l`inganno nell`amore

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l`inganno nell`amore
l’approccio di uno psicoanalista
L’INGANNO
NELL’AMORE
Prefazione di
Le figure della
seduzione in
Kierkegaard
contributi
Giacomo B. Contri
contributi
€ 9,50
L’INGANNO NELL’AMORE
Luigi Campagner è psicoanalista dal 1995; si è laureato in filosofia all’Università Cattolica di Milano,
sotto la guida di Francesco Botturi. È socio analista e docente della SAP – Studium Cartello – Il lavoro
psicoanalitico, associazione presieduta da Giacomo
B. Contri, e membro del comitato scientifico della
rivista Libertà di Educazione. Promuove l’esperienza
dei Centri Artemisia e Kirikù, per donne e madri in disagio e minori allontanati dalla famiglia di origine.
Ha pubblicato alcuni apprezzati titoli tra i quali:
Caso Eichmann: banalità del male? (2011); L’avventura
di essere donna. Appunti di cinema e psicoanalisi (2006);
Fiabe per… pensare (2005-2009); La scuola dei talenti.
Pensiero, ascolto, compito, tempo, corpo (2007); Figli! O del
vantaggio di essere genitori (2013). Ha curato i volumi
collettanei su Shopping compulsivo (2012) e Gioco
d’azzardo patologico (2013).
Lavora come psicoanalista a Milano e Varese.
Luigi Campagner
Luigi Campagner
L’episodio del fidanzamento di Soren Kierkegaard
con la giovanissima Regine Olsen (autunno 1840),
e la sua clamorosa rottura (estate 1841), è pressoché sconosciuto al grande pubblico. Luigi Campagner lo illustra con cura in un libro che ne illumina
le pieghe ancora nascoste.
Recentemente i nuovi approcci al Diario e alle Lettere del fidanzamento hanno decisamente capovolto
il precedente paradigma dell’amore ideale, o
“dell’amore puro”, amore rimasto “puro” proprio
in quanto fallito, o, come anche si usa dire, in quanto non consumato, individuando nel corteggiamento, nel fidanzamento e nella sua pubblica rottura “un inganno fin dal principio”.
Con un sapiente utilizzo delle citazioni dai principali scritti di Kierkegaard, l’autore offre al lettore
la possibilità di accostare la posizione perversa da
un’angolatura non usuale, quella spiritualista, dove essa maggiormente dissimula le proprie insidie.
C O L LA N A
contributi
responsabile Luigi Campagner
Luigi Campagner
L’INGANNO NELL’AMORE
Le figure della seduzione
in Kierkegaard
L’approccio di uno psicoanalista
L’episodio del fidanzamento di Soren
Kierkegaard con la giovanissima Regine Olsen (autunno 1840), e la sua clamorosa rottura (estate 1841), è pressoché sconosciuto al grande pubblico.
Luigi Campagner lo illustra con cura in
un libro che ne illumina le pieghe ancora nascoste. I nuovi approcci al Diario e
alle Lettere del fidanzamento hanno capovolto il precedente paradigma
dell’amore ideale, o “dell’amore puro”,
amore rimasto “puro” proprio in quanto
fallito, o, come anche si usa dire, in
quanto non consumato, individuando
nel corteggiamento, nel fidanzamento e
nella sua pubblica rottura “un inganno
fin dal principio”. Con un sapiente utilizzo delle citazioni dai principali scritti di
Kierkegaard, l’autore offre al lettore la
possibilità di accostare la posizione perversa da un’angolatura non usuale,
quella spiritualista, dove essa maggiormente dissimula le proprie insidie.
Luigi Campagner è psicoanalista dal 1995; si
è laureato in filosofia all’Università Cattolica di
Milano, sotto la guida di Francesco Botturi. È
socio analista e docente della SAP – Studium Cartello – Il lavoro psicoanalitico, associazione presieduta
da Giacomo B. Contri, e membro del comitato
scientifico della rivista Libertà di Educazione. Promuove l’esperienza dei Centri Artemisia e Kirikù,
per donne e madri in disagio e minori allontanati
dalla famiglia di origine.
Ha pubblicato alcuni apprezzati titoli tra i quali: Caso Eichmann: banalità del male?;
Figli! O del vantaggio di essere genitori; L’avventura di essere donna. Appunti di cinema e psicoanalisi; Fiabe per… pensare; La scuola dei talenti. Pensiero, ascolto, compito, tempo, corpo.
Ha curato i volumi collettanei su Shopping compulsivo e Gioco d’azzardo patologico.
Lavora come psicoanalista a Milano e Varese.
