Rocchi Giorgio - Del cosiddetto «adogmatismo

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Rocchi Giorgio - Del cosiddetto «adogmatismo
Rivista Massonica – N. 9 – Novembre 1974 – Vol. LXV – IX della nuova serie – pp. 525-538
Del cosiddetto «adogmatismo» massonico,
ovverosia:
del culto della dea Ragione
di Giorgio Rocchi
In tutte le forme viventi, in tutti gli esseri individuali del nostro piano di esistenza, chi ha occhi per
vedere e cuore per intendere, non può fare a meno di avvertire la presenza di un «quid» che si differenzia nettamente dalla materia e che la organizza:
- nei minerali: la cristallizzazione;
- nei vegetali: il fototropismo;
- negli animali: l'istinto;
- nell'uomo: la ragione.
Questo «quid» o essenza comune, che tuttavia si estrinseca in maniere diverse nei tre regni e nell'uomo, assumendo aspetti sempre più molteplici e complessi via via che si procede dalla periferia al
centro - e che costringe i minerali a formarsi ed a svilupparsi ciascuno secondo una ben determinata
forma cristallina; le piante a crescere verso l'alto, alla ricerca della luce; gli animali ad assumere peculiari comportamenti, conformi ciascuno alla propria natura; che permette all'uomo di distinguere il bene
dal male e lo mette in grado di agire come meglio crede, secondo il proprio libero arbitrio - proviene
forse dalla materia, per una specie di sublimazione di questa?
Vi è chi lo afferma e che nel suo materialismo non si rende conto che dal meno non può procedere il
più, e che la materia (1) non può organizzare e vivificare sé stessa: se così fosse, il problema del moto
perpetuo sarebbe risolto da un pezzo.
La Tradizione insegna, invece, che le qualità di cui sopra corrispondono ai diversi modi in cui lo
Spirito si riflette nel nostro mondo quando dal piano metafisico scende a fecondare ed organizzare la
materia: che queste particolari forme dell'anima universale debbano essere necessariamente diverse, è
facilmente arguibile quando si pensi, per analogia, che i vari corpi sono più o meno permeabili alla luce, a seconda della loro particolare costituzione e natura.
Ma come la forma di un oggetto riflessa da una superficie speculare, non è l'oggetto stesso - tanto è
vero che si dissolve con l'alterarsi della superficie riflettente - bensì una immagine intimamente connessa alla natura dello specchio, così la ragione, pur essendo un riflesso nell'uomo dello spirito universale, è tuttavia una qualità individuale peculiarmente umana - così come cristallizzazione, fototropismo
ed istinto sono qualità proprie, rispettivamente, dei minerali, dei vegetali e degli animali - e dal punto di
vista metafisica non può certo pretendere ad una qualsiasi superiorità rispetto alle corrispondenti qualità particolari dei tre regni.
Da questo punto di vista, dire che un uomo esercita il potere discriminativo della ragione, equivale a
dire che un animale segue l'impulso dell'istinto: così facendo entrambi permangono nei limiti delle rispettive nature, con la sola differenza che l'animale, non possedendo il libero arbitrio, è costretto a seguire l'istinto, rimanendo quindi sempre animale, mentre l'uomo può anche non esercitare il raziocinio
e quindi abbassarsi al livello del bruto.
La Tradizione afferma anche che l'essere che si manifesta come uomo sul piano materiale, è contemporaneamente e virtualmente qualcosa di più - e purtroppo anche qualcosa di meno - sui piani rispettivamente superiori ed inferiori al nostro piano di manifestazione: la dottrina degli stati molteplici
dell'essere ci insegna che l'uomo non è una entità chiusa come la monade di Leibnitz, ma è sempre in
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comunicazione con i piani di cui sopra, manifestati e non manifestati, e questa comunicazione da virtuale può divenire cosciente ed effettiva, con l'ausilio di mezzi e di tecniche opportune.
La tecnica consiste sempre nel cercare di disindividualizzarsi, ovverosia nel tentare di aprire il guscio dell'io in modo che l'essere sia libero, se non altro in teoria, di sfuggire alla prigione della sua individualità e di muoversi su altri piani.
