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IN EDICOLA E SU IPAD
Mediterraneo, un mare per l’incontro tra i
popoli
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Il Mediterraneo come esplorazione, sinonimo di scoperta, conoscenza dell’altro, mare
come ibridazione e quindi ricchezza. Pubblichiamo la relazione introduttiva di Angelo
d'Orsi alla VIII Edizione di FestivalStoria, "Mediterraneo. Mare nostrum?", in
programma a Torino e Napoli dal 3 all'8 dicembre 2012 (www.festivalstoria.it facebook.com/FestivalStoria).
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Luigi
Sindacato
Antonino
Elisabetta
Claudia
di Angelo d’Orsi
Leggi il sommario
V’è chi (Maurice Aymard) sostiene che c’è addirittura una
moda: si parla e si scrive e si rappresenta e si suona il
Home
Mediterraneo, anche troppo. Ed è vero; ma ciononostante noi
vogliamo correre il rischio di aggiungere altre tessere a
Archivio
questo fascinoso mosaico. E come resistere? Quante vite,
Blog
quante leggende, quanti traffici, quanta cultura, quanto dolore
si sono imbevuti nelle tue acque, ora calme, ora mosse, ora
Rivista
agitate da provocare naufragi, da far affondare navi poderose, che parevano invincibili.
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Acque dalle quali sono sgorgate civiltà e sono affondati imperi. Quel mare, che i romani
chiamarono “nostrum”, avviando una mitologia suggestiva, certo, ma anche per tanti
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versi pericolosa: basti ricordare i pretesi diritti italiani sulla “quarta sponda”,
Abbonamenti e arretrati
concretizzatisi nel 1911, nell’invasione delle province ottomane della Tripolitania e
Redazione
Cirenaica non a caso chiamate con la denominazione romana di Lybia. E in fondo
l’espressione giornalistica e politica, anzi geopolitica, corrente a lungo in questo ultimo
Rss
sessantennio, di Italia “portaerei del Mediterraneo” riprende l’essenza di quel mare
nostrum, declinandola in termini militari, attribuendo alla Penisola un valore soltanto
CERCA NEL SITO
connesso alla sua collocazione in questo mare, e alla sua particolare conformazione
territoriale.
Vai
Furono i greci, per primi, a considerare “loro” quello che chiamavano “mare interno”, oltre
il quale era “l’Oceano”, ossia un grande mare esterno, un mare d’intorno; in quelle zone
in pratica ignote, si agitavano popoli, come formiche o come rane, stando alla famosa
Zanotelli: E’ etico
espressione di Platone. Per i Greci tuttavia era soprattutto l’area Est, ad essere
pagare il debito?
considerata; in quella zona orientale, del resto, intorno alla Mesopotamia già carica di
“La Chiesa è indietro di storia e leggenda, e la stessa Persia con cui pure i greci si scontrarono, ma con cui
almeno due secoli”.
ampiamente si compenetrarono era nata la civiltà che oggi possiamo chiamare
Intervista a Sandro
genericamente mediorientale, ossia, in realtà, mediterranea. E ben oltre si guardava, già
Vesce, prete operaio
da parte greca, se è del resto vero come è vero che Alessandro il Macedone si spinse
modenese
verso la Persia e l’India, desideroso non semplicemente di conquistarle, ma di
Vedi tutti conoscerle, nel senso complesso di penetrarne i segreti.
ALTRACHIESA
VISIONI
Il film della settimana:
“E la chiamano estate”
di Paolo Franchi
Gli “equilibrismi”
dell’arte cinese. Sulla
mostra londinese “Art
of change. New
direction for China”
Di Mediterraneo si cominciò a parlare nondimeno soltanto nel III secolo, con un
semisconosciuto autore di un’opera descrittiva di meraviglie, tale Gaio Giulio Solino,
scrittore di una compilazione di meraviglie (i Collectanea rerum memorabilium), basata
in realtà su altri autori, a cominciare da Plinio il Vecchio, opera che ebbe fortuna più
tardi, in età medievale. Ma era pur sempre un aggettivo che accompagnava il
sostantivo Mar: Mar mediterraneum. Passeranno secoli prima che mediterraneo diventi
un sostantivo, indicando sì, il mare, ma anche una intera civiltà nata sulle sue coste, e
nel retroterra dei Paesi che ad esso fanno riferimento in vario senso.
Quanto alla denominazione romana, fu Giulio Cesare in persona, impegnato nella
Vedi tutti costruzione del dominio romano, a parlare, nel De Bello Gallico, di mare nostrum: via
via che venivano conquistate le terre che vi si affacciavano o che comunque a quel
mare facevano riferimento, esso diveniva nostro, appunto. Anche se rimanevano,
LAICAMENTE
sconfitti e sottomessi i nemici esterni, da sedare quelli interni, in particolare la pirateria,
contro la quale fu decisivo il ruolo di Pompeo, che fece ai pirati una guerra spietata. Fu
Imu e Chiesa, la resa
davvero mare nostrum, allora. E tale rimase per secoli. Un mare controllato dalla
dello Stato
potenza di Roma. Eppure, se i romani ebbero il dominio, l’egemonia rimase greca. E gli
Il femminicidio voluto
stessi romani, pure così fieri di essere cives dell’Urbs, riconobbero sempre la
da Dio
superiorità della civiltà dell’Ellade, di cui si considerarono figli e, naturalmente, eredi.