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SCUOLA/ La seduzione non basta: i giovani e la "trappola" di Kierkegaard
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EDUCAZIONE
SCUOLA/ La seduzione non basta: i giovani e la
"trappola" di Kierkegaard
INT.Luigi Campagner
domenica 31 agosto 2014
Nel suo nuovo libro Le figure della seduzione in Kierkegaard, Luigi Campagner sviluppa un'analisi psicologica
delle vicende affettive del famoso filosofo danese, a partire dalle sue stesse opere, quali Diario del Seduttore, La
Ripresa, Timore e Tremore. Il pensiero di Kierkegaard oggi affascina molti anche tra i giovani e studenti: esso
infatti è attuale e "sembra fare grip con l'esperienza: sembra aderirvi meglio di altri discorsi", afferma l’autore del
libro, che per questo consiglia la lettura del filosofo anche tra i banchi di scuola.
Un libro sull’amore, un libro sull'impossibilità di amare. Perché tornare a leggere Kierkegaard a
scuola?
Sui banchi di scuola fioriscono i primi amori, perciò sarei favorevole a chi volesse portarsi il Don Giovanni sotto
il braccio, come si usava fare con i libri prima dell'avvento degli zainetti… Del resto, Kierkegaard è stata una delle
mie letture fin da ragazzo, poi all'università e come insegnante. Oggi ci torno come psicoanalista riprendendolo
dopo la pubblicazione delle Lettere del Fidanzamento: le 32 lettere, che il filosofo faceva recapitare in giornata
alla giovanissima Regine, figlia del Consigliere di Stato Olsen, esigendo che le leggesse ad alta voce e che
rispondesse "seduta stante". Dalle lettere scritte tra l'estate del 1840 e l'autunno del 1841 è ripartito il mio
interesse per il corpus estetico dell'opera di Kierkegaard, soprattutto il Don Giovanni - un opera impareggiabile
non solo per gli appassionati di musica -, le pagine del Diario dedicate al rapporto tormentato col padre e con
Regine, il Diario del Seduttore, La Ripresa, Timore e Tremore...
Da dove è partito per questa ricerca?
Sono andato alla ricerca di alcune frasi che mi ricordavo proprio dai banchi di scuola, come quella del Diario
dove Kierkegaard, paragonandosi a Socrate, afferma di aver imparato tutto da una ragazza. E' una frase con
un'eco potentissima, in grado di risuonare per anni nell'animo di uno studente. Suggerisce che si possa dare e
ricevere: scambiare, costruire, fare società. Nel libro ho cercato di seguirne le tracce, ma queste non portano da
nessuna parte... In tutto Platone, di cui Socrate è la voce "dialogante", non c'è un solo dialogo con una ragazza, o
dove una ragazza sia protagonista o co-protagonista. Per intenderci, un dialogo come quello tra la quattordicenne
Maria di Nazareth con l'Angelo - dialogo alla pari, dove l'ultima parola spetta a lei - in tutto Kierkegaard (come in
tutto Platone) non ha cittadinanza.
A suo parere Kierkegaard è "testimonio dell’amore"? Quali elementi permettono di
comprenderlo?
Mi ricordavo la domanda che Kierkegaard aveva posto a proposito del vescovo Mynster, primate di Danimarca e
amico di suo padre, in occasione dei suoi funerali: "è forse il vescovo Mynster un testimonio della fede?"
rispondendo poi in modo drasticamente negativo. Così me lo sono domandato anch'io di Kierkegaard a proposito
dell'amore.
Confrontarsi con lui su questo terreno ha voluto dire confrontarsi con i suoi maggiori traduttori e interpreti.
L'approccio a Kierkegaard è molto cambiato dal 1972, quando usciva la prima raccolta delle Opere a cura del
padre Cornelio Fabro, poi con Remo Cantoni, traduttore (laico) del Diario del Seduttore, ad oggi con Gianni
Garrera, che ha tradotto le Lettere del Fidanzamento e collabora alla nuova edizione del Diario. Si può dire che il
paradigma interpretativo della rottura del fidanzamento con Regine sia stato capovolto, e quello che veniva
presentato come una forma (per quanto paradossale) di amore, viene riletto come un inganno fin da principio.
Nel libro ho seguito questa seconda pista, che mi ha portato ad una visione d'insieme più coerente del corpus
delle opere estetiche col resto dell'opera di Kierkegaard.
La dimensione di apertura alla religiosità che manteneva Kierkegaard si è quindi dissipata
scomparendo del tutto, oppure si è trasformata in qualcosa d’altro?
