Il trattamento tributario dei canoni per lo sfruttamento dei beni

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Il trattamento tributario dei canoni per lo sfruttamento dei beni
Il trattamento tributario dei canoni per lo sfruttamento dei
beni immateriali corrisposti a soggetti non residenti ed il
contrasto al fenomeno dell’abuso dei trattati bilaterali contro
la doppia imposizione (treaty shopping)
Filippo Alessandro Cimino
Ricercatore nell’Università Kore di Enna
Sommario: 1. L’abuso dei Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni - 2. Il modello
di Convenzione OCSE ed il concetto di beneficiario effettivo - 3. La Direttiva 2003/49/CE del
Consiglio del 3 giugno 2003 e la sua ricezione nell’ordinamento italiano - 4. Un’applicazione
concreta: la sentenza n. 124/09/10 del 19 ottobre 2010 della Commissione Tributaria
Provinciale di Torino
1. L’abuso dei Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni
L’art. 25, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 dispone che i compensi per l’utilizzazione
di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa, di cui all’art. 23, comma
2, lett. c del D.P.R. n. 917/1986, corrisposti a soggetti non residenti, sono sottoposti ad una
ritenuta del trenta per cento a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare.
La ratio della norma è da ravvisare nell’intento del legislatore di impedire la sottrazione di materia imponibile attraverso il pagamento di canoni infragruppo (cd. royalties out bound, o canoni in uscita), con conseguente migrazione del reddito in Paesi caratterizzati
da una minore imposizione fiscale.
Tuttavia, in deroga alla citata disposizione, possono trovare applicazione le convenzioni internazionali stipulate tra i vari Paesi per evitare le doppie imposizioni sui redditi.
Tali convenzioni sono trattati internazionali contenenti criteri diretti a risolvere o limitare, sulla base del principio di reciprocità, i conflitti delle pretese fiscali di due Stati e dirimere casi di doppia imposizione. A tal fine gli Stati interessati concordano delle norme che, in
ragione delle varie tipologie di reddito, attribuiscono la potestà impositiva, in via esclusiva
o non esclusiva, all’uno o all’altro Stato, mediante i criteri della residenza o della fonte 1.
1 Le Convenzioni internazionali, una volta siglate dagli Stati interessati, vengono recepite nell’ordinamento italiano attraverso la ratifica da parte del legislatore, attuata con una legge ordinaria che conferisce piena e integrale
esecuzione al trattato. La norma convenzionale, sul piano della gerarchia delle fonti, è sovraordinata rispetto alla
norma interna: la Costituzione italiana prevede, all’art. 10, che lo Stato si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, mentre all’art. 117 stabilisce che la potestà legislativa dello Stato e delle
Regioni è, comunque, subordinata al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed internazionale.
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Tutti i modelli di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni fanno riferimento alla locuzione “beneficiario effettivo” dei dividendi, degli interessi, dei canoni percepiti.
Il beneficial owner (beneficiario effettivo) è un principio antiabuso, recepito nelle
convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, che ha lo scopo di contrastare
eventuali comportamenti di natura elusiva posti in essere dai contribuenti per evitare, o
quanto meno ridurre, l’applicazione della ritenuta sui flussi cross border di interessi,
royalties e dividendi.
In particolare alla locuzione “beneficial owner” si contrappone quella di “legal owner”;
con la prima si individua il titolare effettivo dei poteri di godimento e di disposizione della
cosa, materiale o immateriale, con la seconda il mero titolare formale del diritto.
La clausola antiabuso del “beneficial owner” è espressione del più generale principio
di matrice anglosassone della prevalenza della sostanza sulla forma (“substance over the
form principle”). Tale principio impone di far riferimento, al fine di appurare il trattamento tributario da applicare a determinati flussi reddituali, ai concreti risultati economici perseguiti
più che alla forma giuridica utilizzata.