Vedi tutti
Va ricordato questo punto, particolarmente oggi. Oggi, che la Grecia è diventata il capro
espiatorio della crisi finanziaria europea, all’interno di un processo di colpevolizzazione
CARA MICROMEGA
di tutta l’area mediterranea, con una sorta di rovesciamento tra cause ed effetti. Va
ricordato e va riflettuto;: e lo faremo ad abundantiam in questa edizione di
Il Concilio tradito
FESTIVALSTORIA. Nello scorso febbraio, circolavano appelli pro Grecia, quando si
Così il Governo
ricordava appunto, davanti alla gelida algebra dei numeri da parte dei signori della
demolisce la scuola
finanza mondiale, il ruolo storico di quella civiltà straordinaria. Ne avevo sottoscritto
pubblica
qualcuno, chiedendomi comunque a che cosa potessero servire. Forse più che a
Vedi tutti salvare quel paese (ma da cosa? da se stesso? O piuttosto dalle rapaci mani della
Facebook social plugin
FEDERICO PONTIGGIA – “Il centrosinistra
non esiste”. Firmato Ken Loach
“In Gran Bretagna si prepara a vincere, ma non credo che il
centrosinistra esista: se si è a favore del mercato e della
deregulation si è di destra, se si crede nell’economia...
DON PAOLO FARINELLA – Arturo Paoli, 100
anni dalla parte dei poveri
Il 30 novembre 2012 fratello Arturo Paoli ha compiuto 100
anni. Ha vissuto il «secolo breve», passando la soglia tra il
2° e il 3° millennio perennemente in ricerca con la bussola
...
ALESSANDRO ROBECCHI – Rifarsi una
verginità è più facile che perderla
Non so come siete messi, amici, ma qualcosa mi dice che
non chiamereste Landrù a tenere un corso prematrimoniale.
E che nemmeno nei peggiori giallazzi americani il serial killer
di...
CARLO CORNAGLIA – Viale del tramonto
Da zucche vuote ha fatto senatori, da nullità ha forgiato
deputati, le Regioni infarcì di malfattori, le Camere riempì di
condannati, di vecchi fasci e turpi avvocaticchi, di servi...
GIACOMO RUSSO SPENA – Matricole per
agenti, il Pd Piemonte vota no. Bersani che
dice?
Mentre gli studenti di Scienze Politiche all’Università La
Sapienza di Roma contestano Luca Telese per
quell’editoriale che li definiva “25 stronzi” e i No-...
MATTEO PUCCIARELLI – Oh mamma m’è
scappato il pugno chiuso
Quanto conformismo, e quanto perbenismo. Al giovane
collaboratore di Bersani Tommaso Giuntella scappa un
pugno chiuso. Qualcuno glielo fa notare e lui grida all’«avete
capito...
ANGELO D’ORSI – Epurazione all’italiana per
gli accademici della razza
Paesi che hanno attraversato i totalitarismi novecenteschi
hanno affrontato tutti il trauma della transizione democratica.
Che fare di coloro che si erano compromessi con i
passati...
MASO NOTARIANNI – Per un’altra
Lombardia
Conosco Andrea Di Stefano da anni, ma non è per questo
che gli darò il mio sostegno. Lo farò perché mi pare che sia
la persona che più di tutti gli altri candidati alle primarie,...
ALESSANDRO ESPOSITO – Eutanasia:
spunti per un’etica laica
Nella mattinata di sabato primo dicembre, presso i locali del
Complesso Monumentale San Pietro di Marsala, ha avuto
luogo un convegno dal titolo: «Eutanasia: il consenso
informato ...
FABRIZIO TASSI – Bersani ha vinto, viva
Bersani!
Gente che ha fatto il tifo per Bersani in queste primarie
(promemoria per i posteri): –
Franceschini, Fioroni,
Letta, Bindi, Marini e tanti altri che incarnano il rinnovamen...
TIZIANO TROBIA – L’urgenza del #6D:
riprendiamoci lo sciopero!
Il 5/6 Dicembre la Fiom ha proclamato uno sciopero
generale dei metalmeccanici e tornerà nelle piazze di tutti i
capoluoghi regionali. Uno sciopero contro Federmeccanica
e contro ...
MARINA BOSCAINO e MARCO
Carmelo
APPELLO
Le adesioni | Così nel
resto d'Europa |
Poliziotti o giustizieri?
EBOOK GRATUITI
IN LIBRERIA
Leggi il primo capitolo
di “Democrazia!” di
Paolo Flores d’Arcais
NOVITÀ
SEGUICI SU
“Troika”?), miravano a salvare la nostra anima: quasi che pregassimo un qualche iddio
dopo aver consumato il crimine. Perché di questo si è trattato; e del più efferato tra i
crimini, l’uccisione della madre. E v’è, in quello che sta accadendo da un anno a questa
parte, una sorta di paradossale, involontario richiamo alla tragedia greca: è un dramma
degno di Sofocle o di Euripide questa Europa che fa a pezzi e si accinge a sbranare la
madre Europa, in nome di se stessa, della sua unità, della moneta unica, della pretesa
sua identità “giudaico-cristiana” (una delle tante sciocchezze che ci hanno ammannito in
questi anni: e le culture pagane, a cui erano informate tanto la Grecia quanto Roma? E
le culture e le religioni orientali? E la cultura islamica, che ha colonizzato ampiamente
l’area Sud? E le stesse culture dei tanti popoli “barbari” del Nord?).
L’Europa, insomma, cancella la sua propria scaturigine, elide la matrice da cui è sorta,
uccide simbolicamente la madre Grecia, quella che addirittura ha partorito il suo nome,
e il mito fondativo: la giovinetta Europa, la bellissima fanciulla rapita da Zeus sulla
spiaggia di Tiro (o di Sidone, le due note città libanesi), sotto le spoglie di un bianco
toro, che la portò, seduta sulla sua groppa, nel mare Egeo, giungendo fino all’isola di
Creta, dove si accoppiò con lei sotto le fronde di un platano. Da loro nacquero tre figli,
tra cui Minosse, che di Creta divenne re, e in suo onore, e di sua madre dai grandi occhi
(tale il significato del termine, secondo un’etimologia peraltro incerta), fu dato il nome di
Europa alle terre a Nord del Mediterraneo. Ma parleremo soprattutto della Grecia come
capro espiatorio, a cui la leadership che guida l’Unione sta chiedendo in cambio non
soltanto oro – come fece Brenno, il capo dei Galli, nella Roma conquistata e
saccheggiata –, bensì il sangue e la dignità di un popolo. Quello greco – oggi –
spagnolo, portoghese, italiano, in un domani che è già incombe.