Lo stadio estetico, con i suoi bagliori di seduzione e godimento e lo stadio religioso, con la sua promessa di
salvezza per ogni singolo, sono gli unici ad avere per Kierkegaard un vero interesse… Me ne sono occupato
soprattutto cercando di lasciare spazio ai testi: alle sue parole, alle sue frasi, alle freddure, all'ironia, alle
contorsioni linguistiche e concettuali. Kierkegaard è un virtuoso della penna! Da questo punto di vista il lettore
non resta mai deluso. Il problema, tuttavia, è che Kierkegaard non ci ha creduto: non ha avuto fede! Neppure
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/8/31/SCUOLA-La-seduzi... 25/09/2014
SCUOLA/ La seduzione non basta: i giovani e la "trappola" di Kierkegaard
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nella sua vocazione di scrittore. In fondo il suo rapporto con il credere si può "stringere" su questo punto: si può
credere? L’esperienza è credibile? Ci si può consegnare con fiducia a una voca-(a)zione… oppure quale che sia la
scelta l'esito è già segnato: "fidatevi di una ragazza: ve ne pentirete. Non fidatevi… ve ne pentirete ugualmente. O
che vi fidate o che non vi fidate ve ne pentirete ugualmente!".
Oggi, di fronte ad una inconsistenza dei rapporti tra uomo e donna (che non durano più, per i
più) cosa ci dice la storia di Regina e Soren?
Che la seduzione da sola non basta. Quella che Kierkegaard attua con Regine e da cui Regine si lascia
intrappolare è una seduzione (per quanto sui generis). Se-durre è portare un altro dalla propria parte, ingaggiarlo
per un compito, in-vogliarlo, con-vocarlo per un lavoro i cui frutti sono di comune godimento. Qui il tema del
godimento rientra in gioco, ma in chiave giuridica, secondo l'importante precisazione del discorso lacaniano sul
godimento fatta da Giacomo B. Contri. Per dirla ancora con uno degli aforismi con i quali Contri ricapitola il tema
godimento e rapporto sessuale: quello che c’è di irrinunciabile è la sigaretta che i due amanti si fumano dopo.
Metafora che non ha bisogno di spiegazioni, anche per i non fumatori. Giacché se non combineranno qualcosa di
buono dopo, potranno dire addio anche a quell'effimero, ma non per questo disprezzabile, godimento.
Perché il pensiero di Kierkegaard incanta tanto gli studenti?
Non solo gli studenti. Kierkegaard ha molti fans anche tra i docenti e in fondo se li merita, perché la sua critica
così radicale è una provocazione stimolante, che non si può lasciar cadere con leggerezza. È anche vero che il suo
discorso cattura soprattutto i giovani perché sembra fare "grip" con l'esperienza: sembra aderirvi meglio di altri
discorsi, e per quanto si tratti di una sensazione ingannevole, una sorta di miraggio, occorre dare atto a
Kierkegaard che l'elenco dei temi trattati è piuttosto completo: il rapporto con la donna in primis (a prescindere
che egli lo trovi possibile o impossibile), la fede, la professione, la politica, ma anche la malattia, l'angoscia, la
melanconia, la singolarità e la legge… Ecco: l'economia manca. Quello di Kierkegaard non è un pensiero
economico. L'idea stessa di vantaggio per Kierkegaard è un’idea oscena. "Muovere qualcuno: no, non lo faccio.
C’è chi legge i miei scritti, chi se li studia, chi li impara a memoria, chi se ne serve quando deve predicare e
insegnare... Mio Dio, ma allora io faccio più male che bene!".
(Carerina Gatti)
© Riproduzione riservata.
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L’INGANNO NELL’AMORE, KIERKEGAARD E LA TECNICA PSICOANALITICA
Intervista a Luigi Campagner di Giovanni Callegari, presidente Metis dell'UNIPSI.
Venerdì 5 Settembre 2014
Luigi Campagner, ha recentemente pubblicato L’inganno nell’amore. Le figure della seduzione in Kierkegaard. L’approccio di uno psicoanalista. Un libro sul fidanzamento di Søren Kierkegaard con Regine Olsen, ricco di spunti e molto stimolante anche sul versante
della tecnica psicoanalitica. La Prefazione è di Giacomo B. Contri. Editore Odon, Milano.
Innanzi tutto il transfert. Come definirebbe oggi la gestione del transfert in un percorso
analitico? Anche in riferimento a quanto emerge dal comportamento di Kierkegaard nel
fidanzamento con la giovane Regine?
Rispetto a Kierkegaard il primo richiamo al transfert viene dall’aver pensato al famoso
episodio del fidanzamento e della rottura del fidanzamento con Regine, non tanto come
un “appuntamento mancato”, ma come un programma, antagonista al regime
dell’appuntamento, nel quale vige l’imperativo negativo: deve accadere niente!
