16 - La Rivista della Scuola

Transcript

16 - La Rivista della Scuola
16
LA RIVISTA DELLA SCUOLA
Anno XX1X, 1/31 marzo 2008, n. 7
PA L A Z Z O L O AC R E I D E
20 grana, 1 grano = 6 denari o piccioli. Si ricordi la somma contrattata
tra D. Giuliano Manjuni, rettore dell’Annunziata, e Antonello da Messina nel 1474, per la pala del V” Annunciazione”: “Et pro precio et
precii rescactacione unciarum undecim”. Le famiglie più facoltose
vivevano con un reddito annuo di 60-70 onze; quelle dei gentiluomini,
discendenti dalle dinastie feudali (ed aventi il nome preceduto dal predicato d’onore “Don” riservato a nobili e chierici) si attestavano sulle
500 onze l’anno ed erano serviti da famigli”, schiavi ed esattori poco
scrupolosi che ricorrevano a qualsiasi mezzo per riscuotere canoni,
censi, balzelli e tributi senza compromessi coi sudditi.
In quel tempo il paese si espandeva verso la parte alta e le piazze
dominate dal principali luoghi di culto, determinando lo spostamento
del baricentro e la nascita di nuovi quartieri, cui confluirono le strade
più importanti punteggiate da moderni nuclei e residenze diversificate, edifici di lusso e case terrane ad uno o più corpi, o “impalazzate”,
come quella del Barone Ferla di Tristaino in via Garibaldi sopravvissuta alla furia sismica. Lo schema architettonico adottato era spontaneo, vernacolare, direbbe Antonino Uccello, caratterizzato da raccordi di scalinate, vicoli, ronchi, portici e cortili plurifamiliari. Furono
ampliate e abbellite le grandi chiese: quella di S. Sebastiano, “fabbricata vicino l’antica, fu benedetta e aperta al pubblico nel 1655 e il 28
febbrao 1664, sotto il parrocato di D. Francesco Nigito, “fatta Sacramentale, Filiale Parrocchiale e Coadiuttrice” dal Vescovo Capobianco, vi fu venerata come protettricc la Madonna d’Itria (l’edificio,
ricostruito dopo il terremoto, fu nuovamente, danneggiato il 18
dicembre del 1702 a causa di un gran vento che ne “gettò a terra le
arcate”). Devota attenzione fu rivolta alla seconda chiesa di S. Paolo
(la prima era stata donata ai PP. Domenicani), ricostruita sul sito di
S. Sofia nel 1644 da Magister Vincentius Basili e quasi ultimata nel
1657, quando accolse definitivamente il simulacro dell’Apostolo.
Anche quelle della Madre Chiesa (cui al miei tempi si accedeva da
un’ampia scalinata, con a lato il tempietto di S. Caterina con campanile), dell’Annunziata, di S. Michele e di Sant’Antonio, edificate in
epoche remote, ebbero zelanti interventi e rispettose cure: assai meno
le cappelle e i santuari minori, scarni e artisticamente poveri, adatti
alle esigenze spirituali di piccoli rioni e aperti ad una limitata attività
liturgica. La maggior parte di essi fu cancellata dal terremoto. Si
intensificarono le confraternite (ed esplosero i primi conflitti di campanile) e si consolidò l’Ospedale o Monte di Pietà presso la chiesa di
S. Caterina, patrona dei trovatelli, a fianco di S. Nicolò o Matrice,
che operò fino al 1680 distribuendo elemosine e tutelando l’educazione degli orfani e delle vergini.
