corso di fotografia di base

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corso di fotografia di base
in collaborazione con
il forum di fotografia digitale presenta:
- CORSO DI FOTOGRAFIA DI BASE -
Il corso che vedete pubblicato è frutto di ricerche e rielaborazioni di testi e manuali reperiti in rete o
in libreria ;-). Questa versione in PDF è la trasposizione della versione on-line reperibile nel forum
di “fotografia digitale” all’indirizzo forum.hwupgrade.it
Al termine di ogni lezione verranno riportati commenti, domande e risposte relative agli argomenti
trattati.
Lo staff del Corso base di fotografia
Sommario
1. La macchina fotografica
1.2. il corpo
1.3. l'obiettivo
1.4. l'esposimetro e l’esposizione
1.5. l'otturatore
1.6. il diaframma
2. La temperatura della luce
3. Il controllo della luce nella macchina fotografica
4. Esposizioni
4.1. manuale
4.2. automatica a priorità di diaframma
4.3. automatica a priprità di tempo
4.4. programmi
5. Sensibilità del supporto
6. La messa a fuoco e la profondità di campo
7. Importanza della coppia tempo-diaframma
8. Il flash
9. Il controluce
10. I tempi lunghi e la posa B
11. I filtri correttivi
12. Prove pratiche
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CAPITOLO 1° - LA MACCHINA FOTOGRAFICA
La macchina fotografica come la vediamo oggi è il frutto del perfezionamento della camera oscura
con in più l’aggiunta di una lente e una pellicola (o ccd) dietro di esso.
Il principio delle camera oscura è molto semplice e sicuramente noto alla maggioranza dei lettori.
Per chi non l’avesse presente la foto in basso dovrebbe colmare in maniera esaustiva tale lacuna.
Come potete notare l’immagine del soggetto si proietta sulla parete posteriore della camera
oscura.
I fasci luminosi infatti attraversano il foro (detto foro stenopeico) e si vanno a disporre
ordinatamente sulla parete.
Ai giorni nostri le macchine fotografiche sono ormai classificate in varie categorie:
1. Macchine fotografiche a telemetro.
Questa tecnologia è soprattutto riferita all'uso di pellicole 35 mm. Anche se dobbiamo segnalare
un significativo abbandono di questi modelli, quasi esclusivamente rappresentati dalle Leica.
2. Reflex (a singolo obiettivo).
Nelle versioni per pellicole 35 mm (24x36 mm), per il medio formato (4.5x6 mm, 6x6 cm, 6x7 cm
su rullo 120 e 220).
3. Reflex biottiche.
Nate in combinazione con il grande formato, oggi sopravvivono soltanto nel 6x6 cm, se
concentriamo la valutazione alla produzione industriale.
Negli Stati Uniti esistono produzioni industriali di biottiche 4x5".
4. Corpi mobili (grande formato).
Dove si intendono i formati di pellicola piana, e non di pellicola in caricatore (35 mm) o in rullo (120
e 220) quindi si parla di 9x12 cm/4x5", 13x18 cm/5x7" e 18x24 cm/8x10".
I sistemi a corpi mobili hanno la caratteristica di poter modificare le posizioni relative dell'obiettivo
rispetto al piano focale, con costruzione a banco ottico oppure folding (ripiegabile).
5. Press.
Usate solo negli Stati Uniti, sono macchine fotografiche a telemetro che ripropongono alcune
caratteristiche del grande formato, visto che tradizionalmente si propongono per riprese nel
formato 4x5" (anche se ora molte espongono il 6x7 cm o il 6x9 cm da pellicole in rullo 120/220) qui
combinato con una costruzione che prevede l'impiego rapido e dinamico a mano libera.
6.Compatte.
I modelli compatti sono molto diffusi e il loro formato di solito è 24x36. In questa categoria conta
molto la fascia di prezzo che determina la qualità ottica, la molteplicità degli automatismi e la
presenza di vari accessori come l’esposimetro o il flash.
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7. Digitali.
I modelli digitali hanno preso piede da alcuni anni nel mercato e ormai coprono tutti i settori gia
sopraccitati (dalle reflex alle compatte).Sono molto simili alle loro sorelle chimiche ma in queste
macchine l’immagine viene per cosi dire “catturata” da un CCD (si tratta di un sensore in grado di
misurare la luce; i segnali analogici del sensore vengono inviati ad un convertitore che li trasforma
in serie di bit). Queste macchine sono quindi contraddistinte dalla mancanza del rullino e devono
essere affiancate da un PC. Il futuro sembra riservare un piano di rilievo per questa tecnologia
sempre in pieno sviluppo e che continua ad avere un notevole incremento delle vendite.
1.2 il corpo
Il corpo macchina è quella parte della macchina fotografica che serve a contenere l’elemento
sensibile (pellicola o CCD), da qui si regola il tempo di esposizione, si controlla l’inquadratura (dal
mirino o dal display) e si scatta.
Nel corpo è inoltre contenuto l'otturatore, che è il responsabile dei tempi di scatto.
1.3 l’obiettivo
L’obiettivo è la parte della macchina fotografica che serve a raccogliere l’immagine e a trasferirla
sull’elemento sensibile, con la luce giusta e senza distorsioni.
Gli obiettivi sono formati da gruppi di lenti.
Essi si dividono in tre macro famiglie obbiettivi Standard, grandangolare e teleobbiettivo vi sono
inoltre gli zoom e le ottiche speciali.
1.3.1 L'obiettivo standard
L'obiettivo standard ha una lunghezza focale di 50 mm in ragione del fatto che il suo angolo di
campo si avvicina al campo di visuale dell'occhio umano, e che genera una prospettiva naturale da
distanze normali. L'obiettivo standard è grosso modo corrispondente alla diagonale del formato
della pellicola (è quello abitualmente fornito con il corpo macchina).
Si tratta di una lunghezza focale ideale per il principiante, per poter appendere i rudimenti
essenziali della tecnica fotografica (messa a fuoco, inquadratura, composizione, e misurazione
della luce), come pure per sperimentare gli effetti di filtri e lenti addizionali.
Chi guarda per la prima volta attraverso il mirino di una fotocamera resta spesso sorpreso nel
ritrovarsi un campo visivo ridotto rispetto a quello normale, ciò si verifica perché l'occhio umano in
effetti abbraccia un campo di 180 gradi, ma di questo appena il 25% nel centro è "nitido", il resto è
sfuocato.
Se si tiene conto della sola visione nitida, l'obiettivo standard è quello che si avvicina
maggiormente a ciò che vediamo a distanza media e ravvicinata.
Accade frequentemente che i fotografi scartino i 50 mm una volta che abbiano affinato le loro
capacità. Questa decisione non nasce unicamente dal desiderio di affrontare nuove esperienze,
ma anche perché l'obiettivo standard non è particolarmente adatto per due dei soggetti più comuni:
paesaggi e ritratti. Il suo effettivo campo di applicazione è still-life, natura, architettura e soggetti
che traggono spunto da un'inquadratura selettiva.
Poiché molti obiettivi standard moderni mettono a fuoco a meno di 50 cm con un ingrandimento di
circa x0,15, si dimostrano molto utili anche per le fotografie da distanza ravvicinata. A questo
scopo, se ne possono migliorare le prestazioni con tubi di prolunga o soffietti.
Le prestazioni ottiche degli obiettivi standard sono forse superiori per distanze normali rispetto a
qualsiasi altro obiettivo con qualsiasi diaframma. Questo perché la progettazione e la costruzione
di questo tipo di obiettivo sono meno complesse di altri, e la loro realizzazione viene curata con
particolare attenzione da parte delle case produttrici. Gli obiettivi standard sono estremamente utili
per lavorare con poca luce, laddove si devono utilizzare diaframmi aperti, e per mettere fuori fuoco
lo sfondo mantenendo nitido il soggetto.
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1.3.2 Il grandangolare
Il grandangolare, così come oggi lo conosciamo, è un obiettivo relativamente nuovo. Poco più di
una generazione fa, la maggior pare dei fotografi che lavoravano con fotocamere da 35 mm
consideravano l'obiettivo da 35 mm come "il grandangolare", e gli obiettivi da 28 mm costituivano
una rarità. Ancora più sorprendente è l'impatto che la prospettiva offerta dal grandangolare ha
avuto sul modo in cui concepiamo il mondo, l'arte e la comunicazione visiva in generale.
I grandangolari per il formato 35 mm hanno una lunghezza focale che varia da circa 40 mm a 14
mm (gli obiettivi “fisheye” possono essere molto più corti) e, come il loro nome dice, offrono un
angolo di campo più ampio rispetto al normale.
Per fotocamere con pellicole in rullo di formato 120 si usano lunghezze focali da 65 a 35 mm, e,
per il formato 4" x 5", da 135 a 65 mm. Entro questa gamma, i grandangolari vengono
comunemente suddivisi in vari sottogruppi conosciuti con una miriade di nomi - grandangolari
spinti, super, extra, moderati, estremi e così via - ai quali non corrispondono però delle definizioni
rigorose. Normalmente, per il formato 35 mm, i grandangolari moderati rientrano nel gruppo da 2848 mm, e quelli con lunghezza focale più corta vengono considerati grandangolari spinti. Il
vantaggio più ovvio del disporre di un angolo di campo ampio è che, dato un certo punto di vista, si
riuscirà a imprimere nel fotogramma una porzione di scena tanto più vasta quanto più corta sarà la
lunghezza focale impiegata.
Per quanto riguarda gli inconvenienti, con il diminuire della lunghezza focale si notano
maggiormente le distorsioni ottiche - astigmatismo e aberrazioni sferiche, laterali e cromatiche - e
la prospettiva diviene via via più sfuggente. Queste distorsioni, che aumentano verso il bordo del
fotogramma, talvolta vengono sfruttate per esasperare deliberatamente le prospettive e per
mettere in risalto la composizione fotografica.
Permettendo al fotografo di lavorare vicino al soggetto, e di avere una copertura della scena che
una focale più lunga consentirebbe solo da una certa distanza, i grandangolari fanno apparire
grandi e incombenti i soggetti in primo piano, mentre gli oggetti distanti appaiono piccoli e ancor
più lontani. Le linee convergenti sono sfuggenti, la scala è distorta e il colore vicino viene messo in
risalto. Molti grandangolari spinti curvano le linee ai bordi del fotogramma, creando curiose
distorsioni.
1.3.3 Il teleobiettivo
Il teleobiettivo diminuisce la distanza tra il fotografo e un soggetto lontano. E' l'ideale per fotografie
di sport e di azione, o di animali.
Il teleobiettivo a corta focale dà un'inquadratura stretta di soggetti vicini, creando una visuale
perfetta per ritratti. Nel formato 35 mm, la maggior parte dei sistemi presentano teleobiettivi tra gli
85 e i 300 mm, e alcuni comprendono teleobiettivi da 1000 o perfino 2000 mm. Per il formato 6 x 6
con pellicole in rullo, i teleobiettivi a corta focale partono da 150 mm circa. Per entrambi i formati,
le caratteristiche principali sono simili: ingrandimento del soggetto, angolo di campo stretto, limitata
profondità di campo e appiattimento della prospettiva. Queste caratteristiche si rendono più
evidenti con l'aumentare della lunghezza focale dell'obiettivo. Con gli ingrandimenti più elevati, la
diminuzione della profondità di campo e il movimento eccessivo derivante dalle oscillazioni della
fotocamera possono provocare qualche problema.
Anche con un obiettivo da 135 mm, occorre un diaframma f32 per avere una profondità di campo
da 10 m all'infinito, per cui una messa a fuoco precisa è essenziale.
Il debole contrasto risulta essere spesso un problema con i tele, perché tendono a raccogliere i
raggi UV diffusi e la luce nelle lunghezze d'onda del blu del cielo. Un lungo paraluce e un filtro antiUV aiutano a risolvere questo inconveniente. Per evitare l'oscillazione della fotocamera, è
importante impugnarla saldamente e, con elevati ingrandimenti o esposizioni lunghe, è essenziale
servirsi di un cavalletto. Azionando l'otturatore attraverso lo scatto flessibile, con lo specchio
sollevato, si riducono al minimo le vibrazioni.
Il problema del peso e dell'ingombro dei teleobiettivi estremi è stato in qualche misura risolto con i
teleobiettivi “catadiottrici”, che utilizzano un sistema a specchi e lenti per contenere la lunghezza
del barilotto.
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Per contro, hanno lo svantaggio di avere il diaframma fisso. La moderna tecnologia nel campo del
vetro ha nel frattempo migliorato il teleobiettivo convenzionale. L'aberrazione cromatica che
costituiva un serio inconveniente dei vecchi tele, è stata pressoché eliminata. Gli ultimi teleobiettivi
a corta focale - da 85 mm a 150 mm hanno in effetti prestazioni paragonabili a quelle degli obiettivi
standard.
1.3.4 Lo zoom
Gli zoom sono diventati estremamente popolari negli ultimi tempi. Offrono al fotografo una
maggiore flessibilità e comodità rispetto agli obiettivi a focale fissa, consentendogli di variarne la
lunghezza senza dover cambiare la posizione della fotocamera. Danno la possibilità di riempire
l'intero fotogramma con l'immagine del soggetto in un'infinità di situazioni e quasi istantaneamente,
una caratteristica particolarmente utile quando si lavora con diapositive.
Ideati in origine per le cineprese, gli zoom ora sono disponibili per formati con pellicole in rullo e di
uso comune come accessori delle reflex 35 mm. Per quest'ultimo formato, esistono molte versioni
di zoom che coprono una gamma da 24 mm a 600 mm, ognuno adatto a un certo tipo di fotografia.
Uno zoom moderno può avere da 10 a 20 elementi ottici che scorrono lungo guide controllate da
un microprocessore. Probabilmente i più comuni sono quelli nella fascia intorno all'obiettivo
standard o al teleobiettivo medio: da 35 a 80 mm, da 75 a 150 mm, oppure da 70 a 200 mm.
Questi modelli sono tendenzialmente più rapidi rispetto ad altri con più elevati rapporti di zoom (il
rapporto tra la lunghezza focale più lunga e quella più corta) e consentono una minor distorsione
nelle impostazioni massime. Un buon teleobiettivo zoom con lenti a bassa dispersione ha
prestazioni equivalenti, per la maggior parte delle situazioni, a quelle degli obiettivi fissi di
lunghezza focale corrispondente. Sta rapidamente scomparendo l'antico pregiudizio secondo cui
l'impiego dello zoom significava qualità inferiore.
Lo zoom risulta ora una valida alternativa a una vasta gamma di obiettivi a focale fissa, con il
vantaggio che si evitano le continue sostituzioni di obiettivi e diminuisce il numero delle fotografie
mancate.