Transfert è il nome di un legame, o meglio il nome di un affetto, sapendo che gli affetti
non sono univoci, ce ne sono di positivi e di negativi. Credo che la metafora che meglio
esprime il transfert sia stata colta dalla Ford, l’azienda di automobili, che ha pensato
bene di chiamare un mezzo di trasporto con questo nome. Il transfert, nell’analisi, è portare qualcosa a qualcuno, a partire dal portare sé stessi all’appuntamento. Fin tanto che
c’è analisi, c’è questo trasporto di materiali a qualcuno, affinché vengano trasformati in
un lavoro a due. Il caso del transfert negativo, cioè dell’obiezione a questo rapporto è
quello che è intravedibile in Kierkegaard nei confronti di Regine, che viene convocata ad
un trasporto amoroso con l’inganno perché, questo trasporto amoroso è finalizzato a “far
accadere nulla”, ovvero all’annullamento della pulsione, attraverso l’annullamento della
meta. Nel libro, ho fatto un cenno all’attenzione che l’analista deve avere sull’inganno
che può essere portato in seduta da chi si presenta all’appuntamento con il solo scopo di
dimostrare a sé stesso e al mondo dei suoi rapporti che comunque non accade nulla, non
ci riesce neanche l’analista. Pur concedendo un numero (limitato) di errori, l’analista dovrebbe essere in grado di non cominciare l’analisi con un paziente che abbia questo tipo
di ambizione.
Quindi che tipo di legame affettivo mette in atto Kierkegaard?
L’affetto predominante in Kierkegaard è la melanconia. Oggi la melanconia è misconosciuta, quindi è molto più pericolosa. Essendo stata estromessa dall’ambito della psicologia, perché non esiste né nel manuale diagnostico PDM né nel DSM, questa patologia
difficilmente trattabile, diventa ancor più pericolosa. Nella definizione di Kierkegaard la
melanconia è un’esistenza ante acta, cioè un’esistenza astinente per principio, da ogni atto, da ogni comportamento, da ogni iniziativa e proposta di qualche cosa di positivo,
perché comunque sarebbe un fallimento. La melanconia è la rinuncia a priori, anche al
semplice tentativo, perché la riuscita non è possibile, è una non ricerca giustificata
dall’assenza della meta. Il contrario della frase di Giovanni Gastel, il noto fotografo di
moda: “Sono sempre andato alla ricerca di qualcosa di nuovo”, “Essendo certo che
l’avrei trovata”. La melanconia, come psicopatologia, è la percezione che qualcosa per il
soggetto è accaduto, ma solo nel passato, il melanconico è un uomo o una donna senza
futuro, perché non accadrà più nulla di significativo. È una vita totalmente sbilanciata
nel ricordo. In Kierkegaard questo diventa un’attitudine: trasformare ogni istante
dell’esperienza in ricordo. In lettera morta. La rimozione in Kierkegaard non ha la forma
della dimenticanza, ma del ricordo. Kierkegaard avvolge ogni istante dell’esperienza nel
velo del ricordo.
Il “caso clinico” Kierkegaard lo possiamo ritrovare nella modernità? Oggi ci sono casi clinici di questo genere?
Principalmente lo troviamo capovolto, non nella forma del divieto astinente impostato
del super-io censore messa in luce da Freud, ma in quella dell’istigatore “osceno e feroce”
di cui ha parlato Lacan. L’attualità di Kierkegaard sta tutta nel fatto che l’instabilità
che avrebbe prodotto il capovolgimento è già presente. Per questo nell’introduzione ho
affermato che il progetto di Kierkegaard con Regine è speculare a quello di Sade con Eugenie, l’eroina porno libertina de La Philosophie dans le boudoir.
Credo che un melanconico tout court come era Kierkegaard, non avrebbe cercato un
analista e, se lo avesse cercato, sarebbe stato solamente per dimostrargli che il suo per
era un caso di natura eccezionale. Questo fa parte della teoresi di Kierkegaard che teorizza il singolo come un’eccezione, come uno che è costantemente fuori da ogni norma,
niente fa al caso suo
Allora il transfert diviene un veicolo fondamentale per posizionare l’analista in merito alla
patologia dell’analizzante?
Mi è capitato di sentire (o leggere) G.B. Contri, dove informa di aver accettato una domanda di analisi da una persona che aveva letto un suo articolo sulla melanconia… Per
altro l’immagine della Melanconia di A. Dürer fa parte del Logo di Studium Cartello (ora
SAP – Società Amici del Pensiero – S. Freud)
Cosa rappresenta?