Tale clausola ha il fine di evitare l’abuso dei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni (cd. fenomeno del “treaty shopping”), ovvero l’interposizione di una persona fisica o
giuridica in virtù della quale si realizza una traslazione impropria dei benefici previsti da una
convenzione internazionale per evitare le doppie imposizioni sui redditi.
In particolare la clausola intende contrastare l’interposizione reale, tra il soggetto erogante (soggetto residente) ed il beneficiario finale dei redditi (soggetto non residente ed
effettivo titolare dei diritti immateriali), di un soggetto terzo (soggetto interposto), con l’unica finalità di sfruttare la normativa fiscale più favorevole prevista dalle varie convenzioni
bilaterali per evitare la doppia imposizione.
Invero l’interposizione di un soggetto fiduciario, o comunque di un intermediario
(società conduit), al fine di ottenere un indebito risparmio d’imposta, è sicuramente contraria allo scopo ed alle finalità della convenzione bilaterale.
Attraverso l’applicazione della clausola antiabuso, il modello di Convenzione OCSE subordina il riconoscimento dell’aliquota agevolata prevista dal Trattato alla condizione che il percettore del flusso reddituale (dividendi, canoni, interessi) sia l’effettivo destinatario dei medesimi.
Quest’ultimo può essere individuato nella persona fisica o giuridica che:
- ha il diritto di controllo più intenso sul bene;
- ha il diritto sui frutti scaturenti sul bene;
- effettivamente ne sopporta i costi, ovvero ne sopporta il rischio di una eventuale dimi nuzione di valore.
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2. Il modello di Convenzione OCSE ed il concetto di beneficiario effettivo
Il modello di Convenzione OCSE, agli artt. 10 (“Dividends”), 11 (“Interest”) e 12
(“Royalties”), introduce il concetto di beneficiario effettivo, senza tuttavia fornirne una
definizione.
Il Commentario al modello di Convenzione offre tuttavia spunti di estremo rilievo sistematico, in quanto evidenzia la necessità di interpretare il concetto di “beneficial owner” alla
luce dello scopo della Convenzione; essa, in particolare, è rivolta non soltanto ad eliminare la doppia imposizione, ma, altresì, a prevenire l’evasione e l’elusione fiscale.
Il Commentario OCSE all’art. 1, par. 9, evidenzia il contrasto con le finalità delle
Convenzioni del fenomeno del treaty shopping: “this would be the case, for example, if a
person (whether or not a resident of a Contracting State), acts through a legal entity crea ted in a State essentially to obtain treaty benefits that would not be available directly”.
Ancora il Commentario all’art. 10, par. 12, specifica: “the term beneficial owner is not
used in a narrow technical sense, rather, it should be understood in its context and in light
of the object and purposes of the Convention, including avoiding double taxation and the
prevention of fiscal evasion and avoidance”.
Ne consegue che il Commentario specifica un concetto sostanziale, e non meramente formale, di beneficiario effettivo.
In particolare si rileva che “a conduit company cannot normally be regarded as the
beneficial owner if, thought the formal owner, it has, as a practical matter, very narrow
power which render it, in relation to the income concerned, a mere fiduciary or administra tor acting on account of the interested parties”.
Il beneficiario effettivo si può quindi identificare in colui il quale gode di un concreto ed
ampio potere decisionale in ordine all’utilizzazione del capitale o di altri beni oppure in ordine all’utilizzazione dei redditi in questione.
Al riguardo si ricorda che il Comitato per gli affari fiscali dell’OCSE ha pubblicato un
documento denominato “Discussing draft clarification of the meaning of beneficial owner in
the OECD Model Tax Convention”, ispirandosi alla prassi internazionale ed all’elaborazione giurisprudenziale, allo scopo di fornire ulteriori chiarimenti in ordine all’interpretazione
della clausola antiabuso.
3. La Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003 e la sua ricezione
nell’Ordinamento italiano
La Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003 riguarda il regime fiscale
comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati
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membri diversi, facendo costantemente riferimento al concetto di beneficiario effettivo dei
canoni e degli interessi corrisposti.