L'unica chiave per sondare le possibilità di uno zoom è la sperimentazione. Sequenze zoomate,
con esposizioni a diverse lunghezze focali, possono risultare di grande efficacia. Per semplici
fotografie, guardate attraverso il mirino con diverse focali, scegliendo poi quella che ritenete più
opportuna. Ancora, cambiate focale durante l'esposizione per ottenere un'immagine mossa, con
striature divergenti dal centro, e dare un senso drammatico di movimento anche a soggetti statici. I
grandangolari a corta lunghezza focale daranno un accentuato senso di movimento con solo
piccoli spostamenti dell'obiettivo, e la visione sfuocata dell'immagine è più evidente verso i bordi
del fotogramma. I teleobiettivi zoom producono effetti più controllabili e, con un soggetto isolato su
uno sfondo ben contrastato, si possono ottenere risultati spettacolari.
1.3.5 Obiettivi speciali
Per la normale fotografia, gli obiettivi che abbiamo già esaminato daranno ottimi risultati. Sono stati
realizzai per avere la massima versatilità, ma ci sono casi in cui le loro caratteristiche risultano
troppo limitate. Per esigenze particolari, come primi piani estremi, angoli di campo eccezionali e
correzioni della prospettiva, occorrono obiettivi speciali. Tra i più importanti ci sono gli obiettivi
macro, quelli decentrabili ovvero a controllo della prospettiva, quelli a specchio e i fisheye (occhio
di pesce). Tra tutti, i più utili in generale sono i macro. Furono inizialmente ideati per
macrofotografie (ovvero fotografie a grandezza naturale) specialistiche nel campo della medicina,
ma gli ultimi modelli hanno prestazioni eccellenti anche a distanze normali. Il che li rende
estremamente versatili, con la capacità di mettere a fuoco a distanze di pochi centimetri, di
produrre immagini a metà grandezza naturale, e quindi di mettere di nuovo a fuoco all'infinito con
un solo tocco. Ve ne sono di lunghezze focali da 50 mm a 200 mm, per fotocamere da 35 mm, che
si comportano come qualsiasi altro obiettivo, come pure ne esistono versioni grandangolari, di
solito tra 20 e 35 mm, per l'impiego con messa a fuoco a soffietto. Molti fotografi utilizzano ora un
macro come loro obiettivo "normale".
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Gli obiettivi decentrabili sono stati ideati per risolvere il problema più comune del fotografo di
architettura, ovvero il mantenere diritte le verticali quando si scattano fotografie da terra. Con un
obiettivo normale e la fotocamera che inquadra in alto per comprendere il vertice dell'edificio, i lati
della struttura convergono in una prospettiva esagerata e innaturale. Con un obiettivo a controllo
della prospettiva, si può mantenere il dorso della fotocamera parallelo all'edificio mentre l'obiettivo
viene puntato in alto, proprio come si farebbe con la parte anteriore di una fotocamera
professionale. Gli obiettivi decentrabili possono essere usati anche in senso opposto, cioè per
esasperare le linee prospettiche, e per molti altri scopi, grazie alla possibilità di poter operare
anche in orizzontale. Benché gli obiettivi a specchio appartengano al gruppo dei teleobiettivi, il loro
essere dei sistemi catadiottrici li colloca di diritto tra gli obiettivi "speciali". Dal momento che la
traiettoria della luce è riflessa da specchi, l'obiettivo può essere di gran lunga più piccolo di uno
convenzionale. Leggerezza e ridotto ingombro sono controbilanciati da due svantaggi: il diaframma
fisso (di solito non tropo luminoso) e la fragilità.
Gli obiettivi fisheye, con un angolo di campo che può arrivare fino a 220 gradi, hanno impieghi
specifici in ambito tecnico e scientifico, ma è il loro estremo effetto di distorsione che attira il
fotografo comune. L'ambiente viene "disteso" in una forma circolare sfuggente, oggetti vicini si
allontanano, orizzonti diventano incurvati o incavati, quadrati divengono sfere e cerchi si
distendono in ellissi. E' un obiettivo da effetti speciali.
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Domande e risposte:
PLP: Quando si dice che un obiettivo ha lunghezza focale di 50 mm, vuol dire che la distanza dalla
pellicola/CCD alla prima lente dell'obbiettivo (quella interna più vicina al corpo) è di 50 mm? e
quindi è più chiaro perchè i teleobiettivi sono così lunghi?
BLIND GUARDIAN: Più correttamente bisognerebbe dire che il percorso che fa il raggio medio di
luce da quando entra nel gruppo ottico a quando arriva al recettore è di XXXmm meno il percorso
che lo stesso raggio fa all'interno del gruppo ottico senza subire variazioni. questo perché se no
non fai rientrare gli schemi catadiottrici nella definizione di obiettivi (in 15cm di lunghezza hai 500600mm di focale).
PLP: Sono molto diffusi gli obiettivi catadiottrici tra le reflex, mettiamo caso, nel catalogo
Canon/Nikon quanti ce ne sono? ma soprattutto sono utilizzati dai fotografi professionisti e non?
BLIND GUARDIAN: Canon produce un 1250mm equivalente catadiottrico per la XL1S/XL1m e
precedenti EX1/EX2. Per la fotoottica niente.
Sigma produce un catadiottrico sia con attacco canon che attacco nikon (io ce l'ho e lo sto
vendendo in sign)
I professionisti non li usano sostanzialmente per la scarsa luminosità (non si supera mai f/8, solo in
qualche costruzione sono arrivati a fare f/6.7, che rimane comunque insufficiente per l'uso di cui ne
fanno i fotografi che usano dei 400mm, cioè sportivo).
SCIPIONE: Nel capitolo 1.3.5 Obbiettivi speciali si parla di "messa a fuoco a soffietto" relativa agli
obbiettivi Macro, cos'è?
SCAVENGER73: Nelle inquadrature macro la profondità di campo diviene cosi' ridotta che spesso
gli spostamenti della ghiera non riescono a centrare in maniera ottimale il punto di messa a fuoco.
Da qui l'esigenza di provvedere alla messa a fuoco non tramite la ghiera ma tramite piccoli
spostamenti della fotocamera stessa con ghiera di messa a fuoco fissa. tali spostamenti sono
talmente fini da potere essere effettuati tramie apposite "slitte micrometriche" le quali permettono a
tutta la fotocamera di effettuare piccoli spostamenti in avanti o indietro tramite la rotazione di una
vite che consente sottili regolazioni della messa a fuoco. Tale tipo di messa a fuoco è detta "a
soffietto" in quanto , proprio come un soffietto, avviente ramite spostamenti in avanti e indietro
della fotocamera.
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1.4 L’esposimetro e l’esposizione
L’esposimetro è un apparecchio che serve per misurare la luce.
Le reflex moderne sono tutte munite d’esposimetro incorporato. Le reflex completamente manuali
hanno una lettura “esposimetrica” su tutta l’immagine inclusa nel fotogramma, la lettura avviene
automaticamente e si basa sul valore medio tra la misurazione delle alte luci e delle zone d’ombra.
Questi esposimetri sono a luce riflessa.
Esistono esposimetri che vengono posti al posto del soggetto e rivolti verso la fotocamera, questi
misurano la luce incidente.
Alcune macchine sono dotate di lettura esposimetrica a spot, cioè nella porzione centrale
dell’immagine. Questo tipo di lettura esposimetrica può essere indirizzata o sulle alte luci o sulle
ombre, tenendo presente che ogni volta che si fa un’analisi di questo tipo sarebbe necessario farlo
su entrambi i fattori per controllare la differenza d’esposizione, altrimenti si rischia di perdere
eventuali dettagli.
L’esposizione corretta, nel caso degli esposimetri interni delle reflex, è dato da un LED luminoso
verde, da un "ok", da un galvanometro posizionato al centro di una scala di valori, o da una linea di
riferimento, che si orientano col premere il pulsante a metà.
Sovraesposizione.
Quando la coppia tra tempi e diaframmi fa si che la luce che colpisce il fotogramma sia troppa.
Si può correggere l’esposizione chiudendo il diaframma (salendo con i numeri della scala "f/"),
oppure diminuendo il tempo d’otturazione (per esempio passando da 1/125 a 1/250). Un’immagine
può risultare sovraesposta anche a causa di un inganno ottico dovuto al bianco, cosicché
l’immagine risulterà chiara e i colori sbiaditi.
Sottoesposizione.
Quando la coppia tra tempi e diaframmi fa si che la luce che colpisce il fotogramma sia poca.
Si può correggere aprendo il diaframma o aumentando il tempo d’otturazione. Un’immagine
sottoesposta risulterà buia.
Ovviamente è possibile fare uso creativo dell’esposizione sovrasponendo o sottoesponendo a
piacere, molte volte l’uso di una determinata esposizione è la chiave della particolarità di una
fotografia. Per questo a chi inizia a fotografare si consiglia di disinserire gli automatismi, solo così
si riesce a capire il funzionamento della propria macchina fotografica.
L’uso degli automatismi è solo di carattere pratico.
1.5 Otturatore
L'otturatore è il dispositivo che permette di fare arrivare luce all’elemento sensibile quando si
preme il pulsante di scatto; in quel momento l'otturatore regola il tempo di esposizione.
Come si è visto a proposito dell'esposizione, la giusta quantità di luce che deve arrivare alla
pellicola viene regolata dall'azione congiunta dell'otturatore e del diaframma; agendo sul tempo di
otturazione si fa arrivare luce alla pellicola per un tempo più o meno lungo.
L'otturatore può essere di due tipi: centrale e a tendina.
Nell'otturatore centrale si ha una serie di lamelle mobili poste tra le lenti dell'obiettivo; esse stanno
normalmente chiuse e solo al momento dello scatto si aprono per il tempo prestabilito.
Nell'otturatore a tendina, invece, abbiamo due tendine poste vicino alla pellicola; quando si scatta
la foto, esse formano una fessura che scorre su tutto il fotogramma, esponendolo alla luce.
1.6 Diaframma
Come si è visto a proposito dell'esposizione, la giusta quantità di luce che deve arrivare alla
pellicola viene regolata dall'azione congiunta dell'otturatore e del diaframma; agendo sul
diaframma si influisce sull'ampiezza dell'apertura che sta al centro dell'obiettivo.
Il diaframma è del tipo a iride, per analogia di funzionamento con l'iride dell'occhio umano, dove
essa serve per allargare o restringere l'apertura centrale, adeguandosi alle condizioni di luce
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ambientale. La corretta esposizione dell’elemento sensibile dipende quindi dalla regolazione dei
due dispositivi appena visti: l'otturatore e il diaframma.
Nell'analogia del recipiente da riempire, vista nella scheda della esposizione, l'otturatore
rappresenta il tempo in cui il rubinetto sta aperto, mentre il diaframma fa le veci della maggiore o
minore apertura della valvola, il rubinetto.
Generalmente il diaframma è inserito tra le lenti dell'obiettivo ed è costituito da una serie di lamelle
a iride, che possono essere chiuse o aperte per regolare il flusso luminoso che passa attraverso
l'obiettivo. È evidente che quando si chiude il diaframma si altera l'apertura relativa dell'obiettivo, in
quanto si riduce il diametro del foro di passaggio della luce. La luminosità di un obiettivo è quella
che corrisponde alla massima apertura del diaframma.
Esempio:
se per scattare una foto con pellicola da 100 Iso, il diaframma è aperto a 5.6 e l’esposimetro ci dice
che il tempo di esposizione dovrà essere di 1/250 di secondo, la foto sarà comunque esposta
correttamente anche se noi imposteremo un tempo di 1/500 di secondo ma con diaframma a 4.0 .
Si tenga presente che il diaframma è tanto più aperto quanto più è basso il numero che lo indica.
Il diametro dell'apertura f/2 è il doppio del diametro dell'apertura f/4; per la proporzione tra
lunghezze e rispettive aree, risulta che la quantità di luce che passa attraverso un f/2 è quattro
volte più grande di quella che passa attraverso un f/4.
La scala dei diaframmi è unificata a livello internazionale e viene espressa da una serie di numeri
che parte da 1 (diaframma uguale alla lunghezza focale) e procede con valori che via via
corrispondono alla metà della quantità di luce trasmessa:
Scala dei diaframmi
1 - 1.4 - 2 - 2.8 - 4 - 5.6 - 8 – 11 - 16 - 22 – 32 - 44 - 64
Quindi come dimostrato dall’esempio sopraccitato, il diaframma 1.4 fa passare la metà della luce
rispetto al diaframma 1; il diaframma 2 fa passare la metà del diaframma 1.4 e così via. Si noti che
1.4 è la radice quadrata di 2 (proporzione tra lunghezze ed aree) e che i numeri sono
alternativamente il doppio dei precedenti (arrotondando il doppio di 5.6 a 11).
Nelle fotocamere più semplici ed economiche al posto dei numeri compaiono dei simboli di
diaframma (come sole, cielo coperto e cielo nuvoloso) per indicare in modo approssimativo
l'apertura di diaframma da adottare (in questi casi ci si riferisce alla giusta esposizione della
pellicola, in relazione alle condizione di luce). Più avanti vedremo ulteriori approfondimenti sul
diaframma, soprattutto per quello che riguarda la messa a fuoco del soggetto fotografato.
Analogamente all'otturatore, quindi, il diaframma non si limita a regolare l'esposizione, ma
interviene anche su altri importanti aspetti della resa fotografica finale.
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CAPITOLO 2° - LA TEMPERATURA DELLA LUCE
Luce e colori, per come noi li vediamo, non sono altro che una interpretazione del nostro cervello,
in quanto esso raccoglie le informazioni dall’occhio e le elabora.
Ogni immagine, ogni colore, è frutto di un lavoro di rielaborazione soggettiva, questo rende difficile
una catalogazione standard dei colori perché ogni cervello percepisce e filtra a suo modo le
informazioni.
Le varie condizioni di luce condizionano i processi della percezione visiva.
Ciò ha indotto a creare una convenzione per stabilire la tonalità di colore della luce.
Questa si esprime per confronto, attraverso la temperatura assoluta espressa in gradi Kelvin (K), di
un corpo nero che irradia luce con la stessa tonalità di colore della luce emessa dalla sorgente in
esame.
La luce si definisce convenzionalmente bianca quando ha una temperatura colore attorno ai 5500
K (5773 °C per intenderci).
Il colore di un soggetto dipende intrinsecamente dalla temperatura dello stesso.
Ecco perché nasce associazione fra calore di un corpo e colore del corpo a una data
temperatura.
Un metallo riscaldato emette una radiazione visibile che va dal rosso al bianco all'aumentare della
temperatura di riscaldamento.
