavia può
portare a differenti attribuzioni di significato al medesimo termine.
Il glossario avrebbe quindi lo scopo di assicurare una azione coerente e favorire una
maggiore uniformità nell’applicazione degli atti ONU da parte degli Stati membri.
Compendium of basic United Nations Terminology in Governance and Public Administration
Preliminary Report by the Working Group
141
December 2006
1. On the occasion of the fifth session of CEPA, April 2006, the Committee decided to establish a Working
Group (WG) on “Basic UN Terminology in Governance and Public Administration”.
The name of the WG is provisional, since the CEPA Chairperson will consult the UN Secretariat in order to
decide whether it should include the terminology used in all the UN documents related to governance and public
administration or only in the DESA documents, which will determine the final name of the Report.
The WG is composed, on a voluntary base, by the following CEPA members: Professor Mario P. Chiti;
Professor Peter Anyang’ Nyong’o; Dr. Taher H. Kanaan; Dr. Pan Suk Kim; Professor Anthony Makrydemetres;
Professor Joao Paulo Peixoto; Dr. Siripurapu Kesava Rao; Professor Prijono Tjiptoherijanto; Professor Werner Jann;
Professor Claudia S. Passador; Professor Joao L. Passador. Professor Mario P. Chiti is acting as WG coordinator.
The WG mission is to prepare a Compendium (or, preferably, Glossary; the name still needs further
discussion) of the basic terminology used in the UN (or DESA, see above) to be presented and approved at the next
CEPA session (April 2007), and subsequently submitted to ECOSOC for the final adoption.
At this stage three phases have been planned): a) the elaboration of a methodological preliminary report
(PR) for the sixth CEPA session; b) on that occasion, a general discussion of the PR and, in case of a positive
decision on it, a chronoplanning for further actions; c) conclusion of the Compendium/Glossary within the mandate
of this Committee.
2. About the character and scope of the Glossary, the WG is proposing the following position.
The Glossary represents a formal UN document, of non binding legal nature, aimed at providing public
administrations of the Member States and all interested parties with an official interpretation of the basic terms and
notions used in the UN documents on governance and public administration.
There is a dual reason for preparing such a Report: the first related to the UN way of functioning; the
second connected to the execution of the UN documents by the Member States.
As regards the UN way of functioning, at this time no other similar document exists; and the UN acts do not
include in their preamble a glossary of the words there used, unlike the normative acts of the European Union or of
some national legal orders. Also, in the UN documents many terms are used with different meanings or acceptions,
which determines a high degree of legal uncertainty.
In the absence of a UN official terminology, each Member State may interpret UN acts according to the
general principles and to the “administrative culture” of its own order, which leads to different interpretations of the
same international acts.)
An official Glossary, adopted by UN, may then have two positive effects: a) ensuring a consistent action of
the UN offices; b) favouring a major uniformity of enforcement of the UN acts by the Member States.
The working hypothesis approved by CEPA at the 2006 session is, therefore, particularly ambitious.
3. A deeper analysis of the possible form such a Glossary may be given shows that this document on issues
of governance and public administration should represent not only a mere consolidation of the terms of most
commonly use in the UN documents (relevant outcome, in any case), but it should also aim at disseminating a
common administrative culture on administration and public policies.
The Glossary could powerfully contribute to the globalization of notions and experiences whose different
interpretations from State to State have been sometimes source of institutional tensions.
As any other contribution towards globalization, even this initiative can be criticized as a factor of
homogenization which would lead to lose the specificities of different national cultures and of their rich historical
traditions). Also because this is inevitably connected to the culture of the main working language (English) used for
this kind of researches.
In any case, the positive effects of the Glossary remain widely prevailing. The uniform application of
international documents is a relevant factor for improving the quality of administrative performances, mostly in the
“young” States. Additionally, a common approach would favour exchanges of best practices, mutual knowledge of
principles and notions on public administration, cross-fertilization amongst national legal orders, effective relations
of the States with UN and other international organizations.
In one word, the Glossary may represent an important instrument to achieve a common approach on public
administration issues, as supported in recent UN documents (Millennium Declaration, etc.).
Also in the perspective of a participatory governance – put by CEPA/ECOSOC at the core of its initiatives
– the Glossary may be a major tool for developing a shared and mindful governance.
4. A confirmation of the usefulness of such an initiative comes also from the recent experience of regional
organizations, as the EU, which have a supranational character because of the strong integration with the member
States and common institutions.