Rappresenta una donna abbandonata a sé stessa, dominata da quella che i medioevali
avrebbero chiamato “accidia”. Al suo fianco c’è una clessidra. È una donna senza tempo,
perché il tempo ha senso solo se accade qualcosa, quindi è una donna a cui non accade
più nulla. Per azionare il tempo della clessidra ci vuole un atto, devi girarla, se compi un
atto, non hai tempo, non determini il tempo. Riprendendo l’esempio di Contri, se un melanconico si riconoscesse malato di quel malessere, allora l’analista potrebbe riconoscergli
il merito di aver compiuto un atto dove si riconosce sofferente, malato di quella specifica
patologia. A questo punto potrebbe prenderlo in analisi.
Nel libro gli accostamenti di Kierkegaard con Freud e Lacan sono numerosi. Può approfondire queste coraggiose connessioni?
A mettere Kierkegaard sul campo psicoanalitico è stato Lacan, che lo commentato più
volte. I nessi con Freud sono venuti di conseguenza. Kierkegaard è stato bravo in una
cosa, perché ha descritto un triangolo, che poi viene ripreso anche da Lacan: la donna è
la donna del padre. È il triangolo Freudiano commentato anche da Contri che (come
spesso gli accade) mette lo cose coi piedi per terra: mia madre è la donna che ama mio
padre. Ma è un Kierkegaard già supplentato da Lacan, nel senso che Kierkegaard afferma di non aver avuto accesso alla donna per un ostativa del padre, che lo avrebbe inchiodato alla posizione melanconica. Ora tutta la vicenda personale di Kierkegaard è
una vicenda di sterile ribellione, al rigore del padre. Nel libro, ho richiamato il passaggio
in cui Freud parla “dell’obbedienza posticipata…”
Perché sterile? In fondo la sua era un ribellione giusta?
Sterile perché non arriva mai a fare la propria strada, lasciandosi il genitore alle spalle.
Invece ne fa un totem, anche nel senso di crearsi una giustificazione inconscia: lui non
vuole, io non posso. Al massimo posso trasgredire. Kierkegaard non perviene alla soluzione che era stata già di Francesco d’Assisi: “non ti chiamerò più padre”. Nella patologia accade spesso così: non solo non si trovano soluzioni, ma non si riesce neppure a trarre vantaggio dalle soluzioni già pensate da altri.
Kierkegaard resta fissato ad una ribellione e, dopo la morte del padre, fissato ad
un’obbedienza posticipata. Per cui, ad es., la laurea in teologia presa successivamente alla morte del padre, quando nessuno si sarebbe mai aspettato che lui si laureasse. Il suo
non laurearsi era una forma di ribellione. Fin tanto che il padre è restato in vita non gli
ha dato la soddisfazione di laurearsi in teologia. Quando è morto, invece, si fissa alla teologia, occupandosi solo di questioni religiose. Ricalcando così le orme del padre, che alla
nascita di Søren già non si occupava più di affari, ma solo di questioni religiose. Questa
forma di ribellione, Kierkegaard la ostenterà anche nei confronti del “grande Altro”, come direbbe Lacan, nel senso che la ostenta nei confronti della società, perché non accede
ad una professione, non accede ad un’associazione, non accede ad un circolo né politico,
né letterario, né religioso. In un gioco “per versi diversi” nega ogni forma di socialità,
perché Kierkegaard eccitava un interesse, da parte di molti attori, sia religiosi che politici che dell’arte. Eccitamento che mandava costantemente deluso, come ben sapevano i
redattori del Corsaro, il giornale progressista che finirà col prenderlo di mira con le famose caricature.
Nel rapporto col padre trova centrale l’elemento fissazione?
La fissazione è il quarto elemento della psicopatologia, aggiunto da Giacomo B. Contri
alla triade Freudiana: inibizione, sintomo, angoscia. La fissazione tiene assieme i primi
tre elementi. Li cementifica, fissandosi sull’agente patogeno.
La dipendenza patologica nei confronti del padre sta anche nel fatto che Kierkegaard
non diventa mai autonomo. Un’ulteriore elemento della sua fissazione nei confronti del
padre è la sua dipendenza economica, per cui vive delle risorse paterne fino alla fine,
quando finiscono le risorse paterne, quando si estingue il patrimonio lasciatogli dal padre, anche Kierkegaard muore. Questo dramma Kierkegaard lo rappresenta di continuo,
nelle figure di Abramo con Isacco, nel suo rapporto con Regine, ma anche nella dialettica
tra Don Giovanni e Leporello e in quella tra Don Giovanni e Donna Elvira. Di Donna
Elvira dice di non saper definire meglio il suo rapporto con Don Giovanni se non come
un “odio amoroso”. Pur scrivendo il Don Giovanni, un opera impareggiabile, Kierkegaard si identifica con Donna Elvira: con la vittima della seduzione, così come nel
dramma di Abramo e Isacco si identifica con Isacco.
La statura di Kierkegaard sta nel fatto che la posizione di eccezione, che lo fa stare da solo, è una posizione, radicale, di critica sociale. Critica di una società in cui aveva creduto.
