Prof.ssa Elena Cenderelli

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Prof.ssa Elena Cenderelli
La finanza etica
Si tratta di un settore della finanza relativamente recente ma in costante
evoluzione, che soprattutto in questi ultimi anni ha conosciuto una vera e propria
crescita esponenziale.
Il principio da cui nasce tutto il movimento sta proprio nell’aggettivo “etica”, che
vuole enfatizzare l’uso responsabile del denaro, nel pieno rispetto dell’uomo e
dell’ambiente, perseguendo come obiettivi non solo e non sempre il profitto
economico bensì un benessere diffuso ed equo, che coinvolga il maggior numero
di persone possibile.
I profondi cambiamenti prodotti dalla globalizzazione nello stile di vita delle
persone hanno accentuato il divario economico fra le popolazioni povere e quelle
ricche del pianeta e nei paesi cosiddetti ricchi ha creato nuove sacche di povertà.
Per superare quest’emergenza si va sviluppando una nuova concezione
dell’economia e della finanza, in grado di ascoltare e cogliere le esigenze di un
gran numero di individui che la finanza tradizionale difficilmente può soddisfare.
La finanza etica ha quindi come interlocutori quei soggetti normalmente esclusi
dal credito dei tradizionali circuiti bancari, perché privi delle caratteristiche
economico-patrimoniali generalmente richieste nell’erogazione di un prestito.
Per capire l’entità del problema e quindi la necessità di valorizzare questo nuovo
modo di fare finanza, basti pensare che i poveri del pianeta, stimati in un
miliardo e 200 milioni, ottengono appena lo 0,2% del credito mondiale a fronte
dell’1% del risparmio mondiale. Inoltre, il sempre più marcato processo di
finanziarizzazione delle attività ha reso meno diretto e quindi meno efficace il
meccanismo di finanziamento dell’economia reale rispetto a quella finanziaria.
Parlare di finanza etica non vuol dire peraltro parlare di attività destinate al
fallimento economico, bensì di un sistema che, pur producendo risultati
economicamente soddisfacenti, punta all’obiettivo del benessere comune.
Partendo proprio da queste problematiche, già una trentina di anni fa è iniziato un
percorso nuovo di fare banca, evidenziando che la finanza può avere un’anima,
riformando rispetto alla finanza tradizionale i termini di riferimento, ponendo
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perciò l’attenzione sulla persona, l’idea e l’equa remunerazione. La finanza
eticamente orientata tende a coniugare il profitto economico con lo sviluppo
umano ed il valore aggiunto ambientale e sociale.
Il gestore etico nella sua operatività agisce nel rispetto di alcuni principi:
trasparenza, partecipazione, eticità degli impieghi, nominatività del rapporto ed
autodeterminazione del tasso.
Si tratta di concetti completamente nuovi rispetto al funzionamento del sistema
bancario tradizionale, perché modificano radicalmente il rapporto esistente tra
ente erogatore e soggetto finanziato.
Cambiano i presupposti. Da un lato, aumentano la partecipazione e la
consapevolezza del risparmiatore e del richiedente il prestito in ordine,
rispettivamente, agli impieghi del denaro e alle ricadute sociali ed ambientali
dell’utilizzo delle risorse ottenute. Dall’altro lato, cambiano la filosofia ed i
criteri di valutazione che guidano le scelte del Gestore Etico, il cui obiettivo è
quello di finanziare solo iniziative e progetti eticamente meritevoli.
In altre parole, la finanza etica partendo dal presupposto di un uso responsabile
del denaro indirizza il risparmio al finanziamento di iniziative sociali ed
economiche, volte a favorire uno sviluppo umano ed ambientale sostenibile e con
una ricaduta positiva sul territorio. Eroga finanziamenti a soggetti che vogliono
sviluppare progetti economicamente sostenibili e socialmente importanti, ma che
non sono considerati dal sistema bancario tradizionale, mancando come già detto
dei requisiti preliminari per l’accesso al credito bancario.
