Le lingue indoeuropee,Alimentazione dei nostri antenati, UNICIBO a

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Le lingue indoeuropee,Alimentazione dei nostri antenati, UNICIBO a
Le lingue indoeuropee
Il protoindoeuropeo fu sicuramente una lingua unitaria attorno
al 4500 a.C., poi si disgregò in dieci famiglie linguistiche,
delle quali una è l’italico, da cui derivò il latino,
ramificatosi nelle attuali lingue neo-latine: italiano, sardo,
ladino, portoghese, spagnolo, francese, romancio, rumeno.
Oltre all’italico, il protoindoeuropeo è la radice
linguistica comune anche di altri cinque gruppi linguistici
europei: celtico, greco, germanico, balto-slavo e albanese.
La ramificazione di una lingua madre in tante varietà
linguistiche, fu dovuta all’espansione della popolazione degli
indoeuropei in ondate successive. Sulla culla degli
indoeuropei, le teorie più accreditate sono due; quella
formulata da Colin Renfrew ne colloca la patria d’origine in
Anatolia, mentre quella di Marija Gimbutas colloca il punto di
partenza dell’espansione indoeuropea nelle steppe russoucraine. Recenti studi di archeogenetica di Luigi Luca
Cavalli-Sforza hanno portato ad affermare che anche i popoli
del Kurgan (steppe russo-ucraine) sono originari
dell’Anatolia, riconducendo pertanto a questa regione euroasiatica l’origine prima del popolo indoeuropeo.
Delle
dieci
famiglie
che
costituiscono la prima ramificazione del tronco linguistico
protoindoeuropeo, sei sono in Europa:
Italico, Celtico,
Greco, Germanico, Balto-slavo, Albanese; due sono extra-
europee: Indoiranico – di cui fa parte il Sanscrito indiano,
il Persiano iraniano, il Bengalese, l’Hindi – e l’Armeno; due
si sono estinte: Anatolico e Tocario). Delle due lingue
estinte, all’Anatolico apparteneva la lingua degli ittiti,
mentre il Tocario era parlato nel Bacino del Tarim, in Asia
Centrale, dove vi era l’antica Via della Seta.
Vediamo come si sono ramificate le altre cinque famiglie
europee, oltre all’Italico. Il gruppo linguistico celtico si è
distinto nel Bretone (Bretagna francese), nel Gallese (Galles
della Gran Bretagna), nel Gaelico scozzese e nel Gaelico
irlandese. La famiglia linguistica del Germanico si è
ramificata nel Norvegese, nell’Islandese, nel Danese, nello
Svedese, nel Faroese, nel Tedesco, nell’Olandese,
nell’Inglese, nel Frisone. Il gruppo linguistico Balto-slavo
si è distinto in quattro rami; lo Slavo-meridionale
comprendente lo Sloveno, il Serbocroato, il Bulgaro e il
Macedone; lo Slavo occidentale comprendente il Polacco, lo
Slovacco, il Ceco; lo Slavo orientale comprendente il Russo,
l’Ucraino e il Bielorusso; il Baltico comprendente il
Prussiano, il Lettone e il Lituano. La famiglia linguistica
dell’Albanese è, infine, poco ramificata e circoscritta.
In Europa, però, sono parlate anche lingue d’origine NON
indoeuropea, sono quattro: Basco (in Spagna), Ungherese,
Estone, Finlandese.
Attualmente parlano lingue indoeuropee quasi tre milioni di
persone nel mondo. Delle dieci lingue più parlate nel mondo,
solo tre non sono indoeuropee: il Cinese, il Giapponese e
l’Arabo.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
O. Pujol, L’origine degli Indoeuropei, su Storica NG nr. 92
M. Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea, Medusa,
San Giorgio a Cremano, 2010
Alimentazione
dei
nostri
antenati, UNICIBO a Bologna
Unicibo. Storia di cibo tra Paleolitico e Neolitico è una
mostra allestita al Museo di Antropologia di Bologna che ci
racconta i cambiamenti alimentari nel corso del tempo
attraverso una documentazione insolita: ossa e denti umani, in
cui si rilevano i segni del tipo di alimentazione e dei
disturbi ad essa associati durante la crescita.