In the European framework, the recent Treaty establishing a Constitution for Europe (2000) has provided
that “effective implementation of Union law by the member States, which is essential for the proper functioning of
the Union, shall be regarded as a matter of common interest” (art. III-285). That is one of areas where the Union may
take coordinating, complementary or supporting action towards the member States.
The public administration issues as “a matter of common interest” imply the sharing of notion, procedural
and organizational rules, as well as goals to achieve.
142
A European Glossary could be very useful even in the context of the EU new approach towards the matters
of common interest, based on the Open Method of Coordination (OMC), approved by the European Council at the
2000 Lisbon Summit. OMC means a new form of coordination of national policies consisting of Member States, at
their own initiative or at the initiative of the Commission, defining collectively, with respect for national an regional
diversities, objectives and indicators in a specific area, and allowing those Member States, on their basis of national
reports, to improve their knowledge, to develop exchanges of information, views, expertise and practices, and to
promote, further to agreed objectives, innovative approaches which could possibly lead to guidelines or
recommendations. Therefore, a public administration glossary could help the implementation of these ideas.
5. After the 2005 Cepa session, the Coordinator of the WG has received contributions and suggestions by
members of the Committee.
The list of the suggested terms is enclosed to the PR as Annex 1. The list derives from the skills of the WG
members, and it reflects their particular experience in the social sciences. In the month prior to the next CEPA
meeting, the members of the WG will be asked to indicate new terms, in order to be able to present at the CEPA
April session a list as comprehensive as possible, as an appropriate base for the subsequent stages.
In order to get the widest list and, mostly, a list in line with the UN official acts, the Coordinator is
proposing that the UN (DESA) Offices should be addressed for a fruitful collaboration; in particular, they should be
asked to prepare – also with an electronic support – a list of the terms most used in the UN official acts.
According to this plan, within 2007 CEPA could have an ample list of terms on governance and public
administration, composed with the contribution of the WG members (and of CEPA itself, at the occasion of its annual
meeting) and of the UN/DESA officers.
Such list of terms will be the object of the WG proceedings in the following year, to be discussed at the
2008 CEPA session.
6. For each item a file card will be provided, composed at least by the definition and the appropriate links
(containing at least one definition and the appropriate links).
A crucial issue for the CEPA decision is the nature of the file card, for which there are three main
hypothesis.
The first model (“A”) is a shortened definition, with links to other terms and a concise body of acts and
materials. “A” – as the “Wikipedia Model” – has the value of simplicity: easy to consult; it does not require a
particular professional experience for its understanding and implementation. The concise definition of the terms
considered matches with the normative criterion used by important jurisdictions and the EU.
The second model (“B”) provides a wider file card, which obviously includes the parts of model “A”,
enriched with all the appropriate references for in deep analyses, as for culture (encyclopaedias of social science,
leading textbooks and monographs, web sites, etc.), normative acts of the international organizations, some national
legislation, jurisprudence (if any). The value of “B” is to give a chance for the institution and the people interested in
improving their knowledge. Furthermore, the “additional part” of the file card is not a necessary element of the
document; so that it can be left aside if one is not interested in it, either on that specific occasion or as a rule. A limit
of “B” is that, due to the articulated presentation of the file card, it may favour a “personalized” interpretation,
jeopardising the uniformity of implementation of the terms considered (primary target of the Glossary).
According to the third possible solution (“C”), the official Glossary approved by CEPA/ECOSOC is
composed only by concise files as in “A”, but, for all the parties interested and the for the general public, DESA put
on its web site all the possible cases and materials. This way, only the most conscious national public administrations
will make use of this “cultural” part, lacking official nature. Model “C” is supported by the Coordinator.
7. The issue about the Glossary model depends also on the agreement on the terms to be defined.
The experts of social sciences may easily turn out with a large list of notions, as it is demonstrated by the
WG first proceedings. On the contrary, much more controversial is the definition of such terms/notions for three
main reasons: a) the difficulty/impossibility to define in a general way terms widely used in the English language,
sometimes in a deliberate generic sense; b) the differences in the meaning of the same term in various orders,
determined by the specific form of government of each country; c) the different juridical disciplines that the legal
orders have provided for similar issues.