È bene ricordare che la popolazione mondiale si suddivide in un terzo che non
può essere né consumatore né produttore, un terzo che lavora in condizioni
fortemente disagiate, e soprattutto sottopagato, per consentire all’altro terzo della
popolazione di vivere bene. Queste disparità sono destinate ad aumentare se non
si deciderà di invertire la rotta ed in questa realtà il risparmio può avere
l’importante funzione di volano dell’economia e può essere lo strumento per
raggiungere un più alto grado di benessere per tutti.
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La proposta della finanza etica di ripartire da un uso più consapevole del denaro
ha origini anche da queste valutazioni sull’evoluzione del ruolo del risparmio
negli anni, caratterizzata dal fenomeno della finanziarizzazione.
Quest’ultimo rappresenta ormai un aspetto significativo e non più trascurabile
della globalizzazione ed è opportuno analizzarlo proprio in virtù delle sue
ricadute sociali oltre che economiche.
Sarebbe sbagliato ritenere la globalizzazione un fenomeno esclusivamente
economico, inteso semplicemente come la tendenza dell’economia ad assumere
una dimensione mondiale. Esso è molto di più: si tratta di un fenomeno che porta
ad una integrazione sempre crescente a livello economico, politico e socioculturale e che rende la popolazione mondiale sempre più interconnessa,
interdipendente ed influenzata da accadimenti che, pur verificandosi in zone
spesso molto lontane, producono conseguenze anche dall’altra parte del mondo.
Questo processo di integrazione negli anni è stato fortemente favorito dalla
riduzione dei costi di trasporto, dall’uso di tecnologie sempre più avanzate e dalle
comunicazioni sempre più veloci ed a basso costo.
La globalizzazione, se adeguatamente indirizzata, è in grado di offrire grandi
opportunità a milioni di individui. Sulla carta possediamo gli strumenti necessari
per accrescere il progresso, sradicare la povertà e migliorare la qualità della vita
di tutti i cittadini a livello mondiale. Ma questo processo di apertura e di
interdipendenza prodotto dalla globalizzazione per ottenere i suoi frutti richiede
valori condivisi e soprattutto un impegno congiunto, sia da parte dei paesi ricchi
che di quelli poveri, per favorire lo sviluppo umano ed economico di tutti gli
individui. L’auspicio per i prossimi decenni è che si possa realizzare una
globalizzazione dal volto umano, che operi principalmente a favore delle persone
e non solo per il raggiungimento del profitto; per ottenere tutto ciò è necessario
che essa si coniughi con l’equità, l’etica, la sostenibilità, lo sviluppo e
l’inclusione.
In altre parole, le tante opportunità della globalizzazione sono distribuite in
maniera non uniforme fra le varie aree del mondo, comportando pertanto anche
al momento conseguenze negative. In molti paesi la crescita del PIL mette in
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evidenza una crescente ricchezza, con aumento del reddito e della propensione al
risparmio. In questi contesti tuttavia i problemi ambientali si stanno facendo
sentire in maniera sempre più preoccupante e la qualità della vita nei grandi
aggregati urbani sta progressivamente peggiorando. Nel mondo i poveri e i
soggetti non bancabili, vale a dire le persone escluse dal circuito bancario
tradizionale, invece di diminuire aumentano, ed i numeri lo confermano.
Basti pensare che nel mondo tre miliardi di persone vivono con meno di tre
dollari al giorno.
Studi della Banca Mondiale hanno messo in evidenza come la povertà in alcune
zone del mondo si sia ridotta (per esempio l’Asia), ma in altre zone (come
l’Africa Sub-sahariana) questo fenomeno si sia accentuato, segnale di un
disequilibrio sempre più marcato, tant’è che negli ultimi 30 anni la ricchezza
mondiale posseduta dal 20% degli individui è passata dal 70 all’85%.
