L`isola da dove partivano gli schiavi. Capo Verde dal XV

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L`isola da dove partivano gli schiavi. Capo Verde dal XV
Michele Balducci*
L’isola da dove partivano gli schiavi.
Capo Verde dal XV secolo all’indipendenza
La storia di Capo Verde affonda le sue radici nel mito: si racconta che quando Dio finì
il creato si sfregò le mani e le briciole che caddero formarono l’arcipelago di Capo Verde.
Ufficialmente queste isole entrano a far parte della storia dell’Occidente nel XV secolo,
quando la corona portoghese, alla ricerca di nuove rotte commerciali, diede il via alla colonizzazione delle coste atlantiche del continente africano.
Dalla sua “scoperta” a oggi, il percorso di Capo Verde verso l’indipendenza, ottenuta
solo nel 1975, e il pieno riconoscimento della propria identità culturale e linguistica è stato
molto complesso.
L’Europa nel XV secolo
Il quadro dell’Europa del XV secolo è politicamente ed economicamente molto complesso. Di grande importanza era la via verso l’Oriente, soprattutto a livello mercantile. La
Repubblica di Venezia e il mondo musulmano avevano il monopolio delle merci che giungevano in Occidente tramite la Via della Seta (materie prime e prodotti pregiati quali seta,
avorio e oro destinati ad una clientela molto facoltosa).
Profonde erano anche le innovazioni tecnologiche, soprattutto in ambito nautico, grazie alle quali si riuscivano a coprire lunghe distanze via mare, e questo in forza dell’impatto del Rinascimento sulle innovazioni e sugli stessi studi cartografici dell’epoca. Una personalità di spicco in questo ambito fu Paolo Toscanelli, che basò i suoi studi principalmente su osservazioni nautiche empiriche e sulla teoria della sfericità della terra, abbandonando progressivamente le teorie del tempo, a tratti superstiziose, sulla geografia terrestre.
Altre novità per la navigazione venivano dalle armi da fuoco (in questo periodo si utilizzavano bombarde, utili soprattutto per le battaglie navali), mentre il controllo della navigazione migliorava grazie al perfezionamento della bussola e dello scafo e all’utilizzo di vele
latine e del timone a poppa.
Premesse indispensabili all’Europa delle scoperte e delle prime grandi navigazioni furono, dunque, lo spirito critico rinascimentale nei confronti delle vecchie conoscenze e credenze e l’innovazione tecnologica, che richiedeva un apparato organizzativo che in quest’epoca possedevano solamente Spagna e Portogallo.
* S.E.I. – Ugl
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E in forza di queste evoluzioni si diede il via alla colonizzazione delle coste africane.
Il Portogallo, in particolare, fu spinto all’occupazione di nuovi territori innanzitutto dal
bisogno di accedere ai mercati africani dei cereali, poiché non riusciva a soddisfare il proprio fabbisogno, e dalla necessità di rafforzare la propria economia, così da evitare di cadere sotto il predominio spagnolo. In ogni caso, furono una più articolata serie di conseguenze e di fattori interdipendenti che diedero il “la” ad una manovra politica portoghese tesa
allo sviluppo dei commerci e dei relativi introiti. Tra questi, certamente il bisogno di evitare le forti tassazioni imposte nel bacino del Mediterraneo sulle merci e le spezie provenienti dalla Via della Seta.
È in questo scenario che si inquadra il processo di colonizzazione che porterà alla scoperta delle isole di Capo Verde.
La scoperta di Capo Verde
Il primo avvistamento dell’arcipelago di Capo Verde è del 1456 e ad esserne protagonista fu un marinaio al servizio della Corona portoghese, Alvise Cadamosto. Da questo
momento in poi Capo Verde sarà segnata sulle mappe geografiche europee, anche se fonti
storiografiche attestano che le isole erano già indicate sulle carte musulmane.