MARINA BOSCAINO e MARCO
GUASTAVIGNA – Care pillole
La puntata di Report La banca degli amici” del 18 novembre
2012 ha portato alle luce il presunto spreco di denaro
pubblico operato all’interno del MIIUR per acquistare da
ABC, azie...
CARLO FORMENTI – L’internazionale dei
deboli
Qualche anno fa usciva un saggio in cui il politologo Marco
Revelli argomentava l’opportunità, per le culture della
sinistra, di superare la tradizione novecentesca (“Oltre il
Nove...
SERGIO CESARATTO – La malasanità di
Monti
Roberto Pizzuti ha messo in luce su queste colonne, dati
OCSE alla mano, i più forti costi sul Pil della sanità privata
negli Stati Uniti a fronte di una copertura solo parziale de...
MONICA PEPE – Renzi, l’eterno adolescente
Altro che nuovo, Renzi è la perfetta incarnazione
reazionaria della corrente di destra della Democrazia
Cristiana che fu. Sembra simpatico solo perché interpreta
l’eterno adolesce...
Vedi tutti i blog
Appunto, sono i popoli mediterranei messi sotto accusa, e tutta l’area prospiciente il
grande mare di mezzo, a essere diventata la causa della crisi, invece che la vittima, pur
non nascondendo le responsabilità gravissime delle diverse classi dirigenti. Abbiamo
voluto dedicare diversi incontri a questo tema più generale, con un taglio
interdisciplinare, guardando alla crisi, ai suoi attori, alle sue vittime, ma anche
all’indignazione che ne è nata e che se non è in grado di instaurare un gramsciano
ordine nuovo, sta provando a delineare una linea di opposizione a politiche il cui rigore
sembra essere spaventosamente ingiusto, sia sul piano delle relazioni tra i popoli, sia
su quello del rapporto fra gruppi sociali all’interno delle singole nazioni. Abbiamo con ciò
voluto quanto meno porre in forse il principio affermato e diffuso dai signori delle
banche, i padroni dello Spread, i burocrati impietosi della finanza, che l’area
mediterranea sia la colpevole della situazione e come tale vada punita. Abbiamo voluto
Leggi il sommario
riprendere una suggestione recentissima di un tedesco, Claus Leggewie, che proprio nei
Paesi “a Sud” dell’Europa, nell’area mediterranea, ha visto la sola possibilità di salvezza
APPELLO PER L'EUTANASIA LEGALE
per il Continente. E un altro tedesco, Ulrich Beck, sostiene da tempo che l’Europa è già
fatta anche di non europei, e che l’Europa è uno Stato cosmopolita, e che non ha
bisogno di creare altre strutture istituzionali, ma semmai di rafforzare un certo spirito.
Dunque è ancora nostrum, quel mare? E nostrum di chi? Sappiamo che nel corso del
tempo esso è stato soprattutto un luogo fisico e virtuale di congiunzione, di
contaminazione, di incroci, anche se sovente militari, e decisamente bellici. Incroci che
sono stati conflitti, sia quelli interni, tra popoli mediterranei, sia esterni, che hanno cioè
usato quelle acque semplicemente come scacchiera militare. È europeo, quel mare? È
africano? È mediorientale? Dal Bosforo a Gibilterra, Turchia, Grecia, la contesa isola di
Cipro, le tormentate coste del Libano e della Palestina (dove si consuma da troppo
tempo la più insopportabile delle ingiustizie), tutto il Nordafrica oggi in subbuglio,
Spagna, Francia, e infine, Italia, posta al centro al punto da indurre i romani a parlare di
quel mare come di un mare che era interamente loro, e come in effetti, la politica dei
consoli e poi dei cesari, riuscì a fare.
Gilberto, 53 anni, malato terminale, è il primo
testimonial della campagna per l'eutanasia legale. A
lanciare la raccolta di firme per una legge di iniziativa
popolare, sono l'associazione Coscioni ed Exit. Ecco
il video in cui Gilberto racconta perché vuole essere
lui, che ama la vita, a decidere quando morire. "Voglio
morire vivo, prima che la malattia mi porti via la
dignità".
E gli arabi? Per gli arabi, quel mare era spazio sociale comune per pescatori,
commercianti, viaggiatori e nomadi. Nell’espressione della lingua araba Al-bahr al-abyad
al-mutawassit troviamo tutti questi concetti, con un riferimento particolare e specifico
MICROMEGA SU GOOGLE+
alla mediazione. Fino all’emergere dell’Islam e della sua prodigiosa espansione, dal VI
al XVI secolo, prevalse il mare greco, latino, bizantino, cristiano... Una espansione
Segui
quella arabo-islamica che tra conflitti e incontri, sia con la cristianità, sia con civiltà di
MicroMega su
altra origine, e con altre religioni, compresa quella ebraica, diede un impulso
straordinario alla creazione di una koiné mediterranea: euromediterranea,
afromediterranea, asiomediterranea. Tre continenti uniti da un solo mare. Che poteva
REPUBBLICA
dunque continuare ad essere chiamato “nostro”, da ciascuna delle sue componenti, sia
geografiche, sia culturali.
