Musica Sacra e Liturgia - Associazione Cori Molise
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Musica Sacra e Liturgia - Associazione Cori Molise
Musica e Liturgia – Castelpetroso 22 novembre 2009 – Relatore: Fabrizio Barchi. Da sempre la Chiesa utilizza la musica a servizio della liturgia perché, attraverso il canto si manifesta la comunione dei fedeli; la bellezza artistica aiuta gli uomini ad elevarsi spiritualmente, mezzo privilegiato per arrivare a contemplare Dio. La musica diviene, per noi cristiani, il linguaggio prioritario per offrire al Signore una lode perfetta e un mezzo prezioso per poter raggiungere in modo efficace ogni uomo ed aprirlo alla contemplazione della bellezza, bellezza ed ascolto che favoriscono in noi quella dimensione profonda e interiore che il mondo di oggi sembra non valorizzare. L’arte e la musica in particolare, manifesta il volto di Dio: una luce che illumina il cuore di ogni uomo per esprimere ciò che a parole spesso è difficile esternare. E’ anticipo di quella contemplazione della gloria di Dio che farà la nostra gioia eterna in cielo. Per questa ragione non si può fare a meno dell’arte musicale ed ogni epoca ha prodotto capolavori che, in sintonia con i tempi, esprimessero il massimo dell’emotività; nella musica i sentimenti estremi sembrano trovare compimento e sublimazione. Sin dai primi secoli del cristianesimo l’intima connessione fra Sacra Scrittura e canto è sempre stata affermata a cominciare dai salmi di David, testi poeticomusicali per eccellenza, , i più adatti ad essere cantati e suonati. Laudate eum in sono tubæ, laudate eum in psalterio et cithara. Laudate eum in tympano et choro, laudate eum in chordis et organo. laudate eum in cymbalis iubilationis, In realtà i Salmi non venivano propriamente suonati perché lo strumento era ritenuto motivo di distrazione, un ingombrante diaframma nel dialogo diretto tra la voce dell’uomo e Dio. Clemente Alessandrino, importante teologo vissuto tra II e III secolo, affermava che “la voce è già organo, strumento di portamento dell’anima a Dio la cui lingua è il Psalterium Domini”. Gli Ebrei ritenevano imprescindibile il rapporto fra canto e Sacra Scrittura ed infatti si raccomanda che “la profonda conoscenza della Tôrah (cioè i primi cinque libri della Bibbia, il cosiddetto Pentateuco) può essere raggiunta solo cantandola” affermando addirittura che chi recita la Scrittura senza cantarla è un idolatra. Il canto infatti stabiliva con sottile perfezione la punteggiatura del testo, la sua sintassi, evidenziava le sue accentuazioni testuali, ne rivela ogni volta lo spirito mostrandoci la vera anima della Parola, “Preghiamo cantando e pregando cantiamo” soleva dire Sant’Agostino. La monodia gregoriana alla quale è stato sempre, giustamente, riconosciuto il primato di linguaggio coerentemente liturgico, come sottolineato anche nell’articolo 116 delle costituzioni che si sono occupate della musica sacra nel Concilio Vaticano II, asseconda dolcemente le pieghe degli accenti del testo; per questo motivo si ribadisce che “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale”. Ma quante volte capita ancora, anche nelle basiliche maggiori, di ascoltare un canto gregoriano eseguito con cura da una schola, non dico altamente specializzata, ma minimamente dedita a questo repertorio? Purtroppo l’unica messa sopravvissuta di canto gregoriano è la “De Angelis”, che oltre ad essere la meno interessante (personalmente, non la trovo bella) è anche la meno gregoriana poiché scritta nel XVI secolo; non è modale, come il repertorio gregoriano autentico, e potremmo definirla una “monodia di FA maggiore in stile gregoriano nel tono”. Tra l’altro è anacronistica poiché composta in un periodo di pieno fulgore polifonico. È un vero peccato che non si riescano ad ascoltare più con frequenza