Intorno al 1460 Antonio De Noli e Diogo Gomes colonizzarono l’arcipelago, portandolo
in seno alla corona portoghese. Il Portogallo, infatti, promuoveva una politica di colonizzazione delle coste occidentali dell’Africa, vista l’impossibilità di penetrare nell’interno per
le difficoltà di gestione del territorio, anche sul piano delle risorse necessarie. La Corona
portoghese, infatti, non era ancora così ricca e potente da poter farsi carico di una colonizzazione più profonda ed estesa, per la quale sarebbero state necessarie ingenti somme
di denaro, come anche maggiori disponibilità d’armi e d’uomini.
Capo Verde, quando arrivarono i portoghesi, era un arcipelago disabitato, ma la sua
posizione fu immediatamente considerata di grande rilevanza ai fini dei traffici commerciali. L’intento del Portogallo era infatti quello di aprire nuove rotte commerciali circumnavigando l’Africa e arrivando in India via mare, evitando così le tassazioni imposte dalle altre
potenze europee.
Questa spinta alla creazione di nuove rotte per le Indie portò in poco tempo il
Portogallo e la Spagna ad essere le più grandi e più importanti potenze europee del periodo, sotto la protezione e l’approvazione della Chiesa di Roma.
Già nei primi anni della colonizzazione portoghese le isole di Capo Verde iniziarono ad
essere abitate principalmente da europei e vennero adibite a luogo d’esilio per i nemici
politici del Portogallo.
L’imprescindibile importanza strategica dell’arcipelago si delineò di lì a mezzo secolo
con l’avvenuta scoperta dell’America, nel 1492, ad opera di Cristoforo Colombo per conto
della Corona spagnola. Quello che fu un vero e proprio spartiacque per la storia dell’umanità, segnò profondamente anche la storia di Capo Verde, che finì con l’assumere un ruolo
fondamentale all’interno del traffico commerciale fra i tre continenti: le Americhe, l’Africa
e l’Europa.
La tratta degli schiavi e il ruolo internazionale di Capo Verde
La scoperta del nuovo continente accelerò lo sviluppo tecnologico, la richiesta com170
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merciale di materie prime e arricchì notevolmente le casse dei reali di Spagna e Portogallo.
Intanto in Africa, l’arrivo degli europei, forti dell’apporto di tecnologie sconosciute alle
popolazioni locali, travolse completamente l’apparato culturale ed economico precedente.
Alla sottomissione politica ed economica delle popolazioni autoctone si affiancava una più
estesa opera, per così dire, di inferiorizzazione, di cui il colore della pelle era il segno esteriore su cui far leva.
Intanto, le colonie europee in America avevano costante bisogno di manodopera
aggiuntiva. L’assoggettamento degli indios, da solo, non era sufficiente per garantire l’estrazione e la produzione delle materie prime e delle merci richieste in Europa. Fu essenzialmente per queste ragioni che iniziò la tratta degli schiavi, in parallelo e in conseguenza dell’apertura del commercio atlantico in concorrenza con quello mediterraneo, che lentamente stava perdendo prestigio.
L’arcipelago di Capo Verde assunse così una posizione strategica ai fini commerciali,
determinante anche per questioni nautiche, poiché dall’Europa i venti alisei soffiavano
verso l’equatore e portavano senza grandi difficoltà alle isole capoverdiane; e poi sulla
rotta per l’Africa rappresentavano un ottimo punto d’approdo per le imbarcazioni per la loro
prossimità alla costa del continente da dove provenivano gli schiavi.
È proprio tra il XVI e il XVII secolo che Capo Verde vide fiorire i propri commerci, diventando l’isola da cui partivano gli schiavi diretti in Sud America. La sua posizione favoriva
anche l’approdo di molte navi mercantili, che, passando per quei luoghi, facevano delle
isole un porto ricchissimo di qualsiasi bene sia di prima necessità che di lusso. In questo
periodo, sotto la Corona portoghese, Capo Verde sembrava essere il centro del mondo: vi
approdavano navi africane, europee e provenienti dall’America, contribuendo anche alla
definizione di aspetti culturali specifici, come la cultura creola, che successivamente giocherà un ruolo fondamentale per l’ottenimento dell’indipendenza, ovvero per l’emersione di
quel senso di appartenenza e quel bisogno di riconoscimento che si connotano come tipicamente capoverdiani.