Da questi dati emerge una realtà nella quale i problemi si stanno aggravando
sempre di più: stiamo assistendo ormai da decenni ad un progressivo
impoverimento delle popolazioni del Sud del mondo e le disuguaglianze tra paesi
ricchi e paesi poveri, come all’interno degli stessi paesi ricchi, si sono
inesorabilmente acuite, i danni all’ambiente sono diventati incalcolabili, i diritti
umani vengono sistematicamente violati e sempre più forte e sentito è diventato
il problema della migrazione dei popoli.
Tra le varie problematiche che la globalizzazione implica, qui intendiamo porre
la nostra attenzione su un aspetto in particolare: la povertà.
Al di là dei diversi concetti di povertà – assoluta o relativa – preme evidenziare
come oggi il fenomeno dell’impoverimento viene a coincidere con l’esclusione
totale dall’economia reale senza possibilità di cambiamento e di reintegrazione
nei meccanismi economici. Spesso si è ritenuto che i problemi di povertà e di
esclusione sociale riguardassero solo i paesi del Terzo Mondo; in verità questi
fenomeni sono visibili anche nei paesi industrializzati, ovviamente non con gli
stessi numeri disastrosi che siamo abituati a conoscere per i paesi in via di
sviluppo. Anche nelle aree più sviluppate infatti il fenomeno dell’esclusione
sociale dai meccanismi economici e finanziari sta dilagando ed il sistema
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economico non è più in grado di garantire a tutti un livello di sussistenza
adeguato: siamo di fronte a segnali di disoccupazione ancora preoccupante, i
salari manifestano potere di acquisto più contenuti, aumentando il numero delle
persone al limite della soglia della povertà. I soggetti esclusi, soprattutto nel Sud
del mondo, hanno salari molto bassi e non hanno la possibilità di entrare in
possesso di quei capitali che potrebbero consentire loro lo svolgimento di attività
tese al miglioramento delle loro condizioni di vita. Per queste persone la Banca
Mondiale prevede interventi di tipo assistenziale e a sostegno dell’istruzione,
escludendo altre forme di aiuti.
Proprio per cercare di arginare simili meccanismi è nata la Grameen Bank,
operante in Bangladesh, che offre finanziamenti di modeste entità a coloro che il
sistema bancario tradizionale esclude; in questa prospettiva devono anche essere
inserite tutte le iniziative che attengono alla finanza etica e al microcredito, nel
Sud come nel Nord del mondo.
Molte delle esperienze di finanza alternativa, come quella che ha portato alla
nascita della Grameen Bank, sono nate proprio quando i fenomeni di
impoverimento e di esclusione sociale ed economica sono diventati più vistosi e
pesanti.
La finanza etica può creare quelle condizioni di base per uno sviluppo che sia
allo stesso tempo etico ed economico; è nata con l’idea di utilizzare il denaro non
per fini utilitaristici, ma nell’ottica di produrre benessere per la collettività e
quindi con una ricaduta positiva degli investimenti sulla società civile.
La finanza etica non è quindi una finanza altra, ma è sicuramente una finanza
diversa e si pone come un’alternativa alla finanza tradizionale. Essa, però, vuole
operare all’interno del sistema e non porsi al di fuori: non ripudia quelli che sono
i meccanismi e gli strumenti della finanza tradizionale, ossia la raccolta, il
prestito e l’intermediazione, ma differisce per i valori che sono alla base del suo
operare. Ciò che distingue nettamente la finanza etica da quella tradizionale è lo
scopo perseguito, che è il benessere della collettività e non l’arricchimento
personale, realizzato attraverso attività speculative fini a se stesse. È una finanza
che mette al primo posto l’uomo e non il profitto, che presta attenzione alle idee
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e non ai capitali, che è interessata ad un’equa remunerazione degli investimenti e
soprattutto alle loro conseguenze socio-ambientali e non al mero profitto che un
investimento può generare. I parametri di riferimento della finanza etica sono
dunque, oltre al rischio e al rendimento, anche l’impatto sull’economia reale.