Ma essendo le tendenze della natura, in definitiva, tre: discendente, espansiva ed ascendente (i tre
gunas della tradizione induista: tamas, rajas e sattwa), una volta spezzato il guscio dell'io, l'essere può
cadere in forme di subcoscienza (2) - tendenza discendente di tamas - oppure sperimentare forme di coscienza dello stesso piano umano ma diverse da quelle vissute in condizioni normali - tendenza orizzontale di rajas - a realizzare, infine, stati di supercoscienza - tendenza ascendente di sattwa.
La tendenza che ci interessa, dal nostro punta di vista, è quella ascendente di sattwa, mediante la
quale l'uomo può realizzare gli stati superiori dell'essere, stati dei quali alcuni sono ancora individuali
(ovverosia con forma), altri - e in definitiva quelli cui dovrebbe aspirare chiunque abbia intrapreso il
cammino iniziatico - non sono più individuali, ma universali (ovverosia privi di forma).
Dovrebbe apparire abbastanza evidente, almeno a chi possiede le più elementari nozioni di metafisica, come la ragione, facendo parte del complesso mentale, ed appartenendo quindi alla sfera psichica o
animica, sia una facoltà esclusivamente individuale e forma1e, ed in quanto tale non abbia nulla a che
vedere con gli stati superiori universali e privi di forma.
In altre parole la ragione è il mezzo che ci impedisce di cadere negli stati di subcoscienza, che ci
permette di sperimentare ogni possibile forma di coscienza del piano umano, e che può esserci di aiuto
per realizzare determinate forme di supercoscienza, sempre però sul piano individuale.
Se però aspiriamo a qualcosa di più, allora la ragione deve essere accantonata e deve essere impiegata un altro strumento - se così passiamo chiamarlo - che la Tradizione ci dice essere la intuizione intellettuale o intuizione pura.
Il rapporto tra ragione ed intuizione intellettuale è lo stesso che esiste tra logica e metafisica. Tutte le
conoscenze individuali sono dipendenti dalla logica, in quanto una speculazione di qualsiasi ordine non
può esser valida che alla condizione di uniformarsi rigorosamente alle sue leggi.
Ma la metafisica, causa la sua universalità, ed in quanto non concernente la conoscenza della manifestazione, bensì di ciò che è superiore alla manifestazione stessa, non può dipendere dalla ragione: la
Conoscenza metafisica, l'unica degna di questo nome e la sola che possa essere scritta con la C maiuscola, si avvale unicamente dell'intuizione pura o intelletto
Quanto è stato appena detto, non è però accettato da un certo numero di appartenenti alla comunione
massonica, i quali non possono sentir parlare di metafisica senza provare un senso di fastidio (3): lo
scetticismo di questi seguaci della dea Ragione è infatti tale da non consentir loro di sentire nominare la
Tradizione, la rivelazione e l'intelletto, senza sorridere con ironia e senza tacciare immediatamente di
dogmatismo chi ne invoca l'autorità per confortare una tesi, un pensiero, una intuizione.
Poiché all'origine di essa sta la rivelazione, basata sull'intuizione intellettuale e non sulla ragione,
questi massoni tengono la tradizione in nessun conto e, come massima concessione, ammettono che
possa venire citata a mero titolo di curiosità, e quindi come semplice sfoggio di erudizione.
Allo scopo di porre in risalto quanto, nel loro atteggiamento, ci appare scarsa conoscenza degli elementi del problema,. nonché sterile dubbio, non sarà forse inutile accennare, anzitutto, al duplice significato insito nel termine «rivelazione»: quello exoterico di «svelare», che per ogni articolo di fede ripropone la comune origine della parola di Dio, e quello esoterico di «velare nuovamente», affermante
l'impossibilità di convertire in termini comprensibili ciò che è stato sempre occulto alla natura individuale dell'uomo ma che può essere realizzato in particolari stati di coscienza inerenti agli stati superiori
dell'essere.