La tratta degli schiavi si intensificava negli anni e sempre più numerosi erano gli africani che dalle isole venivano deportati in Sud America su navi ormai equipaggiate per la
tratta atlantica. Alcune fonti storiche indicano che nei primi decenni del Seicento partivano da Capo Verde circa tremila schiavi all’anno, e seppure non mancasse l’attenzione per
questa “merce preziosa”, spesso le condizioni del viaggio erano così dure (si pensi alla diffusione di malattie come lo scorbuto) che molti non riuscivano a sbarcare in America perché morivano prima.
Quelli che sopravvivevano alla traversata atlantica erano costretti a duri lavori manuali nei latifondi o nelle miniere al posto degli indios, che, ritenuti più piccoli e deboli, non
erano considerati adatti per quei lavori che richiedevano grande sforzo fisico. In più, il vantaggio di possedere uno schiavo africano si concretizzava anche nel fatto che questi non
conosceva il territorio ed era quasi impossibilitato a scappare, poiché nella foresta sarebbe stato subito ritrovato, al contrario degli autoctoni che aspettavano l’occasione di non
esser visti per tentare la fuga.
Capo Verde perse poi, col volgere degli anni e il mutare delle situazioni e degli assetti
economici e commerciali, questo suo ruolo cruciale.
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Capo Verde dimenticata
Nel quadro dei profondi cambiamenti che segnarono l’assetto mondiale il XVII e il XVIII
secolo Capo Verde venne man mano abbandonata a se stessa. Rimase ancora luogo di prigionia e iniziò a subire le scorribande dei pirati e conobbe il progressivo impoverimento
del territorio, che nei secoli precedenti era stato sfruttato senza badare a problemi come
la siccità e la desertificazione.
L’arcipelago perse d’importanza per varie ragioni. Innanzitutto per la sua posizione, che
iniziava a tornare poco utile poiché si era nuovamente rafforzato il commercio con
l’Oriente, anche perché le risorse e le materie prime prelevate dal Sud America iniziavano
ad esaurirsi e a non essere più sufficienti per la richiesta dei mercati europei, comportando il calo del traffico navale atlantico.
Lo spostarsi dell’attenzione verso nuove rotte, unito ai molteplici problemi interni
dell’Europa, favorì anche una cattiva gestione del territorio da parte dei governatori portoghesi, che erano soliti mettere da parte ingenti capitali, sfruttando le risorse delle isole,
per poi andar via alla ricerca di altri incarichi, o anche commettere atroci crimini, per poi
condannare altre persone accusandole dei loro misfatti.
Anche l’ambito ecclesiastico non era estraneo alla corruzione e non era esente da inadempienza. Per circa cinquant’anni, dalla metà del Settecento fino ai primi anni del secolo successivo, rimasero vacanti molte cariche clericali e la sede vescovile fu spostata da
Santiago a San Nicolau per motivi di sicurezza pubblica.
Si riporta di seguito un passo che ben descrive lo stato di abbandono e anarchia in cui
era precipitato l’arcipelago di Capo Verde:
“La Repubblica di quest’isola – scriveva Sebastiao Bravo Botelho, Ouvidor Geral delle
isole dal 1724 al 1727 – è popolata da trenta bianchi, poco più, poco meno, qualche portoghese, ma pochi e miserevoli, perché sono gettati qui dalla disgrazia, dalla povertà o dall’infamia […] In pochi anni non vi saranno né fortificazioni, né funzionari […] Sono generalmente tutti colpevoli di delitti ben noti. Si possono contare gli uomini o le donne che non
siano adulteri, o concubini, incestuosi o lascivi, o lenoni delle proprie mogli e figlie… Gli abitanti di quest’isola preferiscono ritirarsi nelle zone rurali dove tutti quando vi hanno una
qualche proprietà vanno a risiedere e vengono alla Città solo in occasione di qualche festa.