Una novità negativa si registrò nel campo della giustizia nel 1553
allorchè il clero, classe fra le più favorite, rafforzò il suo potere con
un’apposita legge che autorizzava il Vicario Foraneo, braccio destro
del Vescovo - come fa rilevare Luisa Santoro - “a giudicare in materia civile e ìn materia criminale, ad emettere provvedimenti d’urgenza e a procedere a ricercare informazioni e prove” (L’Archivio storico vicariale della Chiesa Madre”, p.59). Il 28 ottobre 1567 il paese
era pavesato a festa per le nozze tra D. Antonio Martino, regius miles
nato a Vizzini nel 1543, e Donn’Angela de Alagona (figlia di Isabella
Alagona e Barone Montalto): ma ignorava che da lì a poco il 28 ottobre 1579, Artale III Alagona e Bonajuto, già fondatore del Convento
dei PP. Cappuccini (1574-1576), “molestato, e annoiato dalli creditori”, vendesse “ lo stato di Palazzolo a D. Francesco Santapau, Principe di Butera e Marchese di Licodia”, per il prezzo di 48 mila 170
scudi e tre tarì (corrispondenti a 19271 onze 3 -, come precisa il frate
cappuccino nella Selva, p. 236). L’atto fu stipulato dal notaio Alessandro Taschetta di Licodia. In precedenza, il 25 ottobre 1570, egli
aveva incassato 19.251 lire dalla alienazione dei feudi di Falabia e di
Bibinello, e non gli erano bastate. Il nuovo ricco acquirente non ebbe
eredi (l’unica figlia naturale, Fiorella Manueli detta Camilla, sposò
Pietro Velasques e, morto questi, Nunzio Ruffo dei Principi di Scilla)
e sentendosi prossimo alla fine, il 5 dicembre 1590 fece testamento
in favore della moglie Donna Imara Benevides: la quale prese possesso della Baronia con atto notarile Cannarella il 6 dicembre 1590,
perfezionandone la pratica il 12 dello stesso mese. Ciò in base ad una
disposizione regia di Ferdinando (1509) che, per evitare alterchi e
concorrenze, consentiva agli aventi diritto di considerarsi successori
durante la infermità dei titolari: “si hagia di continuari la possessioni
di lo difunto in pirsuna di dicto eredi et intendersi essiri la possessioni vera continuata”.
Il mero e il misto imperio
Il Principe di Butera fu sepolto nella chiesa dei Gesuiti di Messina
e il 29 novembre 1591 la vedova Donna Imara s’insediò a Palazzolo,
dove ripristinò il privilegio normanno del 1097, secondo cui poteva
scegliersi un “rector” od “orator” addetto al tempio castellano di S.
Martino, che doveva essere ancora il cuore religioso del borgo. Al
cappellano per le prestazioni rituali veniva corrisposto lo jus datae,
ossia una quota delle decime o imposte devolute alla mensa dei
canonici. La “Barunissa” si mostrò caritatevole e generosa e si diede
ad opere benefiche, finanziando fra l’altro la fondazione del Monastero delle Moniali, o Badia, sul sito dell’attuale Municipio, sotto i1
titolo dell’Immacolata e regola di S. Benedetto. Alle spese concorse
pure D. Antonio Martino, che morirà il 4 ottobre 1594 venendo inumato nella propria Cappella dei Tre Re alla Matrice. Intanto, foschi e
minacciosi nuvoloni avanzavano all’orizzonte con conseguenze
devastanti sotto l’aspetto sociale e religioso, e non era davvero una
fortuna se la Chiesa - come affermava Nicolino Zocco - “col suo
doppio potere spirituale e temporale rendeva meno duro il giogo feodale” (Notizie Storiche, p. 38), in quanto con l’attribuire al rappresentante della giurisdizione ecclesiastica la facoltà, non soltanto di
prevenire o scomunicare, ma anche di imprigionare, punire per falsa
testimonianza e reati vari, furto, stupro e bestemmia, si alimentavano
le falde persecutorie e gli intrighi che caratterizzarono le pagine più
dolorose della storia siciliana dal 1500 al 1782 (anno in cui il Vicerè
Caracciolo pose fine alla feroce repressione ordinando di distruggere
atti e verbali dei tribunali). Della tenebrosa epoca spagnolesca di
grande eloquenza testimoniale sono i disegni e i versi in dialetto che
i condannati disperati, in attesa di giudizio, incisero sulle pareti dello
Steri, famigerato carcere di penitenza a Palermo: località sinistra
adottata da Leonardo Sciascia in “Morte dell’Inquisitore”, con illustrazioni di Renato Guttuso, dove si racconta che il 4 aprile 1657
l’eretico di Racalmuto fra Diego La Matina si rivoltò contro il suo
torturatore, Don Juan Lopez de Cisneros, fracassandogli il cranio con
una spranga di ferro. “In un periodo nel quale vescovi, teologi, parroci e frati governavano - scriveva Alessandro Italia (p. 121) -, l’Inquisizione fu il mezzo per assoggettare i cittadini alla Religione e allo
Chiesa di S.Domenico (ossia prima Chiesa di San Paolo) in
piazza degli Uffizi con annesso convento fondato dalla “bizzocca di S. Domenico” Suor Girolama Scalzo (1577-1632) col concorso del nobile Mario Daniele (disegno di Vincenzo Teodoro)
Stato”. Di questo stato di cose si ebbero riflessi anche a Palazzolo,
dove si verificarono mutamenti inquietanti già dall’inizio del nuovo
secolo.