Unicibo Bologna,
Antropologia
Museo
Unicibo ci mostra come ossa e denti del Paleolitico medio
(Neandertaliani di Krapina in Croazia) e superiore (Taforalt,
Marocco) e di Neolitici del territorio italiano gettino luce
su cambiamenti ecologici ed alimentari. Ossa e denti sono,
infatti, gli unici documenti che possono testimoniare la
storia dell’uomo che circa 10.000 anni fa attuò una grande
rivoluzione alimentare, giunta fino a noi: da cacciatoreraccoglitore e consumatore di cibo, l’uomo diventa
agricoltore, allevatore e produttore di cibo. E’ il confronto
della dentatura dei Neandertaliani (cacciatori-raccoglitori)
con quella dei successivi Neolitici (agricoltori) a
testimoniare che l’alimentazione di questi ultimi è diventata
più ricca di carboidrati, grazie alla coltivazione dei
cereali. I denti dei cacciatori-raccoglitori Neandertaliani
sono, infatti, privi di carie, di ascessi e di perdita di
denti in vita, contrariamente a quelli dei successivi
Neolitici.
Unicibo Museo
Antropologia
Bologna,
antiche
dentature
Gli studi sui Neandertaliani di Krapina (Croazia, 130.000 anni
fa)
Gli
studi
sui
denti
dei
Neandertaliani (Paleolitico) suggeriscono una dieta che
comportava forti sollecitazioni dell’apparato orale durante la
masticazione: carne cruda o poco cotta e vegetali poveri di
glucidi (carboidrati). Si è, infatti, rilevato che: il 50% dei
denti presenta tartaro compatibile con un alto consumo di
proteine (vegetali ed animali); quasi il 50% dei denti
presenta chipping (scheggiature o fratture del dente); i denti
anteriori sono un po’ più colpiti (63%) rispetto a quelli
posteriori (36%) che però presentano fratture molto evidenti.
Nessun dente posteriore presenta usura forte (forse in
relazione alla giovane età degli individui), contrariamente a
quelli anteriori, molto usurati. Pertanto, la presenza di
chipping in questi ultimi denti presuppone che fossero
utilizzati in attività premasticatorie (strappo e
frantumazione) o extra-masticatorie (denti come terza mano
nello svolgere attività quotidiane). L’abbondanza di fauna,
d’altra parte, suggerisce una caccia intensiva e la presenza
di tagli su ossa di diverse specie implica un alto consumo di
carne.
Unicibo,
Museo
di
Antropologia di Bologna
La transizione dal Paleolitico (Neandertaliani, cacciatoriraccoglitori) al Neolitico (agricoltori)
Da cacciatore-raccoglitore e consumatore di cibo l’uomo
primitivo diventa agricoltore, allevatore e produttore di
cibo. La transizione fu graduale, cioè non fu abbandonata una
dieta per l’altra, ma la nuova integrò la vecchia,
sperimentando le prime forme di agricoltura utilizzando le
piante selvatiche già ben note nel territorio. I nostri
antenati scoprirono che i semi di queste piante, se accumulati
e conservati, erano fonte di energia per l’anno successivo;
scoprirono che si potevano trasformare, macinandoli per fare
farine che, mischiate all’acqua, potevano anche essere cotte.
Gli animali selvatici che gravitavano intorno all’uomo vennero
posti in recinti ed addomesticati perché utili come guardiani
(il cane venne adottato dall’uomo forse già nel Paleolitico!),
per la carne e per produrre un nuovo alimento introdotto con
il Neolitico: il latte ed i suoi derivati. Nel Neolitico il
cibo è sempre più abbondante, le società sempre più
organizzate, più stratificate e la popolazione aumenta.
Unicibo, Museo Antropologia
di
Bologna,
pannello
esplicativo
Il successo della dieta del Neolitico (agricoltori, allevatori
e produttori di cibo)
Il Neolitico racconta una storia di profondi cambiamenti,
stanzialità e nuove forme sociali, nuovi rapporti con il
territorio e nuovi adattamenti. Il successo del Neolitico è
nei numeri: 125.000 persone si stima ci fossero sulla Terra
circa 1.000.000 di anni fa, 86.000.000 di persone c’erano
circa 6.000 anni fa ed oggi ne contiamo circa 7.000.000.000.
Il Museo di Antropologia, Anatomia comparata e Zoologia di
Bologna
Il Museo di Antropologia dell’Università di Bologna ci
racconta tutto questo con la mostra Unicibo, fino alla fine di
maggio 2016, attraverso l’esposizione di reperti originali,
corredati da pannelli e video sul tema.