La Direttiva, allo scopo di eliminare o attenuare la doppia imposizione sui redditi,
prima in capo al soggetto erogante e quindi nei confronti del soggetto che li percepisce,
rende ammissibile l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali che siano volte ad
eliminare o attenuare la doppia imposizione su interessi e canoni, accertando ex post che
i pagamenti di interessi e canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in
uno Stato.
Anche il legislatore comunitario fa esplicito riferimento al concetto di “beneficiario
effettivo” delle somme pagate, precisando che i pagamenti di interessi e di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato (solitamente tramite ritenuta alla fonte), a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o
dei canoni sia una società di un altro Stato membro ovvero una stabile organizzazione
situata in un altro Stato membro.
La Direttiva fornisce la definizione di “beneficiario effettivo” all’art. 1, par. 4: “Una
società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni sol tanto se riceve pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agen te, delegato o fiduciario di un’altra persona”.
L’ordinamento nazionale ha recepito tale orientamento: segnatamente l’art. 26-quater,
comma 4, lett. c, del D.P.R. n. 600/1973 ha stabilito che l’esenzione è applicabile solo se la
società residente nel Paese destinatario del flusso sia beneficiaria effettiva dei redditi.
A tal fine sono considerate beneficiarie effettive di canoni le società che ricevono i
pagamenti in qualità di beneficiario finale e non di intermediario, quale agente, delegato o
fiduciario di un’altra persona.
Inoltre ai fini dell’applicazione dell’esenzione, deve essere prodotta un’attestazione
dalla quale risulti la residenza del beneficiario effettivo e, nel caso di stabile organizzazione, l’esistenza della stabile organizzazione stessa, rilasciata dalle competenti autorità fiscali dello Stato in cui la società beneficiaria è residente ai fini fiscali o dello Stato in cui è situata la stabile organizzazione, nonché una dichiarazione dello stesso beneficiario effettivo
che attesti la sussistenza dei requisiti di legge.
4. Un’applicazione concreta: la sentenza n. 124/09/10 del 19 ottobre 2010 della
cCommissione Tributaria Provinciale di Torino
La fattispecie trae origine da una verifica fiscale dalla quale è emerso che, a fronte di
contratto per la concessione in uso di un marchio, la società verificata (società alfa) aveva
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corrisposto delle royalties ad una società lussemburghese (società Lux, totalmente partecipata da altra società beta avente sede alle Bermuda), applicando la ritenuta agevolata del
10%, conformemente all’art. 12 della Convenzione Italia-Lussemburgo.
Secondo l’Agenzia delle Entrate la società lussemburghese, destinataria dei
canoni per lo sfruttamento del marchio, non era che una intermediaria (società c o n d u i t)
che fungeva da mero collettore di canoni in realtà destinati alla società beta avente
sede alle Bermuda.
L’Amministrazione, pertanto, non ritenendo realizzata la condizione che il percettore delle royalties ne fosse anche il beneficiario effettivo, ha sostenuto la necessità di
applicare la ritenuta nella misura ordinaria del 30% ai sensi dell’art. 25, comma 4, del
D.P.R. n. 600/1973.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino ha accolto la tesi dell’Agenzia delle
Entrate, evidenziando come la società lussemburghese abbia agito in totale assenza di
rischio imprenditoriale “incassando proventi a fronte di beni per quali non aveva sostenuto
alcuna spesa di acquisto” e come essa altresì non possedesse alcun bene materiale, disponendo unicamente di una ridottissima struttura operativa.
L’assenza di rischio d’impresa e la limitata organizzazione operativa, congiuntamente
al controllo totalitario esercitato da un unico azionista (la società beta avente sede alle
Bermuda) hanno pertanto indotto la Commissione a ritenere che la società lussemburghese “abbia solo percepito dei compensi senza esserne il beneficiario effettivo”.
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