La T° di colore è espressa in gradi Kelvin (°K) = gradi assoluti, perché partono dallo zero assoluto
(0°K = -273°C). Per convertire i °C in °K basta sommare 273 ai °C .
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CAPITOLO 3° - IL CONTROLLO DELLA MACCHINA FOTOGRAFICA
Conoscere e capire la luce, sfruttandola a proprio vantaggio, è molto importante per rendere
“significativa” una fotografia.
La luce bianca è formata dall'insieme delle lunghezze d'onda proprie di ogni colore. L'occhio
umano non è in grado di percepire tutto lo spettro colore, infatti, l'infrarosso e l'ultravioletto non
vengono “visti”.
La fotografia si basa sulla luce, che viene scomposta nei tre “colori” primari, che sono il rosso, il
verde e il blu (RGB); i tre colori complementari (opposti) ai primari sono il magenta, il giallo e il
ciano (CMYK). Altra caratteristica della luce è la temperatura colore che è misurata in gradi Kelvin
(K) ed indica la misura del colore delle sorgenti di luce; in pratica è l'effetto cromatico che crea la
luce su una scena inquadrata.
Con una temperatura colore bassa avremo una dominante rosso e giallo, mentre con una
temperatura colore alta ci sarà una dominante blu (usando una pellicola per luce a 5600 in
ambienti con luce a 3200 la dominante della foto e rossa; usando una pellicola a 3200 in ambienti
a 5600, la foto viene azzurra )
Le pellicole a colori sono tarate normalmente a 5.500 K (gradi Kelvin), che è la temperatura colore
della luce diurna.
Per il CCD il discorso e un po’ diverso: mentre l’occhio, insieme al cervello, è in grado di
interpretare come uniformemente bianche le varie sfumature di colore emesse da differenti tipi di
luce (lampada alogena, tubo al neon, lampadina a bulbo, luce naturale, …), la fotocamera
percepisce le diversità nel colore della luce proveniente da sorgenti diverse e non ha la capacità di
convertirle in luce bianca, se non con l’intervento di opportuni comandi di bilanciamento del bianco
che possono essere o manuali o automatici.
Due sono le situazioni fondamentali di luce: interni o indoor, esterni o outdoor. In ogni frangente,
il colore della luce ha uno stretto rapporto con la sua temperatura, tanto che si parla proprio di
temperatura colore, misurata in gradi Kelvin (la luce del giorno, ad esempio, misura mediamente
5.600 gradi Kelvin). Sebbene sia interpretata dal cervello come bianca, essa ha precisi contenuti
cromatici, che possono variare anche velocemente, da una predominanza di rosso ad una di blu,
con il mutare della posizione del sole. Così, dall’alba al tramonto, la luce cambia continuamente
colore e temperatura.
Lampadina normale 2.800 K
Lampade fotografiche 3.400 K
Luce diurna 5.500 K
Flash elettronico 6.000 K
Luce sole con cielo sereno 6.500 K
Cielo nuvoloso 10.500 K
Ombra 11.500 K
Quindi, come si nota dalla tabella, la temperatura colore della luce diurna varia a seconda del
momento della giornata e delle condizioni atmosferiche.
Oltre la luce diurna si possono utilizzare altri “tipi di luce”:
La luce mista: si utilizzano contemporaneamente la luce diurna e lampade ad incandescenza
La luce flash: si utilizza la luce prodotta dal flash
La luce continua: si utilizzano lampade a luce continua abbinata al flash
La luce risulta molto importante per la “definizione” di una foto; in base al tipo di luce usata e a
come si decide di utilizzarla, come, quando e con quale angolazione, si può enfatizzare un
particolare, risaltare una zona, richiamare l'attenzione su un particolare dell'immagine, in altre
parole personalizzare una fotografia.
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CAPITOLO 4° - Esposizioni
I numeri sul disco selettore dell'otturatore si chiamano tempi d'esposizione.
Il tempo d'esposizione (della pellicola o del ccd), determina la durata d'apertura della tendina
dell'otturatore nella macchina fotografica permettendo così, di impressionare la pellicola.
I tempi d'esposizione, espressi in secondi, più comuni sono:
1/8 – 1/15 – 1/30 – 1/60 – 1/125 – 1/250 – 1/500 – 1/1000
Variando da 1/125 (un centoventicinquesimo di secondo) a 1/250 (un duecentocinquantesimo di
secondo) si dimezza il tempo, quindi si dimezza la quantità di luce che impressiona la pellicola
(sempre a parità d'apertura di diaframma).
Impostando un tempo d'otturazione veloce si riesce a congelare un azione, mentre con un tempo
lento si crea un effetto mosso per esaltarne la dinamicità.
Importante è la scelta del tempo d'esposizione perché da esso dipende la nitidezza della
fotografia.
Il tempo d'esposizione è regolabile sia manualmente sia automaticamente.
4.1 Manuale
In base alle indicazioni fornite dall'esposimetro, il fotografo imposta tempi e diaframmi.
Il sistema manuale permette la massima flessibilità di utilizzo ma, nell'uso pratico, può rivelarsi un
procedimento poco immediato. Per ovviare a questo problema le fotocamere adottano degli
automatismi che facilitano l’utilizzo.
Vi sono di tre tipi esposizione automatica :
- completamente automatiche
- a priorità di tempi
- priorità di diaframmi.
Col modo completamente automatico l'apparecchio sceglie sia il diaframma sia il tempo di
otturazione. Ma questi valori potrebbero non fare al caso vostro se desiderate un tempo più breve
o un diaframma più chiuso.
4.2 Automatica a priorità di diaframma
Nella priorità di diaframmi la fotocamera sceglie il tempo di scatto dopo che voi avete impostato
il diaframma.
Questo modo è utile nella fotografia d'azione perché impostando il diaframma sulla massima
apertura si è sicuri di usare il tempo di scatto più breve possibile.
I modi programmati funzionano circa come gli altri automatismi, sebbene si abbia la possibilità di
scegliere fra alcune possibilità che privilegiano la fotografia d'azione oppure la massima profondità
di campo, ecc..
4.3 Automatica a priorità di tempo
Nella priorità di tempi si imposta il tempo di scatto e la fotocamera sceglie il giusto diaframma.
E’ molto importante che la luce sia sufficiente per il tempo impostato, in caso contrario le scelte
sono due: usare un tempo di scatto più lungo oppure sprecare un fotogramma.
Nella lettura media l'esposimetro valuta l'intera area dell'immagine, sebbene si tenga più conto
dell'area centrale.
La lettura a preferenza centrale funziona allo stesso modo.
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La misurazione valutativa o matrix, è ancor più sofisticata. Il campo inquadrato è diviso in settori
per i quali viene determinata una diversa influenza sull'esposizione complessiva.
Nella misurazione spot la lettura viene effettuata solo su di una piccola area centrale variabile. I
fotografi naturalistici hanno spesso a che fare con soggetti piccoli e sono quindi in molti a
considerarla l'ideale.
4.4 Programmi
In base alle indicazioni dell'esposimetro e riferendosi ad una serie di situazioni standard
reimpostate nella memoria della fotocamera, il processore seleziona sia il tempo che il diaframma
più adatti alle condizioni di illuminazione. Questa modalità fornisce buoni risultati nelle situazioni
più comuni ma mostra i suoi limiti nelle riprese creative. In molti casi si rivela controproducente il
fatto che sia la fotocamera (che, fino a prova contraria non può avere un "senso artistico"
umano...) a fare tutto da sé.
Per questo motivo con alcune reflex sono possibili aggiustamenti manuali alle valutazioni
dell'esposimetro.
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CAPITOLO 5° - SENSIBILITA’ DEL SUPPORTO
Le pellicole sono state i primi supporti sensibili ad essere state utilizzate in campo fotografico.
Ne esistono molte varietà, ciascuna adatta per particolari condizioni o situazioni. Le pellicole
fotografiche sono definite come materiali sensibili alla luce montati su un supporto che viene
tagliato e confezionato in rulli o fogli nelle dimensioni standard, per essere utilizzato con ogni tipo
di macchina fotografica. Le pellicole fotografiche esistono nelle versioni per riprese in bianco e
nero oppure a colori, e la loro utilizzazione si adegua a una grande varietà di situazioni, molte delle
quali sono conosciute solo superficialmente.
5.1 Struttura della pellicola
Le pellicole in bianco e nero producono una selezione monocromatica (ossia a un solo colore)
dell'immagine, naturalmente a colori, che viene proiettata su di loro. In pratica, si tratta di una
composizione di toni del grigio, le cui luminosità corrispondono in misura inversa all'intensità della
luce che forma l'immagine nelle stesse aree; e stiamo riferendoci alla pellicola negativa, che con
successivo procedimento di stampa consente di ottenere un'immagine positiva.
Queste pellicole consistono di una serie di strati sovrapposti, combinati assieme. Prima c'è la base
della pellicola, o supporto, di solito in plastica flessibile, ma a volte anche in vetro (oggi solo per le
emulsioni speciali) o plastica rigida. L'emulsione depositata sul supporto consiste di sali d'argento
(grani) sensibili alla luce, sospesi in una gelatina trasparente e assorbente. Tra i vari strati ve ne
sono alcuni composti da tinture, una di queste (rivestimento antialone) assorbe la luce sparsa e
riflessa all'interno dell'emulsione e della base, mentre altre (tinture di filtraggio della luce)
determinano la sensibilità al colore.
L'esposizione fotografica, ossia l'esposizione alla luce messa a fuoco dall'obiettivo sulla pellicola,
causa delle modificazioni fisiche nell'emulsione vergine, creando un'immagine latente, resa visibile
solo dopo che la pellicola esposta è stata sviluppata.
Le pellicole fotografiche a colori sono, in pratica, definibili come emulsioni in bianco e nero a
diversi strati, nelle quali vi sono tre o più strati sovrapposti, ciascuno sensibilizzato e
opportunamente filtrato per registrare solo determinate lunghezze d'onda della luce. Durante il
trattamento, i grani d'argento che formano i diversi strati dell'immagine, vengono dissolti e sostituiti
da tinture appropriatamente colorate. Si ottiene così un negativo a colori nel quale i colori sono,
ancora, inversi rispetto le cromie originali: le stesse che poi appariranno sulla stampa finale,
ovvero il blu del soggetto appare giallo nel negativo; il verde, magenta; il rosso, cyan e così via.
Il trattamento d'inversione fornisce invece diapositive, ovviamente con pellicole predisposte. Le
diapositive, perlopiù a colori, si usano sia per la proiezione diretta sia per la stampa.
5.2 Caratteristiche variabili della pellicola
Le pellicole fotografiche esistono in numerose versioni, per soddisfare ogni necessità della ripresa.
Tutte prevedono gli stessi componenti di base, ma ognuna è qualificata da particolari
caratteristiche (tra cui la sensibilità alla luce, la grana, il contrasto e la sensibilità al colore) che ne
determinano le prestazioni d'uso.
5.3 Sensibilità alla luce
Una delle tre principali varianti nell'esposizione fotografica (e le altre riguardano l'apertura del
diaframma dell'obiettivo e il tempo di otturazione) si basa sulla sensibilità della pellicola usata,
ovvero sul suo grado di risposta a una data quantità di luce. Le pellicole fotografiche sono
generalmente suddivise in tre gruppi, distinti in fasce di sensibilità. Si esordisce alla bassa
sensibilità (fino a 50-100 Iso circa), si passa quindi alla media sensibilità (fino a 200 Iso circa), e si
approda all'alta sensibilità (dei 400 Iso, 1000 Iso e 1600 Iso) che attualmente rappresentano la
sensibilità fotografica limite per il materiale fotografico tradizionale; ci sono quindi emulsioni a
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sviluppo immediato da 3000 Iso e anche da 20.000 Iso, propri di un'applicazione speciale della
ripresa fotografica.
La sigla Iso, che andrebbe scritta tutta maiuscola (ma più spesso appare nella sua grafia
maiuscolo-minuscolo), rappresenta la più recente standardizzazione dell'indicazione, ovvero della
misurazione, della sensibilità della pellicola. Nel tempo, e a tempi sempre più brevi, la definizione
Iso, i cui valori nella sostanza corrispondono a quelli della scala Asa, è destinata a sostituire ogni
altro codice identificatorio. Anche se la sensibilità Iso è semplificata al suo valore coincidente con
gli Asa, precisiamo ancora che la sua denominazione ufficiale comprende pure il valore Din. Così
la media sensibilità andrebbe espressa come 100/21 Iso (che corrisponde a 100 Asa/21 Din), ma
l'uso comune semplifica in 100 Iso. Oltre i fatti formali rimane un'aspetto sostanziale, non già
visibile nell'espressione numerica: la definizione Iso, rispetto le quantificazioni Asa e Din, è pure
qualificata da rinnovati valori di tolleranza, assai più ristretti di quelli che furono invece propri
dell'Asa. Così, lo slittamento all'espressione Iso della sensibilità della pellicola fotografica non
rappresenta solo un momento formale, quanto un punto sostanziale.
5.4 Il CCD
Per ovvi motivi pratici i ccd che equipaggiano le macchine digitali fanno riferimento per la loro
sensibilità alla scala Iso. La pellicola fotografica come abbiamo detto è ricoperta da un’emulsione
fotosensibile di cristalli di argento. Quando la luce colpisce la pellicola, gli atomi di argento si
agglomerano. Più luce è presente, maggiori saranno gli agglomerati. In questo modo una porzione
di pellicola registra i diversi quantitativi di luce che incidono sulle varie zone della superficie. Il CCD
contenuto nella vostra macchina digitale è un chip di silicio ricoperto da una serie di piccoli elettrodi
chiamati photosite (fotoelementi). Sistemati in una griglia, troviamo un photosite per ogni pixel di
un’immagine. Di conseguenza è il numero di photosite che determina la risoluzione di un CCD.