Essa tenta di modificare i comportamenti “finanziari” in senso più sociale e cerca
di finanziare tutte quelle attività che si muovono in un’ottica di sviluppo
umanamente ed ecologicamente sostenibile.
Quando un intermediario finanziario etico va a finanziare un investimento, deve
valutare, come un qualsiasi intermediario finanziario tradizionale, tanto il
rendimento che matura dall’investimento quanto il rischio connesso, ma effettua
una valutazione ulteriore, che è esclusiva di questa tipologia di intermediari:
valuta l’impatto che l’investimento può avere sull’economia reale. In quest’ottica
la finanza etica mira ad una rivoluzione culturale: vuole modificare i
comportamenti dei risparmiatori in un senso più sociale, ossia vuol fare capire
che è possibile un uso responsabile e trasparente del denaro e, proprio per questo
motivo, cerca di finanziare tutte quelle realtà che operano nell’ottica di uno
sviluppo sostenibile sia per l’uomo sia per l’ambiente.
Da questa impostazione deriva che la finanza etica si basa sulla stretta
collaborazione e solidarietà, favorendo l’inclusione e non l’esclusione; opera
perché il profitto derivi dal finanziamento di attività volte al raggiungimento del
bene collettivo e sia equamente distribuito tra quanti partecipano alla sua
realizzazione; presta particolare attenzione alle conseguenze non economiche
delle azioni economiche, per questo motivo è molto attenta alle possibili
ripercussioni degli investimenti sul territorio e sull’ambiente; favorisce la
distribuzione della ricchezza; utilizza il denaro per finanziare progetti di utilità
sociale, in particolare il denaro viene visto come mezzo e non come fine, come
una forza di costruzione e non di distruzione.
La finanza etica si sviluppa su due fronti. Il primo che riguarda il risparmio e
quindi la selezione di scelte di investimento che rispondano al requisito di eticità,
così come definito dal manifesto della finanza etica. Il secondo che concerne le
caratteristiche dei finanziamenti erogati.
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Con riferimento al primo aspetto, gli strumenti a disposizione dell’investimento
del risparmio sono i cosiddetti fondi comuni di investimento socialmente
responsabili, che possiamo far risalire all’incirca all’inizio degli anni ’70 nei
paesi anglosassoni. Pur non entrando nel merito dell’evoluzione di questi fondi,
attualmente possiamo identificarli come fondi che selezionano le imprese su cui
investire in base ad un complesso set di indicatori socio-ambientali coordinati a
criteri di esclusione e che prevedono la costituzione di un comitato tecnico
scientifico preposto all’analisi della società da finanziare. Alla base di queste
scelte vi è la necessità di creare nuove canali di comunicazione attraverso
strumenti quali il bilancio sociale, il codice etico e il rapporto ambientale.
Smentendo l’idea che queste attività finanziarie possano essere di interesse
esclusivo dei paesi in via di sviluppo, va precisato che il mercato
dell’investimento socialmente responsabile è proprio dei paesi anglosassoni e che
le forme più evolute di investimento etico (shareholders activism) si osservano
nei mercati più evoluti, soprattutto negli Stati Uniti. In ordine di importanza
osserviamo che i mercati coinvolti in questo tipo di attività sono il NordAmerica,
l’Inghilterra e a seguire Francia, Germania e paesi del nord Europa. In Italia
l’investimento socialmente responsabile è una realtà molto recente, a causa non
tanto della scarsa sensibilità per le tematiche etiche, ma piuttosto della
limitatezza dell’offerta di strumenti finanziari che ha caratterizzato fino ad un
recente passato il nostro sistema bancario.
Nel nostro paese i fondi socialmente responsabili possono essere suddivisi in 3
categorie: fondi con finalità umanitarie, fondi che attuano una gestione etica e
fondi verdi.