Bersani incontra Monti: "Sostegno al governo
fino al termine della legislatura"
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E adesso Mancino parli
Il Quarto Polo tra
essere e non essere
La sinistra, il
Mediterraneo e
l’Europa
Quel mare che, si sa, è stato Fernand Braudel a raccontare mirabilmente, quasi
testimone ex post di una comunità formatasi nel corso di un paio di millenni, e che
costituisce lo sfondo della nostra contemporaneità. Scriveva, in quell’opera capitale,
vergata in condizioni incredibili, in un campo di detenzione durante la Seconda guerra
mondiale:
Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli
paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma molte civiltà,
disseminate le une sulle altre…un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce,
complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee,
religioni, modi di vivere. E piante.
Sappiamo, certo, che il Mediterraneo ha perso da secoli la sua centralità geopolitica ed
economica, e che già nella prima età moderna, nazioni coloniali egemoni come
l’Inghilterra e l’Olanda vi penetrarono, per svolgere i loro traffici facendo di esso una
fonte primaria di guadagno. Da tempo il Mediterraneo non ha più quel fascino che
IL FATTO QUOTIDIANO
Governo Monti, Bersani: “Lealtà e sostegno
fino alla fine”
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Fornero, un mix indigesto
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Ritorno e considerazioni sul salone del gusto di
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Mediterraneo, un mare
per l’incontro tra i
popoli
La memoria difensiva
della procura di
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Una Corte cortigiana
Da Presidente a
Monarca
Cari liberisti, perchè
dovete stare a sinistra?
Il film della settimana:
“E la chiamano estate”
di Paolo Franchi
Gli “equilibrismi”
dell’arte cinese. Sulla
mostra londinese “Art
of change. New
direction for China”
Zanotelli: E’ etico
pagare il debito?
Nazionalizzare, non
basta la parola
Europa, il sistema
finanziario è ormai
balcanizzato
Europa al bivio, troppo
rigore uccide il malato
Dalla crisi della moneta
unica alla critica del
liberoscambismo
europeo. Breve note
sulla MMT
Braudel e non pochi altri (non solo storici e geografi, ma letterati, teologi, artisti…) prima
e dopo di lui ci hanno restituito, nella letteratura, nell’arte, nelle scienze sociali, dalla
geografia alla storiografia. Ma esso è pur sempre il più ricco di storia e di fascino di tutti
i mari della Terra. Che però, negli ultimi decenni, sembra aver rinunciato completamente
alla sua tradizione di centro di incontro (e scontro) di culture, religioni, etnie ed
economie, per diventare una frontiera di una Europa fortezza, luogo di respingimento
invece che di accoglienza, di rifiuto piuttosto che di accettazione. Di difesa identitaria,
invece che di confronto culturale, nel senso più ampio possibile.
Oggi questo grande lago d’acqua salata e pescosa è un confine, un no mans sea, uno
spazio di tutti, o di tanti, o è una frontiera? Se il confine è labile, mobile, in qualche
modo persino vago, e comunque di significato denotativo, neutro; la frontiera indica
piuttosto un limite, una barriera ove si due entità si fronteggiano, e dunque predispone
all’affrontamento, e dunque alla chiusura o al contrasto, che può divenire conflitto.
L’invalicabilità della frontiera, come mezzo di preservazione del dentro contro il fuori,
come pratica identitaria. Del resto né i confini, né le frontiere sono date in natura, che è
un tutto che si connette, si segue e si intrica, e né fiumi, né mari, né catene montuose
segnano irrevocabilmente divisioni, tutte pronte ad essere superate, anche dalla stessa
intraprendenza degli umani, e delle altre specie viventi, non soltanto animali.
Ma allora il Mediterraneo rinvia ai confini o alla frontiera? E i tanti Paesi che ne sono
bagnati, sono divisi tra loro da confini, a loro volta? O da frontiere? E in tal caso, il
Mediterraneo è strumento di collegamento, connessione e contiguità non solo
geograficamente, ma da molti altri punti di vista, o piuttosto è una frontiera? Ma in tal
caso chi si fronteggia sul mare di mezzo? Non più i mori e i cristiani, i popoli del Nord e
quelli del Sud, e nemmeno invincibili armate inglesi e spagnole… V’è ancora il contrasto
Est/Ovest, o è stato sostituito del tutto da quello Nord/Sud? E quale rapporto passa tra
lo spazio europeo e quello mediterraneo? È uno spazio che si integra, o ci prova,
oppure indica una doppia alterità, una frontiera che non vuole saperne di diventare
aperta. E questo non da oggi, come ricorda Maurice Aymard evocando le resistenze
delle stesse classi dirigenti meridionali: noi vogliamo essere europei, non mediterranei,
in buona sostanza.
A lungo si è pensato al Mediterraneo come mare dell’Europa, sua dotazione, quando
addirittura non “confine” d’Europa; ma ora forse dobbiamo ripensarlo, ma nello stesso
tempo si direbbe che una feroce geopolitica lo stia relegando a zona di separazione, di
potenziale conflitto, economico, militare, culturale, nel senso antropologico, religioni
Vedi tutti comprese. L’Europa diventata fortezza sta guardando e considerando il mare culla delle
civiltà, ormai soltanto come frontiera; e frontiera da rendere invalicabile. Più aumentano
i bisogni di incontro, più siamo disposti – noi europei – ad alzare steccati, muri, armare
NO ALL'OBIEZIONE
pattuglie di sorveglianza, istigare all’odio verso “quelli là”, incitare a sparare sui loro
barconi.