Prima di poter scattare una fotografia, la macchina digitale deve poter caricare di elettroni la
superficie del CCD. Quando la luce colpisce il CCD, gli elettroni si agglomerano sopra la griglia di
photosite. Maggiore è la luce che coinvolge un photosite, maggiore sarà il numero di elettroni
agglomerati. Dopo aver esposto il CCD alla luce, la macchina deve semplicemente misurare la
quantità di carica a ogni photosite per determinare quanti elettroni sono coinvolti, e così stabilire
quanta luce ha inciso su quel determinato punto. Questa misurazione viene poi mutata in un
numero da un convertitore analogico-digitale. La maggior parte delle macchine digitali consumer si
serve di un convertitore analogico-digitale a 8 bit, ovvero la carica elettrica di ogni photosite viene
convertita in un numero a 8 bit, cioè un numero fra 0 e 255. Alcune macchine più costose hanno
convertitori analogico-digitali a 10 o 12 bit, il che significa che possono fare uso di valori fino a
1024 e 4096 rispettivamente. In ogni caso, un convertitore da analogico a digitale con una
maggiore profondità di bit non offre al vostro CCD una gamma dinamica maggiore. I colori più
luminosi e più scuri che può vedere rimangono gli stessi. La profondità di bit influisce
esclusivamente sulle gradazioni di colore che saranno più precise e sottili all’interno della gamma
dinamica. Il termine dispositivo ad accoppiamento di carica
(Charge Coupled Device, CCD) deriva dal modo in cui la macchina digitale interpreta le cariche dei
singoli
photosite. Dopo aver esposto il CCD, le cariche sulla prima fila di photosite vengono trasferiti a un
dispositivo di uscita (read out register) dove vengono amplificati e poi inviati al convertitore
analogico-digitale. Ogni fila di cariche viene elettricamente accoppiata alla fila successiva in modo
che, dopo che
una fila è stata letta e cancellata, le file successive si spostano verso il basso per occupare lo
spazio
lasciato libero. Le file di photosite sulla superficie del CCD sono fra loro accoppiate. Non appena la
fila più
bassa viene letta nella parte inferiore del CCD, tutte le file soprastanti si spostano verso il basso.
Questo
significa “accoppiamento” nella dicitura “dispositivo ad accoppiamento di carica”. Dopo che tutte le
file di photosite sono state lette, il CCD viene ricaricato di elettroni ed è pronto a scattare una
nuova immagine.
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CAPITOLO 6° - LA MESSA A FUOCO E LA PROFONDITA’ DI CAMPO
Si è già accennato al fatto che tra oggetto ed immagine esiste una stretta relazione.
Per maggiore precisione si può dire che in una lente perfetta ad ogni oggetto puntiforme (o puntooggetto) corrisponde una ad una sola immagine puntiforme (o punto-immagine) e viceversa. Lo
stesso discorso lo si può estendere ai piani dicendo che ad ogni piano-oggetto corrisponde un solo
piano-immagine e viceversa.
Secondo questo discorso teorico si dovrebbe dire che con la macchina fotografica si può mettere a
fuoco un solo piano alla volta perché ad un solo piano-immagine (la pellicola) corrisponde un solo
piano-oggetto. Se questo fosse vero si potrebbe fotografare solo disegni, quadri, francobolli, o
comunque solo oggetti perfettamente piani.
Sul piano pratico si deve ricordare che l'obbiettivo fornisce sempre un'immagine meno precisa
dell'oggetto fotografato (potere risolutivo) e che la precisione di tale immagine dipende anche dalle
dimensioni della grana della pellicola usata. Per questi motivi si ammette sempre un certo di grado
d'imprecisione (o meglio di confusione) nell'immagine ottenuta e questo permette di considerare a
fuoco anche immagini un poco sfocate perché il rispettivo piano-oggetto è o troppo vicino o troppo
lontano.
La distanza tra i due piani-oggetto (quello troppo vicino e quello troppo lontano) è definita col nome
di PROFONDITA' DI CAMPO e viene indicata fornendo la corretta distanza di messa a fuoco (in
metri) dei due piani-oggetto; ad esempio si può dire di avere una profondità di campo da 8 a 13
metri.
6.1 La profondità di campo
La profondità di campo serve a controllare la nitidezza dell'immagine nel suo complesso. Il termine
indica l'intervallo tra la distanza minima e massima dell'obiettivo entro il quale la scena risulterà
sufficientemente a fuoco.
Il punto sta in quel sufficientemente, che resta affidato al giudizio soggettivo, pur essendo la
profondità di campo una grandezza misurabile e come tale riportata sulla maggior parte degli
obiettivi. L'estensione della zona di messa a fuoco varia in relazione a tre fattori: l'apertura scelta,
soprattutto, la lunghezza focale dell'obiettivo e l'impostazione della messa a fuoco. La profondità di
campo si estende per circa un terzo del suo valore complessivo davanti al punto esatto di messa a
fuoco, e per circa due terzi dietro. La scelta della profondità di campo può avere un'enorme
influenza sull'effetto finale della composizione, particolarmente se la scena comprende oggetti sia
vicini sia lontani. Una profondità di campo ridotta lascia fuori fuoco lo sfondo, facendo risaltare il
soggetto principale. Il cambiamento di profondità di campo ha invece scarsa importanza con quei
soggetti che hanno di per sé una modesta profondità dimensionale, come facciate di edifici o
paesaggi ripresi da lontano.
6.2 La messa a fuoco e la grana
L'immagine sfocata di un punto è un cerchio e l'immagine si considera a fuoco quando questo
cerchio è così piccolo da non essere visto dall'occhio umano o in ogni caso da non essere
percepito dalla grana della pellicola usata. Secondo questo criterio il diametro del suddetto cerchio
(detto “cerchio di confusione") può essere tanto più grande quanto più grande è la grana della
pellicola. Ne deriva che le Iso alti, danno loro stessi un'immagine poco definita, consentono un
grado di sfocatura più grande e la messa a fuoco può essere anche abbastanza approssimata. Il
fenomeno contrario lo si ha usando Iso bassi dove la grana è piccola ed il grado di sfocatura
ammesso è minore e quindi si deve sempre fare una messa a fuoco della massima precisione.
6.3 Apertura di diaframma
Cambiare apertura è il modo più efficace per modificare la profondità di campo. Con ampia
apertura (esempio f2), il campo di messa a fuoco accettabile é alquanto ristretto, mentre con
aperture più piccole (esempio f8 o f16), la profondità si estende sensibilmente sia davanti sia dietro
al punto esatto di messa a fuoco.
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6.3.1 Punto di fuoco
Anche il punto di fuoco influenza l'estensione della profondità di campo. Con un valore f costante,
si può vedere come la profondità di campo aumenti in proporzione alla distanza dal soggetto.
6.3.2 Lunghezza focale
Alla medesima distanza dal soggetto e con la stessa apertura, obiettivi diversi danno diverse
profondità di campo. Dato che minore é la lunghezza focale, maggiore é la profondità di campo, a
parità di apertura e di distanza un grandangolare avrà un campo di messa a fuoco più profondo di
quello di un teleobiettivo.
6.3.3 Distanza iperfocale
Quando occorre una grande profondità di campo, per esempio di fronte a un paesaggio con
elementi importanti sia vicini sia lontani, la migliore soluzione non consiste nel mettere a fuoco
all'infinito, bensì nel mettere a fuoco su un punto critico che corrisponde alla cosiddetta distanza
iperfocale. Per trovare la distanza iperfocale, per prima cosa mettete a fuoco all'infinito, dopodiché
leggete sulla scala delle profondità di campo qual'é la distanza minima di messa a fuoco. In questo
caso, con f16, la distanza minima é 4 metri. Mettete quindi a fuoco su 4 metri, e la profondità di
campo si estenderà da 2 metri all'infinito. La distanza iperfocale varia in relazione all'apertura
scelta e alla lunghezza focale dell'obiettivo impiegato.
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CAPITOLO 7° - COPPIA TEMPO-DIAFRAMMA
L’elemento sensibile (la pellicola o il CCD) puo essere paragonato ad un secchio da riempire e
l'obiettivo al rubinetto: per riempire il secchio si può aprire al massimo il rubinetto per un breve
tempo, oppure lasciar scorrere un sottile filo d'acqua per un tempo più lungo.
La coppia tempo diaframma lavora allo stesso modo: a parità di pellicola e d'illuminazione, più
terremo aperto il diaframma, minore dovrà essere il tempo d'esposizione, e viceversa. In pratica,
l'operatore può scegliere se utilizzare un diaframma f/2 ed un tempo di 1/1000 di secondo oppure
f/5,6 ed un tempo di 1/125 di sec. Naturalmente la scelta della coppia tempo diaframma non deve
essere effettuata a caso, ma in base al modo in cui ciascuna delle due grandezze influisce
sull'immagine finale.
La scelta del tempo d'esposizione influisce sulla nitidezza con cui saranno poi rappresentati gli
oggetti in movimento: tanto più rapido sarà il tempo d'esposizione, tanto più "fermi" saranno gli
oggetti in movimento. Dosare il tempo permetterà quindi di fotografare per esempio un ciclista in
movimento in modo che sembri completamente fermo, oppure in modo che solo le ruote vengano
"mosse" oppure ancora in modo che sia tutto mosso, dando impressione di velocità.
Il valore di diaframma definisce invece la "profondità" della zona a fuoco: provando a fotografare
una fila di birilli od una staccionata presa d'infilata, ci accorgeremo che non è sempre possibile
mettere a fuoco tutti i birilli o tutti i paletti. Il diaframma ci permette di controllare la zona nitida della
fotografia: più il diaframma è chiuso, maggiore sarà la profondità di campo e viceversa. La
conoscenza di questa caratteristica ci permette di operare alcune scelte importanti, delimitando ad
arte la zona nitida (per esempio, in un ritratto useremo il diaframma aperto al massimo, in modo da
avere a fuoco solo il viso del soggetto; in un panorama chiuderemo il più possibile per avere tutto a
fuoco. Tutto naturalmente con una vastissima gamma di sfumature.)
È evidente a questo punto quali sono le possibilità espressive legate al sapiente uso del tempo e
del diaframma. Per poterle sfruttare al meglio dobbiamo conoscere a fondo la nostra fotocamera,
perché alcune compatte (totalmente automatiche) scelgono da se, ed all'operatore resta ben poco
da fare. Quando le operazioni possono essere controllate, è bene seguire un determinato schema:
a) Decidere quale sia per noi in quel momento la grandezza più importante, fra tempo e
diaframma. Per esempio, volendo scattare un bel ritratto in primo piano, scegliamo il diaframma da
impostare a f/2,8.Impostare sulla macchina fotografica il valore prescelto.
b) Controllare sulla fotocamera che l'altro valore (nel nostro caso il tempo) sia adeguato alle nostre
esigenze. In pratica, se impostassimo un valore di diaframma tanto aperto in condizioni di
luminosità eccessiva, molto probabilmente il tempo d'otturazione richiesto sarebbe più breve del
tempo più veloce concessoci dalla fotocamera. A questo punto dovremo rivedere le nostre scelte,
chiudendo il diaframma
c) Operando con una reflex automatica, nella maggior parte dei casi l'esposimetro imposta
automaticamente una coppia tempo diaframma basandosi su diversi parametri. Comunemente
l'operatore può modificare la scelta automatica senza variare l'esposizione complessiva (funzione
shift).
7.1 Relazione tra diaframmi e tempi
Quando l'esposimetro propone una coppia diaframma-tempo non è detto che sia quella desiderata
o per motivi di nitidezza (diaframma) o per velocità del soggetto (tempo) e quindi occorre
modificare tempo e diaframma in modo da ottenere l'effetto desiderato senza per questo alterare la
quantità di luce che deve giungere alla pellicola. Intuitivamente si ha che chiudendo il diaframma
(usando "f" più grandi) si fa arrivare meno luce e quindi si deve compensare usando un tempo
d'esposizione più lungo; mentre usando un diaframma più aperto ("f" più piccolo) si fa arrivare più
luce e quindi si deve compensare usando un tempo più breve. Dal punto di vista pratico le scale
sia dei diaframmi sia dei tempi sono messe in modo tale d'adattare l'esposizione ad una luce
sempre crescente; ovvero partono dal buio per andare verso la luce. Inoltre la serie dei tempi e dei
diaframmi sono messe in modo tale che per compensare uno spostamento dei diaframmi (o dei
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tempi) verso la luce (od il buio) basta uno spostamento in senso contrario dei tempi ( o dei
diaframmi).
(f) 1 - 1.4 - 2 - 2.8 - 4 - 5.6 – 8 - 11 - 16 - 22 - 32
(t) 1 - 1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 -1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000
Esempio pratico:
Se l'esposimetro propone "f4" con "t 1/500" ma per motivi di nitidezza è meglio usare "f8" occorre
impostare necessariamente "t 1/125" perché essendosi spostati coi diaframmi di due posizioni
verso la luce occorre bilanciare spostandosi di due tempi verso il buio.
Oppure se partendo da "f22" con "t 1/4" si deve fotografare un oggetto veloce occorre usare tempi
più rapidi (muovendosi verso la luce) e se viene scelto "t 1/500 occorre impostare "f2" perché
essendosi spostati coi tempi di sette posizioni verso la luce occorre spostarsi coi diaframmi di sette
posizioni verso il buio.
Esiste una legge che lega i tempi ai diaframmi :
f ² / t = Costante
La formula indica che il rapporto tra il quadrato del numero di diaframma ed il tempo deve
rimanere costante e questo spiega perché i tempi cambiano 1/2 ed i diaframmi di radice quadrata
di due.
7.2 L’esposizione e la messa a fuoco
L’esposizione corretta dipende dalla combinazione del tempo di otturazione e dell’apertura del
diaframma.
Il diaframma e il tempo sono direttamente proporzionali: più è aperto il diaframma e più deve
essere veloce il tempo di otturazione.
Il diaframma, a valori numerici alti (es. f\22 da leggersi sulla ghiera dell’obiettivo) risulta
proporzionalmente più chiuso. Più il diaframma è chiuso, più si ha profondità di campo, cioè area a
fuoco.
A valori numerici bassi (es. f\4) corrispondono diaframmi aperti. Più il diaframma è aperto, minore
è la profondità di campo, cioè area a fuoco.
Per realizzare fotografie nitide tenendo la fotocamera in mano è necessario non scendere sotto un
tempo di sicurezza che varia a seconda dell’obiettivo usato.
Esempio:
Obiettivo 28 mm. 1\30
Obiettivo 50 mm 1\60
Obiettivo 100 mm 1\125
Obiettivo 500 mm 1\500
Per fissare un movimento è necessario valutare la velocità con cui si muove il soggetto, tenendo
presente che l’immagine di un soggetto lontano dà l’impressione di muoversi più lentamente e
viceversa.
Si possono però, di proposito, ottenere foto mosse ad esempio con la tecnica del panning oppure
impostando un tempo lento rispetto alla velocità del soggetto in movimento.
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CAPITOLO 8° - IL FLASH
Il flash si rende necessario in condizioni di luce scarsa o per evitare immagini mosse o ricche di
dominanti, consentendo di lavorare con tempi veloci (da 1/30" a 1/500", a seconda della
fotocamera). L'emissione luminosa da parte di un flash è brevissima (1/30.000" in alcuni casi) e
permette di congelare i movimenti anche più rapidi. Raddoppiando la distanza tra flash e soggetto,
l'illuminazione si distribuisce su una superficie quattro volte più grande, ma l'intensità si riduce a
1/4. Triplicando la distanza, la superficie diventa 9 volte più ampia, e così via.