La Verità, simboleggiata dalla Luce di cui ogni libero muratore si dichiara costantemente alla ricerca, come ogni altra realtà universale, non può essere definita con parole - le quali sono le forme che ri2
vestono il suono della voce umana - giacché, se ci è concesso esprimerei in termini matematici, ad ogni
più determinativo, corrisponde un meno metafisico.
Come del silenzio, suscettibile di essere convertito in una molteplicità indefinita di suoni, resta solo
un determinato suono al verificarsi della corrispondente vibrazione; come del suono della voce umana,
suscettibile di essere convertito in una molteplicità indefinita di parole, resta solo una particella infinitesima allorché viene pronunciata una determinata parola, cosi della Verità rimane ben poca cosa ogni
qualvolta si tenti di trasmetterla verbalmente.
Essa può essere solo intuita mediante l'intuizione pura od intellettuale, con l’ausilio dei simboli, e
questo è il vero significato del segreto massonico: nulla è più segreto, infatti, di ciò che per la sua stessa natura non può essere comunicato.
Non senza ragione la Verità è celata all'uomo, o almeno alla sua individualità: solamente coloro che
hanno potuto superare tale condizione, sono in grado di comprenderla senza esserne offesi; l'individuale non può attingere all'universale, le tenebre non possono comprendere la luce.
Il Sufi Ibn Mançûr al-Hallâj fu condannato al supplizio per avere più volte detto: «Anâ al-Haqq» - io
sono la Verità - quando si trovava in particolari stati spirituali di super coscienza (maqamât).
Per gli iniziati era evidente che, in quelle particolari condizioni, non era l'individuo a parlare, bensì
era la Verità, il Principio - cui Ibn Mançûr si identificava - a parlare per bocca sua; ma questo, i non iniziati, gli exoteristi, i dottori della Legge, non erano in grado di comprenderlo.
Essi trassero motivo di scandalo dalle parole di Ibn Mançûr e giustamente, almeno dal loro punto di
vista e considerato lo spirito dei tempi, lo condannarono.
L'iniziato però sa che, in virtù della molteplicità indefinita degli stati dell' essere - di cui sopra si è
ricordata la dottrina - l'uomo non è soltanto l'individuo condizionato dal tempo e dallo spazio del nostro
piano di esistenza, ma ha la possibilità di rendere effettiva. ed attuale la comunicazione - che rimane allo stato virtuale per la quasi totalità dei suoi simili - con gli stati super individuali, manifestati e non
manifestati.
L'uomo ha quindi la possibilità di identificarsi con il Principio (Uomo Trascendente della tradizione
estremo orientale - Sufi della tradizione islamica - Yogi della tradizione induista): in tal caso, cercando
di trasmettere ad altri il contenuto delle esperienze che ha vissuto, conscio delle limitazioni inerenti alla
mente umana, e costretto quindi ad affermare che «Dio ha parlato», che «Dio gli ha rivelato», non
compie tuttavia alcun atto di fede e non fa del dogmatismo, attesoché egli vede, egli conosce, egli è la
Verità.
Non si comprende allora perché quei massoni, che si consideravano sacerdoti della dea Ragione,
siano pronti a sottoscrivere le asserzioni di un Freud, di un Hadler, di uno Jung, di un Darwin, ma non
quelle di un Rama, di un Mosè, di un Budda, di un Cristo o di un Maometto.
È chiaro che essi non sono che degli iniziati virtuali - ed in ciò nulla di strano, in quanto la stragrande maggioranza degli appartenenti alle attuali organizzazioni iniziatiche occidentali, rimangono appunto allo stato virtuale - ma con il loro atteggiamento mentale essi si precludono per sempre la possibilità
di divenire degli iniziati effettivi e, recidendo le proprie ali fin dall'inizio del cammino iniziatico, si
condannano definitivamente a strisciare sulla terra anziché sforzarsi di volare.
Inoltre molti di loro parlano; sovente, di problemi e di esigenze spirituali, e talvolta anche di personali progressi in tale campo.