La loro collocazione sul mercato avviene attraverso la rete bancaria tradizionale
ad eccezione di un solo operatore specializzato che opera nel completo rispetto
del concetto di attività bancaria, che è la Banca Etica. Nella stragrande
maggioranza dei casi quindi trattasi per l’Italia di offerta di strumenti finanziari
rispondenti alle caratteristiche di eticità da parte di banche tradizionali che in tal
modo possono raggiungere segmenti di mercato diversi rispetto alla clientela
tradizionale. Va sottolineato che le analisi svolte a livello internazionale
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evidenziano che questa tipologia di clientela rientra nella fascia culturalmente più
evoluta con buone se non ottime conoscenze di tipo finanziario. Inoltre, i giovani
dimostrano di essere più sensibili alle tematiche in questione.
Relativamente al secondo fronte su cui agisce la finanza etica e cioè i
finanziamenti, intervengono le banche etiche, che sono istituzioni finanziarie,
operanti nel Sud come nel Nord del mondo, volte a favorire l’accesso al credito
da parte delle fasce più deboli delle popolazioni e che, nello svolgimento delle
loro attività, adottano criteri di responsabilità sociale ed ambientale.
Primo esempio nel mondo è stata, come abbiamo già detto, la Grameen Bank,
nata in Bangladesh per iniziativa del professore universitario dell’Università di
Dhaka, Muhammad Yunus, colpito dal fatto che mentre insegnava all’università
eleganti teorie economiche, la gente moriva di fame per strada. Correva l’anno
1974, anno in cui si verificò una terribile carestia e Yunus, profondamente scosso
dall’avvenimento, decise di iniziare a prestare denaro ai poveri. Il tipo di prestito
che caratterizza da sempre l’attività della Grameen Bank ha preso il nome di
microcredito. Quest’ultimo è un piccolo fondo rotativo che viene erogato ad un
gruppo di persone, generalmente cinque, che si assumono la responsabilità dei
prestiti erogati ad ogni membro del gruppo, quindi una responsabilità solidale,
nel senso che le garanzie prestate consistono nell’impegno prevalentemente
morale alla restituzione delle altre persone facenti parte del gruppo. Il prestito
non è erogato contemporaneamente a tutti i membri del gruppo, ma si procede
inizialmente con i primi due componenti, tipicamente i più poveri; se questi
rimborsano la somma prestata nei tempi stabiliti, la banca procede all’erogazione
del credito agli altri componenti del gruppo. Se tutti i componenti restituiscono i
prestiti concessi, potranno accedere ad un nuovo prestito di ammontare superiore
al precedente.
La Grameen Bank, divenuta operativa nel 1976, è una banca profondamente
diversa rispetto ad altre realtà bancarie di tipo tradizionale, perché si pone
l’obiettivo di concedere credito solo ai poveri ed in particolare alle donne.
L’operatività di questa banca muove dall’idea assolutamente nuova del suo
fondatore di considerare il credito come un fondamentale diritto umano. La
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Grameen Bank rappresenta un esempio di successo di come si possano finanziare
micro-attività in un contesto di sottosviluppo ed ha l’enorme merito di aver fatto
comprendere che i poveri sono soggetti bancabili e che è possibile, attraverso la
metodologia del microcredito, migliorare le loro condizioni di vita e consentire a
molti di loro di uscire dalla povertà.
Nonostante le difficoltà iniziali incontrate, il progetto sperimentale di
microcredito che diede il via all’esperienza della Grameen Bank poté partire e
sotto la guida dell’ideatore iniziò un’opera di sensibilizzazione verso i poveri per
convincerli che la banca avrebbe offerto loro l’opportunità di liberarsi dal giogo
dell’usura e della povertà.
Nella selezione dei suoi clienti la Grameen Bank mostra tutta la sua innovazione:
il requisito fondamentale di accesso ai prestiti è non possedere della terra o
comunque possederne talmente poca da non riuscire a trarne sostentamento;
attraverso questo criterio di selezione, la scelta della Grameen Bank è ricaduta
sui poveri che vivono nelle zone rurali del paese, rivolgendosi al 20% più povero
di quel 35% della popolazione che in Bangladesh si trova al di sotto della soglia
della povertà, ed in particolare sulle donne quali interlocutrici privilegiate.