8.1 NG o numero guida
Il numero guida (NG) è una grandezza caratteristica del flash e dà un'idea immediata del potere
illuminante. Conoscendo la distanza flash-soggetto, il NG serve per ricavare il diaframma di lavoro
da impostare sull'obiettivo:
ESEMPIO. Flash con NG = 30 per 100 ISO. Se il soggetto è a 3 metri dal flash, quale diaframma
va impostato? Diaframma = 30 : 3 = 10, cioè un diaframma intermedio tra f/8 e f/11.
La posizione del flash determina l'effetto desiderato. Un flash a slitta sulla fotocamera o a torcia di
lato illumina il soggetto frontalmente e totalmente, ma produrrà:
- occhi rossi in animali e uomini (la retina è estremamente vascolarizzata)
- riflessi su superfici lucide (vetri, lamiere, occhiali)
- ombre marcate su sfondi alle spalle del soggetto (pareti di una stanza)
- appiattimento del soggetto e annullamento della sua tridimensionalità.
8.2 TECNICHE FLASH
8.2.1 Flash indiretto
Gli inconvenienti di cui sopra si evitano allontanando il flash dall'asse ottico (con un cavo-sincro)
e/o indirizzando l'emissione luminosa in modo indiretto sul soggetto. L'ideale è disporre di più
flash: uno di piccola potenza sulla fotocamera (luce di rischiaramento) e uno di maggior potenza
collegato via cavo o tramite servocellula, diversamente posizionato (luce principale). I raggi
luminosi hanno un angolo di riflessione uguale a quello di incidenza e questo va tenuto in
considerazione in tutti i casi di illuminazione riflessa: pannelli, pareti, soffitti.
Vantaggi: uniforme distribuzione della luce sul soggetto; assenza di ombre nette; occhi naturali.
Svantaggi: la luce che arriva al soggetto è minore di quella diretta; un solo flash di piccola potenza
non è sufficiente per la riflessione; se le pareti sono colorate, anche la luce del flash risulterà
colorata; la tecnica è affidabile solo in TTL-flash.
Leggi della Riflessione e della Rifrazione.
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Un treno d'onde incidente viene riflesso con un angolo uguale (i=r). Nel caso di aria/vetro (n2 >
n1), l'angolo di rifrazione è inferiore a quello di incidenza e tende a chiudersi verso la normale alla
sup. nel punto di incidenza.
N.B.: gli angoli vanno misurati a partire dalla normale alla superficie di separazione tra i mezzi
(aria/vetro).
8.2.2 Fill-in
Tecnica di rischiaramento del soggetto con luce flash in luce-ambiente, tramite una breve
emissione luminosa che schiarisce le ombre indotte dalla luce naturale. Il colpo di flash come
riempimento sarebbe insufficiente da solo per consentire una corretta esposizione, ma abbinato
alla luce ambiente alza la luminanza complessiva della scena e il contrasto si abbassa. Si ottiene
così un primo piano rischiarato, inserito in un contesto di luce-ambiente naturale. La tecnica del
Fill-in si applica soprattutto nel controluce.
8.2.3 Open-Flash
Tecnica per fotografare in luce scarsa (es. bosco) con tempi lunghi (quelli dell'esposimetro),
sottoesponendo di ½-1 stop e colpendo il soggetto con uno o più lampi di flash tenuto in mano.
ESEMPIO: l'esposimetro segnala 5". Si imposta un tempo di 3" e si scatta, azionando
contemporaneamente flash a distanza ravvicinata nell'intervallo dell'esposizione.
8.2.4 TTL-flash
Automatismo che opera interrompendo l'emissione del lampo quando un apposito sensore giudica
sufficiente la quantità di luce che ha colpito il soggetto, attraverso la misurazione della luce che
giunge sul piano-pellicola. È una tecnica avanzata che permette il sincro-flash con il tempo
nominale di sincro e con tutti gli altri tempi superiori ad esso, calcolando in tempo reale i valori
dell'esposizione in numerosissime situazioni fotografiche. Molto affidabile anche in
macrofotografia, a patto che il soggetto sia al centro o occupi gran parte del fotogramma.
Accessori utili:
•
servocellula (o servo-flash): fa scattare un flash quando rileva il lampo di un altro flash
•
diffusore: si posiziona sul bulbo-flash, come un filtro, per ottenere una emissione più
morbida e diffusa, oppure per ampliare l'angolo di emissione
•
pannello diffusore: lastra di plastica, a 20cm dal flash e a 45° rispetto al bulbo, inclinato
verso l'alto
•
aggiuntivo tele: lente di Fresnel che aumenta il NG del flash e ne concentra l'emissione
•
accessori multiflash: per distanziare il flash dalla fotocamera o per utilizzare più unità
sincronizzate. Anche TTL.
Esempio di collegamento multiflash TTL:
1 = Canon 10D
2 = flash Canon 300TL
3 = Adattatore slitta
4 = Adattatore remoto
5 = Distributore TTL
6 = Cavo TTL (60 cm)
7 = Cavo TTL (3 m)
21
8.3 Troubleshooting
L'immagine è correttamente illuminata solo in una porzione del fotogramma. Causa: il tempo di
scatto è più breve del tempo di sincronizzazione
L'immagine è sottoesposta. Cause: flash poco potente per la distanza di utilizzo; diaframma
impostato più chiuso di quello necessario; il soggetto è bianco e riflettente; la lettura TTL è
avvenuta non sul soggetto, ma sullo sfondo
L'immagine è sovraesposta. Cause: il contrario di sopra; l'area centrale di lettura TTL era troppo
scura rispetto al resto dell'immagine
I bordi del fotogramma sono più scuri. Causa: è stato usato un obiettivo grandangolare con un
flash non adatto ad una copertura così ampia.
8.4 Il Tempo di Sincronizzazione
Il tempo di sincro-flash di una fotocamera indica la massima velocità di scorrimento delle tendine
dell'otturatore durante la quale si otterrà una corretta esposizione flash di tutto il fotogramma. Le
tendine in chiusura partono immediatamente dopo che la prima tendina si è aperta totalmente. Per
avere tempi sempre più rapidi, l'apertura viene parzializzata: la II tendina parte prima che sia
arrivata in fondo la prima. Se parte quando la prima è arrivata a ¾ del fotogramma il tempo sarà di
1/250"; se parte a metà fotogramma si avrà un tempo di 1/500". Per tutti i tempi più brevi del tempo
di sincro-lampo solo una parte del fotogramma risulterà esposta correttamente, metre la restante
sarà sottoesposta.
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CAPITOLO 9° . LUCE E CONTROLUCE
La qualità della luce registrata in una fotografia, la sua esposizione, è uno dei fattori più importanti
per la sua piena riuscita. Dove l'arte e la scienza fotografiche si compenetrano maggiormente è
proprio nella ricerca e nella scelta dell'esposizione. In generale, il fotografo cerca di catturare i
dettagli di ogni parte di un soggetto, delle parti in piena luce come di quelle in ombra. La
sovraesposizione produce un'immagine sbiadita, che manca di particolari nelle zone illuminate; le
immagini sottoesposte sono scure e le zone in ombra risultano indistinte. Per quanto sia la sotto
sia la sovraesposizione possano servire per dare una certa atmosfera a una fotografia,
normalmente si cerca un equilibrio: un'esposizione "corretta" che riveli i particolari di ogni parte
dell'immagine. La scelta dell'esposizione è in relazione alla quantità di luce che illumina il soggetto,
indicata dall'esposimetro della fotocamera. La quantità di luce che penetra effettivamente nella
fotocamera è determinata dalla velocità dell'otturatore e dall'apertura del diaframma. Infine,
l'esposizione dipenderà dalla sensibilità della pellicola e dalla sua latitudine di posa - la gamma di
luminosità entro la quale registrerà comunque un'immagine accettabile.
Può risultare difficile determinare la quantità di luce in una fotografia. Un'area può essere
particolarmente luminosa, mentre la parte rimanente è buia e in ombra - le pareti bianche di una
casa in un bosco, per esempio. La maggior parte degli esposimetri, compresi i TTL montati sulle
fotocamere SRL, danno una lettura media dell'intera inquadratura. (Gli esposimetri TTL agiscono
indipendentemente dagli accessori degli obiettivi, eccettuati taluni filtri colorati.) Ciò funziona
abbastanza bene nella maggior parte dei casi, ma non in condizioni insolite. E' buona abitudine
giudicare da sé la qualità della luce, perché non solo ci si prepara ad affrontare le difficoltà quando
sorgono, ma ci si abitua anche a studiare la scena da riprendere con maggiore attenzione.
Scattate foto con esposizioni diverse - a intervalli di uno o di mezzo stop - e confrontate i risultati.
Molti fotografi spesso effettuano molteplici letture con l'esposimetro prima di scegliere l'esposizione
che ritengono più adatta a raggiungere i risultati voluti. Se i toni medi di una composizione sono
importanti, allora letture separate dei toni medi, chiari e scuri consentiranno una stima più precisa
che non una lettura globale. Per privilegiare i particolari in ombra, impostate l'esposizione a metà
tra i toni medi e i toni scuri; per arricchire le zone di piena luce, calcolate le medie delle letture tra
toni medi e toni chiari. Tenere conto di tutte le situazioni specifiche, come un sentiero innevato o
materiali riflettenti, e ricordate che basta un piccolo spostamento dell'angolo di ripresa per alterare
l'esposizione, specialmente in controluce.
Talvolta non è possibile effettuare delle letture separate di luci e di ombre abbastanza ravvicinate
da eliminare l'influenza di altri elementi della scena. In questi casi la lettura a spot è
particolarmente indicata. Gli esposimetri a spot hanno un angolo di campo stretto, da 1 a 10 gradi.
Nei sistemi TTL con possibilità di lettura a spot, la zona di misurazione è delimitata da un cerchio
sullo schermo di messa a fuoco. In ogni caso, qualunque fotocamera reflex con un teleobiettivo
inserito effettua in pratica delle letture a spot. A volte non è possibile ricorrere nemmeno a questo
tipo di misurazione. La migliore soluzione sarebbe quella di leggere la luce incidente, altrimenti
potete basarvi su una lettura di un oggetto di tono medio - molti fotografi usano la palma della
mano - tenuto in ombra o in luce a seconda di come la luce cade sul soggetto da riprendere.
9.1 Luce e contrasto
Tecnicamente parlando, la luce è puramente una forma visibile di energia che genera la
formazione di un'immagine fotografica su un'emulsione grigia opaca. Per il fotografo contano
invece le qualità intrinseche della luce, le sue capacità di evocare stati d'animo ed emozioni.
Il contrasto è uno degli aspetti della luce di maggior impatto emotivo. Ombre scure con contorni
definiti contro zone luminose e brillanti rendono dinamica l'immagine e creano un senso
drammatico. Ombre lievi ricche di dettaglio armonicamente composte con parti rischiarate da una
luce morbida creano invece un'atmosfera più calma e contemplativa. Il contrasto di luce consiste
nella differenza tra l'intensità della luce che investe le aree chiare e quella che interessa le zone
scure della scena, e ha un effetto diretto sul contrasto del soggetto.
Quanto più elevata la differenza, tanto più accentuato sarà il contrasto e più vasta la gamma di toni
della fotografia. La luce diretta che genera ombre ben delineate aumenta il contrasto complessivo,
23
diversamente dalla luce diffusa che crea ombre indistinte. In generale, le fotografie con un buon
contrasto riescono meglio, non tanto perché siano in sé più belle di quelle a basso contrasto,
quanto per il fatto che queste ultime sono piuttosto difficili da realizzare con successo: il risultato
può spesso apparire piatto, una desolata distesa di toni uniformi.
Un'eccezione è rappresentata dalle immagini a toni dominanti chiari (high key). Le fotografie di
questo genere sono poco contrastate, il colore è sbiadito e solo alcune zone ristrette sono ricche di
dettaglio. Lo scopo è quello di creare un'atmosfera eterea e delicata, che si addice a molteplici
soggetti. La luce frontale dovrebbe essere molto morbida, e associata a una sovraesposizione che,
a seconda del soggetto, può arrivare anche a due stop. Con soggetti in controluce, l'esposizione
va impostata sulle ombre. Se il soggetto è scuro o molto ricco di colore, può essere necessario
forzare ulteriormente la sovraesposizione. La fotografia a toni dominanti scuri (low key) è l'opposto.
Qui predominano i toni scuri, ricchi e i colori forti. Questo procedimento può andar bene per molti
tipi di fotografie, ma ricordate che le parti illuminate di un ritratto riveleranno implacabilmente ogni
genere di difetti e imperfezioni.
Le zone di massima luce devono anche avere un buon colore per creare un'atmosfera intensa, e
su di loro dovrà quindi basarsi l'esposizione. La luce diretta, soprattutto sotto forma di un fascio
ristretto, è spesso la più adatta per fotografie a toni dominanti scuri, ma un contrasto eccessivo
dovrebbe essere evitato per mezzo di una lieve sottoesposizione.
9.2 Il controluce
Il classico consiglio rivolto ai principianti di fotografare avendo il sole alle spalle porta
effettivamente a ottenere una buona illuminazione del soggetto. I risultati tendono a essere
scontati e alquanto anonimi, ma i problemi di esposizione sono ridotti al minimo. Ci sono tuttavia
dei casi in cui è preferibile avere il sole, o la fonte luminosa, alle spalle del soggetto.
I contorni del soggetto vengono così evidenziati, a scapito del colore, con un effetto
particolarmente adatto a figure semplici.
Con la fotocamera puntata verso la luce, ombre e zone di massima luce creano piacevoli giochi di
contrasto e aggiungono forza e vigore all'immagine. Questa tecnica di illuminazione viene
chiamata controluce e comporta alcuni problemi tecnici che vanno affrontati con una certa
attenzione. La vasta gamma di luminosità quasi sempre supera la latitudine di posa della pellicola,
per cui una certa perdita di dettaglio è inevitabile, e, dal momento che la luce diretta crea brillanti
zone di massima luce, l'esposimetro indicherà dei valori molto inferiori a quelli realmente
necessari.
La maggior parte dei sistemi di esposizione automatica consente la sovrapposizione dei comandi
manuali: una sovraesposizione di uno o due stop migliorerà il livello di dettaglio nelle aree di media
e bassa luminosità. Alternativamente, si può effettuare una lettura ravvicinata di una zona
importante di media tonalità, e quindi bloccare l'esposizione o impostarla manualmente.
Qualunque procedura si scelga, bisogna prima decidere quali siano le zone importanti di massima
luce, di media tonalità e di ombre, perché la perdita di particolari in una zona o nell'altra può
cambiare radicalmente l'atmosfera.