Segui la campagna:
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medici sono obiettori
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obiettori RODOTA'
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SPECIALI
Ritorno e considerazioni sul salone del gusto di
Torino
SBILANCIAMOCI
L’economia sommersa e il pareggio di bilancio
19 LUGLIO 1992
Rassegna stampa 5 dicembre 2012: il
commento di Vanna
ZEROVIOLENZADONNE.IT
Ilva, una madre a Napolitano "Presidente,
venga a vedere i nostri figli malati di cancro"
(Guido Ruotolo, La Stampa)
VIDEO
Ingroia, Camilleri, Travaglio,
Flores d'Arcais: "La mafia
ringrazia"
Gli interventi di Antonio Ingroia, Andrea Camilleri,
Marco Travaglio e Paolo Flores d'Arcais al dibattito
organizzato da MicroMega il 30 ottobre al Teatro
Ambra Garbatella a Roma.
I giorni di Giuda. L'ultimo
intervento di Paolo Borsellino
Il video integrale e il testo dell'ultimo intervento
pubblico del magistrato. Con questo commosso e
polemico discorso, pronunciato a Palermo il 25
giugno 1992 nel corso di una manifestazione
promossa da MicroMega, Borsellino rivelò a tutti il
clima di diffidenza e di isolamento che di fatto
condannò a morte Falcone.
DIBATTITO: ADDIO AL POSTMODERNO?
FERRARIS Perseverare è diabolico.
Dialettica del postmodernismo
ACOCELLA Neo-realismo e pensiero
debole: il punto di vista di un
economista MULA La cultura della
transizione VECA Né deboli né
positivisti ROVELLI Ebbene sì, la
Terra è rotonda TRAVERSA Le
Il Mediterraneo ormai ci appare soprattutto come una scacchiera di acque in cui nugoli
insidie nascoste nel "New Realism" PERAZZOLI
di profughi, sospinti da guerre, carestie, o semplicemente da una fame antica, tentano,
Tra postmoderno e metafisica FINKIELKRAUT
sfidando la sorte (che spesso infatti non perdona), di raggiungere dal Nordafrica e dal
Perchè il pensiero debole è sempre più
Medio Oriente, la mitizzata Europa, sognando non un futuro migliore, bensì soltanto un
debole GIAMETTA A proposito del New
futuro, una qualsiasi prospettiva di sopravvivenza.
Realism FERRARIO Veritatem facere VIANO
L'ossessione del potere TRINCIA Fatti e
Il risultato? Un aggravamento costante della legislazione dei Paesi europei che si
interpretazioni CARNEVALI Il fallimento del
affacciano su questo mare ai danni dei migranti, una politica che si riduce ad azioni di
progetto postmoderno DOCX Benvenuti
nell’era dell’autenticità MARTELLI Debolismo,
guerra contro i barconi malconci di questi disperati, dai “respingimenti” agli
nuovo realismo o scetticismo? SEVERINO
speronamenti: i risultati sono altra disperazione; e morte. Mare di morte, con i suoi
Nuovo realismo, vecchio dibattito FLORES
quasi ventimila cadaveri nella generale assoluta indifferenza: tanto fra gli abitanti dei
D'ARCAIS Per farla finita con il postmoderno
Paesi del Nord, tra i quali non mancano coloro che se ne rallegrano addirittura (a
cominciare da certi leader politici e commentatori), quanto quelli del Sud, che rassegnati BARBERIS La filosofia non abita più qui
D'AGOSTINI Che cosa c’è dietro il
piegano la testa, davanti a quei loro fratelli caduti nel tentativo di raggiungere il sogno.
nuovorealismo? FERRARA I postmodernisti si
Ma quel Sud, ossia il Maghreb, oggi si sta agitando: finora gli esiti delle cosiddette
sono pentiti, ma non sanno dove andare
“rivoluzioni” ancora in corso non sembrano esaltanti; anzi: forse hanno prodotto risultati
ARDOVINO La debolezza della convergenza
positivi per qualche aspetto, ma sovente hanno peggiorato la qualità della vita della gran
FERRARIS / VATTIMO L’addio al pensiero debole
massa di quelle popolazioni, senza raggiungere la conclamata “democrazia”
che divide i filosofi ROVATTI L'idolatria dei fatti
(naturalmente la nostra democrazia, che in realtà non se la passa tanto bene). Una
BOJANIC Perchè serve una prospettiva diversa
pretesa tanto più bizzarra, davanti ai segnali di tracollo del nostro sistema. Che rischia
LEGRENZI La visione che ci restituisce il mondo
di affondare proprio come i barconi dei migranti nelle rotte della speranza che si tramuta PELLIZZETTI Baruffe torinesi su favole e verità
in disperazione. Le immagini dei cadaveri sulla battigia non sono frequenti perché i morti
vengono gettati nelle acque del mare; ben più ricorrenti sono quelle dei volti nei quali si
mescolano paura e gioia, paura di quel che potrà essere il futuro, ma gioia per esser
giunti provati, affamati e disidratati alla meta, che quasi sempre è solo una tappa, e non
il posteggio finale.
Percorreremo le vecchie e nuove rotte dei disperati del mare; decifrando le novità, le
frontiere e le barriere erette contro di loro, costretti a sfidare la sorte ogni volta in modo
più pericoloso e con minori possibilità di riuscita. Quel mare che cosa sta diventando?
Proveremo anche a disegnare le mappe dei porti, le loro trasformazioni nel corso dei
millenni con l’ausilio di studiosi, di testi letterari e di immagini. Porti, vuol dire anche
marinai: uomini di carne ed ossa che oggi patiscono una delle forme peggiori dello
sfruttamento, condannati a una sorta di nuova schiavitù, esposti anch’essi a rischi e a
un destino senza certezze. Sono i Marinai perduti di cui aveva già parlato un autore che
ci è caro, Jean Claude Izzo, un marsigliese di origine italiana: tipico autore
mediterraneo, anzi uno dei più dolenti e affettuosi interpreti della mediterraneità.