A good example of the first case may be the term “accountability”, that the social science uses to refer to
the responsibility of high civil servants, as different from the “policy responsiveness”, proper of politicians. But in a
non specialized sense “accountability” is synonymous of a general form of responsibility, only clearly different from
the legal liability. Considering this point, should the Glossary endorse a “technical” notion (which, in reality, is
shared only by the majority of the social sciences), or would it be preferable to accept the generalist notion, more
perceptible all over the world?
An example of the second case is the term “devolution”. Differently than “accountability”, about devolution
there is a great consensus. This term refers to the transfer of political and administrative powers from the “centre”
(the central State, or simply the State) to local elected bodies, with a representative nature, which will subsequently
act in an autonomous way. The problem is that this term assumes a significantly different scope in the legal orders
where it finds application, due to the different institutional models. Thus, the British devolution does not correspond
to the devolution realized in a “regional State”, as Spain or Italy; nor does it correspond to the devolution which may
take place in a federal State, as Canada or Germany. In the light of these diversityies of context which give various
143
meanings to the same term, the problem arises to define “devolution” in various ways, according to the institutional
models.
In the end, for the third case a good example is that of “independent administrative authorities”. This term
has been largely used in the last twenty years with reference to the phenomenon of a new kind of public bodies, with
their proper legal personality, charged to meet the problems raised by the transformations of the State (privatization,
moving from the public ownership to regulation, etc.). At its core, everywhere this notion is perceived in a similar
way, such as at the beginning of XX century the establishing of many public bodies outside the State to meet the
challenges of “social administration”. However, we see, on one side, the same difficulty of the previous point
(significant differences of the institutional scenario); and, on the other side, national disciplines rather distinct one
from the other, and also differences in the legal regime of independent authorities of the same legal order. This
assumption is easily confirmed by a comparison between the French and American disciplines, and the respective
internal regimes. Facing this complexity, again should the Glossary be limited to a “generalist” definition,
superficially good for all countries, but in depth non adequate for any of them?
8. Once chosen the Glossary type, we meet other problems which are minor only apparently: the WG
composition; the language/languages to use; the static or open character of the text; the opportunity for reviewing the
text by external experts and specialized Institutions (as the International Institute of Administrative Science) prior to
official presentation of the Glossary.
Whether CEPA will approve these proposals and, consequently, define an ultimate working plan, the WG
must be equipped in a more appropriate way. The composition has to include all the necessary expertises (as said:
lawyers, economists, social scientists), in respect of the rule of a voluntary participation. But, for clearly
understandable reasons (composition of CEPA, skills of its members, its consultative and proposing powers), the WG
could coincide with CEPA itself, or be just an operative body of the Committee. Furthermore it is necessary to
provide a permanent secretariat, useful both for the WG proceedings and the relations with DESA and any other UN
Office.
As for the linguistic issue, obviously the Glossary will be published in the official UN languages and in the
main UN working languages. This implies the translation from English of the preparatory document, with the usual
linguistic problem of the UN in this case deepened by the nature of the Glossary: in many cases there are not
appropriate synonym (the case is not only of formal nature); most of the references, documents, cases and material
are derived from sources of anglo-saxon countries; etc. Finally, the text must be linguistically easy in order to
guarantee its best intelligibility, and, subsequently, its uniform implementation.
The Glossary will be – in the WG position – an open text, subject to periodical revisions and enlargements,
and to the permanent review of its content in the evolving political and institutional scenario. The open and “in
progress” character of the Glossary implies that the WG will be replaced in the future by a permanent UN office,
dedicated to this theme.
Finally, given the novelty of the Glossary – as said, a text without precedents in the international
organizations, excluding some early efforts by the Council of Europe – we consider appropriate a review of the WG
text with the help of external experts and specialized international institutes (as IISA). In the same spirit, we propose
a periodical review on the Glossary “new entries”.
As a further development, it is recommendable the creation of a “network” composed by national centres
with a role of proposal and debating; a sort of “global forum” on governance and public administration, which gives
substance to the idea of participatory governance.
9. To conclude, the WG is presenting a PR richer of problematic issues than of positive solutions for the
next work. But, as said, the CEPA decision to prepare a Glossary on governance and public administration is without
precedents both in the Member States and in the international organizations, and this justifies a profound discussion
at the next CEPA meeting. The peculiar quality of the CEPA member guarantees a sound final decision.