Se si vogliono conservare colore e texture delle zone di massima luce, del soggetto resterà quasi
soltanto il contorno. Se volete invece registrare i particolari del soggetto, risulteranno sbiancati i
bordi delle aree luminose, creando un'atmosfera più morbida. Con un minimo di attenzione, si può
anche ridurre il contrasto di luminosità servendosi di pannelli riflettenti o di un debole
lampeggiatore per riempire le ombre. Con pellicole in bianco e nero, potete sovraesporre
leggermente e poi ridurre i tempi di sviluppo, il che attenuerà il contrasto.
Il controluce può condurre anche a problemi di riflessione diffusa. Perdita di contrasto, ridotta
saturazione del colore e immagini riflesse del diaframma sono tutti elementi che possono
contribuire a rovinare una foto. Una buona mascheratura dell'obiettivo è la risposta. Se il paraluce
non è sufficientemente profondo, usate la mano, un giornale o un pezzo di carta per proteggere
l'obiettivo dalla luce diretta. A volte sarà possibile sfruttare l'ombra di un albero o di un edificio.
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9.3 Luce dura e morbida
La luce è di fondamentale importanza per qualsiasi fotografia. L'intero processo fotografico si basa
sulla luce, e dalla sua qualità dipende in larga misura la qualità del risultato.
Il fotografo deve di conseguenza ben conoscere le atmosfere, le proprietà e gli usi della luce. Deve
saper scegliere i cambiamenti di luce e valutare gli effetti sull'ambiente di una diversa
illuminazione. Quasi tutti riescono naturalmente a stimare l'intensità della luce, se debole o forte, e
la sua direzione. Ma queste non sono che due delle tante sue caratteristiche che possono
determinare il successo o l'insuccesso di una fotografia.
Saper valutare la durezza o la morbidezza della luce è essenziale per il fotografo. Una luce dura
produce normalmente ombre marcate con bordi netti. I contorni del soggetto sono ben delineati e
l'effetto complessivo è di intenso contrasto e drammaticità. Con una luce morbida , le ombre sono
indefinite e possono perfino essere del tutto assenti. Figura e forma si rivelano compiutamente, e il
contrasto tra toni chiari e scuri si stempera nella creazione di un'atmosfera rilassante. Nella
fotografia a luce diurna, la luce diretta del sole dà un'illuminazione dura, mentre si ha una
luminosità morbida con un cielo offuscato o nuvoloso.
In generale, la durezza o la morbidezza della luce è determinata dalle dimensioni della fonte
luminosa rispetto al soggetto.
Una sorgente di luce relativamente piccola dà luce dura, mentre una relativamente grande dà luce
morbida. Il sole in un cielo terso rappresenta una piccola fonte, che manda una luce diretta dura,
ma, se una nuvola passa davanti al sole, la nuvola stessa diventa la fonte luminosa. Dal punto di
vista dell'osservatore, la nube è più grande del sole, e la sua luce risulta più morbida. Nel caso
limite, con il cielo interamente coperto, la luce viene diffusa da una superficie immensa, e le ombre
divengono indistinte. In ambienti chiari, l'illuminazione diventa omnidirezionale (in altri termini, la
luce riflessa dal basso è praticamente uguale a quella proveniente dall'alto) e le ombre
scompaiono del tutto.
Un errore comune consiste nel confondere una luce morbida con una luce poco intensa, o di
credere che una fonte luminosa brillante sia necessariamente dura. Non è vero: la luce del sole
non è più dura della ben più debole luce lunare, come dimostrano le fotografie che si possono
scattare al chiaro di luna. Le ombre sono altrettanto marcate. In realtà, il modo migliore per
determinare la durezza o la morbidezza della luce è quello di osservare da vicino i bordi delle
ombre e vedere quanto siano netti e definiti. Potrete quindi decidere se la qualità dell'illuminazione
si accorda con il soggetto prescelto.
In linea di massima, una luce dura, con le sue ombre ben marcate, è più indicata per soggetti che
hanno forme nette e semplici o colore brillante. La texture sarà rivelata da una luce direzionale
dura che sfiori la superficie per creare un'infinità di luci e ombre contrastanti.
Con oggetti di una certa dimensione, si possono sfruttare le ombre come elementi compositivi,
grazie alle loro linee e forme ben marcate. A volte possono però diventare eccessivamente
dominanti e turbare l'equilibrio della foto, diminuendone l'efficacia, ragion per cui questo tipo di
illuminazione va usato con criterio. La direzione della luce è di fondamentale importanza e richiede
la massima attenzione.
Molto più indulgente è la luce morbida, quasi priva di ombre, con un debole contrasto e un effetto
sottile sulla composizione.
Il suo inconveniente principale deriva dal farne ricorso troppo frequentemente: molte foto in luce
morbida appariranno simili tra loro, indipendentemente dalla varietà dei soggetti. La luce morbida
crea un'atmosfera soffusa e delicata, e accentua la plasticità delle forme perché avvolge i soggetti
modellandoli finemente, riducendo la texture e rivelando i particolari. Il colore è smorzato, e la
gamma di toni chiari e scuri alquanto ristretta. La luce morbida consente al fotografo la più ampia
scelta di punti di vista diversi, il che può essere molto utile se il soggetto ha una forma e una
texture complesse e di difficile interpretazione.
La luce semidiffusa, o luce morbida direzionale, si colloca in posizione intermedia tra luce morbida
e luce dura: ha ancora una direzione ben definita, ma genera ombre dai contorni più sfuggenti. La
forma trova ancora un complemento nelle ombre, ma diminuisce il contrasto e il colore non è così
vibrante come una luce dura. La luce semidiffusa è l'ideale per dare un forte senso di realismo.
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10. I tempi lunghi e la posa B
Per modificare la quantità di luce che impressionerà la pellicola o il ccd esistono
due modi: o si varia l'apertura del diaframma, lasciando passare più o meno
luce, o si varia il tempo di esposizione, lasciando aperto l'otturatore per più o
meno tempo.
Ovviamente, per ottenere un'esposizione corretta, se diminuiamo l'apertura del
diaframma dovremo aumentare i tempi di esposizione e viceversa.
Normalmente si utilizzano tempi dell'ordine di 1/250, mentre sceglieremo tempi
più brevi per immagini di soggetti in movimento o realizzate in condizioni
particolari (ad esempio se siamo noi e la macchina fotografica a muoverci!).
Se pero decidiamo di impressionare piu dettagli possibili in un panorama
chiudendo il diaframma, o siamo in ambienti buii sara obbligatoria aumentare i
tempi di esposizione.
Le moderne fotocamere permettono di impostare tempi tra i 2-10-15 e anche 30
secondi vi e poi la posa B che permette al fotografo di decidere direttamente il
tempo di asposizione.
Quando si utilizzano tempi cosi lunghi sono indispensabili il cavalletto e il cavetto
flessibile cosi da evitare qualsiasi vibrazione.
In posa B se fonti luminose saranno in movimento impressioneranno la pellicola
disegnando le loro traiettorie.(Es. foto di notte su un autostrada)
Con tempi lunghi, seguendo il veicolo (non l'atleta che si deforma durante il
movimento) è possibile dare
un particolare
effetto di movimento, o
semplicemente evidenziare
il movimento di un oggetto (il
vagone della
metropolitana nell'immagine riprodotta) in relazione al soggetto principale fermo.
Sono cmq moltissime le prove che si possono effettuare con i tempi lunghi.
Non dimentichiamo per esempio che per fotografare un lampo sara molto utile
chiudere il diaframma piu possibile e settare la macchina a 30 secondi o più cosi
da poter catturare qualche lampo che cadra durante l’esposizione.
11. I filtri correttivi
In fotografia la luce agisce in due modi diversi. Quando colpisce la pellicola o il
ccd si comporta come un fascio di particelle (fotoni); ma prima, mentre sta
passando attraverso l'obiettivo o un altro materiale trasparente, si presenta come
un movimento ondulatorio.
La luce visibile è uno spettro continuo composto da diverse lunghezze d'onda.
Nello spettro visibile, che rappresenta solo una parte del più ampio spettro
elettromagnetico, percepiamo le diverse lunghezze d'onda attraverso differenti
colori Nonostante la luce proveniente da fonti, quali il Sole, sembri priva di colore
(infatti viene chiamata luce bianca) in effetti è composta da tutte le lunghezze
d'onda dello spettro visibile, cioè da tutti i colori.
Queste diverse lunghezze d'onda (o colori), come altre caratteristiche, possono
essere separate tra loro per mezzo dei filtri. I filtri sono dispositivi traslucidi posti
in modo da trasmettere la luce selettivamente rispetto al colore, all'onda di
movimento o alla quantità, così da incidere sulla pellicola in modo predeterminato.
Natura ottica dei filtri
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Per loro natura, tutti i filtri agiscono sottraendo luce o colore. Ovverosia,
rimuovono parte della luce che li attraversa e, quindi, modificano l'esposizione
dell’elemento sensibile. Il modo in cui agiscono dipende dalle loro caratteristiche
di assorbimento e riflessione e dalla loro capacità di rifrazione.
Effetti cromatici
I filtri visibilmente colorati differenziano le lunghezze d'onda: trasmettendone
alcune e assorbendone altre.
Nella teoria di sottrazione del colore, la luce bianca dello spettro visibile è divisa
in tre sezioni: blu, verde e rosso. In questo sistema, i filtri gialli assorbono la luce
blu, quelli verdi assorbono la rossa, e quelli rossi assorbono il blu e i verde. In una
scena esterna, fotografata in bianco e nero, un filtro giallo sull'obiettivo provoca
uno scurimento del cielo nella stampa finale (l'assorbimento della luce blu provoca
un'esposizione minore nelle aree della pellicola con il tono blu cielo; quindi, il
negativo presenta minor densità in queste zone che, di conseguenza, sulla stampa
risulteranno più scure rispetto alle zone degli altri colori, meno influenzati dal
filtro).
Questo assorbimento selettivo della luce è la base per la scelta dei filtri, ad
eccezione della filtratura polarizzante o a densità neutra.
Fattori filtro
Dal momento che i filtri agiscono per sottrazione, ne consegue che il loro uso
penalizza l'esposizione (con l'unica eccezione per il filtro
ultravioletto: dal
momento che la radiazione assorbita da questo filtro è ultravioletta, che non
viene percepita in modo significativo dalla pellicola, non è quasi necessaria la
compensazione d'esposizione). Questo assorbimento luminoso non è dovuto
interamente all'assorbimento della luce da parte del filtro. In parte è dovuto
anche alla riflessione della stessa luce sulle superfici del filtro.
Quindi la luce trasmessa da un determinato filtro è la luce che non è né riflessa
né assorbita. La quantità di luce riflessa dalla superficie di un filtro è piccola nel
centro, ma leggermente maggiore ai bordi, questo è dovuto ai diversi angoli
d'incidenza dei raggi di luce coinvolti. Se si sta utilizzando un solo filtro la
differenza non è rilevante, ma può diventare un autentico problema se si
accoppano più filtri.
Quando si usano i filtri è necessario aumentare l'esposizione per compensare la
luce che non viene trasmessa dal filtro. Di solito , questa compensazione viene
calcolata per mezzo di un fattore filtro: un valore numerico proporzionale alla
diminuzione effettiva dell'esposizione causata dal filtro. Il sistema di numerazione
segue il piano di raddoppiamento dell'esposizione già proprio degli altri metodi di
compensazione, riferendosi al fatto che uno stop di differenza nell'esposizione può
moltiplicarla oppure dividerla per due. Quindi, un fattore filtro 2x, per esempio,
richiede un raddoppio dell'esposizione (apertura del diaframma o diminuzione
della velocità d'otturazione di uno stop), così come un fattore di 4x ha bisogno di
un'esposizione maggiore di quattro volte. Oppure, bisogna moltiplicare il tempo
d'esposizione calcolato con l'esposimetro per il fattore filtro.
Esistono diversi fattori per diverse fonti di luce, quali la luce diurna o quella
artificiale. Dal momento che la percentuale delle diverse lunghezze d'onda presenti
nella luce è diversa, i filtri non le trasmettono nelle medesime percentuali. Perciò,
si potrebbe essere obbligati a effettuare delle prove per stabilire i fattori reali di
determinati filtri, riferiti alle diverse condizioni ambientali.
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Se si usa più di un filtro alla volta, il fattore filtro risultante è il multiplo dei fattori
individuali. Quindi, se un filtro presenta un fattore 2,5x e l'altro un fattore 4x il
fattore combinato sarà 10x. L'uso contemporaneo di più di due filtri, quindi, può
richiedere esposizioni decisamente lunghe.
Slittamento della messa a fuoco
I filtri di spessore considerevole presentano un problema di messa a fuoco
rispetto l'obiettivo "libero": sbilanciando la messa a fuoco dell'obiettivo di un terzo
del loro spessore. Quindi, usati davanti all'obiettivo, lo fanno accomodare verso il
soggetto. Nell'uso normale questo slittamento si può ignorare, diventa importante
solo a distanze di messa a fuoco molto brevi, come nella macrofotografia.
La migliore soluzione di questo problema è quella di mettere a fuoco solo dopo
che i filtri sono stati sistemati, se è possibile. Nel lavoro che richiede un notevole
ingrandimento, è meglio evitare il problema, eseguendo la filtratura cromatica tra
la fonte di luce e il soggetto, piuttosto che di fronte all'obiettivo della macchina.
Effetti ottici della sovrapposizione di filtri
I filtri non dovrebbero essere posti sull'obiettivo più di uno per volta, per una serie
di ragioni. Tra queste è primario l'effetto cumulativo di un aspetto della luce
riflessa: la luce viene riflessa dalle superfici secondo il proprio angolo d'incidenza
(ossia, l'angolo con cui il raggio di luce colpisce la superficie).Quando un raggio di
luce colpisce una superficie trasparente, come quando passa dall'aria al vetro,
viene riflesso relativamente poco; ma quando la colpisce con un angolo inferiore,
la percentuale riflessa è maggiore. Usando un solo filtro, con qualsiasi tipo di
superficie, questo effetto si nota poco. Ma se si usano diversi filtri sull'obiettivo
(ciascuno di essi ha due superfici riflettenti) la perdita di luce che ne risulterà, in
esposizione, potrebbe essere notevole. Inoltre, esiste una tendenza alla riflessione
della luce ripetuta all'interno del filtro, tra le due superfici dello stesso. Questa
luce, deviata dal suo percorso originale, potrebbe colpire la pellicola come un
bagliore interno e diminuire il contrasto dell'immagine. A causa degli angoli
d'incidenza, questi effetti sono più
evidenti
quando si usano obiettivi
grandangolari. Dunque, gli effetti cumulativi possono essere piuttosto significativi.