Narra Fra’ Giacinto Leone che il 2 marzo 1606 la Benevides, “per
magior servizio di nostro Signore, e per la buona amministrazione
della giustizia, e reprimere l’audacia di alcune persone temerarie, e
delinquenti, e per lo governo di detta terra, desidera avere lo Mero, e
Misto Imperio: quattro scudi per ogni fogo” (= famiglia). Era come
barattare i diritti dei cittadini, trattarli né più né meno come roba da
supermercato. Sulla “vexata quaestio” Tonino Grimaldi dà questi
dettagli: 1a signora aveva la competenza di giudicare gli abitanti del
feudo sia nelle cause civili che penali e di nominare i giudici e gli
ufficiali di giustizia”. E ancora: poteva infliggere punizioni corporali
lievi o gravi, fino “al taglio del naso o delle orecchie, all’amputazione degli arti”, senza escludere la “pena di morte per glaudio, per
soffocamento od altro” (Studi Acrensi 1, p. 78). Ma la morte, che
come la livella pone sullo stesso piano sia i potenti che i sudditi, il 26
settembre 1618 raggiunse colui che s’era svenduto il paese per debiti, Artale III Alagona e Bonajuto; e più tardi anche la Baronessa sparì
di scena, lasciando l’eredità a Camilla (Fiorella Manueli di Licodia),
ch’era stata legittimata e col primo marito D. Pietro Velasques aveva
avuto tre figli Francesco, Gutterra e Maria; ai quali se ne aggiunsero
tre di secondo letto: Vincenzo Franco, Giuseppe e Calcedonio (nati
da Nunzio Ruffo dei Principi di Scilla). Della successione, Vincenzo
Franco fece gratuita donazione al fratello uterino Gutterra Velasques
e Santapau, che si proclamò primo Principe di Palazzolo (15.mo di
Sicilia), per averne acquisito il titolo il 21 maggio 1622. Morto egli
senza prole, la donazione recesse in favore di Vincenzo Franco,
Barone di Licodia ammogliatosi con Giovanna Ruffo, principessa di
Scilla, con la quale generò i figli Francesco e Tiberio. Fu durante il
Principato di Vincenzo Ruffo che “la bizzocca” Suor Girolama Scalzo (1577-1632) “infervorò il popolo di Palazzolo di fondare il Convento dei PP. Domenicani” e fu lei che “persuase la Confraternita
della Chiesa di S. Paolo, a cedere la Chiesa alli PP. Domenicani:
come infatti gli la cesse, per atto pubblico” (“Notaro Paolo Buggiuffo a 26 Giugno 1627”, Selva, p. 218). Anche il nobile Mario
Daniele si addossò una parte dell’onere per la edificazione del Convento, per aver ricevuto la grazia della liberazione del figlio ch’era
stato sequestrato dal banditi Cavallo e Longino. Nel 1663 D. Francesco Ruffo fece rinuncia degli stati di Palazzolo e Licodia in favore
del fratello D. Tiberio Ruffo (terzogenito di Vincenzo e Giovanna
Ruffo), che amministrò il Principato a partire dal 4 giugno 1665.