Questo è lo stato nel quale si trova il governo di quest’isola”1.
Capo Verde perdeva prestigio e le terre mal sfruttate non producevano più risorse sufficienti né per il commercio né per il sostentamento della popolazione. Inoltre si registrarono forti siccità, in occasione delle quali morirono migliaia di persone.
La condizione degli schiavi intanto stava cambiando e la formazione di una cultura
creola cominciava a indurre al riconoscimento di diritti che, per quanto minimi, segnavano la differenza col passato. Così, per esempio, una schiava che sposava un europeo poteva acquisire lo status di donna libera e generalmente questo stesso effetto potevano produrlo tutte le unioni tra un cittadino libero e uno schiavo, mentre i figli di schiavi mantenevano lo status dei genitori.
Gli abitanti di Capo Verde, che a due secoli dalla scoperta delle isole erano principalmente creoli, con una minor percentuale di bianchi europei e di africani, si vedevano però
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accantonati dalla storia. I pirati e i commercianti di schiavi saccheggiavano le poche merci
rimaste nei porti e sequestravano donne e uomini per ridurli in schiavitù e deportarli nelle
nuove colonie.
Capo Verde conobbe una ripresa economica soltanto nel secolo successivo, quando, con
l’avvento della rivoluzione industriale e l’invenzione dei battelli a vapore, aumentò la
richiesta di carbone e l’arcipelago diventò una tappa importante per le spedizioni navali
che costeggiavano il continente africano.
Questo lieve accenno di ripresa economica fu, tuttavia, stroncato dall’avvento della
nafta e del petrolio, che fece sprofondare di nuovo Capo Verde nell’anonimato.
A questo intreccio di eventi e cambiamenti, che portarono Capo Verde di nuovo verso
il declino, si associarono ancora pesanti siccità, soprattutto nei primi anni del Novecento,
con due fortissime carestie, una nel 1920 e l’altra dopo la Seconda Guerra Mondiale, in
occasione delle quali si contarono decine di migliaia di vittime.
L’abolizione della schiavitù
Il XIX secolo rappresentò un punto di svolta nella storia della schiavitù. L’illuminismo,
gli ideali della rivoluzione francese e il libero mercato perorato dalla Gran Bretagna, in sintesi, fecero maturare un nuovo punto di vista sulla schiavitù e sulla tratta.
Come risaputo, nel 1815 al Congresso di Vienna si sedettero allo stesso tavolo le potenze europee e la Chiesa e per la prima volta ci si pronunciò apertamente contro la tratta
degli schiavi. Anche se questa fu abolita, i traffici illegali continuarono a sussistere, con il
connaturale aumento dei costi.
Più lungo fu il percorso per l’abolizione della schiavitù. Il Portogallo abolì definitivamente la tratta nel 1859, mentre la schiavitù in forma privata continuò ad esistere fino al
1875.
Alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento la tratta venne definitivamente abolita anche a
Capo Verde, dove erano presenti circa 4.000 schiavi, che poterono far valere i loro diritti
solo dal 1875 in poi, anche se continuarono a servire i loro padroni fino al 1878.
Un secolo più tardi i capoverdiani, dopo lunghe difficoltà di carattere culturale e politico, ottennero l’indipendenza dal Portogallo nel 1975, e venne così finalmente riconosciuta la cultura creola, che era andata lentamente emergendo nel corso dei secoli, grazie a
continue stratificazioni ed influenze, legate al ruolo centrale ricoperto da Capo Verde, tra
il XVI e XVII secolo, nel contesto del triangolo commerciale tra i continenti.
Capo Verde: un piccolo Paese, con una popolazione ridotta, una storia lunga e tormentata, un significato profondo quanto al rispetto della dignità della persona umana, a prescindere dal colore della pelle.
Note
1
Alberto M. Sobrero, Hora de Bai, ARGO, Lecce 1998, p. 182.
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