Mario P. Chiti
144
Annex A
Customer-oriented/driven government
Result-oriented/driven government
Competitive government
Competitiveness
Global/world competitiveness
Democracy
Governance (administrative)
Public Administration
Competition law
property rights
intellectual property rights
public sector
developing countries
international financial relations
International financial system
Keynesianism
Welfare state
black economy
Progressive taxation
Fiscal deficit
corporate governance
public-private sector partnerships
federalism
subsidiarity
decentralisation
economic exploitation
trade discrimination
mercantilism
human capital
structural unemployment
wage subsidy
welfare state
external economies and diseconomies
inflation and deflation
Gender budgeting
Outcomes oriented budgeting
New public management
Public management
Public administration
Paradigms: administrative (public law) vs.
entrepreneurial
Managerialism
Government reform
Administrative reform
Management reform
Public sector reform
Change management
Innovation
Reinventing government
Reengineering
Restructuring
Benchmarking
Best practice
Ethics
Public integrity
Public virtue
Public values
Publicness
Performance management
Performance indicator
Performance agreement
Performance measurement
Performance charter/pledge
Performance-related pay
Governance and public administration
Good Governance
New Public Administration
Democracy
Globalization
Human resource management vs. personnel
management
Strategic human resource management
Human resources development
Life-long learning
Learning organization
Affirmative action
Diversity
Diversity management
Multi-culturalism
Civil service vs. public service
Downsizing
Balanced score card (BSC)
Competency
Competency framework
Competency assessment
Mentoring
Civil service reform vs. public service reform
Governance
Corporate governance
Global governance
Regional governance
Local governance
New governance
Co-governance
Responsive governance
Electronic governance (e-governance)
Electronic government
Mobile government
Digital divide
Knowledge divide
Knowledge-based society
Information society
Virtual state
E-government readiness
145
Intern-governmental relations (IGR)
PCRM (public customer relationship
management)
Policy marketing
Political marketing
Public relations
Gender
Gender equality
Gender budget
Sexual harassment
Discrimination
Executive agency
Agencification
Public body
Public enterprise or corporation
State-owned enterprise (SOE)
QUANGO or non-departmental public body
(NDPB)
Public-private partnership (PPP)
Public union
Impasse
Arbitration
Right to work
Conflict resolution
Public policy
Agenda setting and policy formation
Policy implementation
Policy evaluation
Policy analysis
Capture theory
Log-rolling
Transparency
Participation
Rule of law
Citizen participation
Empowerment
Entitlement
Civil society
NGOs
NPOs
Sustainable development
Sustainability
Eco-system
Regulation
De-regulation
Regulatory reform
Local autonomy
Decentralization (political, administrative, and
financial decentralizations)
Centralization
Devolution
Il Consiglio d’Europa
(dal sito http://www.coe.int)
Il Consiglio d’Europa opera promuovendo la cooperazione giuridica, per la
armonizzazione delle legislazioni europee nelle varie branche del diritto. Assiste gli Stati
membri ed i candidati all’adesione nella modernizzazione delle istituzioni e a questo
scopo si dota:
- di un programma intergovernativo di attività, per la predisposizione di strumenti
giuridici, sotto forma di convenzioni (con forza obbligatoria per gli Stati membri o non
membri che le ratificano) o raccomandazioni (linee guida non vincolanti);
- di un programma di cooperazione per il rafforzamento dello Stato di diritto, che assiste
gli Stati membri ed i candidati (in particolare i paesi dell’Europa centrale ed orientale)
nelle riforme istituzionali, legislative ed amministrative e nella formazione dei
professionisti del diritto.
Nell’ambito del Consiglio d’Europa è stato istituito il Gruppo di Lavoro sul Diritto
Amministrativo che ha il compito di sviluppare le attività relative alla attuazione del
diritto amministrativo e processuale amministrativo. Si tratta di un comitato di Esperti
intergovernativo che opera sotto l’autorità del Comitato Europeo per la Cooperazione
Legale, che a sua volta riferisce direttamente al Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa.
Sono membri del CJ-DA dirigenti e alti funzionari delle amministrazioni degli Stati
membri; posso altresì partecipare rappresentanti del Commissario per i Diritti Umani,
della Commissione Europea per la Democrazia attraverso la legge (Commissione di
146
Venezia), il Comitato per i diritti umani, e il Congresso per le autorità locali e regionali
del Consiglio d’Europa, così come la Commissione Europea e il Segretariato Generale del
Consiglio dell’Unione Europea. Possono partecipare ai lavori, in qualità di osservatori,
anche rappresentanti di Stati non membri, o di organizzazioni intergovernative e non
governative internazionali.