Ebbene, con quale metro essi misurano. tali progressi? Forse con quello della ragione? Sarebbe come voler misurare una distanza con una unità di peso; una resistenza elettrica con un'unità di tensione:
l'unità di riferimento deve essere della stessa natura di ciò che si vuole misurare e, a parte questo, non si
comprende come si possa accettare l'idea della realtà di un ente universale quale è lo Spirito, proclamando nel contempo l’assoluta superiorità di una facoltà individuale quale è la ragione.
Essi credono di poter dimostrare la validità della loro tesi con il fatto che, durante i lavori massonici,
il rituale prescrive che alla Bibbia siano sovrapposti squadra e compasso: se la Bibbia, che simboleggia
rivelazione e Tradizione, deve essere sottoposta alla squadra, che adombra la ragione, la sola conclu3
sione che essi ne traggono concerne una pretesa superiorità della seconda sulle prime, come se una
semplice sovrapposizione spaziale dovesse rappresentare una priorità di valori, e quasi che nel simbolismo non esistesse il principio di analogia inversa, per cui ciò che è ultimo nell'ordine materiale, è primo
nell'ordine spirituale.
Per poter ritenere valida questa pretesa dimostrazione, occorrerebbe in primo luogo dimostrare la razionalità del rituale, laddove tutti gli elementi che lo compongono hanno un significato così poco logico, che la quasi totalità dei massoni oggi lo ignora completamente. Inoltre, se la squadra è sovrapposta
alla Bibbia, in terzo Grado il compasso è sovrapposto alla Squadra, ed il compasso simboleggia lo Spirito.
La squadra ed il compasso sopra la Bibbia, potrebbero significare, piuttosto, che lo spirito di una
qualsivoglia dottrina è di natura esoterica e si sovrappone alla sua lettera che è di natura exoterica: che
la rivelazione non deve essere interpretata alla lettera, ma simbolicamente.
«O voi ch'avete li' ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani ».
Con questi versi Dante indica molto esplicitamente che nella sua Divina Commedia esiste un significato nascosto, propriamente dottrinale, che deve essere ricercato da coloro che sono capaci di penetrarlo, sceverandolo dal senso esteriore ed apparente che gli fa da velo.
Altrove, e precisamente nel Convito, egli si spinge ancora più lontano, affermando che tutte le scritture, e non solo quelle sacre, «si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi». Questa dichiarazione deve essere collegata alla contrapposizione che egli fa, in De vulgari eloquentia, fra i trilingues doctores, i veri poeti capaci di esprimersi nei tre sensi superiori, e coloro che, con un
certo disprezzo, egli chiama i litterali, in quanto scrivevano solamente nel senso letterale.
Ora, i commentatori profani dell'opera di Dante sono generalmente d'accordo nel riconoscere solo
tre di questi sensi, e precisamente: letterale, politico/sociale, filosofico/teologico; ci sembra abbastanza
evidente che il quarto senso debba essere esoterico o iniziatico/metafisico, quello appunto adombrato
dalla squadra e dal compasso sovrapposti alla Bibbia.
Pertanto, chi citando quest'ultima dice, ad esempio, che Mosé sul monte Sinai ricevette da Dio le tavole della Legge, non fa necessariamente del dogmatismo: fa del dogmatismo solamente colui il quale,
interpretando alla lettera questo passo, crede che Mosé salì materialmente sul monte e qui ricevette da
Dio due tavole di pietra sulle quali erano stati incisi con la folgore i dieci comandamenti.
Ma chi, conoscendo il simbolismo, sa che la montagna adombra il più alto grado di conoscenza raggiungibile in terra; che la montagna sacra a ciascuna tradizione simboleggia, per gli aderenti ad essa, il
centro del mondo e quindi lo stato primordiale, lo stato edenico, la perfezione della condizione umana;
colui cui è noto tutto lo sterminato simbolismo collegato alla pietra e particolarmente alla pietra caduta
dal cielo, che è il supporto, l'abitacolo della divinità, ed alla pietra liscia e squadrata che, tra l'altro,
simboleggia l'uomo vero, mediatore tra Cielo e Terra, mediazione che è sottolineata dalla particolare
forma con la quale vengono raffigurate queste tavole, e cioè rettangolari in basso e terminanti in alto
con un semicerchio; colui che sa che la folgore adombra il principio maschile della manifestazione universale, ovverosia lo Spirito, costui comprende che la Tradizione vuol solo significare che Mosé, dopo
aver conseguito la perfezione dello stato umano, realizzò anche gli stati superiori dell'essere ed ebbe
quindi la conoscenza della Verità e l'identificazione con il Principio: cosi comprendendo ed intuendo,
non fa certo del dogmatismo, ma compie un lavoro interiore.