Rifrazione della luce
I filtri non solo assorbono la luce, ma la rifrangono o la deviano. Questo provoca
conseguenze tali che si dovrebbero
considerare. Gli obiettivi per ripresa
fotografica sono progettati per un funzionamento ottimale quando non hanno
alcun elemento tra loro e il soggetto: il filtro posto sull'obiettivo può dunque
disturbare la formazione dell'immagine. Il tipo e l'importanza
dell'influenza
dipendono dalla planarità del filtro (dal parallelismo delle sue superfici), dal suo
spessore e dal preciso posizionamento nel percorso ottico.
In un certo senso, il filtro agisce sull'obiettivo come un elemento addizionale. Se
le superfici del filtro non sono piatte, agisce come una lente, deviando la luce
secondo le curvature presenti, e danneggiando definitivamente l'immagine. Se le
due superfici non sono parallele, agisce come un prisma, disperdendo la luce
secondo le sue lunghezze d'onda. Un filtro di vetro, inoltre, cambia la lunghezza
focale dell'obiettivo a seconda del suo spessore, tendendo leggermente a sfocare
l'immagine. Se lo si pone nel percorso ottico con un angolo che non sia di 90
gradi rispetto all'asse dell'obiettivo, il filtro causa ulteriori disturbi dell'immagine.
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Quando usare i filtri
I filtri non sono necessari per tutte le riprese fotografiche. Infatti molte, se non la
maggioranza, possono essere eseguite senza filtri, con ottimi risultati. Dunque,
quando vengono usati senza necessità, certamente la qualità dell'immagine ne
soffre. Quando si inizia a fotografare in bianco e nero, è utile osservare il soggetto
attraverso una successione di filtri colore, per vedere se qualche colore produce
un miglioramento apparente nella separazione della luminosità relativa. Nella
fotografia a colori di panorami, vale la pena di tentare l'uso di un filtro
polarizzatore per vedere se così migliora la resa del cielo, o se viene eliminata la
foschia. Sia nella fotografia in bianco e nero sia in quella a colori, quando sono
presenti riflessi visibili nella scena conviene provare se con un filtro polarizzatore
l'immagine migliora.
Alle volte potrebbe sembrare fastidioso usare un filtro ma, se questo è scelto
accuratamente, i suoi vantaggi superano decisamente gli svantaggi. Si consiglia di
seguire questi suggerimenti base:
1. Un filtro dovrebbe essere usato solo quando serve.
2. Il tipo di filtro deve essere quello adeguato allo scopo prefissato.
3. All'atto dell'acquisto occorre fare attenzione alla qualità della marca (i filtri di
vetro più economici possono
risultare un misero affare).
4. Il filtro deve essere montato correttamente.
5. Sul vetro smerigliato e con le macchine reflex, la messa a fuoco finale deve
essere effettuata con il filtro già inserito
sull'obiettivo.
Scelta del filtro
I filtri sono disponibili nei tipi quadrati in gelatina incollata tra due vetri e poi
esistono i filtri di vetro. Le gelatine potrebbero essere i filtri colore preferibili per
la maggior parte degli usi: infatti, sono talmente sottili da causare ben pochi
problemi ottici. Sono economici, e con buona cura durano parecchio; possono
essere trasportati facilmente in notevoli quantità, grazie al loro peso contenuto.
Comunque, non possono essere puliti e vengono danneggiati facilmente da
impronte e graffiature. Inoltre, se si deve lavorare all'umido, si ricordi che la
gelatina è solubile.
Il tipo a gelatina incollata nel vetro è di lunga durata e si può pulire, ma è
piuttosto costoso e, se cade, si può rompere o dividere; trasportandone parecchi
potrebbero risultare pesanti e ingombranti. I filtri polarizzatori sono quasi sempre
di questo tipo.
Alcuni filtri speciali sono disponibili solo in vetro di particolare qualità. In questo
caso non esiste scelta del tipo, eccetto per la marca o lo spessore. Si dovrebbero
usare solo i migliori filtri in vetro, e non dovrebbero essere più spessi del
necessario (per pulire i filtri di vetro, si devono spazzolare leggermente tutte le
particelle di polvere e quindi è necessario alitare sul vetro prima di lucidarlo
leggermente con un panno soffice, proprio come si fa con gli obiettivi).
Filtri colore per fotografia bianco e nero
La fotografia in bianco e nero, considerata come espressione, incoraggia la qualità
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fotografica assoluta. I filtri modificano la luce in un'ampia varietà di modi, e la
loro appropriata utilizzazione è spesso ciò che distingue una fotografia di buon
valore da una mediocre, sia nel caso di ripresa in bianco e nero sia in colore.
Il compito principale dei filtri a colori, usati con pellicola in bianco e nero, è quello
di differenziare i colori che apparirebbero altrimenti con lo stesso tono di grigio
nella fotografia finale. Inoltre, alcuni filtri penetrano la "nebbia", assorbendo la
luce sparsa dalle particelle sospese nell'aria.
Luminosità relativa ed effetti di contrasto
Le pellicole in bianco e nero traducono diversi colori del soggetto originale in
diverse gradazioni di grigio, corrispondenti alla luminosità relativa (o capacità di
riflessione) dei colori di partenza. Non esiste collegamento tra un colore, così
come viene percepito dall'occhio e dal cervello, e il tono di grigio che risulterà
nella stampa fotografica bianco e nero, eccetto per la luminosità relativa. Spesso,
due colori molto diversi vengono riprodotti con toni di grigio molto simili. Per
esempio, se fotografiamo senza filtro un oggetto marrone su una foglia verde, il
primo si potrebbe confondere con la foglia, se questi due colori sono di luminosità
relativa simile. In questo caso, l'uso di un filtro verde scurirà il tono dell'oggetto
marrone. Quindi il soggetto contrasterà bene con ciò che lo circonda.
Il fotografo deve imparare a percepire i colori secondo la loro luminosità relativa,
per collegarli al grado di grigio che li riprodurrà nella foto, e per sapere quali filtri
possono separarli visivamente. Quindi, il fotografo avveduto può evidenziare o
contenere qualsiasi porzione di un determinato soggetto nel quale sono presenti
diversi colori. Una volta realizzato che si può, e si deve imparare a percepire i
colori come toni di luminosità relativa, si può anche imparare a osservare
attraverso un determinato filtro, per giudicare con precisione quali saranno i suoi
effetti
sulla pellicola,
rispetto a ogni particolare soggetto. Quasi tutte le
differenziazioni di colore nel bianco e nero dipendono solo da questo.
Scelta del filtro
Come già sappiamo, tutti i filtri agiscono assorbendo e non trasmettendo parte
della luce che li colpisce. Nonostante sia vero che un filtro giallo assorbe il blu e
trasmette il verde e il rosso, così come un filtro rosso assorbe il blu e il verde e
trasmette il rosso, e così via, questo concetto base fornisce al dilettante solo una
scarsa idea di come scegliere un filtro colore, per differenziare i toni nella
fotografia in bianco e nero.
Sebbene non sia corretto in termini strettamente fisici, esiste una regola pratica
molto utile per la scelta di un filtro da usare con pellicole in bianco e nero. La
regola si basa sul cerchio di colore che tutti noi abbiamo studiato a scuola. In
questa raffigurazione, i tre colori primari (rosso, giallo e blu) sono disposti a
intervalli di 120 gradi. Tra di loro si trovano i colori secondari (arancio, verde e
viola). Ciascun colore secondario può essere ricavato, nella pittura, miscelando
quantità equivalenti dei colori primari che si trovano ai suoi lati: quindi il rosso e
il giallo si combinano per dare l'arancione, mentre il blu e il verde compongono il
viola.
Quando si miscelano quantità
non equivalenti dei colori primari, si
ottengono gradazioni intermedie dei colori secondari. Con il rosso e il giallo,
quando il rosso predomina, si arriva a un arancione rossiccio; nello stesso modo
in cui si ottiene un arancione con tendenza al giallo, quando lo stesso giallo
predomina; e così via. Il cerchio di colore, come viene usato per le miscele da
pittura, è la descrizione di quello che succede in un sistema colorimetrico additivo,
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in cui un colore o una tinta si ottiene attraverso la miscelazione dei pigmenti. I
filtri colore invece sono sottrattivi: le lunghezze d'onda (o colori) della luce
vengono assorbite selettivamente, partendo da una miscela esistente di tutte le
lunghzze d'onda visibili.
Nonostante la teoria del cerchio di colore non descriva accuratamente il processo
di filtratura del colore, se si osservano attraverso un filtro colore, le cromie dello
stesso colore cambieranno, l'una rispetto all'altra, proprio secondo il cerchio di
colore.
Quindi, la regola pratica è semplice: nella fotografia in bianco e nero per scurire il
tono di
grigio che rappresenta un colore, si usa
un filtro del colore
complementare. La
tinta più o meno decisa
del filtro fornisce un effetto
corrispondente.
L'osservazione del soggetto attraverso un filtro, offre una buona indicazione di
come questo (filtro) incide sull'immagine registrata da una pellicola bianco e nero
pancromatica: si osserva una scena monocromatica con luminosità relative simili a
quelle della stampa finale. Sebbene tutto sia visto nei toni del colore proprio del
filtro, piuttosto che nei toni di grigio che poi appariranno nella stampa finale,
basta un poco d'esperienza per permettere a ciascuno di prevedere il risultato
finale.
La raffigurazione del cerchio di colore per la scelta del filtro scade, in genere,
quando si cerca un filtro violetto: fotograficamente non esiste un filtro adatto in
quest'area dello spettro. Quindi si deve usare un filtro rosso (o, meglio, blu) per
modificare i toni che, secondo il cerchio, sarebbero influenzati da un filtro
violetto.
Un'altro fallimento di questo
sistema si verifica quando si
fotografa una
vegetazione verde a foglie larghe. Tali foglie presentano una struttura interna
caratterizzata da una forte riflessione nelle regioni rosse e infrarosse dello spettro.
Quindi, se con pellicole pancromatiche si usa un filtro rosso (o con le pellicole
infrarosse), i verdi non si scuriranno come necessario ma, al contrario, si
schiariranno (nella fotografia infrarossa, le stampe relative a questo tipo di
vegetazione sono molto chiare, o addirittura bianche). Questo è definito come
"effetto Wood".
Fortunatamente, le eccezioni del sistema del cerchio di colore diventano evidenti
non appena si osserva attraverso il filtro prescelto. Quindi, se si è a conoscenza di
questi svantaggi, gli stessi non pongono veri e propri problemi. Nonostante,
teoricamente, qualcosa sia inesatta, questo sistema è molto utile per iniziare a
scegliere il filtro giusto, nella maggior parte dei casi.
Effetto cielo
Nella fotografia in bianco e nero, per ottenere degli effetti di cielo adatti, è
necessario usare filtri che assorbano la luce blu, poiché un cielo senza nuvole è di
colore blu. Assorbendo la luce blu, il filtro fa in modo che le corrispondenti zone
del cielo appaiono più scure di quanto sarebbero altrimenti. I filtri adatti a questo
scopo comprendono i vari toni di giallo, arancio e rosso. L'effetto è moderato con
il giallo, più evidente con l'arancio e molto forte con il rosso.
Per mostrare una gradazione soddisfacente dei toni del cielo, o per una resa delle
nuvole suggestiva e particolareggiata non è sempre necessario usare dei filtri. Se
l'atmosfera è molto pulita, il blu del cielo sarà probabilmente sufficientemente
profondo da riprodurre un grado di grigio piacevole, senza l'ausilio del filtro.
Inoltre, se ci sono aree ampie e significative di superfici bianche o brillanti
riflettenti nella scena generale, la porzione blu del cielo sarà relativamente meno
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luminosa. In questo caso, il cielo verrà stampato in un grigio leggero o medio,
semplicemente perché il negativo in questa zona ha ricevuto meno esposizione
rispetto alle aree più chiare della scena. Qui, l'uso del filtro potrebbe rendere
troppo scuri i toni di blu esistenti.
D'altra parte, se il blu del cielo dovesse apparire molto chiaro e pieno di bagliori,
per produrre cambiamenti significativi del tono grigio nelle zone del cielo sulla
stampa, potrebbe essere necessario l'uso di un filtro rosso cupo. Quindi si
potrebbe prevedere che le zone di vegetazione verde, in primo piano nel
panorama inquadrato, risultino molto scure con un filtraggio rosso molto forte,
ma ciò potrebbe non accadere a causa dell'effetto Wood. Con la maggior parte di
questi tipi di vegetazione, più intenso è il filtro rosso, più chiara apparirà la
vegetazione nella stampa rispetto agli altri toni. Comunque l'effetto non è della
stessa intensità per tutti i tipi di vegetazione, quindi, tutti coloro che intendono
fare della fotografia in esterni con buon puntiglio, dovrebbero eseguire delle prove
sui diversi
tipi di fogliame
che sono comuni nella zona in cui operano
fotograficamente.
Penetrazione del velo atmosferico (foschia)
La presenza di lunghezze d'onda brevi provenienti dalle particelle d'acqua o di
altre sostanze sospese nell'atmosfera, e dalle stesse molecole d'aria, oltre a
provocare il colore blu del cielo, provoca anche il caratteristico "velo" azzurro che
oscura soggetti e panorami lontani. Se si usano gli stessi filtri consigliati per gli
effetti del cielo, in generale, questa foschia atmosferica può essere penetrata,
rivelando nella stampa finale i dettagli che l'occhio umano non è in grado di
vedere bene.
II filtri, comunque, non sono sempre appropriati. Potrebbe anche verificarsi il
caso in cui si desideri trattenere in parte, o completamente, l'effetto velo, o
addirittura aumentarlo usando un filtro blu chiaro. Questo, per sottolineare le
distanze e le relazioni di profondità diverse, per mezzo di ciò che è chiamata
prospettiva aerea; cioè l'espressione dello spazio attraverso la gradazione del
tono: in una scena con velo, più lontano si trova il soggetto o il paesaggio, più
chiaro risulta il tono. Inoltre, se le gocce d'acqua, i granelli di polvere o d'altro
materiale sospesi sono abbastanza grandi da emettere luce con lunghezze d'onda
maggiori, la stessa filtratura non sarà più efficace. Nessun filtro può infatti tagliare
la nebbia o il fumo.
Filtri d'assorbimento UV
La radiazione ultravioletta (UV) è quella porzione di spettro elettromagnetico,
adiacente alle lunghezze d'onda blu visibili, che si estende molto oltre i limiti della
visione umana. Nonostante la maggior parte dell'ultravioletto sia assorbito dal
vetro, le lunghezze d'onda più lunghe, prossime alle più corte del blu visibile,
sono trasmesse dagli obiettivi di vetro e registrate dalle pellicole fotografiche.