La visita alla mostra Unicibo è l’occasione per visitare il
Sistema Museale di Ateneo di Bologna. Troverete anche la
sezione di Anatomia comparata con lo studio comparativo dei
denti delle varie specie e il Museo di Zoologia, uno dei più
importanti d’Italia, con una raccolta completa di animali
(imbalsamati) di ogni fattura e specie.
Cinzia Malaguti
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(Garisenda ed Asinelli)
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Homo
Naledi,
in
Sudafrica
ritrovati i resti di
nostro lontano antenato
un
La ricerca e lo studio dei ritrovamenti fossili che aiutano
l’umanità a conoscere la storia della sua evoluzione è materia
dei paleoantropologi. Una recente scoperta in una grotta in
Sudafrica aggiunge con Homo Naledi un tassello in questa
affascinante ricerca delle forme e della datazione del primo
essere che più ci assomiglia.
I resti fossili rinvenuti nella cavità di una grotta, chiamata
Rising Star in Sudafrica, sono stati 1550 appartenenti ad
almeno 15 individui diversi. Sono stati rinvenuti, in
particolare, porzioni di cranio, mandibole, costole, decine di
denti, un piede quasi completo, una mano con le ossa
praticamente intatte, minuscole ossa di un orecchio interno,
di adulti, giovani e anche neonati, questi ultimi riconosciuti
dalle vertebre piccole come ditali. A detta degli studiosi, è
stato eccezionale constatare che alcuni elementi scheletrici
sembravano sorprendentemente moderni, mentre altri erano
incredibilmente primitivi, in alcuni casi ancora più
scimmieschi di quelli degli australopitechi.
Homo Naledi, resti fossili
del cranio, Sudafrica
Nella ricostruzione dello scheletro di Homo Naledi si è potuto
appurare che spalle, anche e busto rimandano a specie molto
primitive, mentre la parte inferiore del corpo mostra tratti
più simili a quelli umani; cranio e denti hanno
caratteristiche miste, ma le dimensioni del cranio sono molto
piccole, quindi contenevano un cervello piccolo,
caratteristica primativa. Questo essere aveva alcune
caratteristiche umane ed altre primitive, in un mix la cui
datazione rivelerà molto sull’evoluzione della nostra specie.
Grotta Rising Star, sezione
della Sala Dinaledi dove
sono stati trovati i resti
fossili di Homo Naledi
Il ritrovamento nel Rising Star è avvenuto quasi per caso,
comunque grazie a due speleologhi amatoriali, Steven Tucker e
Rick Hunter che, nell’esplorazione della grotta si sono
imbattuti nella vista di “strane” ossa; avvisato il
paleoantropologo americano Lee Berger, questi ha subito
intuito che la scoperta era rilevante e si è messo in moto per
recuperare i reperti fossili. Siccome si trovano in una cavità
raggiungibile attraverso stretti cunicoli, ha dovuto
selezionare persone qualificate, ma anche piccole ed magre;
delle 60 candidate ne sono state prescelte 6 che hanno dovuto
lavorare in spazi davvero angusti, ma quando c’è la passione,
non c’è strettoia che tenga!
Tutti gli studiosi sono ormai concordi nel collocare il nostro
capostipite tra due milioni e tre milioni di anni fa, finora
si pensava ad una evoluzione lineare dove Homo Habilis sarebbe
l’umanoide più vicino a noi, almeno rispetto ai ritrovamenti
fossili. Con Homo Naledi forse dovremmo cambiare idea.
Mentre sono in corso gli studi sulla datazione dei reperti di
Homo Naledi, Lee Berger, il paleoantropologo americano che ha
diretto le ricerche, sta pensando seriamente alla possibilità
che l’evoluzione umana abbia seguito un percorso meno
lineare. Berger ritiene, infatti, che i vari tipi di ominidi
che popolavano i paesaggi africani, culla dell’umanità, devono
essersi evoluti da un antenato comune, ma più avanti nel corso
della storia devono essersi incrociati di nuovo, come
sembrerebbe dimostrare quel mix di caratteristiche primitive
ed umane riscontrate in Homo Naledi. Gli studi e le ricerche
proseguono.
Cinzia Malaguti
Fonte:
National Geographic, ottobre 2015