La scelta delle donne come principali beneficiarie dei prestiti non è affatto
casuale: ci sono ragioni di tipo pratico e di tipo sociale. Nelle società arretrate dei
paesi in via di sviluppo, come in quella bengalese, le donne rappresentano i
soggetti più deboli, solitamente prive di diritti civili, analfabete e sottomesse
prima alla volontà dei padri poi a quella dei mariti.
In Bangladesh, tanto nelle città quanto nelle zone rurali, esse sono spesso oggetto
di violenze e rappresentano sia dal punto di vista sociale che da quello
economico l’anello debole, anche a causa di un contesto sociale che ne perpetua
la dipendenza economica e la subordinazione psicologica; in contesti in cui la
povertà e le precarie condizioni di vita accrescono ancora di più le difficoltà del
vivere quotidiano, la donna diventa il capro espiatorio di ogni frustrazione e se in
una famiglia qualcuno deve patire la fame, questa sarà sicuramente la donna, che
viene vista come un peso e come una bocca in più da sfamare. Il Bangladesh è un
paese in cui la vulnerabilità, la sottomissione all’uomo e la dipendenza
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economica sono insite nella vita della donna e la violenza stessa è vista come
parte integrante della vita quotidiana, per cui è difficile rendere le donne
consapevoli della propria situazione e far capire loro che la situazione può essere
diversa, perché esse dimostrano ad un primo approccio molta diffidenza ed anche
paura di eventuali ritorsioni da parte della famiglia.
Questi sono i motivi socio-culturali che hanno spinto la Grameen Bank a
scegliere le donne con l’intento di aiutarle ad inserirsi all’interno della comunità,
far comprendere in primo luogo a loro stesse il proprio valore, per poi
dimostrarlo agli uomini ed alla società.
Passiamo ora ai motivi pratici: le donne hanno una maggiore propensione al
risparmio ed una maggiore capacità di adattamento, sono considerate più
responsabili nella restituzione del prestito e più puntuali nei pagamenti, sono più
lungimiranti e pragmatiche degli uomini per cui riescono a far fruttare meglio le
attività che mettono in campo. Inoltre, quando il finanziamento passa tra le loro
mani, diventa strumento di sviluppo sociale e porta a cambiamenti più rapidi ed
incisivi rispetto a quando viene gestito dagli uomini; i maggiori benefici si
verificano in seno alla famiglia dove le donne, dato che si occupano della
gestione della casa e dell’educazione dei figli, non spendono il denaro ottenuto
per uso personale ma lo impiegano per migliorare le condizioni dell’intera
famiglia, ad esempio per apportare delle migliorie alla casa o per garantire
un’istruzione ai figli.
Le attività che i poveri intraprendono grazie ai finanziamenti così ottenuti sono
forme di auto-impiego, percepite come l’unica forma di sopravvivenza per intere
famiglie e rientranti nel cosiddetto “settore informale”, anche perché in paesi
come il Bangladesh solo un terzo della popolazione riesce ad ottenere un lavoro
salariato. In effetti, per uscire da questo circolo vizioso, è il lavoro autonomo che,
se supportato dal credito, riesce a produrre maggiori opportunità per favorire
questo processo di miglioramento.
La Grameen Bank dunque non è solo una banca, ma è anche un progetto
culturale volto a favorire lo sviluppo, non solo economico, dei poveri e delle
comunità rurali.
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Oltre ad incoraggiare l’attività economica attraverso la concessione di
finanziamenti, essa svolge un’opera educativa e di sensibilizzazione delle
persone, incoraggiandole a prendere coscienza della propria condizione e
spronandole a migliorarla. Per fare questo si avvale delle cosiddette Sedici
Risoluzioni, una serie di regole pratiche e di comportamento che, se applicate,
possono trasformare radicalmente il proprio modo di condurre la vita a favore
dell’adozione di un nuovo modello in cui valori quali la salute, l’igiene, la
nutrizione, l’importanza dell’istruzione e della pianificazione familiare, il lavoro
e il reciproco rispetto assumono una grande importanza.