Marinai, pirati di ieri e di oggi, “scafisti”; il Mediterraneo è anche un mare criminale, tra il
Kosovo e la Sicilia, la Calabria e la Tunisia… Ne discuteremo qui, convinti dei nessi
CIAO GIORGIO
Addio a Giorgio Bocca, partigiano
di verità giustizia e libertà
di Paolo Flores d’Arcais
GIORGIO BOCCA Basta con l'anti-antifascismo |
La sinistra delle regole | I misfatti del mercato
(globale) | I nemici della Resistenza preparano
che intercorrono tra orientamenti economici, investimenti industriali (nelle armi), scelte
politiche, povertà antiche e nuove, oppressione, repressione, e il gran proliferare di
forme diverse mutevoli di criminalità. E il rapporto tra i bisogni dei migranti e lo
sfruttamento che ne fa con grande cinismo la criminalità, è una chiave di volta
ineludibile per capire qualcosa di ciò che accade dentro o intorno al mare di mezzo.
Grandi organizzazioni o piccole imprese gestiscono il traffico di esseri umani, che
investono risparmi di una vita nel tentativo di raggiungere un luogo dove quella vita sia
davvero tale.
(globale) | I nemici della Resistenza preparano
un fascismo soft | Il dalemismo, malattia senile
del conformismo | La sinistra non può
attendere | D’Alema, impenitente gaffeur |
L'Arca | Lettera aperta a Luciano Violante
BOCCA / ROSSI DORIA Napoli fra degrado e
riscatto
MANIPOLAZIONI
Noi siamo soliti guardare a costoro come “quelli che arrivano”, invasori dei nostri spazi,
torta in faccia
preoccupandoci di salvaguardarne la “natura”, timorosi di inquinamenti e contaminazioni;
edoardo.baraldi ha postato una foto:
siamo convinti, a priori, che “loro”, quelli che riescono a farcela, ad oltrepassare il mare,
siano coloro che guadagnano, e noi quelli che perdono; forse dovremmo provare a
guardare dall’altra sponda del mare, a guardare con i loro occhi, con gli occhi di chi in
primo luogo deve affrontare il rischio di un viaggio che può essere senza ritorno, ossia
che ti conduce a morte, ma che può avere anche il rischio di un ritorno non desiderato,
il rientro forzato nei luoghi dai quali sei fuggito tentando di porti in salvo, con la tua
famiglia e le tue povere cose. Soprattutto non ci rendiamo conto di che cosa sia la ferita
dell’esilio, il trauma dell’abbandono, la tragedia dell’esodo. Oggi il Mediterraneo sta
sprecando i suoi millenni di bagaglio storico, riducendosi ad una sorta di enorme vasca
mortifera, un catino di speranze frustrate, di immani sofferenze, di corpi che nessuna
pietà può onorare. Un mare di morte, in sostanza. È questo dunque ancora il mare
nostrum?
E le rivoluzioni che hanno scosso il Nordafrica e il Vicino Oriente sono parte di questo
medesimo processo. Al di là delle cause interne, e al di là delle pesanti intromissioni di
potenze esterne, quel movimento di popoli è anche un richiamo alle responsabilità
dell’Europa ristretta nelle sue mura fortificate, con il mare Mediterraneo trasformato in
vallo protettivo. Mancano i coccodrilli, ma non ce n’è bisogno, in fondo: i migranti
muoiono nella traversata e se toccano terra, perdono dignità nei campi di internamento,
in attesa di essere rimandati indietro o di un’evasione che li disperderà tra le campagne
di Rosarno, i macelli del Belgio, le buie strade della periferia di grandi centri, dove
vendere il proprio corpo: sono i nuovi schiavi senza catene.
Erano mediterranei nell’agosto 1991 quei disperati che attraversarono l’Adriatico, per
giungere dalle coste di un’Albania appena liberatasi di uno stolto tiranno (per finire poi
nelle spire di criminalità mafiosa e malaffare) a quelle degli italiani brava gente. La nave
Vlora, fu il primo “barcone” di disperati e segnò l’inizio di una tragica epopea. L’Italia,
Paese storicamente di emigranti, con quei bastimenti che partivano “pe’ terr’ assai
luntane…”, era divenuta ufficialmente, di colpo, terra d’immigrazione. Quegli uomini
(circa 20.000 perlopiù giovani) ricordavano, e aggravavano il ricordo, di carichi umani
che le difficoltà o l’impossibilità della sopravvivenza in patria, spingevano lontano, ben
oltre le Colonne d’Ercole. Erano campani, veneti, calabresi, siciliani, piemontesi, che
piangevano, agitando bianchi fazzoletti, accalcati sul ponte, all’allontanarsi della nave
dalla banchina, e piangevano e si abbracciavano quando, un mese dopo, scorgendo
spuntare tra le nebbie dell’alba la Statua della Libertà o qualche indizio di terraferma.
Prevalse, allora, lo spirito dell’accoglienza: per di più quei disgraziati fuggivano dal
“comunismo”, il “dio che aveva fallito”, e dunque godevano di una certa simpatia
(Montanelli scrisse addirittura un’Ode per i nostri fratelli speciali). Il crollo del Muro era
avvenuto il 9 novembre 1989, mentre la dissoluzione dell’Urss era imminente. Era
cominciato il ventennio dei miracoli, quello che avrebbe dovuto portare pace, serenità e
benessere nel mondo; le cose avevano preso un’altra piega, con la Guerra del Golfo, la
prima di una serie infinita. Cessato lo scontro Est-Ovest, si definiva il contrasto NordSud. Il contrasto di cui il Mediterraneo divenne l’epicentro, e il luogo idoneo, per così
dire, per un redde rationem.