Inoltre, quando la Tradizione ci tramanda un nome, per lo più di un Profeta, ciò sta soprattutto a significare che quel Profeta, con la sua autorità ci garantisce, non tanto la storicità dei fatti, quanto la loro
realtà spirituale, il che, in fondo, è quello che conta.
E non si comprende bene in base a quale principio si dovrebbe prestare maggior fede ai sacerdoti
della dea Ragione, quando affermano che l’unica pietra di paragone per la realtà è il vaglio del razioci4
nio, che non alla Tradizione che ci trasmette, «sotto il velame delli versi strani», le esperienze metafisiche dei Profeti e dei grandi maestri spirituali.
La squadra ed il compasso sovrapposti alla Bibbia possono anche significare che il senso della rettitudine e della misura deve essere anteposto al senso della religiosità, ovvero sia che l'intolleranza non
deve essere ammessa neppure quando è invocata in nome della fede: questo simbolismo condanna
quindi la piccola guerra santa dell'islamismo, la guerra, cioè, portata contro uomini di religione diversa, in nome della propria - essendo la grande guerra santa quella che ogni uomo deve combattere incessantemente contro le proprie passioni interiori -, ed estremismi del genere delle stragi dei Catari e
degli Ugonotti.
Questa condanna è perfettamente giusta in quanto ogni religione corrisponde a ciascuno dei diversi
aspetti che la Verità assume necessariamente quando viene rivelata, cioè manifestata, allo stesso modo
come un raggio di luce si scompone nei vari colori dell'iride quando viene filtrato attraverso un prisma.
Per quanto concerne il significato intenzionalmente attribuito alla parola dogmatismo - termine derivato da dogma, nella sua accezione di articolo di fede della religione cattolica, comunemente ritenuto
inintelligibile e di cui non è neppur permesso discutere per indicare l'atteggiamento di chi accetta l'autorità della Tradizione, come se un tale assentimento comportasse una totale rinuncia a penetrarne il
senso, dovrebbe bastare leggere l'interessante articolo di R. Guénon intitolato «Christianisme et initiation» (4) cui di seguito accenneremo brevemente, per comprendere come il dogma non sia inintelligibile ma solo incomprensibile ai più, e come questa incomprensibilità non sia insita nel dogma ma sia stata ottenuta volutamente ed espressamente come una maschera che è stata applicata dall'esterno.
Ci sembra quindi che, qualificare come dogmatico l'atteggiamento di cui sopra, sia cosa impropria e
contraddittoria.
Dice dunque il Guénon che il cristianesimo, alle sue origini, non era quella tradizione esoterica conosciuta attualmente con questo nome, ma che aveva, sia per la sua dottrina che per i suoi riti, un carattere essenzialmente esoterico ed iniziatico. Di ciò si potrebbe trovare conferma nel fatto che la tradizione islamica considera il cristianesimo primitivo come una tarîqah, vale a dire una via iniziatica, e non
una shariyah, ovverosia una legislazione d'ordine sociale concernente la totalità degli individui: soltanto in seguito si ebbe l'istituzione di un diritto canonico il quale non fu che l'adattamento dell'antico diritto romano, e quindi qualcosa che provenne dall'esterno e non fu uno sviluppo di quanto originariamente contenuto nel cristianesimo stesso.
A quell'epoca la situazione del mondo occidentale, e cioè dell'insieme dei paesi che facevano parte
dell'Impero romano, era critica e del tutto paragonabile a quella in cui si trova oggi l'occidente moderno: la tradizione greca-romana, allora predominante, aveva infatti raggiunto una condizione di estrema
degenerazione che indicava come il suo ciclo di esistenza stesse per concludersi, e quel mondo sarebbe
presto rimasto privo di ogni tradizione, se non si fosse operato un raddrizzamento.