Ora non gli stava bene nulla. Diversamente da quanto era successo ad altri nella storia,
ad esempio gli eremiti (Antonio d’Egitto o allo stesso Francesco d’Assisi), che si sono radicalmente dissociati da una società e da una civiltà, però ne hanno generata un’altra su
basi differenti, la sua posizione è sterile: non crede che la società e la civiltà siano riformabili, né al livello dell’individuo né della polis. Mi sono laureato con una tesi su P.J.
Proudhon, (l’autore de La proprietà è un furto), un socialista utopico contemporaneo a
Marx, che era noto come “picconatore” per la veemenza della sua critica e la radicalità
delle sue tesi. Con tutto ciò, Proudhon aveva un ideale sociale positivo, una forma di legame che avrebbe voluto realizzare. Era utopistico, però lo aveva. In Kierkegaard questo ideale è l’annichilimento della pulsione, quindi non c’è una meta positiva alla quale
la civiltà potrebbe arrivare. Tuttavia trovo che confrontarsi con il radicale anticonformismo di Kierkegaard sia moto utile alla psicologia e alla psicoanalisi che vengono intese
come strumenti per perfezionare il conformismo sociale. O per rammendarne gli strappi,
dimenticando che la psicopatologia, che è pensiero, contiene un istanza di protesta e di
libertà, che portare a meta, concludendo una ri-forma personale e civile, e compito
dell’analisi.
La sua pratica psicoanalitica quanto può motivare i suoi interessi culturali e filosofici che
possono esulare dalla clinica? La ricerca su uomini come Eichmann e Kierkegaard di quale sue competenze analitiche si avvale?
Il mio interesse è per il pensiero. Il proprio della psicoanalisi in cui mi riconosco, è rifiutarsi di distinguere il pensiero (p piccolo) dalla Cultura (P grande) e di trattare il pensiero
del bambino e del singolo paziente alla stregua del pensatore di rango (e viceversa). Il
vantaggio della psicoanalisi, che è pensiero, rispetto alla filosofia, che è pensiero, è dato
da una distinzione, perché la psicoanalisi si occupa di una patologia del pensiero, il cui
soggetto è il corpo e i cui effetti, come sintomo, andremo a trovare nel corpo. Tuttavia
non è una patologia del corpo, bensì del pensiero che – come Contri ha tradotto la pulsione - elabora la legge del moto del corpo. Il vantaggio della psicoanalisi è la distinzione
tra pensiero sano e pensiero malato. Nella psicopatologia l’agente patogeno non è fisiologico, ma logico. La filosofia volendo distinguere delle sezioni, quindi distinguere il pensiero teoretico dal pensiero clinico, fa sì che il pensiero teoretico, in quanto tale vada
sempre bene. Invece Freud parla di Kant come di una filosofia super-egoica, Lacan rincara la dose associandolo a Sade… L’agente patogeno è a sua volta un pensiero, che "attacca" il pensiero sano sotto forma di teoria patogena. Contri ha concluso che il simbolico
vada riformulato come teorie, che i simboli presenti nel pensiero, che in qualche modo lo
occupano, lo tiranneggiano, sono presenti in forma di teorie. Ecco, l’inibito, cioè il nevrotico, resta soggetto a queste teorie patogene fino tanto che non riesce a svelarne
l’inganno. Cosa che avviene solo sulla via della guarigione, come si direbbe, sulla Via di
Damasco.
La psicoanalisi è stata definita una cura con le parole, Lacan ha aggiunto che l’inconscio è
strutturato come un linguaggio con i diversi significanti e significati. Lei ha detto che per
Contri il significante si "articola" in teorie...
Secondo Contri significante significa: cretino! Nel senso detto prima, della teoria che non
viene svelata come tale. Nel libro ho riportato Roland Bart, su cui Contri fece una tesi in
Francia, che assimila il linguaggio al fascismo, pensiero perfettamente in linea con il
simbolico lacaniano. Il soggetto riceve un linguaggio con dei simboli e dei significati.
Nell’ipotesi strutturalista, che è quella dove, prevalentemente si muove Lacan, il soggetto non avrebbe alcuna facoltà di divincolarsi da questo involucro nel quale nasce. Ciò
configura una sorta di alienazione primaria nel linguaggio stesso. Nell’idea di Contri c’è
la possibilità di riesaminare la “trasmissione”, passandola così a “eredità con beneficio di
inventario”, di lasciar cadere il patologico, di salvare il salvabile, e su questo elemento
costruire un nuovo edificio. In analisi non si tratta semplicemente di andare a riprendere
qualche cosa del passato, ma di costruire qualcosa nel futuro. Il bambino sano non equivale all’adulto sano, perché per quanto l’adulto guarito riscopra qualcosa di sé bambino,
questa sua ripresa di consapevolezza deve essere giocata nella dimensione della vita
adulta, che non ha niente a che fare con la dimensione della vita infantile.