Ma in quel tempo ormai remoto, l’Italia fu travolta da una tempesta politica: crollo della
Prima Repubblica, autodissoluzione dei due partiti egemoni, trionfo dell’“antipolitica”. Gli
immigrati si moltiplicarono, e la nostra economia si modellò su manodopera a basso
costo, non garantita, per tutta una serie di lavori dai quali i nostri connazionali
rifuggivano: dalla raccolta della frutta alla pulizia delle strade o delle case. Le scuole in
declino videro rialzare le iscrizioni grazie a bimbi neri, gialli, caffellatte, o biondo-pallido
provenienti dall’Est. I migranti furono presto italiani a tutti gli effetti, tranne che per la
legge. E con l’ascesa al potere di una forza politica che pure esprimeva gli interessi di
zone del Paese dove più alto era il bisogno di immigrati, la politica dell’accoglienza
divenne politica del respingimento. Si disegnarono norme antigiuridiche (mentre si
alimentava la sindrome sicuritaria) che più volte incorsero in sanzioni dell’Unione
Europea; i Centri di accoglienza divennero Centri di detenzione, dove ogni legge fu
bandita, e a uomini in divisa fu concesso il permesso di sfogare le proprie frustrazioni
contro quelle che erano considerate “non persone”. Ed erano semplicemente, appunto, i
fratelli di un’altra sponda; geograficamente per quanto concerne un Paese come
l’Albania, ancora a Est, sul mero piano geografico, ma pieno Sud dal punto di vista
socioeconomico. E in ogni caso era sempre una storia che faceva centro, appunto, sul
Mediterraneo. Una storia che invano cerchiamo di trasformare in pratica di polizia, e
invece è bisognosa di robuste pratiche sociali, di cultura, di informazione, di pedagogia
di massa. Una educazione innanzi tutto linguistica. Si pensi a come specialmente in
Italia è cambiato il senso profondo della parola “clandestino”. In Italia che ha appunto
tentato di introdurre il reato di clandestinità, un vero e proprio mostro giuridico.
Come ho detto, attenzione particolare sarà riservata alla Grecia, sia quella remota, la
Madre Grecia d’Europa (verso la quale oggi i Paesi dell’Unione non sembrano essere
molto riconoscenti), sia quella di oggi, appunto, strangolata dai debiti, e sul punto della
Polillo: ''In Germania le aziende vanno meglio perché
la gente lavora''
La protesta continua
guerra civile, o forse già in piena guerra civile, con una emersione di gruppi neonazisti
che stanno lanciando terribili segnali al resto del Continente. E inquieta, come ci
racconteranno alcuni dei nostri ospiti, con parole e filmati, la connivenza tra forze
dell’ordine e il partito neonazista di Alba Dorata. Ancor più inquieta il fatto che anche la
Grecia, terra di emigranti stia applicando, sospinta da pulsioni xenofobe, una ideologia e
una pratica operativa inumana verso gli altri. Quelli che vengono da fuori. E non
troviamo particolari differenze tra i partiti al governo e i nazisti per ora all’opposizione,
se non nelle pratiche operative, che peraltro un uso violento della legge da parte delle
forze di polizia tende a cancellare.
Ma nel Festival, naturalmente, si parla del passato, delle sue diverse epoche, e non
soltanto dei tempi presente: accanto ai Greci della classicità, egizi, romani, bizantini,
arabi, in situazioni belliche e di pace, ma si guarda altresì verso le piazze e i mercati,
assaggiando il pane e la pasta e sorseggiando il vino: tre elementi essenziali, e
suggestivi, non solo della cucina mediterranea, ma della mediterraneità nel senso più
ampio e generale. Altrettante vie per evocare quello che questo grande mare, questa
enorme area geografica e sociale e culturale era e può ancora essere: luogo di incontri,
di formazione di civiltà, di scambi commerciali, di ibridazioni, anche di scontri, dai quali
però sempre nacquero altre civiltà o si svilupparono quelle esistenti. Le guerre di
religione finirono, ma sono riemerse dopo il crollo del Muro, quando con la favola della
“fine della storia” ci fecero credere che eravamo entrati nell’età felice di un mondo senza
conflitti. E poco dopo qualcuno, della stessa scuola, in fondo, giunse a teorizzare il
clash of civilizations, stabilendo anche, o meglio, ancora una volta, chi fossero i “buoni”
e chi i “cattivi”. Ne stiamo pagando ancora le conseguenze.
Tra evo antico, Medioevo, modernità e contemporaneità, il Mediterraneo, luogo
privilegiato del passaggio da un’età all’altra, fu sempre uno spazio comune (anche
quando i Greci e poi i Romani lo considerarono loro), dopo il crollo del Muro nel 1989, ha
visto il riemergere delle guerre di religione, e di conflitti che erano stati dichiarati finiti
per sempre, con un ottimismo insulso. E tutto questo oggi continua. Questa felice realtà
multiversa sembra aver rinunciato alla sua tradizione di centro di incontro (e scontro,
ma sempre foriero di sviluppi importanti, quasi sempre positivi) di culture, religioni,
economie, per diventare il vallo di una Europa fortezza. Oggi, esso è una barriera, e un
cimitero, il più grande di tutti i cimiteri, con i suoi ventimila cadaveri adagiati sui fondali.
I migranti – i “disperati del mare” – che nel corso dello scorso ventennio, non ce l’hanno
fatta. E il cui numero cresce di anno in anno.