la Messa I – Lux et Origo del X secolo La fascinosa Messa IX datata 1100 La altrettanto mistica Messa XI, anch’essa molto antica Oppure la tenue ma elegantissima melodia della Messa XVII Intendiamoci, non ci vogliono voci “possenti” o impostate per eseguire il gregoriano, tutt’altro, un buon coro di voci “naturali” ma ben guidate potrebbe ottenere un risultato di grandissimo impatto. Il gregoriano, erede diretto della cantillazione ebraica, musica i 150 salmi attraverso le formule degli otto modi sempre nel rispetto delle accentuazioni latine ed enfatizzando alcune parole attraverso l’uso del melisma. I primi problemi nel rapporto musica-liturgia si evidenzieranno probabilmente nel Medioevo, epoca di grandi intelligenze, di simbologie numerologiche nella quale il Cristo stesso veniva visto come il Magister nell’arte musicale. Pur se nate sotto il segno dell’utilizzo liturgico, non possiamo di certo definire pertinenti certe musiche meravigliose partorite dalle menti superbe di Magister Leoninus o Magister Perotinus. Ascoltiamo un piccolo inciso del Viderunt Omnes di Perotinus per renderci conto della estrema difficoltà nel collocare questa musica nella liturgia odierna. Perotinus – Viderunt omnes esecutori gli Hilliard ensemble Partitura Questo è un brano a 4 voci, estremamente complesso, di andamento ternario (simbologia numerica che fa riferimento alla Trinità); per un minuto l’autore musica solamente la sillaba “VI”. Un brano di questo tipo non può avere attualmente altra connotazione se non quella concertistica altamente specialistica. È musica sacra, il suo contesto ideale per ascoltare un brano di questo tipo è una Basilica Romanica o meglio ancora Gotica, è certamente musica che ci apre il cuore verso Dio, musica spiritualmente “inebriante” ma che liturgicamente non sapremmo come sistemare. Molto repertorio del Medioevo è molto suggestivo, frutto di intelligenze finissime: Dio è una mente superiore ed il messaggio a Lui destinato deve essere adeguato. Dufay ad esempio compone per l’inaugurazione della cupola del Brunelleschi di Santa Maria del Fiore a Firenze, il Mottetto “Nuper Rosarum Flores” nel quale un complesso calcolo numerico, intende riproporre in musica le proporzioni che sono alla base dei calcoli architettonici delle misure della Basilica. Solo a titolo di curiosità riportiamo lo schema analitico della partitura musicale. Note sono le varie controversie tra Musica e liturgia vissute nel XV e XVI secolo: la strada tracciata da Perotinus trova negli autori di scuola fiamminga dei seguaci e la musica, pur pensata per la liturgia, diventa estremamente complessa, motivo che induce i Vescovi del Concilio di Trento (1545-1563) a suggerire la strada del ritorno definitivo al più composto e liturgicamente coerente linguaggio del canto gregoriano. Giovanni Pierluigi da Palestrina, la più grande mente musicale del Rinascimento, vive la sua piena maturità artistica in questa controversia e risolve la delicata questione scrivendo una Messa a 6 voci molto chiara, lineare, nella quale prevale uno stile che potremmo definire “declamatorio corale” quasi fosse un gregoriano a più voci. La sua “Missa Papae Marcelli” è un esempio di equilibrio perfetto dove il genio compositivo si mette a servizio della parola e della sua intelligibilità. Pur essendo a 6 voci questa magistrale pagina del grande compositore Prenestino risulta chiarissima: le voci femminili (un tempo pueri cantores e falsettisti), eseguono quasi per intero il Gloria mentre le voci maschili (Basso I Basso II Tenore I Tenore II) si alternano creando dei giochi dialogici efficacemente esplicativi del testo. Ascoltiamo una breve parte del Gloria esecutori il coro Musicanova. Così come il rapporto controverso fra poesia e musica che ha animato le intellettuali discussioni dei teorici del XVI e XVII