Questo raddrizzamento solo il cristianesimo poteva operarlo, a condizione, beninteso, di rinunciare
al carattere esoterico e riservato che possedeva all'origine, e di discendere nel dominio exoterico.
Questa discesa avvenne e non fu affatto un caso accidentale o una deviazione, ma ebbe un carattere
provvidenziale in quanto evitò all'Occidente di cadere già allora nel caos e nel disordine in cui si trova
oggi; essa fu effettuata mediante un adattamento ed un cambiamento operati da chi possedeva le qualificazioni adatte e che fecero del cristianesimo una religione nel vero senso della parola ed una forma
tradizionale rivolta indistintamente a tutti, per cui i riti cristiani cessarono di avere un carattere iniziatico per acquisirne uno puramente exoterico.
Tutto questo, che era già un fatto compiuto all'epoca di Costantino e del Concilio di Nicea, comportò però qualche inevitabile inconveniente, poiché rinchiudere la dottrina in formulazioni limitate e definite, oltre che rendere più difficile la penetrazione del suo senso profondo, fece sì che le verità d'ordine
più propriamente esoterico, che per la loro stessa natura erano al disopra della comprensione dei più,
dovessero venire presentate come dei misteri che l'uomo comune non doveva tardare a considerare come qualcosa di impossibile a comprendersi e che era persino proibito cercare di approfondire.
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Infatti, se nella dottrina vi sono verità che possono essere comprese sia exotericamente che esotericamente, a seconda dei significati inerenti a diversi gradi di realtà, ve ne sono altre che, appartenendo
esclusivamente al piano metafisico e non avendo alcun equivalente all'infuori di questo, divengono del
tutto incomprensibili - ma non per questo inintelligibili - quando si cerca di farle discendere nel dominio exoterico: bisogna allora limitarsi ad esprimerle sotto la forma di enunciazioni indiscutibili ed affermative, senza tentare di darne la sia pur minima spiegazione.
Fin qui il Guénon: chi conosce la sua opera non può essere neppure sfiorato dal dubbio che quanto
esposto sia solamente il frutto di una sua speculazione personale, in quanto egli ha sempre affermato
che in campo esoterico/iniziatico ogni originalità è assolutamente fuori di luogo, e nulla può esservi di
valido se non confermato dall'autorità della Tradizione.
Che l'atteggiamento razionalizzante non sia però proprio della tradizione muratoria, dovrebbe essere
sufficientemente provato dal seguente passo tolto dal rituale di iniziazione al secondo Grado: «... d'ora
in avanti dovrete alimentare una conoscenza più sottile; alla Forza della mente dovrete aggiungere la
Bellezza dell'immaginazione, perché possa suscitarsi in voi l'Intuizione che trascende il raziocinio».
Dunque, fin dai primi gradi la Massoneria invita i suoi iniziati a coltivare qualcosa di meno limitato
della ragione: ciò nonostante gli scettici continuano a bruciar incenso sul suo altare.
Il loro atteggiamento è del tutto simile a quello di un cieco che, essendo privo del senso della vista
fin dalla nascita, dovesse ostinarsi a negare l'esistenza della luce e dei colori sol perché non è mai stato
in condizione di poterli percepire.
Purtroppo questo scetticismo a volte giunge ad un livello così deleterio, che alcuni massoni arrivarono persino a dubitare dell'esistenza del Grande Architetto dell'Universo, nel Cui Nome ed alla Cui
Gloria si aprono e si chiudono i Lavori massonici: l'incongruenza e l'illogicità di questi adora tori della
logica è davvero sorprendente.
Il trascendimento della ragione, onde ottenere l'identificazione della mente individuale con l'Intelletto universale, dell'anima con lo Spirito, è sempre stato lo-scopo ed il fine ultimo di tutti gli esoterismi e
di tutte le scuole iniziatiche.