Al Mediterraneo come esplorazione, sinonimo di scoperta, conoscenza dell’altro, mare
come ibridazione e quindi ricchezza, si sostituito un concetto divisorio e discriminatorio,
escludente e respingente una frontiera o addirittura una barriera d’acqua. Mobile, fluida e
sterminata dalla quale è difficile uscire vivi. Nel corso del 2011 sono morte in questo
mare oltre 1500 persone; nel ventennio alle nostre spalle le vittime sono tra 18 e
20.000. Sono dati che vengono non dagli Stati pure coinvolti, in senso attivo o passivo,
in questa strage degli innocenti: ma da associazioni private come la Caritas, Fortresse
Europe, MigrEurope.
Qualcuno potrebbe osservare, con malizia, che FESTIVALSTORIA non si limita a
ricostruire, e raccontare, ma pretende di dare un “messaggio”: ebbene, sì! Il messaggio
intendiamo darlo, ogni volta, fin dalla scelta del tema. In questo caso il messaggio è
chiaro a tutti, credo: è un messaggio che ci parla della importanza e della necessità
dell’incontro e non dello scontro, della comunicazione e dello scambio, non della
chiusura e dell’isolamento. Ma lo scopo fondamentale di questa manifestazione è altro,
ed è più largo e generale. Lo richiamo ad ogni edizione, e lo farò anche stavolta, citando
Etienne Balibar: «Parlare di cittadinanza imperfetta significa dire soprattutto che la
cittadinanza è una pratica e un processo, piuttosto che una forma stabile. Che essa è
sempre “in divenire”». Ebbene noi siamo convinti che per far progredire la cittadinanza,
portare avanti questo processo in senso positivo, la storia abbia un ruolo essenziale.
Che non si possa essere cittadini e cittadine attivi e responsabili senza la conoscenza
storica, e che solo essa sia in grado di fornire alle persone gli strumenti di decrittazione
del presente, cogliendo le continuità e le discontinuità con i fatti, le parole, i pensieri del
passato. Se la storia è maestra, e gli uomini sono cattivi allievi, tocca forse innanzi
tutto alla comunità degli studi farsi carico del problema, e lo potrà fare solo nella misura
in cui sia disponibile a fuoruscire dai luoghi canonici, dalle biblioteche e dalle aule
universitarie, dai laboratori di ricerca e dalle sale d’archivio; se sia disponibile a portare
“la storia in piazza”, e a felicemente contaminarsi con la piazza, appunto.
Io personalmente ci provo sempre, e invito i colleghi, gli allievi, i miei sodali culturali a
farlo a loro volta. Ho sempre coinvolto in ciascuna delle innumerevoli iniziative cui ho
dato vita nel corso degli anni, studiosi di nome e studiosi in formazione, ma anche
donne e uomini che non fanno della ricerca archivistica e bibliografica e
dell’insegnamento il loro mestiere principale. Sono convinto che da loro, gli accademici
(e, aggiungo, i politici di professione) abbiano tanto da apprendere. Lungi da me il
desiderio di fare una contrapposizione generazionale, ma sta di fatto che queste donne
e uomini sono dei giovani, di età che va dai 25 ai 40, circa. Giovani o ex giovani. Tutti
immersi nel gorgo della precarietà. Eppure entusiasti, competenti, desiderosi non solo di
conoscere ma di socializzare le loro conoscenze. Sono fotografi, cineasti,
fotogiornalisti, scrittori, reporter, musicisti, attori, scienziati sociali, letterati. Sono la
generazione Schengen; parlano e scrivono in almeno 4 lingue, si muovono con ogni
mezzo tra Europa, Mediterraneo, e continenti “extraeuropei”, imparando a rispettare le
culture degli altri; si nutrono delle letture più varie, dai classici al giornalismo
contemporaneo; si gettano temerariamente a capofitto in imprese e progetti, si recano in
luoghi impervi, in zone di guerra, quasi sempre senza copertura di un committente;
vanno allo sbaraglio, pagando di tasca propria, e solo talora riescono a “piazzare” i loro
prodotti, e ottengono qualche notorietà. Ma è grazie a loro, al loro lavoro nascosto,
all’impegno di questi sconosciuti al grande pubblico, che noi possiamo essere informati
su tanti aspetti, spesso i più tragici o disgustosi della contemporaneità. Altro che
ragazzi choosy, come ha detto una ministro torinese, recentemente in uno dei tanti
infortuni diciamo espressivi in cui è incappata (non è la sola, del resto!); o come ha
invece solo pochi giorni fa ha dichiarato un’altra donna ministro, stavolta spagnola, che
ha spiegato la fuga dei cervelli in termini di amore per l’avventura…
Grazie anche a loro, uno studioso professionale aduso più all’incontro con libri che agli
incontri con esseri umani in carne ed ossa, può fare un vero e proprio salto di qualità, e
restituire alla storia quel compito politico, quell’“ufficio civile” già teorizzato da
Benedetto Croce e oggi troppo sovente dimenticato, nel più generale silenzio degli
intellettuali (per servirsi della fortunata formula di Asor Rosa).
Mettendo insieme generazioni diverse, competenze diverse, provenienze diverse,
vogliamo col Festival, anche quest’anno, tentare di eccitare quel bisogno di sapere che
è nel cuore della pratica storiografica, quando non la si concepisca come mera
erudizione, o peggio, come puro accumulo di dati e date da sfoggiare in ogni occasione,
quasi per farne una barriera tra sé e gli altri. Così scriveva un giovane studente
universitario nella Torino del 1916. Si chiamava Antonio Gramsci, che invitava a
elaborare un altro tipo di cultura, fondata sulla responsabilità, e sull’autodisciplina, sulla
coscienza del proprio posto nel mondo, dei propri diritti e dei propri doveri. Era una
esortazione a una cultura autentica, insomma, capace di costruire una città migliore, la
città futura. È quello che cerchiamo di fare noi, con la modestia delle nostre capacità e
la povertà dei nostri mezzi: dare un aiuto alla costruzione di una città migliore.
(5 dicembre 2012)
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