secolo si risolve in favore della poesia e la musica ne diviene serva (in realtà la musica, esalta il significato del testo) tanto più nella “Parola” liturgica la musica ne è una amplificazione, un arricchimento e non deve essere motivo di distrazione. La meravigliosa Messa Papae Marcelli, scritta con un chiaro intento liturgico, non troverebbe facile connotazione al giorno d’oggi, all’interno della liturgia e purtroppo - si fa per dire - siamo costretti ad ascoltarla sono in ambito concertistico o su CD Ciò non deve far credere che una musica “brutta” sia in fondo più liturgica di una musica bella proprio perché non “attira” più di tanto l’attenzione dell’ascoltatore; la scelta però dovrà cadere su quella musica che meglio si armonizza con l’azione liturgica (Ingresso, Offertorio, Comunione etc) e con il periodo liturgico celebrato (Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua etc.) ma anche rispettando i tempi musicalmente tollerabili nelle Celebrazioni attuali. Un Gloria o un Credo tratto dalle grandi Messe del periodo rinascimentale risulterebbero fuori contesto e il loro ascolto è ormai confinato in celebrazioni eccezionali e limitato alle Basiliche maggiori particolarmente attive (anche noi a San Giovanni in Laterano non cantiamo mai le parti dell’Ordinario in polifonia se non a Natale e a Pasqua). Nel mondo protestante la musica assume, se vogliamo, una importanza ancora maggiore: Martin Lutero raccomandava: “La Parola di Dio richiede di essere predicata e cantata” tanto che J. S. Bach è considerato dai Protestanti il “quinto evangelista”. L’abitudine al canto nei paesi anglosassoni è molto radicata e la partecipazione assembleare canora alla liturgia è molto più sentita che da noi. Lo stile del corale, solenne e composto, è sopravvissuto alle mode; una più vasta e diffusa cultura musicale in quei paesi poi, hanno favorito lo sviluppo di una tradizione e di una pratica del canto molto capillare. Per esemplificare la differenza tra musica Liturgica e Musica Sacra da concerto, ascolteremo lo stesso testo “Es ist ein Ros entsprungen” nella versione del corale di Michael Praetorius (1571-1621) e la elaborazione fatta da un compositore contemporaneo svedese Sandström, che ha ricamato intorno al corale una elaboratissima e affascinante composizione. Det är en ros utsprungen esegue il coro St. Jacobs di Stoccolma Partitura Sandström Per mia esperienza personale, avendo visitato paesi del nord Europa quali Svezia, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, ho riscontrato una attenzione alla musica enorme: le chiese hanno tutte un coro di ottimo livello, il maestro del coro e l’organista sono stipendiati dalla chiesa; il coro ha spazi, uffici, considerazione e ciò consente loro di organizzare stagioni concertistiche. In ogni chiesa dove entravo trovavo eccellenti ed efficientissimi organi e non solo: spesso, in chiesa, era presente un pianoforte a coda a testimonianza di una frequente attività musicale. Un panorama ben diverso dal nostro dove a volte i cori sembra che “disturbino”. Non resta ora che chiarire la differenza tra Musica Sacra, Musica Religiosa e Musica Liturgica. Queste distinzioni a volte sono molto sottili soprattutto tra Musica Sacra e Musica Liturgica, ma cercheremo di esaminare le differenze. Musica Sacra è quella ispirata ad un testo sacro, una sorta di riflessione spirituale personale che il compositore ci offre quale spunto di meditazione. Un modo ed un mezzo per parlare di Dio attraverso la sua Parola (i testi biblici); l’autore però non si pone limiti di estensione delle voci, di organico strumentale, di durata del brano. I compositori contemporanei non disdegnano spesso smembrare il testo, iterarlo, parlarlo; usarlo, in pratica, in modo non convenzionale. Lang Cantate Domino esegue il coro femminile Eos Nel caso di