Il Consiglio d’Europa ha inoltre istituito la Commissione europea per la Democrazia
attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia, dal nome della città in cui si
riunisce. Istituita nel 1990, tra gli allora 18 Stati membri del Consiglio d’Europa, la
Commissione divenendo un accordo allargato nel febbraio 2002, con la conseguente
possibilità di accogliere come membri anche Paesi non europei un organo consultivo di
natura particolare, venne concepita inizialmente come strumento d’ingegneria
costituzionale di emergenza, in un contesto di transizione democratica, la Commissione ha
visto la propria attività evolvere progressivamente sino a diventare un’istanza di
riflessione giuridica indipendente, internazionalmente riconosciuta. La Commissione
contribuisce alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, che si basa sui valori
giuridici fondamentali del continente, e garantisce agli Stati un “sostegno costituzionale”.
La Commissione di Venezia è composta da “esperti indipendenti di fama internazionale
per la loro esperienza nelle istituzioni democratiche o per il loro contributo allo sviluppo
del diritto e della scienza politica” (art. 2 dello Statuto).
Il lavoro della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto si articola
intorno ai tre principi chiave del patrimonio costituzionale europeo: la democrazia, i diritti
umani e il primato del diritto, che sono alla base di tutte le attività del Consiglio d’Europa.
Questi principi si concretizzano nei quattro settori chiave dell’attività della Commissione.
Le attività “transnazionali” della Commissione di Venezia le consentono in particolare di
contribuire al consolidamento del funzionamento delle istituzioni democratiche,
migliorare la comprensione dei sistemi e della cultura giuridica dei paesi con cui coopera.
La maggior parte dei lavori della Commissione è incentrata sui singoli paesi, ma la
Commissione realizza anche, autonomamente o su richiesta di organi quali l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa, studi e rapporti su temi di interesse generale negli
Stati membri e nei Paesi osservatori.
I temi transnazionali sono affrontati anche nell’ambito dei seminari UniDem (Università
per la Democrazia) e pubblicati nella collezione “Scienza e Tecnica della democrazia”,
rivolti principalmente ai paesi dell’Europa dell’est.
Nel 2001, per rispondere alla necessità di assicurare la stabilità dell’Europa sud-orientale,
affinché l’attuazione di importanti riforme giuridiche rispettasse le norme del Consiglio
d’Europa, la Commissione ha creato il Campus UniDem, un programma di formazione
giuridica per i funzionari di nove Paesi dell’Europa sud-orientale e, dal 2003, anche
Bielorussia ed Ucraina.
Presso il Consiglio d’Europa è attivo il Congresso dei poteri locali e regionali del
Consiglio d’Europa, che rientra nelle attività di sostegno alle autonomie locali fin dal
1957, a favore della rappresentanza dei poteri locali.
Il Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa (CPLRE) è stato istituito nel 1994
quale organo consultivo del Consiglio d’Europa per sostituire la Conferenza permanente
dei poteri locali e regionali d’Europa e quale portavoce degli interessi delle regioni e dei
comuni d’Europa, con funzioni consultive rispetto al Comitato dei Ministri e
all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa su tutti gli aspetti legati alla politica
locale e regionale.
147
È anche una sede di dialogo e di scambio in cui i rappresentanti dei poteri locali e
regionali hanno la possibilità di affrontare problemi comuni, confrontare le rispettive
esperienze e esprimere i propri punti di vista presso i governi.
Controlla, in particolare, l’applicazione dei principi contenuti nella Carta europea
dell’autonomia locale.
Il Congresso è composto da due camere: la Camera dei poteri locali e la Camera delle
regioni. L’Assemblea plenaria delle due Camere comprende 306 membri titolari e
306 supplenti, ossia i rappresentanti eletti di oltre 200 000 enti locali e regionali degli Stati
membri del Consiglio d’Europa. A turno, le Camere eleggono il Presidente del Congresso,
il cui mandato dura due anni.
Il Congresso si riunisce una volta all’anno a Strasburgo, e accoglie le delegazioni di
organizzazioni europee riconosciute, nonché quelle di alcuni Stati non membri che hanno
ottenuto lo statuto di invitato speciale, o di osservatore.