È interessante analizzare dunque i punti di forza che hanno consentito il successo
di questa iniziativa.
La scelta della clientela che, pur caratterizzata da assoluta povertà, manifesti un
potenziale della persona di assoluto interesse.
La vicinanza della banca alla propria clientela attraverso un’attenta selezione
della formazione del suo personale e con un approccio della banca verso il
cliente.
Ancora, il rapporto stretto ma informale che la banca crea con il cliente
rispettando in pieno i diritti della persona ed i suoi bisogni.
Infine, l’accesso alle fonti di finanziamento da parte della banca attraverso il
ricorso a crediti agevolati ottenuti dalla Banca Centrale del Bangladesh, da altre
banche occidentali, da donazioni da parte di governi, da fondazioni e enti di
beneficienza che hanno appieno sposato il percorso studiato dal fondatore.
A dimostrazione della validità dell’iniziativa va riportato che nei 20 anni circa di
operatività della banca 6 milioni e mezzo di abitanti del Bangladesh sono usciti
dalla povertà grazie all’erogazione di microprestiti, e che è stata favorita la
diffusione del microcredito in altri 60 paesi sparsi nel mondo, salvando dalla
miseria oltre 40 milioni di persone.
Nonostante quindi l’entità modesta dei prestiti erogati, questi ultimi hanno
permesso di innescare un circolo virtuoso di sviluppo anche in condizioni di
estrema povertà: l’accesso al credito ha generato investimenti produttivi di
reddito (i soggetti beneficiari di credito vedono accrescere in media il proprio
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reddito del 58% nei due anni successivi secondo uno studio della Banca centrale
del Bangladesh) che a sua volta ha generato risparmio attraverso cui vengono
ripagati i debiti e vengono favoriti nuovi investimenti.
Ovvio, tutto ciò ha prodotto effetti positivi anche sul livello di alfabetizzazione e
di istruzione, sulle condizioni igienico-sanitarie, sul miglioramento delle
condizioni alimentari, sul diverso status sociale e sul diverso potere contrattuale
delle donne non solo all’interno della famiglia ma anche nella società.
I risultati della Grameen Bank si commentano da soli; va però precisato che il
suo successo è dovuto ad una serie di elementi che hanno rappresentato i suoi
punti di forza come l’attenzione all’uomo, la scelta della clientela e le procedure
di selezione di questa, le modalità di rimborso, che prevedono la restituzione dei
prestiti con scadenze brevi e con rate molto piccole, la creazione di una struttura
organizzativa che permette di svolgere un’attività di controllo tra i membri, una
forma di garanzia sociale che supplisce la mancanza di garanzie patrimoniali per
la restituzione del finanziamento ed il rafforzamento delle relazioni sociali
esistenti tra i membri dei gruppi.
Ad ulteriore conferma vanno ricordate le iniziative in altri paesi, come per
esempio gli Stati Uniti nei ghetti di Chicago o in Norvegia nelle regioni del
circolo polare che, traendo spunto dall’iniziativa di Yunus, hanno sperimentato
iniziative di microcredito volte a fornire aiuto ai più poveri.
Va appena ricordato che Yunus ha ottenuto il premio Nobel per la pace nel 2006
per l’impegno diretto a promuovere lo sviluppo economico-sociale partendo dal
basso.
Lo sviluppo di questo nuovo approccio ha portato alla costituzione di banche
etiche anche nel nord del mondo.
In particolare, per quanto riguarda l’Europa ricordiamo la Oecobank con sede a
Francoforte, la Triados Bank olandese, la Banca alternativa svizzera e infine la
Banca Etica in Italia.