questo brano abbiamo dei glissandi vocali, il parlato, l’uso del sintetizzatore (sostituibile con il pianoforte per praticità), una serie di particolarità che, al di là della bellezza del brano (sicuramente un brano di grande effetto e molto originale), sarebbero motivo di distrazione se inseriti in un ambito liturgico. Gli esempi potrebbero essere moltissimi: non percepiamo forse un senso di lacerante dolore davanti allo Stabat Mater di Pergolesi o una irrefrenabile gioia ascoltando il Gloria di Vivaldi? Non abbiamo la sensazione di essere presenti vicina alla croce di Cristo o davanti alla sua grotta nel momento della sua nascita? Ci troviamo davanti a dei capolavori assoluti della Musica Sacra ma non eseguibili in seno ad un Celebrazione. Abbiamo citato il Gloria: anche un testo così eloquentemente festoso può, nella lettura che un compositore ci offre, in una sua personalistica visione, prestarsi a singolari interpretazioni. Ascoltiamo di seguito il Kyrie e il Gloria dalla Messa Jazz di Steve Dobrogosz. Esegue il coro Musicanova Partitura Ci accorgiamo che qui l’estetica tradizionale è rovesciata: il Kyrie è festoso con una apertura inattesa alla tonalità maggiore quasi che, invece di chiedere perdono al Signore, fossimo certi di averlo già ottenuto. Il Gloria invece è molto intimo, l’orchestra interviene all’ultimo e la tonalità minore è prevalente. La spiegazione è chiara: l’autore non si è preoccupato di “leggere” in maniera liturgica il testo ma ha voluto contrapporre all’esuberante e ritmico Kyrie, un momento di distesa e melodica meditazione: una scelta di carattere estetico. Con Musica Religiosa personalmente intendo una forma di canto devozionale, come i canti Mariani eseguiti nei santuari oppure gli spiritual, repertorio adatto ad un coro parrocchiale ma genere che difficilmente si accorda con la compostezza dell’azione liturgica. Nel Medioevo ad esempio c’è un grande fiorire di repertorio religioso devozionale come le laudi o le cantigas. L’argomento trattato è sempre religioso, il testo può essere anche in lingua locale (ad esempio lo spagnolo nelle cantigas l’italiano o addirittura il dialetto umbro nelle laudi). Possiamo dire che la musica religiosa, pur accogliendo il testo biblico, rappresenta un tentativo non-sacro e non-liturgico di comporre musicalmente la Bibbia. Importante, nel Rinascimento è stato il frequente “travestimento spirituale” di testi nati come poesia profana anche abbastanza licenziosa, che veniva appositamente modificata e rivestita di religiosità; una maniera quasi catechetica, come faceva San Filippo Neri, per far dimenticare il “mondano” testo originale. La lauda, nata nel ‘300 nel centro Italia, ed essenzialmente monodica, conosce nel XVI secolo, proprio grazie a San Filippo Neri, una sua gloriosa rinascita. Eccellenti compositori musicano le laudi e, nonostante siano considerate un genere minore rispetto al mottetto, sono delle autentiche perle musicali ornate da un testo di delicata ma sincera religiosità. Lasso – poiché ‘l mio largo pianto esecutori coro Musicanova Poiché il mio largo pianto, Vergin ti piace tanto Asciutti mai quest’occhi non vedrai. Questo testo è una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti di Maria. La mano felicissima di uno dei più grandi autori del Rinascimento trasforma il bel testo religioso in un piccolo capolavoro. Visto poi che siamo in periodo natalizio, voglio ricordare quei canti di tradizione anglosassone su testi religiosi, i Carols. I testi sono per lo più anonimi, scritti in un arco temporale di 5 secoli, dal XIV - XIX secolo, e raccontano il Natale, dalla Ninna nanna al canto del Pastore, dall’arrivo dei Re Magi, all’esultanza della città di Bethlem; versioni testuali sulla narrazione della nascita di Gesù che potremmo definire "apocrife", popolari. Molti musicisti li