Non è troppo ottimistico? Lacan ad esempio, relativizzava la guarigione?
E faceva bene, perché ciascuno guarisce a modo suo. La guarigione è sempre relativa…
Però c’è un punto dirimente, se siamo alienati nel linguaggio come ne usciamo? Anzitutto siamo interni a una conquista, non ha una perdita, a un’acquisizione, a un progresso,
a una civiltà…ma soprattutto il linguaggio è un prodotto del nostro corpo, e ciascuno
parte e ri-parte, da questa “esperienza elementare” del proprio copro che offre a ciascuno
un accesso non mediato al “sistema binario” piacere-dispiacere. I due elementi con i quali si costruisce la civiltà. È l’esperienza primaria del corpo pulsionale che permette di
muoversi nel “universale paragone” senza essere alienati, espropriati del principio di piacere individuale come principio legislativo del moto del corpo.
Ci sono poi delle situazioni di deprivazione tale che possono ritrovare in certe istituzionalizzazioni come oggi giorno certe comunità per minori, dove alcuni minori possono essere
stati così tanto deprivati da una eredità iniziale, che non avrebbero nessuna convenienza
a riferirsi ai propri genitori. In questi casi la fissazione ad un’ideale genitoriale, costituisce una fissazione ad un’esperienza di mancanza, e quindi impedirà l’accesso ad
un’esperienza minimamente soddisfacente. L’alternativa è invece di costruire nuove relazioni, senza rimanere fissati a quelle genitoriali, ma patogene dell’inizio.
Nel testo fa un parallelismo tra Kierkegaard e il Presidente Schreber nel celebre testo di
Freud interpretativo del testo “Memorie di un malato di nervi” dello stesso Schreber.
Il caso del presidente Schreber è descritto da Freud come lo studio su un caso di paranoia.
Approfondendo i testi sono emersi dei punti di contatto con quanto descritto da Freud e
quanto Kierkegaard descrive di sé stesso nel Diario. Anzitutto l’aspetto della paranoia
presente in Kierkegaard. Nella sua riflessione l’altro è presente come persecutore, in
quanto responsabile di un eccitamento. In questo caso l’altro persecutore è la donna, che
muove l’interesse, l’eccitazione. Poi, in modo clamoroso, il parallelismo si è imposto perché Schreber si rappresenta come la “prostituta di Dio” e Kierkegaard come la “concubina di Dio”. In Kierkegaard la metafora della concubina è “cosciente” mente quello di
Schreber è un delirio inconsapevole. Ho cercato di anche le differenze tra la metafora utilizzata da Kierkegaard e quella utilizzata da Schreber notando che nel delirio inconscio
di Schreber c’è più rapporto di quanto non ce ne sia nel “delirio consapevole” di Kierkegaard. Perché la prostituta Schreber suscita la “voluptà” di Dio, cioè dell’altro, ne provoca il desiderio e l’appagamento. Da Dio viene posseduto dandogli dei figli. In Kierkegaard questa apertura al rapporto con l’altro non si dà perché la seduzione iniziale lo
esclude dal rapporto con Dio. Altri punti di contatto riguardano l’omosessualità, collegato al complesso di castrazione, dove il bambino, per dare soddisfazione al padre, per ave-
re il suo amore, ipotizza che l’amore del padre e per il padre gli debba costare
l’evirazione. È l’idea di amore come sacrificio.
La fantasie di essere sodomizzato, Kierkegaard l’ha descritte in riferimento agli effetti
che le musiche del Don Giovanni avevano in lui, perché sente che la musica potrebbe
scatenare in lui questo tipo di inclinazione, senza che Kierkegaard sia in grado di analizzarla, come abbiamo fatto qualche passo sopra. Una delle varie configurazioni del delirio
di Schreber è nei confronti del medico che lo aveva curato la prima volta verso il quale
ha un trasporto omosessuale. Medico che Freud interpreta nuovamente come una figura
paterna, cioè come un maggiore che lo aveva aiutato. Credo che sia interessante, perché
il nocciolo di tutto è ancora il rapporto con il padre (a sua vota medico) nei confronti del
quale si sente in difetto, non avendogli dato degli eredi.
Il tema del padre è ben rappresentata dalla tela del Caravaggio sul sacrificio di Abramo del
figlio Isacco. Nell’appendice del suo bel testo, si parla del non sacrificio di Isacco da parte
di Abramo, vuole spiegarci meglio il tema?