Nel 1677 avvenne la “memorabile ribellione” popolare per l’aumento del prezzo del frumento, di cui ci siamo occupati un paio di
volte sui giornali e ultimamente con un servizio sul Corriere il 7-8
del 2006. L’episodio, che si concluse con una reazione disumana e
crudele, è significativo per le condizioni sociali in cui versava la
popolazione rispetto alla classe dirigente e alla nobiltà ligie come
sempre alle leggi feudali e protette dalla monarchia. Il 6 novembre
1683 a D. Tiberio Ruffo (sposato con D. Agata Branciforte) successe
il figlio minorenne Guglielmo sotto la tutela dello zio Marchese
Girolamo: il quale, cresciuto in età, contrasse matrimonio con Silvia
Marra avendone il figlio Fulco Antonio. Il 15 luglio 1690, durante il
Principato di Guglielmo Ruffo e Santapau, la Sacra Congregazione
dei Riti, sulla base dei decreti di Urbano VIII, confermò l’elezione di
S. Paolo a patrono di Palazzolo. Ma tre anni dopo il paese e le regioni a Sud dell’isola furono scossi da una inaudita violenza sismica,
così descritta da P. Giacinto Farina per indiretta testimonianza: “in
quest’anno 1693 a 9 gennaro a 3 e 3 quarti nella Sicilia e particolarmente nella Valle di Noto, un gagliardo terremoto che conquassò
tutto il Valle e questa terra di Palazzolo di modochè portò un gran
terrore e paura al mortali, ma niente sarebbe stato di danni se non
avesse replicato a 11 del medesimo mese di Gennaro. In questo paese
di Palazzolo le persone che furono oppresse dalle pietre arrivarono al
numero di mille. Un quanto agli edifici delle case e delle Chiese non
restò niuno vestigio e principalmente della bella Madre-Chiesa, il cui
“campanile era degno di essere veduto, colla bella Cupola del cappellone” (“Selva di memorie antiche”, 1869). Diceva uno scrittore:
senza la distruzione sismica, difficilmente i paesi di Val di Noto
sarebbero risorti col “nuovo stile”, grazie alla sensibilità e al concorso dei nobili, degli Ordini religiosi, dei cittadini della borghesia e
soprattutto dei così detti “genii loci” che impressero al nuovo assetto
urbanistico una impronta decorativa incancellabile. Il secolo XVIII
albeggiò con alcune complicanze politiche che interessarono ancora
la terra glorificata da Federico II, “stupor mundi”: scomparso Carlo
II, ultimo sovrano di Casa d’Austria sul trono di Spagna, a governare
i siciliani fu chiamato Filippo V, che dall’oggi al domani “s’incor-
porò tutti gli stati, e Baronie della Sicilia, che erano delli Principi
Napolitani, fra i quali fu D. Guglielmo Ruffo, e Santapau, Principe di
Palazzolo, e Marchese di Licodia”.
Con la Pace di Utrecht del 14 marzo 1713 le cose cambiarono:
prima, per la conclusione della dominazione spagnola durata 300
anni, poi perché l’isola fu assegnata a Vittorio Amedeo Il (16661732), figlio di Carlo Emanuele e marito di Anna d’Orléans, nipote
di Luigi XIV. Il nuovo monarca sbarcò a Palermo l’11 ottobre 1713 e
restò scandalizzato per aver trovato la città in condizioni di grande
disagio economico. Visitò anche Catania e vi si fermò alcuni giorni
confermando gli antichi benefici e promettendone di nuovi. Ma non
riusci a simpatizzare coi cittadini, né a disarmare il suo grande nemico, Carlo III, che si servì del Trattato dell’Aja del 1720, per costringerlo a consegnargli la Sicilia in cambio della sovranità sulla Sardegna. Nel 1734 lo stesso Carlo III costituì il Regno delle Due Sicilie,
che si protrasse fino al 1860, “e li Principi Napolitani - sottolinea
l’autore della Selva (pag. 235) - si ripigliorono li loro stati incorporati” e anche D. Guglielmo Ruffo rientrò nel possedimenti di Palazzolo
e di Licodia. Il 10 agosto 1759 venne a mancare il Re di Spagna Ferdinando VI e, in mancanza di eredi, gli subentrò sul trono il fratello
Carlo III, costretto a lasciare il Regno delle Due Sicilie al figlio di
otto anni, Ferdinando III (IV per Napoli). Il 13 maggio 1768 il giovane re si legò in matrimonio con Maria Carolina d’Asburgo-Lorena
(1752-1814), figlia dell’imperatrice d’Austria, Maria Teresa, e sorella di Maria Antonietta (ghigliottinata col Re nel 1793), e Catania
volle festeggiare l’evento reale elevando un Arco all’ingresso della
città (detto poi Porta Garibaldi), su progetto degli architetti Francesco Battaglia e Stefano Ittar, suo genero. Stimato cortigiano di Maria
Carolina a Napoli fu un illustre palazzolese, Corradino D’Albergo,
fratello di Giuseppe, brillante ufficiale di cavalleria deceduto a Firenze nel 1856. Nel frattempo, alla data del 30 marzo 1748, il Principato
di Palazzolo era stato annesso al patrimonio di Guglielmo Antonio
Ruffo e Santapau, nato dalla unione di Fulco Antonio con Teresa
Favar de Strada e sposo di Lucrezia Riggio (figlia del Principe di
Campofiorito e Vicerè di Valenza).