hanno armonizzati e nel tempo si è creata una copiosa e bellissima letteratura ad essi dedicata. Carols esecutori The Sixteen Musica Liturgica Il primo equivoco che occorre chiarire quando si parla di uso liturgico della musica è che l’evento musicale non può essere considerato fuori dal contesto celebrativo: è la struttura liturgica stessa a suggerire il tipo di musica e di esecuzione appropriata. La musica liturgica è “musica applicata” nel senso che la finalità che la muove non è quella della esibizione concertistica ma quella dell’edificazione spirituale e dell’espressione della fede della Chiesa. Questo non vuol dire, come ricordato precedentemente, che la qualità dei brani per la Messa debba essere inferiore a quella da concerto, ma l’impostazione fondamentale e le categorie stilistiche non sono assimilabili a quelle del genere concertistico. Le strutture stesse della liturgia fanno da binario su cui la musica deve muoversi. Questi binari non sono mortificanti per il compositore o l’esecutore a condizione che il musicista accetti tali condizioni trasformandole in occasioni per creare un nuovo modo per comporre ed eseguire musica. Gli elementi fondamentali su cui occorre impostare il discorso musicale liturgico possono essere sintetizzati così: • • • • • • • Uso del testo sacro o della tradizione liturgico-patristica o appositamente composto con i criteri teologico-liturgici approvati dalla Chiesa. Il rispetto dei diversi soggetti che celebrano e partecipano all’azione liturgica il presidente dell’assemblea, il salmista, il coro, l’assemblea, gli eventuali strumenti che accompagnano il loro canto. Tutti questi soggetti devono poter cantare esprimendo, nei loro propri ruoli, la fede della Chiesa orante. Uso delle forme musicali liturgiche già consolidate dall’esperienza celebrativa e che potremo vedere riassunte nelle forme musicali presenti nei libri musicali liturgici della Chiesa, come il Graduale, l’Innario, l’Antifonale e il Salterio. Le forme sono quelle dei salmi, delle antifone, degli inni, dei responsori, delle sequenze, delle litanie, etc. Queste sono forme che rispettano i diversi partecipanti all’azione liturgica. Ad es. il celebrante canta il prefazio e le orazioni, il salmista canta il salmo responsoriale, il lettore legge nello stile della cantillazione, il coro canta le parti proprie in dialogo con l’assemblea nei canti introitali e di comunione, nei possibili mottetti di offertorio e di comunione, nell’alternanza tra monodia e polifonia negli inni etc., l’assemblea eseguirà le antifone, i responsori, le acclamazioni e altri interventi adatti, per la loro semplicità, a dei cantori non professionisti. La retta collocazione dei momenti musicali all’interno della celebrazione. La durata della musica è subordinata all’uso liturgico e non viceversa, la scelta dei brani è dettata dalla convenienza per l’uso concreto che ne viene fatto. Lo stile musicale deve riflettere l’oggettività della celebrazione. Una musica troppo soggettiva, magari anche geniale ma incapace di essere condivisa, compresa e apprezzata nei suoi contenuti profondi dalla Chiesa non ha una giusta collocazione nella Liturgia. Una qualità propriamente musicale che sappia esprimere autenticamente i valori religiosi e spirituali del testo cantato e capace di muovere il cuore di canta e ascolta. La possibilità di canti che favoriscano la partecipazione attiva nel canto dell’assemblea che costituisce il coro più grande nell’assemblea liturgica. Per rendere esplicative queste indicazioni tratte dall’articolo “Coro e Liturgia” scritto dal direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, il sacerdote e musicista don Marco Frisina faccio ascoltare alcuni esempi di composizioni che contengono quegli elementi raccomandati da don Marco. Frisina –Anima Christi coro Parrocchia di San