Quindi, l'UV-vicino, com'è chiamato, risulta in modo impercettibile nel blu visibile,
creando la presenza di un'area d'ambiguità
Il fenomeno dell'UV-vicino è di particolare interesse per i fotografi che operano
all'esterno, poiché la luce solare è ricca di ultravioletto. Nonostante l'occhio
umano non possa vederlo, le pellicole a
colori registrano il fenomeno,
esprimendolo in un blu addizionale oppure in uno strato di magenta, quasi un
rosso porpora (le pellicole in bianco e nero possono registrare bene nell'UV; ma
questa tecnica viene usata soprattutto nella
fotografia
scientifica). I filtri
32
progettati per eliminare l'ultravioletto
fotografia in esterni.
hanno
parecchie utilizzazione nella
Fotografia in altitudine
Alle quote più basse, l'ultravioletto in eccedenza viene assorbito dall'atmosfera,
ma nell'aria fine di montagna l'assorbimento è molto inferiore. A quote superiori i
1500-2000 m, l'ultravioletto in eccedenza potrebbe essere visibile nelle fotografie
a colori, come una dominante magenta su rocce invece grigie neutre. Un filtro
d'assorbimento dei raggi ultravioletti, come un Kodak Wratten 1A oppure, in casi
estremi, un più forte 2C, assorbirà l'ultravioletto che causa questo problema. L'1A
è il filtro meglio noto come skylight.
La velatura di distanza,
in altitudine, a volte è causata dalla
presenza,
nell'atmosfera, di radiazioni ultravioletto-vicino. Mentre l'occhio umano non le
nota, la pellicola le registra come un velo blu, di solito fastidioso. Con le pellicole a
colori, la correzione normale è rappresentata dallo skylight 1A, ma potrebbe
essere appropriato anche il 2C. Nella fotografia in bianco e nero, qualsiasi filtro
giallo assorbe l'ultravioletto insieme al blu visibile.
Effetti colore
La fotografia a colori all'ombra completa sotto un cielo blu, o durante giornate
leggermente nuvolose, presenta una serie di blu poco piacevoli, in quanto la luce
ha una temperatura del colore troppo alta. Il filtro skylight 1A corregge questo
effetto, oltre a rimuovere qualsiasi ultravioletto presente.
Filtri polarizzatori
I filtri polarizzatori sono completamente diversi da tutti i filtri finora descritti. Non
effettuano nessuna selezione tra le lunghezze d'onda, come i filtri colore, ma,
piuttosto, trasmettono tutti i colori della luce visibile in misura abbastanza
uniforme, come i filtri a densità neutra, pur avendo caratteristiche diverse. I filtri
polarizzatori assorbono o trasmettono in modo selettivo i vari piani di provenienza
della luce
Polarizzazione della luce
Come già citato, la luce presenta un movimento ondulatorio caratteristico. Un
raggio di luce emesso da una sorgente è caratterizzato da onde, o vibrazioni
trasversali, perpendicolari
alla direzione
di propagazione, che si muovono
simultaneamente in tutte le direzioni, attorno all'asse lineare direzionale del
raggio. Dal momento che non esiste un piano di vibrazione preferenziale (come
invece esiste, per esempio, quando l'onda è generata lungo una fune) questo
tipo di raggio luminoso viene definito non polarizzato. Ma, se qualcuno di questi
piani (o livelli) è bloccato, il raggio è detto polarizzato in un piano.
Esistono diversi metodi
di polarizzazione
della luce, alcuni si verificano
regolarmente in natura, e altri si possono produrre artificialmente. Nella fotografia
generale esistono due modi principali di polarizzazione naturale. Uno è quello
della polarizzazione parziale della luce per diffusione, come negli effetti cielo e
nebbia. L'altro è la polarizzazione per riflesso da determinate superfici.
Il filtro polarizzatore
I filtri polarizzatori da usare sugli obiettivi consistono di un foglio di gelatina
Polaroid (un materiale studiato e prodotto dalla Polaroid Corporation), o di un
altro materiale molto simile prodotto da altri, in grado di limitare la trasmissione
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di luce (polarizzata) a un singolo piano di polarizzazione, o comunque molto vicino
ad esso (la maggio parte dei polarizzatori sono prodotti facendo assorbire dello
iodio da un sottile strato di alcol polivinilico, che viene quindi steso per allineare le
molecole in lunghe catene parallele: il materiale che ne risulta, ha la capacità di
piano-polarizzare un raggio di luce, o di assorbire la luce già piano-polarizzata).
L'elemento polarizzante è inserito tra due strati di vetro, e fissato in una doppia
montatura che può essere ruotata e regolata una volta avvitata sull'obiettivo di
ripresa.
Nella fotografia di esterni, la polarizzazione naturale incide solo su una parte
della luce che forma l'immagine. La luce non polarizzata viene trasmessa da un
filtro polarizzante in una misura standard di circa il 40%, senza importanza alcuna
per la rotazione. Comunque, la luce che è già polarizzata naturalmente, viene
trasmessa a livelli che vanno da un massimo del 40% fino a un minimo dell'1% o
2%, in dipendenza dell'angolo di rotazione del piano di polarizzazione della luce.
Questo significa che quando il piano di polarizzazione del filtro è parallelo al piano
di vibrazione della luce, il tutto non influisce sul raggio polarizzato più di quanto
non faccia sulla luce non polarizzata. Ma quando il filtro viene scostato da questo
allineamento, la percentuale di trasmissione diminuisce fino a quando, a un
angolo di 90 gradi rispetto al piano di vibrazione, l'assorbimento della porzione di
luce polarizzata da parte del filtro è quasi completo. Un filtro polarizzatore può
essere
utilizzato anche per polarizzare un raggio
precedentemente non
polarizzato.
I filtri polarizzatori recentemente prodotti
da
case diverse dalla Polaroid
Corporation, possono avere una trasmissione di luce base del 25%, o anche
meno; ciò significa che i fattori d'esposizione sono meno standardizzati: per
questo si consiglia di consultare le istruzioni di ciascun produttore.
Polarizzazione naturale per diffusione
Un raggio di luce non polarizzata che colpisce una molecola d'aria o un'altra
minuscola particella, e che da questa viene diffuso, si polarizza in un piano
perpendicolare alla direzione di propagazione del raggio incidente.
Effetto cielo
La luce blu del cielo è parzialmente polarizzata dalla diffusione atmosferica che
produce il colore blu. Se si usa un filtro polarizzatore per assorbire i raggi
naturalmente polarizzati, il colore blu si scurisce notevolmente. Dal momento che
la polarizzazione è più forte ad angolo retto rispetto alla direzione del raggio,
l'effetto è maggiore
perpendicolarmente alla direzione del sole,
mentre è
praticamente inesistente in direzione parallela. Al tramonto, la luce del cielo allo
Zenith è fortemente polarizzata, come quella che si trova agli orizzonti Nord e
Sud. A mezzogiorno, la polarizzazione maggiore si trova vicino agli orizzonti Est e
Ovest. I massimi effetti di polarizzazione si verificano durante giornate molto
limpide, in quanto il cielo velato produce effetti progressivamente inferiori, in
relazione
diretta all'aumento della
diffusione multipla della conseguente
depolarizzazione della luce.
Quindi, un filtro polarizzatore può scurire parti del cielo senza causare gli effetti
di colore dei filtri giallo o rosso; perciò, in una fotografia, sia a colori sia in bianco e
nero, quando non si desiderano effetti di filtratura del colore, si può ugualmente
far risaltare il cielo. Il maggiore svantaggio dipende dal fatto che se non si
fotografa ad angolo retto rispetto alla direzione del Sole (cioè a quella linea che
parte o si dirige al Sole, nel cielo) si ottiene un effetto contenuto. Se si sta
utilizzando un grandangolare per una ripresa panoramica, si noterà che i toni del
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cielo diminuiranno gradualmente in funzione dell'angolo di ripresa, quando questo
diventa inferiore a 90 gradi rispetto alla direzione del Sole. Quindi, a seconda
degli angoli relativi fra la direzione solare e l'asse dell'obiettivo, il cielo potrebbe
risultare molto più scuro da una parte della foto piuttosto che dall'altra; oppure,
potrebbe essere scuro al centro e chiaro ai bordi, o viceversa. Nonostante questo,
gli effetti che si possono ottenere sono comunque notevoli. Poi, con una pellicola
in bianco e nero si può usare un filtro colore insieme al polarizzatore: per ottenere
un effetto maggiore.
Il modo più semplice per determinare l'effetto visivo dell'assorbimento della luce
da arte di un filtro polarizzatore, è quello di osservare il soggetto attraverso il
filtro stesso, mentre lo si ruota. Gli effetti sono apprezzabili e molto evidenti.
Quando si è raggiunto l'effetto desiderato, è quindi sufficiente mantenere il filtro
sull'obiettivo nella stessa posizione
Polarizzazione naturale per riflessione
La luce che colpisce una superficie liscia viene riflessa sotto un angolo uguale e
opposto all'angolo d'incidenza.
Superfici non metalliche
Alcune superfici riflettono un'alta percentuale della luce che le colpisce; altre ne
riflettono una parte e ne assorbono un'altra. Con i materiali dielettrici (non
conduttori) una parte della luce riflessa è polarizzata. Il piano di polarizzazione è
parallelo alla superficie riflettente, e l'angolo è maggiore di quello di riflessione,
diverso per ciascun materiale. La polarizzazione diminuisce rapidamente, al
variare dell'angolo. L'angolo di polarizzazione massima varia in funzione della
natura del materiale che riflette la luce, ma per la maggior parte delle sostanze è
tra i 30 e i 40 gradi. La luce riflessa, polarizzata in questo modo, può essere
assorbita da un filtro polarizzatore appropriatamente diretto. Di conseguenza, il
riflesso (o bagliore) su molte superfici può essere eliminato parzialmente o
completamente.
Invece, se si rende necessario rafforzare l'effetto con un filtro polarizzatore, si
inverte il concetto: per eliminare completamente il riflesso, occorre orientare
l'asse dell'obiettivo di ripresa come il raggio
riflesso con la massima
polarizzazione, per il materiale considerato.
Di conseguenza, se ad esempio l'angolo del raggio riflesso dall'acqua più
polarizzato è di 37 gradi, anche l'angolo della macchina dovrà essere di 37 gradi,
altrimenti il controllo del riflesso sarà solo parziale. Questo angolo di ripresa
potrebbe essere indesiderabile o impossibile, così, questo metodo di controllo non
è perfetto.
Superfici metalliche
Nonostante la maggioranza dei materiali che si possono incontrare in fotografia
siano in grado di piano-polarizzare la luce per riflesso, come precedentemente
descritto, i metalli non presentano questa proprietà, per ragioni fisiche. Dal
momento
che il
riflesso di un raggio di luce incidente non polarizzato,
proveniente da una superficie metallica liscia, non produce piano-polarizzazione, i
filtri polarizzatori non sono in grado di eliminare questi riflessi.
Comunque,
non
tutto è compromesso. Se il raggio incidente è già
piano-polarizzato quando colpisce la superficie metallica, come lo è la luce
proveniente da varie parti del cielo, resterà tale dopo la riflessione, e l'intensità
del riflesso può essere alterata da un filtro polarizzatore, nel modo normale.
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Poiché, nello stesso modo in cui non lo piano-polarizza, la superficie metallica non
depolarizzerà il raggio.
Polarizzazione indotta
Qualsiasi materiale che possa essere usato per assorbire la luce polarizzata, può
essere usato anche per indurre la polarizzazione. Invece di usare il filtro
polarizzatore esclusivamente sull'obiettivo, se ne possono utilizzare due: uno per
eseguire la polarizzazione iniziale della luce (il "polarizzatore" vero e proprio) e
l'altro per renderne visibili gli effetti (l'analizzatore). Sia la luce artificiale sia
quella naturale possono essere polarizzate. Il materiale polarizzatore Polaroid è
disponibile nel formato
standard 40x50 cm, e in formati
diversi solo su
ordinazione.
Controllo delle riflessioni
Le riflessioni possono essere eliminate da quasi tutte le superfici, se il raggio
diretto viene polarizzato prima di arrivare al soggetto. Se si utilizza la luce
naturale, bisogna interporre un foglio polarizzante tra la sorgente luminosa e il
soggetto, assicurandosi che sia sufficientemente ampio da coprire l'intera area del
soggetto. Si sistema il solito filtro polarizzatore sull'obiettivo, e lo si ruota fino a
quando i riflessi
scompaiono: e quindi si scatta la
fotografia. Se si usa
illuminazione flash e non si conosce l'angolo di polarizzazione dei riflessi, si
devono allineare gli assi dei due polarizzatori. Per comodità, la maggior parte dei
polarizzatori portano inciso sulla montatura l'asse di polarizzazione. Quando i filtri
sono privi di questa indicazione, si deve osservare attraverso entrambi, mentre se
ne ruota uno. Al punto di massima estinzione della luce, gli assi sono a 90 gradi,
quindi si possono marcare gli assi, per facilitare il lavoro successivo. Per ottenere
il maggior controllo dei riflessi, l'asse polarizzatore della lampada dovrebbe essere
a 90 gradi rispetto all'asse del filtro sull'obiettivo.
Se si usano due fonti di luce, entrambe devono essere polarizzate. Per allineare
visivamente i due filtri davanti alle luci, si debbono montare separatamente. Si
mette un foglio polarizzatore di fronte a una delle due fonti di luce e si ruota il
filtro sull'obiettivo fino a quando tutti i riflessi scompaiono. Si spenge questa
lampada, e si accende la seconda. Senza toccare il filtro sull'obiettivo, si ruota il
foglio polarizzante posto davanti alla seconda lampada fino a quando i riflessi
prodotti da questa sorgente scompaiono. A questo punto, entrambi i polarizzatori
sono orientati correttamente, rispetto al filtro dell'obiettivo.
Il controllo dei riflessi basato sull'uso deliberato della polarizzazione indotta, è più
completo di quello eseguito con la luce che si è polarizzata naturalmente per
riflessione. In questa utilizzazione l'angolo sotto cui si effettua la ripresa non è
determinante, come quando si neutralizzano i riflessi polarizzati naturalmente.
Non sempre si richiede un'eliminazione totale dei riflessi, anzi, a volte non si
modifica assolutamente. Alcuni riflessi sono piacevoli per quello che sottolineano
e per il modo in cui lo fanno. Se ci si trova di fronte a riflessi che nascondono dei
particolari su superfici brillanti o naturalmente umide, potrebbe essere meglio
indebolire semplicemente il riflesso, piuttosto che eliminarlo completamente.
Togliendo l'impressione di trasparenza o luminosità, l'eliminazione totale altera
l'apparenza caratteristica del soggetto. Potrebbe anche essere interessante
lasciare una traccia della copertura trasparente
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