Qui chiudiamo l’ultima pagina di questa breve storia, per non
addentrarci nelle vicende dei secoli successivi che appartengono alla
rinascita di Palazzolo dalle ceneri del terremoto e alla sua esaltata
ricostruzione. Un augurio perché i giovani si rianimino nell’amore
della cultura e dallo studio delle proprie radici traggano curiosità e
stimolo per approfondirlo.
Vincenzo Teodoro
Limite massimo dei prezzi
dei libri di testo
Anno scolastico 2008/2009
Decreto n. 28 del 22 febbraio 2008
ART. 1
Per l’anno scolastico 2008/2009 il prezzo massimo complessivo
della dotazione libraria necessaria per gli indirizzi di studio della
scuola secondaria superiore statale, da assumere quale limite
all’interno del quale i docenti sono tenuti ad operare le proprie
scelte, è determinato come segue:
Tipo scuola
I anno
II anno
III anno IV anno
V anno
Liceo Classico
320,00
181,00
370,00
305,00
315,00
Istituto Mag.
310,00
170,00
300,00
230,00
240,00
Liceo Sc.
305,00
210,00
310,00
280,00
300,00
Liceo Artistico
260,00
170,00
250,00
190,00
200,00
Istituto d’Arte
270,00
145,00
198,00
170,00
155,00
Ist. Tec.Aeron.
270,00
175,00
305,00
220,00
145,00
Ist. Tec.Agr.
* 290,00
170,00
295,00
280,00
185,00
Ist. Tec.Com.
290,00
170,00
280,00
240,00
220,00
Ist. Tec.Att.Soc.
290,00
150,00
290,00
240,00
190,00
Ist. Tec.Ind.
305,00
160,00
300,00
245,00
215,00
Ist. Tec.Naut.
310,00
200,00
300,00
250,00
230,00
Ist. Tec.Geom.
270,00
170,00
310,00
265,00
220,00
Ist. Tec.Turism.
310,00
200,00
300,00
250,00
210,00
Ist. Prof. Agric.
270,00
155,00
200,00
180,00
140,00
Ist. Prof.Turism.
245,00
150,00
220,00
180,00
130,00
Ist. Prof.Serv.S.
250,00
145,00
180,00
180,00
120,00
Ist. Prof.Alberg.
295,00
155,00
190,00
215,00
130,00
Ist. Prof.Ind.Art.
240,00
140,00
160,00
170,00
125,00
* L’istituto tecnico agrario comprende un sesto anno di corso per il quale viene
stabilita la spesa di ¤ 90,00.
ART. 2
I prezzi stabiliti all’articolo 1 trovano applicazione relativamente ai corsi di studio ordinamentali.
ART. 3
Eventuali incrementi degli importi di cui all’articolo 1, sono
consentiti, entro il limite massimo del 10 per cento, negli indirizzi
di studio in cui sono presenti indirizzi sperimentali. In tal caso le
relative delibere di adozione dei testi scolastici debbono essere
adeguatamente motivate da parte del Collegio dei docenti ed
approvate dal Consigli di istituto.
Roma, 22.02.2008
Il Ministro: Fioroni
----------------Dichiarazione del ministro Fioroni
“La scuola italiana farà, come sempre, tutta la sua parte per
dimostrare che è possibile conciliare la qualità dell’insegnamento
con costi sostenibili per le famiglie.
Credo anche che la scuola non sia l’unica a doversi fare carico
di un problema così importante e sono certo che anche gli editori
collaboreranno a questa operazione trasparenza, in modo da diradare ogni eventuale dubbio sulla correttezza del mercato e sull’attenzione alle esigenze di chi ha meno mezzi.
Non credo, infine, che ne potrà risentire la libertà di insegnamento: ne risentirà, e finalmente in modo positivo, la libertà e il
diritto di ricevere un’istruzione che, è bene ricordarlo, non può
diventare un lusso per pochi”.
Nel precedente numero 6 della Rivista abbiamo
pubblicato:
- Formazione degli organici del personale docente
- Norme per lo svolgimento degli esami di maturità