Miche Arcangelo, Lamoli, Marche. Don Marco Frisina è molto conosciuto nelle parrocchie di tutta Italia: la sua musica, al di là delle considerazioni sui gusti personali, è profondamente liturgica, non è difficile, è alla portata di tutti i cori parrocchiali ed è modulare, si può eseguire ad una o a 4 voci. Questo è un esempio di mottetto di stile più colto ma la sua musica per le normali celebrazioni domenicali ha una semplice ma efficace contabilità. Mi permetto di far ascoltare un mio brano che può essere sia un brano da liturgia che un brano da concerto Barchi – Agnus Dei esecutori coro Musicanova Il Compositore si pone in una posizione privilegiata, deve plasmare il testo scritto (Parola di Dio) per porgerlo nella maniera più efficace ai suoi fruitori (l’Assemblea, il Popolo di Dio). Il Maestro del coro è una guida per i cantori, deve avere competenze musicali ma anche liturgiche, non deve “usare” il coro per sue velleità personali ma saper dosare la misura di ciò che è possibile eseguire con il proprio gruppo non disdegnando di farlo crescere con proposte musicalmente adeguate. Deve saper collocare in maniera corretta la propria funzione e quel del coro all’interno della liturgia. Il Coro in tutto questo ha un ruolo fondamentale in quanto elemento di mediazione tra il mistero celebrato e l’assemblea. Ha il compito di innalzare l’assemblea verso il mistero. Il suo canto non deve mai schiacciare il popolo di Dio riducendolo soltanto a mero ascoltatore passivo, ma deve coinvolgerlo il più possibile non solo prevedendo interventi propri dell’assemblea, ma anche scegliendo brani di autentica religiosità e di profonda spiritualità. La coscienza odierna di una maggiore partecipazione attiva ed anche lo sviluppo culturale medio che si è diffuso in tutti i ceti sociali permette una partecipazione migliore e più consapevole del popolo di Dio alla preghiera e al canto liturgico che non ai tempi di Palestrina. Questo fatto dovrebbe stimolare i compositori e gli esecutori nel trovare vie e occasioni di partecipazione. Ciò non significa che non bisogna eseguire brani impegnativi con il coro, ma che bisogna adattare le scelte tenendo conto del contesto storicamente diverso in cui la coralità si colloca all’interno della celebrazione. Il dato positivo è che sono aumentati i cori e le associazioni corali, anche di quelle che si dedicano con passione ed entusiasmo all’animazione liturgica, ma bisogna saper distinguere il ruolo liturgico da quello puramente culturale preziosamente svolto dal coro. Nella Liturgia si esige dal coro un atteggiamento molto particolare in quanto svolge un servizio alla assemblea liturgica che sta esprimendo la sua fede. Nell’animazione culturale, che può precedere e seguire i momenti di partecipazione alla Liturgia, il coro ha il compito di educare e di far riflettere sui valori artistici e culturali della tradizione musicale cristiana con una libertà maggiore in quanto, fuori dalla azione liturgica, non è vincolato dai limiti imposti dall’uso celebrativo della musica. Spero che queste brevi annotazioni possano servire a una riflessione sul ruolo fondamentale e prezioso del coro nella Liturgia. La Chiesa ha bisogno dei musicisti per esprimere la propria fede e per tradurre, nei tempi e nelle epoche culturali diverse, i propri valori spirituali alle nuove generazioni. Ciò da forza e valore all’opera di tante corali che con impegno e dedizione si spendono per la nobile arte musicale. Per questo non ci resta che ricordare le parole di Sant’Agostino: “Qui BENE cantat bis orat” e sottolineo il BENE. Cerchiamo di svolgere questo ruolo sempre con impegno e dedizione e faremo bella musica ed un ottimo servizio alla liturgia. Fabrizio Barchi – Direttore di coro, Docente di Conservatorio, vice Maestro della Cappella Musicale di San Giovanni in Laterano.