È noto il detto per cui negli antichi Misteri non si andava per apprendere, bensì per raggiungere, attraverso una impressione profonda, una esperienza sacra.
Come vediamo, l'apprendimento razionale era rigettato in partenza: quanto poi dovesse essere necessario il dubbio, lo scetticismo ed il raziocinio, per conseguire quell'impressione e quella esperienza,
è facile arguire.
Chi è in preda ad un turbamento profondo, non è certo in grado di ragionare: può però essere percosso e folgorato da intuizioni trascendenti, appunto perché il vincolo della ragione viene temporaneamente rimosso.
Nel buddismo Zen, questa impressione viene realizzata mediante i cosiddetti kôan, brevi frasi dal significato assolutamente irrazionale e paradossale, che vengono proposti alla meditazione dell'iniziato
con lo scopo di percuoterne e scuoterne la mente, così da indurlo a rinunziare al processo razionale con il quale non si riesce minimamente a penetrarne il significato - favorendo di conseguenza il nascere
dell'intuizione intellettuale.
Nell'esoterismo islamico, Muhyi-d-Dîn Ibn 'Arabî, il più grande dei maestri spirituali, nel suo insegnamento dottrinale adotta il metodo della permutazione di termini opposti e complementari.
«Questo impiego metodico del paradosso non lascia alcuna tregua allo spirito del lettore, naturalmente incline a fissarsi su una nozione definita, dogmatica se si vuole, e lo spinge verso ciò che Ibn 'Arabî chiama lui stesso al-hayrah, vale a dire la perplessità o lo stupore davanti a ciò che sorpassa l'ordine razionale; questa hayrah, egli dice, deve divenire un costante movimento circolare intorno ad un
punto mentalmente inafferrabile, immagine che ricorda gli ultimi versi della Divina Commedia (5):
«Tal era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
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l'imago al cerchio e come vi s'indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
All'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'Amor che move il sole e l'altre stelle».
In un trattato poco conosciuto, dal titolo (in latino): De facie in orbe lunae, Plutarco dice:
«... di queste tre parti unite insieme nella generazione dell'uomo, la terra ha prodotto il corpo, la luna
l'anima, il sole l'intelletto. Questo è la luce dell'anima, come il sole è la luce della luna. Delle due morti
che noi subiamo, l'una riduce queste tre sostanze a due, l'altra ad una sola. La prima ha luogo nella regione di Cerere… La seconda morte sopravviene nella luna, regione di Proserpina... Cerere separa rapidamente e con violenza l'anima dal corpo, Proserpina divide l'intelletto dall'anima lentamente e con
dolcezza... Nella luna vi sono due sono due caverne che servono di passaggio alle anime: una di esse
conduce dalla luna al cielo, l'altra alla terra... I demoni (ovverosia gli esseri disincarnati) non soggiornano sempre nella luna... alcuni di essi, per un felice cambiamento, vengono trasportati altrove... gli
uni più presto, gli altri più tardi, dopo che il loro intelletto è stato separato dalla loro anima; separazione
che è l'effetto del desiderio che essi hanno di godere della visione del sole, nella quale brilla quella bellezza divina, sorgente di ogni felicità, che ogni natura desidera, sebbene in diverse maniere... Ma la sostanza dell'anima resta nella luna... che è l'elemento di queste anime, giacché esse si dissolvono in questo pianeta, come dopo la morte i corpi si dissolvono in terra. Le anime virtuose... subiscono più rapidamente questa dissoluzione, perché, abbandonate dall'intelletto, e rinunciando agli attaccamenti del
corpo, si dissolvono all'istante. Ma le anime degli ambiziosi... quelle dei voluttuosi, schiave dei loro
sensi, quelle dei collerici... errano tra i sogni, come l'anima di Endimione, giacché la loro incostanza ed
il loro asservimento alle passioni le trascinano fuori della luna, per iniziare una nuova generazione...».