Se il dramma di Abramo con Isacco (e viceversa) era ancora attuale per Lacan che se ne
occupa nel saggio Dei nomi del padre lo dobbiamo alla ripresa che Kierkegaard fa in Timore e tremore. Nell’indice analitico dell’opera di Freud non c’è traccia di Kierkegaard,
come neppure di Abramo e Isacco.
È un tema di cui mi ero già occupato, riprendendo il lavoro di Lacan sui nomi del padre”
Se si ritiene che Kierkegaard mentre parla di Abramo e Isacco stia parlando della storia
religiosa contenuta nella Bibbia, e soltanto di quella, ci si sbaglia, perché nella storia di
Abramo e Isacco Kierkegaard iscrive la vicenda personale del rapporto col padre, il suo
rapporto con Regine. Inoltre sono due figure che egli gioca criticamente contro Hegel. In
chiave hegeliana, Kierkegaard osserva come sarebbe impossibile mettere come premessa
all’etica un crimine, per altro così grave, com’è il l’uccisione del figlio da parte del padre.
Rendendo inutilizzabile la dialettica tra Abramo e Isacco ai fini hegeliani, Kierkegaard
la rende però inutilizzabile anche ai fini della fede, perché l’elemento del figlicidio rimane
centrale. Da questo punto di vista, la posizione di Kierkegaard invalida sia la parte hegeliana, sia quella del credente ed è una posizione conservatrice. Kierkegaard è un conservatore: non volendo fare nulla per innovare, conserva, ed è la parte che io ho trovato interessante in un momento della storia contemporanea dove la vicinanza col mondo islamico è sempre maggiore. Il mondo islamico ha mantenuto delle festività (la festa del sacrificio) istituzionali dedicate ad Abramo, mantenendo con le figure di Abramo e Isacco,
un legame molto più forte di quello che non sia stato mantenuto nel cristianesimo. Kierkegaard è molto bravo a rendere drammatiche le situazioni, quindi ad attualizzarle e a
renderle anche fruibili ad un lettore contemporaneo, che diversamente si annoierebbe.
Quando nel Diario, descrive la discesa dal monte Moira di Abramo ed Isacco, descrive un
dramma, perché Abramo ha sì risparmiato Isacco, ma non riavrà più il suo amore, perché ha voluto ucciderlo. Ciò a cui Kierkegaard non perviene è l’idea che Abramo non sia
l’uomo che accetta l’obbligo del sacrificio, ma quello che inizia un’era nella quale finisce
il sacrificio. Questo è il guadagno di Freud ne “L’uomo Mosè e il monoteismo”. Nel Terzo
Saggio Freud afferma che con il cristianesimo inizia la religione del Figlio e finisce quella
del Padre. Questa tesi centra con tutta la questione dell’eredità. Finisce l’epoca in cui il
figlio è soggetto al sacrificio impostogli dal padre, fosse anche il grande Altro di cui parla
Lacan, ma inizia l’era del Figlio, ovvero è il figlio che riconosce il padre come padre. Non
so se mai ci sarà una contaminazione son l’Islam, nel caso spero avvenga su questo tema.
In conclusione e concisamente, dove risiede l’inganno nell’amore?
Nel convocare l’altro al fallimento, anziché alla riuscita del rapporto.
LUIGI CAMPAGNER
Luigi Campagner si è Laureato in filosofia teoretica sotto la guida di Francesco Botturi e
si formato come psicoanalista con Pietro R. Cavalleri. Insegnante di filosofia, ha poi diretto un noto centro lombardo per persone adulte portatrici di handicap psicofisici dove
ha applicato le principali innovazioni derivate dal trattamento psicanalitico. È cofondatore dei Centri Artemisia e Kirikù per donne e madri in disagio e minori (bambini e
adolescenti) allontanati dalla famiglia d’origine.
Socio analista e docente di Studium Cartello-Il lavoro psicoanalitico, oggi confluito nella
Società Amici del Pensiero-S. Freud, presieduta da Giacomo B. Contri. ha pubblicato alcuni apprezzati libri tra quali Fiabe per… pensare. (2005), L’avventura di essere donna.
Appunti di cinema e psicoanalisi(2006), La scuola dei talenti. (2007), Caso Eichmann.
Banalità del male? Il pensiero di uno psicoanalista a cinquant’anni dal processo (2011);
L’inganno nell’amore. Le figure delle seduzione in Kierkegaard (2014). È curatore dei volumi collettanei promuovere nuovi scenari per affido e adozione, Quando il figlio è minacciato. Maltrattamento e tutela. Schopping compulsivo. L’altra faccia dello schopping e GAP
(gioco d’azzardo patologico). Il gioco malato. Lavora come psicoanalista a Milano e Varese.