Il lavoro del CPLRE é imperniato su quattro commissioni statutarie:
- la Commissione istituzionale del Congresso, cui spetta il compito di redigere i rapporti
sulla situazione della democrazia locale e regionale in Europa;
- la Commissione della cultura e dell’educazione, competente in materia di mass media,
gioventù, sport e comunicazione;
- la Commissione dello sviluppo sostenibile, responsabile delle questioni ambientali, della
gestione del territorio e dell’urbanistica;
- la Commissione della coesione sociale, per le questioni relative all’occupazione, la
cittadinanza, le relazioni intracomunitarie, la sanità e le pari opportunità.
Per far fronte ai suoi doveri, il Direttore esecutivo del Congresso, è responsabile della
gestione dei budget e di 40 agenti, che comprende il Segretariato del Congresso.
La Rete europea degli istituti di formazione per il personale dei poteri locali e regionali
(ENTO)
La rete ENTO offre un sostegno e una formazione qualificata ai paesi dell’Europa centrale
e orientale che mancano di esperienza e di competenze tecniche in materia di gestione
degli enti locali. La rete favorisce la cooperazione tra i centri di formazione degli enti
locali e regionali, agevolando i contatti tra le istituzioni nazionali di vari paesi
Le agenzie della Democrazia Locale (ADL)
Le Agenzie della Democrazia Locale (ADL), create nel 1993 nel quadro del processo di
pace nell’ex-Jugoslavia realizzano partenariati tra enti dell’area e poteri locali di altre parti
d’Europa. Promuovono il rispetto dei diritti umani e della democrazia, lo sviluppo della
società civile e predispongono delle misure destinate a favorire l’instaurarsi di rapporti di
fiducia tra i vari gruppi della popolazione.
Il Congresso partecipa attivamente ai progetti volti a rafforzare la democrazia locale e la
cooperazione transfrontaliera nell’Europa del Sud-Est previsti dal programma del
Consiglio d’Europa per il Patto di Stabilità e ha creato a questo scopo un Gruppo di lavoro
ad hoc composta da eletti locali e regionali dell’Europa del Sud-Est, incaricati di seguire le
attività del Patto di Stabilità, e di vigilare al rinforzo della democrazia locale e la
cooperazione transfrontaliera nell’Europa del Sud-Est.
I progetti che appoggia sono i seguenti:
- organizzazione dei Forum delle Città e delle Regioni dell’Europa del Sud-Est (Forum
annuali)
- sviluppo di una Rete di Associazioni nazionali di poteri locali e regionali nell’Europa del
Sud-Est (NALAS Network)
- la creazione di una banca dati interattiva sui partenariati con le città e le regioni
dell’Europa del Sud-Est
148
- la preparazione di una dichiarazione politica sulla cooperazione trnsfrontaliera tra le
autorità locali e regionali dell’Europa del Sud-Est.
Il Congresso è intervenuto attivamente nella definizione delle politiche, attraverso una
serie di documenti:
La Carta europea dell’autonomia locale (1985) proclama che una vera autonomia locale è
essenziale per la democrazia. La Carta costituisce un modello per le riforme legislative
nelle nuove democrazie. Alcuni Stati ne hanno già recepito i principi nella loro
costituzione.
La Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o
autorità territoriali (1980) con i suoi due Protocolli Addizionali riconosce ai poteri locali
e regionali il diritto di cooperare al di là delle frontiere nel campo dei servizi pubblici e
della tutela ambientale.
La Convenzione europea sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello
locale (1992) pone il principio del progressivo riconoscimento ai residenti stranieri dei
diritti civili e politici, ivi compreso il diritto di voto.
La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie (1992) mira a tutelare le lingue
regionali e minoritarie in quanto costituiscono un elemento unico del patrimonio culturale
europeo e intende favorirne l’uso nel campo giuridico, nelle scuole, nella vita pubblica,
culturale, economica e sociale e nei media.
La Carta urbana europea (1992) definisce i diritti dei cittadini nelle città europee.
Costituisce una guida pratica di gestione urbana in materia di alloggio, architettura urbana,
trasporti, politiche energetiche, sport e tempo libero, inquinamento e sicurezza nelle vie
cittadine.
La Carta sulla partecipazione dei giovani alla vita municipale e regionale (1992) fissa i
principi volti a condurre i giovani a partecipare al processo decisionale che li riguarda e ai
mutamenti sociali che intervengono nella via, nel quartiere, nel comune o nella regione in
cui vivono.