Questa dottrina pagana, che trova una corrispondenza esatta nell'insegnamento tradizionale induista
relativo ai due sentieri che percorrono gli esseri umani dopo la morte del corpo - dêva-yâna, il sentiero
degli dei, ovverosia di coloro che alla dissoluzione della forma psichica (6) conseguono gli stati super
individuali e la Liberazione, uscendo per sempre dalla manifestazione, e pitri-yâna, il sentiero degli antenati, ovvero sia di coloro che al dissolvimento della forma sottile, non avendo conseguito uno stato
super individuale, sono costretti a tornare alla manifestazione tormale, passando però a stati diversi da
quello umano --, assimila dunque l'anima e la ragione alla luna, l'intelletto o lo spirito al sole.
E poiché il sole e la luna adombrano stati di coscienza, la luna simboleggia lo stato di coloro che
non hanno saputo svincolarsi dai limiti della ragione e che pertanto rimangono prigionieri della forma,
mentre il sole simboleggia la coscienza degli esseri che, infranti i ceppi della ragione e realizzata l'intuizione intellettuale, hanno potuto liberarsi dalla condizione individuale e conseguire gli stati superiori.
Scrive il Guénon nel capitolo XXXII - dal titolo «Le limites du mental» - della sua opera Aperçus
sur l'Initiation (7):
«Colui che si appiglia al ragionamento ed è incapace di svincolarsene al momento opportuno, rimane prigioniero della forma che è la limitazione mediante la quale si definisce lo stato individuale; egli
non supererà dunque giammai questo stato, e non andrà mai più lontano dell'esteriore, vale a dire che
rimarrà legato al ciclo indefinito della manifestazione.
«Il passaggio dall'esteriore all'interiore, è anche il passaggio dalla molteplicità all'unità, dalla circonferenza al centro, al punto unico dal quale è possibile per l'essere umano, reintegrato nelle prerogative dello stato primordiale, elevarsi agli stati superiori e, mediante la completa realizzazione della sua
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vera essenza, essere infine effettivamente ed allo stato di atto, ciò che egli è potenzialmente da tutta l'eternità».
NOTE AL TESTO
(1) Non si tratta qui né della materia prima, o sostanza universale, né della materia secunda, o sostanza relativa, degli scolastici - sinonimo di passività e potenzialità pure, la prima; supporto e radice di
ogni manifestazione la seconda, priva in sé stessa di ogni qualità sensibile - bensì della materia intesa in
senso moderno, vale a dire di tutto ciò che cade nel dominio dei sensi, e che, per una strana confusione,
viene definita «inerte», quasi che, se fosse veramente inerte, potesse manifestarsi in qualche modo.
(2) È ciò che accade abitualmente in campo profano con l'uso della droga, giacché in tal caso non si
possiede ciò che, alchemicamente parlando, viene definito 1'«indispensabile nucleo di oro interiore»,
né si dispone degli adeguati sostegni che solamente lo ierofante, nelle iniziazioni agli antichi Misteri,
era in grado di fornire.
(3) Il detto «angoscia metafisica» è stato appunto inventato dai razionalisti, ed è pura contraddizione
nei termini, in quanto l'angoscia, la paura, sono basate unicamente sulla dualità, dualità che sussiste esclusivamente nella manifestazione e non fuori di essa, per cui si può provocare timore ed angoscia solamente alla vista o al pensiero di ciò che è altri e non è sé stesso.
(4) Aperçus sur l'ésotérisme chrétien - Editions Traditionnelles, Paris, 1952.
(5) T. Burckhardt - Introduction à La Sagesse des Prophètes (Fuçûç al-Hikam) par Muhyi-d-Dîn Ibn
'Arabi - Albin Michel, Paris, 1955.
(6) Tale seconda morte viene considerata come una eventualità temibile, e persino sinistra, dalle
dottrine exoteriche, in quanto esse, lungi dal concepire la possibilità del superamento della condizione
individuale, hanno come fine ultimo il mantenimento perpetuo dell'essere umano nei prolungamenti
sottili del proprio stato, per evitargli di dover rinascere in stati inferiori. (Da: R. Guénon - Iniziazione e
realizzazione spirituale - Ed. Studi Tradizionali Torino. Cap. VIII: Salvezza e Liberazione).
(7) Editions Traditionnelles - Paris, 1964.
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