A conferma dell’importanza del tema in questione vorrei chiudere con quanto
espresso da Sua Santità Giovanni Paolo II in un messaggio per la celebrazione
della Giornata mondiale della pace il 1° gennaio 1998.
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“Vi sono altre forme di ingiustizia che mettono a rischio la pace. Desidero
ricordare innanzitutto l'assenza di mezzi per accedere equamente al credito. I
poveri sono tante volte costretti a restare fuori dai normali circuiti economici o a
mettersi nelle mani di trafficanti di denaro senza scrupoli che esigono interessi
esorbitanti, con il risultato finale del peggioramento di una situazione già di per
sé precaria. Per questo, è dovere di tutti impegnarsi perché ad essi sia reso
possibile l'accesso al credito in termini equi e con interessi favorevoli. Per la
verità in diverse parti del mondo già esistono istituzioni finanziarie che praticano
il microcredito a condizioni di favore per chi ne ha bisogno. Sono iniziative da
incoraggiare, perché é su questa strada che si può giungere a stroncare alle radici
la vergognosa piaga dell'usura, facendo in modo che i mezzi economici necessari
per lo sviluppo dignitoso delle famiglie e delle comunità siano accessibili a tutti”.
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Le Sedici Risoluzioni della Grammen Bank
1. Rispetteremo e applicheremo i quattro principi della Banca Grameen:
disciplina, unità, coraggio e impegno costante in tutti gli ambiti della
nostra esistenza.
2. Porteremo la prosperità nelle nostre famiglie.
3. Non vivremo in case diroccate. Ripareremo le nostre case e cercheremo
quanto prima di costruirne di nuove.
4. Coltiveremo ortaggi tutto l’anno. Molti ne mangeremo, e venderemo
quello che ci resta.
5. Durante il periodo del trapianto, metteremo a dimora quanti più germogli
possibili.
6. Faremo in modo di non avere troppi figli. Limiteremo le nostre spese. Ci
cureremo della nostra salute.
7. Educheremo i nostri figli, e lavoreremo per aver modo di provvedere alla
loro istruzione.
8. Sorveglieremo la pulizia dei nostri figli e dell’ambiente in cui viviamo.
9. Costruiremo e useremo le fosse biologiche.
10. Berremo l’acqua dei pozzi profondi. Se non ne avremo la bolliremo o la
disinfetteremo con l’allume.
11. Non chiederemo una dote per il matrimonio di nostro figlio, né pagheremo
una dote per il matrimonio di nostra figlia. Faremo sì che i nostri centri
non siano afflitti da questa calamità. Rifiuteremo la pratica del matrimonio
tra bambini.
12. Non commetteremo ingiustizie e ci opporremo a che altri le commettano.
13. Investiremo collettivamente al fine di aumentare i nostri redditi.
14. Saremo sempre pronti ad aiutarci reciprocamente. Se qualcuno è in
difficoltà ci mobiliteremo in suo aiuto.
15. Se apprendiamo che in un centro si contravviene alla disciplina,
interverremo personalmente per ristabilirla.
16. Introdurremo l’esercizio fisico in tutti i nostri centri. Parteciperemo
collettivamente agli incontri organizzati.
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ELENCO FONDI
I fondi con finalità umanitarie sono: Azimut Solidity, Ras Cedola, Fondocri
Etico Roma Caput Mundi e Nordfondo Etico
Organizzazioni non profit, meritevoli per le loro attività sociali ed
umanitarie: Lega italiana per la lotta contro i tumori, Istituto Gaslini,
Associazione Missioni Don Bosco, WWF, Unicef, Lega del Filo d’oro, Unione
Italiana Lotta alla distrofia muscolare e Fondazione Exodus.
Fondi che attuano una gestione etica: i tre fondi che fanno parte del Sistema
Etico Sanpaolo, Investietico, BNL per Telethon e GEO European Ethical
I fondi verdi sono: Euromobiliare Green Equity Fund, Gestnord Ambiente,
Ducato Ambiente.
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