La Convenzione europea del paesaggio, che è stata adottata a Firenze nell’ottobre 2000,
stabilisce l’obbligo per le autorità pubbliche di adottare a livello locale, regionale,
nazionale e internazionale delle politiche e dei provvedimenti destinati a tutelare, gestire e
pianificare il paesaggio in Europa.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha attualmente allo studio un progetto di
Carta europea dell’autonomia regionale, in quanto complemento alla Carta europea
dell’autonomia locale.
Progetti in corso
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa esamina attualmente altri testi:
- il progetto di Carta sulle regioni delle montagne, che enuncia dei principi d’azione
miranti a conciliare lo sviluppo e la conservazione delle regioni di montagna;
- il progetto di Carta europea dell’Autonomia Regionale, Charte européenne de
l’Autonomie Régionale, strumento complementare alla Carta europea dell’autonomia
locale;
- il progetto di Carta dei diritti e delle responsabilità dei cittadini.
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Letture consigliate
B. Baldi, Regioni e Federalismo, Bologna, Clueb, 2006;
S. Battini, L’impatto della globalizzazione sulla pubblica amministrazione e sul diritto amministrativo:
quattro percorsi, in Giornale di diritto amministrativo, n. 3/2006;
S. Battini, Organizzazioni internazionali e soggetti privati: verso un diritto amministrativo globale?, in Riv.
Trim. Dir. Pubb., 2/2005
M. Caciagli, Regioni d’Europa, Bologna, il Mulino, 2003
S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, Laterza, 2003
S. Cassese, I caratteri del diritto amministrativo europeo, in Riv. it. dir. pubb com., 1991
S. Cassese, Il diritto amministrativo presenta caratteri originali?, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 35 segg.;
E. Chiti, C. Franchini, L’integrazione amministrativa europea, Bologna, Il Mulino, 2003;
E. Chiti, C. Franchini, Le figure organizzative, in Diritto amministrativo europeo, a cura di G. della
Cananea, Milano, Giuffrè, 2006, 57 segg.;
E. Chiti, C. Franchini, M. Gnes, M. Savino, M. Veronelli, Diritto Amministrativo Europeo. Casi e Materiali,
Milano, Giuffré, 2005;
E. Chiti, La prevalenza del diritto delle Nazioni Unite su quello europeo, in Giornale di dirtto
amministrativo, n. 2/2006;
E. Chiti, C. Franchini, L’integrazione amministrativa europea, Bologna, Il Mulino, 2003.
M.P. Chiti, L’organizzazione amministrativa comunitaria, in Trattato di diritto amministrativo europeo,
Milano, Giuffré, in corso di stampa
M.P. Chiti, Il mediatore europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 303.
M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffrè, 2004
M.P. Chiti, Casi e materiali di diritto pubblico comunitario, Torino, Giappichelli, 1994
G. Contaldi, La disciplina della partecipazione italiana ai processi normativi comunitari alla luce della
riforma della legge “La Pergola”, in il Diritto dell’Unione Europea, 3/2005
G. della Cananea, L’amministrazione europea, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese,
Diritto amministrativo generale, Milano, Giuffrè, 2003, 1797 segg.;
D.U. Galetta, Trasparenza e governance amministrativa nel diritto europeo, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Comunitario, 2006, p. 265.
AAVV, L. Vandelli, C. Bottari, (a cura di), Diritto Amministrativo Comunitario, Rimini, Maggioli, 1994
AAVV, Symposium: global governance amd global administrative law in the international legal order, Nico
Krisch and Benedict Kingsbury, Special editors, European journal of international law, vol. 17, n. 1,
February 2006
I documenti e le informazioni, laddove ci si è limitati a una mera descrizione delle attività degli enti, sono
state tratte dai siti internet degli enti relativi. In particolare in alcuni casi la descrizione degli enti e dei loro
programmi è stata tratta dai siti stessi ed è presentata come allegato. Tra i siti consultati e da cui si sono
attinti i materiali si ricordano:
www.europa.eu.int
www.politichecomunitarie.it
www.affariesteri.it
www.coe.int
www.un.org
www.unpan.org
http://curia.eu.int/it/index.htm
www.consiglio.regione.toscana.it/leggi-e-banche-dati/oli/default.asp, Osservatorio Legislativo Interregionale
(OLI), in particolare, La partecipazione regionale alla formazione ed attuazione del diritto comunitario.
Applicazione delle leggi Buttiglione e La Loggia fino ai più recenti atti regionali in materia comunitaria,
settembre 2006.
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